commenti a wittgenstein (1)

131
Giovanni Piana Commenti a Wittgenstein “Il nostro linguaggio può essere considerato come una vecchia città…” 1975

Upload: adalgisa-di-benedetto

Post on 23-Nov-2015

33 views

Category:

Documents


2 download

TRANSCRIPT

  • Commenti a Wittgenstein

    1

    Giovanni Piana

    Commenti a Wittgenstein

    Il nostro linguaggio pu essere considerato come una vecchia citt

    1975

  • Commenti a Wittgenstein

    2

    Il testo seguente riproduce materiali di lavoro predisposti per uncorso di commento alle Ricerche filosofiche di Wittgenstein te-nuto nellanno accademico 197576 (Universit di Milano, In-segnamento di Filosofia Teoretica I). Per un commento di ampiorespiro vi ora il bellissimo volume di Paolo Spinicci, Lezionisulle Ricerche Filosofiche di Ludwig Wittgenstein, CUEM, Mi-lano 2002, reperibile anche in edizione digitale in Spazio Filo-sofico (http://www.lettere.unimi.it/Spazio_Filosofico). Questo te-sto fornisce, oltre che una discussione particolarmente ricca, an-che indicazioni sulle tematiche che sono presupposte negliaspetti critico-polemici delle posizioni di Wittgenstein. Sulproblema del vedere come, presente nelle Ricerche Filosofi-che, ma con riguardo alle oss. 129 delle Osservazioni sulla filo-sofia della psicologia, si possono trovare vivaci spunti di rifles-sione in Paolo Bozzi, Vedere come, Guerini e Associati, Milano1998.

    Le Ricerche Filosofiche sono citate nella traduzione di M.Trinchero, Einaudi, Torino 1967, i Pensieri diversi nella trad. it.di M. Ranchetti, Adelphi, Milano 1980. Variazioni eventuali ri-spetto alla traduzione italiana non vengono segnalate

    Di questo testo non esiste edizione a stampa.Edizione digitale: dicembre 2002.

  • Commenti a Wittgenstein

    3

    IndiceI.Gli enigmi della denominazione(Ric. Fil., oss. 135)

    1. Come abbiamo appreso il linguaggio2. Spunti per una critica3. Dal fruttivendolo4. Il linguaggio delle quattro parole5. Insegnamenti e giochi6. Linsegnamento ostensivo7. Giochi linguistici8. Leterogeneit dei modi del senso9. Proposizioni abbreviate e parole allungate10. Introspezione11. Nomi e concetti12. Intendere

    IITorniamo sul terreno scabro!(Ric. Fil., oss. 43107)

    1. Che cosa il significato di una parola2. Semplicit e composizione3. Tabelle e concetti4. La tabella perduta5. Una scopa nell'angolo6. Una grossa questione7. Somiglianze di famiglia8. Dubbi irragionevoli9. Torniamo sul terreno scabro!

  • Commenti a Wittgenstein

    4

    IIIStrani processi(Ric. Fil., oss. 143219)

    1. Comprendere la legge di una successione2. Additare oltre lesempio

    IV.Comportamenti(Ric. Fil., oss. 243308)

    1. Comportamentismo e coscienzialismo2. Dare un nome ad una sensazione3. Gestualit corporea, espressivit e processi spirituali.

    V.Quando dico io(Ric. Fil., oss. 398465)

    1. Sullanima2. La vitalit dei segni3. Il vuoto e il pieno

    VI.Il linguaggio ed i linguaggi(Ric. Fil., oss. 487535)

    1. Lo scopo del linguaggio2. Pluralit dei linguaggi e linguaggio ordinario3. Espressione e contesto4. Il linguaggio e il metodo della filosofia

  • Commenti a Wittgenstein

    5

    I.Gli enigmi della denominazione(Ric. Fil., oss. 135)

  • Commenti a Wittgenstein

    6

  • Commenti a Wittgenstein

    7

    1. COME ABBIAMO APPRESO IL LIN G UAGG IO

    Il passo di Agostino con cui si aprono le Ricerche Filosofichedeve essere considerato in tutte le sue pi piccole sfumature -ognuna pu essere importante ed accennare ad un problema

    Agostino descrive in breve in che modo si impara a parla-re. Egli pone le cose in stile autobiografico: quando ero un bam-bino e non sapevo ancora parlare, ho fatto cos e cos e cosfacendo ho imparato a parlare. Ma chi pu realmente essere ingrado di fare un simile racconto? Il ricordo non arriva sino alaggi. Possiamo soltanto cercare di immaginare come stiano lecose in proposito. Anche nella filosofia molto importante saperimmaginare.

    Ecco che cosa ne pensa il nostro santo. Il bambino non saparlare. Tuttavia osserva gli adulti, e questi parlano. Ma per ilbambino ci significa soltanto che essi proferiscono dei suoni - ementre lo fanno, fanno anche strane gesticolazioni: muovono ilcorpo verso qualcosa: corpus ad aliquid movebant. La vox la parola come semplice suono, accompagnata da certi gestiche accennano a qualcosa. Questa connessione deve essere oalmeno diventare a poco a poco evidente (aperiebatur), affinchil significato della parola possa essere appreso. Cos deve sussi-stere un linguaggio naturale di ogni gente, debbono esserci pa-role naturali che non sono affatto parole ma gesti, attraverso iquali, per chi guarda le cose dallesterno, e quindi anzitutto peril bambino che si trova ancora al di fuori del linguaggio possaapparire la connessione tra il suono che nomina e la cosa nomi-nata. I gesti sono ad esempio movimenti delle mani, ma ancheespressioni del volto, cenni degli occhi tutto ci con cui siesprimono le affezioni dellanimo e quindi eventualmenteanche lintenzione designativa del nome rispetto alla cosa. Leparole ricorrono spesso in contesti differenti fino a quando ilrapporto designativo viene appreso ed io stesso bambino im-paro con questi segni a comunicare le mie volont.

  • Commenti a Wittgenstein

    8

    Non forse una descrizione convincente? In fin dei conti,noi possiamo spesso farci capire facendo uso solo di gesti. Puessere anche che per la comprensione effettiva di unespressioneverbale talvolta sia addirittura indispensabile lappoggio di ungesto. Daltra parte chiaro che la connessione tra la parola nelsuo aspetto puramente fonico e loggetto designato pu esseretrasmessa al bambino solo nella misura in cui egli pu osservareun comportamento complessivo nel quale diventa trasparentelintenzione designativa della parola, il suo significato.

    2. SPUNTI PER UN A CRITICA

    Sembra dunque ragionevole che il linguaggio lo si apprendaproprio cos. Non forse la stessa cosa per una lingua straniera?Forse. Oppure proprio di qui cominciano i dubbi? Le somi-glianze, certo, ci sono. Ma vi anche una profonda differenza.Quando apprendiamo una lingua straniera non solo sappiamogi molte cose sul linguaggio, ma siamo soprattutto installatidentro di esso. E si dovrebbe ritenere che sia gi una cosastraordinaria il fatto che chi non sa parlare comprenda che laltroparla, o addirittura che gli parla.

    Pensiamo alla situazione nella quale veniamo a trovarciquando ci rechiamo in un paese la cui lingua ci ignota. Allora,se qualcuno ci rivolge la parola, siamo subito consapevoli delfatto che egli intende comunicarci qualcosa. Che ne ora delbambino quando un adulto gli parla? Io penso (immagino) cheegli non comprenda che laltro gli parla esattamente nello stessomodo in cui lo comprende il visitatore di un paese la cui linguagli sia ignota. Infatti non vi nel caso del bambino immaginoche non vi sia! quel penoso senso di imbarazzo che tutti pro-viamo quando non comprendiamo le parole che ci vengono ri-volte. Il bambino non se ne sta di fronte alla mamma con il pen-siero chiss che cosa mi dice: egli comprende e non compren-de, soprattutto non sa nemmeno di non comprendere, e questo

  • Commenti a Wittgenstein

    9

    cambia interamente le cose. In realt il bambino interamenteimmerso in un rapporto comunicativo gesti, movimenti, suoni e questo molto singolare per il fatto che dobbiamo anche direche egli comunque fuori dal linguaggio a cui accede a poco apoco.

    Esaminiamo ora pi attentamente la spiegazione di Ago-stino. Si tratta di uneffettiva illustrazione di un processo di ap-prendimento, o non piuttosto della proiezione in termini di unaspiegazione sullapprendimento del linguaggio di una determi-nata immagine della natura del linguaggio stesso?

    La prima osservazione di Wittgenstein in effetti questa:Agostino propone una teoria che riguarda il linguaggio stesso.In breve essa la seguente: vi sono le parole e gli oggetti che es-se denominano le parole dunque sono in primo luogo nomi. Leparole entrano secondo regole nelle proposizioni pi varie (va-riis sententiis locis suis posita). Il significato della parola loggetto a cui la parola si riferisce. La parola, con il suo signifi-cato, sta al posto delloggetto. Loggetto lo possiamo indicarecon un dito e per questo il significato della parola pu essereappreso.

    La critica di Wittgenstein contro questa teoria forse tuttacontenuta in questo semplicissimo commento: Di una differen-za di tipi di parole Agostino non parla. La descrizione propostasi attaglia infatti abbastanza bene alle parole che sono appuntonomi di cose additabili tavole sedie armadi, Paolo Pietro Gio-vanni. Chi pensa che la natura del linguaggio possa essere de-scritta cos ha probabilmente in mente esempi di questo genere.Eppure tutti sappiamo che vi sono parole che non hanno un si-gnificato nello stesso modo in cui lo hanno i nomi in genere e inomi propri in particolare. Un verbo, ad esempio, qualche volta(ma non sempre) pu essere mostrato con un gesto ad esem-pio, il verbo camminare camminando. Ma gi una simile indi-cazione gestuale ha un carattere interamente diverso dalla desi-gnazione nel senso in cui se ne parlava poco fa. Ci sono terminiche indicano relazioni, ed anche le relazioni non sono indicabilinello stesso modo. Non posso mostrare a dito il fatto che una co-sa si trova alla sinistra di unaltra. Vi sono parole che significa-no numeri ed entit astratte in genere. Oppure stati interiori, co-

  • Commenti a Wittgenstein

    10

    me fantasie, ricordi, desideri, emozioni. Per non dire di parolecome ma, eppure, bench ecc.

    Naturalmente si pu benissimo supporre che chi sostieneunimmagine del linguaggio come fatta essenzialmente di nominon ignori queste differenze. Si tratta piuttosto del fatto che, ac-cingendosi ad elaborare una teoria del significato, egli pensa chesia opportuno puntare lattenzione su quellaspetto del problemain cui la relazione di significato sembra presentarsi nel modo pichiaro e vistoso, orientandosi subito verso il nome ed il rapportodi designazione. Si riconosce anche fin dallinizio che vi sonodelle difficolt, ma si pensa che in seguito, cominciando di qui,le cose si accomoderanno.

