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    Premessa

    Il primo a credere nel talento drammaturgico di FaustoParavidino stato Franco Quadri, da sempre impegnatosu un duplice versante, come critico del quotidiano la Re-pubblica e come editore della Ubulibri, a cogliere i segnalidi quanto di nuovo si affaccia sulla scena internazionale.

    Come critico, il 10 dicembre 2000, nel recensire 2 Fra-telli, si pu dire gi intuisca la dimensione sovranazionalecui il giovane drammaturgo sembra essere destinato: Inaltri paesi sarebbe un caso: da noi dovrebbe avere anchepi motivi per diventarlo quello di Fausto Paravidino, unragazzino che scrive commedie con la facilit con cui respi-ra, e non proprio una specialit italiana. Come editore,

    due anni dopo pubblicher in volume il Teatrodi FaustoParavidino, comprendente Gabriele, 2 Fratelli, La malattiadella famiglia M, Natura morta in un fosso, Genova 01, Noc-cioline.

    Assente in quella prima tempestiva raccolta, ci sem-brato utile riproporre in questa sede, il testo desordio diParavidino, Trinciapollo, daccordo con il suo autore, che

    ringraziamo.Nato in occasione di un corso allUniversit di Perugia,il presente volume vuole offrire un primo spunto alla co-noscenza e alla riflessione critica intorno a questo giovaneautore. Si tratta di un lavoro svolto di concerto con Fran-co Vazzoler, docente di Letteratura teatrale italiana pressolUniversit di Genova, cui si deve il saggio introduttivo.

    Raccogliendo interviste e critiche, si cercato di dareunantologia significativa dellormai ampia produzionecritica internazionale sul lavoro di Fausto Paravidino. Perquesto si fatto ricorso al Patalogo, altra meritoria impresa

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    Fausto Paravidino

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    della Ubulibri, da trentanni ormai indispensabile catalogodella nostra memoria teatrale, e alla rivista on line di Siro

    Ferrone (docente di Storia del teatro e dello spettacoloallUniversit di Firenze), www. drammaturgia.it, osser-vatorio e forum di dibattito sulla drammaturgia contem-poranea, che dellopera di Paravidino si ripetutamenteinteressata.

    Oltre a coloro sin qui citati, un ringraziamento va aMaria Sommer, della Gustav Kiepenheuer Bhnenver-

    triebs-

    GMBH, a Laura Olivi, Dramaturg presso il Baye-rische Staatsschauspiel di Monaco, a Charlotte e RobertoMenin, a Veronika Wiethaler, a Laura Benzi e alle due stu-dentesse del programma ErasmusCristina Pla Grimaldose Nria Mora Grcia.

    Alessandro Tinterri

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    Fra lingua e scenaNote sulle drammaturgia di Fausto Paravidino

    di Franco Vazzoler

    Allinizio c un cadavere, ucciso in scena, nel primoquadro di Trinciapollo.

    La scena un appartamento qualunque, luccisione

    avviene per motivi incomprensibili, dopo un dialogo chesembra direttamente prelevato da una picedel teatro del-lassurdo, fra Tardieu, Jonesco, Adamov.

    Lesordio di Fausto Paravidino come drammaturgo halapparenza del noired allinsegna di un dialogo che sem-bra avere lo scopo (e comunque ha leffetto) di spiazzarelo spettatore. E lo spiazzamento continuer con levolversi

    della vicenda, che assume i caratteri del caso giudiziario(ma senza diventare denuncia) e infine sfocia nella psico-patologia.

    Naturalmente, la trama (se cos la si pu chiamare) un pretesto per muoversi su questa linea dello spiazzamen-to, che enunciata nella didascalia-dichiarazione posta al-linizio del testo pubblicato su Hystrio1:

    Questa commedia fatta cos, inizia che fa ridere []Poi andando avanti non lo so se fa ridere, penso che se tiaffezioni ai personaggi puoi anche piangere verso la fine,per se non ti ci affezioni e gli attori sono bravi puoi ri-dere anche alla fine.

    1Fausto Paravidino,Autopresentazione, in Hystrio, aprile 2001, p.124, infrap. 35. Il testo del 96 ed stato rappresentato nel 99.

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    Fausto Paravidino

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    La realizzazione dello spiazzamento affidata alla reci-tazione, allattore, il cui ruolo indicando un curioso mo-

    vimento fra lidentificazione e lo sdoppiamento rispettoal personaggio, che fa pensare a Chaplin o a Keaton chiarito subito dopo:

    I personaggi non devono avere la consapevolezza di diredelle cose buffe, le dicono perch sembrano loro le cosegiuste da dire in quel momento, se pensassero che ci che

    dicono potrebbe essere ridicolo direbbero unaltra cosa.Perci tutti devono recitare col tipo di tensione che ha chi terrorizzato dallidea di dire la cosa sbagliata. Se qual-cuno in teatro trova buffo ci che stato detto, il perso-naggio non la deve prendere come una vittoria [], madeve servirsene per far crescere la tensione e limbarazzodella situazione. Le situazioni sono interessanti, le battute

    necessarie, ma mai interessanti in s. Lattore o il registache si scorda delle situazioni reali e si sdraia sulle battuteche ho immaginato sottovaluta la vita, sopravvaluta il miolavoro e, in definitiva, fa una puttanata.

