come utilizzare la linea guida pro.f.use

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Architetto Fabrizio Mezzalana [email protected] 1 Progetto PRO.F.USE. – Seminario Conclusivo: Firenze, Piazza San Marco 4. Architetto Fabrizio Mezzalana Progettare veramente per tutti: come utilizzare la Linea Guida Prevedere l’effetto sui corpi La Linea Guida del progetto “PRO.F.USE” ha l’obiettivo di guidare il progetto verso la realizzazione di prodotti utilizzabili dal più ampio numero possibile di persone di tutte le età e abilità. Più precisamente vuole essere uno strumento capace di controllare gli esiti in termini di inclusione nell’utilizzo di ciò che viene progettato. Uno strumento per prevedere l’effetto sui corpi di ciascuno di noi nella progettazione dei prodotti di largo consumo. È necessario? Prima ancora di affrontare il tema di come utilizzare la Linea Guida, occorre capire se è effettivamente necessario uno strumento di supporto al progettista per prevedere l’effetto sui corpi degli esiti del suo lavoro. Pongo questa riflessione preliminare perché è la stessa riflessione che è emersa dalla lettura da parte di tecnici e progettisti a cui è stato sottoposto il testo nel corso della sua stesura. Nella stessa parola progettare infatti - pro-gettare: gettare avanti, prevedere – è contenuto il concetto di previsione degli esiti. Quello che aggiunge la Linea Guida del “PRO.F.USE” al lavoro del progettista è la capacità di prevedere gli esiti sui corpi. Se c’è bisogno di uno strumento ulteriore per controllare, prevedere gli esiti sui corpi del progetto significa che questa capacità non è già inclusa nell’attuale processo progettuale e, quindi, o questa capacità non c’è mai stata ovvero ci deve essere stato un momento nel quale il progetto ha perduto questa specifica capacità di previsione. Da una analisi approssimata si è portati ad escludere che tale capacità non sia mai stata patrimonio del progetto. Fino all’epoca della produzione esclusivamente artigianale non ci possano essere dubbi. Le stesse unità di misura che venivano utilizzate in architettura facevano esplicito riferimento a parti del corpo umano (es. il cubito e i suoi sottomultipli 1 ) (figura 1) e questo legame col corpo è ancora evidente nelle unità di misura anglosassoni:, piede, pollice, ecc. Nell’epoca della produzione artigianale anche le conoscenze e le materie prime derivano direttamente da esperienze corporee dirette e naturali che rendono impossibile all’artigiano fargli perdere di vista il fattore umano e corporale legato all’uso. Alcuni oggetti legati al mondo 1 Il cubito (dal latino cubitum, gomito) era la misura di lunghezza più comune dell'antichità. Era rappresentata dal avambraccio, a partire dal gomito, fino alla punta del dito medio. Cubito è anche il sinonimo dell'osso dell'avambraccio, l'ulna. Cubito ebraico = 44,45 cm suddiviso in 6 tefachim Cubito egizio = 44,7 cm Cubito reale egizio (niswt) = 52,3 cm suddiviso in 7 palmi (schesep) o 28 dita (djeb'a) multipli: canna=100 (khet), iteru fluviale=5.000, iteru cartografico=20.000 Cubito romano = 44,4375 cm Cubito inglese (cubit) = 45,72 cm suddiviso in 18 pollici Del cubito ebraico esistono altre due versioni, una più grande di un palmo (51,8 cm) ed una misurata dal gomito fino alle nocche della mano chiusa (38 cm). Estratto da "http://it.wikipedia.org/wiki/Cubito"

