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Allegato de “Il Sole24Ore Sanità. I Quaderni di Medicina. CONFERENZA “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative”. N.7, 24 feb.-2mar.2015. Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative” Relazioni degli esperti A cura dei Coordinatori della Conferenza di Consenso

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Allegato de “Il Sole24Ore Sanità. I Quaderni di Medicina. CONFERENZA “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina

Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative”. N.7, 24 feb.-2mar.2015.

Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in

ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative”

Relazioni degli

esperti A cura dei Coordinatori della Conferenza di Consenso

Relazioni degli esperti_Allegato

2

Sommario

TEMA 1 _ Qual è la definizione di medicina narrativa? .............................................................................. 3

Abstract .................................................................................................................................................... 4

Introduzione ............................................................................................................................................. 5

Excursus .................................................................................................................................................... 6

Implicazioni ............................................................................................................................................. 18

Commenti ............................................................................................................................................... 21

Conclusioni ............................................................................................................................................. 24

Bibliografia .............................................................................................................................................. 26

TEMA 2 _ Quali sono le metodologie e gli strumenti utilizzati nell’ambito della medicina narrativa? . 29

Abstract .................................................................................................................................................. 30

Introduzione ........................................................................................................................................... 31

Excursus sulle metodologie e tecniche utilizzati nell’ambito della medicina narrativa ......................... 32

Implicazioni ............................................................................................................................................. 40

Commenti ............................................................................................................................................... 42

Conclusioni (con proposta di condizioni da rispettare nella scelta della metodologia) ......................... 44

Bibliografia .............................................................................................................................................. 46

TEMA 3 _ Quale può essere l’utilità della medicina narrativa? In quali ambiti può essere utilizzata,

facendo riferimento alle esperienze applicative ad oggi realizzate? ....................................................... 49

Abstract .................................................................................................................................................. 50

Introduzione ........................................................................................................................................... 51

Excursus .................................................................................................................................................. 52

Implicazioni ............................................................................................................................................. 56

Commenti ............................................................................................................................................... 58

Conclusioni ............................................................................................................................................. 59

Bibliografia .............................................................................................................................................. 60

Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative”

3

TEMA 1 _ Qual è la definizione di medicina narrativa?

Autori

Guido GIARELLI, Università Magna Graecia, Catanzaro

Gaia MARSICO, Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, Chieti

Domenica TARUSCIO, Centro Nazionale Malattie Rare, Istituto Superiore di Sanità, Roma

Co-autori

Marta DE SANTIS, Centro Nazionale Malattie Rare, Istituto Superiore di Sanità, Roma

Francesca SCAPINELLI, Ufficio Stampa, Istituto Superiore di Sanità, Roma

Mirella TARANTO, Ufficio Stampa, Istituto Superiore di Sanità, Roma

Relazioni degli esperti_Allegato

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Abstract

L’espressione “Medicina Narrativa” comporta l’accostamento di due termini che nella cultura

occidentale moderna appartengono a campi semantici tradizionalmente lontani e separati (la

medicina alle scienze naturali; la narrazione alle scienze umane), introducendo immediatamente

una difficoltà di ordine epistemologico, evidenziata nell’Introduzione, che consiste

nell’impossibilità di classificare i due termini adottati in tale espressione in un unico sistema

concettuale di riferimento, dal momento che la scissione cartesiana fra res cogitans e res extensa,

mente e corpo, non consente tale accostamento.

Al fine di affrontare tale problema, il punto focale da cui partiremo per analizzare nel nostro

Excursus le diverse definizioni di medicina narrativa che i quattro approcci teorici presi in

considerazione propongono è consistito nell’individuare in che misura e con quali modalità tali

definizioni permettono più o meno esplicitamente di ricomporre la frattura epistemologica

prodotta dal dualismo cartesiano in una concezione unitaria della natura interna umana e,

conseguentemente, della salute, della malattia e della medicina.

Poiché la comprensione del significato delle proprietà dell’espressione di medicina narrativa implica

necessariamente una loro interpretazione, ciò pone una seconda difficoltà di ordine ermeneutico,

che consiste nella necessità di specificare il “punto di vista” ed il soggetto di tale interpretazione: al

fine di affrontare anche questo secondo problema, abbiamo cercato di individuare nelle

Implicazioni i diversi punti di vista ed i soggetti professionali e non ad essi sottesi che in ciascuna

definizione di medicina narrativa è possibile riscontrare.

Abbiamo quindi evidenziato nei Commenti i punti di forza e di debolezza, le potenzialità ma anche i

limiti e i rischi che ciascuno dei punti di vista comporta in termini di concrete ricadute operative per

i servizi sanitari e socio-sanitari nei diversi ambiti che li caratterizzano.

Infine, sulla scorta di tale percorso, nelle Conclusioni abbiamo cercato di pervenire ad una

definizione di medicina narrativa che, tenendo conto del pluralismo teorico riscontrato nel corso

dell’excursus relativo alle diverse definizioni, nonché della pluralità dei punti di vista che le diverse

implicazioni ad esse sottese ci hanno consentito di individuare, possa risultare la più comprensiva

possibile ma anche la più adeguatamente operazionalizzabile in termini di concreta operatività dei

servizi sanitari e socio-sanitari e dei professionisti in essi operanti, con particolare riferimento alle

malattie rare e cronico-degenerative.

Parole chiave: Medicina basata sulla Narrazione, approccio terapeutico, approccio umanistico-

narratologico, approccio fenomenologico-ermeneutico, approccio socio-antropologico, metodologia

d’intervento clinico-assistenziale, illness/disease/sickness.

Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative”

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Introduzione

Se, come affermava Aristotele, una definizione è la dichiarazione dell’essenza di una cosa, allora il

problema della definizione di “medicina narrativa” consiste nell’individuazione delle caratteristiche o

proprietà essenziali sottese a tale espressione e nella comprensione del loro significato in termini di

implicazioni operative e comportamentali per i soggetti coinvolti. Il problema fondamentale che tale

compito comporta è quindi di duplice natura:

1. l’appartenenza dei due termini accostati in tale espressione nella cultura occidentale moderna a

campi semantici tradizionalmente lontani e separati (la medicina alle scienze naturali; la

narrazione alle scienze umane) introduce immediatamente una difficoltà di ordine

epistemologico, che consiste nell’impossibilità di classificare i due termini adottati in tale

espressione in un unico sistema concettuale di riferimento, dal momento che la scissione

cartesiana fra res cogitans e res extensa, mente e corpo, non consente tale accostamento. Al

fine di affrontare tale problema, il punto focale da cui partiremo per analizzare nel nostro

Excursus le diverse definizioni di medicina narrativa che i vari approcci teorici presi in

considerazione propongono consisterà nell’individuare in che misura e con quali modalità tali

definizioni permettono più o meno esplicitamente di ricomporre la frattura epistemologica

prodotta dal dualismo cartesiano in una concezione unitaria della natura interna umana e,

conseguentemente, della salute, della malattia e della medicina;

2. in secondo luogo, poiché la comprensione del significato delle proprietà di tale espressione di

medicina narrativa implica necessariamente una loro interpretazione, ciò pone una seconda

difficoltà d’ordine ermeneutico, che consiste nella necessità di specificare il “punto di vista” ed il

soggetto di tale interpretazione: al fine di affrontare anche questo secondo problema,

cercheremo di individuare nelle Implicazioni i diversi punti di vista ed i soggetti professionali e

non ad essi sottesi che in ciascuna definizione di medicina narrativa è possibile riscontrare; per

evidenziare poi nei Commenti i punti di forza e di debolezza, le potenzialità ma anche i limiti ed i

rischi che ciascuno di tali punti di vista comporta in termini di concrete ricadute operative per i

servizi sanitari e socio-sanitari nei diversi ambiti che li caratterizzano.

Infine, sulla scorta di tale percorso, nelle Conclusioni cercheremo di pervenire ad una definizione di

medicina narrativa che, tenendo conto del pluralismo teorico riscontrato nel corso dell’excursus relativo

alle diverse definizioni, nonché della pluralità dei punti di vista che le diverse implicazioni ad esse

sottese ci hanno consentito di individuare, possa risultare la più comprensiva possibile ma anche la più

adeguatamente operazionalizzabile in termini di concreta operatività dei servizi sanitari e socio-sanitari

e dei professionisti in essi operanti, con particolare riferimento alle malattie rare e cronico-

degenerative.

Relazioni degli esperti_Allegato

6

Excursus

Ogni definizione di un oggetto che si voglia scientifica sottende una questione epistemologica

fondamentale: la natura di “verità” della conoscenza proposta, di un sapere autentico empiricamente

fondato. Per poter affrontare il problema della definizione di “medicina narrativa” in maniera adeguata

occorre quindi analizzare anzitutto come tale problema epistemologico sia stato risolto nella cultura,

nella scienza e nella medicina occidentale per poter comprendere le motivazioni dell’emergere della

medicina narrativa (1). A partire dalla cosiddetta “rivoluzione scientifica” del XVII secolo, la nascita della

scienza moderna affonda le proprie radici sulla scissione cartesiana fra res cogitans e res extensa, mente

e corpo: sulla cui base si assegna alla scienza il secondo termine di tale dualismo, secondo una

prospettiva di tipo riduzionistico che considera la verità scientifica il prodotto dell’applicazione del

pensiero logico-matematico e delle leggi della fisica e della chimica ai fenomeni della vita. La visione

meccanicistica del corpo umano e, conseguentemente, della medicina, che ne è risultata, ha assegnato

all’anatomia patologica un superiore valore gerarchico di giudizio finale inappellabile rispetto alla clinica

nel percorso che porta alla verità diagnostica, in virtù di una sua presunta maggior prossimità ad una

concezione del corpo assimilabile al funzionamento di una macchina (2).

Nella seconda metà del secolo scorso, tale concezione è entrata in crisi a causa soprattutto

dell’emergere delle nuove teorie relativistiche post-einsteiniane e dello sviluppo della prospettiva della

complessità (3) nelle stesse scienze fisico-chimiche e naturali quale vero e proprio spartiacque fra le

precedenti concezioni della scienza e della causalità di tipo deterministico, lineare e riduzionistico ed

una nuova concezione di verità scientifica che sia in grado di riconoscerne il carattere di molteplicità

plurale, fondata su di una necessaria integrazione mente-corpo, di contestualità socialmente,

culturalmente e storicamente determinata, nonché di relatività e di incertezza.

Alla luce di questa necessaria premessa epistemologica, quali sono le diverse definizioni di medicina

narrativa oggi in campo e in che misura ciascuna di esse è in grado di tener conto della prospettiva della

complessità indicata? Dall’analisi degli articoli messi a disposizione, è stato possibile individuare almeno

quattro diversi approcci alla medicina narrativa:

1. un APPROCCIO TERAPEUTICO, secondo il quale la narrazione assume un significato ed una valenza

operativa direttamente terapeutica, per lo più di tipo psicologico, psicoterapeutico, psicanalitico,

psichiatrico, neurologico e neuropsichiatrico, per cui possiamo parlare di una “terapia narrativa” vera e

propria.

L’utilizzo della narrazione ha una lunga tradizione in neurologia, psichiatria e neuropsichiatria: la loro

stessa origine affonda le proprie radici nella narrazione clinica; e la descrizione clinica continua in gran

parte ad essere fondata sul potere esplicativo delle storie di pazienti. Tuttavia, nel corso degli ultimi

anni, la funzione della narrazione si è evoluta dalla classica descrizione clinica a scopo per lo più

formativo al percorso terapeutico, e vi è stata un’esplosione di letteratura da parte di malati con

problemi neurologici (4): utilizzata da queste persone per raccontare la propria autobiografia, il percorso

terapeutico diviene un tentativo di ricostruzione congiunta di narrazioni interrotte da parte del malato e

del professionista insieme.

Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative”

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Un altro esempio di questo approccio è il saggio della Facoltà di Psicologia dell’Università di Varsavia (5)

che propone una forma di terapia narrativa di tipo psicologico sistemico, con particolare riferimento alle

persone con stili di attaccamento problematici. In tale ambito, si suggerisce l’utilizzo del genogramma

quale tecnica di terapia familiare classica come strumento chiave per stimolare nel paziente

l’esplorazione e la ri-narrazione delle storie familiari al fine di una loro ridefinizione narrativa orientata al

riposizionamento del soggetto narrante. L’analisi del genogramma consente di condurre una

conversazione mnemonica sulla base della metafora del “club di vita”, che considera la famiglia come un

insieme di diverse storie anziché un sistema. La narrazione, che equivale qui ad una forma di

psicoterapia di tipo familiare, presuppone un approccio di tipo costruzionista sociale che analizza le

modalità con cui le narrazioni familiari modellano la percezione reciproca dei membri della famiglia.

Un ulteriore esempio di questo approccio è costituito da uno studio clinico sulla guarigione da trauma

del College of Nursing dell’Università del Tennessee (6) nel quale si affronta l’esperienza delle donne

sopravvissute con successo al trauma causato da un grave maltrattamento infantile utilizzando un

approccio integrato di tipo narrativo, costruttivista e femminista. I complessi resoconti di recupero dal

trauma costituiscono delle “narrazioni di salute” (health narrative) che evidenziano le lotte ed i successi

ottenuti da queste donne in un percorso riabilitativo definito “diventare risoluta”. I diversi contesti ed i

relativi percorsi che conducono a tale recupero dal trauma vengono analizzati a diversi livelli: traiettorie

di vita, relazioni chiave, cambiamenti percepiti e pattern mnemonici, auto-strategie, interventi e risultati

terapeutici.

Un articolo pubblicato da ricercatori dell’Università della Virginia (7) riferisce l’esperienza di persone con

malattia a cellule falciformi e, estendendo le osservazioni a tutte le condizioni di patologia, si sofferma

sulla fase di avvio del rapporto medico/paziente, sul “dovere dell’accoglienza nei confronti del paziente”

e sulla necessità dello sviluppo, da parte del medico, diunattitudine “che consente un’attenzione sincera

e un’apertura verso l’altro che sono essenziali per la cura appropriata ed empatica”. La buona risposta

terapeutica, è la conclusione, non si esaurisce nella diagnosi appropriata e nel trattamento: non può

prescindere dall’accoglienza, dal riconoscimento e dal rispetto delle storie del malato in tutte le loro

forme e qualunque sia la loro coerenza. Tale valenza operativa della medicina narrativa in ambito

terapeutico emerge con nit anche da un lavoro dell’Università di Milano-Bicocca con l’Ospedale San

Gerardo di Monza (8) riferito all’esperienza condotta da due associazioni (associazione per la tutela del

bambino con malattie metaboliche e associazione italiana mucopolisaccaridosi). L’alleanza terapeutica,

sottolineano gli autori, passa attraverso il racconto e la comunicazione. Si riferisce all’ambito oncologico,

e all’impiego terapeutico delle narrazioni in questo campo, la revisione di due studiosi inglesi, apparsa

sull’European Journal of Cancer Care (9), che offre una panoramica di lavori condotti tra il 1980 e il 2003.

Le narrazioni permettono ai pazienti di sviluppare le capacità di coping (risoluzione dei problemi) e

contribuiscono al miglioramento della pratica sanitaria. L’esperienza di storytelling di malati di cancro è

anche nell’articolo di Pelusi e Krebs (10) che pone l’accento sul valore sociale del racconto di storie di

malattia, che promuove la circolazione delle informazioni e la consapevolezza: condividere con gli altri il

proprio percorso è una responsabilità verso se stessi e verso la comunità ed è parte integrante del

processo di cura.

Interessante la riflessione di Romanoff et al. che si sviluppa nel contesto delle cure palliative. Gli autori

sostengono l’importanza del creare e raccontare storie come “atto sociale e una delle principali strategie

familiari utilizzate per dare senso alla malattie e alla morte”. Per questo, continuano, “è importante che i

Relazioni degli esperti_Allegato

8

membri dell’équipe terapeutica riconoscano il valore terapeutico del raccontare e siano preparati ad

accompagnare il paziente nel cammino attraverso la memoria e il significato” (11).

Una definizione della medicina narrativa rispetto alle storie di vita e all’etica narrativa nella cura delle

persone con disabilità intellettive si può trovare in una revisione della letteratura olandese e inglese ad

opera di Meininger (12), la cui premessa è che l’approccio narrativo è nato come tentativo di

compensare la “autorialità del disabile” senza trascurare l’identità personale del caregiver.

