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Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana Dipartimento Economia Aziendale, Sanità e Sociale
Corso di laurea in Cure Infermieristiche
Lavoro di Tesi
(Bachelor Thesis)
di
Giorgia Baiocco
Compassion fatigue: strategie di coping
attuate dal personale infermieristico ospedaliero per fronteggiare la morte del
paziente
Direttrice di tesi:
Stefania Viale
Anno accademico: 2018-2019
Manno, 15 gennaio 2019
Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana Dipartimento Economia Aziendale, Sanità e Sociale
Corso di laurea in Cure Infermieristiche
Lavoro di Tesi
(Bachelor Thesis)
di
Giorgia Baiocco
Compassion fatigue: strategie di coping
attuate dal personale infermieristico ospedaliero per fronteggiare la morte del
paziente
Direttrice di tesi:
Stefania Viale
Anno accademico: 2018-2019
Manno, 15 gennaio 2019
“L’autrice è l’unica responsabile del lavoro di tesi”
ABSTRACT Background I decessi dei pazienti in ambito ospedaliero sono eventi ricorrenti con cui inevitabilmente l’infermiere professionista si confronta. La morte di un paziente può generare nell’infermiere profonde ripercussioni sul piano fisico, cognitivo, emotivo, comportamentale e spirituale. Pertanto l’esposizione a morte e dolore possono portare a compassion fatigue, condizione caratterizzata da esaurimento emotivo, che implica notevoli conseguenze sulla salute dell’infermiere e sulla qualità dell’assistenza fornita ai pazienti. Sorge quindi il bisogno di incrementare lo sviluppo di strategie di coping in grado di prevenire o minimizzare condizioni di disagio emotivo con conseguente accrescimento del benessere psicofisico. Obiettivi Lo scopo della ricerca è identificare quali siano le strategie di coping che l’infermiere può attuare di fronte all’insorgenza della condizione di compassion fatigue, venutasi a creare in seguito alla ripetuta esposizione a dolore e morte di pazienti in ambito ospedaliero. Gli obiettivi del lavoro sono quelli di identificare in che modo il decesso del paziente possa costituire un evento stressante per l’infermiere, comprendere in quale maniera possa instaurarsi una condizione di disagio psicologico come la compassion fatigue e analizzare le strategie di coping per farvi fronte. Metodo È stata effettuata una revisione sistematica della letteratura utilizzando le banche dati PubMed, CINHAL (EBSCO), MEDLINE. Gli articoli utili trovati sono stati 8. La ricerca è costituita dalle seguenti tappe metodologiche: formulazione della domanda di ricerca, formulazione dei criteri di inclusione ed esclusione, ricerca e selezione degli articoli, valutazione della qualità degli studi, analisi dei risultati e infine la discussione di questi ultimi. Risultati La letteratura analizzata evidenzia l’efficacia del coping per far fronte alla condizione di compassion fatigue, essendo stata riscontrata una correlazione positiva tra l‘attuazione di strategie di coping ed il benessere psicofisico dell’infermiere. Due studi, attraverso un seminario formativo, hanno incrementato nei partecipanti risorse interne personali quali: l'ottimismo, l'umorismo, la dimensione spirituale, le capacità cognitive e l'intelligenza emotiva. Sei articoli, hanno evidenziato ulteriori strategie di coping quali: il supporto dei colleghi, l’importanza dell'esperienza accumulata negli anni lavorativi e la realizzazione di strategie di auto-cura. Il distacco emotivo, seppur considerato una strategia di coping non adattiva, è risultato essere funzionale in cinque studi. Conclusioni Occorre una forte opera di sensibilizzazione al problema della compassion fatigue ed un significativo investimento in formazione considerando che l’infermiere che attua strategie di coping promuove il mantenimento/miglioramento del proprio benessere personale e professionale. Parole chiave Nurses, compassion fatigue, coping, death, dying, grief, educational program, self-care.
Sommario 1. Introduzione 1!
1.1 Motivazione personale 1!1.2 La ricerca 1!1.3 Scopo e obiettivi 1!1.4 Metodo di lavoro 2!
2. Quadro teorico 3!2.1 Definizione di compassion fatigue 3!
2.1.1 Differenze tra compassion fatigue e burnout 3!2.1.2 Sintomi 4!2.1.3 Raccolta dati 5!2.1.4 Chi è a rischio? 5!2.1.5 Compassione, empatia e compassion fatigue 6!2.1.6 Morte quale evento stressante per l’infermiere 7!
2.2 Definizione di coping 8!2.2.1 Compassion fatigue e coping 9!
3. Metodologia 12!3.1 Scelta della metodologia 12!3.2 Evidence-Based Practice 12!3.3 Tappe metodologiche 13!
4. Applicazione protocollo metodologico 16!4.1 Domanda di ricerca 16!4.2 Criteri di inclusione ed esclusione 16!4.3 Ricerca e selezione degli articoli 17!4.4 Valutazione della qualità degli studi 19!4.5 Sintesi dei risultati 20!
5. Risultati 29!5.1 Caratteristiche degli articoli selezionati 29!5.2 Prevalenza di compassion fatigue correlata all’evento morte 30!5.3 Coping adattivo 31!5.4 Coping non adattivo 34!5.5 Seminari formativi 35!
6. Discussione 37!6.1 Interpretazione dei risultati 37!6.2 Limiti degli studi 39!6.3 Implicazioni per la pratica professionale 40!
7. Conclusioni 44!7.1 Sviluppi per il futuro 44!
7.2 Riflessioni personali 45!8. Ringraziamenti 46!9. Bibliografia 47!10. Allegati 50!
10.1 Sintomi della compassion fatigue 50!10.2 The Professional Quality of Life Scale 51!10.3 Nursing Stress Scale 52!10.4 The Index of Clinical Stress 53!10.5 Moral Distress Scale 53!10.6 Utrecht Work Engagement Scale 54!10.7 The Social Readjustment Rating Scale 55!10.8 In der Schweiz wohnhafte Patienten, die in einem Schweizer Spital verstarben 56!10.9 E-mail per la richiesta di riferimenti bibliografici rispetto i dati della tabella “Gestorbene im Spital“ 57!10.10 Valutazione degli articoli Duffy 58!10.11 Risultati valutazione Duffy 61!
Indice delle tabelle e delle figure Tabella 1: Differenze tra compassion fatigue e burnout 4 Tabella 2: Pazienti svizzeri deceduti in ospedale 7 Tabella 3: Domanda di ricerca secondo il metodo PICO 16 Tabella 4: Criteri di inclusione ed esclusione 16 Tabella 5: Tabella dettagliata del processo di ricerca degli articoli 17 Tabella 6: Checklist valutazione di Duffy 19 Grafico 1: Diagramma di flusso (flow-chart) 18
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1. Introduzione 1.1 Motivazione personale Il lavoro di tesi (LT) che ho deciso di presentare, al termine del mio percorso di Bachelor in Cure Infermieristiche, indaga in modo approfondito, tramite una ricerca della letteratura bibliografica, le strategie di coping che l’infermiere in ambito ospedaliero può attuare per far fronte alla condizione di compassion fatigue, venutasi a creare in seguito alla ricorrente esposizione ad eventi luttuosi. Nel corso degli stage eseguiti ho avuto modo di confrontarmi svariate volte con il decesso dei pazienti e a livello personale mi sono ritrovata a dover far fronte alla morte di due familiari a me molto cari. Il confronto con la morte può far scaturire svariate emozioni che se non percepite ed analizzate, possono rappresentare una fonte di disagio che va ad influenzare il benessere psicofisico dell’infermiere e di conseguenza anche le prestazioni lavorative. Nel mio futuro personale e lavorativo mi dovrò confrontare con questo evento, proprio perché imprescindibile. Dunque il mio auspicio è di poter usufruire di molteplici strategie di coping, che mi permettano di sviluppare e mantenere le capacità emotive e comportamentali necessarie, per poter far fronte a lungo termine a questo evento doloroso e inevitabile. L’operato che segue è stato sviluppato ai fini del conseguimento del Bachelor in Cure Infermieristiche, presso il Dipartimento di economia aziendale, sanità e sociale della Scuola Universitaria della Svizzera italiana. 1.2 La ricerca In ambito ospedaliero la morte del paziente è un evento ricorrente con cui l’infermiere inevitabilmente si confronta nel corso della propria carriera. Si tratta di una circostanza che può generare un profondo effetto sul personale infermieristico, suscitando risposte fisiche, cognitive, emotive, comportamentali e spirituali (Wilson & Kirshbaum, 2011). Pertanto l’infermiere che si trovi a confrontarsi con l’evento morte può provare dispiacere, depressione, rabbia o senso di colpa (Papadatou, 2000). Inoltre, una frequente esposizione a morte e dolore può portare l’infermiere a sperimentare elevati livelli di stress con conseguente distacco emotivo dal paziente. In altri termini un tale stato costituisce una seria minaccia per il benessere psicofisico dell'infermiere e genera un impatto negativo sulla qualità dell’assistenza e delle prestazioni lavorative in genere (Khalaf et al., 2017). La condizione di disagio tipica dei professionisti della cura che assistono pazienti che soffrono, che sono gravemente malati e che muoiono viene denominata compassion fatigue (Sabo, 2006). L’infermiere è un promotore e sostenitore della salute in generale, per i pazienti ma anche per se stesso. La conoscenza è il primo passo per uno stile di vita sano, pertanto avere a disposizione svariate risorse di coping potrebbe risultare fondamentale per mantenere il proprio benessere individuale e di conseguenza un elevato standard di cura per i propri pazienti. 1.3 Scopo e obiettivi Lo scopo principale è di ricercare quali strategie di coping possano essere attuate dall’infermiere che lavora in ambito ospedaliero, al fine di far fronte alla condizione di compassion fatigue, venutasi a creare in seguito alla ricorrente esposizione a morte. Gli obiettivi della mia tesi sono:
• Incrementare le mie conoscenze relative all’evento morte ed alle conseguenze psicofisiche che tale evento causa sull’individuo.
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• Comprendere in che modo il decesso del paziente possa costituire un evento stressante per l’infermiere e identificare in quale maniera possa instaurarsi una condizione di disagio psicologico come la compassion fatigue.
• Approfondire il tema della compassion fatigue e analizzare le strategie di coping per farvi fronte.
• Crescere dal punto di vista personale per poter alimentare il mio benessere psicofisico, la motivazione professionale e la qualità delle cure prestate nel mio futuro lavorativo come infermiera professionista.
1.4 Metodo di lavoro Questa tesi di Bachelor revisiona in modo sistematico la letteratura disponibile sulle strategie di coping che si possono attuare per fronteggiare la condizione di compassion fatigue. Procederò quindi con una ricerca di testi di riferimento ad interesse infermieristico sulle banche dati, siti internet certificati e libri. Il lavoro di tesi è composto da tre parti principali. Nella prima parte, di quadro teorico, saranno forniti gli strumenti necessari al lettore per affrontare il tema della compassion fatigue e per comprendere le strategie di coping che si possono attuare al fine di prevenire e minimizzare le ripercussioni sul benessere psicofisico dell’infermiere. La seconda parte riguarda la metodologia del lavoro di tesi, dove vengono presentate le tappe metodologiche e l’applicazione del protocollo. Infine, la terza parte è dedicata all’analisi dei risultati e alla loro discussione, per terminare con le conclusioni del lavoro.
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2. Quadro teorico Lo scopo di questo capitolo è di accompagnare il lettore nel tema della compassion fatigue, in particolare ciò che comporta questa condizione e come può essere prevenuta, minimizzata o trattata, attraverso meccanismi di coping. 2.1 Definizione di compassion fatigue Il termine “compassion fatigue” è emerso per la prima volta circa venti anni fa, in uno studio inerente al burnout che colpiva la professione infermieristica. L’infermiera Carla Joinson (1992) lo usò per definire la “perdita della capacità di prendersi cura”, che era stata rilevata in alcune infermiere di pronto soccorso. Il termine indica uno stato di profondo consumo fisico, psichico e spirituale, accompagnato da un significativo dolore emotivo (Joinson, 1992). L’intensa cura da parte dell’infermiere e l’identificazione con la sofferenza del paziente, contraddistinguono la compassion fatigue, che spesso porta all’esaurimento emotivo (Papadatou, 2000). Molteplici fattori di stress ambientale come il carico di lavoro e la complessità dei bisogni dei pazienti (dolore, lesioni traumatiche e disagio emotivo), possono portare gli infermieri a provare stanchezza, depressione, rabbia, apatia e distacco (Boyle, 2011). Inoltre, dallo studio di Joinson (1992), emerse che in situazioni di stress l’infermiere può provare anche disturbi somatici come mal di testa, insonnia e problemi gastrointestinali (Joinson, 1992). Negli anni a seguire, il maggior esponente che trattò il tema della compassion fatigue fu il professore di psicologia e salute mentale Charles Figley. Egli (1995) inizialmente coniò il termine “stress traumatico secondario” (STS) e lo definì come una condizione comprendente sintomatologie di tipo post-traumatico, ovvero l’insieme di reazioni comportamentali ed emotive dovute all’esposizione ad eventi traumatici, sperimentati da terzi o in seguito all’aiuto fornito a persone sofferenti (Charles R. Figley, 1995). In seguito lo stesso autore citò la condizione di compassion fatigue e la definì come un insieme di sentimenti di profonda solidarietà e comprensione per qualcuno colpito da dolore, caratterizzata da un forte desiderio di alleviarne la sofferenza o eliminarne la causa (Charles R. Figley, 1995). Dunque la compassion fatigue descrive una condizione di stress cumulativo che tende ad aumentare con il tempo, soprattutto se l’infermiere colpito ignora i propri sintomi e non soddisfa i propri bisogni emotivi. La compassion fatigue è caratterizzata da uno stato progressivo di disagio emotivo. Evolve dal disagio compassionevole (compassion discomfort), allo stress della compassione (compassion stress) fino alla fatica della compassione (compassion fatigue); uno stato in cui l’energia compassionevole impiegata dall’infermiere supera la capacità dello stesso di recuperare da questo dispendio energetico, con conseguenze fisiologiche e psichiche negative. Se questo fenomeno non viene affrontato nelle fasi iniziali può portare alterazioni permanenti nelle capacità dell’infermiere di assistere e curare un paziente (Boyle, 2011). 2.1.1 Differenze tra compassion fatigue e burnout Negli anni a venire, in seguito alla prima citazione dell’autrice Joinson nel 1992, il fenomeno della compassion fatigue non venne definito totalmente come una condizione a sé stante, nonostante fosse stato osservato negli operatori sanitari e riportato in letteratura. Pertanto, il termine compassion fatigue veniva usato in modo intercambiabile con il fenomeno del burnout. Difatti la compassion fatigue veniva considerata come una forma di burnout specifica per gli operatori sanitari (Todaro-Franceschi, 2013). In seguito le due sindromi vennero definite come entità separate, nonostante condividano svariate somiglianze.
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Le strategie di sopravvivenza fallite ed il mancato raggiungimento degli obiettivi, possono generare entrambe le condizioni. Il burnout nasce quando il raggiungimento dell’obiettivo non viene soddisfatto, mentre la compassion fatigue si instaura quando gli interventi di cura non hanno successo e dunque insorgono nell’infermiere sentimenti di angoscia e senso di colpa. Con entrambe le condizioni si provano sentimenti di frustrazione, impotenza e diminuzione del morale (Sabo, 2006). La compassion fatigue si distingue dal burnout principalmente per tre motivi: fattori scatenanti (eziologia), cronologia e risultati (Boyle, 2011). Il burnout è generato dai conflitti che si instaurano all’interno dell’ambiente di lavoro. Questi conflitti possono includere disaccordi con dirigenti o colleghi di lavoro, insoddisfazione per il salario, sovraccarico lavorativo o condizioni di lavoro inadeguate. La compassion fatigue, invece, deriva dalle relazioni che gli infermieri instaurano con i loro pazienti e i rispettivi familiari e nasce dall’impegno e dall’investimento emotivo nella relazione con questi ultimi. Inoltre il burnout ha un’insorgenza graduale e progressiva, che tende via via a consumare l’operatore a tal punto che questo si sente sopraffatto dal proprio lavoro (Boyle, 2011). Invece la compassion fatigue ha un esordio improvviso e acuto e può insorgere anche in seguito ad una singola esposizione ad una condizione acuta di dolore e sofferenza (Charles R. Figley, 1995). Mentre l’infermiere colpito da burnout si ritira gradualmente, l’infermiere con compassion fatigue cerca di dare sempre di più ai pazienti bisognosi, fino ad avere conseguenze psicofisiche decisamente negative. Entrambi i risultati, tuttavia, hanno in comune un senso di esaurimento fisico ed emotivo interiore (Boyle, 2011). Tabella 1: Differenze tra compassion fatigue e burnout Variabile Burnout Compassion fatigue Eziologia Risposta a fattori di stress
lavorativi o ambientali: superiori, colleghi, carico di lavoro, processo decisionale, risorse inadeguate.