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Progetto PRO.F.USE. – Seminario Conclusivo: Firenze, Piazza San Marco 4. Architetto Fabrizio Mezzalana Progettare veramente per tutti: come utilizzare la Linea Guida Prevedere l’effetto sui corpi La Linea Guida del progetto “PRO.F.USE” ha l’obiettivo di guidare il progetto verso la realizzazione di prodotti utilizzabili dal più ampio numero possibile di persone di tutte le età e abilità. Più precisamente vuole essere uno strumento capace di controllare gli esiti in termini di inclusione nell’utilizzo di ciò che viene progettato. Uno strumento per prevedere l’effetto sui corpi di ciascuno di noi nella progettazione dei prodotti di largo consumo. È necessario? Prima ancora di affrontare il tema di come utilizzare la Linea Guida, occorre capire se è effettivamente necessario uno strumento di supporto al progettista per prevedere l’effetto sui corpi degli esiti del suo lavoro. Pongo questa riflessione preliminare perché è la stessa riflessione che è emersa dalla lettura da parte di tecnici e progettisti a cui è stato sottoposto il testo nel corso della sua stesura. Nella stessa parola progettare infatti - pro-gettare: gettare avanti, prevedere – è contenuto il concetto di previsione degli esiti. Quello che aggiunge la Linea Guida del “PRO.F.USE” al lavoro del progettista è la capacità di prevedere gli esiti sui corpi. Se c’è bisogno di uno strumento ulteriore per controllare, prevedere gli esiti sui corpi del progetto significa che questa capacità non è già inclusa nell’attuale processo progettuale e, quindi, o questa capacità non c’è mai stata ovvero ci deve essere stato un momento nel quale il progetto ha perduto questa specifica capacità di previsione. Da una analisi approssimata si è portati ad escludere che tale capacità non sia mai stata patrimonio del progetto. Fino all’epoca della produzione esclusivamente artigianale non ci possano essere dubbi. Le stesse unità di misura che venivano utilizzate in architettura facevano esplicito riferimento a parti del corpo umano (es. il cubito e i suoi sottomultipli1) (figura 1) e questo legame col corpo è ancora evidente nelle unità di misura anglosassoni:, piede, pollice, ecc. Nell’epoca della produzione artigianale anche le conoscenze e le materie prime derivano direttamente da esperienze corporee dirette e naturali che rendono impossibile all’artigiano fargli perdere di vista il fattore umano e corporale legato all’uso. Alcuni oggetti legati al mondo

1 Il cubito (dal latino cubitum, gomito) era la misura di lunghezza più comune dell'antichità. Era rappresentata dal avambraccio, a partire dal gomito, fino alla punta del dito medio. Cubito è anche il sinonimo dell'osso dell'avambraccio, l'ulna.

• Cubito ebraico = 44,45 cm • suddiviso in 6 tefachim • Cubito egizio = 44,7 cm • Cubito reale egizio (niswt) = 52,3 cm • suddiviso in 7 palmi (schesep) o 28 dita (djeb'a) • multipli: canna=100 (khet), iteru fluviale=5.000, iteru cartografico=20.000 • Cubito romano = 44,4375 cm • Cubito inglese (cubit) = 45,72 cm • suddiviso in 18 pollici

Del cubito ebraico esistono altre due versioni, una più grande di un palmo (51,8 cm) ed una misurata dal gomito fino alle nocche della mano chiusa (38 cm). Estratto da "http://it.wikipedia.org/wiki/Cubito"