    Questa interessante premessa al testo desordio dimo-stra come lautore fin dallinizio abbia le idee chiare e sap-

    pia perfettamente quello che vuole.La prima idea chiara quella della destinazione scenicadel testo: testo che sulla scena non ha bisogno di essereinterpretato, ma che possiede esso stesso una sorta di au-tonoma verit. Aspetto, questo, su cui Paravidino giocherabilmente quando, qualche anno pi tardi, racconter ilproprio modo di scrivere:

    Nella maggior parte dei casi inizio a scrivere e non so maicome va a finire la commedia: scrivo una prima scena, poifaccio una scaletta ipotetica delle successive; a quel punto

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    scrivo la seconda, la terza, ma a quel punto maccorgo chela scrittura va prendendo una direzione autonoma, che

    non ha niente a che vedere con la scaletta. Allora mi chie-do: Correggo la scaletta o correggo le scene? In generecorreggo la scaletta, perch di solito sono i personaggi chehanno ragione. Cos, rifaccio una scaletta sulle prime trescene, su come la storia pu andare a finire o come puandare avanti rispetto alle prime tre scene. Poi succedeche arrivo alla quinta, e la scaletta va rifatta completa-

    mente. Molto spesso io non so come andr a finire la sto-ria fino a quando arrivo alla penultima scena. 2 Fratelli,per esempio, doveva essere un colosso, una commedia intre atti con nove personaggi. [] nella prima scena pen-savo di presentare due personaggi, poi entra Boris, che il terzo Pensavo che a ogni scena entrasse un nuovopersonaggio, e invece mi sono fermato a tre perch ho

    visto che il dramma cera gi, che i tre personaggi aveva-no da macerarsi per i fatti loro; e a quel punto ho dettoMaceratevi! e non ho fatto entrare nessun altro. []do sempre ragione ai personaggi, cos come non prendoposizione, in linea di massima, sulle storie e sulle ragioniparziali dei personaggi. Il conflitto per me riguarda i per-sonaggi, che sono in tensione fra loro. Penso che senza

    conflitto non c teatro, ma io non entro mai a quel livellonel gioco conflittuale che coinvolge i personaggi: mi limi-to a prestare pezzetti di me un po alluno e un po allaltropersonaggio.

    un estratto di una delle interviste pi interessanti(c in Paravidino una vena da intervistato da non sotto-

    valutare), quella rilasciata a Concetta DAngeli2

    , che pro-voca inevitabilmente un riferimento a Pirandello da parte

    2In Archivio di ateatro, articolo n65.7, Pisa, 18 novembre 2003(http://www.ateatro.it).

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    dellintervistatrice. Ma evidente che qui siamo di frontead una sorta di riscrittura, alla consapevole ironizzazio-

    ne della situazione pirandelliana (quella delle novelle, piche dei Sei personaggi), spogliata di ogni aura filosofica etenuta nella dimensione di quella strizzata docchio ad unfinto minimalismo in cui gi racchiusa la cifra di tuttala drammaturgia di Paravidino.

    Aver presente che lesordio del drammaturgo avvienecon un testo come Trinciapollo fra il teatro dellassurdo e

    una certa una dimensione di grottesco surreale evidenziatadalla messa in scena a Marburg3 consente di uscire dalclich della tranche de vie, della quotidianit come carat-teristica del teatro di Paravidino, cio da quellimmagineimposta dai primi recensori di Gabriele, scritto insieme aGiampiero Rappa, il testo-rivelazione che lo ha fatto co-noscere, in conseguenza del premio Riccione, e che ne ha

    condizionato liniziale collocazione nellambito di unaequivoca definizione generazionale.Perch in Gabrieleil dato antropo-sociologico pu es-

    sere, s, quasi uno scotto pagato allesigenza inevitabile diparlare dellunica cosa che si ha a disposizione, la propriaesperienza biografica4, anche se la storia dattori, senza tra-lasciare i riferimenti allattivit professionale (la precariet

    delloccupazione, le prove, i progetti, il vivere fuori casa,ecc), lascia sostanzialmente fuori lo spazio del teatro(non si trasforma, ad esempio, pur sfiorandone la possibili-t, nella rappresentazione della impossibile messa in scena

    3Con la regia di Luisa Brandsdrfer, cfr. la recensione di GabrieleNeumann,infrap. 134.

    4Come avveniva, ventanni fa, con Piccoli equivocidi Claudio Bi-gagli, un altro attore, allepoca un po pi anziano di Paravidino, cheaveva portato sulla scena lesperienza quotidiana degli attori, fuori dalpalcoscenico; lo spettacolo ebbe una certa fortuna e origin anche unfilm, diretto da Ricky Tognazzi nel 1989, lo stesso anno di Turn diGabriele Salvatores.

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    di Riccardo III). I personaggi hanno i nomi degli attori cheli interpretano, parlano come loro, con i loro tic linguisti-

    ci. Per, a ben vedere, gi qui lidentificazione fra attorie personaggi funziona per fortuna soprattutto in unaltradirezione, pi interessante, come svelamento della loro tea-tralit, creando, cio, una teatralit di secondo grado che,invece di consentire lidentificazione naturalistica, finisceper neutralizzarla. come se ogni attore ricordasse conti-nuamente: questo personaggio sono proprio io.

    In Gabriele, si potrebbe dire che leffetto della tranche devie(un effetto che potremmo definire neo-naturalistico,tipico del cosiddetto teatro minimalista), della conven-zionale, banale ambientazione kitchen and sink(per dirla al-linglese) venga come neutralizzato dalla frammentazionedellazione, ribadita dai bui in scena e qualche volta dallailluminazione non realistica: lartificio dei cambi di luce in

    I,8 che consentono di alternare i dialoghi fra Giampiero eAngela e i monologhi di Fausto5.La stessa frammentazione, sottolineata dalla scansione

    del tempo indicata dallorologio (riconducibile a una certaconvenzione pinteriana6), che struttura drammaturgica-mente 2 Fratelli, annulla leffetto-cucina anche in questa

    pice, dove laccorgimento di dar vita agli altri personaggi

    (la madre e Lev lontano) attraverso le loro parole registrateed ascoltate al magnetofono, introduce un elemento epi-cizzante, che gi era presente in Trinciapollo (quadro XII),quando un personaggio raccontava laltro (Marco raccon-tava Chiara e Chiara raccontava Marco).

    5Fausto Paravidino, Teatro, Milano, Ubulibri, 2002, pp. 43-45.6 Assunta consapevolmente da Paravidino: in genere colloco le

    scene in progressione, per ormai Pinter ha gi messo tutte le scenein de-progressione, quindi si pu seguire il suo esempio e ribaltare lasuccessione temporale lineare (intervista con Concetta dAngeli, cit.).