La dimensione narrativa è al centro della revisione di Benaglio (13), che passa in rassegna le riflessioni di

diversi autori per una epidemiologia a partire dalle forme narrative di pensiero: significativi i riferimenti

a Zannini (14), che parla di cura come aiuto nella costruzione di un significato, e a Giarelli et al. (15), che

avvalorano l’“integrazione possibile” tra medicina narrativa, intesa come strumento di analisi per

trasformare le storie di malattia in storie di cura, e medicina basata sulle evidenze. Di narrazione delle

storie come componente qualitativa e personalizzante delle epidemiologie, ancora, parla un editoriale di

Tognoni (16), che osserva che “la metodologia della narrazione […] per farsi cultura deve avere le

caratteristiche dell’epidemiologia e dei grandi studi per EBM”. Continua affermando che “la narrazione

delle storie è la componente qualitativa e personalizzante delle epidemiologie: quella che rende abitate

le tabelle, invita-obbliga a guardare al di là dei numeri, ri-stabilisce un rapporto personale e responsabile

tra le conoscenze basate sulla EBM/EBN e le persone che [non] ne possono essere destinatarie, fa degli

operatori non più solo degli spettatori-esecutori, ma coloro che si prendono cura. Raccontare significa

infatti non accontentarsi di descrivere una realtà, ma farla propria, e comunicabile,scambiabile al di là

delle cerchie professionali, capace di divenire parte di un linguaggio comune, che può appartenere a

tutti”.

Com’è noto, in questa prospettiva le narrazioni dei pazienti hanno continuato a svolgere un ruolo

centrale nel processo psicoterapeutico in quanto scambio di significati. Sin dai tempi di Freud, una serie

di metodi sono stati proposti per l’analisi delle narrazioni dei pazienti, molti dei quali focalizzati sui

contenuti delle trascrizioni verbali delle sedute psicoterapeutiche quale modalità per individuare i

significati clinicamente rilevati. La pluralità del repertorio metodologico a disposizione dello

psicoterapeuta evidenzia l’intrinseca multidimensionalità di significati che riflette i vincoli entro cui il

lettore costruisce la propria interpretazione: i testi non hanno dunque un significato unico, vero e fisso,

ma una pluralità di significati possibili, che dipendono dal punto di vista adottato dall’interprete. Un

gruppo di ricercatori dell’Università del Salento e di Padova (17) propone il Dynamic Mapping of the

Structures of Content in Clinical Settings (DMSC) quale metodo di analisi del contenuto da essi sviluppato

di tipo trans-teorico (non basato su di un’unica teoria clinica) e non clinicamente specifico (che

considera anche dimensioni non cliniche) fondato su di una teoria generale del significato di tipo

semiotico e dialogico, che considera la mente come incorporata all’interno dei processi di creazione di

senso intersoggettivi. Un metodo dialogico di analisi che presuppone tre caratteristiche fondamentali

dei significati: contingenza, sistematicità e dinamicità. Questi tre aspetti della contestualità dei

significati hanno importanti conseguenze metodologiche per la mappatura dei contenuti nel setting

clinico che fondano la logica del modello di analisi del contenuto proposto: l’adozione di categorie di

analisi altamente generalizzate e astratte, l’analisi dei pattern sistemici di combinazioni nelle costruzioni

di senso, un’analisi sequenziale dei pattern diacronici di combinazione dei contenuti.

Infine, il lavoro di tre psicologi inglesi (18) ci aiuta a rispondere al quesito di cosa sia la “terapia

narrativa” e di come venga utilizzata al fine di poterne poi successivamente valutare l’efficacia, con

Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative”

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particolare riferimento all’approccio di White e Epston (19). A tal fine vengono presentati i risultati di

una ricerca via Internet basata sul metodo Delphi (n=7) e sulla Q Methodology (n=33) rivolta a psicologi

britannici esperti e praticanti il suddetto approccio alla terapia narrativa nell’ambito del counselling e

del lavoro di comunità. Alla luce della distinzione operata da Bruner (20) fra le due componenti di una

buona storia – il paesaggio dell’azione ed il paesaggio della coscienza – vengono individuati otto

caratteristiche chiave della terapia narrativa, distinguendole fra tecniche e pratiche di azione

terapeutica, di filosofia e teorie relativi alla coscienza ed enfatizzanti l’interconnessione fra i due

paesaggi. Il grado di concordanza/discordanza rilevato sui diversi elementi evidenzia il pluralismo

esistente sulla definizione di terapia narrativa, anche se è possibile identificare una serie di concetti,

valori e tecniche sui quali esiste un grado di consenso sufficiente a identificarli quali caratteristiche

chiave della terapia narrativa.

2. un APPROCCIO DI TIPO UMANISTICO-NARRATOLOGICO, che nasce dall’incontro fra medicina e

Medical Humanities (e narratologia in particolare) e che ha indubbiamente in Rita Charon della

Columbia University la sua esponente più nota, oltre che l’autrice della definizione stessa di medicina

narrativa.

Ne ripercorriamo lo sviluppo del pensiero a partire dai quattro articoli esaminati. La Charon stessa (21)

ne ricostruisce l’origine a partire dal 2000, quando esso scaturisce dalla unificazione della sua

formazione in letteratura inglese con la sua pratica di internista. Dallo studio della teoria narrativa e

della struttura della storia, l’autrice acquisisce la capacità di attenzione a ciò che “si viene narrando”

(narrating) nel contesto clinico e la utilizza per trasformare la pratica stessa grazie alla nuova

consapevolezza e al sapere che la lettura e la scrittura delle storie produce. La medicina narrativa

rappresenta quindi un’arte di tipo umanistico, la componente artistica della medicina: o, come meglio

precisato in un altro articolo (22), “una medicina praticata con la competenza narrativa per riconoscere,

interpretare ed esser spinti all’azione dalle difficoltà degli altri”. Una pratica medica umana ed efficace,

rimarca Charon, richiede “abilità nel conoscere, assorbire, interpretare ed agire in base alle storie e alle

difficoltà degli altri”, ovvero le cosiddette competenze narrative. Se la malattia e la guarigione sono,

almeno in parte, atti narrativi, allora la narrazione offre al paziente le parole per contenere il caos della

malattia aiutandolo ad affrontarla meglio; mentre al medico rivela un tipo di comprensione della propria

pratica clinica che non sarebbe altrimenti percepibile. La capacità umana di comprendere il senso ed il

significato delle storie si fonda sul sapere narrativo, riconosciuto come critico per una efficace pratica

medica: un sapere di tipo idiografico (locale e particolare) che utilizza modalità cognitive di tipo

simbolico ed affettivo in contrapposizione al sapere di tipo logico-scientifico e nomotetico (che

trascende il particolare per ricercare leggi universali (23). In un quarto articolo (24) la Charon sembra

oltrepassare una lettura puramente narratologica delle illness narratives per accedere ad una

prospettiva più prossima alle scienze sociali, che trascende la mera umanizzazione delle cure propria

delle Humanities, attraverso la metafora dell’attivazione della membrana cellulare che rappresenta la

trasformazione del testo in azione: la teoria e la pratica della medicina narrativa forniscono un metodo

disciplinato e rigoroso per comprendere come le storie funzionano e per rivelare come le azioni dei

protagonisti delle storie aiutino a comprendere il processo di cura.

Una sistematica messa a punto di questo approccio ci viene offerto in un bel saggio di un gruppo di

narratologi americani (25) che riconsidera criticamente l’esplosione d’interesse e la risultante

proliferazione di pubblicazioni sulla narrazione in medicina verificatasi negli ultimi anni. Particolarmente

Relazioni degli esperti_Allegato

10

interessati alle questioni definitorie, essi rilevano come l’utilizzo di concetti derivanti dalla narratologia

letteraria non sia stato sempre rigoroso; dall’altra, come la stessa narratologia abbia prestato attenzione

quasi esclusiva alla narrativa di tipo letterario, ipostatizzandola quale modello per eccellenza di tutta la

narrazione tout court. Gli autori rilevano quindi la tensione che la “verità” derivante dalle storie di

malattia introduce nella medicina nel momento in cui non risulta più subordinata alla “verità più

oggettiva” dei dati biologici ottenuti grazie alle tecnologie diagnostiche e, più di recente, alla ricerca

statistico-epidemiologica (EBM). Una tensione che mette in crisi l’approccio positivistico alla pratica

clinica aprendola gradualmente ad un approccio olistico, che riconsidera il valore di prova di natura

idiosincratica e aneddotica offerto dalla storia del paziente. La “svolta narrativa” in medicina può

dunque beneficiare di un utilizzo rigoroso dei concetti narratologici a beneficio del paziente e del

medico: viene quindi proposta una tassonomia di tali concetti in grado di contribuire in tal senso

esaminandoli criticamente nel dettaglio, che può risultare di grande aiuto per orientarsi nell’ambito

delle diverse modalità che le storie di malattia possono assumere nella medicina narrativa.

Per un’interessante applicazione dell’approccio narratologico ad un ambito apparentemente assai

lontano, è poi possibile considerare l’articolo di un genetista canadese (26) sulla medicina narrativa

nella pratica delle genetica clinica. Il lavoro adotta la definizione di medicina narrativa della Charon e la

applica nello specifico al contesto della genetica clinica considerandola come uno strumento che aiuta a

migliorare ed espandere le capacità del medico di prestare ascolto alle voci dei propri pazienti con

problematiche genetiche, per le quali le cure sono rare e le malattie sono croniche. La competenza

narrativa - fondata sulle tre abilità dell’attenzione, della rappresentazione e dell’affiliazione riprese dalla

Charon - costituisce già, secondo l’autore, parte integrante della pratica genetica clinica corrente nel

momento in cui essa si interessa alle storie dei propri pazienti: si tratta di affinare e migliorare tale

competenza attraverso l’ascolto delle storie dei pazienti e l’utilizzo della scrittura riflessiva da parte dei

medici al fine di migliorare la comprensione dei propri pazienti e, in ultima istanza, la qualità delle cure

stesse. Ciò dovrebbe consentire anche di approfondire il legame con il paziente e di diminuire il

sovraccarico emozionale che il genetista clinico spesso subisce.

Si occupa del concetto di medicina integrativa, poi, un articolo in rivista targato Università di Firenze

(27), utile nel portare l’attenzione sull’idea di “personalizzazione” della medicina. Sulla scorta delle 4 “p”

del marketing (prodotto, prezzo, posto, promozione), la medicina delle 4 “p” è predittiva, preventiva,

personalizzata e partecipatoria. La medicina narrativa, sostiene l’autore, sviluppa empatia e capacità di

comprendere i bisogni del malato. La personalizzazione, in particolare, integra la classica patofisiologia e

richiede partecipazione nel senso della comprensione di tutti gli elementi che rappresentano la persona

che necessita di cura. La medicina che integra, secondo un approccio olistico al paziente, può offrire

indicazioni aggiuntive per il miglioramento dell’assistenza medica e per il miglioramento della qualità di

vita.

Il focus di un lavoro condotto all’Università di Tel Aviv sono le storie dei medici di medicina generale

(28). Vengono riportati episodi come “Il paziente nascosto” (storia di un medico di famiglia che per anni

presta attenzione al marito cardiopatico di una signora mentre è la moglie che, a causa dello stress, si

suiciderà) e la “Storia della camera sigillata” di Borkan, esperienza di un parto imminente durante i

bombardamenti in Israele nel 1991, narrata dal medico stesso. Gli autori suggeriscono una cornice che

combina la NBM con la EBM e i racconti del personale sanitario: è la MENCH (assistenza sanitaria

centrata su racconti). I racconti e le storie hanno un potenziale notevole ai fini della pratica clinica,

dell’insegnamento e della ricerca e gli autori ipotizzano per il futuro trial clinici di terapie narrative.

Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative”

11

Di un certo interesse è anche l’articolo di un medico di famiglia statunitense (29), che non contiene una

definizione diretta di medicina narrativa, ma affronta una questione strettamente connessa: quella

dell’autenticità della “voce del paziente” che le narrazioni contengono. L’autrice da una parte prende le

distanze da quelle letture naïve delle narrazioni che le assumono come resoconti oggettivi di “ciò che è

veramente accaduto”, contrapponendo all’ideologia scientista che tende ad assolutizzare la voce

dell’esperto l’ideologia dell’esperienza personale spacciata per verità oggettiva. Dall’altra, vengono

criticati quegli approcci postmoderni recenti che tendono a svalutare sia le narrazioni dirette in prima

persona che quelle indirette in terza persona di tipo convenzionale come inattendibili e inautentiche

quando non si presentino come contro-narrazioni trasgressive e oppositive rispetto all’establishment

medico-sanitario dominante. La definizione implicita delle narrazioni che l’autrice assume è quella

ritenuta equilibrata che le considera nella loro complessità di rappresentazioni consapevoli e

inconsapevoli influenzate sia da motivi personali che da meta-narrazioni culturali e sociali e forme di

performance che non rappresentano mai semplicemente e direttamente la realtà della malattia, in

quanto “la storia della cosa non è mai la cosa stessa”. Ciò comporta un approccio fondato su di un

atteggiamento di “umiltà narrativa” che, pur considerando criticamente insidie e limiti di autenticità e

attendibilità delle narrazioni, le guardi con il rispetto dovuto alla loro natura di testimonianze

empatiche del contesto di sofferenza a cui esse fanno riferimento.

La questione della autenticità delle narrazioni viene sollevata anche in uno stimolante articolo (30) che

evidenzia la difficoltà di una precisa definizione di “narrazione” ed i diversi usi del termine in letteratura

per comprendere l’esperienza di malattia, nonché i dibattiti da esso suscitati nell’ambito sia delle

Medical Humanities che delle Scienze Sociali, puntualizzando sette diversi pericoli: 1) il “rischio etico”

relativo al valore di verità delle narrazioni; 2) la possibilità che, in determinate situazioni, siano utilizzate

in modo dannoso; 3) un uso impropriamente estensivo del termine che tende ad includere ogni forma

espressiva (pittura, danza, poesia, ecc.); 4) la mancata distinzione fra i diversi tipi di narrazioni e le loro

funzioni nei diversi contesti; 5) l’assenza di una classificazione adeguata del genere narrativo sulla base

delle tre dimensioni testuali della organizzazione formale, della struttura retorica e del contenuto

tematico; 6) la sottovalutazione delle dimensioni culturali e storiche, che porta ad indebite

generalizzazioni transculturali e transtoriche di determinate narrazioni come forme dell’esperienza

umana; 7) l’implicita presupposizione, in tali generalizzazioni, di uno specifico modello di personalità –

autonoma, attiva, riflessiva – come universale. Tutto ciò rimette in discussione gli stessi fondamenti

filosofici alla base della personalità e dell’identità del narratore, come evidenzia il saggio del filosofo

Galen Strawson “Against narrativity” (31), nel quale si critica l’assunzione fondamentale dell’ortodossia

narrativa relativa alla coestensività delle narrazioni con l’esperienza soggettiva. Strawson attacca sia la

tesi della “narratività psicologica” – che ritiene gli esseri umani vivano la loro vita come narrazione – sia

la tesi della “narratività etica” – che valuta come intrinsecamente positiva ed essenziale una visione

narrativa per una vita ben vissuta ed una personalità autentica. Pur non condividendo le critiche di

Strawson, l’autrice ritiene che il suo saggio sollevi alcune questioni fondamentali per la salute-malattia

ancora non sufficientemente discusse, a cominciare dai limiti stessi della forma narrativa e

dall’interrogativo sulla sua permanenza quale forma privilegiata di espressione e interpretazione

dell’esperienza. La presupposizione di una identità narrativa astorica soggiacente alle narrazioni

considerate quale modalità universale di espressione dell’esperienza soggettiva viene criticata come

tipicamente occidentale e rimessa in discussione nell’intento di riconoscere i limiti culturali della forma

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narrativa e stimolare la esplorazione di forme alternative non-narrative di espressione dell’esperienza di

malattia e del suo impatto sulla personalità (metafora, fenomenologia, fotografia, ecc.).

Anche l’articolo dell’americano Coulehan (32) prende le mosse dalla negazione della medicina narrativa

operata da Susan Sontag nel libro Illness as Metaphor (33) per distanziarsene. L’analisi di Coulehan

evidenzia la centralità della competenza narrativa e della metafora in medicina, legate inestricabilmente

alla componente tecnica e fisiologica, come i due serpenti simbolo della professione medica. Le

dimensioni di Esculapio (Dio della medicina) e di Ippocrate (padre della medicina scientifica) sono

potenzialmente sinergiche: le competenze narrative conducono a migliori risultati clinici, diagnosi più

accurate, aderenza alla terapia e maggior soddisfazione da parte del paziente. Per rifarsi al significativo

titolo di un editoriale del senior clinical lecturer John Launer (“Narrative-based medicine: a passing fad

or a giant leap for general practice?”), la medicina narrativa non è una “moda passeggera” ma una

nuova cornice concettuale, in grado di fornire alla medicina appropriate fondamenta intellettuali per il

21° secolo e di far compiere alla EBM “passi da gigante” (34).