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dell’agricoltura sono identici a se stessi da migliaia di anni (la falce, la roncola, il forcone che si possono vedere nei musei archeologici di Pompei hanno lo stesso aspetto di quelli che si possono vedere in mano al contadino dell’azienda agricola subito fuori le nostre città: stessa funzione = stessa forma, ma potremmo anche dire stessa mano = stessa forma!). Con la stessa approssimazione si può escludere che questa capacità non appartenga al progetto dell’era della produzione industriale e allo stesso modo è da escludere che la produzione industriale abbia fatto smarrire la dimensione umana e corporale. L’aspetto umano è, sin dall’inizio, presente nei molteplici aspetti del rapporto tra industria e progetto. Progetto, corpo e diversità nel rapporto tra progetto e industria Da William Morris (1834-1896) in avanti inizia un processo di teorizzazione del progetto industriale che parte dalla consapevolezza della necessità di progettare e realizzare “cose che siano insieme naturali e spirituali, utili e belle”2 (figura 2). Questo atteggiamento – che possiamo leggere come la reazione ai profondi cambiamenti sociali e politici nati dalla brusca accelerazione causata dalla rivoluzione industriale che nell’arco di circa 70 anni3 spazza via i rapporti tra produzione e lavoro, tra lavoro e società, tra lavoro ed insediamenti urbani e territoriali, che erano rimasti immutati per secoli – non è infatti estraneo alla dimensione umana e corporale. In queste prime teorizzazioni sul rapporto tra progetto e prodotto – in cui si ravvisano gli elementi base del moderno industrial design4 – l’elemento umano e corporale è presente e riconoscibile sia nel concetto di utilità e che in quello di bellezza che richiama i sensi del corpo per poter essere esperita. Da Morris in avanti, in particolare con il passaggio dal XIX al XX secolo, si rafforza e si articola la riflessione sulla realtà tecnologica, sociale e psicologica dell’industrializzazione. Il Deutsche Werkbund, il Bauhaus, Walter Gropius, Le Corbusier, Frank LLoyd Wright, ecc., si ritrovano da un lato a riallacciare i fili del dibattito impostato nell’Ottocento sul rapporto tra strumenti-forma-funzione-fine, dall’altro ad affrontare la fase matura dell’industrializzazione che si sviluppa sui temi del design, dello standard, del tipo. L’esempio più immediato del legame con l’uomo e la sua dimensione corporale è quello del Modulor di Le Corbusier (figura 3) nel quale le misure del corpo elaborate con il rapporto aureo dettano il dimensionamento ed i rapporti dell’ambiente che lo circonda. Ma non è il solo esempio nel quale il corpo influenza l’ambiente. Nella figura 4 è raffigurata una foto dell’interno della Robie House a Chicago progettata da F.L. Wright tra il 1906 ed il 1909. Wright progetta tutto l’arredo, incluso il tavolo da pranzo caratterizzato da quattro colonnine d’angolo che contengono quattro lampade ed altrettanti vasi per fiori. C’è un motivo preciso legato al corpo dei commensali che conduce a questa soluzione formale: eliminare ostacoli visivi costituiti da addobbi e lampade posti nel mezzo del tavolo. In questo caso fiori e lampade sono posizionati in luoghi sicuri (le lampade erano ad olio con fiamma libera) e la visuale è libera da intralci. La stessa attenzione è ravvisabile negli interni e nell’arredo del Larkin Company Administration Building a Buffalo – 1903-1905 (figura 5).

2 Pag.222, G.C. Argan, L’arte Moderna 1770/1970 Sansoni 3 “ (…)Possiamo situare la prima rivoluzione industriale nel periodo che va dal 1760 al 1830. Fu il periodo delle grandi invenzioni e delle scoperte che sconvolsero tutti i processi produttivi e i rapporti fra gli uomini in modo radicale e globale. (…)” – pag. 50, Franco Salerno, Sociologia del lavoro, Editore Bulgarini Firenze. 4 “ (…) A livello pratico, ripercorrendo il processo produttivo-inventivo artigianale con una mentalità inevitabilmente e felicemente legata al proprio tempo, [William Morris] riafferma che nella creazione di ogni oggetto materia, funzione, forma e tecnica produttiva interagiscono indissolubilmente legate. Rende quindi esemplare un tipo di progettazione nel quale tutti questi fattori sono considerati simultaneamente, dando il modello di quella ricerca unitaria che è l’essenza del moderno industrial design. (…)” in Simonetta Lux, Arte e industria, Sansoni 1973.