Conseguenze dell’assistere e fornire cure a coloro che soffrono.
Cronologia Insorgenza graduale nel tempo Insorgenza improvvisa e acuta Risultati Stress emozionale cronico che
può portare al ritiro in se stessi e, nei casi più gravi, condurre all’abbandono della professione.
Squilibrio delle capacità empatiche e dell’obiettività determinato dalla tenacia nel voler fornire assistenza. Ritiro in se stessi, e, nei casi più gravi abbandono della professione.
Fonti: Bush, 2009; Charles R. Figley, 1995; Sabo, 2006; Showalter, 2010 2.1.2 Sintomi Diversi autori hanno descritto i sintomi della compassion fatigue. Questi vengono suddivisi per categorie: emotivi, fisici, sociali, professionali e spirituali. Dunque questa condizione di disagio può influire negativamente sulla globalità delle sfere biopsicosociali dell’individuo (Aycock & Boyle, 2009; Coetzee & Klopper, 2010; Charles R. Figley, 1995; Lombardo & Eyre, 2011; Showalter, 2010; Todaro-Franceschi, 2013). È stata realizzata una tabella per esporre nel dettaglio i sintomi suddivisi per categorie (vedi allegato 9.1). Le manifestazioni emotive principali comprendono sbalzi d’umore, irrequietezza, rabbia, ansia, apatia, depressione. I sintomi fisici includono una sensazione di aumento dei disturbi somatici e notevole fatica cronica. Per quanto riguarda i sintomi sociali, invece, possono insorgere sentimenti di isolamento, sofferenza e ritiro in se stessi. A livello lavorativo, le manifestazioni di compassion fatigue, possono portare ad evitare
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determinati pazienti, ad una ridotta capacità empatica ed a fenomeni di assenteismo per malattia. Infine i sintomi della sfera spirituale possono consistere in una diminuzione del discernimento, quindi della capacità di distinguere il bene dal male, ed in una mancanza di consapevolezza spirituale (Aycock & Boyle, 2009; Coetzee & Klopper, 2010; Charles R. Figley, 1995; Lombardo & Eyre, 2011; Showalter, 2010; Todaro-Franceschi, 2013). Ciascuno di questi sintomi potrebbe confermare l’insorgenza di compassion fatigue, tuttavia è importante ricordare che solo la concomitanza di più sintomi sopra elencati, può accertare nell’individuo tale condizione (Lombardo & Eyre, 2011). Pertanto gli effetti cumulativi della compassion fatigue non trattata possono avere conseguenze negative sulla salute fisica, psicologica, professionale e sociale (Bush, 2009). 2.1.3 Raccolta dati La raccolta dati relativa alla presenza o meno di compassion fatigue, è basata sulla valutazione della sintomatologia descritta nel capitolo “2.1.2 Sintomi”. La scala maggiormente utilizzata per valutare la presenza di compassion fatigue è “The Professional Quality of Life Scale” (ProQOL) (H. E. Stamm, 2009) (vedi allegato 9.2). Questo test misura, in autovalutazione, gli effetti positivi e negativi del fornire assistenza a persone sofferenti valutando il grado di compassion fatigue, compassion satisfaction e burnout. Il test è composto da 30 domande riguardanti esperienze professionali positive e negative, avute nell’ultimo mese, a cui si può attribuire un punteggio. La “ProQOL” viene utilizzata per l’indagine su popolazioni di operatori sanitari (B. H. Stamm, 2002). Diversi studi presi in considerazione includono anche “Nursing Stress Scale” (NSS), “The Index of Clinical Stress” (ICS), “Moral Distress Scale”, “Utrecht Work Engagement Scale” (UWES) e “The Social Readjustment Rating Scale” (SRRS). Si tratta di scale di valutazione che vengono usate per rilevare il livello di stress e i fattori stressanti di un determinato campione posto in analisi (vedi allegati da 9.3 a 9.7). Queste però non pongono l’attenzione sui dati relativi ai livelli di compassion fatigue, come la “ProQOL”. 2.1.4 Chi è a rischio? La compassion fatigue si instaura nei professionisti che sono a contatto con la sofferenza altrui. Questi professionisti includono i primi soccorritori (vigili del fuoco, polizia e paramedici), infermieri, medici, psicoterapeuti e volontari che si prendono cura di vittime di trauma (Todaro-Franceschi, 2013). Gli infermieri sono particolarmente a rischio di compassion fatigue, poiché giornalmente si trovano a doversi confrontare con la sofferenza dei pazienti e delle loro famiglie. In particolare sembra che i più colpiti da questa sindrome siano gli infermieri impiegati in reparti in cui sono ricoverati pazienti con malattie gravi che spesso presentano una prognosi infausta (Todaro-Franceschi, 2013). Diversi sono i fattori che possono contribuire all’insorgenza della compassion fatigue. Secondo l’autrice Boyle (2011) questi sono: stati affettivi dell’infermiere; aspettative cognitive e capacità individuali di elaborare le informazioni; meccanismi di difesa; effetti dello stress sulle competenze personali di aiuto, sulle credenze ideologiche e sui sistemi di significato; abilità di coping e tecniche relative alla gestione dello stress; esperienze di sofferenza simili nella propria vita (Boyle, 2011). Figley (1995) sostiene che la capacità di compassione e l'empatia sono al centro dell’assistenza infermieristica, ma, allo stesso tempo, possono determinare l'insorgere della compassion fatigue (Charles R. Figley, 1995). Dunque queste due abilità sono sicuramente risorse imprescindibili che permettono di fornire assistenza di qualità ai malati, ma vengono considerate “armi a doppio taglio”, poiché costituiscono anche
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caratteristiche di vulnerabilità per l’infermiere. All’inizio della carriera professionale, l’operatore sanitario ha la falsa illusione di essere protetto dal dolore e dalla perdita di coloro che cura e che riuscirà a mantenere l’obiettività e l’equilibrio, tutto questo grazie alla formazione e alla preparazione ricevuta (B. H. Stamm, 2002). Purtroppo ciò non è sempre così, difatti la compassion fatigue è una conseguenza naturale e non prevedibile dell’essere quotidianamente a contatto con pazienti sofferenti (Charles R. Figley, 1995). Naturalmente questo non è generalizzabile, infatti svolgere una professione di aiuto non include unicamente conseguenze negative. Vi sono sensazioni positive che un soggetto può provare lavorando con persone traumatizzate o sofferenti. Il concetto di compassion satisfaction, descrive le sensazioni positive che si provano aiutando gli altri e svolgendo il proprio lavoro (B. H. Stamm, 2002). Questo termine, nella professione infermieristica, viene utilizzato per descrivere la soddisfazione che deriva dal prendersi cura dell’altro. Inoltre, per rafforzare il principio di soggettività individuale, le teorie dello stress e del coping affermano che non è unicamente un determinato fattore a definire o caratterizzare una situazione come stressante o meno, bensì è la reazione, individuale, alla causa scatenante che definisce la risposta di coping e di conseguenza lo stabilirsi dello stress (Zani & Cicognani, 1999). Le risposte di coping adattive sono approcci orientati all’azione e risoluzione del problema, mentre i meccanismi di coping inefficaci (evitamento, rifugiarsi nell'apatia, tendere a ritrarsi, abusare di cibo o sostanze) portano all’instaurarsi della frustrazione e dello stress cronico (Cariota Ferrara & La Barbera, 2006). Fattori di stress personali, strategie di coping non adattive e mancanza di supporto adeguato costituiscono tutti elementi che possono portare l’infermiere in una condizione di compassion fatigue (Bush, 2009). 2.1.5 Compassione, empatia e compassion fatigue La compassione e l’empatia sono elementi imprescindibili di carattere naturale, che dovrebbero distinguere l’infermiere professionista. La compassione è un istinto innato che non va creato, bensì coltivato al fine di perfezionare le nostre capacità (Lief, 2007). La compassione implica tre fattori: la consapevolezza, la benevolenza e l’apertura. Il primo fattore implica la valutazione cosciente del proprio essere, tralasciando chi desidereremmo essere o chi dovremmo diventare secondo terzi. La benevolenza è un potenziamento della consapevolezza, specificamente diventando più sinceri con se stessi si apprezza maggiormente la propria natura. Esercitando entrambi gli elementi si sviluppa una maggiore apertura, che permette alla compassione di manifestarsi (Lief, 2007). La compassione si fonda sull’empatia, ossia sull’opportunità di essere toccati dalla sofferenza altrui. Vi sono differenti livelli di empatia, chi è notevolmente compassionevole è talmente turbato dal dolore dell’altro da sentirsi ferito e talvolta in condizione di disagio. Invece chi è meno sensibile al dolore solitamente viene considerato possedere strategie per affrontare con forza la vita e la morte. Vi è infine un equilibrio, che anziché cedere o evitare la sofferenza, coinvolge l’accettazione della complessità dell’esistenza, che permette di dare spazio all’autenticità della compassione dedicandosi alla volontà e all’impegno di aiutare il prossimo, alleviandone ove possibile il dolore e la sofferenza (Lief, 2007). Tuttavia diversi autori e ricercatori hanno osservato che gli aspetti principali della relazione terapeutica quali, compassione, empatia e impegno, sono sì componenti fondamentali dell’assistenza infermieristica ma altresì giocano un ruolo importante nell’insorgenza dello stress. Difatti la compassion fatigue sorge nel momento in cui l’infermiere instaura una relazione empatica con un paziente sofferente e assimila inconsciamente il disagio vissuto dal malato. L’interiorizzazione del dolore dei pazienti può far scaturire sentimenti di auto-colpa e impotenza per l’infermiere, soprattutto se queste situazioni si verificano ripetutamente nel tempo (Bush, 2009). È stato dimostrato
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che gli individui che mostrano alti livelli di risposta empatica al dolore, alla sofferenza o all’esperienza traumatica di un paziente, sono maggiormente vulnerabili all’esperienza della compassion fatigue (Charles R. Figley, 1995). Al contrario, la compassion satisfaction rispecchia l’aspetto positivo di aiutare coloro che vivono condizioni di sofferenza e stress (Sabo, 2011). 2.1.6 Morte quale evento stressante per l’infermiere Curare ha un costo, i professionisti della salute, che accolgono dolore e sofferenza dei loro pazienti, possono avere paura, provare dolore e sofferenza simili perché si preoccupano (Charles R. Figley, 1995). Gli infermieri sono particolarmente vulnerabili alla condizione di compassion fatigue. Spesso entrano a far parte delle vite dei pazienti, in momenti critici e delicati, diventando compagni e osservatori durante la loro sofferenza. La capacità empatica relazionale, unita all’esposizione continua a sofferenza e dolore cumulativo, colloca gli infermieri al centro di un ambiente caratterizzato da tristezza e perdita (Boyle, 2011). Pertanto gli infermieri che lavorano in ospedale sono inevitabilmente esposti a quesiti che circondano la vita e la morte. A confermare ed avvalorare questo fenomeno, i dati dell’Ufficio Federale di Statistica Svizzera riportano che negli ultimi otto anni, mediamente il 39.6% dei decessi avvenuti in Svizzera, è accaduto in ambito ospedaliero (Erwin K. Wüest - Office fédéral de la statistique, 2018). Questo dato indica che poco meno della metà della popolazione Svizzera, a prescindere dalle cause e dalla volontà del singolo, decede in una struttura ospedaliera. Tabella 2: Pazienti svizzeri deceduti in ospedale Anno Decessi in ospedale Totale dei decessi Percentuale decessi
ospedalieri di tutti i decessi
2017 25’809 66’971 38.5% 2016 25’714 64’964 39.6% 2015 26’087 67’608 38.6% 2014 25’592 63’938 40.0% 2013 26’105 64’961 40.2% 2012 25’450 64’173 39.7% 2011 25’199 62’091 40.6% 2010 25’147 62’649 40.1%
Fonte: Erwin K. Wüest - Office fédéral de la statistique, 2018 L’infermiere prova quasi inevitabilmente dolore dopo la morte di un paziente, ma questo viene spesso ignorato. L’esposizione costante alla sofferenza altrui e l’intento di sopprimere i sentimenti associati alla morte, possono comportare pesanti rischi per l’infermiere tra cui la condizione di compassion fatigue. Questa influisce negativamente sul benessere psicofisico dell’infermiere e sull’efficienza dell’assistenza infermieristica. Il professionista perde la capacità di fornire lo stesso livello di compassione per i pazienti e le proprie famiglie, come aveva fatto fino a quel momento (Brosche, 2007). La professione infermieristica include l’assistenza a persone sofferenti, affette da malattie croniche e con esito spesso mortale. Talvolta questa circostanza può generare nell’infermiere una sensazione di incapacità (Wilson & Kirshbaum, 2011). Nel frangente in cui un paziente muore, gli infermieri devono essere pronti a trattare la morte come parte integrante del loro lavoro. Ci si aspetta che essi rimangano calmi e composti e che si occupino delle formalità legate al caso (Brosche, 2007). Pertanto, benché la morte di un paziente susciti sensazioni di perdita e dolore
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nell’infermiere, queste risposte emozionali vengono spesso represse. Doka (2002) definisce questo fenomeno “dolore senza diritti”, qualcosa che è nascosto o proibito, poiché esprimere reazioni al dolore è percepito come inopportuno o non professionale dal sistema sanitario vigente (Kenneth J. Doka, 2002). Gli infermieri non si permettono di mostrare le proprie emozioni ai loro pazienti e col passare del tempo questa privazione porta all’instaurarsi della compassion fatigue (Wakefield, 2000). Il tentativo di creare una relazione basata sull’empatia e la fiducia con il paziente, in concomitanza allo sforzo di non farsi coinvolgere in maniera eccessiva da quest’ultimo e dal contesto che lo circonda, è un motivo importante di stress per il professionista. Cercare di trovare il giusto livello di coinvolgimento con il paziente morente è uno dei ruoli più difficili da svolgere per gli infermieri (Wakefield, 2000). 2.2 Definizione di coping Il coping è definito come un processo adattivo che implica gli sforzi di un individuo per far fronte (to cope) ad una circostanza stressante, al fine di eliminare, ridurre o tollerare gli effetti negativi prodotti dalla situazione stessa. Si tratta dunque di un processo che tende all’adattamento alla condizione (fronteggiamento efficace che sventa o riduce la fonte di stress) o all’accomodamento (strategia che rende per lo meno tollerabile lo stress) (Cariota Ferrara & La Barbera, 2006). Il coping è un variabile transazionale che è in funzione del soggetto e del contesto. È caratterizzato da diversità intra-individuali, quindi diverse modalità di affrontare la stessa situazione tra individuo e individuo e differenze inter-individuali, cioè quando la stessa situazione viene affrontata in modo diverso e in momenti differenti dallo stesso soggetto (Zani & Cicognani, 1999). La valutazione e il coping dipendono da caratteristiche interne, come salute, energia, sistema personale di credenze, obiettivi della vita, autostima, abilità professionali, sociali e di problem-solving (Brunner, Suddarth, Smeltzer, & Nebuloni, 2010). Dunque la diversità di reazione può essere determinata da caratteristiche oggettive della circostanza, o dal modo di interpretarla da parte del soggetto, in base al suo trascorso e alle sue variabili di personalità (Zani & Cicognani, 1999). La complessità nella lettura dello stress e del coping, sta nello spostare l’attenzione individuale posta sul soggetto e sul contesto verso il loro incontro situazionale. Si può dedurre che solitamente quando l’individuo valuta di poter modificare la situazione domina la funzione attiva, mentre quando interpreta la circostanza di difficile soluzione prevale quella palliativa. Talvolta la funzione attiva può essere preponderante rispetto quella palliativa o viceversa (Cariota Ferrara & La Barbera, 2006). Il coping svolge due ruoli: modificare la situazione problematica (problem focused coping) e modificare le reazioni emotive provocate dalla condizione stressante (emotion focused coping). In ogni tentativo di far fronte allo stress, queste due funzioni sono sempre presenti ed interdipendenti (Zani & Cicognani, 1999). Il coping centrato sull’emozione tenta di migliorare lo stato emotivo dell’individuo, diminuendo così il livello di stress, mentre il coping centrato sul problema tende ad apportare cambiamenti diretti al contesto, al fine di rendere la situazione gestibile con maggiore efficacia (Brunner et al., 2010). Generalmente si tende a descrivere maggiormente efficaci le strategie indirizzate alla risoluzione del problema, piuttosto che all’evitamento. Ciononostante, alle volte, i quesiti oggettivamente “impossibili” da risolvere, portano il soggetto a focalizzarsi prevalentemente sulla diminuzione dell’impatto emotivo negativo e di conseguenza questo permette di provare livelli inferiori di stress. Diversamente, gli individui che dinnanzi un problema “impossibile” tendono a ricercare la soluzione a tutti i costi,