3. un APPROCCIO DI TIPO FENOMENOLOGICO-ERMENEUTICO, che affonda le proprie radici nella

fenomenologia di Husserl e di Heidegger, nell’ermenuetica di Gadamer, nella fenomenologia-

ermeneutica di Ricoeur e nella filosofia ermeneutica di Taylor; e che ha trovato applicazione all’ambito

della medicina ad opera di diversi autori sia anglosassoni che nordamericani.

Fra gli articoli considerati, il saggio di due studiosi californiani (35) che parte da una critica della

concezione definita come “oggettivista” dominante nella medicina scientifica circa l’utilizzo delle

narrazioni di malattia quale mero dato grezzo e neutrale privo di significato nella anamnesi e nella

valutazione clinica, per proporre un approccio alternativo fondato sul concetto di “phronesis clinica”

sulla base del concetto di Charles Taylor di “valutazione forte” o “radicale”. La tesi principale del saggio

è che le storie di malattia abbiano la potenzialità sia di aiutare il paziente sia di danneggiarlo con effetti

iatrogenici veri e propri, a seconda di come la storia venga narrata e compresa. Conseguentemente, le

storie non sono semplicemente “belle storie”, gesti catartici o meri supplementi alle procedure

scientifiche e decisionali della pratica clinica: esse orientano invece il soggetto ai significati fornendogli

un contesto esplicativo per la valutazione dell’episodio di malattia e del percorso terapeutico. La

comprensione di tali significati fornisce indicazioni per l’azione e per le sue scelte: essa implica dunque

una responsabilità etica sia del paziente che del professionista per come la storia viene narrata e per le

scelte dei corsi d’azione che produce. Alcuni articoli affrontano questioni legate all’etica e, rifacendosi

anche ai testi più volte citati di Charon, rimarcano che i medici con consapevolezza degli aspetti narrativi

della loro pratica clinica ed etica sono destinati a diventare clinici ed eticisti migliori. Le tecniche

narrative, sottolinea ad esempio lo statunitense Jones (36), possono rivelare la comprensione di diverse

prospettive in dilemmi di tipo etico. Alla base dell’etica medica, si legge poi nell’articolo di Charon,

Brody, Clark et al. (37), sta anche il raggiungimento di una buona comunicazione tra paziente, famiglia e

team medico. I metodi tratti dall’analisi letteraria, questa la premessa, aiutano medici e pazienti a

ricavare una comprensione contestuale di esperienze umane, agevolando il riconoscimento del

significato di eventi complessi.

Fra le possibili applicazioni di questo approccio al campo medico, si evidenzia l’esperienza umana del

dolore cronico, che costituisce una combinazione multidimensionale di esperienze sensoriali, cognitive

ed affettive. La sensazione di dolore intenso spesso interferisce con la vita quotidiana, la performance

dei ruoli, delle attività e della relazioni sociali, con effetti debilitanti sulla personalità e l’identità del

Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative”

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sofferente definiti come un “assalto al sé”. Lo studio israeliano considerato (38) costituisce un tentativo,

sulla base di un’analisi fenomenologica interpretativa di sei interviste, di far luce sulle difficoltà

particolari che il sofferente sperimenta, trovandosi a dover fronteggiare un problema esperito come

totalizzante ma, allo stesso tempo, sfuggente e ingannevole. La condizione che ne deriva, definita dagli

autori di “afflizione narratologica” (narratological distress), si caratterizza per il conflitto interiore fra

due narrazioni ugualmente indesiderate: da una parte, il discorso medico e pubblico che tende a

delegittimare e ignorare il dolore cronico a causa della sua invisibilità indiagnosticabile; dall’altra, la

narrazione che riconosce il dolore, ma solo al prezzo di riconoscersi come “malato” o “disabile”. Il

concetto di “afflizione narratologica” implica una concezione non pacificata, conflittuale di narrazione,

che il sofferente di dolore cronico sperimenta nell’intento di attribuire un significato alla propria

esperienza dualistica, superando i propri dubbi e le difficoltà nel costruire una narrazione coerente.

Anche se non direttamente considerati, è il caso poi di aggiungere l’orientamento ermeneutico applicato

alla medicina assunto da altri autori come il filosofo americano Drew Leder (39), che enfatizza la natura

interpretativa della comprensione clinica: benché la moderna medicina si ritenga fondata su di un

approccio di tipo empirista-positivista, essa incorpora infatti anche elementi di natura extrascientifica -

quali l’expertise acquisito dal professionista nelle procedure cliniche o le abilità intuitive (l’occhio clinico,

ecc.) - che ne fanno fondamentalmente un’arte non esclusivamente basata sull’oggettività ma che

richiede anche elementi di soggettività, di ambiguità e di incertezza.

Anche i curatori della celebre raccolta di saggi del British Medical Journal sulla “Narrative based

Medicine” Trisha Greenhalgh e Brian Hurwitz (40) sono fondamentalmente orientati verso una lettura

dell’incontro clinico in chiave ermeneutica, considerato come uno spazio transazionale fortemente

strutturato nel quale sia il comportamento del medico che quello del paziente sono condizionati dalle

aspettative sociali reciproche. L’incontro clinico viene così interpretato come un testo, anzi una

molteplicità di testi, che include il testo esperienziale del paziente, il testo narrativo della storia medica,

il testo fisico o percettivo dell’esame obiettivo del corpo del paziente, il testo strumentale dei risultati

degli esami diagnostici ed il testo narrativo del piano terapeutico e della sua implementazione. La natura

interattiva e dialogica di questi testi richiede di prestare attenzione anche alla narrazione dei processi

decisionali e del grado di condivisione che essi comportano.

4. un APPROCCIO DI TIPO SOCIO-ANTROPOLOGICO, frutto dell’applicazione delle scienze sociali e, in

particolare, della sociologia e dell’antropologia culturale allo studio della medicina, che ha trovato

nell’analisi delle narrazioni di malattia (illness narrative) proposto dalla Harvard Medical School il punto

di riferimento fondamentale.

Ispiratori di tale approccio sono un medico-psichiatra ed un antropologo come Arthur Kleinman (41) e

Byron Good (42): entrambi considerano la medicina, ogni tipo di medicina, come un sistema culturale,

vale a dire un insieme di significati simbolici che modellano sia la realtà che definiamo clinica che

l’esperienza che di essa il soggetto malato fa. Salute, malattia e medicina divengono così dei sistemi

simbolici costituiti da un insieme di significati, di valori e di norme comportamentali e delle reciproche

interrelazioni fra queste componenti che in tutte le società funzionano come dei sistemi di significato

che strutturano l’esperienza della malattia.

Su queste premesse, Kleinman (41) opera una fondamentale distinzione in relazione a ciò che definiamo

“malattia” tra disease, illness e sickness: laddove disease è la malattia intesa in senso biomedico come

lesione organica o aggressione di agenti esterni, evento oggettivabile e misurabile mediante una serie di

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parametri organici di natura fisico-chimica (temperatura del corpo, alterazioni nella composizione

sanguigna, ecc.); illness costituisce l’esperienza soggettiva dello star male vissuta dal soggetto malato

sulla base della sua percezione del malessere sempre culturalmente mediata, dal momento che non è

possibile alcun accesso diretto cosciente al proprio vissuto corporeo; e sickness si definisce come “la

comprensione di un disordine nel suo significato generale all’interno di una popolazione in relazione alle

forze macrosociali (economiche, politiche, istituzionali)”.

Questa triade ormai ben nota costituisce la base di riferimento fondamentale di questo approccio per la

comprensione della medicina narrativa. È a questo punto che si inserisce infatti il ruolo della narrazione

nella costituzione della malattia e della sua esperienza intesa come illness: le “storie di malattia”

costituiscono frammenti di storie di vita la cui struttura temporale organizza gli eventi il cui significato

viene ricompreso dall’individuo sulla base di ciò che definisce “malattia”. La malattia come illness viene

così ricostruita e ricompresa fenomenologicamente in forma di “trama” all’interno di una struttura

narrativa che tende a conferirle senso sulla base di uno specifica “rete semantica della malattia

(sickness)” (42) culturalmente definita che tende a interconnettere i singoli significati soggettivi. Da

questo punto di vista le storie non si limitano a descrivere e raccontare esperienze ed eventi di malattia,

ma li “costruiscono” nel momento stesso in cui conferiscono loro quel particolare significato che la

malattia assume in ogni specifico contesto culturale sulla base di peculiari strutture di rilevanza.

Un secondo filone di questo approccio è espressione invece della sociologia qualitativa e, in particolare,

dagli studi di etnometodologia e di analisi della conversazione: gli studi di Elliot Mishler sul dialogo

medico-paziente (43) e di critica della tecnica d’intervista basata sulla sua analisi (44) sono due esempi

tra i più noti di questo tentativo di costruire nuove strategie di ricerca per studiare il discorso medico e

la dialettica dell’intervista relativa alle narrazioni della malattia. Il contributo forse maggiore di Mishler

(45) è però legato alla sua successiva tipologia dei modelli di analisi narrativa, che egli distingue a tre

diversi livelli in riferimento ai tre problemi centrali della ricerca narrativa: il riferimento e la conseguente

relazione tra ordine temporale degli eventi e loro rappresentazione narrativa; la struttura e coerenza

testuale e come queste vengono acquisite mediante le diverse strategie narrative; le funzioni delle

narrazioni in rapporto ai diversi contesti sociali, psicologici e culturali.

Un terzo filone è rappresentato, infine, dalle ricerche antropologiche come quella di Mattingly (46) che

fanno l’uso più esplicito e più ampio della teoria della narrazione per capire la relazione

storia/esperienza e l’uso delle narrazioni cliniche da parte degli stessi medici al fine di organizzare le

proprie pratiche e le esperienze dei pazienti in cura, da cui appare evidente la strutturazione narrativa

del lavoro clinico, il ruolo dei medici nel costruire la trama dell’esperienza della malattia e il lavoro

terapeutico in cui sono impegnati i pazienti. Sulla base di una ricerca durata cinque anni con terapisti

occupazionali operanti in un contesto ospedaliero per acuti, Mattingly sposta il focus della sua

attenzione dalla narrazione come “testo” già scritto o raccontato (che prevale negli altri autori), alla

narrazione come struttura dell’azione clinica, come esperienza vissuta dai partecipanti all’incontro

clinico. Il suo punto fondamentale diviene così il concetto di “therapeutic emplotment”: ovvero, la

costruzione delle trame terapeutiche che, nell’incontro clinico, coinvolge professionista sanitario e

paziente in un processo continuo di creazione e negoziazione di una struttura di significati nell’ambito

del tempo clinico. Ispirandosi soprattutto all’approccio ermeneutico di Ricoeur relativamente al

rapporto fra temporalità e narrazione, Mattingly mette a fuoco direttamente la struttura narrativa

dell’azione sociale, evidenziandone il carattere fragile e mutevole e la natura sempre negoziata delle

trame costruite fra tutti gli attori sociali coinvolti.

Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative”

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La natura sociale dell’azione narrativa è così il risultato di una creazione multipla tra gli attori coinvolti

nell’incontro clinico, che consente di considerare la narrazione come una co-costruzione tra il paziente

ed il terapeuta: in questa prospettiva la narrazione clinica non è più semplicemente il risultato di una

rielaborazione individuale dell’esperienza della malattia, ma il risultato di un processo di “negoziazione

di significati” tra l’operatore sanitario ed il paziente e le rispettive versioni alternative delle storie, dal cui

incontro è possibile creare una nuova comprensione della malattia grazie al rimodellarsi delle rispettive

interpretazioni. Va a situarsi nell’ambito dei lavori che testimoniano un approccio socio-antropologico

alla medicina narrativa anche l’articolo di un team di studiosi dell’ateneo di Bournemouth (47) che si

focalizza sui colloqui conoscitivi con il paziente e sulle tecniche di ascolto finalizzate al miglioramento

della qualità del trattamento e dell’assistenza sanitaria. L’operatore, sottolineano gli autori, può

interpretare i racconti dei pazienti e dei carer sulla scorta delle proprie esperienze cliniche, professionali

e di vita e ciò va nella direzione della creazione di migliori o nuovi modi per incontrare i bisogni

individuali del malato o di chi gli è accanto. Numerosi altri articoli esaminati prendono in esame il ruolo

del personale infermieristico, strategico nel percorso di “negoziazione di significati” di cui si è detto poco

sopra e nella creazione di un’alleanza in grado di far evolvere la condizione del paziente. L’approccio

narrativo da parte della categoria degli infermieri, in particolare, comporta la consapevole intenzione di

ascoltare, l’accettazione del codice linguistico dell’interlocutore e l’impiego di una cornice di domande

atte a stimolare il racconto (ad es. 48, 49). Non viene tralasciato il delicato tema della privacy e della

confidenzialità delle storie di vita (50) e attenzione particolare è rivolta anche allo specifico ambito della

medicina di emergenza e all’unicità del contributo della parte infermieristica, che riconcilia prospettive

scientifiche e umanistiche (51).

Sempre in ambito infermieristico sembra interessante citare l’articolo di Mitty (52). “Raccontare - vi si

legge - può essere terapeutico, può comportare riconciliazione e avere un potere trasformativo. Il

narrare storie può descrivere come e perché una persona ha compiuto una scelta nell’ambito della

salute. Partendo dall’idea che tutti hanno una storia da raccontare e che una persona con una malattia è

un ”narratore ferito”, l’autrice sostiene che esiste una sorta di imperativo morale. La persona malata ha

il dovere di raccontare la propria storia per farsi voce di chi non ha voce. La persona malata è un

“testimone” della verità circa la malattia. Nella “medicina narrativa d’urgenza” si addentra la revisione

sistematica di Hawkins (53), che ne indica sei generi: autobiografia medica, racconti clinici, narrazioni

creative, narrazioni extra ospedaliere, esposizioni per un pubblico non professionale e fotogiornalismo.

La narrazione clinica, viene ribadito, può essere il modo più utile ed efficace per trasmettere criticità e

conoscenza medica da un operatore all’altro e dovrebbe dunque ricevere adeguato rilievo in contesti

accademici e di formazione.

Un interessante dibattito di natura epistemologica e metodologica suscitato da questo approccio viene

ricostruito in un interessante articolo di una sociologa inglese della Lancaster University (54) che

presenta un resoconto interpretativo stimolato dalla pubblicazione nel 1997 del saggio di Paul Atkinson

(55) in cui si avanzano due critiche principali al modo con il quale i diversi autori hanno considerato le

illness narrative: averle ritenute fonti privilegiate dei sentimenti autentici e delle esperienze dei soggetti

rispetto ad altre fonti, e conseguentemente, avere ricavato una visione romantica e sentimentale fuori

luogo delle stesse. L’autrice non condivide queste critiche, che considera espressione di una posizione

sociologica tradizionale di tipo scientista che ritiene le narrazioni come fatti sociali da interpretare

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oggettivamente e condivide invece le risposte dei diversi autori, che colloca nell’ambito della sociologia

critica postmoderna. Così Bochner (56) mette in luce le “virtù delle narrazioni” derivanti dalla loro

natura di costruzioni dialogiche di significato, che non è mai puramente immanente al testo ma è

sempre anche un prodotto dell’interpretazione. In quanto tali, esse rappresentano l’espressione dello

spazio negoziato dal soggetto fra i modelli culturali dominanti e la comprensione situata della propria

esperienza. Arthur Frank (57), come Kleinman, considera poi la narrazione come una risorsa terapeutica

che richiede di “pensare con” la storia e non “della storia”, in quanto testimonianza empatica di

sofferenza nel contesto clinico. Anche Elliot Mishler (58) condivide la priorità etica che l’approccio alla

narrazione richiede, consistente nel riconoscere le relazioni di potere asimmetriche soggiacenti alle

rappresentazioni narrative.

Das Guptan (59), partendo dall’esperienza di bambini e genitori, riflette sull’importanza delle storie di

malattia alla luce dei concetti centrali di A. Frank. In particolare riprende l’idea che le storie di malattia

restituiscano voce a esperienze che prima erano narrate solo dall’establishment medico. Le storie di

malattia “parlano” laddove una volta era solo silenzio. Le storie di malattia sono intrinsecamente sociali

e richiamano l’attenzione alle relazioni di chi racconta e chi ascolta, di chi soffre e dei caregiver, dei

pazienti e dei medici. I medici hanno il raro privilegio di prendersi cura dei pazienti e di far sì che essi

diventino i nostri insegnanti, ci educhino all’attenzione, alla consapevolezza, alla presenza,

all’interdipendenza, all’empatia. L’autore riconosce che è un atto di profonda umiltà capovolgere i ruoli

di potere, ascoltare le voci e i silenzi di bambini e adulti di cui ci prendiamo cura. Tutto questo favorisce

una medicina più consapevole.