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Con la stessa ottica possiamo leggere anche oggetti d’uso comune come ad esempio i banchi scolastici che rispondono a precisi dimensionamenti come quelli tratti da un manuale del 1905 (figura 6). L’”uomo plurale” L’analisi fin qui condotta è ovviamente molto parziale e meriterebbe ulteriori approfondimenti. Eppure anche questi pochi esempi dimostrano che non è certo l’avvento della produzione industriale che ha sottratto al progetto la capacità di prevedere gli esiti sul corpo. I riferimenti citati evidenziano piuttosto che l’attenzione del progettista è completamente concentrata sul “corpo standard” sull’”uomo tipo” essendo evidente l’assoluta assenza della diversità5 (figura 7). Il problema quindi non è che il progettista non sia più capace di prevedere gli esiti del suo lavoro sul corpo, quanto che il concetto di “corpo standard” non è più uno strumento valido in un epoca – come quella attuale – sempre più proiettata verso la diversità, la specificità, la singolarità. In definitiva in ogni epoca il progetto ha sempre tenuto conto dell’uomo, di un uomo che era l’espressione del contesto, del periodo storico e culturale. Oggi la nostra società ha l’opportunità di confrontarsi con la ricchezza della diversità: il progetto può rivolgersi non più all’”uomo tipo” ma all’”uomo plurale” trasformando i vincoli in ricchezza. Il fenomeno complesso che rende possibile l’affermarsi di una società basata sulla ricchezza delle diversità si basa su cambiamenti in atto estremamente rapidi ed estremamente complessi. Questo può in parte giustificare l’inefficacia degli strumenti tradizionali del progettare (figura 8) e la necessità quindi di elaborarne di nuovi (figura 9). Le diversità nella società: recente passato, presente, prospettive Per comprendere la rapidità del fenomeno si fa spesso riferimento alle proiezioni demografiche dei prossimi 30/50 anni (figura 10) che vedono un esponenziale aumento delle aspettative di vita in tutte le aree geografiche del mondo e un aumento percentuale di persone con limitazioni funzionali (figura 11). A questi dati ne vorrei aggiungere due che non riguardano il futuro quanto il nostro passato recente. Il primo dato riguarda un farmaco:la Penicillina. Il primo antibiotico - la Penicillium notatum - è stato scoperto da Fleming nel 1928 e prodotto industrialmente con il nome Penicillina solo dagli anni ’40: la struttura molecolare della penicillina – scoperta che aprì la strada alle successive ricerche sulle sintesi delle penicilline - venne infatti determinata soltanto nel 1946 (figura 12). Questo significa che meno di 70 anni fa anche il più banale incidente o ferita potevano essere letali. L’altro dato riguarda i soldati americani che presero parte alla Prima Guerra Mondiale (figura 13): 2324 di loro subirono dei traumi midollari: di questi, l’80% morì prima di poter tornare a casa, e, fra i restanti, soltanto il 10% superò il primo anno. Nel 1946 fu valutato che meno dell’1% di coloro che sopravvissero al primo anno erano ancora vivi6. Oggi, in un territorio con una buona assistenza sanitaria, una persona con lesione midollare ha la stessa aspettativa di vita di una persona senza lesione midollare.

5 Le immagini delle lavoratrici del Larkin Company Administration Building (figura X) comunicano un’idea di omologazione per l’evidente mancanza di differenze e di diversità; eppure sono una fedele riproduzione di un epoca nella quale la diversità era assente, non contemplata. 6 W. G. Kuhn “The care and rehabilitation of patients with injuries of the spinal cord”. J. Neurosurg, 1947, p. 40.

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Questi due dati sono esemplificativi di una parte dei cambiamenti in atto e lasciano intuire come i progressi della scienza e della medicina abbiano inciso ed incideranno sulla presenza delle diversità nella società. Ma la diversità non è solo quella delle differenze immediatamente visibili, i progressi scientifici spiegano le diversità evidenti, quelle del corpo esteriore e dei sensi ma non spiegano tutto. Non spiegano il complesso intreccio tra diversità e cultura e nemmeno le altre diversità, le diversità della mente, delle relazioni, ecc. In fondo, il rapporto tra diversità e l’ambiente circostante - la società nel suo insieme - attiene maggiormente alla sfera psicologica, culturale, politica e su questi versanti si scorgono incoraggianti passi in avanti se anche l’arte figurativa contemporanea si interessa della disabilità, della diversità, proponendola come canone estetico (figura14). Come progettare per la diversità: condizioni necessarie Il progettista (e non solo) si trova quindi di fronte alla possibilità di progettare per tutti, nel rispetto delle diversità di ciascuno per realizzare oggetti che includano il maggior numero di persone nella partecipazione intesa come “coinvolgimento dell’individuo in una situazione di vita”7. Sono tre le condizioni necessarie che rendono possibile il raggiungimento di questo obiettivo:

1. consapevolezza nell’approccio 2. conoscenza del funzionamento 3. possedere un metodo