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finiscono per scontare un tributo superiore in termini di disagio personale. La tendenza duratura ad evitare i problemi, alla lunga, non si dimostra produttiva. Bensì le strategie di coping volte a risolvere i problemi, risultano a medio-lungo termine più efficaci (Cariota Ferrara & La Barbera, 2006). Rispetto al coping, è importante distinguere i concetti di strategia, stile e risorsa. Le strategie di coping sono le modalità di cui il soggetto dispone e che può attuare per affrontare la situazione. Vi sono otto diverse strategie di coping: affrontare direttamente il problema; pianificazione; distanziamento; autocontrollo; ricerca di sostegno sociale; accettazione della responsabilità; evitamento; rivalutazione positiva. Gli stili di coping includono le tendenze relativamente stabili degli individui che sono in relazione con le caratteristiche di personalità: a dipendenza della situazione, ogni persona può affrontare attivamente il problema o tendere all’evitamento. Gli stili sono soggetti a variazioni nel tempo e in base alle situazioni specifiche. Le risorse di coping sono tutti quei fattori materiali, simbolici o sociali, a cui il soggetto può far riferimento per far fronte allo stress. Come la formazione culturale, le capacità (intelligenza, creatività), le abilità specifiche (skill), le risorse materiali (denaro) e sociali (familiari, amici, supporto istituzionale) (Cariota Ferrara & La Barbera, 2006). 2.2.1 Compassion fatigue e coping La gestione della compassion fatigue deve essere molteplice e comprendere la prevenzione, la valutazione e la minimizzazione delle conseguenze (Charles R. Figley, 1995). Il punto centrale di ogni intervento per gestire la compassion fatigue, è la necessità di riconoscere la sua presenza in modo proattivo (Boyle, 2011). In letteratura, vengono considerate diverse strategie di prevenzione e intervento, volte a mantenere o ristabilire il benessere psicofisico dell’infermiere. L’autrice Todaro (2013) riconosce tre fasi principali di intervento: essere consapevoli delle proprie sensazioni (o della ferita che deve guarire); riconoscere le scelte e le azioni che possono essere intraprese per affrontare la condizione; occuparsi di se stessi e degli altri (Todaro-Franceschi, 2013). Nella prima fase è importante che l’infermiere si renda conto di cosa lo irrita o lo intristisce durante la giornata lavorativa. Nel secondo stadio, in base alle cause che hanno scaturito la compassion fatigue, bisogna riconoscere le azioni che vanno intraprese al fine di affrontare questa condizione. Infine, l’ultima fase comprende l’auto-cura, cioè occuparsi di se stessi e di come si interagisce con gli altri. Ciò include qualsiasi attività che permette di soddisfare i propri bisogni; come partecipare a meditazione, yoga, ritiri, programmi di educazione e programmi di assistenza volti agli operatori sanitari (Todaro-Franceschi, 2013). L’intervento principale risulta essere la prevenzione o minimizzazione della ricorrenza di compassion fatigue, attraverso la consapevolezza dell’esistenza di questa condizione. Anche secondo l’autrice Boyle (2011) ci sono tre categorie principali di intervento in caso di compassion fatigue. Queste sono l’equilibrio tra lavoro e vita privata, l’istruzione e programmi di lavoro (Boyle, 2011). L’equilibrio tra lavoro e vita privata permette agli infermieri di investire tempo ed energie per prendersi cura di se stessi al fine di curare gli altri. Si tratta di stabilire un piano di auto-cura che ha lo scopo di migliorare e mantenere uno stato di calma (Boyle, 2011). Questa pratica viene anche definita “egoismo responsabile” o “cura compassionevole per se stessi”. Dunque affinché i curanti possano offrire cure di qualità ai loro pazienti, devono
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praticare la riflessione e la consapevolezza interiore per soddisfare i propri bisogni emotivi (Bush, 2009). Uno stile di vita sano e regolare caratterizzato da esercizio fisico, rilassamento, mantenimento di un adeguato sonno e alimentazione e supporto da parte degli altri, sono fondamentali per l’equilibrio della propria vita e del lavoro, poiché la concentrazione è focalizzata su attività piacevoli e soddisfacenti e non unicamente sul lavoro. La meditazione è un’altra strategia di auto-cura (Boyle, 2011). Diventare consapevoli delle proprie risposte agli stimoli stressanti permette di non cadere in comportamenti inefficaci e dannosi per l’infermiere stesso (es. automedicazione con alcool o sostanze stupefacenti) o per gli altri (es. incolpare i colleghi, lamentarsi, inveire contro gli altri). L’equilibrio tra vita personale e lavoro richiede l’introspezione da parte dell’infermiere in concomitanza con l’azione, elementi che permettono di garantire la longevità professionale (Boyle, 2011). Per quanto riguarda l’istruzione, è fondamentale che la sensibilizzazione al tema della compassion fatigue sia integrata in tutti i programmi di studio per infermieri universitari, affinché vi sia una maggiore consapevolezza dei bisogni emotivi che possono affliggere l’energia del professionista in cure infermieristiche. Dunque dei programmi di formazione che aumentino le competenze di supporto emotivo nella pratica infermieristica e degli incontri interdisciplinari di gruppo che integrino la prospettiva umanistica nell’assistenza sanitaria. Queste risultano essere eccellenti modalità per sviluppare strategie di coping personali (Boyle, 2011). La terza categoria è costituita dai programmi di intervento forniti sul posto di lavoro. Si tratta di incontri che affrontano il disagio emotivo degli infermieri e possono essere molto efficaci nel ridurre la compassion fatigue. Gli obiettivi di questi programmi sono: la riduzione dei conflitti interpersonali lavorativi, la diminuzione del turnover infermieristico e l’aumentata collaborazione e soddisfazione interprofessionale. Tuttavia, attualmente, vi sono poche strutture o sistemi sanitari che offrono queste opportunità per gestire i bisogni emotivi che induce talvolta la pratica infermieristica (Boyle, 2011). Uno dei programmi che viene spesso citato in letteratura è “Accelerated Recovery Program” (ARP) (Gentry, J. E, Baranowsky, A. B, & Dunning, K, 2002). Si tratta di un protocollo di trattamento che prevede cinque aree di intervento, che hanno lo scopo di incrementare le abilità dei curanti e ridurre al minimo la compassion fatigue. Queste aree sono: capacità di resilienza; autogestione e cura di sé; relazioni con gli altri; acquisizione di competenze; risoluzione dei conflitti (Gentry, J. E et al., 2002). Gli obiettivi di questo programma di trattamento sono principalmente otto: identificare e capire ciò che scatena i sintomi della compassion fatigue e sviluppare uno schema; valutare i metodi presenti per affrontare le difficoltà nella pratica e cominciare a sviluppare e mantenere strategie di auto-cura; identificare le risorse interne ed esterne disponibili per sviluppare e mantenere la capacità di resilienza; conoscere e padroneggiare le tecniche di riduzione del disagio; imparare i fondamenti dell’auto-controllo; migliorare la cura di se stessi e definire dei limiti al coinvolgimento personale; apprendere e utilizzare il video-dialogo (tecnica per la risoluzione dei conflitti interni); sviluppare un piano di autocura (Gentry, J. E et al., 2002). Numerosi adattamenti di questo programma sono stati pubblicati dallo stesso autore e dai suoi collaboratori negli anni successivi. In particolare Flarity (2013) e Potter (2015), insieme a Gentry, hanno applicato nei loro studi una rielaborazione dei cinque punti chiave del programma (Flarity, Gentry, & Mesnikoff, 2013; Potter, Pion, & Gentry, 2015):
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- Self-regulation (autoregolazione): quando si percepisce una situazione di minaccia (stress), consiste nell’abilità di percepire coscientemente l’attivazione del sistema simpatico e deviarlo verso l’attivazione del parasimpatico, diminuendo volontariamente la tensione e rilassando i muscoli.
- Intentionality (intenzionalità): sviluppo della consapevolezza della propria missione professionale, al fine di apprezzare maggiormente il proprio lavoro e mantenersi in uno stato di rilassamento, invece di reagire impulsivamente agli stimoli esterni.
- Self-care (cura di sé): qualsiasi attività che permette di ricaricare l’energia usata nell’assistenza dei malati. Queste includono attività sociali, fisiche, spirituali, intellettuali e creative.
- Connection (connessione): instaurare una rete di supporto con i colleghi professionisti per potersi confrontare rispetto alle situazioni di disagio.
- Perceptual maturation (maturazione percettiva): mantenere la coerenza tra il proprio pensiero e il proprio operato, piuttosto che cercare la convalida delle proprie azioni dagli altri. Non focalizzarsi unicamente sul risultato, bensì cercare di dare il meglio di sé in ogni situazione.
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3. Metodologia In questo capitolo verrà presentata e approfondita la metodologia scelta per la stesura della presente ricerca. In seguito, nel capitolo “3.3 Tappe metodologiche”, verrà indicato quali tappe si è deciso di percorrere e il protocollo di ricerca utilizzato. 3.1 Scelta della metodologia Per redigere questa ricerca vi erano a disposizione tre metodologie: quantitativa, qualitativa o revisione bibliografica. Per questo progetto di tesi si è deciso di effettuare una revisione della letteratura in quanto si ritiene essere la metodologia di ricerca più idonea. La revisione della letteratura è una sintesi scritta delle evidenze rispetto un determinato quesito. Lo scopo principale delle revisioni della letteratura è di integrare le evidenze di ricerca al fine di presentare un panorama delle conoscenze e le lacune della ricerca. Le revisioni della letteratura possono consistere unicamente in documenti indipendenti rivolti ai lettori interessati oppure possono essere usate per porre le basi per ulteriori studi (Denise F. Polit, Beck, & Palese, 2014). Con il termine letteratura si indica la letteratura scientifica basata sui dati (ricerca) e la letteratura concettuale (teorica) (LoBiondo-Wood, Haber, & Palese, 2004). Perciò il materiale pubblicato nei libri, negli articoli di riviste, tesi o opuscoli, sono considerati letteratura scientifica (Sironi, 2010). Dunque la revisione della letteratura è l’analisi sistematica e critica della letteratura scientifica più autorevole pubblicata relativa a un determinato argomento allo scopo di evidenziare lacune nelle conoscenze tali da motivare lo studio presentato e al contempo, sviluppare valide basi teoriche per condurlo (Sironi, 2010). Vi sono due tipologie principali di revisione della letteratura: la revisione della letteratura narrativa o tradizionale e la revisione sistematica della letteratura. La prima mira ad offrire una visione generale dell’argomento, risponde a domande generiche e offre una conoscenza di base (LoBiondo-Wood et al., 2004). Lo scopo di una revisione della letteratura tradizionale è di capire quali siano le ricerche più significative rispetto ad un determinato tema (Denise F. Polit et al., 2014). La revisione sistematica della letteratura, invece, è simile ad una ricerca scientifica primaria. La revisione sistematica, concentrandosi sull’analisi di aspetti specifici, mira a rispondere a quesiti particolari e segue protocolli ben definiti, al fine di identificare tutta la letteratura basate su prove di efficacia che rispondano alla domanda clinica posta (LoBiondo-Wood et al., 2004). 3.2 Evidence-Based Practice Le evidenze scientifiche hanno lo scopo di rispondere a domande, chiare e mirate, riguardanti problematiche relative ad uno o più pazienti. La comunità scientifica ha redatto dei criteri al fine di avere unicamente delle ricerche di buona qualità (Pisacane & Panico, 2005). In questo modo le Evidence-Based Practice (EBP) danno la possibilità di ricercare e cogliere le migliori evidenze scientifiche e di usufruire di queste al fine di prendere le migliori decisioni cliniche per l’assistenza e la cura del paziente; proponendo dunque, possibili soluzioni a quesiti clinici (Denise F. Polit et al., 2014). Nella pratica infermieristica, l’attuazione di un approccio Evidence-Based, richiede l’interazione tra l’esperienza clinica individuale (percepire le problematiche del paziente ed ipotizzare soluzioni) e le migliori evidenze cliniche presenti in letteratura (Pisacane & Panico, 2005). L’EBP (Evidence-Based Practice) è un concetto più ampio del solo utilizzo dei risultati della ricerca, poiché include altre dimensioni della presa di decisioni in ambito clinico, quali: il livello di competenza del professionista, le risorse disponibili e i valori del paziente (Sironi, 2010). Con il termine “Evidence” si intende prova di efficacia, ossia il risultato di un processo di analisi e verifica. Quindi l’Evidence è il risultato di un percorso che implica
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l’utilizzo di una metodologia esplicita, logica e sequenziale, che assume un valore all’interno di una comunità scientifica/professionale (Sironi, 2010). In un approccio di pratica clinica basato sulle evidenze, bisogna seguire alcune tappe. Dapprima si formula un quesito clinico chiaro che emerge dall’assistenza al paziente (Pisacane & Panico, 2005). In seguito si svolge una ricerca sistematica per fornire una risposta alla domanda posta e si valutano in modo critico le evidenze scientifiche trovate, in termini di validità e applicabilità sul paziente (Pisacane & Panico, 2005). Infine si integra l’esperienza personale alle evidenze rilevate e si eroga assistenza al paziente, tenendo sempre conto delle sue esigenze, preferenze e desideri, senza dimenticare di valutare se le soluzioni proposte rispondono al quesito iniziale (Pisacane & Panico, 2005). Sironi (2010) sostiene che ogni professionista debba acquisire l’Evidence-Based Practice come metodologia per prendere decisioni nell’assistenza infermieristica, al fine di offrire assistenza di qualità (Sironi, 2010). 3.3 Tappe metodologiche Durante la ricerca sono stati consultati diversi testi sulla metodologia, infine si è deciso di seguire il protocollo metodologico esposto qui di seguito (Chiari, 2006; LoBiondo-Wood et al., 2004):
1. Formulazione della domanda di ricerca 2. Formulazione dei criteri di inclusione ed esclusione 3. Ricerca e selezione degli articoli 4. Valutazione della qualità degli studi 5. Sintesi dei risultati
Il primo passo è formulare una domanda di ricerca, ovvero un quesito clinico specifico che sia pertinente e risolvibile unicamente dalle migliori evidenze della ricerca su diagnosi, valutazioni o trattamenti dei pazienti. Una domanda di ricerca ben formulata è l’elemento principale per la revisione della letteratura. Per sviluppare quesiti ben formulati e che facilitano la ricerca delle evidenze è bene utilizzare il metodo PICO, si tratta di un acronimo che indica (Chiari, 2006):
- P: popolazione o pazienti; quali sono le caratteristiche del campione sottoposto allo studio
- I: intervento o esposizione; quali sono gli interventi d’interesse - C: confronto; qual è l’intervento di confronto (opzionale) - O: outcome o risultati; conseguenze che si sperano di ottenere
Questa sigla permette di articolare una domanda di ricerca coerente e trovare le parole chiave (keywords) più idonee. Le keywords saranno da utilizzare per la ricerca di materiale scientifico nelle banche dati (Pisacane & Panico, 2005), al fine di individuare con precisione il tema trattato (Sironi, 2010). In seguito al quesito di ricerca, è necessario definire i criteri di inclusione ed esclusione. Essi rappresentano delle stringhe di ricerca che permettono di focalizzare il quesito di ricerca e limitare i risultati ottenuti. Riportare il criterio utilizzato permette ad una revisione della letteratura di essere riproducibile e meticolosa (Denise F. Polit et al., 2014). Il passo seguente è ricercare e selezionare le fonti presenti nella letteratura scientifica. Per letteratura si intende tutto ciò che include informazioni su un determinato argomento (Sironi, 2010). Gli articoli scientifici, con il supporto dei dati quantitativi e qualitativi rilevati dai ricercatori, permettono di comprendere parzialmente i fattori che potrebbero interagire con una determinata patologia. Inoltre i libri di testo permettono di focalizzarsi al meglio sull’argomento trattato, tuttavia non ci si può basare unicamente su di essi poiché spesso
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non sono sufficientemente aggiornati, al contrario delle ricerche scientifiche che lo sono (Pisacane & Panico, 2005). Le informazioni da ricercare per una revisione possono essere tratte da due fonti: primarie e secondarie. Le fonti primarie comprendono studi scritti dai ricercatori che hanno sviluppato la teoria e condotto la ricerca, mentre le fonti secondarie consistono in descrizioni di studi, elaborate da persone che non hanno condotto la ricerca (Denise F. Polit et al., 2014); e consistono in una replica, un riassunto e un’analisi critica del lavoro rispetto un determinato concetto (LoBiondo-Wood et al., 2004). Quindi le revisioni della letteratura rientrano tra le fonti secondarie (Denise F. Polit et al., 2014). Per procurarsi il materiale necessario, i metodi maggiormente utilizzati sono le biblioteche e le banche dati elettroniche (database). Le banche dati sono strumenti informatizzati che permettono di accedere ad informazioni selezionate da esperti, estratte da riviste e altre fonti bibliografiche. Si tratta di archivi che vengono aggiornati a seguito di pubblicazioni. Tali archivi vengono indicizzati secondo una serie di chiavi di ricerca. Quindi oltre a contenere una quantità di dati elevata offrono la possibilità di collegare argomenti tra loro tramite chiavi di lettura diverse (Sironi, 2010). Vi sono diverse banche dati disponibili e ognuna di esse offre opzioni di ricerca differenti, nonostante ciò risulta semplice utilizzarle poiché ognuna usa una logica simile. Qui di seguito vengono elencate alcune banche dati maggiormente utilizzate, con una breve descrizione inerente alla professione infermieristica (Sironi, 2010):
- PubMed: non si tratta di una banca dati, bensì di una raccolta di database e di altre fonti bibliografiche. Il suo nucleo principale è costituito da MEDLINE. Gli ambiti disciplinari compresi sono le scienze bio-mediche, infermieristiche, ostetriche, odontoiatriche, veterinarie e pre-cliniche. È consultabile gratuitamente e gli articoli sono scaricabili a pagamento.