    Chiediamoci ancora: poi giusto, per giustificare una si-mile presa di posizione, appellarsi alla prima infanzia? Attiriamoin proposito lattenzione proprio sulle parole che manifestanostati interiori che sembrano entrare subito in urto con quella teo-ria. In essa il linguaggio viene implicitamente proposto comequalcosa che sta di fronte allesteriorit del mondo, come se ilsuo compito primario fosse quella di fissare questa esteriorit edi fornire di essa una descrizione. Come se si trattasse anzituttodi prendere atto di ci che sta a noi di fronte. Ma ci chiedia-mo noi, e forse se lo chiesto anche Wittgenstein si mai vi-sto un bimbo prendere atto di alcunch? Il prendere atto diqualcosa non appartiene allinfanzia, e tanto meno alla primis-sima, a quella nella quale si entra con espressivi balbettii dentroil linguaggio. molto probabile che si segua tuttaltra via chesia importante latmosfera emotiva del gesto del suono della vo-ce, della concreta situazione relazionale in cui si verifica il rap-porto comunicativo, rapporto che da subito strettamente inter-soggettivo, vorremmo quasi dire: da interno a interno, essendo ilmondo nientaltro che un momento di pura mediazione.

    Tuttavia, se vogliamo seguire letteralmente il sentiero cri-tico tracciato da Wittgenstein dobbiamo piuttosto insistere suconsiderazioni di ordine metodico. Altrove egli dice: Una dellecause principali delle malattia filosofica una dieta unilaterale:nutriamo il nostro pensiero di un solo tipo di esempi (oss. 593).In questa osservazione si prende dunque posizione per una con-cezione della filosofia che fa di essa una riflessione libera, flui-

  • Commenti a Wittgenstein

    11

    da, una elaborazione intellettuale nella quale assume una parti-colare importanza il riferimento ad esempi, che assolvono divolta in volta funzioni diverse, che talora introducono un pro-blema o lo rendono visibile oppure indicano la via per una pos-sibile soluzione. Se dovessimo indicare quale sia il metodo diWittgenstein potremmo rispondere: ve ne pi di uno, ma unoparticolarmente importante il metodo degli esempi. Ma vi anche il rischio che la situazione esemplificativa che ha attiratola nostra attenzione tenda anche ad assorbirla interamente, equindi ci impedisca di scorgere altre vie possibili, altri problemi,altre soluzioni. Lesempio, che stimola il pensiero, pu anchebloccarlo, irrigidirlo. Da questa presa di posizione deriva unodegli aspetti pi caratteristici del modo di operare di Wittgen-stein che consiste in un continuo spostamento dellesempio. Ilmetodo degli esempi anche un metodo di continua variazionedi essi.

    Tutto ci lo si risente nella frase: Di una differenza di tipidi parole Agostino non parla.

    3. DAL FRUTTIVENDOLO

    Gli accenni critici prendono sviluppo in un modo singolare. Siracconta una piccola storia, una piccola vicenda. Ecco un altrotratto caratteristiche dello stile filosofico di Wittgenstein. In tuttele Ricerche noi non troveremo mai un ragionamento bene orga-nizzato, una discussione a distesa che presenti ordinatamenteuna determinata opinione con i suoi pro e contro. Ci imbattiamoinvece di continuo in modi diversi di stimolare lattenzione e lariflessione del lettore, che deve perci sviluppare questi stimolioperando un ampliamento ed un approfondimento per contoproprio dei suggerimenti che gli vengono proposti. Lascia allettore ci di cui capace anche lui ammonisce una voltaWittgenstein (Pensieri diversi, p. 142). Questi stimoli possonoavvenire anche attraverso spunti narrativi; oppure assumere

  • Commenti a Wittgenstein

    12

    landamento di scene teatrali minime. Talvolta si tratta di accen-ni di favole o di pure fantasie. La piccola vicenda di cui ora sinarra rimanda invece ad situazione banalmente quotidiana. Sitratta di Tizio che va a comperare cinque mele da un fruttiven-dolo per ordine di Caio.

    Ma in che modo curioso questa vicenda viene rappresen-tata ! Tutto il succo della storia sta effettivamente nella singola-rit e nella stranezza della rappresentazione. Infatti non si dicesoltanto che Tizio per ordine di Caio si recato dal fruttivendoloed ha acquistato cinque mele rosse. Si dice invece che Caio con-segna a Tizio un biglietto con sopra scritto cinque mele rosse(scena prima); che Tizio si reca dal fruttivendolo e gli consegnail biglietto (scena seconda).

    Occorre poi immaginare e qui la faccenda diventa effet-tivamente un po strana che il negozio del fruttivendolo nonsia affatto come quelli che conosciamo, ma simile invece ad unufficio tutto pieno di cassetti contrassegnati da etichette, con so-pra scritto, mele, pere, ecc.

    La terza scena interamente occupata dai comportamentidel fruttivendolo il quale, afferrato il biglietto, comincia conlaprire il cassetto con sopra letichetta mele. Tra le attrezzatu-re di questo singolare negozio di frutta vi anche una grande ta-bella, simile a quella impiegata nei negozi di vernici. Il frutti-vendolo dunque utilizza un campionario di colori accanto adogni strisciolina colorata vi , anche in questo caso, un etichettadove sta scritto rosso, verde, marrone, ecc. Egli cerca allora laparola rosso e guarda la strisciolina colorata che gli sta ac-canto. Guarda ancora nel cassetto e dice ad alta voce 1, 2, 3, 4,5 ed ogni volta tira fuori dal cassetto una mela di colore corri-spondente a quello del campione.

    In realt difficilmente si potrebbe riassumere tutto ci di-cendo che una comunicazione stata scritta su un biglietto e tra-smessa al fruttivendolo che, avendola compresa, si comporta diconseguenza. In effetti Wittgenstein evita una simile terminolo-gia, non parla di comunicazione, di significati messi per iscrittoe compresi nella lettura. E riesce a realizzare questa esclusioneoperando una sorta di straniamento della situazione quotidiana:come se tutto fosse compiuto da una macchina complessa, di cui

  • Commenti a Wittgenstein

    13

    ognuno degli attori e delle cose impiegate rappresenta un conge-gno. E strano che nessuno dei commentatori di Wittgenstein,abbia pensato, che io sappia, ad un moderno calcolatore. Eppuretutto avviene come in un dialogo tra automi che dialogo non affatto, ma che funziona esattamente come se lo fosse. Noisiamo in grado di dare istruzioni ad un calcolatore, ed il calco-latore in grado di eseguirle correttamente, ma in ogni caso nonle comprende (Come puoi esserne cos certo? mi si potrebbechiedere).

    Si pu anche immaginare di disporsi verso quella situazio-ne nella forma di spettatori non partecipi: come se noi stessi fos-simo degli extraterrestri giunti da un altro pianeta che, appenasbarcati dalla nostra navicella spaziale, osserviamo di nascosto ilmodo di comportarsi di questi esseri semoventi del pianeta terra.Vediamo dunque che Caio scrive, Tizio porta il biglietto alfruttivendolo che lo legge, apre e chiude i cassetti, consultacampionari di colori, ecc., ma scrivere e leggere hanno peril visitatore extraterrestre il senso di puri movimenti, come apri-re un cassetto che ha sopra lo stesso disegno che compare nelfoglietto o estrarre da esso una mela, cos anche il senso di purisuoni le parole 1, 2, recitate dal fruttivendolo nellaperturadel cassetto.

    Sarei incline ad annoverare tra i metodi di Wittgensteinanche un simile effetto di straniamento: si guarda alla situazioneinibendosi ogni legame che in qualche modo ci renda in via diprincipio compartecipi ad essa. Ecco un esempio riguardante ilriso: Due ridono insieme per una battuta di spirito. Uno hausato certe parole abbastanza inconsuete e ora scoppiano en-trambi in una sorta di belato. Tutto ci potrebbe apparire moltostravagante a chi non sia di queste parti, mentre per noi deltutto ragionevole. Con un rimando autobiografico: Ho osser-vato questa scena poco fa in un autobus e ho potuto immedesi-marmi in uno che non vi fosse abituato. La cosa mi parsa allo-ra del tutto irrazionale, come le reazione di un animale a noisconosciuto (Pensieri diversi, p. 142).

    Questo effetto di straniamento serve soprattutto per mette-re in evidenza un problema l dove non se ne vedrebbe alcuno.

  • Commenti a Wittgenstein

    14

    Se consideriamo lazione di compravendita secondo questa de-scrizione ci rendiamo subito conto che non possiamo affattoconcludere dal comportamento del fruttivendolo che egli hacompreso il significato della parola mela: infatti egli non faaltro che operare un confronto visivo tra un segno con un altrosegno. Ma lo stesso vale per la parola rosso: anche in questocaso egli mette a confronto due segni grafici, confrontando poi ilcolore mostrato dal campionario con i colori che egli vede quan-do guarda le mele del suo cassetto. Il fruttivendolo poi conta ve-ramente? Tutto ci che sappiamo appunto ci che udiamo: ilfruttivendolo che emette alcuni suoni accompagnati dal gesto diestrarre dal cassetto ogni volta una mela.

    Mentre partecipando allintera scena per noi ovvio checi che avviene sia una comunicazione autentica che richiede inparticolare la mediazione di processi mentali come il compren-dere o il contare, non appena la poniamo a distanza mettendo inopera un effetto di estraneazione, appare chiaro, e nello stessotempo un poco inquietante, che tutto potrebbe funzionare esat-tamente nello stesso modo, che il problema della comprensionee del significato potrebbe anche non essere posto. I protagonistidella storia potrebbero essere automi, oppure ci potremmo trova-re in presenza di un unico automa nel quale allinizio fosse im-messo qualcosa di simile ad una scheda con dei segni sopra, epoi tutto va da s alla fine: ecco cinque mele rosse!

    E subito affiora un complesso di interrogativi rispondere aiquali non pi affatto ovvio. Che cosa significa leggere un mes-saggio, comprenderne il senso, in che cosa consiste propria-mente il significato di una parola e in che cosa il rapporto co-municativo?

    In una storia narrata cos, le parole intervengono comeparti di unazione complessiva, che potrebbe anche essere con-siderata come un meccanismo. Sembra allora che il problemadel significato non si ponga neppure. Ma si suggerisce anche cheil problema del significato deve essere posto proprio come unmomento interno che funziona dentro una situazione complessi-va che genera azioni e reazioni. Tuttavia non possiamo ancoratrarre una conclusione. Le forbici del barbiere sono ancora inaria: Delle proposizioni che qui trascrivo solo una ogni tanto fa

  • Commenti a Wittgenstein

    15

    un passo avanti: le altre sono come lo scatto delle forbici che ilbarbiere deve tenere in movimento per dare un taglio al mo-mento giusto (Pensieri diversi, p. 123).

    4. IL LING UAG G IO D ELLE Q UATT RO PAR O LE

    Una nuova riuscita sforbiciata ci porta ad unaltra piccola storia il cui attacco mette in questione leccessiva semplicit dellaconcezione di Agostino, il fatto che essa troppo primitiva edinadeguata alla complessit del nostro linguaggio. Se cos pos-siamo immaginarci un linguaggio pi primitivo del nostro, unlinguaggio semplicissimo per il quale valga la descrizione da-taci da Agostino. Manco a dirlo, il linguaggio primitivo imma-ginato non si attaglia affatto letteralmente alla teoria di Agostinoma ha lo scopo esplicito di confonderla.

    Si tratta del linguaggio delle quattro parole mattone,pilastro, lastra, trave. Vi sono anche due attori, il muratore e ilsuo aiutante. E quando il muratore dice: lastra, il suo aiutantegli porge una lastra, quando dice mattone, gli porge un matto-ne, e cos per il resto.