Queste condizioni sono assunte come temi centrali ai quali la Linea Guida si propone di fornire strumenti fattuali ed efficaci. Consapevolezza nell’approccio Consapevolezza nell’approccio significa avere sempre chiara la mission di inclusione: in ogni fase del progetto deve essere sempre presente che l’obiettivo è quello di includere nell’utilizzo del prodotto il maggior numero di persone possibile considerandone e valorizzandone le diversità. Alla consapevolezza di un approccio inclusivo di progettisti ed imprese, la Linea Guida dedica in modo esplicito l’Introduzione ed il Capitolo 1: il superamento dello standard, la diversità come risorsa - anche in vista di innovazione di prodotti da offrire al mercato oltre che nell’ottica culturale – sono gli elementi maggiormente significativi che introducono i destinatari del documento al corretto e più proficuo punto di vista dal quale muovere per una progettazione inclusiva. In questa prima parte la Linea Guida esplicita da subito i riferimenti culturali e tecnici ai quali fa riferimento e sui quali fonda lo sviluppo dei capitoli seguenti: l’Universal Design8 e l’ ICF Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute dell’OMS. Nella consapevolezza dell’approccio è incluso il concetto di partecipazione: partecipazione di conoscenze e figure professionali diverse ma soprattutto dei diretti interessati cioè di quelle persone che rappresentano per il progettista il target di inclusione. Se è chiaro che la consapevolezza nell’approccio è la condizione basilare per progettare per includere, è altrettanto evidente che tale consapevolezza non può esaurirsi nella lettura della Linea Guida. Questa può essere raggiunta in maniera estensiva, con positive ricadute di beneficio per l’intero mondo della progettazione e della produzione industriale, se si riusciranno a valorizzare e sistematizzare quelle esperienze formative, di ricerca, progettuali e produttive che attualmente sono presenti in maniera sporadica e slegata e che il Progetto PROFUSE nel suo complesso ha cominciato a promuovere.

7 Pag. 168, ICF Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute – O.M.S. Organizzazione Mondiale della Sanità, Edizioni Erickson, Trento 2002. 8 The Center for Universal Design (1997). The Principles of Universal Design, Version 2.0. Raleigh, NC: North Carolina State University. Copyright © 1997 NC State University, The Center for Universal Design.

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Conoscenza del funzionamento Se voglio progettare per l’inclusione delle diversità ho bisogno di conoscerla: conoscere la diversità dei corpi nei termini di funzionamento nello svolgimento delle azioni che ognuno di noi mette in atto nella vita quotidiana. Questo è la seconda condizione necessaria che deriva dal nuovo modello concettuale che l’OMS ha ufficializzato con la pubblicazione nel 2001 dell’ ICF, la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute. La Linea Guida si sofferma nel capitolo 4 su questo fondamentale strumento concettuale che mette insieme il modello medico e quello sociale - che fino ad allora si erano contrapposti per leggere e descrivere la disabilità – nel nuovo modello bio-psico-sociale (figura 15). In estrema sintesi non si tratta di progettare per i disabili, di produrre oggetti speciali, ma di considerare il tema del funzionamento come un tema universale, che riguarda il corpo di ciascuno e, conseguentemente, agire sull’ambiente (che è la vera e sola area di intervento di progettisti ed imprenditori) per sottrarre ostacoli ed inserire facilitatori in tutti gli oggetti con i quali interagiscono corpi con caratteristiche differenti (figura 16). Il progettista può cominciare a conoscere quali siano le diverse e varie differenze nei corpi leggendo ciò che la Linea Guida descrive nel capitolo 5: le caratteristiche funzionali delle persone. Vengono sinteticamente descritte i “quadri funzionali” di persone con difficoltà motorie, sensoriali, di linguaggio e cognitive. Queste descrizioni, pur contenendo alcune principali cause cliniche che determinano tali menomazioni, non sono soltanto un elenco di malattie. Il funzionamento - inteso come interazione tra le caratteristiche dell’individuo ed l’ambiente contestuale - è una caratteristica universale e proprio per questo la Linea Guida fa riferimento a situazioni di limitazioni nella capacità di svolgere un’attività che non necessariamente provengono da patologie o traumi ma che allo stesso modo possono determinare difficoltà nell’utilizzo di prodotti pensati per l’uomo standard. Le mani dei bambini di dimensioni e forza ridotte rispetto a quelle di un adulto, condizioni climatiche avverse come il freddo che limita la sensibilità epidermica, l’utilizzo di indumenti ingombranti che limitano il movimento sono esempi a mio avviso fondamentali. Il lettore delle Linee Guida dovrebbe utilizzare la varietà degli esempi proposti da un lato per ampliare il più possibile il suo approccio universale (lo ripeto: la progettazione di prodotti rispondenti ai principi di Universal Design NON è progettare per i disabili ma è progettare un ambiente capace di accogliere le caratteristiche di ciascuno di noi) e dall’altro per accorciare la distanza tra lui e la diversità facendo riferimento ad esperienze o situazioni contestuali sicuramente vicine alla sua esperienza. Possedere un metodo Tutta la seconda parte della Linea Guida è dedicata a fornire a progettisti e imprenditori una metodologia per conseguire l’obiettivo di una progettazione inclusiva. Sin dalle prime stesure ci si è posti il problema di elaborare una metodologia che fosse strumento di orientamento nel processo progettuale ma che contenesse al suo interno strumenti di monitoraggio basati su una valutazione esplicita ed il più possibile oggettiva dei risultati parziali e finali. Ovvero costante controllo e consapevolezza degli esiti. Il metodo proposto contiene indicazioni sia di processo che di valutazione. Sono state cioè messe in relazione le impostazioni concettuali che derivano dai sette Principi dell’Universal Design, integrati dal principio di Neutralità Formale elaborato nell’ambito del progetto PRO.F.USE, e dall’ICF. Consideriamo per primi gli otto Principi della Linea Guida (figura 17). Si presentano come una bussola per orientare il progettista che, in ogni fase del suo lavoro, può fare riferimento ad essi applicando un procedimento deduttivo che gli permette di pervenire, mediante un’inferenza dagli otto Principi generali, ad una soluzione particolare. Questo procedimento è