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    Insomma, gi allinizio, pi che sulla caratterizzazionesociologica e generazionale, Paravidino sembra lavorare

    sulla forma drammaturgica, ricorrendo a modelli europei.La stessa definizione di tragedia da camera in occa-sione della rappresentazione a Colonia Susanne Stark7 laribattezzer tragedia da cucina, cogliendone felicementela natura grottesca, piuttostoch il realismo rimanda aduna tradizione mitteleuropea (Schnitzler) che in Italia haillustri precedenti in Svevo e in Sogno, ma forse no, in origi-

    ne scritto per la radio, di Pirandello.In La malattia della famiglia M.la dimensione epica finalmente totalmente palese anche in termini dramma-turgici. La soluzione data dal personaggio del dottorCristofolini in funzione narrante. Ma anche il fatto che ildottore sia presente nei discorsi degli altri personaggi chelo giudicano introduce un costante elemento riflessivo nei

    loro comportamenti. I personaggi riflettono su di lui, maal tempo stesso lo usano come specchio e ne sottolineanola funzione drammaturgica, il ruolo allinterno della realtscenica.

    Rispetto agli altri testi, poi, il personaggio del dottoreconsente anche di sperimentare un elemento nuovo, il mo-nologo. Novit importante in un autore che ha fatto del

    dialogo la propria forza e che, come vedremo, rispetto almonologo come genere ha una posizione, negativa, moltochiara.

    Lepicit diventa poi strutturale nel testo successivo,Natura morta in un fosso, che tutto basato su monologhi.Certo sono monologhi in cui ancora una volta la forza deldialoghista prorompente. I personaggi monologanti, in-

    fatti, non fanno che riportare dialoghi. Lepicit proprionel racconto di ogni personaggio che si scompone nelle

    7Klner Stadt-Anzeiger,infrap. 147.

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    diverse voci che compongono il dialogo interno ad ogniracconto, facendo del dialogo la forma principale in cui si

    struttura il racconto del personaggio monologante, indiriz-zandolo verso lepicizzazione. Lepicit intimamente col-legata proprio alla variet dei punti vista, alle diverse veritche a poco a poco vengono a comporre il giallo. Ne derivaleffetto di una rappresentazone prismatica della realt (ef-fetto che accresciuto quando ad essere riportate sono leparole di un personaggio che abbiamo gi conosciuto sulla

    scena), realt che ricostruita attraverso la ricomposizionedelle singole facce.Lepicit diventava ancor pi straniante nella messa in

    scena di Serena Sinigaglia (ottobre 2001), essendo statocommissionato dallAtir, che lo aveva trasformato in one-man-show(Fausto Russo Alesi). Ha ragione Franco Qua-dri a ricordare che questa idea rappresentativa non per

    imposta dallautore8

    , ma loccasione della scena, che mutaradicalmente la prospettiva, colta proficuamente da Para-vidino ed ha benefici effetti, in quanto costituisce uno sti-molo a sganciarsi da quelli che, a lungo andare, avrebberopotuto diventare clichtroppo condizionanti.

    Novit importante lo svincolamento dalla compagniaoriginaria, che fa s che i personaggi non siano pi costruiti

    sulle caratteristiche proprie e degli altri attori, fin l an-che compagni di strada. Non si pu, ad esempio, pensareun attore pi diverso da Fausto Paravidino di quanto nonsia, per fisico, per scuola, per presenza scenica, per dizione,Fausto Russo Alesi.

    Nel caso delle commissioni inglesi credo si possa parla-

    re, invece, di congenialt, forse di coerenza con il modello

    8Introduzione. Il caso Paravidino, ovvero quando il teatro italiano sco-pre di avere un autore a 20 anni, in Fausto Paravidino, Teatro, cit.

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    stilistico, quel ping pong di battute di cui parla Quadrinellintroduzione9. Ed questo il dato immediatamente

    recepito dai primi recensori10

    , ben espresso da Concet-ta dAngeli (Io infatti tenderei a sottolineare come unanovit, almeno per lItalia, lacquisizione recente di unascrittura drammaturgica molto innovativa, che dambitosoprattutto inglese, e per lItalia nuova) e su cui intervie-ne lo stesso Paravidino:

    [linfluenza del teatro inglese] sicuramente, uninfluen-za davvero fondamentale. A dire la verit, non so se di-rettamente il teatro inglese oppure il cinema americano;ma questultimo, a sua volta, influenzato dal teatro in-glese, perci non so esattamente quale sia il giro che hafatto. Comunque linfluenza del mondo anglosassone indiscutibile e, credo, molto riconoscibile11.

    Il che riguarda ancora una volta lanomalia di Paravi-dino rispetto al teatro italiano, soprattutto quello della suagenerazione e delle generazioni immediatamente prece-denti (per non parlare della tradizione dellavanguardia).Una dimensione del teatro controcorrente rispetto a quelteatro che privilegia la scena rispetto alla drammaturgia

    scritta, ma che comunque affermazione di una ineludibilevocazione teatrale:

    9Riprendendo la motivazione della giuria del Premio Tondelli: unoscambio di battute asciutte e rapide da partita a ping pong, allinglese.

    10Ad esempio: scrive commedie con la facilit con cui respira, e non proprio una specialit italiana (infrap. 141), dialoghi dalle cadenzeserrate (infrap. 143), spigliata disinvoltura con cui il giovane autorearticola i dialoghi scarni (Gandini, Alto Adige, 8 novembre 2000).

    11Intervista a Concetta DAngeli, cit.

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    Mi piace pi di tutto recitare, ma possibile essere attoridisoccupati, mentre non possibile esserlo come scritto-

    ri Se non mi chiamano a recitare, scriver12

    .