    Anche in questo caso siamo di fronte ad una situazionequotidiana, in cui vi sono due persone che fanno qualcosa, e chefacendo qualcosa si parlano. Le parole sono poi anche qui partidi unazione complessiva e agiscono a loro volta allinterno diessa. Leffetto di straniamento viene ora ottenuto traducendo la-zione quotidiana in unimprobabile finzione, secondo la qualepotremmo considerare il linguaggio delle quattro parole comeun linguaggio completo, come se le quattro parole rappresentas-sero tutto il vocabolario di un linguaggio, ovvero, come si espri-me Wittgenstein, tutto il linguaggio di una trib. Si affacciaqui un altro dei metodi di Wittgenstein, che si trova peraltro inuna certa connessione con leffetto di straniamento. Spesso ri-corrono esempi puramente immaginari relativi agli usi e costu-

  • Commenti a Wittgenstein

    16

    mi di popolazioni lontane in una sorta di esercizio di unan-tropologia immaginaria. La figura del primitivo, che si muovein un contesto ambientale interamente diverso dal nostro e cheha usanze e credenze totalmente diverse, rappresenta per Witt-genstein un punto di riferimento significativo proprio a fini criti-ci ed argomentativi. Di fronte ad una popolazione che non ap-partiene alla nostra cultura ci troviamo in un rapporto di recipro-ca estraneit, siamo gli uni rispetto agli altri degli extraterrestri.

    Sullazione a cui ora stiamo assistendo si possono com-piere le pi curiose congetture. In questo linguaggio semplifi-cato, che peraltro completo, ci sono solo nomi ed a quantosembra essi designano appunto cose. Tutto ci si attaglia alla de-scrizione di Agostino? Il primo punto da mettere in rilievo chela parola cos strettamente legata allazione che pu essere dif-ficile discriminarla da essa. Quando il muratore dice lastra,questa espressione ci appare appunto soltanto come un suonoche ha, come possiamo vedere, un determinato effetto. A quantone sappiamo pu essere che queste azioni vengano accompa-gnate per consuetudine da vocalizzi come questi, e che il voca-lizzo non significhi affatto una sorta di sostituto della cosa, dietichetta apposta su di essa. Il suo impiego comporta semplice-mente questa conseguenza. In che senso allora potremmo parlaredi nomi cos come ne parla Agostino? In questo nuovo esempio,lo spunto teorico di Agostino viene dunque ampiamente pro-blematizzato.

    Ma ormai tempo di avvertire che la citazione di Agostinoserve certamente da spunto esemplare, ma anche del tutto oc-casionale. Non bisogna lasciarsi distogliere da questo riferi-mento classico al punto da non vedere che ci che Wittgensteinha di mira, allinizio delle sue Ricerche, in realt latteg-giamento teorico che egli stesso aveva messo in opera nel Trac-tatus. Che lessenziale del linguaggio siano proprio i nomi, que-sta una delle tesi fondamentali della prima opera di Wittgen-stein. In essa si sostiene che la proposizione astrattamente con-siderata va intesa come concatenazione di nomi, cio di segniche designano oggetti. Le motivazioni particolari addotte daWittgenstein a questo proposito sono ora irrilevanti; mentre interessante notare latteggiamento di principio che sta alla base

  • Commenti a Wittgenstein

    17

    di quella decisione teorica. Porre laccento sul rapporto di de-nominazione significa infatti richiamare lattenzione sul rap-porto tra linguaggio e mondo come un rapporto statico e specu-lare. Il linguaggio descrive il mondo. In quella prospettiva lasoggettivit che impiega il linguaggio come un linguaggio sem-pre integrato nelle funzioni della vita stessa deve restare ai mar-gini. La polemica avviata da Wittgenstein ha dunque di mira laposizione che egli stesso aveva una volta sostenuto, cos comeogni atteggiamento intellettuale che sia puntato prevalentementenella stessa direzione. Cosicch assume particolare interesse ilfatto che il problema del linguaggio e del significato venga pro-posto in maniera drammatica: ci troviamo subito infatti difronte ad azioni, e dunque anche ad obbiettivi pratici che debbo-no essere conseguiti: ad esempio, se vi un muratore e il suoaiutante, e se una lastra o una trave deve essere sollevata e spo-stata da un luogo ad un altro luogo certamente qualcosa deve es-sere costruito. nel contesto di queste azioni e dei loro scopiche si impiegano anche parole.

    5. IN SEG N AMENTI E GIO CH I

    La citazione di Agostino sullo sfondo di una revisione delleidee del Tractatus attira lattenzione di Wittgenstein anche peril fatto che si appella alla situazione dellinfanzia, indipenden-temente dalla giustezza o erroneit della concezione del lingua-ggio che viene poi suggerita. Nel Tractatus, non solo domi-nante una concezione del rapporto linguaggiomondo come unrapporto speculare, ma di conseguenza esclusa o posta ai mar-gini ogni possibilit di mutamento o di movimento. Il linguaggionon diviene esso appare come gi istituito, quindi come unsistema compiuto e definito. Diventa allora una questione mar-ginale, che pu forse interessare la psicologia del linguaggio, ilfatto che esso sia appreso. Ora invece abbiamo cominciato a fare

  • Commenti a Wittgenstein

    18

    uso della nostra capacit di immaginare linguaggi, ed in parti-colare linguaggi primitivi, linguaggi cio estremamente sempli-ci, che possono essere considerati per questa loro semplicitcome anteriori ai linguaggi evoluti. Tra questi linguaggi primiti-vi vi sono certamente anche quelle forme primitive del linguag-gio impiegato dal bambino quando impara a parlare (oss. 5).Riconsiderando le cose da questa prospettiva ci sembra ora chele piccole storie che abbiamo narrato in precedenza possano es-sere intese come giochi infantili: come se ci fossero venute inmente guardando giocare i bambini.

    Pensiamo a come potremmo insegnare ad impiegare la pa-rola rosso ad un bambino molto piccolo, o la parola mattone olastra; o anche a contare fino a cinque. Inventeremmo forse ungioco del tipo di quello del fruttivendolo o del muratore giocan-dolo insieme con lui. Forse, proprio perch nella prima infanziala forma del gioco dominante, il linguaggio si fa strada in que-sta forma. Giocando, il bambino si addestra al linguaggio.

    Wittgenstein suggerisce allora di considerare la situazioneesplicita di questo addestramento, quindi un gioco un po spe-ciale, che ha ancora due attori, il maestro e il bambino, e che loscopo sia quello di insegnare ad impiegare le parole.

    Immaginiamo dunque di avere a che fare con il bambinoche non sa ancora parlare, che, come dice Wittgenstein, non puancora chiedere il nome degli oggetti. In che modo pu alloraavvenire il passaggio allapprensione della parola e del signifi-cato? Lindicazione di Agostino era questa: il maestro indica albambino determinati oggetti, dirige la sua attenzione su di essi epronuncia al tempo stesso una parola; ad esempio, pronuncia laparola lastra e intanto gli mostra un oggetto di questa forma(oss. 6). Qui il gioco intende far funzionare la parola come unnome, e vi un addestramento particolare per raggiungere que-sto scopo. Wittgenstein non nega affatto che questo sia un giocopossibile, ma ci che ribadisce che si tratta di una delle tantepossibilit di far funzionare il linguaggio, uno dei tanti modipossibili di impiegare le parole. Non dobbiamo dunque dire chelo scopo della parola sia quello di designare oggetti, ma possia-mo anche affermare che questo pu essere uno dei suoi scopi.Ed il maestro pu cercare di ottenere proprio questo tipo di as-

  • Commenti a Wittgenstein

    19

    sociazione della parola alla cosa, cosicch essa possa essereconsiderata come una etichetta di essa, un suo rappresentante sulpiano del suono o del segno scritto egli insegna la presenza diquesto rapporto mostrandolo. Ma come pu mostrarlo? Subito sipensa ad una mano con il dito indice puntato. Invece egli far ri-corso a tutto un insieme di azioni differenti e convergenti nelloscopo: punter il dito sulla cosa, certo, ma forse far anche inmodo di far agire lallievo, di fargli fare qualcosa, far azioniper provocare reazioni, e di volta in volta muover la testa insenso approvativo o disapprovativo, e la mimica del volto an-nuncer soddisfazione o insoddisfazione; varier i contesti delgioco in modo opportuno, per far s che il rapporto parola/cosavenga isolato indipendentemente dalla specificit del contesto, ecos via. Questo insieme di azioni e di comportamenti ci cheWittgenstein propriamente non una spiegazione del significa-to, ma un addestramento (Abrichtung) che si pu caratterizzarecome un insegnamento ostensivo delle parole (hinweisendesLehren der Wrter).

    In certo senso il gioco dellinsegnamento ostensivo diffe-risce per un nonnulla da quello del muratore, anzi, possiamosemplicemente assumere gi in rapporto a quellesempio che cifingiamo muratori per insegnare allaiutante il bambino uncontesto di impiego di quelle quattro parole. In base ad essodaltra parte non detto che le quattro parole vengano appresecome etichette appiccicate alle cose, come dei puri nomi.

  • Commenti a Wittgenstein

    20

    6. LINSEG N AMENTO O ST EN SIVO

    Ridurre linsegnamento ostensivo dei nomi allatto semplice delsegnare a dito, pone peraltro diversi problemi. Il bambino, comeabbiamo detto, non pu ancora chiedere il nome degli oggetti.Il bambino dunque non solo ignora il nome di questa o quellacosa, ma non ne sa nulla nemmeno dello stesso rapporto deno-minativo. Se egli potesse formulare la domanda Come si chia-ma questo o questaltro?, evidentemente si troverebbe gi den-tro il linguaggio, per lui si sarebbe gi costituito il rapporto didenominazione, cosicch anche lindice puntato insieme alla pa-rola avrebbe la portata di un gesto equivalente a quel rapporto epotrebbe essere compreso. Allinizio, non si tratta soltanto dimostrare il significato di una parola, ma anche che le parolehanno un significato.

    Il segnare a dito allora tuttaltro che un gesto chiaro e di-stinto. Puntiamo il dito sulla cosa ed emettiamo un suono: mache cosa mai pu capire il bambino? Deve forse ridere o piange-re? Il dito puntato non significa nulla se non so che i nomi sonodita puntate.

    Linsegnamento ostensivo non dunque soltanto un indi-care a dito come se la parola fosse definita mostrando la cosa.Io credo che Wittgenstein parli di insegnamento ostensivocontrapponendo questa espressione alla cosiddetta definizioneostensiva, credo anzi che vi sia una sottintesa e vivace polemi-ca contro questa associazione terminologica tra definire emostrare.

    Cerchiamo di comprenderne le ragioni. Quando non cono-sciamo il significato di una parola, ne cerchiamo appunto la de-finizione in un vocabolario. Naturalmente in esso noi troviamosempre dei sinonimi o dei giri di frase che hanno allincirca lostesso significato di quella parola. Se qualche espressione com-presa nella definizione non ci nota nel suo significato, alloraprocederemo esattamente nello stesso modo, ricercandone la de-

  • Commenti a Wittgenstein

    21

    finizione. Questa semplice considerazione ci fa concludere chedal vocabolario soltanto non potremmo apprendere il significatodi nessuna parola: il linguaggio non in grado di istituire da sestesso il proprio rapporto con il mondo. dunque necessario ri-conoscere che vi un livello extralinguistico che di fonda-mentale importanza affinch il senso penetri nel linguaggio etutto ci potrebbe essere inteso (si lascia giudicare a chi legge sea torto od a ragione) come una sorta di limite e nello stesso tem-po come una circostanza abbastanza malaugurata. Lo intende-rebbe certamente cos coloro che tendono a mitizzare il riferi-mento al linguaggio come se ogni considerazione filosofica pro-posta in termini linguistici possedesse per questo stesso fattouna sorta di surplus di chiarezza e di perfezione. Assumendo unpunto di vista che vede con sospetto il fatto stesso che si parli diun piano extralinguistico e che far dunque ogni possibile sforzoper ricondurre ogni riflessione filosofica ad una riflessione sufatti linguistici, si comprende subito come possa essere ritenutamalaugurata la circostanza che lintero apparato definitorio deb-ba sostenersi su parole che sono state introdotte senza definizio-ne alcuna.