L’uso delle storie e del raccontare come strategia emergente per comunicare ai consumatori i dati

provenienti dalla ricerca scientifica è messo in evidenza in un articolo di alcuni anni fa sul potere del

racconto (60).In questo lavoro si sottolinea il fatto che tradizionalmente l’uso del racconto è sempre

stato un modo per trasferire conoscenze e condividere esperienze all’interno dell’ambito sanitario tra

professionisti. La medicina narrativa invece si è sviluppata più recentemente con l’idea di migliorare le

relazioni con i pazienti. Ma l’uso di storie e racconti offre prospettive nuove; in particolare la possibilità

di essere una strategia innovativa per trasferire le prove scientifiche provenienti dalla ricerca a pazienti e

famiglie. Le storie e gli aneddoti possono personalizzare, illustrare, semplificare e trasferire la ricerca

presentandola in un modo comprensibile al consumatore. Gli autori precisano che “un semplice

aneddoto o una storia può persuadere in modo più efficace le persone ad adottare un particolare

approccio alla salute più che i risultati della ricerca rigorosa”. A questo proposito presentano uno studio

- che coinvolge genitori di bambini affetti da croup - finalizzato a testare questa ipotesi: l’uso di storie (in

questo caso un libretto illustrato contenente storie di genitori integrate dai più efficaci approcci

terapeutici) riduce l’ansia, migliora lo scambio di conoscenze scientifiche e aiuta a compiere scelte più

informate.

Sempre in quest’ottica, Jack (61) sostiene che “il raccontare è un modo per raccogliere dati, uno degli

approcci più ricchi della ricerca qualitativa, e permette ai pazienti, ai caregiver, al personale sanitario di

raccontare la loro storia per come realmente è. Questa possibilità mette in condizione il ricercatore di

acquisire una conoscenza della ricchezza di un evento personale e dei fattori contestuali. Per i pazienti il

raccontare può avere un valore terapeutico ed offrire un mezzo per sviluppare la resilienza personale”

Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative”

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Raccogliere e condividere storie di malattia è un modo per condividere difficoltà e soluzioni, in breve

confrontarsi sulle realtà della cura. Nella raccolta e analisi di storie di caregiver di Benbow, Ong, Black e

Garner (62), si sottolinea che “i professionisti dalle narrazioni traggono un aiuto significativo nel

conoscere meglio l’impatto che può avere il prendersi cura delle famiglie, così come la realtà dei servizi

socio-sanitari. Uno dei più grandi contributi delle storie, per i professionisti, risiede nell’identificare

difficoltà e lacune nei servizi. Le narrazioni coinvolgono caregiver e pazienti nell’insegnamento e nella

formazione continua. È importante che pazienti e caregiver abbiano la possibilità di incidere sui servizi e

su chi li eroga”. L’articolo sottolinea il ruolo attivo delle storie di malattia; assegna ad esse un valore

pedagogico ed epidemiologico. Alla luce di questa esperienza proposta (raccolta di storie di caregiver) la

medicina narrativa assume il ruolo di strumento utile per la valutazione e nel miglioramento dei servizi.

Interessante e valida l’esperienza del gruppo fondato da Herxheimer (63). In un lavoro del 2008

mettevano in evidenza che le esperienze dei pazienti non sono un’alternativa alla evidence based

medicine, ma sono parte di essa.

“Scartarle per il loro carattere aneddotico è un serio equivoco. Esistono metodi rigorosi fondati sulla

tradizione delle scienze sociali che possono essere utilizzati per fare ricerca sulle esperienze dei pazienti.

La malattia è un paese straniero. Molte persone hanno bisogno di una guida e di un traduttore,

specialmente nei primi stadi di una malattia. Spesso i pazienti sentono che solo le persone che hanno

vissuto le loro stesse esperienze possono aiutarli a capire e orientarsi. Ciò che è sempre avvenuto

informalmente è diventato qualcosa di più strutturato nel ventesimo secolo con lo sviluppo di

organizzazioni di pazienti e gruppi di supporto. Le interviste qualitative sono largamente riconosciute

come il più appropriato metodo per identificare le esperienze dei pazienti. Se chi lavora in ambito

medico riesce a riconoscere il ruolo delle storie di malattia, comprenderà la potenzialità che risiede nelle

voci dei pazienti e nella condivisione delle esperienze di malattia.”

Gli autori propongono riflessioni alla luce dell’esperienza condotta dal gruppo di ricerca “Health

Experiences Research Group” di Oxford che raccoglie, con un metodo rigoroso, esperienze di pazienti

affetti da diversi tipi di patologie (http://healthtalkonline.org).

Per quanto attiene al valore “politico” del raccontare e raccogliere storie possiamo menzionare alcuni

articoli. Il primo, di Kaplan (64), in cui si parte dalla consapevolezza che in antropologia medica si

sostiene che le storie di malattia non sono meri resoconti dei sintomi ma meccanismi attraverso cui le

persone diventano consapevoli e danno senso alle loro esperienze. In questo senso, la

“narrativizzazione” agisce come un meccanismo riflessivo e terapeutico che riesce a trasformare le

persone che hanno sperimentato la malattia. “Quando noi promuoviamo la medicina narrativa

dobbiamo essere coscienti del carattere politico del raccontare perché le storie da chiunque siano

raccontate e in qualunque modo e forma, sono fondamentalmente radicate nella politica, nella storia,

nella cultura”.

Partendo dalle riflessioni proposte da A. Frank, Kirkpatrick (65) riflette sul ruolo delle storie di malattia

nel dare senso e voce alle esperienze personali. A differenza delle storie di malattia, precisa che “le

contro-narrazioni sono intrinsecamente politiche. Questo tipo di narrazioni oppone resistenza alle

narrazioni dominanti, implicitamente ed esplicitamente, cercando di sostituire un’identità opprimente

(operativa ad esempio nelle malattie mentali mediante lo stigma e la discriminazione) con un’identità

che esige rispetto”.

Relazioni degli esperti_Allegato

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I diritti dei membri di qualsiasi gruppo iniziano con la possibilità di raccontare storie personali. Perché

queste hanno il potenziale di sfidare le storie dominanti. Malattia e oppressione tolgono voce; per

questa ragione, raccontare una storia personale genera empowerment e aiuta il processo di guarigione.

D’altro canto, le storie in ambito sanitario offrono al personale infermieristico la possibilità di entrare in

un “altro mondo” e creare empatia. Comprendere la storia di una persona permette di prendere sul

serio il punto di vista del paziente nella sua unicità. Le storie dunque possono essere usate per cambiare

il sistema e vedere, udire, percepire in modo diverso. L’autrice sottolinea la specificità del ruolo che in

tutto questo può avere il personale infermieristico; “può testimoniare in favore dei pazienti favorendo lo

sviluppo di una voce collettiva che vinca l’oppressione, la povertà, la discriminazione e lo stigma,

attraverso la formazione di gruppi di consumatori e gruppi di auto-aiuto. Inoltre, il personale

infermieristico si trova in una posizione forte per sostenere cambiamenti del sistema lavorando nelle

organizzazioni professionali”.

Implicazioni

Come anticipato nell’Introduzione, cercheremo qui di analizzare le diverse implicazioni che i quattro

approcci esaminati nell’Excursus comportano a partire da una considerazione relativa al grado in cui

ciascuno di essi tiene conto della prospettiva della complessità come premessa per il superamento del

dualismo cartesiano; per individuare quindi quale sia il punto di osservazione privilegiato ed i soggetti

professionali e non professionali sottesi che in ciascun approccio è possibile riscontrare:

1. Approccio terapeutico: la definizione di “terapia narrativa” risulta non essere univoca fra gli stessi

terapeuti, anche se è possibile identificare una serie di elementi condivisi quali la rilevanza del

significato dei sintomi in connessione con l’esperienza del paziente, la necessità di una loro

interpretazione sullo sfondo del contesto socio-culturale di appartenenza del paziente e l’opportunità di

passare da un approccio alla narrazione centrato su di un disturbo cognitivo o un deficit neurologico e

focalizzato sui problemi ad uno centrato sulla ricostruzione della narrazione e aperto all’emergere di

storie alternative (18). Una serie altri elementi rimangono invece materia di discussione non condivisa

quali la valenza politica e di giustizia sociale della terapia, il ruolo del terapeuta in qualità di esperto e la

relazione fra terapia narrativa e altri tipi di terapia, quale quella sistemica (18). Le difficoltà che

quest’ultimo aspetto, in particolare, solleva evidenziano come la prospettiva della complessità non

risulti ancora patrimonio comune fra i sostenitori di questo approccio; ed anche il dualismo mente-

corpo appare scarsamente problematizzato, dal momento che la terapia narrativa sembra autoconfinare

se stessa nei limiti di una focalizzazione esclusiva sulla dimensione mentale e neurologica, nella quale il

punto di vista privilegiato rimane, pur con qualche eccezione, esclusivamente quello del terapeuta.

2. Approccio umanistico-narratologico: forse anche per il suo carattere più recente, questo approccio

risulta senz’altro più omogeneo e compatto del precedente al proprio interno, nonché in grado di offrire

una definizione coerente di medicina narrativa come quella proposta dalla Charon basata sulla

competenza narrativa. È sempre quest’ultima (23) a identificare le quattro situazioni narrative

complesse nelle quali tale competenza narrativa ha modo di dispiegarsi come un modello di riferimento:

Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative”

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quella del coinvolgimento empatico nella relazione medico-paziente, quella di una pratica riflessiva del

professionista con se stesso, quella della relazione del professionista con i colleghi e, infine, quella della

relazione medico-società improntata ad una relazione di fiducia. Implicitamente, il punto di vista resta

esclusivamente quello del medico; ed il sapere biomedico non pare rimesso in discussione ma anzi

rinforzato dalla riconferma della netta divisione cartesiana del lavoro fra scienza e “humanities”.

Un’ulteriore implicazione di questo approccio riguarda quello che è stato definito il “ritorno narrativo” in

medicina (66) dopo che il diffondersi di sofisticate tecnologie diagnostiche ed il sorgere dell’Evidence-

based Medicine nell’era post-flexneriana aveva oscurato e marginalizzato l’importanza delle narrazioni

(ridotte ad “aneddotica”) in medicina. La medicina narrativa comporta, infatti, in senso ampio lo

sviluppo di un “senso della storia” (67) fra i professionisti sanitari, intesa come apprezzamento del fatto

che la medicina rappresenta “un’impresa narrativa”. I tre elementi fondativi della medicina narrativa

secondo la Charon (68) – attenzione, rappresentazione e affiliazione – comportano anche una riscoperta

dell’importanza della scrittura narrativa sia da parte del paziente che del professionista. Da quest’ultimo

punto di vista, la medicina narrativa rappresenta qualcosa di più della semplice riproposizione della

aneddotica clinica tradizionale: la scrittura riflessiva implica la riconsiderazione e l’interpretazione delle

proprie esperienze al fine di acquisire una più profonda comprensione del loro significato e di orientare i

comportamenti futuri. Il suo scopo è quello di sviluppare il pensiero e l’analisi critica, una migliore

comprensione delle proprie e altrui emozioni, ed una capacità di organizzare e attribuire significato a

situazioni moralmente complesse e ambigue. In tal senso, essa può risultare sia trasformativa nella

direzione di nuove esperienze di intuizione e comprensione, sia confermativa nella direzione della

validazione e della riproposizione di determinati valori e convinzioni. Di un certo interesse, infine, il

modello di integrazione fra medicina narrativa ed EBM elaborato da un’équipe brasiliana coordinata

dalla Charon (69) a partire dai tre elementi costitutivi della medicina narrativa (attenzione,

rappresentazione e affiliazione), entro la cui cornice vengono poi delineati i problemi clinici, le azioni, le

scelte e gli obiettivi terapeutici al fine di definire le quattro componenti dell’interazione clinica (diagnosi,

terapia, prognosi e danno) secondo un modello integrato nel quale preferenze, bisogni e priorità sono

generati dall’ambito interpersonale della relazione clinica.

3. Approccio fenomenologico-emeneutico: il punto di partenza di questo approccio è costituito da una

critica radicale della modalità riduzionistica con cui l’approccio positivista-empirista in medicina ha

tradizionalmente separato fatti e valori, pretendendo di mascherare le proprie scelte basate sui secondi

dietro la presunta oggettività dei primi. In tal modo, esso crea le premesse per un superamento del

dualismo cartesiano mente-corpo e soggetto-oggetto a partire dalla critica della presunta neutralità

oggettiva del dato empirico sulla base del riconoscimento della natura fondamentalmente interpretativa

del processo clinico. Ciò implica la possibilità di una pluralità di significati interpretativi, non più

mascherati dietro presunti dati oggettivi, frutto dell’incontro e dell’elaborazione più o meno

consapevole da parte del soggetto con la complessa rete semantica in cui tali significati sono inseriti nel

proprio come nell’altrui universo socio-culturale di riferimento. La pluralità dei significati interpretativi

possibili rimanda quindi alla pluralità dei punti di vista espressi nelle narrazioni, che come tali vanno

considerati non come predefiniti ma come una possibilità narrativa aperta (70). Le narrazioni che si

intrecciano nel setting clinico sono quindi delle “co-costruzioni”, che dipendono in buona parte dal

comportamento del medico e dal grado di comunicazione e di empatia instaurato con il paziente.

Diviene quindi importante per il medico imparare a superare la propria tendenza a limitare e controllare

Relazioni degli esperti_Allegato

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l’interazione clinica agli aspetti strettamente biomedici se vuole evitare che ciò concorra ad aumentare

la possibilità di errori diagnostici e terapeutici. La pratica della mindfulness – intesa come

consapevolezza non giudicante, momento per momento, dell’interazione con l’altro – rappresenta una

proposta di metodo per focalizzare l’attenzione del medico sulla narrazione del paziente e sugli elementi

che essa può offrire per la pratica clinica.

Un caso interessante di tale “possibilità narrativa” è relativa all’ambito della disabilità e al problema

delle difficoltà che incontrano le persone disabili a comunicare ed interagire con gli altri attraverso le

proprie narrazioni per condividere esperienze e conoscenze. Uno stimolante saggio svedese basato su

precedenti esperienze di ricerca (71) suggerisce che all’origine di tale problema vi siano le nome date

per scontate e implicite utilizzate per considerare e analizzare le unità discorsive e testuali come

caratterizzate da coerenza argomentativa e temporale: per cui le storie che non soddisfano tali

caratteristiche sono inevitabilmente considerate come deficitarie ed i loro narratori meno competenti e

dotati di soggettività. Gli autori propongono quindi una ridefinizione di narrazione sulla base di una

concezione “incorporata” (embodied) delle narrazioni considerate come co-costruzioni prodotte

nell’evento narrativo, testo ed azione insieme. In tal modo è possibile apprezzare anche quelle

narrazioni prodotte da persone con disabilità comunicative (problemi neurologici, demenze, ecc.) che

non si conformano necessariamente alle aspettative convenzionali relative a ciò che costituisce una

narrazione: analizzando la relazione fra storia ed evento narrativo e introducendo la distinzione fra

“narratore principale” (primary storyteller) e “narratore vicario” (vicarious storyteller), diviene così

possibile riconoscere le modalità spesso creative con cui i narratori con disabilità comunicative

inventano modalità originali per presentare se stessi come narratori competenti pur nella difficoltà di

articolare storie strutturate e coerenti. L’idea di una definizione “incorporata” di narrazione appare di

grande interesse non soltanto per una piena comprensione delle storie di persone con disabilità ma

anche per un ripensamento complessivo del rapporto fra testo e azione, narrazione ed evento narrativo.