    Daltra parte le scarne e sobrie dichiarazioni rilasciateda Paravidino non lasciano dubbi sul fatto che egli inten-da muoversi sulla linea di una concezione, aggiornata s,ma classica, n avanguardistica, n sperimentale delladrammaturgia, in qualche modo artigianale:

    Credo che quello che manca alla cultura teatrale italianasia la normalit del teatro, che, per dire, in Germania o inGran Bretagna abbastanza assodata. In Italia invece ilteatro sempre un evento: o un evento spettacolare, o un evento culturale, ma pur sempre un evento. Questogli mette addosso un carico di ansia, che non gli permette

    mai di essere considerato un gioco13

    .

    E quando indica modelli, questi sono Shakespeare(Shakespeare centra con tutto), Genet, Pinter, Cecov,Eduardo14. E osserva Concetta DAngeli, introducendo lasua intervista: i tuoi sono testi lunghi, che hanno la strut-tura del testo teatrale tradizionale, o comunque la eredita-

    no.Il fatto che linteresse posto ai problemi drammatur-gici, gi presente come abbiamo visto nei primi testi, cresce

    12In alias, 27 agosto 2005, p. 13. Speculare lalternativa fra teatroe cinema: se tu scrivi una commedia, il mese dopo cerchi quattro amicie la porti in scena; se scrivi un film, quando ti riesce di realizzarlo?(intervista con Concetta DAngeli, cit.).

    13Intervista con Concetta DAngeli, cit.14Intervista a Maria Francesca De Stefanis per Bardolatry, aprile

    2002 (http://www.geocities.com/queeniemab/FAUSTO.htm).

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    con il crescere del mondo teatrale di Paravidino e del suomodo di guardare, attraverso il teatro, al mondo.

    Sottolineando gli aspetti strutturali, di tecnica dram-maturgica, non si vuol per sottovalutare la presenza deldato antropologico.

    Che lo sguardo di Paravidino fosse pi antropologicoche psicologico, lo si capiva gi con Gabriele, n veniva, tut-to sommato, smentito da 2 Fratelli, il pi implicato fra isuoi testi, nel momento in cui erano abbandonati i clich, le

    tipizzazioni del testo precedente, in un gioco di psicologie.Ma anche l, appunto, erano le relazioni fra i personaggia contare pi dellapprofondimento delle singole psicolo-gie15. InNatura mortasono poi i comportamenti a venirfuori, anche in questo caso abbandonando gli stereotipiautobiografici e generazionali del testo desordio. Anche sesono comportamenti soprattutto familiari.

    Ma gi la didascalia iniziale ha un impatto diverso, conlabbandono della ambientazione in un concreto interno,a vantaggio (anche quando si presuppone lambientazionenella quotidiant casalinga di La mallattia della famiglia M:il telefono, la cucina, il pranzo con ospiti) di un luogo-me-tafora. Il cui modello non la provincia italiana colta nellesue particolarit quasi dialettali, alla Chiti, ma piuttosto un

    luogo metaforico-teatrale, probabilmente quello di Foolfor lovedi Sam Sheppard, anche se vi si possono trovaresuggestioni cinematografiche: da Fermata dautobusa Pa-ris Texas, non potendosi ancora in quel momento pensarea Dogville. A distanza di qualche anno lo confermer ilfilm Texas, con un occhio a Sheppard/Wenders, ma laltro

    15Nellintervista di Concetta DAngeli, a proposito dei personaggi:Nascono privi di psicologia: prima parlano, poi pensano. Generalmenteio prima scrivo, poi, alla fine, vedo che cosa quel personaggio volevadire.

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    anche a un Dinasty formato Italietta slabbrata tutta dimi-tazione (Quadri).

    Che non , per, adagiarsi su una rappresentazone ti-pizzata, provinciale della realt. Paravidino, nellintervistacon Alessandro Tinterri, dove sviluppa questo concetto,mostra di avere molta consapevolezza, che la provincia si trasformata in periferia, quando, a proposito di una delledidascalie diNocciolinedice che ciascuno si sente di viverealla periferia di New York, oppure, in quella con Gianfran-

    co Capitta, parlando dellambientazione di Texas:Texas la periferia allargata, non esattamente la provin-cia, ma quella che una volta si sarebbe chiamata cam-pagna. Anche se oggi ha perso questa consapevolezzacampagnola, ma si riconosce come periferia dellimpero.Riconosce come capitale New York, e quindi tende a New

    York come i borghesi di Kiev tendevano cento anni fa aMosca. Per noi coincide con il basso Piemonte, con laprovincia di Alessandria, che per non viene mai dichia-rata nel film. Anche perch pensiamo che quel che noichiamiamo Texas sia un non luogo che riguarda tutti16.

    La ricchezza di personaggi diNatura mortaimplica,

    poi, di per s lallargamento delle tipologie dei personaggi,che non si limitano questa volta ai soli componenti di unnucleo familiare. I poliziotti, il tossico, il pusher, la prosti-tuta albanese sono frammenti di umanit la cui espressioneteatrale non la confessione, ma piuttosto la testimonian-za; ed assumono una funzione epicizzante gli autocom-menti dei personaggi, che fanno di questo testo un par-

    ticolarissimo esempio di teatro di parola che si realizzanella forma (parodica) del giallo. E la famiglia, che pure

    16In alias, cit., p. 12.

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    qui ha un ruolo centrale, questa volta, ancor pi che in Lamalattia, ha bisogno di un punto dosservazione esterno:

    non pi locchio clinico del dottor Cristofolini, ma quelloinvestigativo del commissario di polizia, che non si ponepi ai margini della vicenda, ma ne invece il perno.

    Ma, appunto, la centralit della costruzione dramma-turgica, fa s che il teatro di Paravidino esca dalla dimen-sione del documento generazionale, pur mantenendo alcentro il discorso sulla famiglia. A osservar bene, proprio

    la dialettica della costruzione drammaturgica come avve-niva a proposito dellambientazione non provinciale, ma inuna periferia metaforica a trasformare la semplice osser-vazione del disagio giovanile nella problematizzazione delcrescere (o del blocco della crescita).

    probabile, allora, che questa sia la vera materia di tuttii testi di Paravidino, compreso Genova 01e non solo per-

    ch anche l il problema affiora nella figura di Carlo e delsuo uccisore17. Nella nota introduttiva alledizione di Pi-stoia18, pi lunga di quella pubblicata in Teatro, il cercaredi diventare grandi coincide col percepire la tragedia,col prendere coscienza della tragedia e non voler dimenti-care quello che accaduto, col farla finita con le cazzate.Coincide, in definitiva, con lo scrivere.