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risultato molto chiaro nel corso dello sviluppo dei prototipi9. Ogni volta che il progettista esaminava un particolare elemento dell’oggetto – le forme e le dimensioni di una leva, il colore delle sue parti, scritte ed icone, ecc, ha avuto la possibilità di domandarsi: la leva che sto disegnando consente un utilizzo equo, flessibile, semplice, privo di eccessiva fatica, ecc. per tutti? Quali ulteriori modifiche apportare, quale alternativa progettuale scegliere per rispondere il più possibile ai criteri di riferimento? L’esperienza fatta nella progettazione e nella realizzazione dei prototipi – che è avvenuta parallelamente con la stesura del testo della Linea Guida – ci ha convinti sulla necessità di esplicitare il più possibile il significato di aderenza ai principi. Così come già avviene nell’applicazione dei sette Principi dell’Universal Design, chi utilizza la Linea Guida può declinare il concetto generale in proposizioni subito disponibili all’applicazione. Ad esempio: Principio 5 - Tolleranza per gli errori: Il progetto deve minimizzare i rischi e le conseguenze negative di azioni accidentali o involontarie. In termini pratici questo comporta:

• Utilizzare elementi informatori e componenti che riducono al minimo il rischio e l’errore. • Eliminare, proteggere o isolare gli elementi che possono procurano rischi ed errori. • Fornire avvisi per evitare rischi ed errori. • Fornire attrezzature di sicurezza. • Scoraggiare azioni imprudenti in lavori che richiedono vigilanza.

La struttura logica dell’ICF suggeriva al contrario un’applicazione di tipo induttivo ovvero ricondurre ai principi generali le osservazioni e le esperienze particolari maturate nel corso del processo progettuale. L’ICF esplicita di fatto ciò che le persone con disabilità sanno per esperienza diretta: lo svantaggio (nella specie, nell’utilizzo del prodotto) è causato dalla mancanza di opportunità dell’ambiente (Fattori Ambientali) più che dalla presenza di una menomazione. Quindi, considerate le caratteristiche funzionali di un numero significativo di persone (Strutture e Funzioni del corpo) e considerata la tipologia di oggetto che si sta progettando, non resta che analizzare la sequenza delle azioni necessarie all’utilizzo. Dall’esperienza diretta o simulata risulta evidente chi non riesce a fare cosa e, soprattutto, a causa di quale caratteristica dimensionale e/o qualitativa del progetto/prodotto (Ostacolo). Isolare ed identificare la criticità di utilizzo per il potenziale utente è un’indicazione basilare per eliminarla con una modifica progettuale (Facilitatore) e quindi conseguire l’obiettivo di inclusione nell’utilizzo. Le esperienze maturate nello sviluppo e realizzazione dei prototipi hanno consentito di inserire nella Linea Guida un processo basato su tre elementi:

1. individuazione del target degli utilizzatori (in considerazione della tipologia del prodotto); 2. dettagliata analisi funzionale; 3. test di utilizzo e di autovalutazione da svolgere nei nodi particolarmente significativi del

processo. Da segnalare in conclusione due elementi di estrema importanza per la corretta applicazione della Linea Guida:

1. la trasparenza e la descrizione del processo progettuale; 2. la partecipazione delle persone con disabilità.