- CINAHL: è la banca dati maggiormente specifica per le scienze infermieristiche. Ha indicizzato oltre 3000 riviste infermieristiche e inerenti alle altre professioni sanitarie. Gli articoli sono scaricabili a pagamento o attraverso abbonamento a biblioteche.
- MEDLINE: trattasi della banca dati della National Library of Medicine degli Stati Uniti d’America. Include oltre 4800 riviste scientifiche delle scienze della salute e comprende gli ambiti disciplinari delle scienze bio-mediche, infermieristiche, odontoiatriche, veterinarie, etc. La consultazione è gratuita e molti articoli sono scaricabili gratuitamente in formato Full-text.
Gli strumenti fondamentali per la ricerca nelle banche dati sono una buona conoscenza della lingua inglese e l’utilizzo degli operatori booleani, che permettono di combinare più parole chiave (keywords) nella stessa ricerca. Queste parole chiave rappresentano i termini che contengono i concetti del quesito di ricerca e del PICO precedentemente formulati. Nel momento in cui le parole chiave sono combinate nelle stringhe di ricerca della banca dati, è possibile: ampliare la base del materiale bibliografico selezionato (OR), restringere e limitare la scelta agli articoli più pertinenti (AND) ed escludere un concetto (NOT) (Denise F. Polit et al., 2014). In seguito alla selezione degli articoli scientifici, inerenti ai requisiti determinati, è necessario eseguire una valutazione critica di alcuni aspetti del processo di ricerca. La capacità di leggere in modo critico gli articoli di ricerca è il fondamento per condurre qualsiasi revisione della letteratura (Sironi, 2010). Per valutare gli articoli scientifici selezionati verrà utilizzata la checklist di Duffy (James A. Fain & Vellone, 2004).
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L’ultimo passo da compiere, dopo aver selezionato gli articoli in base alla valutazione, implica la compilazione di griglie per la raccolta dei dati degli studi selezionati. La sintesi dei risultati permette di avere un esito complessivo della domanda di ricerca, dunque consente di osservare se gli effetti di un determinato intervento sono corrispondenti e coerenti tra le diverse ricerche (Chiari, 2006).
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4. Applicazione protocollo metodologico Questo capitolo include le tappe metodologiche che sono state eseguite per redigere la tesi. 4.1 Domanda di ricerca In base alla domanda di ricerca posta “Quali sono le strategie di coping che l’infermiere può attuare di fronte all’insorgenza della condizione di compassion fatigue, venutasi a creare in seguito alla ripetuta esposizione a dolore e morte di pazienti in ambito ospedaliero”, il PICO definito per la ricerca è il seguente: Tabella 3: Domanda di ricerca secondo il metodo PICO
P Popolazione di interesse
Personale infermieristico ospedaliero esposto a decessi dei pazienti
I Intervento Strategie di coping utilizzate dagli infermieri per far fronte all’instaurarsi della condizione di compassion fatigue
C Confronto - O Risultati Benessere personale e professionale e motivazione
verso la professione infermieristica 4.2 Criteri di inclusione ed esclusione Per far sì che la ricerca sia maggiormente mirata al quesito di fondo, sono stati applicati i seguenti criteri d’inclusione e d’esclusione: Tabella 4: Criteri di inclusione ed esclusione Criteri di inclusione
Criteri di esclusione
- Articoli di fonti primarie - Articoli di fonti secondarie - Anno di pubblicazione degli articoli: 2008
– 2018 - Articoli pubblicati prima del 2008
- Infermieri diplomati in cure generali - Studenti in infermieristica e infermieri specializzati in cure palliative
- Ambito ospedaliero - Case per anziani - Lingua italiana, inglese, francese,
spagnola - Articoli di qualsiasi altra lingua che non sia
tra quelle dei criteri di inclusione - Articoli che trattano la condizione di
compassion fatigue - Articoli che non citano la compassion
fatigue - Articoli che includono il tema morte come
possibile evento scatenante la compassion fatigue
- Articoli che non includono il tema morte
- Articoli che includono strategie di coping per affrontare la compassion fatigue
- Articoli che non menzionano le strategie di coping
- Full-text Una precisazione rispetto ai criteri di inclusione ed esclusione è necessaria. Per quanto riguarda la popolazione d’interesse, si è deciso di concentrarsi unicamente sugli infermieri laureati che lavorano in reparti ospedalieri, escludendo principalmente gli infermieri specializzati in cure palliative. Questo perché si considera che questa categoria di professionisti sia già parzialmente formata rispetto all’esposizione frequente a eventi
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luttuosi e che quindi abbia già a disposizione strategie di coping da attuare, al fine di prevenire o limitare eventuali ripercussioni negative dovute all’evento morte. 4.3 Ricerca e selezione degli articoli Banche dati consultate: MEDLINE, PubMed, CINHAL (EBSCO). Parole chiave: nurses, compassion fatigue, coping, death/dying, palliative care, grief, self-care, educational program. Operatori boleani: AND, OR, NOT Stringhe di ricerca: compassion fatigue AND self-care NOT palliative care; compassion fatigue AND nurses AND coping NOT palliative care; nurses AND dying AND coping NOT palliative care; nurses AND death AND grief NOT palliative care; compassion fatigue AND educational program NOT palliative care; compassion fatigue AND death AND coping NOT palliative care. Si è scelto di inserire tra le chiavi utilizzate “educational program” perché corrisponde al protocollo di trattamento degli autori Gentry et al. (Gentry, J. E et al., 2002) descritto nel quadro teorico e il termine “self-care” poiché si tratta della strategia di coping maggiormente citata dagli autori nel far fronte alla compassion fatigue. Le stringhe di ricerca sono state effettuate facendo diverse combinazioni con le parole chiavi emerse e gli operatori boleani. Nella banca dati MEDLINE è stata usata la medesima stringa di ricerca. Per selezionare gli articoli che rispondessero alla mia domanda di ricerca, ho eseguito un’attenta lettura di questi tenendo conto dei criteri di inclusione sopracitati. È stata realizzata una tabella per esporre dettagliatamente il processo di ricerca. Tabella 5: Tabella dettagliata del processo di ricerca degli articoli Banche dati
Stringhe di ricerca
Filtri
CINHAL (EBSCO)
Compassion fatigue AND self-care NOT palliative care Nurses AND death AND grief NOT palliative care compassion fatigue AND educational program NOT palliative care
- - Anno di pubblicazione 2008 -2018
- - Academic Journals
- - Full Text PubMed Compassion fatigue AND nurses AND coping
NOT palliative care Nurses AND dying AND coping NOT palliative care
MEDLINE Compassion fatigue AND death AND coping NOT palliative care
Ho iniziato la mia ricerca nella banca dati PubMed usando le keywords: “compassion fatigue”; “nurses”; “dying”; “coping”. In questa banca dati ho trovato 120 articoli e ne ho presi in considerazione 27. In seguito ho effettuato delle ricerche nella banca dati CINHAL (EBSCO) con keywords differenti, difatti ho usufruito del materiale bibliografico ricercato per redigere il quadro teorico ed ho così utilizzato, per la ricerca di due articoli, dei termini che corrispondono ad un protocollo di trattamento e una strategia di coping utilizzate per
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fronteggiare la compassion fatigue. Dalla prima indagine sono risultati 300 articoli e ne ho selezionati 24 potenzialmente eleggibili. Infine ho approfondito la ricerca usando la banca dati MEDLINE, nella quale ho ristretto notevolmente la stringa di ricerca, infatti sono risultati unicamente 5 articoli di cui ne ho presi in considerazione 4. Per tutte le ricerche ho impostato i medesimi criteri di limitazione di ricerca, quali l’anno di pubblicazione dal 2008 ad oggi, unicamente articoli appartenenti all’Academic Journals e aventi il Full Text. In seguito ad un’attenta lettura degli articoli scelti, ho deciso di esaminare 8 articoli poiché rispecchiano tutti i criteri da me prefissati. Per facilitare la comprensione del processo di ricerca e la scelta degli articoli, è stata realizzata una flow-chart.
Grafico 1: Diagramma di flusso (flow-chart)
Risultati ottenuti tramite EBSCO
(n=300)
Risultati ottenuti tramite PubMed
(n=120)
Risultati ottenuti tramite MEDLINE
(n=5)
Risultati ottenuti (n=425)
Risultati dopo la 1° selezione (n=55) Risultati esclusi poiché non soddisfacevano i
criteri d’inclusione (n=370)
Risultati dopo la 2° selezione (n=8)
Risultati esclusi in seguito ad un’attenta lettura
poiché non pertinenti al quesito di ricerca
(n=47)
Risultati inclusi nella revisione della letteratura (n=8)
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4.4 Valutazione della qualità degli studi Per poter verificare che i metodi e i risultati degli articoli scientifici siano validi e che quindi possano essere inclusi nella revisione della letteratura, è necessario eseguire una valutazione globale dello studio. Per fare questo si è deciso di utilizzare la checklist di Duffy (vedi allegato 9.10). La checklist è suddivisa in 8 categorie: titolo, abstract, problema, revisione della letteratura, metodo, analisi dei dati, discussione, forma e stile. Le affermazioni hanno un punteggio che va da “1” (non osservato) a “6” (completamente osservato) (James A. Fain & Vellone, 2004). Alla checklist originale, formata da otto elementi, sono state apportate alcune modifiche. Le affermazioni sono state espresse in modo più sintetico rispetto all’originale, pur mantenendone il senso. Il punteggio attribuibile ad ogni affermazione è stato portato da sei valori a tre: 1 Osservato 0.5 Parzialmente osservato 0 Non osservato Tabella 6: Checklist valutazione di Duffy Titolo Di immediata comprensione, formulato in modo chiaro, è correlato
al contenuto della ricerca. Abstract Se presente nell’articolo, descrive il problema di ricerca, le eventuali
ipotesi in modo chiaro e preciso, il metodo di ricerca, i risultati e le conclusioni.
Problema Viene identificato all’inizio dello studio con una formulazione precisa del quesito di ricerca, sottolineando la significatività del problema.
Revisione della letteratura
La letteratura citata è pertinente al problema di ricerca e presenta una motivazione per lo svolgimento dello studio. Gli studi sono valutati in modo critico e si identifica una struttura teorica. La revisione termina con un breve sunto delle implicazioni che evidenziano il problema di ricerca.
Metodo Soggetti: il campione e i metodi di scelta vengono descritti in modo chiaro. Le dimensioni del campione sono sufficienti per ridurre il rischio di errore. Vengono discussi gli standard per la protezione della popolazione coinvolta nella ricerca. Strumenti: sono riportati i dati di precedenti ricerche e quelli relativi allo studio presente, che stabiliscono l’affidabilità degli strumenti. I metodi di raccolta dei dati sono descritti per permettere un giudizio sull’appropriatezza dello studio seguente. Disegno: è coerente per il quesito di ricerca e la sua descrizione è sufficientemente esaustiva per consentire eventuali replicazioni dello studio.
Analisi dei dati Le informazioni riportate sono sufficienti per rispondere alla domanda di ricerca. I test statistici sono riportati con i relativi valori e sono appropriati al quesito. I risultati sono esposti all’interno di tabelle e figure e risultano comprensibili.
Discussione Le conclusioni sono riportate in modo chiaro e rispecchiano le evidenze trovate. Vengono identificati e discussi i problemi metodologici dello studio. I risultati sono correlati con la teoria dello studio stesso e con la letteratura già presente. I risultati vengono diffusi solamente alla popolazione oggetto dell’indagine e sono
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riportate le implicazioni professionali e le raccomandazioni per eventuali ricerche future.
Forma e stile Lo studio è redatto in modo chiaro e logico, dimostrando una posizione scientifica.
La qualità complessiva di ogni articolo viene valutata tramite la scala sopra descritta e coincide con la somma dei punteggi (score) raggiunti per ogni categoria, questa può variare da 0 (qualità assente) a 8 (qualità ottima). Per quanto riguarda i punteggi attribuiti ad ogni articolo preso in analisi, il punteggio minore ottenuto (6,5/8) è stato assegnato a quattro articoli, in seguito vi è un articolo con un punteggio di 7/8 e infine tre studi con 7,5/8. Da questo risultato si può affermare che la qualità degli articoli varia dal buono, al quasi ottimo. Gli score delle otto categorie per ogni articolo analizzato, vengono mostrate in una tabella (vedi allegato 9.11). 4.5 Sintesi dei risultati Gli articoli selezionati sono stati riordinati in una tabella riassuntiva, con lo scopo di organizzare i dati in modo chiaro e ordinato e rendere più schematico l’elenco dei risultati. La tabella è costituita dai seguenti punti: fonte (titolo, autore/i, rivista e anno di pubblicazione); disegno dello studio e scopo; popolazione e modalità di raccolta delle informazioni; strumenti; risultati e conclusioni. All’interno della tabella verrà utilizzato l’acronimo “CF” per intendere compassion fatigue e “CS” per intendere compassion satisfaction.