    Gi in Gabrielequesto tema si avvertiva, nellessere unacommedia di formazione mancata; e il provvisorio idillio

    17In Teatro, cit., pp. 231-235.18Fausto Paravidino, Genova 01, a cura di Associazione Teatrale Pi-

    stoiese/Teatro del Tempo presente, Pistoia, 2003. La versione del testo pi lunga e presenta due varianti (opzioni) per il terzo atto. Il testo accompagnato, oltre che da quella di Paravidino, da note di CristinaPezzoli (direttrice artistica dellassociazione), di Filippo Dini (regista),di Laura Benzi (scenografa) e presenta una ricca documentazione fo-tografica sia delle prove, sia dello spettacolo. Il copione di Genova 01ha avuto diverse redazioni, corrispondenti a diverse versioni/occasionispettacolari (cfr. Teatro, cit., p. 221).

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    finale, col suo tono quasi favolistico, finiva per sottolineareancor pi linfantilit, il non crescere dei protagonisti.

    Tuttaltro che estraneo a questo discorso sulla crescita il ruolo dei genitori, anche se non si configura ancoracon la ricchezza che avranno i quadri familiari, fino a con-figurarlo come una quasi mini-saga di provincia, nel filmTexas.

    Figure marginali (ma Gabriele pur sempre la storiadi una paternit, per quanto multipla), apparentemente

    assenti allinizio, se non attraverso la corrispondenza (loscambio delle cassette, in 2 Fratelli), i genitori sono figu-re di sconfitti tanto in La malattia (il tab della madresuicida, la debolezza di Luigi, significativamente designatonellelenco dei personaggi come il genitore), quanto in

    Natura morta, dove per ormai si avvicinano alla consi-stenza di personaggi: il padre, lunico mai in scena, ma evo-

    cato in tutto il suo squallore, protagonista dellincesto edassassino della figlia, la madre (designata come Mother) lattonita testimone della tragedia e, soprattutto, colpitadalla doppia personalit della figlia, e rassegnata di frontead una realt inattesa, ma forse perch non voluta rico-noscere. Anchessi sono inadeguati rispetto al compito cheavrebbero dovuto svolgere, anchessi, in qualche modo, non

    sono cresciuti.Il tema del crescere poi centrale in Noccioline, ancheda questo punto di vista il testo pi interessante e comples-so e vero e proprio punto di arrivo almeno fino a questomomento della ricerca drammaturgica di Paravidino.

    Organizzato su una precisa geometria, indicata minu-ziosamente nella didascalia-commento che precede il testo,

    che, nella quasi maniacale esigenza di numerare tutto (os-sessione dei numeri, secondo Quadri19), sembra riman-

    19inIntroduzione, cit., p. 7.

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    dare al cinema di Greenaway, qui mostra non la difficolt(Gabriele), il rifiuto (2 Fratelli), limpossibilit e lincapacit

    di crescere (il destino dei figli e il fallimento dei genitoriin La malattiae inNatura morta), ma gli effetti dellacrescita.

    Geometria quasi didascalica da un lato e gioco di ris-pecchiamento nel modello delle stripdi Schulz, sono i duedati strutturali (ma intimamente connessi con il contenu-to) di questo testo.

    InNocciolineogni scena (sezione) introdotta da un ti-tolo, che ha la funzione anche se Paravidino non lo espli-cita mai come modello dei cartelli brechtiani: Nellin-sieme costituiscono una sorta di breviario dei temi dellaglobalizzazione20. Se, da un lato, vengono a costituire unasorta di rilettura dellorganizzazione economico-sociale delmondo attuale (la globalizzazione, appunto), Paravidino li

    considera anche il tentativo di misurare nella vita di tutti igiorni i grandi temi della politica, il controcanto ironico,ma mai parodistico21, mettendone in evidenza la funzionestrutturale (In generale, lo stesso concetto espresso in ma-niera infantile nel primo atto ritorna nel secondo in formaadulta), attraverso la tecnica dello spiazzamento e lusostrumentale del minimalismo:

    Ma mentre nel primo atto a situazioni del tutto banalicorrispondono titoli da grandi temi della storia e dellapolitica, nel secondo a scene di un mondo adulto dai trattiinquietanti ho dato titoli inadeguati e sentimentali. Quel-li del secondo atto nel loro minimalismo sono titoli che

    20A colloquio con Fausto Paravidino, a cura di Alessandro Tinterri,infrap. 103. Proprio per la presenza dellintervista in questo libro, ri-mando ad essa perla totalit delle spiegazioni.

    21Proposta in forma antifrastica, come ad es. nel n. 16: Intermezzoda ridere (in Teatro, p. 267).

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    non corrispondono affatto alla gravit delle situazioni,sono messaggi retorici e rassicuranti dettati da un ordine

    costituito preoccupato solo di minimizzare.

    Tutto, cio, puntato sullo scarto, sul dislivello: di qui,dal paradosso ( uno dei paradossi del mondo globalizza-to: circolano le merci [] circolano ancor pi liberamentei capitali, ma non le persone), nasce il carattere di dram-ma didattico diNoccioline. Di qui discende una complessa

    operazione di straniamento, che ha a che fare anche con lagerarchia dei generi. Il basso, i personaggi ricavati dallestripdi Schulz vengono innalzati, nella seconda parte, nel-la dimensione di un realismo tragico, quello evidenziatodal minimalismo dei titoli. La loro trasposizione teatrale,daltra parte, non ha nulla di meccanico, ma punta sulla ri-conoscibilit attraverso il travestimento22. Viene in mente,

    fra gli esempi pi recenti ed anche perch citata con am-mirazione da Paravidino, Sarah Kane. Pur senza giungerealla estremizzazione della rappresentazione della violenzadella drammaturga inglese, le stripe i personaggi di Schulzsono sottoposti ad un trattamento analogo alla vicendaclassica in Fedrass Love, mentre la dinamica del rovescia-mento, della dimensione dellinterno claustrofobico in cui

    si scatena una violenza efferata, potrebbe ricordare Blasted.Paravidino, seppur in una versione spettacolarmente pimoderata (altro discorso credo andrebbe fatto sulla violen-za non platealmente evidenziata), appare allora, non soloper la tecnica del dialogo, sulla linea di un teatro laltronome che viene da fare quello di Edward Bond for-temente radicato nella rilettura del teatro shakespeariano

    ed elisabettiano in generale, aiutandoci a capire come mai

    22Anche su questo cfr. lintervista a cura di Tinterri.