    Ed in che modo allora? In modo grossolanamente intuiti-vo, con vaghe gesticolazioni addirittura!

    Ora, a me sembra che lespressione di definizione osten-siva che viene normalmente impiegata da logici e filosofi dellinguaggio per indicare il gesto che mostra la cosa designatadalla parola cerchi di lenire questo apparente scacco. La paroladefinizione rimanda infatti ad un livello strettamente intralingui-stico, e proprio per questo essa in certo modo tranquillizzanteper chi nutre simili inquietudini. Attraverso di essa si cerca dimitigare limbarazzo di quel vago gesticolare, la cui importanzae la cui presenza deve essere in ogni caso riconosciuta: senzaquel vago gesticolare se questo mostrare non vi potrebbe es-sere alcun dire. Se riteniamo questa circostanza un poco ma-laugurata, lespressione definizione ostensiva con il contra-sto interno che essa contiene fa le corna al malaugurio. Pursempre di definizione si tratta bench consista in un mostrarea dito. Lespressione di insegnamento ostensivo, in cui il mo-strare si riferisce a qualunque pratica sia messa in opera per far

  • Commenti a Wittgenstein

    22

    apprendere contestualmente il senso certamente pi aderentealle cose e pi ricca di pensiero.

    7. GIOCHI LINGUISTICI

    Tutti gli esempi, tutte le discussioni continuano a riproporre illinguaggio, le parole, in contesti di esperienza e di azione. Nellescene del fruttivendolo e del muratore si rappresentava un agirecon le parole. Ed un agire con le parole certo anche il rapportodel maestro con lo scolaro. Inoltre tutti questi esempi possonoanche essere intesi come giochi, assomigliano a giochi; e tuttiquesti giochi assomigliano al linguaggio stesso. Li chiamergiochi linguistici e talvolta parler di un linguaggio primitivocome di un gioco linguistico. E si potrebbe chiamare gioco lin-guistico anche il processo del nominare i pezzi, e quello consi-stente nella ripetizione, da parte dello scolaro, delle parole sug-gerita dallinsegnante. Pensa a taluni usi delle parole nel giocodel girogirotondo. Inoltre chiamer gioco linguistico anchetutto linsieme costituito dal linguaggio e dalle attivit di cui intessuto. Questo quanto si dice nelloss. 7, nella quale vieneintrodotto il concetto fondamentale delle Ricerche Filosofiche, ilconcetto di gioco linguistico. Il modo in cui esso viene intro-dotto tuttavia sommesso, senza troppe spiegazioni, senza enfa-si. I nostri drammi minimi e in tedesco, la lingua in cuiWittgenstein scrive, dramma (rappresentazione teatrale) si diceanche Spiel cominciano a suggerire che cosa dobbiamo inten-dere con gioco linguistico (Sprachspiel), ma certo dovremoattendere ancora prima di saper trarre di qui un vero profitto.

    Intanto non perdiamo in ogni caso di vista la storia internadel problema. Nella prospettiva del Tractatus , nella quale si in-tendeva soprattutto mettere in evidenza una struttura logica pro-fonda del linguaggio aderente alla stessa essenza del mondo, aWittgenstein interessava soprattutto assicurare un vincolo tralinguaggio e realt e nello stesso tempo il fatto che il linguaggio una costruzione a partire da regole definite e concluse. Il lin-

  • Commenti a Wittgenstein

    23

    guaggio anzitutto calcolo. Le letture logiciste del Tractatusnon si avvidero che in esso era fortemente attiva una istanzaformalistica che forse non era sfuggita a Russell nel suo giudi-zio quasi sprezzante sulla filosofia della matematica del Trac-tatus. Proprio allinterno del formalismo matematico si imponelanalogia con il gioco, come del resto si era imposta nella ri-flessione linguistica e filosofica (De Saussure, Husserl).

    Ma quale gioco? Questa precisazione assolutamente ne-cessaria. Si trattava regolarmente del gioco degli scacchi.Nelloss. 3 si dice: come se qualcuno spiegasse: il giococonsiste nel muovere cose su una superficie secondo certe rego-le e noi gli rispondessimo: sembra che tu pensi ai giochi fattisulla scacchiera: ma questi non sono tutti i giochi. Puoi renderecorretta la tua spiegazione restringendola espressamente a questigiochi.

    In effetti, se ci atteniamo allo spirito di una concezioneformalistica il gioco degli scacchi ci interessa per almeno treaspetti che ci consentono di illustrare analogicamente la nozionedi calcolo:

    1. vi anzitutto quella che potremmo chiamare la chiusuradel gioco. Il gioco basta a se stesso come Wittgenstein dicevadella logica in genere cio non ha bisogno di nessun riferi-mento ad una realt esterna ad esso. In questo senso lo spaziodel gioco uno spazio rigorosamente chiuso, non ha alcuna re-lazione con lo spazio che sta intorno: nulla ha a che vedere lasuperficie della scacchiera con la superficie del tavolino su cuiessa poggia. Non vi nessuna strada che conduce dallunaallaltra. Il pezzo del gioco tale solo allinterno di questo spa-zio, sul tavolino una cosa come ogni altra.

    2. Negli scacchi i pezzi sono figure materiali, fatte di le-gno, di avorio o di altri materiali che nel loro nome o nella lorofattura rimandano a personaggi o a cose reali. Ma per quantoquesto nome o questa fattura abbiano importanza in rapporto alpiacere ed al fascino del gioco, essi sono del tutto indifferenti ai finidella sua realizzazione. I pezzi non solo si muovono secondo re-gole, ma sono anche niente altro che simboli di queste regole. Larisoluzione del pezzo nella regola un altro elemento che pu esse-re considerato interessante allinterno di questo contesto.

  • Commenti a Wittgenstein

    24

    3. Se i pezzi non sono altro che simboli delle regole, i gio-catori non sono a loro volta che strumenti di esse. Nel gioco de-gli scacchi si affaccia dunque lidea della deduzione formal-mente intesa, del calcolo nella sua accezione generale: vi in-fatti una disposizione iniziale dei pezzi della scacchiera ed ognialtra posizione acquisita per applicazione iterata di regole bendefinite. Il fatto che queste regole siano convenzionali assaimeno importante del fatto che chiunque voglia giocare a scacchi tenuto ad applicarle.

    Consideriamo ora lidea del linguaggio alla luce di questaimmagine. Il linguaggio formato di parole ma ci che im-porta non sono le parole in se stesse, nella loro materia grafica ofonica, ma regole dalla cui applicazione sorgono le proposizioni:le parole sono dunque simili ai pezzi del gioco, le proposizionialle configurazioni raggiunte nel gioco attraverso lapplicazioneiterata delle regole. E come non abbiamo bisogno di stabiliredelle corrispondenze tra pezzi e configurazioni e qualcosa chesta al di fuori del gioco stesso, cos possibile una considera-zione puramente formale (sintattica) del linguaggio, nella qualevengono messi da parte i riferimenti di senso delle formazionilinguistiche.

    notevole, a mio avviso, il fatto che il mutamento radi-cale della concezione di Wittgenstein sia guidato dalla stessaimmagine, dallo stesso riferimento illustrativo al gioco. Coglierecon chiarezza la componente formalistica allinterno del Trac-tatus importante anche ai fini di rendere conto degli sviluppisuccessivi del pensiero di Wittgenstein. Questo si sviluppa in-fatti proprio in una costante riflessione intorno al formalismo,che si esercita in una grande variet di forme sullesempio delgioco.

    Si comincia a prendere per buona questa analogia il lin-guaggiocalcolo e il gioco degli scacchi e ad elaborarla, perpoi estenderla ed ampliarla. Non si tratta pi soltanto del giocodegli scacchi, ma di questo gioco tra gli altri giochi possibili, deigiochi in genere. Nella filosofia possiamo proporre unimma-gine in due modi molto diversi: da un lato a scopi illustrativi, perdare immediatezza ed evidenza intuitiva ad unargomentazioneo ad un concetto astratto, dunque come ausilio alle nostre spie-

  • Commenti a Wittgenstein

    25

    gazioni o come un rafforzamento. Ma possiamo anche approfit-tare dellimmagine per pensare attraverso di essa, facendo unimpiego non pi solo illustrativo rispetto ad un problema, maproduttivo ai fini della sua impostazione, della evidenziazionedelle sue sfaccettature e degli sviluppi che possiamo trarre diqui. Decidiamo allora di lasciarci guidare dallimmagine, di la-sciar fare ad essa, inseguendola poi con i nostri pensieri nei per-corsi che essa propone. Ecco dunque un altro dei metodi diWittgenstein, non esplicitamente teorizzati, ma certamente pra-ticati a fondo: questo lasciar fare allimmagine, per ripensare aiproblemi alla luce delle evoluzioni che essa compie.

    In certo senso, lautocritica di Wittgenstein rispetto alTractatus comincia proprio quando, a partire dal tendenziale for-malismo di quellopera, limmagine del gioco affiora ed egli de-cide di lasciarla fare.

    Cominciamo a ragionare sullimmagine, ed attraverso diessa. Abbiamo detto or ora che le regole del gioco degli scacchisono vincolanti. Ma questo vincolo forse una necessit imma-nente alla cosa stessa, come se esistesse una natura profonda delgioco degli scacchi e le regole del gioco circoscrivessero una es-senza immutabile? Le cose non stanno cos. Il gioco degli scac-chi non ha affatto unessenza. Il vincolo delle regole rimanda adun accordo tacito dei soggetti del gioco, e non ad una pretesaoggettivit del gioco stesso. Quando il formalismo diventa espli-cito e cosciente, quando comincia a funzionare lanalogia pro-duttiva con il gioco, allora ogni tensione essenzialistica si sfalda,cos come si sgretola il richiamo alla struttura della realt comestruttura assoluta. In particolare viene a cadere la funzione as-solta dalla questione della contraddizione. Ora, essa viene ribal-tata dal piano estremamente serio dei ragionamenti sulla possi-bile contradditoriet dellaritmetica ovvero sulla necessit diprovare la sua non contraddittoriet, a quello del gioco.

    Per secoli e secoli si sempre giocato a scacchi senza chemai nessuno abbia mai sollevato il problema di provare se le re-gole degli scacchi siano in s intrinsecamente coerenti, senzapreoccuparsi del fatto che prima o poi, inopinatamente ci po-tremmo trovare di fronte, giocando a scacchi, ad una situazionecontraddittoria. Dovremmo forse ritenere un simile atteggia-

  • Commenti a Wittgenstein

    26

    mento sconsiderato o imprudente? Suona strana la domandastessa. Oppure ci siamo da tempo immemorabile comportati cosperch si trattava soltanto di un gioco? Certamente no, perchanche in rapporto allaritmetica, solo in tempi molto recenti ilproblema di una prova della sua coerenza intrinseca diventatoimportante. Ma importante da che punto di vista? Non forsevero che anche nel caso del gioco aritmetico per secoli e secolinon ci si preoccupati affatto della sua possibile contradditto-riet, senza che ci impedisse il successo e il costante sviluppodi quella disciplina?