4. Approccio socio-antropologico: se l’approccio fenomenologico-ermeneutico riconosce la pluralità dei

punti di vista come una possibilità aperta, questo approccio rimanda alla pluralità degli attori coinvolti

nell’incontro clinico (il medico ma non solo: gli altri professionisti, il paziente, stesso, i suoi caregiver,

ecc.) che sono i portatori di tali punti di vista. Anziché concentrarsi sul processo interpretativo dei

significati che esprimono tali punti di vista, ci si focalizza quindi sui contenuti culturali di tali significati e

sulla pluralità di narrazioni alternative che essi esprimono in connessione con i diversi ruoli sociali cui

fanno riferimento. La triade illness-disease-sickness diviene così lo strumento fondamentale sia per i

superamento del dualismo cartesiano che per il riconoscimento preliminare della pluralità dei punti vista

possibili nell’incontro clinico. La natura di costruzione sociale di ogni narrazione così evidenziata

permette quindi di collocare la pluralità di generi e tipi narrativi possibili entro una cornice di riferimento

che consente di analizzarli in riferimento al contesto sociale di produzione. La classificazione

tripartizione di tipologie narrative proposta da Arthur Frank (63) – storie di restituzione, di caos e di

ricerca – costituisce un esempio di come i costrutti narrativi possano essere analizzati in relazione al

contesto sociale e culturale di riferimento. Una interessante applicazione di tale tipologia è quella

proposta da uno studio inglese (64) che, sulla base dell’idea che le narrazioni non si riferiscono

esclusivamente all’esperienza passata, ma possono servire a creare esperienze in chi le ascolta (che

evidenzia la natura performativa delle storie), muove dalla considerazione della narrazione come forma

Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative”

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di azione sociale e dell’atto del narrare come forma di attività sociale coinvolgente i partecipanti in

risposte narrative alla storia ascoltata. Il lavoro si focalizza quindi sulle diverse risposte che la storia di un

uomo con una lesione al midollo spinale che gli ha provocato disabilità permanente suscita negli

ascoltatori: è quella che, nei termini di Frank (63) si può classificare come “narrazione di caos”, ovvero

che ritiene la vita non potrà più migliorare. Gli autori identificano quattro tipi di risposta a questo tipo di

narrazione quali copioni (script) culturalmente a disposizione dei propri membri: 1) storie di restituzione

mediante terapia della depressione; 2) storie di restituzione mediante un intervento biotecnologico

(cellule staminali); 3) storie socialmente modellate dalla rimozione delle barriere; 4) storie di conforto

mediante l’ascolto empatico. Dopo aver evidenziato i limiti di ciascun tipo di risposta, gli autori si

focalizzano sulle complesse assunzioni che informano la loro costruzione e sul possibile impatto che esse

producono sia sul narratore che sull’ascoltatore. Seguendo Riessman (65), essi cercano quindi di

mettere a fuoco sia i problemi del “raccontare” – quale attività sociale che prevede un narratore che

racconta una storia a degli ascoltatori che divengono co-narratori che rispondono con proprie reazioni,

domande o storie – che della “raccontabilità” – inteso come lo spazio discorsivo che si colloca fra il

limite inferiore dell’ovvio ed il limite superiore dell’imbarazzante e dello spaventoso.

Di particolare interesse in questo approccio è poi il concetto di “costruzione della trama terapeutica”

(therapeutic emplotment) proposto da Mattingly (45), che implica una definizione di narrazione fondata

sulla connessione fra storia narrata e azione sociale e sulla similarità fra strutture narrative e modalità di

dispiegarsi della vita nel tempo (non lineare, con punti di svolta, ecc.). Esso si fonda su due presupposti

filosofici: la connessione fra discorso e azione (filosofia morale e politica) e la natura socialmente e

linguisticamente mediata dell’esperienza umana (fenomenologia ed ermeneutica). Su tali premesse,

Mattingly ritiene che il significato delle narrazioni non stia tanto nel loro essere raccontate quanto nel

loro divenire strumenti per creare esperienze nella pratica clinica. Mediante la creazione di trame

terapeutiche, le narrazioni divengono così strumenti nelle mani dei professionisti sanitari per modellare

le loro interazioni con i pazienti con malattia cronica co-costruendole assieme ad essi (66).

Commenti

Quali sono dunque i punti di forza e di debolezza, le potenzialità ma anche i limiti ed i rischi che ciascuno

dei quattro approcci descritti alla medicina narrativa comporta in termini di concrete ricadute operative

per i servizi sanitari e socio-sanitari e per i professionisti in essi operanti?

1. L’approccio alla medicina narrativa in termini di terapia narrativa appare strettamente interconnesso

al contesto di tipo psicologico, psicoterapeutico, psicanalitico, psichiatrico, neurologico e

neuropsichiatrico nel quale è nato ed è stato sviluppato: in tal senso, esso si qualifica come tale, ovvero

come una forma di terapia alternativa o complementare (a seconda del paradigma adottato:

psicoanalitico-psicodinamico, sistemico-relazionale, cognitivo-comportamentale, fenomenologico-

esistenziale, ecc.) rispetto ad altre forme di terapia (di tipo farmacologico, ipnotico, ecc.) individuali o di

gruppo utilizzate nel contesto della diagnosi, cura e riabilitazione del disagio psichico o dei disturbi

mentali. I criteri di valutazione dei punti di forza e di debolezza di tale forma terapeutica rinviano

dunque a tale ambito e non risultano di stretta pertinenza delle finalità perseguite in questo lavoro. Pur

Relazioni degli esperti_Allegato

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nella piena consapevolezza delle indubbie ricadute terapeutiche che l’utilizzo della narrazione può avere

nel corso della consultazione clinica e del contributo che essa può offrire all’efficacia del percorso di

guarigione, la terapia narrativa risulta infatti perseguire finalità strettamente connesse alla cura del

disagio psichico o del disturbo mentale sostanzialmente diverse da quelle perseguite per la cura delle

malattie rare e cronico-degenerative. Appare quindi opportuno operare una chiara distinzione fra la

terapia narrativa in senso stretto, che persegue finalità direttamente terapeutiche della malattia

mentale, e la medicina narrativa in quanto metodologia d’intervento clinico, i cui eventuali effetti

terapeutici di tipo collaterale o secondario sono da considerarsi conseguenze intenzionali delle finalità

di altra natura primariamente perseguite. La definizione di tali finalità può essere messa a punto, dopo

questo preliminare distinguo, grazie alla valutazione degli altri tre approcci individuati.

2. L’approccio di tipo umanistico-narratologico è quello al quale si deve la definizione stessa di

“Medicina Narrativa”: come tale, va quindi sottolineato anzitutto il suo valore pionieristico consistente

nell’aver colto per primo la valenza sia euristica che operativa che l’incontro fra medicina e narratologia

poteva assumere. In particolare, è la considerazione della medicina stessa come “impresa narrativa”

proposta dalla Charon a consentire di gettare le basi per una riconsiderazione della consultazione clinica

nella quale la dimensione narrativa non risulti meramente collaterale, puro orpello ornamentale, ma

divenga centrale per una comprensione più approfondita delle modalità di operare della consultazione

stessa. Come dimostra il modello di integrazione fra medicina narrativa ed EBM messo a punto da

un’équipe brasiliana coordinata dalla Charon (69), è infatti possibile partire dai tre elementi costitutivi

della medicina narrativa (attenzione, rappresentazione e affiliazione) da lei proposti per ridefinire i

problemi, le azioni, le scelte e gli obiettivi delle quattro componenti dell’interazione clinica (diagnosi,

terapia, prognosi e danno) secondo un modello integrato nel quale preferenze, bisogni e priorità sono

generati mediante l’utilizzo della narrazione. Significativo punto di forza di questo approccio anche

l’aver identificato le quattro situazioni nelle quali la “competenza narrativa” ha modo di dispiegarsi

come un modello di riferimento: quella del coinvolgimento empatico nella relazione medico-paziente,

quella di una pratica riflessiva del professionista con se stesso, quella della relazione del professionista

con i colleghi e, infine, quella della relazione medico-società improntata ad una relazione di fiducia. Essa

ci consente così anche di ampliare l’orizzonte della ricaduta operativa della medicina narrativa al di là

della stessa consultazione clinica per investire le relazioni interprofessionali ed il rapporto fra medicina e

società.

I principali punti di debolezza di questo approccio ci sembrano invece essere fondamentalmente tre.

Anzitutto, il punto di vista adottato nella definizione della Charon di medicina narrativa resta

esclusivamente quello del medico: al fine di sviluppare una definizione più comprensiva, inclusiva anche

di tutti gli altri soggetti professionali (infermieri, terapisti della riabilitazione, tecnici, ecc.) e non

(caregiver, ecc.) implicati nella consultazione clinica, si rende quindi necessaria una operazione di

“pluralizzazione dei punti vista” che il successivo approccio socio-antropologico renderà possibile. In

secondo luogo, il limite epistemologico forse maggiore è dato dal fatto che il sapere biomedico non pare

rimesso in discussione da questo approccio ma, anzi, rinforzato dalla riconferma della netta divisione

cartesiana del lavoro fra scienza e “humanities”. La medicina narrativa introduce infatti in un mondo

dominato dall’EBM e dalla sua logica fondamentalmente di tipo positivistico un tipo di conoscenza

alquanto diverso che questo approccio non consente di tematizzare adeguatamente, dal momento che

non possiede gli strumenti per poterlo fare: la narratologia si limita infatti a leggere l’incontro clinico

Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative”

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come trama narrativa e ad analizzarla in quanto tale, mentre questa operazione diviene invece possibile

grazie all’apporto del successivo approccio fenomenologico-ermeneutico. Infine, il terzo limite di questo

approccio è rappresentato dai rischi in termini di conseguenze negative inintenzionali che la diffusione e

disseminazione della scrittura riflessiva può avere per i pazienti, sia in termini di una loro

stereotipizzazione in personaggi delle storie, sia di violazione della loro privacy; ma anche per i

professionisti sanitari non adeguatamente formati all’utilizzo della medicina narrativa, che considerino

in modo naïve le narrazioni dei pazienti come autentiche “voci dei pazienti”, resoconti oggettivi

dell’esperienza personale spacciata per verità oggettiva anziché quali forme di mediazione simbolica del

vissuto esperienziale necessariamente influenzate da una serie di fattori soggettivi, sociali e culturali.

3. L’approccio fenomenologico-ermeneutico ha il merito di partire proprio dalla considerazione della

consultazione clinica come forma d’interazione fondamentalmente interpretativa, di “incontro fra

interpretazioni” che, riconoscendo la natura interpretativa della comprensione clinica, consenta il

superamento di un approccio di tipo empirista-positivista che si illuda di poter cogliere la verità dei “dati

di fatto” senza mediazioni interpretative, pretendendo di fondarsi esclusivamente su di una loro

presunta “oggettività”, dietro la quale in realtà si nascondono elementi di soggettività, di ambiguità e di

incertezza propri di ogni atto interpretativo umano. Una lettura dell’incontro clinico in chiave

fenomenologico-ermeneutica non può quindi che iniziare con una premessa di “umiltà gnoseologica”

consistente in quella che Husserl definisce epoché, ovvero sospensione del giudizio, ammissione di

indigenza conoscitiva rispetto ad ogni pretesa di esser portatori di una presunta “verità scientifica”

esclusiva, e presa di coscienza dei propri pregiudizi e precomprensioni. Solo così diviene possibile

interpretare poi l’incontro clinico come un testo, anzi come una molteplicità di testi, che include il testo

esperienziale del paziente, il testo narrativo della storia medica, il testo fisico o percettivo dell’esame

obiettivo del corpo del paziente, il testo strumentale dei risultati degli esami diagnostici ed il testo

narrativo del piano terapeutico e della sua implementazione: in tal modo, il riconoscimento della natura

narrativa dell’incontro clinico comporta necessariamente un ridimensionamento ed una relativizzazione

del sapere professionale biomedico, considerato non più come esclusivo ma come una componente di

cui la stessa narrazione biomedica si avvale unitamente ad altre componenti di natura extrascientifica

(culturali, esperienziali, valoriali, ecc.). La pluralità dei significati interpretativi possibili rimanda quindi

alla pluralità dei punti di vista espressi nelle narrazioni, che come tali vanno considerati non come

predefiniti ma come una possibilità narrativa aperta il cui esito è legato alle modalità con cui tali

narrazioni si intrecciano nel setting clinico: il risultato saranno quindi delle “co-costruzioni”, che

dipendono in buona parte dal comportamento del medico e dal grado di comunicazione e di empatia

instaurato con il paziente e gli altri attori eventualmente partecipanti. L’unico punto di debolezza di tale

approccio appare quello di una insufficiente elaborazione del rapporto fra testo e azione, della natura

fondamentalmente interattiva e dialogica dei testi clinici, che richiede di prestare attenzione anche alla

narrazione dei processi decisionali e del grado di condivisione che essi comportano.

4. Su quest’ultimo limite interviene però l’ultimo approccio di tipo socio-antropologico che, a partire

dal riconoscimento della natura di costruzione sociale di ogni narrazione, compresa quella terapeutica,

individua la pluralità degli attori coinvolti nell’incontro clinico (il medico, gli altri professionisti sanitari,

eventualmente i professionisti sociali, il paziente stesso, il/i suo/i caregiver) in quanto portatori di una

conseguente pluralità di punti di vista, tutti egualmente socialmente legittimi nei loro contenuti culturali

Relazioni degli esperti_Allegato

24

e nella diversità di narrazioni alternative che essi esprimono in connessione con i diversi ruoli sociali a

cui fanno riferimento. La triade illness-disease-sickness consente in tal modo di superare il dualismo

cartesiano nell’incontro clinico, permettendo di andare al di là di ogni semplicistica separazione corpo-

mente entro una nuova cornice di riferimento che sposta l’attenzione principalmente sulla molteplicità

di connessioni possibili fra le diverse dimensioni (biologica, psicologica, sociale, economica, politica,

ecc.) implicate in ogni episodio di malattia. La natura processuale, interattiva e dialogica della

consultazione clinica viene così necessariamente ad integrarsi come quella interpretativa, di co-

costruzione testuale proposta dall’approccio fenomenologico-ermeneutico.

Di particolare valore, in questo approccio, appare il concetto di “costruzione della trama terapeutica” in

quanto strumento di connessione fra discorso e azione, storia narrata e agire sociale, nonché di

espressione della natura socialmente e linguisticamente mediata dell’esperienza umana: il che permette

di utilizzare, ad esempio, la possibilità di “messa al congiuntivo” delle trame terapeutiche (ovvero, di

costruzione di trame alternative possibili di guarigione o di riabilitazione) per creare nuove esperienze e

percorsi terapeutico-riabilitativi nella pratica clinica co-costruendoli fra professionisti sanitari, sociali,

malati e caregiver.

Conclusioni

A conclusione del nostro percorso, cercheremo di pervenire ad una definizione di medicina narrativa

che, tenendo conto del pluralismo teorico riscontrato nel corso dell’excursus relativo alle diverse

definizioni, nonché della pluralità dei punti di vista che le diverse implicazioni ad esse sottese ci hanno

consentito di individuare, possa risultare la più comprensiva possibile ma anche la più adeguatamente

operazionalizzabile in termini di concreta operatività dei servizi sanitari e socio-sanitari e dei

professionisti in essi operanti, con particolare riferimento alle malattie rare e cronico-degenerative.

Essa è strutturata in un preambolo, in tre assiomi, nella definizione in senso stretto e in un corollario.

PREAMBOLO. È opportuno anzitutto operare un distinguo terapia narrativa e medicina narrativa, al fine

di evitare ogni possibile equivoco conseguente: la narrazione può essere infatti intesa e utilizzata in

senso stretto come terapia narrativa, ovvero come una forma di terapia alternativa o complementare

(a seconda del paradigma adottato) rispetto ad altre forme di terapia (di tipo farmacologico, ipnotico,

ecc.) individuali o di gruppo utilizzate nel contesto della diagnosi, cura e riabilitazione del disagio

psichico o dei disturbi mentali. La terapia narrativa risulta quindi perseguire finalità strettamente

connesse alla cura del disagio psichico o del disturbo mentale sostanzialmente diverse da quelle

perseguite per la cura delle malattie rare e cronico-degenerative: per cui si rende opportuno operare

una chiara distinzione fra la terapia narrativa in senso stretto, che persegue finalità direttamente

terapeutiche della malattia mentale, e la medicina narrativa in quanto metodologia d’intervento

clinico-assistenziale, i cui eventuali effetti terapeutici di tipo collaterale o secondario sono da

considerarsi conseguenze intenzionali secondarie delle finalità di altra natura primariamente perseguite.

Al fine di rafforzare tale distinguo, si consiglia di utilizzare la dizione europea di “Medicina basata sulla

Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative”

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Narrazione” (Narrative based Medicine), che appare maggiormente auto-evidente e meno equivoca di

quella americana di “Medicina Narrativa” (Narrative Medicine).

ASSIOMA N.1. La consultazione clinica è un sistema d’interazione sociale prodotto dall’evento-malattia

al quale partecipano la persona sofferente, uno o più professionisti della salute legittimati ad intervenire

dal loro sapere esperto ed altri eventuali soggetti sociali che intervengono a vario titolo (caregiver,

badanti, ecc.). Ciascuno di questi tre tipologie di soggetti è portatore di un diverso punto di vista sulla

malattia fondato su una differente prospettiva che viene denominata illness nel caso della persona

sofferente (prospettiva esperienziale), disease nel caso del/i professionista/i (prospettiva esperta) e

sickness nel caso di altri soggetti sociali coinvolti (prospettiva profana). I tre tipi di prospettiva

producono e sono allo stesso tempo espressione di tre diversi tipi di saperi (esperienziale, esperto e

profano) che danno luogo ad altrettanti diversi tipi di narrazioni, tutte egualmente legittime e

complementari, dalla cui interazione si origina e si sviluppa il processo della consultazione clinica nelle

sue diverse fasi (diagnosi, terapia, prognosi).