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    questo sia un punto di riferimento costante, come abbiamovisto, anche nelle sue dichiarazioni.

    Proprio attraverso lidea di un teatro della crudelt,anche se abilmente mascherato, non sentimentale e com-movente, ma nemmeno esplicitamente sperimentale, credosi possa capire meglio quello che Paravidino intendeva, findal principio, nella nota iniziale di Trinciapollo, a propositodella necessit di non sottovalutare la vita e sopravvalu-tare il suo lavoro, instaurando, cio, un rapporto fra real-

    t e scrittura. Anche se quella dichiarazione pu apparireeccessivamente modesta, perch nel lavoro di Paravidinoproprio lagire sul linguaggio, non porta a sottovalutare lavita, ma a ritradurla in termini teatrali, sottolinea bene lur-genza di una realt incandescente, sotto la maschera di unaquotidianit quasi, e apparentemente, cronachistica.

    lattualit (politica) concreta del G8 di Genova e delle

    torture nel carcere di Bolzaneto (mini-

    lager della periferiadellimpero sotto la giurisdizione del governo Berlusconi-Fini) a urgere sotto lopzione drammaturgica straniante,mantenendo tutta la violenza della realt, pur traducendosiin unastrazione, quasi metaforica.

    Il che porta, sorprendentemente (almeno al primo ap-

    proccio), a ricavare una sostanza tragica nei testi di Para-vidino, tenendo da parte Gabriele(che anche in questo sidimostra una eccezione non poi tanto significativa per lastoria successiva dellautore). Non tanto nellomicidio as-surdo di Trinciapollo, quanto nella patologia del rapportoche sfocia nellomicidio di2 Fratelli (che definita tragedianel sottotitolo)23, nel torbido ambiente familiare dellaMa-

    lattiae diNatura morta

    23Lo notava immediatamente Luca Doninelli (Avvenire, 8 no-vembre 2000): E si dovrebbe dire che tutto finisce in tragedia, se la

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    Il riferimento alla tragedia esplicito in una delle bat-tute iniziali, nel pre-prologo di Genova 01: La tragedia

    non ha bisogno di rappresentarsi, perch e poi allinter-no del testo, sia in riferimento alla oggettivit dei fatti, siain riferimento alla scrittura scenica: allinizio del prologo(la tragedia non ha bisogno di rappresentarsi, ma il poteres), sia in seguito (la tragedia richiede di essere riscrittagiorno per giorno)24.

    E se, in generale, nei testi di Paravidino la sostanza tra-

    gica urta con lapparente minimalismo dei dialoghi e degliambienti, questo ci ricollega al problema iniziale del supe-ramento della tranche de vie e del minimalismo.

    Se, come prima impressione, il linguaggio (la lingua)di Paravidino appare prelevata dal parlato quotidiano (avolte, soprattutto allinizio, quasi generazionale)25, in real-

    tragedia non fosse gi presente fin dalle primissime battute, con la suasovrana indifferenza verso qualunque vittoria o sconfitta, infrap. 145.24Filippo Dini, regista dello spettacolo, parla non a caso di un mec-

    canismo analogo a quello di Edipo: Portare in teatro questa storia si-gnifica ricostruire completamente in noi la necessit della nostra arteoggi, creare i presupposti perch la tragedia possa trovare liberamenteespressione attraverso di noi. Per fare questo non posiamo fare altro chericercare la verit []. Lo spettacolo la mise en scne di tale ricerca:incessante, senza pietismo e senza commenti; questa ricerca ossessiva

    non pu avere ripensamenti, non pu avere punti di vista, non si fannodibattiti sulla verit; la sua luce ci attrae fino al baratro, dietro al quale sipalesa, nella sua agghiacciante semplicit. E da l in poi (davvero comeEdipo) non resta che affrontare la pena e la tortura della condanna checi attendeva fin dalla nascita (Genova 01, cit., p. 9).

    25Paravidino lo definisce lessico ristretto di una compagnia di treo quattro amici, nellintervista citata di Concetta DAngeli, che inquelloccasione pone il problema con chiarezza: La critica dice che turappresenti i giovani, e quindi anche il loro linguaggio. Questa etichetta,come hai gi dichiarato, ti d fastidio; per vero che, quando nei tuoitesti i personaggi parlano, in genere parlano il linguaggio dei giovani.Veramente, se devo dire come pare a me che stiano le cose, io non trovoche i tuoi personaggi teatrali usino il linguaggio mimetico, naturalisticoe spontaneo che sembrerebbe ad un primo ascolto.