    Lanalogia con il gioco produce lo smontaggio del pro-blema della non contraddittoriet e la sua riconsiderazione daaltri punti di vista che non sia quello di ottenere garanzie e fon-dazioni assolute.

    Ci dobbiamo chiedere: che cosa potrebbe voler dire im-battersi in una contraddizione nel gioco degli scacchi? Oppure:come ci comporteremmo se ci imbattessimo in una contraddi-zione nel gioco degli scacchi? Ma poi anche: perch sempre emonotonamente il gioco degli scacchi? Non vi sono forse moltialtri giochi assai diversi da questo e che possono non meno diquesto insegnarci molte cose intorno al linguaggio? Perch nu-trirsi di questo unico tipo di esempi?

    Limmagine del gioco, liberamente sviluppata, apre nuovepossibilit. Essa non ci consente soltanto di proporre e nellostesso tempo di smitizzare il linguaggio come calcolo, ma di de-limitare un simile modo di considerare il linguaggio come unapossibilit tra altre. Limmagine del gioco pu anche richiamarela nostra attenzione sullintegrazione del linguaggio in un conte-sto di azioni. La concezione sintattica viene in certo modo anco-ra mantenuta, ma con la differenza che ora nella sintassi inter-vengono in un unico inviluppo gli attori del dramma e le cosesu cui agiscono. Il concetto di sintassi deborda dal piano lingui-stico a quello extralinguistico, o meglio: i limiti che separanolun piano dallaltro diventano indefiniti, e il momento del sensosi fa nuovamente avanti come parte del contesto complessivo.

    Muovendo da un presupposto formalistico e in certo modocon le sue stesse armi, ovvero seguendo gli sviluppi internidellimmagine del gioco, perveniamo ad una prospettiva intera-

  • Commenti a Wittgenstein

    27

    mente diversa e per certi versi opposta. In una concezione for-malistica laspetto propriamente sintatticogrammaticale devesubito essere chiaramente distinto dallaspetto semantico. Anzi-tutto vi sono i segni, i pezzi del gioco, che non significano nullaal di fuori del gioco stesso, che hanno solo un significatodigioco, un significato che si risolve nella regola. Ad essi pos-siamo apporre una semantica, istituendoli come segni di qual-cosa daltro, come nomi.

    Nella nuova concezione il linguaggio appare invece findallinizio invischiato con la realt, e la realt stessa qualcosadi interamente diverso da un aggregato di oggetti a cui vanno adannodarsi le corde del significato. Proprio per questo occorreprestare attenzione allespressione gioco linguistico evitandoun fraintendimento: essa non deve essere intesa come se lag-gettivo linguistico delimitasse il tipo di gioco. Non si intendeun gioco fatto di parole: al contrario con quella espressione sivuole in primo luogo caratterizzare un punto di vista nel quale leparole stesse sono integrate in unazione pi ampia. Il filo rossoche giunge sino al fondo delle Ricerche Filosofiche e che co-mincia a snodarsi fin dalle primissime osservazioni lidea cheimmaginare un linguaggio significa immaginare una forma divita (oss. 19).

    8. LETERO G EN EIT D EI MO DI D EL SEN SO

    Per non perdere il bandolo della matassa che Wittgenstein va orasbrogliando ora imbrogliando, certamente opportuno tentare dioperare dei raggruppamenti delle osservazioni, cercando di indi-viduare delle cadenze, dei respiri, dei punti di pausa e di sospen-sione. Una cesura pu essere certamente posta alla settima os-servazione proprio perch essa introduce il termine di giocolinguistico.

    Un nuovo raggruppamento potrebbe raccogliere insiemedalla proposizione ottava alla proposizione diciottesima. A suo

  • Commenti a Wittgenstein

    28

    modo si tratta di un gruppo unitario che riprende i temi ed anchegli esempi delle osservazioni precedenti. Il tema principale an-cora quello del rapporto di designazione, intorno al quale co-minciano tuttavia a gravitare altri temi che ne estendono la por-tata.

    Non vi ormai pi bisogno di ripetere che affrontando ilproblema della designazione Wittgenstein mira ad una criticadella teoria di un rapporto semplice tra il nome e la cosa, in baseal quale il nome come un cartellino appiccicato alloggetto de-nominato (oss. 15). Si tratta ora di fare un passo oltre, comin-ciando con lavanzare gli spunti per unelaborazione positiva.

    Cos lesempio del linguaggio del muratore e del suo aiu-tante che come abbiamo notato pu anche essere un gioco eha direttamente a che vedere con la tematica dellapprendimento viene ora ripreso con alcuni arricchimenti: si introducono inumerali in forma di lettere alfabetiche, alcune parole importantinella comunicazione come l e questo, cos come queicampioni di colore che gi avevamo visto svolgere una fun-zione nel gioco del fruttivendolo.

    Evidentemente in questi arricchimenti si tratta di mostrarela variet e la differenza, l eterogeneit dei modi del senso(oss. 10). Tutte le parole in questione hanno un senso, ma nonnello stesso modo. Questa eterogeneit viene nascosta dal fattoche possiamo dire che i numerali designano numeri, lastra emattone designano queste cose, qui designa il luogo che oc-cupa colui che parla, e cos via. La possibilit di impiegare lostesso verbo implica certamente qualche affinit, ma occorrerendersi conto sino a che punto queste affinit possano esserespinte.

    Nellanalogia con la cassetta degli utensili (oss. 11), si fanotare che in essa si possono trovare un martello, una tenaglia,un metro, colla, viti e chiodi. Tutte queste cose si dicono stru-menti, ad esse si pu dare questo nome comune. Ma molto diffe-renti sono i loro impieghi.

    I vari comandi che si trovano nella cabina di una locomo-tiva (oss. 12) hanno un aspetto molto simile, sono fatti allin-circa nello stesso modo, e ci comprensibile, dato che tuttidebbono essere afferrati con la mano. Ma ogni maniglia ha ef-

  • Commenti a Wittgenstein

    29

    fetti diversi, e la locomotiva si muove nel gioco di tutte questediverse funzioni.

    Talvolta possiamo prestare attenzione alle somiglianze edoperare assimilazioni. Wittgenstein non dice mai che non sidebba fare questo. Ma laccento cade prevalentemente sul ri-schio che si corre nel compiere queste assimilazioni quando essecoprono nette differenze nel modo di impiego: assimilando intal modo luna allaltra le descrizioni degli usi della parola nonsi rendono per nulla simili questi usi (oss. 10). Ma con questaassimilazione dellespressione si sarebbe guadagnato qualcosa?(oss. 14).

    Anzi, non solo non si guadagna nulla, ma si rischia di ri-metterci: di introdurre la confusione, di far sorgere problemimale impostati e malamente risolti. Affiora cos il problemadellanalisi del linguaggio come metodo della riflessione filo-sofica: limpiego delle parole non ci sta davanti in modo evi-dente. E specialmente non, quando facciamo filosofia!. Di quiconsegue certamente che la chiarificazione intorno ai modi diimpiego delle parole fa parte dei metodi della filosofia. Essa non il metodo della filosofia, lunico metodo autentico idea findallinizio attribuita a Wittgenstein e che ha fatto scuola. Sitratta invece di unidea che a mio avviso, gli profondamenteestranea. In Wittgenstein vi una pluralit di metodi lo ab-biamo gi pi volte ribadito. E del resto anche lanalisi del lin-guaggio si situa qui ben oltre il piano di una questione pura-mente metodologica, per mettere in causa importanti aspetti dicontenuto.

    A questo proposito si possono raccogliere alcuni spunticominciando dal problema dei numerali (oss. 9 e 10). Sullosfondo vi la questione di una illustrazione del concetto di nu-mero e di una teoria del numero che per quanto non sembri oc-cupare in questopera uno spazio significativo, continua tuttaviaad essere presente. Lesempio dei numerali non soltanto unapossibile illustrazione della variet dei modi della designazionegenericamente intesa, ma esso intende anche dire: se vuoi elabo-rare una giustificazione filosofica del numero non devi lasciartiguidare da considerazioni di filosofi che operano false assimila-zioni concettuali: seguendo questa via si potrebbe essere tentati

  • Commenti a Wittgenstein

    30

    di considerare i numeri come entit a s stanti, come oggettivitin s, come mattoni eterei. Devi invece pensare allinsegna-mento ostensivo del numero, al modo in cui limpiago delle pa-role di numero viene mostrato ai bambini e da essi viene appre-so. certo infatti che anche qui, come nel caso dellintroduzioneprimitiva delle parole, si tratta anzitutto di mostrare qualcosa.Ma nemmeno in questo caso si tratta di un semplice mostrareindicativo, di un segnare a dito. Lindicazione pu valere forse! per i numerali pi piccoli, che potrebbero essere pre-sentati come nomi di gruppi di cose che possono essere affer-rati con lo sguardo (oss. 9). Ma ben presto lapprendimento do-vr legare il numero alla successione ad una successione reci-tata durante una determinata azione compiuta su cose.

    Se diciamo che i numerali designano numeri, allora sem-bra abbastanza inevitabile che i numeri siano concepiti comeentit che ci stanno di fronte esattamente come una lastra o unmattone. In questo caso il parlare di designazione suscita incer-tezze perch potremmo avere dubbi sul fatto che sia giusto con-cepire i numeri in questo modo; e del resto non vorremmo nem-meno essere costretti ad assumere che i numeri debbano essereconcepiti cos per il solo fatto che ci esprimiamo in questomodo.

    Pensando ad un possibile insegnamento ostensivo co-munque certo che non potremmo mostrare i numeri come og-getto di riferimento dei numerali. Non sapremmo infatti comedovremmo gesticolare. Eppure non vi dubbio che anzituttolinsegnamento dovr essere ostensivo. Si mostrano i numerali esi mostra il loro uso. Si potrebbe proporre ad un bambino il gio-co del fruttivendolo, invertendo di tanto in tanto le parti. In que-sto modo si insegna a fare qualcosa con i numerali e quanto alladesignazione, ci disinteressiamo del tutto della questione. Si in-segna dunque a compiere una certa azione, a dire, insieme ad es-sa certe parole, uno, due, ecc. E questo tutto. Lindicare unacosa unazione come il sollevarla o lo spostarla; ma vi evi-dentemente una differenza. Indicando una cosa non facciamoproprio nulla con essa. Sembra difficile mostrare il significato diun numerale senza manipolare cose, senza un fare in senso pro-prio.

  • Commenti a Wittgenstein

    31

    Linsegnamento ostensivo procede in un modo se deve in-segnare il significato della parola lastra, in un altro se deve in-segnare il significato della parola cinque. Cos se diciamo cheluna e laltra parola hanno un significato, dovremmo subito no-tare che non lo hanno nello stesso modo. Nulla ci impedisce pe-raltro di affermare che cinque designa un numero e lastrauna lastra. Possiamo essere consapevoli che il rapporto designa-tivo ha una molteplicit di aspetti differenti bench si corra ilrischio di false assimilazioni. La generalit del rapporto di desi-gnazione deve essere ricondotta alle particolarit dei modi diimpiego, e ci evidentemente fa tuttuno con lo spostare lotticadel discorso dal linguaggio ai giochi linguistici, entro i quali di-venta realmente visibile il modo di funzionare delle parole.