È possibile e necessario che ogni fase del processo progettuale sia esplicitata e descritta e, quindi, verificabile. Quando si progetta un prodotto con l’obiettivo di un suo “utilizzo universale” è

9 Descritto dall’articolo dell’architetto Ambra Trotto.

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necessario che le scelte progettuali siano esplicitamente motivate e la loro efficacia sia dimostrabile nei confronti dell’utilizzatore finale e, ovviamente, nei confronti dell’imprenditore che ha commissionato il progetto10. L’altro elemento riguarda la partecipazione: più volte la Linea Guida sottolinea l’importanza del coinvolgimento attivo, paritario e consapevole delle persone con disabilità e di figure professionali con conoscenze non solo tecnico-progettuali. Innanzi tutto perché questo è l’elemento cardine di tutte le politiche di inclusione delle persone con disabilità bene sintetizzato dallo slogan NIENTE SU DI NOI SENZA DI NOI della Dichiarazione di Madrid11. Poi perché interrogarsi sull’impatto di un prodotto che ancora non esiste sulla variegata diversità dei potenziali utenti - non cedendo alla scorciatoia di escluderli – è un problema complesso. E la complessità non fa sconti, pena la semplificazione estrema, la banalizzazione. La figura risolutrice dell’esperto (intesa come l’unico detentore della conoscenza, di ciò che è giusto ed opportuno da ciò che non lo è) non basta. È la stessa “società plurale” che non lo accetta: perché qualcun altro deve decidere ciò che è giusto per me e per tutti gli altri? La partecipazione, in questo come in altri campi12, pone e porrà con sempre maggior forza il problema dell’attendibilità e dell’oggettività dei criteri di valutazione e di validazione, inclusi quelli della partecipazione stessa. Oggi l’impresa e il progettista si trovano di fronte, rispetto al passato, proprio questo nuovo tipo di complesse esigenze e la Linea Guida ed il progetto PRO.F.USE. sono un punto di riferimento importante per soddisfarle.

10 L’importanza di rendere trasparente il processo e le scelte progettuali è emersa chiaramente nello sviluppo dei prototipi: durante la fase di valutazione è stato possibile condurre test di utilizzo e valutazioni incrociate, nei diversi Paesi partners con gli stessi oggetti, proprio perché dichiarate ed esplicite le condizioni dell’esperimento e perché sono stati usati gli stessi criteri di valutazione. Esplicitare il processo ha significato renderlo riproducibile, trasmissibile, verificabile, migliorabile. 11 nel marzo del 2002 è stato organizzato un convegno europeo in Spagna dalla Commissione europea e dalle associazioni europee di persone con disabilità dal quale è nata la Dichiarazione di Madrid che è stata posta a base delle azioni dell’Anno 2003 Anno Europeo delle Persone con Disabilità. La Dichiarazione di Madrid è rintracciabile sul sito web: www.madriddeclaration.org/dec/italy.htm. 12 Molto interessanti le analogie con il mondo della nuova informazione, delle comunità virtuali, dei citizen-journalist descritto da Howard Rheingold in “SMART MOBS –Tecnologie senza fili, la rivoluzione sociale prossima ventura” (Cortina Editore). In fondo si tratta sempre di come l’individuo è capace di plasmare l’ambiente e la società che lo circonda.

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Figura 1 - Il Cubito, l’unità di misura più comune dell’antichità.

Figura 2 - W. Morris: carta da parati, 1876

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Figura 3 - Le Corbusier, il Modulor e le otto misure di altezze ricavate dal Modulor, 1946

Figura 4 - F.L. Wright, Robie House – Chicago, 1906-1909

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Figura 5 - F.L. Wright, Larkin Company Administration Building - Buffalo, 1903-1905

Figura 6 - il banco scolastico tipo con le misure stabilito dal prof. F Bongioannini (da un manuale del 1905)

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Figura 7 - F.L. Wright, Larkin Company Administration Building - Buffalo, 1903-1905

Figura 8 – Leonardo, l’uomo tipo

Figura 9 – A. Ruggeri, quale tipo?