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    t, per dirla con lo stesso Paravidino un linguaggio piletterario di quello che sembra, tende cio ad una non-de-

    peribilit, a sottrarsi ad un invecchiamento troppo rapidoe troppo soggetto alle mode, n allattualit. Per questoParavidino ma il discorso andrebbe affrontato con unaanalisi tecnica, che in questa occasione non si pu condurre agisce soprattutto sulla scarnificazione della frase, sullasintassi, sulla costruzione della frase, sul ritmo delle battu-te, sul taglio del dialogo e meno sul lessico, neutro oppure

    tipico di un gruppo molto ristretto. che, dietro quellapparenza di parlato, la lingua di Pa-ravidino una lingua dattore, una lingua di teatro, che fa isuoi prelievi sia nel repertorio teatrale stesso (Spesso poiio utilizzo battute di teatro o di cinema che hanno scrit-to altri e le intreccio con le mie: in Gabriele, per esempio,ci sono parecchie battute di Beckett, a tradimento), sia

    nellascolto fuori scena, seguendo in questo una antichis-sima tradizione (la tradizione) degli scrittori teatrali.Anche se si sente la differenza fra i primi testi destinati

    agli attori che si sono formati con lui (la Compagnia Glo-riababbi26) e quelli scritti per altre commissioni ed occasioni,il taglio del dialogo e della scena, ma anche la psicologiae la sociologia dei personaggi, non sono una riproduzione

    della realt, ma un modo di guardarla: sono uno sguardoprospettico sulla realt. Una oggettivit che non nascondelo sguardo, ma al contrario lo rivela.

    26Va per ricordato che Genova 01, almeno per la versione di Pi-stoia, rappresenta di nuovo il ritorno alla collaborazione con FilippoDini, Antonia Truppo, che coinvolge anche altri compagni di stradacome Nicola Pannelli (un altro interessante giovane attore animatoredellesperienza di Narramondo che qui figura come trainer tragico epolitico) e Laura Benzi per la scenografia.

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    Nei primi testi di Paravidino (Trinciapollo, Gabriele,2Fratelli), ricalcato in modo chiaramente autoreferenzia-

    le sui tic linguistici dei singoli attori, il dialogo proponeuno scambio linguistico senza valore, al limite dellinsen-satezza: di qui linevitabile ricorso ad una lingua comu-ne, quotidiana, che rischia ogni momento di perdere, per ipersonaggi, la sua comunicativa e si blocca continuamente,senza raggiungere per lafasia (strumento retorico del tea-tro dellassurdo: il silenzio, invece, in Paravidino sempre

    silenzio legato alla scena, alla situazione, allazione), macostruisce una sorta di vortice verbale, prodotto dalle con-tinue fratture allinterno del dialogo che determinano, gi aquestaltezza, uno stile contraddistinto dalla laconicit: unalaconicit che punta alla limpidezza attraverso un eserciziodi sobriet, di riduzione allessenziale, alla concretezza.

    La parola, da sola, non basta. Paravidino non ha fidu-

    cia nella parola in quanto veicolo di concetti, di idee, disentimenti (come succede, invece, in tanto teatro italiano,da Pasolini a Testori e, pi recentemente Cavosi, Erba,Manfridi, Chiti e Cappuccio, per citare cinque di sei casistudiati recentemente da Tiberia de Matteis27, ch il sesto,Spiro Scimone, appare, sul versante dialettale, pi vicino aParavidino, che non ne condivide per la disarticolazione,

    beckettiana, del linguaggio, della parola).Gli autori trattati dalla De Matteis, tutti pi anzianidi Paravidino (i pi giovani, Cappuccio e Scimone, sononati nel 1964) non esauriscono certo il panorama, n pos-

    27Tiberia de Matteis,Autori in scena. Sei drammaturgie italiane con-temporanee, Roma, Bulzoni, 2004. Cavosi (nato nel 1959) tenta anche ilrecupero dei generi alti. Praticano il recupero del parlato Erba (1954)e Chiti (1943), questultimo, sceneggiatore cinematorafico, operando,nellambito di una dramaturgia di compagnia, un recupero del dialettoin chiave di memoria mitica. Cappuccio (1964) pi contiguo allareadella sperimentazione; Manfridi (1956) interessato soprattutto alleriscritture.

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    sono essere considerati in qualche modo esemplari dilinee e tendenze, ed senzaltro presto per proporre una

    sistemazione storiografica della drammaturgia italiana de-gli ultimi decenni del secolo scorso28, ma credo che si possa,comunque riconoscere che uno dei tratti pi originali diParavidino proprio quello di non puntare neppure ad en-fatizzare lassurdit del linguaggio, secondo la retorica delteatro dellassurdo (cui fanno ricorso autori per altro diver-sissimi fra di loro come il Sanguineti di Storie naturali, o

    Annibale Ruccello o Franco Scaldati e, appunto, Scimone),che pur qualche volta sembra mimare, anche se in chiaveminimalista.

    Semmai lassurdo nelle situazioni (situazioni-limite,quelle di Paravidino) della vita, che non mai persa di vi-sta.

    Quello di Paravidino si configura, allora, come un tea-

    tro basato sulla parola, in cui non conta quello che le paroledicono (la parola, da sola, non basta), ma la parola comeelemento essenziale e imprescindibile del linguaggio sce-nico; linguaggio scenico che per questo non ha bisognodi particolari artifici di allestimento (la scrittura scenica allosso), se non luso scaltrito di una drammaturgia chepu fare a meno della continuit realistica dellazione.

    Paradossalmente, ci avviene anche in un testo appa-rentemente basato sui monologhi (e quindi in cui la parola ancora pi importante, anzi dovrebbe essere tutto) come

    28N pretende di farlo la stessa De Matteis (cfr.Introduzione, in op.cit., p. 9-10). Oltre che lultimo paragrafo (Verso la fine del Novecento) inMarco Ariani Giorgio Taffon, Scritture per la scena, Roma, Carocci,2001, un primo generoso, anche se un po squilibrato, tentativo di si-stemazione di questa materia, ancora magmatica, in Paolo Puppa, Ilteatro dei testi, Torino, Utet, 2003. Per una panoramica pi ampia, anchein questo caso con qualche inevitabile squilibrio, Anna Maria Chinzari Paolo Ruffini, Nuova scena italiana. Il teatro dell ultima generazione,Roma, Castelvecchi, 2000.

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    Natura mortae Genova 01. In realt poi non cos para-dossalmente, perch Paravidino ha una chiara posizione sul

    monologo, espressa nellintervista a Concetta DAngeli:Genova 01, che un testo senza personaggi, vorrei chefosse recitato da migliaia di persone; e invece tutte lecompagnie che lo mettono in scena pretenderebbero diridurlo a un monologo. Ma allora diventa un comizio!