    Il riferimento allinsegnamento ostensivo ed allappren-dimento infantile della successione numerica ha, a mio avviso,anche una diversa inclinazione: non si tratta solo di attirarelattenzione sui modi di impiego, ma anche di suggerire che, aifini di una chiarificazione filosofica del concetto di numero, piche ad elaborate costruzioni logiche, dovremmo regredire ad unadimensione nella quale dellaritmetica e della logica non sap-piamo ancora nulla. Ed il modo e la maniera in cui si costitui-sce la parola numerica deve offrirci chiarimenti importanti sullanatura del concetto corrispondente. A me sembra di cogliere inquesto la possibilit di un punto di contatto ricco di senso con latematica fenomenologica relativa ad una chiarificazione deiconcetti che regredisce al piano antepredicativo.

    9. PROPO SIZIO NI ABBREVIAT E E PARO LE ALLUNG AT E

    Oggetto di problematizzazione sono anche le distinzioni gram-maticali correnti (oss. 1925). Si pensi alla distinzione tra pro-posizione dichiarativa e proposizione imperativa. O addiritturatra proposizioni e parole. In questultimo caso si potrebbe dire:la parola una parte della proposizione e la proposizione uncomplesso di parole. A questa distinzione si accenna gi nella

  • Commenti a Wittgenstein

    32

    citazione di Agostino: in essa si parla infatti di verba in variissententiis locis suis posita: il verbum ci che occorre nellasententia, e precisamente disposta in essa nel luogo appro-priato.

    Tutto chiaro, a quanto sembra. Eppure nel gioco linguisti-co del muratore ci si pu chiedere Lastra! una parola o unaproposizione?.

    Supponiamo che qualcuno risponda: una parola, certa-mente non vi dubbio su questo punto.

    Netta, e suggestiva, lannotazione di Wittgenstein: se co-s allora deve trattarsi di una parola che ha un senso completa-mente diverso da quello che questa stessa parola ha nel nostrolinguaggio perch in quel gioco linguistico essa un grido. importante rammentare sempre che il linguaggio delle quattroparole stato assunto come un linguaggio completo e ci si-gnifica non solo che esso non possiede altre espressioni, ma an-che che non da intendere come se fosse una piccola parte delnostro linguaggio. Perci nel testo si parla non a caso di un gri-do, e non di un ordine: allinterno di quel linguaggio infatti cisono solo parole gridate e non mentre non vi sono proposizioniimperative e dichiarative. Naturalmente se, presupponendo ilnostro linguaggio, facciamo valere una simile distinzione, allorapotrebbe sembrarci pi giusto parlare di Lastra! come di unaproposizione imperativa abbreviata. Ci si potrebbe tuttavia an-cora chiedere che cosa sia propriamente quella espressione re-stando rigorosamente allinterno di quel linguaggio. Ma anchefacendo riferimento al nostro linguaggio, che Lastra! sia unaespressione abbreviativa della proposizione imperativa Portamiuna lastra! per Wittgenstein non affatto evidente. Ma perchnon dovrei dire, viceversa, che la proposizione Portami una la-stra! un prolungamento della proposizione Lastra!. Un ro-vesciamento del problema che ci coglie di sorpresa. Eppuremuterebbero di molto le cose se adottassimo questaltro punto divista?

    Si potrebbe ancora protestare: chi dice Lastra! intende inogni caso che gli si porti una lastra. E Wittgenstein di rincalzo:che cosa significa intendere in questo caso? Diciamo forse den-tro di noi la proposizione pi lunga? Certamente no. In realt

  • Commenti a Wittgenstein

    33

    intendiamo che mi si porti una lastra appunto con il gridoLastra! e per intendere ci non vi bisogno della proposizionePortami una lastra e nemmeno di assumere che quel grido siauna sua abbreviazione. Gridando Lastra! voglio che mi si portiuna lastra, ma questo volere non consiste nel pensare, in unaforma qualsiasi, una proposizione diversa da quella che tu dici,e tu dici appunto niente altro che Lastra!.

    La messa in questione della distinzione tra proposizionedichiarativa e imperativa potrebbe anche presentarsi in questaforma: che cosa contraddistingue una proposizione (vogliamoconsiderarla tale) come cinque lastre per informare qualcunoche qui ci sono cinque lastre oppure quando la usiamo per farciportare cinque lastre? Nella scrittura in questo secondo casometteremmo un punto esclamativo, nel parlato probabilmentealzeremmo il tono della voce. Lunica differenza sembra consi-stere dunque in un modo diverso di emettere gli stessi suoni.

    Domande analoghe si potrebbero avanzare in rapporto alladistinzione tra proposizione dichiarative e interrogative. Del re-sto gi nelluso quotidiano ci sono ben note forme come: 1.Non meraviglioso il tempo oggi?. Domanda o dichiarazio-ne? 2. Vorresti far questo? Domanda, ma pu assumereforma di ordine. 3. Lo farai: potrebbe ben essere un modo diordinare a qualcuno di fare qualcosa una sorta di futuro impe-rativo (oss. 21). Tuttavia sarebbe erroneo che qui si voglia solomettere in evidenza lelasticit e la plasticit espressiva del di-scorso corrente. Vi sono anche esempi del tutto fittizi, comequando si ipotizza un linguaggio in cui ogni asserzione for-mulata nella forma di una domanda seguita da un si o da unno (Piove? Si, Piove? No) (oss. 22), il cui unico interesse,a quanto sembra sta proprio nellallontanare lidea che una si-mile riflessione riguardi usi consueti e comuni. A maggior ra-gione il caso di chiedersi: a che scopo un simile rimescola-mento delle carte?

    Intanto non vi dubbio che qui Wittgenstein miri anzituttoa confonderci. Ci che sembra si voglia mettere in dubbio cheil linguaggio abbia una struttura in qualche modo ben determi-nata. Di fronte alla chiara distinzione tra parola e proposizione,facciamo di tutto per renderla ambigua e controversa. E nellar-

  • Commenti a Wittgenstein

    34

    gomentare non si rifugge dallassumere posizioni estreme. Si faavanti anche il sospetto di unoperazione puramente scettica. Ri-correndo ai mezzi pi vari non escluse argomentazioni chevolentieri cercheremmo di respingere come puri sofismi sem-bra si persegua lo scopo puramente negativo di introdurre laconfusione dove cera prima nella nostra testa una passabilechiarezza. Se qualcuno sostiene di sapere distinguere tra cosacome interrogazioni, ordini, accertamenti, constatazioni gli sipropone subito un esempio critico tratto dal discorso corrente oanche liberamente inventato e che richiede improbabili contesti.

    Qualcuno ora grida Aiuto! (cfr. oss. 24), mentre sta an-negando nel fiume. Ed il filosofo seduto meditabondo sulla rivapassa in rassegna le varie possibilit. Si tratta forse anzitutto diunesclamazione. Quella parola la scriveremmo infatti con ilpunto esclamativo. Tuttavia non negheremmo certo che in quelgrido sia contenuto qualcosa di simile ad una domanda o ad unaimplorazione. Occorrer allora senzaltro introdurre un nuovotipo di proposizione implorativa? O forse dovremmo annove-rare questa parolaproposizione tra gli ordini, dal momento chesentiamo che ci viene detto in modo impellente di fare qualcosa?Infine non c dubbio che si fornisce anche una semplice infor-mazione: Io sto annegando.

    Di fronte al problema della distinzione tra le forme gram-maticali che naturalmente anzitutto un problema di una diffe-renziazione concettuale, sembra che si voglia alzare scettica-mente le spalle: fai come vuoi. Nel gioco del muratore puoi direche Lastra! una proposizione oppure che una parola. Puoiaddirittura dire che luna e laltra cosa insieme. Oppure che una proposizione abbreviata, ma puoi anche dire che la proposi-zione Portami una lastra una parola allungata. Ed infine puanche darsi che un simile problema non sorga nemmeno, chenessun si sogni di fare simili domande.

  • Commenti a Wittgenstein

    35

    10. INTROSPEZION E

    Questo andirivieni che sembra descrivere un andamento scetticosi ritrova qui, come ovunque nelle Ricerche Filosofiche di Witt-genstein. Ma io credo si tratti di uno scetticismo orientato dal-lintenzione di portare chiarezza l dove la chiarezza solo ap-parente. Il compito preliminare dunque dunque quello di dis-solvere questa apparenza.

    A questo proposito occorre anche non lasciarsi fuorviaredal fatto che spesso ci che si suggerisce nel corso dellargo-mentazione proprio ci che si intende confutare. Talora si mi-mano infatti modi di rendere conto delle distinzioni contro cui inrealt Wittgenstein intende polemizzare. Ci vale in particolareper le spiegazioni introspettive che sono proposte come temiper una critica che qui comincia con laffiorare e che attraversatutte le Ricerche Filosofiche.

    Potremmo dire in generale che ci troviamo di fronte ad unproblema affrontato mediante lintrospezione ogni volta cheesso venga proposto secondo la formula seguente: Che cosaavviene dentro di te (dentro la tua testa) quando(percepisci,ricordi, leggi, pronunci una proposizione, una certa parola,ecc.). Si tratta di una caratterizzazione troppo semplice, certa-mente ma essa coglie il punto essenziale che interessa le nostreconsiderazioni. Cos la problematizzazione della distinzione traproposizione dichiarativa ed imperativa indica in negativo chedi essa non si pu rendere conto attraverso considerazioni psi-cologizzanti. Non arriveremo da nessuna parte se ci chiediamoche cosa avviene dentro di noi quando diamo un ordine enemmeno se richiamando lattenzione sul fatto che la differen-za di tono nella voce indispensabile in molti casi a contraddi-stinguere lordine della constatazione proponessimo poi diistituire quella differenza proprio sul tono della voce. Cos idubbi intorno alla nozione di proposizione ellittica, servono so-prattutto a chiarire che lespressione lastra! ellittica non

  • Commenti a Wittgenstein

    36

    perch essa ometta qualcosa che intendiamo quando la pronun-ciamo, ma perch abbreviata rispetto ad un determinato mo-dello della nostra grammatica (oss. 20).

    Attraverso i dubbi si fanno avanti dei chiarimenti. La dif-ferenza tra uso descrittivo e luso imperativo di cinque lastrenon sta nel tono della voce, ma nella funzione che la stessaespressione assume in giochi linguistici diversi. Qui un ordine,l una constatazione (oss. 21).

    Una domanda pu essere posta nella forma di una consta-tazione. Ma ci non pu far s che i giochi linguistici differentisiano stati sovrapposti gli uni agli altri in modo da renderli indi-stinguibili.

    I percorsi argomentativi puntano altrove rispetto a ci chepoteva sembrare allinizio. Ora cominciamo con il renderci con-to che si mira proprio allistituzione di differenze. La stessa ado-zione del punto di vista dei giochi linguistici pu essere utiliz-zata come un metodo per mostrare differenze.