ASSIOMA N.2. La dimensione interpretativa è quindi strettamente connaturata alla consultazione clinica

in quanto incontro di differenti narrazioni e dei relativi significati attribuiti alla malattia, di per sé affatto

autoevidente, che richiede quindi per una sua piena comprensione olistica la messa in atto di un dialogo

ermeneutico che consenta la piena valorizzazione della pluralità di saperi coinvolti per una loro

integrazione finalizzata alla realizzazione di una adeguata relazione di cura (care).

ASSIOMA N.3. Al fine di definire la Medicina basata sulle Narrazioni è fondamentale sottolineare con

forza che:

la “buona medicina” oggi non può prescindere dall’ascolto delle narrazioni. Le persone e le

storie oggi sempre più chiedono di essere protagoniste del processo di cura affinché questo

aderisca il più possibile all’ideale di vita buona e di qualità di vita. Le narrazioni sono un modo

per rendere “presenti” le persone;

ascoltare le narrazioni del paziente e dei caregiver è una conditio sine qua non della medicina

contemporanea fondata sulla scelta (vedi la rivoluzione introdotta dal consenso) e sulla

partecipazione attiva dei soggetti che coinvolge.

DEFINIZIONE. Sulla base dei due precedenti assiomi, definiamo come “Medicina basata sulla

Narrazione” (Narrative based Medicine):

una metodologia d’intervento clinico-assistenziale che considera la narrazione come uno

strumento fondamentale di acquisizione e comprensione della pluralità di prospettive che

intervengono nell’evento-malattia, finalizzata ad un’adeguata rilevazione della storia della

malattia che, mediante la co-costruzione di una possibile trama alternativa, consenta la

definizione e la realizzazione di un percorso di cura efficace, appropriato e condiviso (storia di

cura);

uno strumento dal valore epidemiologico che può dare visibilità ai diritti violati, ai bisogni

inevasi, integrare i dati quantitativi raccolti attraverso questionari su accessibilità ai servizi e

qualità della cura e della vita;

Relazioni degli esperti_Allegato

26

un momento-atto politico come momento di presa di coscienza e conquista-restituzione di

diritti, in particolare del diritto ad avere voce, che può favorire situazioni di empowerment e

promuovere una “cultura di partecipazione e di diritto”;

una metodologia dal grande valore pedagogico per medici e sanitari, pazienti e caregiver:

promuovere Medicina basata sulle Narrazioni implica costruire percorsi educativi e progetti che

prevedano la partecipazione attiva di pazienti, familiari, associazioni e abbiano rilevanza in

termini di salute pubblica.

COROLLARIO. La messa in atto della suddetta metodologia d’intervento clinico presuppone una

adeguata “competenza narrativa” sia da parte dei professionisti della cura che degli altri attori coinvolti

(pazienti e caregiver) che si esplica sia sul piano della conoscenza della diversa prospettiva dell’altro

(sapere), che sul piano degli atteggiamenti di ascolto empatico e comprensione (sapere essere) e su

quello delle abilità pratiche di messa in atto delle azioni di cura (saper fare). L’acquisizione di tale

competenza narrativa diffusa da parte dei soggetti coinvolti nella consultazione clinico-assistenziale

comporta la realizzazione di percorsi formativi sia specifici dei rispettivi ruoli che congiunti e incentrati

sulle tecniche narratologiche, fenomenologico-ermeneutiche e socio-antropologiche necessarie a

sviluppare un approccio dialogico-narrativo alla consultazione clinica.

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Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative”

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TEMA 2 _ Quali sono le metodologie e gli strumenti

utilizzati nell’ambito della medicina

narrativa?

Autori

Pierluigi BRUSTENGHI, ASL 2 Umbria, Foligno

Lorenza GARRINO, Università degli Studi di Torino, Torino

Co-autori

Francesco COREA, ASL 2 Umbria, Foligno

Valerio DIMONTE, Università degli Studi di Torino, Torino

Silvano GREGORINO, Università degli Studi di Torino, Torino

Paola MONTANARI, Università degli Studi di Torino, Torino

Elisa PICCO, AUSL Valle d'Aosta, Aosta

Relazioni degli esperti_Allegato

30

Abstract

Introduzione. La medicina narrativa porta a valorizzare la storia, l’esperienza ed il punto di vista

della persona assistita in un processo di coinvolgimento e condivisione nelle cure e rappresenta il

riconoscimento della complessità della persona e della sua testimonianza come malato. Lo scopo

che ci si prefigge è comprendere attraverso lo studio della letteratura come si realizzi l’attuale

orientamento della medicina narrativa attraverso l’analisi delle metodologie e degli strumenti di cui

si avvale nella pratica clinica, anche con riferimento alla ricerca ed allo sviluppo della competenza

narrativa

Metodologia: è stata effettuata una analisi della letteratura a partire da una ricerca sulle principali

banche dati. A partire da 1669 articoli, sono stati selezionati 36 articoli tra quelli maggiormente

improntati alle metodologie e tecniche riguardanti l’approccio narrativo. Sono stati inoltre

individuati i testi maggiormente rappresentativi i cui autori rappresentano il pensiero fondante e

che hanno ampiamente contribuito allo sviluppo medicina narrativa. Sono stati anche indicati

alcuni siti di interesse legati a progetti che sono stati realizzati negli ultimi anni.

Risultati: Sono state individuate numerose metodologie e tecniche di tipo narrativo. Le storie di

malattia, raccolte attraverso colloqui ed interviste orali, scritte, videoregistrate, attraverso la

diaristica o approcci più specifici, dove viene sottolineata la diade intervistatore-intervistato,

consentono di accedere alla rappresentazione e alla legittimizzazione del significato soggettivo della

sofferenza in particolare nelle patologie croniche e nelle malattie rare. La raccolta delle storie si

indirizza anche ad approfondire l’aspetto della ricerca sulle cure e sui percorsi di malattia ed

all’aspetto formativo-educativo.

Conclusioni: Il paradigma narrativo assume un particolare valore nell’approccio ai soggetti con

malattie cronico-degenerative, dove il malato e la sua famiglia entrano a pieno titolo come

protagonisti e co-autori del percorso di cura. L’utilizzo dell’approccio narrativo attraverso la sua

componente riflessiva, risulta strettamente legato all’aspetto formativo-educativo, anche nel suo

orizzonte di progettualità, ed al costante ed auto-rigenerante sviluppo della competenza narrativa.

Parole chiave: medicina narrativa, narrative based medicine, intervista narrativa, narrative illness,

narrative inquiry, lived experience, competenza narrativa.

Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative”

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Introduzione

Il concetto di malattia, nel tempo attuale, non può più essere visto e interpretato in senso unimodale e

strettamente biologico, ma richiede un approccio olistico al cui interno siano analizzabili tutti i significati,

palesi o latenti, che una patologia nel suo presentarsi produce. Il riduzionismo scientifico, se da un lato

ha apportato alcune sicurezze, dall’altro ha eccessivamente semplificato il significato del perdere salute,

trascurando aspetti di non secondaria valenza. Esistono malattie acute e croniche, curabili e non, alcune

risolvibili in breve tempo, altre no, ma, indipendentemente dall’outcome, chi risulta soggetto di

qualsivoglia interruzione del flusso esistenziale è la persona malata, la sua famiglia e la società in cui

vive.

La malattia è innanzitutto una esperienza umana, qualunque sia la sua eziologia, e si carica di significati

legati al contesto ed alla personale storia del paziente. Non è possibile comprendere un individuo senza

capire i “mondi” di quella persona e la rete di significati nei quali questa persona vive. Le parole e le

trame delle storie hanno un ruolo importante nella esperienza di malattia. L’ascolto di queste narrazioni

ci dà la possibilità di comprendere una realtà complessa, spesso non definibile solo nella prospettiva

biomedica tradizionale. È illusorio o quanto meno ingenuo sostenere che una buona pratica clinica, per

essere tale, debba fare affidamento sulla semplice osservazione di linee guida, sulla “best practice”, sulla

verità emersa dai trial randomizzati, escludendo da ciò la componente dei vissuti interiori del soggetto, il

suo parere, il giornale di bordo che ogni giorno, più o meno consapevolmente, compila chi è malato. Il

viaggio all’interno di una o più malattie è comparabile al binario del treno, esso è costituito da due

simmetriche ed equidistanti barre di ferro che fedelmente ricalcano una traiettoria mutevole, una delle

componenti può essere identificata nel diario clinico di malattia, l’altra in quello esistenziale e

relazionale. Entrambe sono essenziali e non escludibili, pena il deragliamento. Un viaggio sicuro

presuppone, quindi, la coesistenza delle due modalità e chi è interessato alla sicurezza e all’arrivo a

destinazione, deve curarsi di entrambi.

La Narrative Based Medicine (NBM) nasce come binario parallelo alla Evidence Based Medicine (EBM).

Una malattia condensa in una rete di esperienze significative e simboliche gli aspetti che i clinici devono

dedurre per comprendere il contesto del comportamento del paziente. Focalizzare l’attenzione su

queste esperienze, forti ed emotivamente cariche, piuttosto che unicamente sul significato biomedico,

aiuterà il clinico a comprendere la realtà del paziente. La medicina narrativa porta a valorizzare la storia,

l’esperienza ed il punto di vista della persona assistita in un processo di coinvolgimento e condivisione

nelle cure e rappresenta il riconoscimento della complessità della persona e della sua testimonianza

come malato.

Il paradigma narrativo assume un particolare valore nell’approccio ai soggetti con malattie cronico-

degenerative, dove il malato e la sua famiglia entrano a pieno titolo come protagonisti e co-autori del

percorso di cura. La Narrative Based Medicine (NBM) nasce con questo precipuo obiettivo e risulta

quanto mai essenziale conoscerne le metodologie e le tecniche applicative. Ognuno nel suo ambiente

applica pennellate di narrazione talora illudendosi che tale approccio sia solo un approfondimento

umanizzato e sensibilizzato alla malattia. La medicina narrativa richiede approcci metodologici di

comprovata utilità, confrontabilità e riproducibilità in base ai principi di efficacia ed efficienza. Da questa

Relazioni degli esperti_Allegato

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esigenza/necessità nasce questo lavoro indirizzato all’analisi accurata della letteratura più significativa a

riguardo.

Lo scopo che ci si prefigge è comprendere attraverso lo studio della letteratura come si realizzi l’attuale

orientamento della medicina narrativa attraverso l’analisi delle metodologie e degli strumenti di cui si

avvale nella pratica clinica, anche con riferimento alla ricerca ed allo sviluppo della competenza

narrativa.

Excursus sulle metodologie e tecniche utilizzati nell’ambito

della medicina narrativa

Lo sviluppo della medicina narrativa si basa su un duplice riconoscimento, ovvero che la malattia umana

è fondamentalmente semantica e densa di significati e che tutta la pratica clinica è intrinsecamente

interpretativa ed “ermeneutica” (1).

Questo implica il fatto che, come afferma Charon (2-4), il medico indaghi con mente creativa, aperta e

con coraggio, le multiple relazioni causali tra i sintomi e le complesse situazioni che il malato presenta,

mettendo in connessione eventi ed elementi diversi e tra loro distanti, per costruire una trama che

renda la malattia qualcosa che abbia un senso per lui. L’intersoggettività nasce dall’incontro tra un

narratore ed un ascoltatore attraverso un testo, una trama intesa come struttura che connette gli eventi

tra loro secondo nessi causali significativi. Charon afferma che le relazioni terapeutiche sono basate su

testi complessi, che comprendono parole, silenzi, aspetti fisici ed immagini. La narrazione può portare

colui che racconta ad esporre aspetti e parti di sé riservate ed intime. La professionalità del curante

implica un atteggiamento etico, di ascolto rispettoso ed attento nell’accogliere i racconti della persona

assistita, evitando di porre domande intrusive e di ricercare informazioni non strettamente utili,

forzando il racconto che la persona sta facendo.

La narrativa ha a che fare con gli individui. Inoltre concerne cosa questi individui provano e cosa gli altri

provano rispetto a loro, o più semplicemente cosa essi fanno o viene fatto per loro. Tutti elementi che

concorrono a fornire un quadro di insieme della persona e del contesto, degli aspetti sociali, psicologici,

e non solo, ma anche degli aspetti biologici e fisici (5).

Da queste considerazioni nasce l’approccio NBM. La medicina narrativa non è solo finalizzata a

comprendere meglio il paziente e la sua malattia, ma diventa un elemento fondante l’atto diagnostico e

di cura; nell’incontro clinico narrative based si co-costruisce una storia di malattia, esplorandone tutte le

dimensioni: il medico e più in generale l’operatore sanitario entra dunque con tutto se stesso, al fine di

costruire una conoscenza del paziente, inteso come soggetto unico e irripetibile (6).

Nella medicina narrativa appaiono adatti allo scopo e particolarmente rilevanti alcuni strumenti: la

conversazione – chiaramente diversa dall’interrogazione – tra medico/operatore sanitario e persona

assistita sulle sue esperienze di malattia; il racconto scritto e comunicato da parte del paziente sulla sua

Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative”

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esperienza di malattia; la comunicazione e discussione tra medico/operatore sanitario e persona

assistita sulle perplessità e difficoltà che l’attuale malattia comporta.

La ricostruzione delle vicende e dell’intero contesto in cui si inserisce, obbliga a ricomporre, a integrare

in modo critico, in una visione di insieme, gli elementi che l’analisi tende a scindere. Il solo modo di far

quadrare la malattia dei libri di testo (che è un concetto astratto e probabilistico) con quella che

abbiamo definito la malattia come un problema individuale è quello di esplorare l’universo di significati

che costituisce il mondo dell’altro. Il mondo dell’altro ci viene rivelato attraverso la narrazione.

L’esplorazione è un intervento antropologico mediante il quale ci si avventura con estrema delicatezza in

un territorio ignoto, ma dove termini e concetti che potrebbero sembrare condivisi hanno invece

significati profondamente diversi. Il medico dice “diabete” ed ha in mente una patologia definita: il

malato dice “diabete” ed ha in mente un problema complesso e sfumato, che coinvolge lui, la sua

famiglia, il suo lavoro, il suo presente, il suo futuro (7).

Rita Charon (4) identifica cinque aspetti che costituiscono gli elementi narrativi nella relazione con la

persona assistita: la temporalità, l’unicità, la causalità, l’intersoggettività e l’etica. La temporalità

riguarda lo sviluppo nel tempo della storia del paziente e il riconoscimento della soggettività nel valore

attribuito al tempo. L’unicità della persona e della sua esperienza implicano il riconoscere nelle parole

del paziente il senso da lui attribuito alla malattia. Questo consente di impostare una relazione

terapeutica basata sul dialogo, sulla comprensione e sulla condivisione.

Nella prospettiva della medicina narrativa le domande per individuare gli elementi della rete semantica

di malattia del paziente, secondo la concezione antropologica di Byron Good (1) possono essere: quando

ha avuto inizio il problema? Quali altre cose sono successe nella sua vita? Come pensa possano essere

legate al suo problema? Quali precedenti esperienze ha avuto con questa malattia? Quali problemi ha

comportato la malattia nella sua vita? A che cosa ha dovuto rinunciare a causa della malattia? Conosce

altre persone che hanno vissuto la medesima condizione? Quali problemi ha causato loro? Quanto

pensa possa aggravarsi la malattia in futuro? Quali sono le più difficili o significative esperienze che può

associare a questo problema? Tali esperienze sono particolarmente significative per lei e per la sua

famiglia (gruppi sociali, etnici)? Cosa pensano le altre persone rispetto al suo problema? Come hanno

reagito nei suoi confronti? Come si è sentito rispetto a queste reazioni?

I curanti possono avvalersi di annotazioni parallele, parallel charts, che si uniscono alla descrizione fatta

dalla persona assistita e che consentono di fissare ed esaminare i vissuti, i sentimenti, le emozioni che

caratterizzano il lavoro di cura. Rita Charon (4) afferma di utilizzare questo strumento a scopo didattico

dal 1993, dopo averlo personalmente sperimentato. Charon sottolinea di aver cominciato questa pratica

scrivendo le storie dei pazienti più problematici o che avevano creato in lei difficoltà e sconcerto e

questo aveva consentito di approfondire la conoscenza di sé e del paziente stesso, che altrimenti

sarebbe rimasta inaccessibile. Afferma inoltre di sottoporre i propri scritti ai pazienti stessi. Se il mio

scritto costituisce una ipotesi di una forma di ricerca intersoggettiva, solo il paziente può testare questa

ipotesi. (…) In una visita successiva io invito il paziente a leggere ciò che io ho scritto e a darmi un

rimando se ho scritto la storia correttamente.

John Launer (8) sottolinea alcuni aspetti della pratica clinica narrative based: il colloquio è esso stesso

terapeutico e non solo uno strumento relazionale, il curante deve aiutare il paziente a far emergere il

Relazioni degli esperti_Allegato

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significato della sua storia di malattia, al di là delle proprie pre-comprensioni riguardanti una sua prima

ipotesi diagnostica, il colloquio deve considerare il contesto in cui la relazione di cura si situa e deve

essere finalizzato a dare una risposta ai problemi dei pazienti.