    Con Genova 01Paravidino non entra nel territorio tea-trale della narrazione, tentando piuttosto un esperimentodi teatro-documentario, motivato dallurgenza dovuta allagravit dei fatti accaduti. Apparentemente documentario,punta tutto sullemozione, anche quando il montaggio del-le frasi consente di mettere in rilievo le contraddizioni deicomportamenti, delle dichiarazioni e delle riscostruzioni

    della verit ufficiale fornita dalla Polizia e dal Governo. qui al tempo stesso il limite (il quasi programmatico ma-nicheismo) e lefficacia dello spettacolo, a differenza dellamaggiore complessit di Noccioline, che raffredda tutto,portandolo in unaltra dimensione, ma in realt va moltopi a fondo nelle contraddizioni, puntando sulla riflessio-ne. Ma lemozione nasce dalla laconicit particolare del lin-

    guaggio, che lesatto contario di quello, necessariamenteampio, ridondante, di un affabulatore29.Ma soprattutto la dimensione della compagnia nel

    caso di Genova 01, la pluralit di voci non solo ad im-primere dinamismo alla struttura del testo come osserva

    29 Molto chiara, per altro, nellintervista a Concetta DAngeli, ladistinzione fra monologo e narrazione, con un pertinente riferimentoad Ascanio Celestini: [] non un caso che Ascanio non venga dalteatro: lui non un attore che un giorno ha deciso di mettersi in proprio.Lui uno studioso che si messo a raccontare quello che studiava, e cos arrivato al teatro. Per lui s che sarebbe innaturale fare compagnia.

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    Concetta DAngeli , ma anche a rendere lidea della di-mensione collettiva dellesperienza dei fatti.

    Proprio la drammaturgia polifonica di Genova 01 puaiutare a capire, insieme a tante altre, il passaggio al cinemadi Paravidino, avvenuto con Texas, il film uscito nel 2005ed al quale Paravidino ha lavorato dalla fine del 2003.

    Indubbiamente Paravidino appartiene ad una genera-zione che di cinema si nutrita intellettualmente e fanta-

    sticamente, che riconosce nel cinema una forma di culturanaturale, condivisa30.Se le dichiarazioni dello stesso Paravidino, per quanto

    contengono di intenzioni e di consapevolezza, lo mostra-no pi interessato a marcare le differenze, piuttosto che leanalogie, sia dal punto di vista del linguaggio, sia da quellodei modi di produzione, laffinit tematica fra i suoi testi

    teatrali e il film particolarmente riconoscibile:

    Questo film appunto il tentativo di raccontare un luogo,che poi la stessa pseudo-campagna di La malattia dellafamiglia M. Volevo arricchire lambiente che ho descrittonella commedia, mostrarlo insomma, oltre che farci par-lare dentro dei personaggi. Cos ho un po espanso quel

    concetto, mettendo a fuoco diverse locations significativedi quel posto, e quaranta personaggi parlanti31.

    30Al teatro ci si arriva, mentre al cinema ci si nasce. [] Quella perle immagini oggi la prima forma di narrazione di cui si fa esperienza,prima ancora di leggere un romanzo o un libro di favole, sicuramentesiamo gi stati al cinema, o quantomeno abbiamo visto un film o uncartone animato in televisione. paradossale che il mezzo tecnicamentepi complesso e recente sia diventato la forma di narrazione primigenia,ma cos: fare teatro oggi quasi una ricercatezza intellettuale. ( loschermo il primo libro di lettura, intervista con Alessandro Tinterri, FilmD.O.C. , n65, nov.-dic 2005, infrap. 196.

    31Nellintervista a Concetta DAngeli.

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    Se immaginando La malattia era in qualche modopossibile pensare a Sheppard, ad un taglio realistico, con

    Texassiamo di fronte ad una operazione pi complessa diquanto non suggerisca il titolo del film. Non siamo, infat-ti, di fronte semplicemente ad un Alessandria, Texas ( iltitolo con cui stata pubblicata lintervista di GianfrancoCapitta in occasione delluscita del film al festival di Vene-zia32) che ricalca il film di Wenders/Sheppard, ma di frontead un film che non si ispira (pur parodiandoli) solamente

    ai due grandi generi del cinema classico americano (we-stern e melodramma), ma esibisce, con una notevole dosedi eclettismo e il gusto per la contaminazione, prestiti dalcinema internazionale pi recente (da Trainspottinga Oli-ver Stone, da Kaurismaki a Sodeberg: e tenendosi lontano,comunque, da quello italiano), e con il gusto di sfruttarele possibilit tecniche della ripresa digitale: immagini che

    compaiono e spariscono, interventi grafici una novit rispetto alle pices teatrali, molto diverseuna dallaltra, ma costruite ognuna con una sua compat-tezza di linguaggio, con cui ha in comune, per, il rapportoconflittuale col realismo.

    Distante da quelle forme di contaminazione speri-mentale (non a caso spesso, almeno inizialmente, orientata

    verso il video), di attraversamento di confini, che caratte-rizzano, invece, il cinema dei teatranti ascrivibili allareadella ricerca: Societas Raffaello Sanzio, Teatrino Clande-stino, Motus. Piuttosto il film sembra proporsi come lini-zio di un cammino parallelo rispetto al cinema, pi libero,autonomo rispetto al teatro. La sceneggiatura, ad esempio,non si rif a nessuno dei testi teatrali, consentendo una

    maggiore autonomia formale rispetto a quanto non avven-ga, passando dalla forma drammaturgica del teatro al cine-

    32Apparsa in alias, cit., p. 12.

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    ma, in2 Fratelli, il film che Scimone ha tratto da Nunzio,trasferendo nellimmagine la stessa concretezza realistica

    della parola.Senza voler addentarsi in previsioni, in questo modolincontro di Paravidino col cinema si presenta, allesordio,con caratteri di originalit rispetto ad analoghe interfe-renze fra teatro e cinema presenti attualmente in Italia.

    Franco Vazzoler