    Certo, lintera tematica deve mantenere una profonda mo-bilit. Ci sono molti tipi di proposizioni (oss. 23). Quanti? Di-ciamo che sono veramente molti, e per il resto non vogliamoimpegnarci. Questo, perch il linguaggio qualcosa che di con-tinuo si muove. Laccento che cade sulla differenza deve anchecadere sulla mobilit, su una sorta di incompletezza di principio:E questa molteplicit non qualcosa di fisso, di dato una voltaper tutte; ma nuovi tipi di linguaggio, nuovi giochi linguistici,come potremmo dire, sorgono e altri invecchiano e vengono di-menticati. (Unimmagine approssimativa potrebbero darcela imutamenti della matematica). A quella piccola postilla in pa-rentesi occorre dare molta importanza. La stessa osservazionepotrebbe cominciare cos: Quanti tipi di numeri ci sono? Molti.E molti forse restano ancora da inventare.

  • Commenti a Wittgenstein

    37

    11. NOMI E CON CETTI

    Lattribuire nomi alle cose potrebbe esser assimilato allattac-care alla cosa un cartellino su cui disegnato un contrassegno.Spesso, mentre filosofiamo, si rivela utile dire a noi stessi: de-nominare una cosa come attaccare ad un oggetto un cartellinoche reca il suo nome (oss. 15). Questa immagine sembra sugge-rire che i nomi da insegnare per primi siano quei nomi chechiamiamo normalmente nomi propri, perch questi sono in ef-fetti concepibili come contrassegni individuali, che spettano allacosa contrassegnata e solo a quella. I nomi comuni potrebberovenire insegnati in un secondo tempo sulla base di qualche ca-ratteristica comune degli individui gi denominati con nomipropri. In questa forma comincia ad affacciarsi una discussioneintorno a ci che nella filosofia si chiamano concetti.

    Questo inizio tuttavia non deve essere inteso come se giavessimo trovato una strada da imboccare a capofitto: si trattainvece di mettere alla prova questa teoria dei due tempi primai nomi propri, poi i nomi comuni, ovvero: prima gli individui,poi i concetti.

    Supponiamo dunque di imbatterci per la prima volta in uncane la prima esperienza senza un passato, di cui talvolta par-lano i filosofi empiristi. Sembra naturale ritenere che essa debbaessere intesa come lesperienza di qualcosa assolutamente indi-viduale. Non abbiamo mai visto nulla del genere, e cos nonpossiamo denominarlo con un nome comune, dal momento chenon si ancora formato per noi un concetto sotto cui ricondurrequello strano individuo. Gli attribuiamo allora un nome proprioche contrassegna proprio lui e lui soltanto.

    In una breve novella di Kafka compare come protagonistauna sorta di strano rocchetto, un essere che non sapremmo direse animato o inanimato, che per alcuni aspetti ha il carattere diuna macchinetta, ma sembra anche muoversi di volont propria,e forse sa addirittura dire qualche parola. I concetti sotto cui po-trebbe essere sussunto non sono concordanti. Lo chiamiamo O-dradek, e questo sembra essere un nome proprio. Se incontras-

  • Commenti a Wittgenstein

    38

    simo altri individui simili a questo, cio se incontrassimo altrecose che hanno qualche caratteristica comune con questa, potrrappresentare il concetto sotto cui Odradek sar sussunto.

    Unimmagine del linguaggio che attira lattenzione anzi-tutto sulla priorit dei nomi propri suggerirebbe una teoria delconcetto orientata in questa direzione. Ma non potrebbe darsiinvece che nellesperienza ipotizzata come primitiva di un ca-ne non fossimo colpiti anzitutto da una tipicit (ad es. quello chefa bau bau) e che gi da subito il cane venga inteso come indi-viduo allinterno di un genere di cui esso stesso ha suscitato ilpensiero?

    Conviene dunque rimettere nuovamente a fuoco la pro-blematica della denominazione. Come abbiamo visto, in rap-porto a certi giochi linguistici essa potrebbe non essere nemme-no proposta. Ad esempio, il chiedere come si chiama questonon unazione inclusa nel gioco del muratore o del fruttiven-dolo. Inversamente, potremmo immaginare un gioco linguisticoparticolare nel quale quella domanda abbia una parte. Possiamopensare ad un gioco di societ che potrebbe consistere nellin-ventare un nuovo nome per gli oggetti (oss. 27). Anche in que-sto caso le prime mosse mirano alla dissoluzione del problema.La questione della denominazione potrebbe essere tanto pocoimportante e tanto particolare quanto lo un gioco di societ.Lapprendere il linguaggio consiste nel denominare oggetti?Certamente no. E tanto meno la denominazione rappresenta unacondizione per poter parlare delle cose.

    E per rendere controverso il problema della denominazio-ne si sollevano dubbi sulleffettivit della distinzione tra nomipropri e nomi comuni. Ma si tratta in realt di manovre per unamessa a fuoco.

    Cos si ammette senzaltro che possa essere insegnatoostensivamente non solo il nome di una persona che lesem-pio pi ovvio di definizione ostensiva ma anche di un colo-re, di una sostanza, di un numero, ecc. (oss. 28). Certo, conqualche complicazione: linsegnamento ostensivo deve essereinterpretato, il gesto inteso nel modo giusto.

    Questo si chiama due diciamo indicando due noci.Questo un modo perfettamente possibile di definizione osten-

  • Commenti a Wittgenstein

    39

    siva del numero due (oss. 28). Ma lallievo potrebbe intenderedue in vari modi: ad esempio come il nome proprio delle noci;oppure come il nome di un numerale, come se le due noci fosse-ro un equivalente della cifra 2 tracciata su un foglio di carta.Cos se dico Questo si chiama seppia puntando il dito versoCaio potrebbe non essere chiaro se intendo seppia come nomeproprio di Caio oppure se voglio dare un nome al colore dellasua giacca.

    Le distanze rispetto alla concezione delineata allinizio simostrano sempre pi nette. Si prospetta anche la possibilit chela determinazione concettuale debba in qualche modo precederela sua possibile specificazione (oss. 29). Si osserva cos che una considerazione alquanto astratta del linguaggio pensare cheanzitutto si istituisca il rapporto denominativo e poi la gramma-tica del nome, e cio il modo in cui viene usato.

    Attaccando un cartellino alla cosa ci si prepara allusodella parola. Ma a che cosa ci si prepara? (oss. 26). La portatadi questo interrogativo va chiaramente compresa. Con i nominoi facciamo qualcosa; mentre la denominazione non dice checosa dobbiamo fare con un certo nome: mostrando a qualcunoil pezzo che rappresenta il re nel gioco degli scacchi e dicendo-gli Questo il re non si spiega luso di questo pezzo (oss.31). Una cosa indicare come si chiama un pezzo degli scacchia qualcuno che non sa nulla sul gioco degli scacchi. Unaltra intendere il pezzo di legno gi come pezzo di quel gioco ed allo-ra la stessa indicazione ha un senso interamente diverso. Nelprimo caso ci troviamo di fronte alla denominazione come ungioco linguistico fine a se stesso e chiuso in se stesso, propriocome nel caso del gioco di societ che abbiamo inventato pocofa. Nel secondo caso invece la denominazione un gioco lingui-stico entro un gioco linguistico pi ampio nel quale sono gipresenti i modi di impiego della parola nuovamente introdotta.

    Di qui laffermazione, di cui si avverte ora tutta limpor-tanza, secondo cui chiede sensatamene il nome solo colui chesa gi fare qualcosa con esso (oss. 31). Si vuole cos sottolinea-re che un qualche apparato concettuale (e quindi linguistico) de-ve essere presupposto nel momento in cui introduco un nome.La funzione denominativa si trova gi dentro questo apparato.

  • Commenti a Wittgenstein

    40

    La definizione ostensiva spiega luso il significato della pa-rola quando sia gi chiaro quale funzione la parola debba svol-gere, in generale, nel linguaggio (oss. 30). Ed ancora: Per es-sere in grado di chiedere il nome di una cosa si deve gi sapere(o saper fare) qualcosa (oss. 30).

    12. INTENDERE

    Anche parole che non sono nomi propri possono essere appreseostensivamente. Lo abbiamo gi detto. Ad esempio, la parolaazzurro.

    Abbiamo anche notato che non basta puntare il dito su unacosa azzurra e pronunciare questa parola. Lindicazione ostensi-va deve essere interpretata, e ci significa che deve essere coltalintenzione che fa corpo con il gesto dellindicazione. Il gestoindicativo non qualcosa di simile ad una freccia che istituisceuna sorta di raccordo tra una cosa (il segno) ed unaltra (ci cheil segno designa), per quanto limmagine della freccia possasembrare a tutta prima appropriata. Infatti la cosa che il segnodesigna pu essere un tavolo o una sedia, ma anche una loropropriet: la forma del tavolo o il suo colore. Questo si chiamacircolo, dico intendendo la forma circolare del tavolo e la se-gno a dito. Oppure: questo si chiama azzurro, intendendo il suocolore e lo segno a dito. Ma il cenno dellindicare segnando adito va sempre in direzione del tavolo in qual modo potrei nelgesto intendere ora la forma ora il colore?

    Sarebbe erroneo tuttavia ritenere che in osservazioni comequeste si tenda a mettere in risalto le possibili equivocit dellin-segnamento ostensivo. Di queste possiamo benissimo venire acapo in un modo qualunque. Le equivocit interessano in quantoattraverso di esse intravediamo dei problemi. Il problema quianzitutto che nellindicare ostensivo intrecciato un atto dellin-tendere, e nello stesso tempo che questo atto non pu essere ri-solto come si sarebbe subito tentati di fare in elementi psi-cologici che accompagnino lindicazione. La critica che stata

  • Commenti a Wittgenstein

    41

    gi avviata di spiegazioni introspettive comincia a ricevere quiqualche sviluppo.

    In particolare va notato che il problema dellintendere, puressendo introdotto nel quadro della problematica dellinsegna-mento ostensivo, tuttavia indipendente da esso e del resto credo di poter aggiungere da una considerazione tutta internaal problema del linguaggio. Ora guardo la forma del circolaredel tavolo o il suo colore in questo atto del percepire vi giun intendere. Che cosa guardi? Il colore del tavolo la rispo-sta. Questa risposta tuttavia non si presenta filosoficamentetroppo ovvia. Intanto non possibile che ci che vedo sia sol-tanto il colore. Potremmo dire: io vedo il tavolo nel suo insieme,e le cose che gli stanno intorno, ma ci che guardo quel colo-re. E preciso: ci a cui presto attenzione. Ma allora il problemasemplicemente si sposta. Dobbiamo rendere conto di ci che si-gnifica questo prestare attenzione, e forse saremmo tentati diprocedere proprio in una direzione psicologizzante. Se vogliamosapere che ne di questo prestare attenzione dobbiamo forsestabilire che cosa avviene centro di noi quando abbiamo questaesperienza vissuta del guardare il colore, ovvero del prestare at-tenzione a questo piuttosto che a quello. Esperienza vissuta tra-duce Erlebnis e compare per la prima volta nelloss. 34 nelle Ri-cerche Filosofiche: lo stretto legame con la problematica dellin-trospezione mostra che il termine viene impiegato in unac-cezione totalmente diversa da quella in cui essa compare per lopi nella fenomenologia di Husserl. In essa infatti Erlebnis lesperienza vissuta in quanto in via di principio analizzabilecome atto intenzionale. Le implicazioni di ordine propriamentepsicologico vengono messe da parte. Ma a parte questa differen-za nellimpiego del termine, anche Wittgenstein interessato aseparare lanalisi filosofica dallanalisi introspettiva: cosicch ilproblema dellintendere nel suo complesso viene affrontato se-condo uno stile prettamente fenomenologico.