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5. Risultati Il presente capitolo presenta i risultati, degli articoli posti in analisi, in maniera obiettiva, chiara e sintetica. Nel capitolo successivo “6. Discussione” verranno discussi e interpretati i risultati (James A. Fain & Vellone, 2004). 5.1 Caratteristiche degli articoli selezionati In totale sono stati selezionati otto articoli per la revisione della letteratura, tutti derivanti da fonti primarie. Tre studi sono qualitativi, poiché costituiti da interviste o questionari con domande aperte (Allie & Brits, 2018; Cook et al., 2012; Wilson, 2014). Tre studi sono sia qualitativi che quantitativi, perché oltre ad essere costituiti da questionari con domande aperte, contengono anche scale di misurazione che permettono di organizzare i dati ed elaborare statisticamente i risultati (Ko & Kiser-Larson, 2016; Mason et al., 2014; Yoder, 2010). Due articoli sono studi sperimentali non controllati, che utilizzano il campione stesso come gruppo di controllo per la valutazione dell’efficacia dell’intervento (Flarity et al., 2013; Meadors & Lamson, 2008). Le popolazioni prese in analisi variano da un numero massimo di 185 (Meadors & Lamson, 2008) a un minimo di 13 (Wilson, 2014) partecipanti. L’articolo più recente risale al 2018 (Allie & Brits, 2018), mentre quello più datato al 2008 (Meadors & Lamson, 2008). Per quanto riguarda il contesto geografico, gli studi presi in analisi sono stati effettuati tutti negli Stati Uniti, tranne uno in Inghilterra (Wilson, 2014) e uno in Sud Africa (Allie & Brits, 2018). Per la rilevazione dei dati sono state utilizzate interviste e questionari, che in alcuni studi comprendevano delle scale di misurazione. In due studi i ricercatori hanno eseguito unicamente delle interviste caratterizzate da domande strutturate (Cook et al., 2012; Wilson, 2014). In cinque studi sono stati somministrati dei questionari comprendenti scale di misurazione (Flarity et al., 2013; Ko & Kiser-Larson, 2016; Mason et al., 2014; Meadors & Lamson, 2008; Yoder, 2010), tre di questi includevano anche domande aperte con possibilità di risposta narrativa (Ko & Kiser-Larson, 2016; Mason et al., 2014; Yoder, 2010). Inoltre due studi comprendevano un intervento sotto forma di seminario (Flarity et al., 2013; Meadors & Lamson, 2008). Solo uno studio conteneva unicamente un questionario caratterizzato da domande aperte (Allie & Brits, 2018). Per quanto riguarda la valutazione dei livelli di compassion fatigue e stress nei campioni posti in analisi, sono state utilizzate diverse scale di misurazione. Due studi hanno utilizzato esclusivamente la scala “Professional Quality of life” (ProQOL) per rilevare i livelli di compassion fatigue, compassion satisfaction e burnout (Flarity et al., 2013; Yoder, 2010). Uno studio ha utilizzato anch’esso la “ProQOL”, unitamente alla scala “Utrecht Work Engagement Scale” (UWES) usata per valutare il livello di impegno e coinvolgimento nella propria professione e la “Moral Distress Scale” utilizzata per misurare il moral distress come elemento di stress lavorativo (Mason et al., 2014). Uno studio ha utilizzato la “Nursing Stress Scale” (NSS) volta a rilevare i fattori stressanti e i livelli di stress negli infermieri professionisti (Ko & Kiser-Larson, 2016), mentre uno studio ha usato la “The Social Readjustment Rating Scale” (SRRS) che rileva i fattori scatenanti lo stress nell’arco dell’ultimo anno e la “The Index of Clinical Stress” (ICS) che misura il livello di stress nell’operatore sanitario (Meadors & Lamson, 2008). Le strategie di coping rappresentate negli articoli presi in considerazione mostrano svariati punti in comune, tuttavia alcune strategie e risorse di coping vengono riportate
30
unicamente in alcuni studi. Nei capitoli seguenti si è deciso di suddividere i risultati dapprima mostrando la prevalenza di compassion fatigue tra le popolazioni poste in analisi, come possibile conseguenza di esposizione frequente a morte. In seguito vengono esposti i meccanismi di coping rilevati adattivi e i meccanismi di coping non adattivi, seguiti dall’esposizione dei seminari formativi effettuati in due studi (Flarity et al., 2013; Meadors & Lamson, 2008). 5.2 Prevalenza di compassion fatigue correlata all’evento morte In due articoli, grazie all’utilizzo della scala “Professional Quality of life” (ProQOL), si possono evidenziare simili risultati statisticamente significativi rispetto la presenza di compassion fatigue e compassion satisfaction tra gli infermieri (Flarity et al., 2013; Yoder, 2010). Mentre il terzo studio che utilizza la scala “ProQOL” evidenzia dati differenti (Mason et al., 2014). Lo studio di Flarity et al. (2013), attraverso la “ProQOL”, riporta tra il campione posto in analisi, una percentuale pari al 50.8% dei livelli elevati di compassion satisfaction, rispetto al 57.6% che presenta livelli moderati di compassion fatigue. La morte viene riportata come una delle numerose cause che possono scatenare reazioni emotivamente estenuanti (Flarity et al., 2013). Anche Yoder (2010), tramite la somministrazione di un questionario che comprende la scala di valutazione “Professional Quality of life” (ProQOL), rivela che l’8.6% dei partecipanti mostra compassion satisfaction, rispetto al 15.8% che risulta essere a rischio di sviluppare compassion fatigue. Il questionario comprendeva anche domande aperte relative alla descrizione di momenti in cui i partecipanti ritenevano essere in una condizione di compassion fatigue e le strategie di coping attuate per farvi fronte. I risultati hanno mostrato che la morte viene considerata una tra le cause scatenanti la compassion fatigue (Yoder, 2010). Lo studio di Mason et al. (2014), oltre l’utilizzo della scala “ProQOL”, prevedeva anche l’uso delle scale di valutazione “Utrecht Work Engagement Scale” (UWES) e “Moral Distress Scale” per rilevare rispettivamente il livello di coinvolgimento nella propria professione e il livello di stress lavorativo. In seguito sono state poste delle domande rispetto alla correlazione tra compassion fatigue e compassion satisfaction e le strategie di coping attuate di fronte a situazioni stressanti. La “ProQOL”, contrariamente agli studi precedenti, evidenzia livelli medio/elevati di compassion satisfaction e livelli medio/bassi di compassion fatigue. Il 23% dei partecipanti riferisce che l’esposizione a morte risulta essere una delle cause di sofferenza e stress (Mason et al., 2014). Risultati opposti sono stati rilevati dallo studio di Allie et al. (2018), che consisteva nella somministrazione di un questionario comprendente una sezione per i dati demografici, domande relative la morte dei pazienti, la compassion fatigue e i meccanismi di coping. I dati emersi hanno rilevato che il 64.5% dei partecipanti ha sofferto di compassion fatigue con sintomi fisici, emotivi e psicologici. Questo studio è particolarmente incentrato sul tema della morte e sul personale curante esposto frequentemente a decessi dei pazienti, difatti il 45% dei partecipanti ha dichiarato di essere stato esposto a decessi su base giornaliera, il 51% su base settimanale e solo il 4% su base mensile. Lo studio evidenzia che secondo i partecipanti, essere in una condizione di compassion fatigue permette di affrontare in modo più semplice l’esposizione frequente a lutto, poiché l’infermiere dispone di minore compassione e quindi è meno coinvolto emotivamente dalla sofferenza
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e dal dolore che può scaturire da questo evento. Tuttavia i risultati mostrano controversie, poiché metà degli interessati riferisce di aver avuto un cambiamento positivo della propria attitudine in seguito ai decessi dei pazienti, sia verso se stessi che verso gli altri. Questo cambiamento comportamentale include l’incremento delle capacità empatiche e compassionevoli verso i pazienti. Questa condizione viene descritta come l’instaurarsi della compassion satisfaction, che previene dunque la compassion fatigue (Allie & Brits, 2018). Nello studio di Ko et al. (2016), tramite la somministrazione di un questionario che comprendeva la scala di valutazione dei fattori stressanti e del livello di stress ““Nursing Stress Scale” (NSS), è stato rilevato che il 45% dei partecipanti risulta avere bassi livelli di stress, il 52.5% evidenzia moderati livelli di stress e solo il 2.5% riporta alti livelli di stress. Dai dati emersi si evince che uno dei fattori stressanti per gli infermieri risulta essere l’esposizione a morte dei pazienti (Ko & Kiser-Larson, 2016). Lo studio più datato, effettuato da Meadors et al. (2008), prevedeva la somministrazione di due scale di valutazione, quali “The Social Readjustment Rating Scale” (SRRS) e “The Index of Clinical Stress” (ICS), che andavano a rilevare i fattori stressanti e i livelli di stress tra il campione posto in analisi. Non sono riportate percentuali generali rispetto i livelli di compassion fatigue e stress, ma vengono analizzate differenti reazioni emotive e comportamenti volti ad individuare questi fenomeni. In particolare viene fatta una correlazione tra compassion fatigue, compassion satisfaction e i livelli di stress. Dai risultati emersi si può osservare che chi mostra bassi livelli di stress, ritiene di avere sufficienti risorse di coping per far fronte a situazioni di disagio come la morte di un paziente. Viceversa chi detiene elevati livelli di stress risulta avere compassion fatigue. Inoltre l’esposizione a morte viene considerata uno dei fattori scatenanti lo stress e la compassion fatigue (Meadors & Lamson, 2008). Gli studi di Cook et al. (2012) e Wilson (2014) sono entrambi studi qualitativi che analizzano, attraverso interviste, le esperienze e le strategie di coping attuate dagli infermieri di fronte a decessi acuti di pazienti adulti e pediatrici. Pertanto non riportano dati statisticamente significativi rispetto alle percentuali di compassion fatigue e di esposizione a morte (Cook et al., 2012; Wilson, 2014). 5.3 Coping adattivo Gli articoli che hanno rilevato, tramite interviste e questionari, i meccanismi di coping messi in atto dai professionisti della cura di fronte a condizione di compassion fatigue - venutasi ad instaurare verosimilmente in seguito a esposizione ricorrente a decessi dei pazienti - o stress generale, sono sette (Allie & Brits, 2018; Cook et al., 2012; Ko & Kiser-Larson, 2016; Mason et al., 2014; Meadors & Lamson, 2008; Wilson, 2014; Yoder, 2010). Ognuno di questi studi riporta delle strategie di coping analoghe attuate dai professionisti della cura, come il supporto dei colleghi, l’attitudine a porre un distacco emotivo tra sé e il paziente, l’uso dell’ottimismo e dell’umorismo, la pratica religiosa o spirituale e l’auto-cura. Le strategie di coping attuate dagli infermieri di fronte a situazioni emotivamente stressanti e di notevole disagio, sono di natura fisica, emotiva e spirituale. Gli articoli posti in analisi mostrano che il coping adattivo risulta essere maggiormente quello centrato sulle emozioni. Tutti gli studi analizzati riportano come risorsa comune il supporto da parte dei colleghi (Allie & Brits, 2018; Cook et al., 2012; Flarity et al., 2013; Ko & Kiser-
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Larson, 2016; Mason et al., 2014; Meadors & Lamson, 2008; Wilson, 2014; Yoder, 2010). Questo aiuto viene ricercato al fine di poter condividere l’esperienza di una situazione di disagio vissuta di fronte a dolore e morte di un paziente. Un ulteriore strategia di coping, descritta in quattro studi (Cook et al., 2012; Meadors & Lamson, 2008; Wilson, 2014; Yoder, 2010), centrata sull’emozione e considerata adattiva, è l’attitudine da parte dell’infermiere di porre dei confini tra sé e il paziente, al fine di separarsi emotivamente dal contesto di sofferenza per cercare così di gestire il disagio avvertito. Quattro studi hanno riportato l’umorismo come risorsa di coping adattiva (Ko & Kiser-Larson, 2016; Meadors & Lamson, 2008; Wilson, 2014; Yoder, 2010), ritenuto come difesa per alleviare la tensione nelle situazioni di disagio. L’abilità dell’humor viene affiancata a quella dell’ottimismo, difatti tre studi (Ko & Kiser-Larson, 2016; Meadors & Lamson, 2008; Yoder, 2010) riportano questa risorsa come elemento importante che permette di pensare positivamente e apprezzare la propria professione, benché includa sofferenza e dolore. Ulteriori risorse di coping considerate rilevanti dalle popolazioni poste in analisi, risultano essere la religione e la spiritualità. Difatti quattro articoli riportano la fede e la preghiera come risorse importanti a cui ricorrere (Allie & Brits, 2018; Cook et al., 2012; Ko & Kiser-Larson, 2016; Yoder, 2010). Un'altra categoria di strategie di coping riguarda l’auto-cura, che viene citata in cinque articoli (Flarity et al., 2013; Ko & Kiser-Larson, 2016; Mason et al., 2014; Meadors & Lamson, 2008; Yoder, 2010). L’auto-cura include svariate attività che permettono al soggetto di occuparsi di se stesso, quali: adeguato sonno e alimentazione, esercizio fisico regolare, meditazione, etc. Qui di seguito sono riportati singolarmente i risultati degli articoli analizzati e le rispettive strategie di coping rilevate. Dallo studio di Allie et al. (2018) emerge che 3/4 dei partecipanti riferisce che i meccanismi di coping che attuano sono utili per alleviare le emozioni e lo stress che deriva dall’esposizione a morte. Inoltre i risultati riportano che il 62% attua strategie di coping positive, quali sviluppare e mantenere relazioni sociali con i colleghi di lavoro e incrementare la pratica religiosa e la spiritualità. Inoltre i risultati emersi sostengono che i professionisti che lavorano già da tempo hanno una maggiore facilità ad affrontare momenti di sofferenza come la morte, poiché con l’esperienza si impara a riconoscere le proprie risposte emotive e di conseguenza il bisogno di gestire le proprie emozioni (Allie & Brits, 2018). Lo studio di Cook et al. (2012) ha rilevato attraverso interviste semi-strutturate l’impatto che ha la morte di un bambino sugli infermieri e le strategie di coping attuate da questi ultimi. I risultati emersi hanno evidenziato che il supporto dei colleghi di lavoro, è un’evidente risorsa di coping che permette di affrontare momenti di disagio emotivo. Un’altra strategia di coping, ritenuta adattiva per il campione posto in analisi, è l’attitudine da parte degli infermieri a porre dei confini tra sé e i pazienti, al fine di creare una separazione emotiva che permette di prevenire la compassion fatigue. Anche questo studio evidenzia risorse di coping riportate nel paragrafo precedente, quali religione e spiritualità. Inoltre l’esperienza lavorativa viene definita come chiara risorsa di coping nell’affrontare situazioni di disagio emotivo. I risultati rilevano che un supporto da parte di colleghi professionisti messo a disposizione dalla struttura ospedaliera, in questo caso
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un team specializzato nelle cure palliative, è una considerevole risorsa che permette agli infermieri di confrontarsi e affrontare il dolore suscitato dalla condizione dei propri pazienti (Cook et al., 2012). Un altro studio effettuato da Ko et al. (2016) ha evidenziato svariati meccanismi di coping attuati dagli infermieri, di fronte a situazioni stressanti quali la morte di un paziente. Lo studio rileva tre strategie di coping maggiormente usate dal campione, queste sono: verbalizzare il proprio disagio con i colleghi e ricevere supporto da questi, attuare pratiche di rilassamento e prendere del tempo per se stessi. Il supporto dei colleghi risulta essere la risorsa di coping maggiormente utilizzata, difatti i partecipanti la ritengono utile poiché permette di dar sfogo al proprio disagio e condividerlo con qualcuno che può percepirlo, poiché vive la medesima circostanza. Altre strategie di coping comprendono l’auto-cura, come fare attività divertenti e di svago dopo il lavoro, dormire maggiormente e mangiare sano. Un’altra strategia di coping emersa dai risultati, sottolinea l’attitudine degli infermieri a voler essere realistici e razionali e separare lavoro e vita privata, al fine di non portare a casa il disagio vissuto a lavoro. Inoltre anche questo studio riporta come risorse interne di coping l’umorismo e l’ottimismo, che permettono di affrontare i momenti dove si percepisce un elevato stress. Altre risorse di coping emerse sono la religione e la spiritualità, accompagnate dalla possibilità che mette a disposizione l’ospedale di potersi confrontare con un cappellano. Ulteriori supporti di cui dispone l’unità di cura sono meeting riguardanti i temi della morte e del dolore e la possibilità di eseguire momenti di debriefing tra infermieri, in seguito al decesso di un paziente (Ko & Kiser-Larson, 2016). Lo studio di Mason et al. (2014) evidenzia risultati simili per quanto riguarda le strategie di coping attuate dagli infermieri, difatti la condivisione delle proprie esperienze con i colleghi di lavoro e il supporto da parte di questi sembra essere una rilevante risorsa di coping. Un’altra strategia di coping emersa è l’auto-cura, intesa come intraprendere attività di svago al di fuori dell’ambiente lavorativo, fare vacanze e trascorrere del tempo con i propri familiari, amici e animali. Inoltre anche in questo studio, i partecipanti sottolineano l’importanza di separare i problemi personali dal contesto lavorativo, questo per evitare di influenzare negativamente il paziente, familiari e amici e se stessi (Mason et al., 2014). Lo studio di Meadors et al. (2008), per quanto riguarda i meccanismi di coping, riporta che il campione posto in analisi ritiene fondamentale coltivare le relazioni sociali all’interno dell’ambiente di lavoro, così da poter contare sul supporto dei propri colleghi nei momenti di disagio e bisogno emotivo. Inoltre i partecipanti evidenziano che, in situazioni di sofferenza, tendono a porre dei confini tra sé e i pazienti, al fine di stabilire un distacco che previene condizioni di estremo disagio emotivo. In situazioni di decesso alcuni partecipanti hanno riferito di ricorrere a rituali che gli permettessero di affrontare la circostanza, consentendogli di riflettere su quanto accaduto. Ulteriori risorse di coping risultano essere l’utilizzo dell’ottimismo e dell’umorismo all’interno del contesto lavorativo. L’auto-cura, comprendente abitudini alimentari sane e attività ricreative al di fuori del posto di lavoro, viene considerata di fondamentale importanza dai partecipanti. Questa include anche la meditazione e massaggi rilassanti (Meadors & Lamson, 2008). Lo studio di Wilson (2014) ha rilevato tramite interviste individuali la modalità con cui gli operatori sanitari affrontano il decesso dei pazienti e quali strategie di coping attuano per fronteggiare questo evento. I risultati emersi evidenziano che tutti i partecipanti hanno avuto svariate reazioni emotive in seguito all’esposizione alla morte, come pianto,