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Figura 10 - Stima dell’aumento percentuale degli over 60 per Regione, 2000-2050 (fonte: World Population

Prospects, The 1998 Revision, Volume II: Sex and Age. The Population Division, Department of Economic and Social Affairs, United Nations Secretariat)

Figura 11 - Percentuali di persone con limitazioni nello svolgimento di attività negli Stati Uniti per fasce d’età e per genere (fonte: 1992 National Health Interview Survey, U.S. Census)

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Figura 12 - Molecola della Penicillina isolata nel 1946

Figura 13 – reduci americani I Guerra Mondiale…

…e della II Guerra mondiale.

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Figura 14 - Scultura di Marc Quinn

Figura 15 – Il modello Bio-Psico-Sociale dell’ICF

Condizione di salute (malattia/disturbo)

Fattori ambientali

Fattori personali

Funzioni & Strutture corporee

(menomazione)

Attività (limitazione)

Partecipazione (restrizione)

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Figura 16 – L’ambiente come ostacolo per la semplice operazione dell’apertura di un cancello

Figura 17 – gli Otto Principi della Linea Guida PRO.F.USE.

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Figura 18 - F.Mezzalana: Esempio di processo progettuale inclusivo

DEFINIZIONE CATEGORIA DI

PRODOTTO

ANALISI DEI PRODOTTI ESISTENTI

SCHEDE DI ANALISI PRODOTTI ESISTENTI

STRUMENTI FASI DELLA PROGETTAZIONE

cosa è? a cosa serve? Dove si usa? Come è fatto? Come si usa?

ELENCO E DEFINIZIONE UTILIZZATORI

TEST DI UTILIZZO DEI PRODOTTI ESISTENTI

DEFINIZIONE DELLE CRITICITA’ DI UTILIZZO

PROGETTO

ANALISI COSTI/BENEFICI

REALIZZAZIONE

TEST DI UTILIZZO DEL PRODOTTO INNOVATIVO

ANALISI COSTI/BENEFICI

PRODUZIONE

Quale prodotto (classe di) si intende innovare? Questa fase serve a definire il panorama di offerta esistente sul mercato e a studiare le caratteristiche dei prodotti

È fondamentale che il responsabile del processo progettuale consideri il maggior numero di utilizzatori con corpi, condizioni di utilizzo e abilità diverse. Gli utilizzatori considerati in questa fase e che, nella fase successiva, avranno difficoltà di utilizzo dei prodotti esistenti, saranno il target da soddisfare con il progetto dell’innovazione (target di inclusione).

I test di utilizzo possono essere svolti in molte modalità (diretti, indiretti, simulati, dal vero, attraverso verifica normativa-tecnica-funzionale sulla base di informazioni e strumenti validati, coinvolgendo diverse professionalità, ecc.) in funzione di vari

SCHEDE TEST DI UTILIZZO PRODOTTI

Quale attività è ostacolata? A chi? In che misura?

SCHEDE UTILIZZATORI DI RIFERIMENTO

In questa fase si sintetizzano i risultati dei test di utilizzo dei prodotti esistenti scelti per l’analisi, definendo chi non riesce a fare cosa con ciò che già è presente sul mercato. Vengono identificate le caratteristiche dei prodotti che ne ostacolano e/o impediscono l’utilizzo a tutti gli utilizzatori considerati

L’innovazione si concentra sulla ricerca di soluzioni che permetterebbero a tutti gli utilizzatori di usare il prodotto. L’innovazione può riguardare: 1. soltanto le componenti del prodotto (in termini di modifica, miglioramento, sostituzione) 2. anche le attività necessarie all’utilizzazione del prodotto N.B. nel caso 2 le modifiche riguarderanno anche le componenti del prodotto finale che potrà essere del tutto diverso rispetto a quelli esistenti analizzati.

Prima della realizzazione del prototipo per valutare la fattibilità e sostenibilità economica delle innovazioni. N.B. in questa fase va valutato il “trasferimento di beneficio”: l’innovazione che permette l’utilizzo del prodotto da parte degli utenti esclusi dai prodotti esistenti può rivelare (come spesso accade) aspetti di qualità e valore anche per gli altri

A conferma dell’efficacia delle soluzioni

SCHEDA DI SINTESI DEI TEST DI UTILIZZO PRODOTTI

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