Le narrazioni dei pazienti rappresentano per i pazienti stessi un importante mezzo di costruzione di

senso delle esperienze di malattia, per ristabilire una connessione con il sé. Questa posizione di ascolto

favorisce inoltre una relazione che a sua volta incoraggia la comunicazione dei vari aspetti

dell’esperienza nei confronti dei curanti. Il potere terapeutico delle narrazioni e le sue implicazioni

vengono ampiamente riportati in letteratura (9).

Le storie di malattia consentono di accedere alla rappresentazione e alla legittimizzazione della

sofferenza in particolare nella patologie croniche. Spesso lo spunto di partenza è la richiesta

all’intervistato di raccontare la propria storia, in particolare dal momento dell’irrompere della malattia.

L’invito a raccontarsi può essere stimolato a partire dalla semplice domanda: “Raccontami come si è

presentata la tua malattia” (10).

Il ricorso ad interviste narrative semi-strutturate è connesso al tentativo di dare voce all’esperienza, ai

vissuti e alle rielaborazioni delle persone intervistate attraverso una guida maggiormente articolata,

utile a sondare il significato di sensazione e tempo nella ricostruzione dell’esperienza di malattia (11-14).

L’intervista può comprendere in un primo momento domande aperte per permettere ai pazienti di

raccontare la loro esperienza e successivamente una serie di domande specifiche sul processo

diagnostico, i trattamenti e l’influenza della malattia nelle loro relazioni, nel lavoro e in altri aspetti della

loro vita (15). In uno studio focalizzato a esplorare il significato di malattia in soggetti affetti da una

malattia cronica esordita almeno da dieci anni le domande utilizzate riguardavano la storia di malattia, il

significato della diagnosi, il mutamento di vita dopo la diagnosi, il ruolo della spiritualità, i supporti

ricevuti, la disgregazione della vita, la costruzione di un significato. I pazienti elaborando i temi

riguardanti la memoria, la speranza e il significato hanno sviluppato maggiore resilienza alla malattia

stessa e hanno identificato il passato come una vera fonte di apprendimento (16).

Un ulteriore utilizzo dello strumento narrativo riguarda l’analisi delle esperienze vissute dalla diade

narratore/ascoltatore durante l’esposizione di un evento traumatico. Al primo viene posta la domanda:

“Dimmi cosa hai provato nel narrare la tua storia”, al secondo: “Dimmi cosa hai provato nell’ascoltare

questa storia”. In tal modo tra narratore ed ascoltatore si instaura un processo adattativo-collaborativo:

nell’ambito della diade narratore-ascoltatore viene sottolineato l’aspetto terapeutico relativo ai pattern

di reattività all’ascolto e dell’essere ascoltati, del rendersi presenti, resilienti, sul burn-out e sulla fatica

da compassione (17).

Una strategia di cura interattiva basata su un approccio narrativo storytelling viene presentata

nell’ambito delle cure a lungo termine con la finalità di migliorare i rapporti reciproci tra curanti e ospiti

residenti. Lo Story Sharing Intervention (SSI) è una strategia che sviluppa gli aspetti umani e la

reciprocità nelle cure. Prevede infatti non solo lo storytelling da parte del soggetto ma uno scambio

comunicativo dove entrambi curante e curato si raccontano in un processo reciproco di dare e avere,

attraverso un mutuo scambio. Questo approccio deriva da una cultura in cui i soggetti “escono dal loro

ruolo” e nel rapporto di cura viene incoraggiato il senso di amicizia. Lo Story Sharing ha come

Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative”

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presupposti teorici la “Theory of Caring” di Watson (1988,1999) e l’approccio ermeneutico

fenomenologico di Heidegger (1927/1962). E’ stato anche esaminato l’utilizzo dello SSI come strategia

educativa che conduce ad una autoriflessione e sull’abilità di leggere e comprendere la storia della

persona assistita (18).

Modalità narrative e relazionali proprie delle persone disabili affette da cerebropatie vengono poste in

evidenza da due autori Hydén e Antelius (19). Nel loro studio dimostrano che le persone con disabilità

comunicative sono spesso coinvolte in narrazione che non sono necessariamente conformi alle

aspettative convenzionali rispetto a ciò che costituisce una narrazione. Analizzando il rapporto tra storia

e narrazione dell’evento, esaminano la relazione tra quello che potrebbe essere chiamato il narratore

primario e il narratore vicario, che aiuta ricostruire le esperienze utilizzando ciò che altrove è stata

definita una “strategia puzzle” della comunicazione. Gli autori evidenziano che narratori con disabilità

comunicative sono spesso molto inventivi nel trovare modi di presentarsi come narratori competenti,

anche se possono avere alcuni problemi nell’animare una storia coerente e strutturata.

Nell’approccio narrative based devono essere messe in conto ed esaminate le difficoltà narrative dei

oggetti con lesione cerebrale traumatica quali la riduzione della velocità di linguaggio, gli errori

paragrammatici, le maggiori violazioni di coesione, coerenza e regole, la riduzione delle unità

informative, i problemi cognitivi nell’organizzazione semantica piuttosto che deficit linguistico specifico,

importanti deficit attentivi. Lo studio rafforza l’importanza, in termini di competenza narrativa, delle

analisi del linguaggio del narratore (unità semantiche e loro ripetibilità, narrazione in I e III persona ecc)

(20).

L’utilizzo di storie scritte da genitori di bambini affetti da malattie rare metaboliche è stato realizzato

con l’obiettivo di cogliere aspetti del vissuto di malattia che non trovano spazio nella cartella clinica. Il

progetto di raccolta storie è iniziato nel 2009 su invito delle relative associazioni che stimolava i genitori

a scriverle con la massima libertà narrativa. L’esperienza scritta viene stimolata secondo dei punti precisi

quali la comunicazione della diagnosi, la difficoltà di gestione della terapia, i problemi socio-assistenziali,

il vissuto di malattia per la famiglia intera. La metodologia mira a mettere in luce se nel percorso di cura

siano presenti o meno i seguenti aspetti: la scarsa capacità di ascolto da parte dei medici, le difficoltà

dei genitori nel comprendere la malattia, l’invito ai medici di fornire informazioni realistiche ma non

eccessivamente cariche di pessimismo, potenziare il concetto di qualità di vita, la disponibilità di ascolto

da parte delle istituzioni, gli ostacoli burocratici, il ruolo positive delle associazioni, il senso di angoscia

quotidiano, lo sviluppo di resilienza, il valore terapeutico della narrazione, la valenza della narrazione

sulla complessità della malattia rara e cronica, la denuncia di decurtazione del tempo dedicato a tali

malattie (21).

La metodologia Pedagogia dei Genitori propone tre azioni, la cui realizzazione permette di far emergere,

utilizzare e socializzare l’enorme giacimento costituito dagli itinerari di crescita promossi dalle famiglie

che assistono bambini con malattie croniche e gravi disabilità. La prima consiste nella raccolta,

pubblicazione, diffusione delle narrazioni degli itinerari educativi dei genitori, la seconda nella

formazione degli esperti che si occupano di rapporti umani (insegnanti, educatori, medici, infermieri,

giudici, assistenti sociali) tramite il racconto dei percorsi formativi delle famiglie, inseriti in un quadro

epistemologicamente corretto, la terza nell’analisi e nello studio delle narrazioni genitoriali e nella

Relazioni degli esperti_Allegato

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diffusione della Metodologia. Le narrazioni degli itinerari educativi genitoriali si iscrivono nei

fondamenti culturali dell’International Classification of Functioning (ICF), nelle premesse della nascente

medicina cognitiva e all’interno della Narrative Based Medicine (NBM). Lo strumento della Metodologia

Pedagogia dei Genitori Con i nostri occhi, che si avvale della presentazione dei figli da parte dei genitori,

è diventato strumento funzionale al Patto educativo famiglia professionisti (22).

Una tecnica di intervista a pazienti con malattie croniche realizzata attraverso la self presentation ed il

concetto di social support viene presentata come metodo per ottenere narrazioni delle esperienze di

malattia in cui intervistatori e intervistati contribuiscono insieme alla costruzione del discorso prodotto

dalle interviste (23).

L’approccio narrativo indica un nuovo modo di guardare alle cure, come un luogo in cui i pazienti

portano ‘storie spezzate’ e invitare professionisti per aiutarli a risolvere. Launer invita a vedere il ruolo

professionale del medico come “Story-makers” (24).

La narrazione di una storia illustrata anziché la libera conversazione, come per esempio un libro

illustrato per bambini come Frog, Where Are You? è stata utilizzata in pazienti con Progressive

nonfluent aphasia (PNFA), con Semantic dementia (SemD), e Nonaphasic patients with a disorder of

social comportment and executive functioning (SOC/EXEC). Questa metodologia è indicata in quanto le

immagini possono permettere di determinare con più accuratezza il risultato rispetto all’obiettivo

prefissato. Dalle storie utilizzate sono escluse quelle di fate perché l’aspetto sovrannaturale di queste

storie potrebbe confondere la capacità dei ricercatori nell’individuare le difficoltà di organizzazione

narrativa dei pazienti. Non è richiesto di descrivere una singola scena perché sarebbe materiale

insufficiente per individuare eventuali deficit di organizzazione del discorso. Gli elementi significativi per

valutare la completezza delle narrazioni per questo tipo di studio sono l’orientamento, la complessità

delle azioni e la risoluzione presenti in ognuno degli episodi del libro prescelto (in questo caso). Gli

episodi sono articolati in eventi. La codificazione delle narrazioni è realizzata usando la struttura di tutti

gli eventi come standard per la valutazione.

Procedura. Ad ogni soggetto è chiesto di sfogliare il libro per familiarizzare con la storia. Quando pronto

è chiesto di iniziare a raccontare la storia come se la stesse raccontando a un bambino, seguendo la

successione delle immagini. Le narrazioni sono registrate digitalmente. Le registrazioni sono trascritte

dettagliatamente da trascrittori addestrati usando Praat. Tutte le trascrizioni sono analizzate da due

soggetti indipendenti. Si codificano le seguenti variabili: la durata del racconto; il numero di enunciati; il

numero di parole; la difficoltà lessicale; la completezza dei contenuti; la descrizione delle azioni; le

interconnessioni globali e le interconnessioni locali.

L’assegnazione dei pazienti ai sottogruppi è basata sul consenso di due valutatori indipendenti

revisionando una storia neurologica semistrutturata, un esame neurologico completo e un esame

dettagliato dello stato mentale. Criteri di esclusione sono altri casi di demenza, di tipo metabolico,

endocrinologico, vascolare, strutturale, nutrizionale, di origine infettiva e disordini psichiatrici primari.

Esclusi anche pazienti con difficoltà visive percettive che limitano la loro capacità di percepire le

immagini (25).

Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative”

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Hassling (26) presenta l’uso della videointervista come metodo utile per cogliere gli aspetti salienti di

una narrazione stante il “live” che ne deriva. Dallo studio emerge però, che una semplice videocamera,

sebbene orientata in momenti salienti della giornata di una persona malata, non riesce da sola a fornire

elementi di sicuro interesse descrittivo se non associata ad altre metodologie. Queste ultime appaiono

essere: il diario scritto, il diario elettronico su personal computer, interviste separate dalla ripresa delle

immagini. La videocamera deve riprendere momenti strutturati e ben precisi della giornata di un malato

quali il trattamento giornaliero della patologia, il benessere psicologico esperito durante la giornata, le

relazioni sociali, i farmaci, le istruzioni per la scuola (se trattasi di minore), le misurazioni dei parametri

di malattia, la figura familiare che riprende il video e non estranea al nucleo medesimo. Il dato

metodologico che ne emerge si riferisce prevalentemente alla lettura delle espressioni corporee e in

particolare di quelle mimiche che più testimoniano il dato narrativo della esperienza. Altro elemento

risulta essere l’eventuale uso pubblico a scopo educativo e divulgativo del video che sembra offrire una

maggiore valenza e penetranza informativa rispetto a fotografie o slogan associate alla semplice

immagine. Il punto di debolezza della sola videoregistrazione consiste nella mancata narrazione verbale

autoriflessiva su tematiche preordinate che invece offre l’intervista separata dall’immagine. Il sentirsi

ripresi infatti può indebolire l’elaborazione dei contenuti profondi di malattia stante un sentimento di

intrusività e il pensiero di essere visti da altri in un secondo tempo. Da ciò il dubbio sul rispetto della

privacy, sebbene richiesta sempre come liberatoria prima della registrazione.

Le narrazioni di malattia delle persone affette da patologie rare e dei professionisti della cura che li

hanno in carico sono state condotte attraverso interviste semi strutturate presso un Centro clinico

italiano per malattie rare. Partendo dalla raccolta e dal confronto delle storie dei malati e dei curanti

sono state identificate le possibili aree di miglioramento dei servizi sanitari attualmente offerti. Nello

specifico l’intento è stato quello di analizzare per comprendere la percezione soggettiva della qualità

assistenziale e per studiare le strategie mediante cui sono attivati gli itinerari terapeutici (27).

L’elaborazione di una tecnica di intervista in profondità viene proposta come metodo per far emergere il

punto di vista dei pazienti sui servizi di cura. L’obiettivo sotteso è di arrivare a migliorare i servizi

partendo dall’analisi del percepito dei pazienti, basandosi su elementi più completi e ricchi di un

semplice questionario di soddisfazione che spesso non aiuta a comprendere veramente le difficoltà

presenti in un servizio o in un percorso di cura (28).

In uno studio riguardante il ritorno al lavoro di persone affette e curate per cancro i racconti sono stati

identificati sulla base di un’osservazione del linguaggio di tipo cognitivo, secondo gli studi di George

Lakoff, utilizzati per creare categorie più generali e per suddividere le tipologie dei pazienti narranti : i

casi tipici, più rappresentativi, usati per trarre conclusioni circa normali membri della categoria, i casi

“Nightmare” che esemplificano i risultati che si potrebbe sperare di evitare, i casi Ideal “o casi

“inspirational” usati come standard o benchmark che mostrano quello che potrebbe essere possibile in

circostanze eccezionali (29).

La metodologia del Time Slips si basa su un approccio terapeutico, narrativo, formativo-esistenziale. I

dati sono stati inseriti in una banca dati informatica per l’analisi utilizzando il software SAS v9. I Si sono

messi a confronto due gruppi di persone con demenza. Un gruppo è stato trattato secondo la

metodologia del Time Slips, l’altro, gruppo di controllo, no. Si è studiato gli effetti della procedura e del

Relazioni degli esperti_Allegato

38

dispositivo Time Slips, un programma di narrazione di gruppo a livello nazionale per la cura di Pazienti

con Demenza (PWD) che incoraggia narrazione aperta in modo da stimolare l’immaginazione piuttosto

che basarsi su reminiscenza di fatto.

Principi portanti sono il basarsi sulle capacità creative piuttosto che sulla memoria in modo che i

partecipanti non siano frustrati dai deficit cognitivi. La comunicazione avviene in modo naturale,

spontaneo, come contributi individuali incoraggiati, riconosciuti e validati in un ambiente collaborativo

(30).

L’aspetto riguardante le metodologie e gli strumenti della Medicina narrativa si interseca costantemente

in letteratura con ricerche di tipo narrative inquiry. Le interviste narrative sono state rivolte ad

approfondire tematiche all’interno di un approccio interpretativo fenomenologico o di tipo etnografico.

Le interviste in profondità sono condotte face-to-face in una stanza riservata, in ospedale o a casa del

partecipante e sono audio registrate. Le registrazione sono trascritte da un professionista della

trascrizione e revisionate dal ricercatore per garantire l’accuratezza del testo. Il ricercatore incoraggia i

partecipanti a raccontare dettagliatamente storie che siano particolarmente significative, facendo

riferimento il più possibile all’esperienza vissuta e meno agli aspetti teorici. Ciascun partecipante è

intervistato una sola volta e ogni intervista dura da una a due ore. Il ricercatore pone domande agli

operatori per comprendere quanto questi colgano ciò che sta succedendo, quali siano le preoccupazioni

più importanti verso i pazienti e familiari che orientano i loro interventi, il modo in cui valutano l’impatto

delle loro azioni sui pazienti e familiari e come gli aspetti emozionali figurano nelle loro percezioni ed

azioni (31).

Docherty (32) in uno studio fenomenologico realizza quattro interviste narrative audio registrate e

trascritte della durata di 1,5-2 ore nei confronti di persone affette da malattie croniche (severa

cardiopatia, sclerosi multipla in diversa fase di malattia, malattia degenerativa cerebrale). Una volta

iniziata l’intervista, i partecipanti raccontavano la loro storia da soli nel modo che più sentivano

appropriato. Le interviste sono state, revisionate e codificate in base ai temi salienti che emergevano: le

reazioni emotive vissute al momento della diagnosi e descritte come “peak experience”, il ruolo dello

stress come fattore precipitante dei sintomi o della malattia, la visione della morte, la malattia come

filosofia di vita.