    Gli spunti introspettivi hanno dunque carattere polemico.Che cosa significa prestare attenzione alla forma e non al colo-re? Per rispondere a questa domanda potremmo pensare di auto

  • Commenti a Wittgenstein

    42

    osservarci per vedere che cosa accade mentre facciamo questo.Ognuna potr dire la sua, a questo proposito. Pu essere che av-vertiamo una sorta di movimento degli occhi che accennano aseguire il contorno della cosa; oppure qualcuno potrebbe parlaredi una sorta di curiosa spinta interione, una tentazione a seguireil contorno con un dito; ma per altri la tentazione sar forsequella di socchiudere gli occhi in un modo del tutto particola-re Ciascuno per proprio conto potr trovare qualche sensazio-ne interna caratteristica che interviene quando intende la formapiuttosto che il colore, o inversamente. Questa molteplicit cherischia di confondere lintero problema tuttavia una conse-guenza di una interpretazione psicologizzante del prestare at-tenzione proposto come un tentativo di illustrazione dell in-tendere. La risposta autentica alla richiesta di guardare dentrodi noi per accertare che cosa accade quando sta nel rifiuto diconsiderare la questione da questo lato: oltre al fatto che inten-do la forma e non il colore, non accade nullaltro. O meglio an-cora: qualunque cosa accada oltre allintendere, del tutto in-differente e possiamo usare lespressione del prestare atten-zione al pi come sinonimo dellintendere, e non come unariconduzione dellintendere ad un contenuto psicologico identi-ficabile introspettivamente.

    Che cosa accade quanto intendo il re degli scacchi non picome un pezzo di legno, ma come un pezzo di gioco? Non acca-de nulla al di l del fatto che ora lo intendo cos (oss. 35).

    Questa posizione si fa valere nella problematica del signi-ficato, ma si apre ad una prospettiva molto pi ampia. Alla finedella oss. 35 in parentesi si suggeriscono parole come riconosce-re, desiderare, ricordarsi

    Si intravedono infatti subito analogie problematiche. Chedire, ad esempio, del desiderio? Se ci poniamo sulla via di una-nalisi introspettiva, dovremo interrogare Pietro o Paolo su checosa accade alluno o allaltro ogni volta che desidera qualcosa.Pietro ad esempio, se guarda dentro se stesso, avverte una miste-riosa sensazione che egli descrive dicendo che si tratta qualcosadi simile ad un sospiro inespresso. Si esprime proprio cos: Misembra che la mia anima sospiri. Tutto questo lo abbiamo sa-puto da lui. Paolo, pi concreto, sostiene invece di avvertire un

  • Commenti a Wittgenstein

    43

    senso di mancanza, di vuoto, che assai simile alla fame. Chi sisentirebbe di contraddirli? Essi sono gli unici testimoni di sestessi. Quanto a noi potremmo a nostra volta proporre altre sen-sazioni e altre descrizioni,

    Ma il desiderio non lanima sospirante di Pietro e nem-meno la fame di Paolo.

    Wittgenstein coglie in modo assai netto lirriducibilit de-gli atti intenzionali a sensazioni soggettive accessorie ed questo appunto il tratto comune con un modo di pensare feno-menologico. La pars destruens tuttavia prevale nettamente sullapars construens. La critica antipsicologistica non si traduce inuna proposta di analisi sistematica ed a tutto campo della varietdei modi di intendere e della loro struttura.

  • Commenti a Wittgenstein

    44

  • Commenti a Wittgenstein

    45

    IITorniamo sul terreno scabro!(Ric. Fil., oss. 43107)

  • Commenti a Wittgenstein

    46

  • Commenti a Wittgenstein

    47

    1. CHE CO SA IL SIGNIFICATO DI UN A PAROLA

    Alla concezione del linguaggio che d al rapporto tra nome e co-sa denominata unimportanza centrale, possiamo contrapporneunaltra che viene sintetizzata cos:

    Per una grande classe di casi anche se non per tutti i casi incui ce ne serviamo, la parola significato si pu definire cos: Ilsignificato di una parola il suo uso nel linguaggio. E talvoltail significato di un nome si definisce indicando il suo portatore(oss. 43).

    Questa osservazione pu essere considerata un primo importantepunto di arrivo. Se dovessimo fornire una rapida formulazionedella concezione di Wittgenstein del significato citeremmo pro-prio questa piccola frase: il significato di una parola il suouso nel linguaggio. Faremmo inoltre notare la stretta connes-sione tra questa definizione e ladozione del punto di vista deigiochi linguistici; ed anche la possibilit di riferirci a giochi lin-guistici che possiamo liberamente immaginare per operare chia-rimenti sui significati delle parole, sui concetti. La nozione digioco linguistico rimanda ad un tempo ad una filosofia del lin-guaggio ed a un metodo di chiarificazione filosofica.

    Quella frase tuttavia non deve essere intesa come se pro-ponesse una definizione realmente completa. Vi infattiquellinciso anche se non per tutti i casi: forse si allude an-cora ai nomi propri? Di fatto il dibattito sulla teoria della deno-minazione non si affatto concluso, nonostante il raggiungi-mento di un punto fermo.

    Dobbiamo ripensare ancora alle nostre considerazioni pre-cedenti su etichette e contrassegni. Limpiego di questa imma-gine suggerisce nuovi problemi. In generale, se debbo apporreuna etichetta, allora ci deve essere la cosa su cui letichetta deveessere apposta. Sarebbe assurdo ammettere che non esiste log-getto designato dal nome proprio; ed inversamente se loggettonon esistesse il nome proprio non sarebbe affatto un nome pro-

  • Commenti a Wittgenstein

    48

    prio, ma un segno privo di significato. Limmagine delletichettaorienta i nostri pensieri in questa direzione.

    Si apre allora il problema, che ha tutta una storia prima diWittgenstein ed anche dopo, una storia che sembra non finiremai, dei nomi propri di oggetti immaginari. La spada di Sigfridoha un nome proprio: essa si chiama Nothung. Ma siamo certiche essa sia veramente un nome proprio (prescindendo natural-mente dai significati inerenti al suo etimo)? Poich si tratta diuna spada mitica di un personaggio mitico, essa non esiste ecome potremmo su di essa apporre unetichetta o anche segnarlaa dito? Per introdurre questa espressione bisogna ricorrere aduna qualche determinazione attributiva, a ci che, seguendo unaterminologia proposta da Russell, viene di solito chiamatadescrizione. Stando allimmagine del nome come etichettadella cosa, la cosa non solo deve esistere, ma deve poter esisterequi ed ora di fronte a noi. Perci dovremmo arrivare a dichiarareche non solo Nothung ma anche Socrate un nome propriosolo in apparenza, ma non lo affatto nella sua essenza logica.

    Ma una volta che abbiamo imboccato una strada similedobbiamo seguirla fino in fondo. Di fronte a me vedo Pietro inpersona. Ma nulla mi garantisce che Pietro in persona ci sia real-mente, perch potrebbe trattarsi del fantasma di Pietro o di unamia allucinazione. Insistendo sullessenza logica del nome do-vremmo forse arrivare ad affermare che lunico nome propriocorrispondente a quellessenza sia la paroletta questo, per in-dicare qualcosa che mi sta di fronte, sia esso Pietro o il fantasmadi Pietro. Il qualcosa indicato dal questo, c senzaltro la con-dizione per lapposizione delletichetta viene allora rispettata. Ilquesto non pu mai essere privo di portatore (oss. 45).

    Una simile concezione del nome che riporta a quella diRussell, ma che ricorda anche in molti punti le tesi che Wittgen-stein stesso aveva sostenuto nel Tractatus viene attaccata conautentica aggressivit polemica.

    Che questo possa essere considerato un nome proprio,anzi il nome proprio per essenza, sembra essere considerato daWittgenstein poco meno che una che una pura e semplice cor-belleria. Egli, cos apparentemente propenso ad un atteggiamen-

  • Commenti a Wittgenstein

    49

    to elastico nelle distinzioni e nelle classificazioni, oppone a que-sto proposito una recisa esclusione:

    Chiamiamo nome cose molto differenti: la parola nomecaratterizza molti modi differenti tra loro variamente imparenta-ti di usare una parola; ma tra questi modi duso non si trovaquello della parola questo (oss. 38). Il nome proprio viene in-trodotto grazie al gesto ostensivo accompagnato dalla parolaquesto, che fa dunque parte dello stesso gesto ostensivo. Ecome introdurre allora ostensivamente la parola questo? (oss.38 e 45).

    La ragione di una presa di posizione tanto netta sta nelfatto che lobiettivo polemico oltrepassa il problema relativa-mente minuto in discussione, per colpire invece latteggiamentointellettuale da cui esso sorge: questa strana concezione ha in-fatti origine da una tendenza a sublimare, per dire cos, la logi-ca del nostro linguaggio (oss. 38). Si comincia con esempi dinomi propri a tutti familiari. Ma in luogo di avviare una rifles-sione su una possibile molteplicit del concetto di nome proprioche i differenti esempi che si possono addurre Pietro, No-thung, Socrate sembrano immediatamente suggerire, consi-derando i giochi linguistici tipici in cui essi si presentano, ci siinterroga sullessenza logica del nome, ammettendone che ve nesia una ed una sola. La domanda diventa allora: Che cosa ve-ramente un nome proprio?. Accezione corrente e accezione lo-gica si contrappongono luna allaltra. In questa contrapposizio-ne si annuncia una tendenza alla sublimazione che ci allontanadal terreno dei giochi linguistici, per elevarci al di sopra di essiverso la purezza di un pensiero non invischiato nei fatti delle-sperienza.

    Si badi tuttavia che per Wittgenstein non c da un lato lalogica e dallaltro i giochi linguistici, da un lato un uso correntee dallaltro un uso che non lo . Ogni uso corrente entro ungioco linguistico. Dunque anche ci che accade nella logica de-ve essere considerato alla luce dellidea del gioco linguistico.

  • Commenti a Wittgenstein

    50

    2. SEMPLICIT E CO MPO SIZION E

    La spada Nothung ha tuttavia da insegnarci ancora qualcosa. Inparticolare intorno al tema della semplicit e della composizio-ne. Ecco una variante dellesempio: Nothung sia una spada rea-le, proprio di fronte a noi, che ad un certo punto va in pezzi.Loggetto che il nome designa ora non esiste pi come un inte-ro unitario. Ci che esiste sono solo le sue parti, ognuna dellequali potrebbe avere un nome. Cosicch Nothung potrebbe esse-re inteso come nome che raccoglie i nomi delle parti e chesolo a questi nomi spetta il carattere di nomi propri autentici con la condizione aggiuntiva che queste parti siano parti ultime,indivisibili. Altrimenti largomento pu essere ripetuto. Inquanto indivisibili, e quindi in quanto oggetti semplici, essi esi-stono necessariamente. Ogni processo di distruzione pu essereinteso come una scomposizione, e palesemente se qualcosa semplice, non vi sar nulla da scomporre. Ammesso che esistanooggetti semplici essi saranno indistruttibili (oss. 39) .

    Nomi autentici, dal punto di vista logico, saranno dunquesolo nomi che designano entit assolutamente semplici. Si ripre-senta qui dunque lidea che vi sia una essenza logica dei nomi, equesta teoria dei nomi come segni di semplici una variantedella precedente che considerava questo come un