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bisogno di prendersi una pausa e riflettere su ciò che è stato fatto. I partecipanti riferiscono che le risposte alla morte vengono influenzate dall’esperienza personale e dalle aspettative sociali verso la figura infermieristica. Per quanto riguarda le strategie di coping, anche questo studio ha rilevato che il supporto dei colleghi è un elemento fondamentale che permette di fronteggiare i momenti di disagio. Un’altra strategia di coping, in questo caso considerata adattiva, è l’attitudine da parte dei curanti di porre un confine tra sé e il paziente morente, al fine di prevenire condizioni di esaurimento emotivo come la compassion fatigue. Inoltre anche l’umorismo risulta essere una delle risorse maggiormente utilizzate dai partecipanti. Un ulteriore risorsa di coping risulta essere l’elevata esperienza lavorativa, poiché con il trascorrere degli anni si ha maggiore consapevolezza delle situazioni ritenute stressanti e delle proprie risposte emotive, perciò si presuppone si possa avere maggiori risorse per affrontare momenti di sofferenza come la morte di un paziente (Wilson, 2014). Nello studio di Yoder (2010) sono emersi diversi meccanismi di coping rilevanti, tra cui le relazioni sociali con i colleghi all’interno del posto di lavoro, in concomitanza a debriefing compiuti nel momento del bisogno, come in seguito al decesso di un paziente. Un’altra strategia di coping risulta essere il cambio di coinvolgimento emotivo da parte del professionista, definito come il distacco tra sé e il paziente al fine di preservarsi di fronte a situazioni di disagio. Questo può essere anche compiuto attraverso richieste di assegnazione di altri pazienti o di cambio turno. Altre risorse di coping attuate dai partecipanti di questo studio sono l’umorismo, l’ottimismo e la pratica religiosa o spirituale. Alcuni partecipanti riportano la necessità di eseguire dei rituali personali in seguito alla morte dei pazienti, al fine di riflettere e poter affrontare il lutto. Inoltre l’auto-cura risulta essere una rilevante strategia di coping, che implica prendere del tempo per se stessi per rilassarsi e praticare attività sociali che permettono di svagare la mente (Yoder, 2010). 5.4 Coping non adattivo Cinque articoli hanno rilevato anche i meccanismi di coping non adattivi attuati dai professionisti della cura di fronte a situazioni di compassion fatigue (Allie & Brits, 2018; Cook et al., 2012; Ko & Kiser-Larson, 2016; Wilson, 2014; Yoder, 2010). È rilevante sottolineare che tra questi meccanismi ritenuti non adattivi, è citata la strategia che vede l’infermiere porre dei confini tra sé e il paziente. Quindi piuttosto che affrontare attivamente il problema, si tende ad evitarlo. Tuttavia negli studi analizzati nel capitolo “5.3 Coping adattivo”, questa strategia è stata considerata adattiva da un notevole numero di partecipanti (Cook et al., 2012; Meadors & Lamson, 2008; Wilson, 2014; Yoder, 2010). Lo studio più recente, effettuato da Allie et al. (2018), sottolinea che i meccanismi di coping negativi vengono attuati da entrambi i sessi, ma con alcune differenze. Gli uomini, in situazioni di disagio emotivo, tendono a ricorre all’uso di sostanze, mentre le donne propendono ad allontanare la situazione di disagio, ponendo un distacco netto tra sé e i pazienti. Una risorsa di coping messa a disposizione dall’istituto di cura è il supporto di uno psicologo esperto in situazioni di lutto. Tuttavia questa risorsa è stata considerata superflua dai partecipanti poiché essi preferiscono avere un supporto di tipo informale, ovvero semplicemente qualcuno con cui parlare. Difatti gran parte dei partecipanti riferisce, di non voler accedere a questo tipo di servizio, nonostante riconosca di essere colpito da disagio emotivo (Allie & Brits, 2018).
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Risultati simili emergono dallo studio di Wilson (2014), il quale riporta che i partecipanti non usufruiscono del servizio di consulenza psicologica messo a disposizione dall’ospedale. Difatti gli infermieri riferiscono di non sentirsi a proprio agio nel frequentare un servizio psicologico poiché si sentirebbero considerati deboli o non idonei al lavoro infermieristico, che talvolta presuppone l’esposizione a situazioni di disagio emotivo come la morte. Dai risultati emersi si evince che i professionisti della cura prediligono un supporto informale, come quello ottenuto dai colleghi di lavoro, che permette loro di parlare delle proprie esperienze di sofferenza (Wilson, 2014). Anche lo studio di Yoder (2010) evidenzia la strategia di coping non adattiva che presuppone di porre un distacco fra sé e il paziente. Questo comportamento viene descritto come un cambio di coinvolgimento nella cura, che implica l’indifferenza nei confronti del paziente e il disimpegno personale che porta a distaccarsi dalla situazione di sofferenza. Per di più, dai risultati è emerso che alcuni infermieri colpiti da compassion fatigue, ricorrono al trasferimento in altre unità di cura o addirittura all’abbandono della pratica infermieristica (Yoder, 2010). Un ulteriore studio effettuato da Cook et al. (2012) dimostra risultati controversi tra i partecipanti. La strategia di coping che prevede di porre dei confini emotivi, viene considerata sia adattiva che non adattiva. Infatti alcuni infermieri riferiscono che allontanarsi emotivamente dal paziente e dal contesto di sofferenza che li circonda, implica anche un distacco a livello empatico e compassionevole e sottolineano che ciò rappresenta un comportamento che non rientra più nelle attitudini di un professionista della cura. Inoltre i risultati sottolineano che alcuni partecipanti evitano di ricorrere al supporto dei familiari o degli amici, perché preferiscono non renderli partecipi della propria sofferenza e dalle emozioni negative (Cook et al., 2012). Lo studio di Ko et al. (2016) evidenzia risultati simili, infatti dai dati emerge che alcuni partecipanti riferiscono che distaccarsi dalla situazione di disagio rappresenta un atteggiamento cinico, che non dovrebbe assolutamente caratterizzare la professione infermieristica. Inoltre dai risultati si evidenzia un parere discordante rispetto agli studi analizzati nel capitolo “5.3 Coping adattivo” dove l’esperienza lavorativa veniva definita come una chiara risorsa di coping per fronteggiare momenti emotivamente stressanti. Difatti è stato rilevato che gli infermieri con più anni di esperienza lavorativa sono maggiormente a rischio di esaurimento emotivo e compassion fatigue (Ko & Kiser-Larson, 2016). 5.5 Seminari formativi Gli unici due studi sperimentali con trial non controllato hanno applicato un intervento di trattamento che consisteva in un seminario formativo rivolto ai partecipanti (Flarity et al., 2013; Meadors & Lamson, 2008). Lo studio di Flarity et al. (2013) prevedeva la somministrazione di un questionario comprendente la scala “Professional Quality of life” (ProQOL). Questa è stata eseguita prima del seminario, per rilevare i livelli di compassion fatigue e compassion satisfaction e al termine del programma per rilevare nuovamente questi valori e valutare l’efficacia del seminario. Il contenuto del programma includeva informazioni relative alla compassion fatigue quali: origine, segni e sintomi, fattori associati all’assistenza infermieristica, prevenzione e trattamento. Inoltre il seminario comprendeva la dimostrazione di cinque aree d’intervento, considerate le abilità che dovrebbero
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sviluppare i professionisti della cura al fine di prevenire e minimizzare la compassion fatigue. Queste abilità sono: Self-regulation, Intentionality, Self-care, Connection, Perceptual maturation; le quali sono state esplicate dettagliatamente nel capitolo “2.2.1 Compassion fatigue e coping”. I risultati del questionario “ProQOL” somministrato al termine del programma mostrano un incremento della percentuale dei livelli elevati di compassion satisfaction, che risulta essere pari al 61%. Questo dato mostra un incremento del 10.2% rispetto al questionario somministrato prima del seminario. Al contempo si può rilevare una diminuzione della percentuale dei livelli moderati di compassion fatigue, che risulta essere pari al 40.7%. Questo risultato mostra un abbassamento della percentuale pari al 16.9%. Questi dati sottolineano l’efficacia del seminario. In particolare questo programma permette di acquisire consapevolezza rispetto alla presenza della condizione di compassion fatigue, dunque la conoscenza di questo stato emotivo che può affliggere gli operatori sanitari e il conseguente accesso alle possibili risorse e strategie di coping, che permettono di prevenirlo o minimizzarlo. Questi meccanismi di coping includono il supporto sociale dei colleghi, l’utilizzo dell’abilità ottimistica, l’introspezione che permette di rilevare ed essere coscienti delle emozioni e dei sentimenti che si provano e l’auto-cura che consente di ricaricare l’energia utilizzata per assistere i pazienti sofferenti (Flarity et al., 2013). L’altro studio che prevedeva un seminario di intervento simile, è stato effettuato da Meadors et al. (2008). Questo studio includeva la somministrazione di due scale di valutazione (SRRS e ICS), sia prima di effettuare il seminario, che al termine di questo. Le scale di valutazione avevano lo scopo di rilevare i fattori stressanti e i livelli di stress del campione posto in analisi. I dati emersi, prima della partecipazione al seminario, hanno rilevato che i partecipanti con basso livello di stress, ritengono di avere sufficienti risorse di coping per gestire situazioni di stress e sofferenza sul posto di lavoro, di praticare regolarmente attività di svago e avere abitudini alimentari sane. Al contrario, chi è risultato avere alti livelli di stress riferisce di non avere risorse di coping per affrontare momenti di sofferenza e dolore e che ciò, inevitabilmente, implica provare sentimenti di disagio anche al di fuori del lavoro. I partecipanti hanno poi assistito ad un seminario volto al riconoscimento e alla consapevolezza della compassion fatigue, che includeva i temi relativi ai sintomi di questa condizione e le strategie di coping da attuare per farvi fronte, al fine di minimizzarla o eliminarla. Il questionario post seminario, ha rilevato che i partecipanti mostravano minore tensione e nervosismo. Ciò sarebbe scaturito dall’acquisizione di risorse e strategie di coping che permettono di affrontare situazioni di disagio come la compassion fatigue. In generale la consapevolezza dell’esistenza di questa condizione, con la possibilità di poter accedere a risorse concrete, ha permesso di accrescere negli operatori sanitari un senso di rilassamento. Queste risorse di coping sono simili allo studio analizzato precedentemente, difatti includono le relazioni sociali sul luogo di lavoro, l’ottimismo, l’introspezione e l’auto-cura. Questi risultati positivi sottolineano l’efficacia del seminario di intervento volto alla conoscenza della compassion fatigue (Meadors & Lamson, 2008).
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6. Discussione Come si è potuto rilevare dai risultati analizzati in precedenza, in ambito ospedaliero la morte rappresenta un evento a cui l’infermiere è esposto quasi inevitabilmente nel corso della sua carriera. Seppur di fatto il paziente, nella maggior parte dei casi, risulta essere un estraneo per il professionista, la sua morte suscita dolore che a lungo andare può portare disagio a livello emotivo. Si è visto inoltre, che gli infermieri ospedalieri, esposti di frequente a morte, hanno ripercussioni significative sui livelli di stress (Shorter & Stayt, 2010) e possono mostrare sintomi dolorosi, quali tristezza, pianto, abbattimento, senso di colpa e rabbia (Wilson & Kirshbaum, 2011); che a lungo andare possono portare ad uno stato di esaurimento fisico, emotivo e spirituale, che caratterizza la condizione di compassion fatigue. Come si è potuto evidenziare dai risultati osservati precedentemente, la compassion fatigue è una realtà presente all’interno degli ambiti delle cure ospedaliere. Dalle percentuali di compassion fatigue riportate nei diversi studi presi in analisi (Allie & Brits, 2018; Flarity et al., 2013; Mason et al., 2014; Yoder, 2010), si può stimare che all’incirca il 40% degli infermieri viene colpito da questa condizione e che una delle cause scatenanti risulta essere proprio l’esposizione frequente a morte. Come riportato nel capitolo “2.1.2 Sintomi”, i sintomi associati a questa condizione risultano essere considerevoli, tra questi vi è depressione, fatigue, perdita della capacità empatica, indifferenza verso il proprio lavoro e i pazienti, fino ad arrivare all’abbandono della professione infermieristica (Aycock & Boyle, 2009; Coetzee & Klopper, 2010; Charles R. Figley, 1995; Lombardo & Eyre, 2011; Showalter, 2010; Todaro-Franceschi, 2013). Pertanto è di fondamentale importanza ricercare degli interventi che possano essere applicati, al fine di prevenire o minimizzare questa condizione invalidante. Si suppone che trattare la compassion fatigue sia nell’interesse dell’infermiere, così come dei pazienti e del datore di lavoro, per quanto riguarda la qualità delle cure fornite. Interventi volti ad affrontare questa condizione sono disponibili, pertanto l’obiettivo di questa revisione bibliografia era di ricercare le strategie di coping che l’infermiere può attuare per fronteggiare la compassion fatigue. La letteratura trovata ed analizzata ha permesso di rilevare svariati meccanismi di coping che vengono attuati dagli infermieri ospedalieri, per fronteggiare situazioni che implicano un elevato coinvolgimento emotivo e che sono considerate fonte di stress. Inoltre si è potuto analizzare l’efficacia dei seminari formativi, che consentono ai professionisti della cura di acquisire maggiore consapevolezza della condizione di compassion fatigue, delle cause e dei possibili interventi. 6.1 Interpretazione dei risultati L’analisi degli studi scientifici eseguita nel capitolo “5. Risultati” mostra l’importanza di instaurare relazioni sociali all’interno dell’ambiente di lavoro. Queste rappresentano una risorsa di coping che permette agli infermieri di potersi confrontare, di condividere e sfogare le proprie emozioni rispetto a situazioni di disagio emotivo (Gentry, J. E et al., 2002). Due studi hanno evidenziato che il supporto da parte di uno psicologo non è stato sfruttato dal personale infermieristico (Allie & Brits, 2018; Wilson, 2014). I partecipanti hanno la sensazione che la società contemporanea si aspetta che l’infermiere non provi disagio emotivo davanti alla sofferenza e al lutto e che consideri il ricorso ad un servizio di consulenza un segno di scarsa idoneità alla professione. Questo aspetto sembra confermato da tre studi che riportano che i partecipanti non si sentono autorizzati a piangere e che nei momenti di dolore si sentono costretti a trattenere le lacrime (Cook et al., 2012; Ko & Kiser-Larson, 2016; Wilson, 2014). Questi sentimenti di disagio percepiti dagli infermieri, sono tipici della compassion fatigue e rappresentano il fenomeno descritto da Doka (2002) del “dolore senza diritti” (Kenneth J. Doka, 2002).
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Un’altra strategia di coping rappresenta l’attitudine da parte del professionista di porre un confine tra sé e la situazione di sofferenza che circonda il paziente. In quattro studi questa strategia viene ritenuta adattiva (Cook et al., 2012; Meadors & Lamson, 2008; Wilson, 2014; Yoder, 2010), poiché permette all’infermiere di allontanarsi empaticamente dalla fonte di disagio e stress, continuando unicamente a fornire cure neutrali. È interessante sottolineare che uno studio considera questo atteggiamento come strategia di coping, che permette di prevenire l’insorgenza della compassion fatigue (Cook et al., 2012). Di fatto, la letteratura definisce l’evitamento come una strategia di coping non adattiva (Cariota Ferrara & La Barbera, 2006). Infatti quattro studi (Allie & Brits, 2018; Cook et al., 2012; Ko & Kiser-Larson, 2016; Yoder, 2010) sottolineano che porre dei confini tra sé e il paziente è un’attitudine negativa, che non permette di fornire attenzione empatica e cure compassionevoli al paziente. La strategia di coping basata sull’auto-cura che viene descritta nella letteratura scientifica e riportata nel capitolo “2.2.1 Compassion fatigue e coping”, è indicata in ogni studio analizzato e risulta essere essenziale per la sopravvivenza personale e professionale, poiché implica l’investimento di tempo in attività o abitudini regolari che permettono di mantenere o accrescere uno stato di benessere psicofisico, al fine di prevenire o affrontare condizioni di disagio o esaurimento emotivo come la compassion fatigue (Boyle, 2011). Altre strategie di coping riguardano l’ottimismo, l’umorismo, la dimensione spirituale e la consapevolezza. Ognuna di queste risorse rappresenta un fattore di resilienza; capacità definita come il processo che permette di fronteggiare, resistere, integrare, costruire e riuscire a riorganizzare positivamente la propria vita malgrado si siano vissute situazioni difficili che facevano suppore un esito negativo (Malaguti, 2005). L’evento luttuoso può essere descritto come un fattore di rischio a cui l’infermiere è esposto sovente e che a lungo andare, in concomitanza con altri fattori di rischio come gli stimoli stressanti, possono stabilire nel soggetto una condizione di vulnerabilità. Pertanto a prescindere dalla soggettività individuale che influenza la severità o meno di un episodio, più si è esposti ad eventi significativi che lasciano un segno nella persona che li ha vissuti, maggiormente si è vulnerabili (Malaguti, 2005). Come visto nel capitolo “2.1.7 Morte quale evento stressante per l’infermiere”, la professione infermieristica implica l’esposizione a morte e si è visto, che ciò genera dolore nell’animo di chi assiste i morenti. Quindi per evitare di cadere in una condizione di estrema vulnerabilità, che può racchiudere la compassion fatigue, è fondamentale agire attraverso lo sviluppo e l’applicazione di risorse interne personali che permettono di valorizzare la resistenza individuale e di conseguenza la capacità di resilienza (Malaguti, 2005). Pertanto la resilienza è l’equilibrio tra resistenza personale (fattori protettivi) e vulnerabilità (fattori di rischio) a seguito di un evento traumatico (Eshel & Kimhi, 2016). I fattori protettivi comprendono tutte le risorse che permettono di opporsi ad uno stimolo stressante o ad una situazione dannosa. In tale frangente si collocano i meccanismi di coping rilevati dall’analisi degli studi presi in considerazione. Difatti ciascun articolo scientifico comprende quantomeno due fattori di resilienza, che vengono considerati fondamentali per fronteggiare situazioni di disagio ed esaurimento emotivo, come la compassion fatigue. Negli studi scientifici analizzati nel capitolo “5. Risultati”, i fattori protettivi rilevati sono ottimismo, umorismo, dimensione spirituale, capacità cognitive e intelligenza emotiva. Uno studio descrive il coping centrato sul problema (Yoder, 2010), ovvero l’insieme di capacità cognitive che implicano l’abilità di identificare il problema e le risorse
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disponibili, che permettono di agire attivamente per modificare e gestire la situazione (Malaguti, 2005). Per quanto riguarda l’intelligenza emotiva, negli studi analizzati nel capitolo “5. Risultati”, viene posta particolare attenzione sull’autoconsapevolezza. Questo implica la conoscenza delle proprie emozioni, ossia la capacità di riconoscere un sentimento nel momento in cui si presenta (Goleman, 1996). Questa abilità implica l’introspezione, che permette di osservare e prendere contatto con il proprio stato emotivo al fine di essere sempre in sintonia con i propri sentimenti. Diversi studi presi in analisi descrivono l’introspezione tra le risorse di coping, come la capacità di analizzare se stessi e valutare se ciò che è stato compiuto è risultato funzionale o meno (Ko & Kiser-Larson, 2016; Mason et al., 2014; Wilson, 2014; Yoder, 2010). Difatti, come riportato da diversi autori nel capitolo “2.2.1 Compassion fatigue e coping”, essere consapevoli delle proprie risposte agli eventi che si verificano, permette di intraprendere comportamenti efficaci e benefici per l’infermiere stesso (Boyle, 2011). Inoltre è considerevole riflettere sul fatto che diversi articoli analizzati, attribuiscono notevole importanza agli anni di esperienza lavorativa, come risorsa per fronteggiare condizioni di dolore e disagio (Allie & Brits, 2018; Cook et al., 2012; Wilson, 2014). L’esperienza permette di essere consapevoli delle proprie emozioni di fronte un determinato stimolo e di gestirle attraverso strategie di coping personali, collaudate nel tempo (Goleman, 1996). È necessario che il professionista della cura sia consapevole che nel corso della propria carriera verrà esposto sovente ad eventi che gli causeranno sofferenza, perciò è fondamentale che sappia riconoscere le proprie emozioni e che sia conscio delle proprie vulnerabilità, al fine di agire concretamente e attivare le risorse di coping (Malaguti, 2005), per affrontare e gestire condizioni di disagio emotivo, come la compassion fatigue. Pertanto i seminari informativi e i meccanismi di coping hanno mostrato esiti positivi per quanto riguarda la consapevolezza, da parte dell’infermiere, dell’esistenza di condizioni di disagio e della possibilità di sviluppare e ricorrere a strategie che permettono di prevenire o limitare compromissioni del proprio benessere psicofisico. 6.2 Limiti degli studi Durante la realizzazione della ricerca mi sono trovata davanti ad alcune difficoltà. Il limite maggiore riscontrato riguarda la scarsa reperibilità degli articoli scientifici inerenti al tema scelto, che ha portato ad ottenere un numero mediocre di testi (n=8). Un numero maggiore di studi reperiti, avrebbe potuto sicuramente conferire alla ricerca una maggiore valenza scientifica e attendibilità. Gli articoli scientifici, inoltre, risultano limitati anche in termini di qualità, poiché non si tratta di studi di livello superiore come i Randomized Control Trials (RCT). Solo due articoli risultano essere studi sperimentali, tuttavia non presentano un gruppo di controllo (Flarity et al., 2013; Meadors & Lamson, 2008). I restanti sei studi non includono alcun tipo di intervento (Allie & Brits, 2018; Cook et al., 2012; Ko & Kiser-Larson, 2016; Mason et al., 2014; Wilson, 2014; Yoder, 2010), bensì prevedono unicamente la somministrazione di un questionario o l’esecuzione di interviste strutturate, che rilevano la funzionalità o l’inadeguatezza soggettiva dell’applicazione dei meccanismi di coping, escludendo così l’oggettività dei risultati. Sempre per quanto riguarda la scarsa reperibilità degli articoli, sono state estese le stringhe di ricerca. Questo ha comportato l’inclusione di studi che sono stati pubblicati negli ultimi dieci anni (2008 compreso) e che sono stati effettuati prevalentemente in un’area geografica lontana dalle nostre latitudini (Stati Uniti d’America, Inghilterra, Sud Africa). Un altro limite riguarda la popolazione d’interesse selezionata, poiché è stato necessario includere studi i cui partecipanti non erano solo infermieri ma anche altri operatori sanitari come medici, studenti di medicina, dipendenti dell’area amministrativa, assistenti sociali, collaboratori e cappellani (Allie & Brits, 2018; Meadors & Lamson, 2008). Generalmente la dimensione
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del campione risulta limitata, fino ad arrivare ad un minimo di tredici partecipanti (Wilson, 2014). Ciò non permette la generalizzazione dei risultati. Inoltre in diversi studi, il numero iniziale di partecipanti non è stato mantenuto a causa dei drop outs o poiché non tutti i questionari somministrati venivano riconsegnati ai ricercatori. In conclusione un ulteriore limite è rappresentato dal fatto di aver condotto questa revisione in modo autonomo. La valutazione degli studi e la stesura del lavoro dovrebbe essere eseguita da almeno due autori, al fine di attribuire maggiore valenza alla ricerca. Un fattore rilevante della letteratura critica corrisponde al fatto di osservare le cose da un altro punto di vista (LoBiondo-Wood et al., 2004). 6.3 Implicazioni per la pratica professionale L’analisi degli articoli ha messo in evidenza notevoli implicazioni correlate alla professione infermieristica, in particolare l’esigenza di approfondimenti rispetto la conoscenza e la gestione della compassion fatigue. In questo lavoro di tesi si è deciso di affrontare una tematica incentrata principalmente sull’infermiere in ambito ospedaliero, ma che al contempo risulta essere rilevante anche per il paziente. Come è stato evidenziato più volte, l’esposizione ricorrente a eventi dolorosi come il decesso di un paziente, può portare l’infermiere a provare stanchezza e depressione, fino ad arrivare ad una condizione in cui si ha una ridotta capacità di sopportare la sofferenza altrui. Questa circostanza implica un distacco empatico dal paziente, che risulta essere una caratteristica disfunzionale per la professione infermieristica. Inoltre, si è osservato che questa condizione denominata compassion fatigue ha importanti ripercussioni sulla salute psicofisica dell’infermiere. Pertanto è fondamentale preservare e implementare il benessere dell’infermiere, al fine di permettere che esso possa ricoprire al meglio le considerevoli responsabilità che caratterizzano la professione infermieristica e garantire ai propri pazienti cure di qualità. Di seguito verrà citato il codice deontologico dell’infermiere relativo alla pratica professionale e sarà correlato alle implicazioni della compassion fatigue.
L’infermiere dimostra di possedere valori professionali quali il rispetto, la comprensione, la compassione, la fiducia e l’integrità. L’infermiere assume la responsabilità personale e risponde dell’assistenza infermieristica che svolge; deve inoltre mantenere aggiornata la propria competenza attraverso la formazione permanente. L’infermiere mantiene uno standard di salute personale in modo da non compromettere la capacità di prestare assistenza. L’infermiere è consapevole delle conseguenze del suo operato sulla salute (International Council of Nurses, 2012).
Queste norme di condotta deontologica provengono da tre capitoli, dei quattro che costituiscono il codice deontologico dell’infermiere, questi sono: gli infermieri e le persone, gli infermieri e la pratica, gli infermieri e la professione (International Council of Nurses, 2012). Ciò evidenzia che la compassion fatigue è una condizione per la quale occorre investire risorse per il benessere dell’infermiere e del paziente. L’infermiere deve essere in grado di riconoscere le proprie vulnerabilità e le proprie emozioni, di conseguenza deve poter capire quando si trova in una condizione di disagio emotivo. Pertanto è importante che il professionista si renda conto dell’importanza della propria salute, al fine di salvaguardare se stesso e chi lo circonda.
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E' auspicabile un’attenzione particolare all'esposizione ad eventi significativi per la propria salute psicofisica che avvengono nel corso della propria carriera lavorativa. Tale attenzione deve essere posta nel corso della formazione infermieristica, post-laurea e durante tutta la carriera lavorativa, considerando le possibili conseguenze negative generate da tali eventi. Come esposto nel capitolo “2. Quadro teorico”, la morte di un paziente è un evento significativo che può generare condizioni di disagio emotivo come la compassion fatigue. Lo sviluppo e l’attuazione di strategie di coping, permettono di prevenire, minimizzare ed eliminare le ripercussioni negative che questa circostanza comporta. Due studi analizzati nella presente revisione bibliografica, hanno mostrato quanto sia rilevante realizzare seminari formativi, rivolti agli operatori sanitari, riguardo al tema della compassion fatigue. Dai risultati emersi si è potuto evincere che la conoscenza dell’esistenza di una condizione simile, dei rispettivi sintomi ed interventi da attuare per farvi fronte, permette all’infermiere di essere autoconsapevole e di conseguenza di essere in grado di avvertire se sta vivendo situazioni di disagio emotivo. La consapevolezza dell’eventualità che l’infermiere possa sperimentare malessere, consente di essere maggiormente vigile rispetto alle proprie emozioni e dunque di riconoscere la necessità di dover chiedere supporto o semplicemente di prendersi del tempo per se stessi ed attuare le strategie di coping, apprese durante i momenti di formazione. Pertanto nello studio eseguito da Meadors et al. (2008), in seguito al seminario formativo i partecipanti affermano di avere una maggiore consapevolezza rispetto alla compassion fatigue e di disporre delle risorse necessarie per prevenire e minimizzare tale condizione, se si dovesse presentare in futuro. Inoltre i partecipanti riferiscono che la maggiore consapevolezza permette loro di sentirsi generalmente più rilassati (Meadors & Lamson, 2008). Questo sottolinea che, talvolta, la semplice conoscenza della realtà, permette di essere più diligenti verso se stessi e gli altri. Pertanto tutte le ripercussioni che la compassion fatigue può generare (ansia, depressione, fatica cronica, isolamento, abbandono della professione) sono prevedibili o limitabili attraverso la formazione degli infermieri e la presa in carico da parte delle strutture ospedaliere. L’intento sarebbe di ottenere da quest’ultime la possibilità di eseguire dei seminari formativi che permettano di conoscere la condizione di compassion fatigue e le relative risorse di coping a cui bisogna attenersi in caso di disagio. Ho pensato fosse opportuno aggiungere le competenze professionali specifiche del profilo dell’infermiere, che si acquisiscono con l’ottenimento del Bachelor of Science in Cure Infermieristiche presso la SUPSI, e di analizzarle in correlazione alla compassion fatigue.
Ruolo di esperto in cure infermieristiche: Come esperti in cure infermieristiche, gli infermieri sono responsabili, all’interno del sistema sanitario, del loro agire professionale e delle relative decisioni e valutazioni (SUPSI DSAN, 2011).
L’infermiere deve essere responsabile di se stesso e lavorare soltanto se le condizioni psicofisiche lo permettono. Per far sì che possa sempre fornire cure di elevata qualità, è importante che il professionista, in circostanze di tensione e sofferenza, abbia la possibilità di prendersi del tempo per se stesso e riflettere sulle proprie emozioni, al fine di poter attuare le strategie che meglio ritiene adeguate per affrontare la situazione.
Ruolo di comunicatore: Come comunicatori, gli infermieri permettono lo sviluppo di rapporti di fiducia nel proprio contesto e trasmettono informazioni in maniera mirata
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(SUPSI DSAN, 2011).
Come potuto constatare, il supporto dei colleghi risulta essere una notevole risorsa di coping in momenti di disagio emotivo. Pertanto è fondamentale sviluppare rapporti di fiducia con i propri colleghi, al fine di poter condividere le proprie esperienze e trovare supporto nei momenti più delicati.
Ruolo di membro di un gruppo di lavoro: Come membri di gruppi di lavoro, gli infermieri partecipano in modo efficace ed efficiente a gruppi interdisciplinari e interprofessionali (SUPSI DSAN, 2011).
Come membro di un gruppo è importante assumersi la responsabilità del proprio operato. Pertanto provare benessere psicofisico permette di essere coerenti tra quello che si percepisce e quello che si esercita, nel rispetto dei pazienti e dei propri colleghi di lavoro.
Ruolo di manager: Come manager gli infermieri si fanno carico della direzione specialistica, contribuiscono all’efficacia dell’organizzazione e sviluppano la propria carriera professionale (SUPSI DSAN, 2011).
È opportuno che i professionisti continuino a formarsi nel corso della propria carriera attraverso programmi di promozione e prevenzione della salute, al fine di accrescere le proprie conoscenze e perseguire il benessere personale e di chi gli sta intorno.
Ruolo di promotore della salute (Health Advocate): Come promotori della salute, gli infermieri si basano in maniera responsabile sulla proprie conoscenze di esperti e sfruttano la loro influenza nell’interesse della salute e della qualità di vita dei pazienti/clienti e della società nel suo insieme (SUPSI DSAN, 2011).
È fondamentale che l’infermiere, attraverso l’introspezione, possa prendere contatto con le proprie sensazioni, al fine di prendersi cura di sé e mantenere l’attenzione empatica che permette di curare l’altro e di conseguenza di promuovere, mantenere e perseguire la salute dei propri pazienti.
Ruolo di apprendente e insegnante: Come apprendenti e insegnanti gli infermieri si impegnano per l’apprendimento permanente basato sulla pratica riflessiva e per lo sviluppo, la trasmissione e l’applicazione del sapere basato su prove di efficacia (SUPSI DSAN, 2011).
Il dolore che sperimenta il professionista d’innanzi a condizioni di sofferenza dei propri pazienti è un tema che non riceve particolare attenzione nel corso della formazione infermieristica e soprattutto in seguito all’ottenimento della laurea. L’infermiere ha il compito di interessarsi a questa tematica, ed è dunque opportuno che solleciti i responsabili sul posto di lavoro affinché si occupino del fenomeno e provvedano a fornire condizioni tali da permettere ai professionisti di formarsi e aggiornarsi sulla condizione di compassion fatigue, al fine di ovviarla. Inoltre come ruolo d’insegnante, l’infermiere che dispone di conoscenze, è in grado di trasmettere il proprio sapere al prossimo.
Ruolo legato all’appartenenza professionale: Come appartenenti alla loro categoria professionale, gli infermieri si impegnano per la salute e la qualità di vita delle singole persone e della società. Si vincolano all’etica professionale e alla cura della
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propria salute (SUPSI DSAN, 2011).
Questa competenza gioca un ruolo centrale nella prevenzione della compassion fatigue, poiché permette al professionista di mantenere un senso di responsabilità verso se stesso e conseguentemente verso la propria professione, contribuendo così al mantenimento e allo sviluppo della salute individuale e collettiva.
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7. Conclusioni Rispondere alla domanda di ricerca che mi sono posta all’inizio di questo lavoro di tesi “Quali sono le strategie di coping che l’infermiere può attuare di fronte all’insorgenza della condizione di compassion fatigue, venutasi a creare in seguito alla ripetuta esposizione a dolore e morte di pazienti in ambito ospedaliero”, ora risulta fattibile. I risultati ottenuti dall’analisi degli studi scientifici selezionati sono positivi, tuttavia non bisogna dimenticare che sono presenti dei limiti e sarebbero opportuni ulteriori sviluppi della ricerca. Gli obiettivi di ricerca prefissati inizialmente “incrementare le mie conoscenze rispetto all’evento morte ed alle conseguenze psicofisiche che causa sull’individuo”, “comprendere in che modo il decesso del paziente possa costituire un evento stressante per l’infermiere e capire in che modo si possa instaurare una condizione di disagio psicologico come la compassion fatigue”, “approfondire il tema della compassion fatigue e analizzare le strategie di coping per farvi fronte”, “crescere dal punto di vista personale per poter alimentare il mio benessere psicofisico, la motivazione professionale e la qualità delle cure prestate nel mio futuro lavorativo come infermiera professionista”, sono stati raggiunti. Durante la ricerca ho potuto verificare che l’esposizione ricorrente all’evento morte determina nell’infermiere sensazioni di sofferenza. Tuttavia il professionista tende a reprimere il proprio dolore, poiché il decesso di un paziente viene considerato componente naturale del lavoro infermieristico. La sofferenza soggettiva in concomitanza con l’attitudine dell’infermiere a non voler riconoscere le proprie emozioni, può far scaturire una condizione di disagio psicofisico che porta il professionista verso un’attitudine di incapacità empatica e di carenza di cure compassionevoli verso i propri pazienti. Pertanto l’infermiere si ritrova inabile a sopportare la sofferenza altrui, determinando così la condizione di compassion fatigue (Boyle, 2011). Attraverso la revisione bibliografica, ho potuto riconoscere l’importanza di sviluppare risorse interne che permettono di incrementare la resistenza personale, al fine di poter fronteggiare eventi che generano sofferenza emotiva. La semplice applicazione di determinate strategie di coping ha permesso ai professionisti della cura di affrontare condizioni di estremo disagio emotivo, venutesi a creare a contatto con la sofferenza altrui. Inoltre il singolo intervento di formazione volto a trattare il tema della compassion fatigue, ha consentito ai professionisti della cura, di acquisire consapevolezza rispetto all’eventualità di provare disagio emotivo all’interno del proprio ambiente di lavoro. Altresì ha permesso agli infermieri di apprendere l’importanza di essere consapevoli delle proprie emozioni e di prendere contatto con il proprio stato emotivo, al fine di riconoscere quando è il momento di usufruire delle proprie risorse di coping per mantenere e accrescere il proprio benessere psicofisico e di conseguenza anche quello di chi gli sta accanto. 7.1 Sviluppi per il futuro Data la visione olistica delle cure infermieristiche, la ricerca futura potrebbe concentrarsi maggiormente sulla sfera emotiva dell’infermiere a contatto con la sofferenza, anziché basarsi principalmente sulle cure che accompagnano il paziente morente. Sarebbe interessante approfondire il tema della compassion fatigue a livello ticinese. Sia per quanto riguarda la formazione dei futuri infermieri che per quelli già laureati, potenziando la trasmissione di informazioni rispetto alle possibili ripercussioni psicofisiche che potrebbero generare in seguito al contatto continuo con la sofferenza dei malati. È fondamentale sostenere la formazione degli infermieri rispetto ai concetti di salutogenesi, che permettono di sviluppare risorse di resistenza per mantenere il proprio benessere. Inoltre sarebbe interessante eseguire dei seminari formativi all’interno dei contesti di cura,
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al fine di sviluppare e mantenere le risorse di coping necessarie per far fronte alla sofferenza che caratterizza l’assistenza infermieristica. 7.2 Riflessioni personali Il percorso di elaborazione di questo progetto è stato molto particolare. Ho sofferto profondamento per la malattia e la morte di una persona a me molto cara e per questo fin da subito il mio intento era di realizzare un lavoro che trattasse dell’esposizione dell’infermiere all’evento morte, in particolare le ripercussioni che può subire e soprattutto come può farvi fronte nel corso della propria carriera. Principalmente quindi ho voluto incentrare il lavoro sul mantenimento del benessere personale e professionale dell’infermiere. Iniziando la ricerca, mi sono resa conto che la bibliografia sull’accompagnamento alla morte è molto estesa, ma che la letteratura relativa al rapporto che l’infermiere ha con l’evento morte in sé è relativamente carente. Pertanto ho riscontrato svariate difficoltà nel trovare informazioni inerenti a questo tema e di conseguenza non riuscivo ad inquadrare appieno il mio quesito di ricerca. Grazie alla guida professionale della mia direttrice di tesi, Stefania Viale, e alla personale perseveranza nel ricercare e approfondire l’argomento di interesse, sono riuscita a formulare il mio progetto. Dopo svariato tempo di ricerca del materiale, sono venuta a conoscenza della compassion fatigue. Poiché si tratta di una condizione di esaurimento emotivo, generato dall’esposizione a contesti caratterizzati da sofferenza e pertanto da eventi luttuosi, ho deciso di scegliere questo tema che rispecchiava il mio oggetto d’interesse. Inoltre volendo incentrarmi sul mantenimento della salute dell’infermiere, ho focalizzato il mio quesito di ricerca sulle strategie di coping utili a fronteggiare questa condizione compromettente. Aver svolto questo lavoro ha permesso di arricchirmi sia a livello formativo che personale: ho appreso come svolgere una revisione bibliografica scientifica, lavorare autonomamente ad un progetto importante, sapermi gestire nei tempi prefissati, essere esperta nel tema da me scelto ed utilizzare le conoscenze apprese per valorizzare il mio futuro infermieristico e poterle trasmettere ad altri infermieri. Sono soddisfatta di aver constatato che svariati concetti, appresi durante il corso della formazione infermieristica, hanno trovato una valenza anche nel presente lavoro. Questo avvalora il percorso di Bachelor in Cure Infermieristiche che ho frequentato e le competenze che mi ha permesso di acquisire. In conclusione posso affermare di essere entusiasta dell’arricchimento professionale che ho ottenuto attraverso la stesura di questo progetto. Grazie all’approfondimento di questo tema, nel mio futuro lavorativo sarò in grado di attuare e promuovere le strategie di coping apprese, propagandole anche ai miei colleghi e divenendo così una fonte di esempio e suggerimento nella pratica professionale.
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8. Ringraziamenti Al termine di questo lavoro di tesi, che mi permette di concludere tre anni di formazione universitaria, vorrei ringraziare tutti coloro che mi hanno accompagnata, sostenuta, incoraggiata e arricchita. Vorrei ringraziare la mia direttrice di tesi Stefania Viale, che con preziosa pazienza mi ha accompagnata nella scelta e nella redazione di questo lavoro, mettendosi sempre a disposizione. Ringrazio la mia famiglia e il mio compagno per avermi sostenuta ed incoraggiata, in particolare mio papà che mi ha permesso di conseguire gli studi. Grazie ai miei zii che mi hanno sempre sostenuta, spronandomi a valorizzare le mie capacità. Grazie alle mie care amiche, dispensatrici di spensieratezza e sostegno, che hanno sempre creduto in me. Il mio pensiero è costantemente rivolto alla persona più importante della mia vita, mia mamma. Anche se non sei più qui, ti sento vicina più che mai. Spero di averti resa orgogliosa in questi anni e dedico a te ogni mio risultato ottenuto, perché è grazie a te se sono così oggi. Ciao angelo mio, sei sempre con me.
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50
10. Allegati 10.1 Sintomi della compassion fatigue Emotivi Sbalzi d’umore
Irrequietezza Irritabilità Rabbia e risentimento Ansia Preoccupazioni Depressione Apatia Disperazione Perdita di obiettività Problemi di memoria Scarsa capacità di concentrazione e giudizio Uso eccessivo di sostanze (nicotina, alcool, droghe illecite)
Fisici Fatica cronica Mal di testa Problemi gastrointestinali (diarrea, stitichezza, mal di stomaco) Tensione muscolare Disturbi del sonno (difficoltà/incapacità a dormire, insonnia, ipersonnia) Sintomi cardiaci (dolore/pressione toracica, palpitazioni, tachicardia)
Sociali Insensibilità Sentimenti di isolamento, estraniazione Incapacità di condividere la sofferenza Indifferenza Perdita d’interesse per qualsiasi attività Ritirarsi in se stessi
Lavorativi Evitare o temere di lavorare con determinati pazienti Ridotta capacità empatiche Assenteismo per malattia Capacità di prestazioni ridotte (es. errori nella somministrazione dei farmaci) Mancanza di motivazione e gioia verso il proprio lavoro Desiderio di abbandonare il proprio lavoro
Spirituali Diminuzione del discernimento Disinteresse per l’introspezione Mancanza di consapevolezza spirituale Problemi esistenziali e scarsa valutazione di sé
Fonti: Aycock & Boyle, 2009; Coetzee & Klopper, 2010; Charles R. Figley, 1995; Lombardo & Eyre, 2011; Showalter, 2010; Todaro-Franceschi, 2013
51
10.2 The Professional Quality of Life Scale (H. E. Stamm, 2009)
© B. Hudnall Stamm, 2009. Professional Quality of Life: Compassion Satisfaction and Fatigue Version 5 (ProQOL). /www.isu.edu/~bhstamm or www.proqol.org. This test may be freely copied as long as (a) author is credited, (b) no changes are made, and (c) it is not sold.
Professional Quality of Life Scale (ProQOL) Compassion Satisfaction and Compassion Fatigue
(ProQOL) Version 5 (2009) When you [help] people you have direct contact with their lives. As you may have found, your compassion for those you [help] can affect you in positive and negative ways. Below are some questions about your experiences, both positive and negative, as a [helper]. Consider each of the following questions about you and your current work situation. Select the number that honestly reflects how frequently you experienced these things in the last 30 days.
1=Never 2=Rarely 3=Sometimes 4=Often 5=Very Often
1. I am happy. 2. I am preoccupied with more than one person I [help]. 3. I get satisfaction from being able to [help] people. 4. I feel connected to others. 5. I jump or am startled by unexpected sounds. 6. I feel invigorated after working with those I [help]. 7. I find it difficult to separate my personal life from my life as a [helper]. 8. I am not as productive at work because I am losing sleep over traumatic experiences of
a person I [help]. 9. I think that I might have been affected by the traumatic stress of those I [help]. 10. I feel trapped by my job as a [helper]. 11. Because of my [helping], I have felt "on edge" about various things. 12. I like my work as a [helper]. 13. I feel depressed because of the traumatic experiences of the people I [help]. 14. I feel as though I am experiencing the trauma of someone I have [helped]. 15. I have beliefs that sustain me. 16. I am pleased with how I am able to keep up with [helping] techniques and protocols. 17. I am the person I always wanted to be. 18. My work makes me feel satisfied. 19. I feel worn out because of my work as a [helper]. 20. I have happy thoughts and feelings about those I [help] and how I could help them. 21. I feel overwhelmed because my case [work] load seems endless. 22. I believe I can make a difference through my work. 23. I avoid certain activities or situations because they remind me of frightening experiences
of the people I [help]. 24. I am proud of what I can do to [help]. 25. As a result of my [helping], I have intrusive, frightening thoughts. 26. I feel "bogged down" by the system. 27. I have thoughts that I am a "success" as a [helper]. 28. I can't recall important parts of my work with trauma victims. 29. I am a very caring person. 30. I am happy that I chose to do this work.
52
10.3 Nursing Stress Scale (Gray-Tofrt & James G., 1981)
53
10.4 The Index of Clinical Stress (Abell, 1991)
10.5 Moral Distress Scale (Corley, Elswick, Gorman, & Clor, 2001)
54
10.6 Utrecht Work Engagement Scale (Schaufeli & Bakker, 2004)
55
10.7 The Social Readjustment Rating Scale (Holmes & Rahe, 1967)
56
10.8 In der Schweiz wohnhafte Patienten, die in einem Schweizer Spital verstarben (Erwin K. Wüest - Office fédéral de la statistique, 2018)
Gestorbene)im)Spital)
Sterbejahr) Im)Spital)gestorben) Total)Gestorbene) Im)Spital)verstorben)in)%)aller)Todesfälle)
2017! 25809! 66971! 38.5% 2016! 25714! 64964! 39.6% 2015! 26087! 67608! 38.6% 2014! 25592! 63938! 40.0% 2013! 26105! 64961! 40.2% 2012! 25450! 64173! 39.7% 2011! 25199! 62091! 40.6% 2010! 25147! 62649! 40.1%
57
10.9 E-mail per la richiesta di riferimenti bibliografici rispetto i dati della tabella “Gestorbene im Spital“
58
10.10 Valutazione degli articoli Duffy (James A. Fain & Vellone, 2004)
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60
61
10.11 Risultati valutazione Duffy
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Lavoro di Tesi approvato in data: ………………………………….