Il McGill Illness Narrative Interview (MINI) è un protocollo per la conduzione di interviste narrative per

raccogliere narrazioni di esperienze di malattia nell’ambito della ricerca sanitaria. L’intervista MINI è

suddivisa in tre parti principali: la raccolta di informazioni in ordine cronologico, relativamente alla

malattia e sintomi; la raccolta di informazioni su concettualizzazioni della malattia attuale in relazione a

esperienze precedenti proprie o di familiari e amici, notizie dei mass media; i modelli esplicativi di

trattamenti, evoluzione della malattia. Un’altra sezione del MINI mira a raccogliere informazioni sui

percorsi di cura, le aspettative relative al trattamento, l’aderenza alla terapia, l’impatto della malattia

sulla propria identità, percezione del sé e relazione con gli altri. Le narrazioni che derivano dalle

interviste condotte con il metodo MINI possono essere sottoposte a diverse strategie interpretative che

derivano dall’antropologia medica, sociologia, psicologia. (33)

Overcash (34) attraverso una revisione di letteratura fornisce una definizione di ricerca narrativa per un

“pubblico” clinico che non ha familiarità con la tecnica narrativa, avvalendosi di esempi di ricerche

Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative”

39

narrative nel settore sanitario. Vengono portati numerosi esempi come il caso in cui sono state

sviluppate strategie per aiutare i malati e le loro famiglie ad affrontare la diagnosi ed il percorso di

malattia, attraverso la raccolta delle loro percezioni e vissuti. Lo stesso autore in un successivo editoriale

(35) descrive le opinioni degli autori su come intraprendere ricerche in ambito di medicina narrativa con

la finalità di familiarizzare gli infermieri con il concetto di ricerca narrativa. Sottolinea l’importanza

dell’intervista narrativa come chiave per ottenere dati dei pazienti e gli aspetti che differenziano la

narrazione maschile e femminile. Le donne tendono ad identificare i concetti attorno a un tema

principale mentre i maschi descrivono gli eventi con una successione lineare.

L’utilizzo dello strumento narrativo presuppone nel professionista della cura competenze narrative che

si possono sviluppare attraverso percorsi formativi con differenti livelli di approfondimento e finalità.

Rita Charon (36) effettua un commentario che ha la finalità di commemorare il 10° Academic

Medicine’s Teaching and Learning Moments feature (TLM) della Academic Medicine, e nello specifico ad

un seminario interprofessionale chiamato “Cultures of Health, Illness, and Health Care”, che si tiene

ogni settimana del semestre primaverile. Partecipano al seminario studenti e docenti di quattro scuole

diverse: dental, medical, nursing, and public health della Columbia University. Insieme, studenti e

docenti, si confrontano e imparano sulle differenti culture, sulla malattia e sulle cure, a partire da una

riflessione sui loro vissuti e sulle loro esperienze. I partecipanti trovano che la loro capacità di

esaminare e scrivere a partire dalle loro esperienze vissute contribuisce a migliorare la loro capacità di

comprendere i pazienti. Confrontarsi sulle storie dei pazienti e di loro stessi, come lettori e scrittori

evidenza quanto profonda sia l’origine dentro di sé del loro impegno nelle cure. E come questo

contribuisca a renderli membri effettivi dell’equipe di cura.

L’analisi di storie scritte da studenti di medicina durante un programmi formativi consentono di

identificare il paziente come figura di integrazione multidisciplinare, la conoscenza della sua storia

migliora la qualità dei temi a lui sensibili, il longitudinal care si adatta sia al paziente acuto che

complesso-cronico, le pluripatologie vengono ad essere meglio gestite, un forte legame tra studente e

paziente su base empatica che permette di dare stimolo alla cura e alla riflessione su se stessi, una

maggiore responsabilizzazione dello studente (37).

I docenti possono utilizzare il metodo narrativo interpretativo per esaminare le questioni relative al

reclutamento e il mantenimento lavorativo degli operatori sanitari per il suo potere nel suscitare

narrazioni complete dei partecipanti, e per le possibilità che offre per l’analisi. L’intervista narrativa

semi-strutturata presenta le seguenti domande: Parla della tua esperienza come studente. Quanto ti

ritieni preparato? Perché hai deciso di diventare infermiere? Perché hai scelto questa università? Come

i programmi possono venire incontro alle esigenze degli studenti ? (38)

Trento et al. (44) hanno posto in evidenza gli aspetti concettuali della biografia narrativa come elemento

della centralità del paziente e strumento di formazione. Il percorso formativo si basa su aspetti teorici,

interazione con i malati ed esplora il vissuto di malattia. Sono stati raccolti gli elaborati scritti degli

studenti ai quali era stato chiesto di descrivere l’attività osservata e raccontare il vissuto personale. Nel

corso di questa procedura formativa e pedagogica gli autori sottolineano come gli studenti imparino a

cogliere nei pazienti aspetti relazionali ed emotivi.

Relazioni degli esperti_Allegato

40

Nello studio di Greenhalgh (39) viene applicata la metodologia di Delphi dopo la lettura di articoli di

letteratura inerenti aspetti teorici e metodologici sulla medicina narrativa. Tramite discussioni via mail i

partecipanti (ricercatori volontari di varie figure professionali sanitarie) producevano un elaborato

preliminare in base alla scala di Likert a 9 punti (1: fortemente contrario, 9: fortemente a favore). Ogni

partecipante riceveva poi, per ogni item, il risultato del gruppo al fine di compararlo con il proprio. Dopo

ripetizione di 2 confronti tutti i dati venivano elaborate su Excel. Una simile metodologia permette di

analizzare gli standard qualitativi riguardo la scelta delle storie, l’interpretazione e analisi delle storie da

divulgare a fini scientifici, l’ originalità e chiarezza, la valenza dei quesiti di ricerca, l’ appropriatezza e

rappresentatività del campione prescelto, la robustezza dei processi di collezione dei dati, il rigore e

trasparenza dei dati, la logica e coerenza dei collegamenti tra dati e conclusioni, la consapevolezza dei

ricercatori in merito agli errori, il collegamento delle storie a dati empirici (esami, decorso clinico di

malattia ecc.) e a revisioni della letteratura, il coinvolgimento dell’intersoggettività, il principio di non

maleficenza, il consenso, la confidenzialità.

Da rimarcare l’utilità del linguaggio e delle immagini digitali, audio interviste, video interviste, disegni,

sculture,poesie, collage, sondaggi, file MP3, musica, URL, mail, focus group,chat room, siti web, blog,

Facebook e Twitter. A tal fine fa citata una esperienza italiana (www.stanzenarrative.it) (40).

La narrazione si presenta anche come strumento di socializzazione. Le comunità on-line di malati

permettono loro di esprimere in modo anonimo la loro esperienza. Così facendo offrono sostegno e

competenza di gestione per esserci dentro nonché alto valore terapeutico. Tali contenuti non

dovrebbero restare nascosti agli operatori sanitari, che anzi dovrebbero attingere da essi, spunti

riflessivi ed operativi, sino alla costruzione di una “ banca dati” dei problemi più frequentemente citati.

Nel Regno unito è stato creato un data-base basato sull’esperienza individuale dei malati dal 2001

(DIPEx, www.dipex.org) (41), mentre in Italia va citata l’esperienza del “Viverla tutta” del quotidiano La

Repubblica (www.viverlatutta.it) (42), continuata con il progetto “Laboratorio sperimentale di medicina

narrativa” coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità.

Implicazioni

La medicina narrativa può diventare un vero e proprio procedimento indirizzato all’identificazione dei

problemi della persona assistita, a partire da un processo di autentica comprensione del malato, in una

pratica clinica volta non solo a spiegare, ma a comprendere i significati dell’esperienza di malattia. Le

descrizioni della malattia forniscono un avvicinamento ai problemi in modo globale e, attraverso

l’interpretazione della storia autobiografica del paziente, facilitano e orientano scelte diagnostiche e

terapeutiche. Inoltre le storie di malattia sono un mezzo per educare pazienti e professionisti della

salute e possono anche espandere ed arricchire ipotesi di ricerca. Gli atti clinico-assistenziali che

veramente vogliano entrare in una dimensione di cura utilizzano efficacemente modelli esplicativi ed un

approccio centrato sui significati. L’approccio narrativo consente di individuare i contenuti inerenti la

dimensione sociale della malattia e fa evidenziare in senso della rappresentazione della malattia in quel

soggetto e la legittimizzazione della sofferenza (10).

Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative”

41

Il malato che racconta la propria storia di malattia espone, secondo un criterio di priorità, gli elementi a

lui più rappresentativi, mettendo al primo posto le cose che sente di più. La medicina narrativa deve

quindi tenere in considerazione anche il criterio di presentazione della storia secondo un ordine

prioritario di esposizione. Al primo posto, saremo così sicuri di trovare i dati più significativi e

rappresentativi del momento indirizzando in modo mirato gli interventi. Inoltre, una narrazione cui

segue un follow-up garantito, consente di monitorare l’evoluzione, migliorativa o meno, della persona

malata.

L’intervista narrativa non va confusa con l’anamnesi poiché quest’ultima è dominata da schemi rigidi e

meno discorsiva. Si sottolinea come nell’approccio narrativo debba essere data la possibilità alla persona

di porre domande e non solo riceverle. È sempre utile una guida durante l’intervista per non rendere la

stessa confusa e disorganizzata, ma dotata di coerenza cronologica e di significato dei vissuti. Non basta

una sola seduta di narrazione ma una serie di incontri per monitorare gli sviluppi e per ottenere

informazioni più complete sia dai pazienti che dai caregiver.

Un elemento di sicuro interesse riguarda il periodo temporale di anni all’interno del quale le storie

scritte vengono raccolte. Ciò consente ai professionisti della cura di fotografare nel divenire e non in

maniera statica i vissuti di malattia. Questo aspetto viene sottolineato del lavoro di Rubessa (21) che ha

come narratori i genitori di bambini affetti da malattie rare metaboliche e si pone come obiettivo

duplice quello di evidenziare il vissuto di malattia sia dei pazienti che dei familiari.

L’uso della videointervista può apparire un metodo suggestivo ed estremamente realistico per cogliere

gli aspetti salienti di una narrazione stante il “ live” che ne deriva. Dagli studi emerge, che una semplice

videocamera, sebbene orientata in momenti salienti della giornata di una persona malata, non riesce da

sola a fornire elementi di sicuro interesse descrittivo se non associata ad altre metodologie. Queste

ultime appaiono essere: il diario scritto, il diario elettronico su personal computer, interviste separate

dalla ripresa delle immagini (26).

Un’attenzione particolare deve essere rivolta alle modalità narrative e relazionali proprie delle persone

disabili affette da cerebropatie, sottolineando il ruolo del narratore primario e vicario ed evidenziando il

concetto di co-costruzione narrativa. Viene sottolineata l’importanza della “narrazione corporea” da

associare a quella tradizionale e del contesto sociale e culturale (19).

Dall’analisi di centinaia di pratiche di Medicina narrative applicate alle Scienze infermieristiche

emergono sette dimensioni di cura: significato personale della cura, compassione, spiritualità, senso di

comunità, fornire conforto, intervento nelle crisi, ridurre le distanze. Questo aspetto può essere utile a

fornire un quadro concettuale di riferimento alle azioni di cura realizzate nella pratica quotidiana. Gli

operatori possono interrogarsi anche a partire da una analisi riflessiva costante e quotidiana rispetto

all’assistenza fornita sia intermini individuale che da tutto il gruppo professionale dei curanti (43).

Ascoltare le storie e condividerle, a volte rivivere la stessa esperienza traumatica significa anche

mutazione temporale della stessa sia dal punto di vista fisico, mentale, emozionale e spirituale come

fenomeno di adattamento e mette in guardia gli ascoltatori nel percepire uno “stress” che può

determinare un calo di ascolto e di interesse come meccanismo difensivo. Avverte quindi della necessità

di una sorta di resilienza da parte del curante (17).

Relazioni degli esperti_Allegato

42

I metodi di analisi delle interviste proposti in letteratura sono molteplici. Alcuni utilizzano un approccio

fenomenologico (11) o fenomenologico interpretativo-IPA (15). Altri ricorrono alla discourse analysis

(12) o propongono un’analisi del linguaggio realizzata a più livelli (13).

La qualità del team risulta essere un elemento fondamentale per la gestione di una long term care

basata sulla relazione arricchita attraverso la valorizzazione delle storie, promozione di crescita e

sviluppo (18).

Negli studi viene ribadito il valore del team assistenziale attraverso la pianificazione degli interventi che

diventa al contempo progettualità ed educazione, alleanza terapeutica, abbandono di preconcetti (44).

Nell’utilizzo dell’intervista come tecnica di ricerca qualitativa si individuano alcune indicazioni di cui

tenere conto: confrontare le narrazioni considerando genere, età e status sociale; confrontare le

narrazioni dei malati e dei soggetti sani; prestare più attenzione agli elementi discordanti nelle

narrazioni dei pazienti; prestare più attenzione alle motivazione dei pazienti; prestare più attenzione a

come i pazienti modificano le loro presentazione a secondo del contesto (23).

L’analisi della letteratura offre spunti metodologici importanti sulla qualità nella ricerca, ma spesso la

ricerca narrativa risulta orientata ad un “pubblico” clinico che non ha familiarità con la tecnica narrativa.

Tale possibilità viene sottolineata da esempi di ricerche narrative nel settore sanitario evidenziandone

la loro validità ed analisi. Può essere utile diffondere maggiormente tale approccio di ricerca

evidenziano agli operatori come la metodologia narrativa sia orientata all’oggettivare i vissuti attraverso

la narrazione, per evidenziarne i problemi sottesi, con risvolti ed implicazioni importanti nella pratica

professionale (25, 35).

Commenti

L’analisi della letteratura effettuata consente di porre in risalto alcune importanti considerazioni. Dai

lavori emerge come il racconto, spontaneo o guidato, rappresenti una delle vie più utilizzate per dare

senso ad una storia di malattia ove l’esperienza in sé, viene filtrata in base a molteplici parametri,

individuali e non. I criteri metodologici proposti invitano a lasciare libero l’intervistato nell’usare la

modalità narrativa a lui più confacente e spontanea non influenzando dall’esterno il contenuto

rappresentativo dell’informazione già allo stadio iniziale del suo formarsi. Una ulteriore modalità

ricorrente negli studi consiste nell’adottare una traccia di intervista per approfondire la conoscenza

dell’esperienza e dei vissuti di malattia della persona assistita, anche attraverso percorsi di ricerca.

L’approccio narrativo si dimostra utile sia durante la fase diagnostica che terapeutica. Il narratore crea,

attraverso il racconto, un quadro di se stesso modificato dall’esperienza di malattia, sensazioni,

preoccupazioni, progettualità, problematiche sociali e familiari. I dati qualitativi che ne derivano

permettono di accedere alla “illness” attraverso un procedimento empatico. L’oggettivazione dei vissuti

sembra essere uno dei focus di validità della narrazione anche come tecnica relazionale ed anamnestica,

nella misura in cui permettono di cogliere il significato che il soggetto fornisce alla propria esperienza.

Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative”

43

La narrazione serve inoltre all’operatore sanitario per comprendere la qualità della sua pratica clinica,

valorizzando le testimonianze delle persone assistite e degli operatori. La metodologia narrativa ha una

precisa articolazione che procede per stadi: stimolare la narrazione, raccoglierne i contenuti, marcare e

indicizzare gli stessi, costruire dei significati, elaborare il linguaggio narrativo, valutare in base

all’impatto. Nelle domande di tipo decostruttivo lo scopo è quello di arrivare alla radice del problema, in

quelle di tipo prospettico aiutare la persona malata a comprendere il suo problema.

Tre sono gli elementi basilari della narrazione: attenzione, rappresentazione e affiliazione. Per gli

operatori sanitari un metodo utile può essere rappresentato dal “reflective writing”. La medicina

narrativa diventa quindi un modo reale e concreto di condivisione della storia di malattia e offre al

curante la possibilità di attivare un percorso riflessivo e di autocomprensione riguardante la relazione

terapeutica con la persona assistita. La crescente attenzione alle pratiche di tipo riflessivo nella

formazione in ambito sanitario hanno sollecitato il dibattito sull’utilizzo di metodologie e strumenti che

aiutino il discente ad apprendere, valorizzando l’esperienza realizzata nella pratica clinica (45-48). Gli

studiosi di medicina narrativa hanno osservato che le connessioni fra la riflessione e l’empatia viaggiano

su due direzioni che riguardano emotivamente sia chi elargisce la cura, sia chi la riceve, e si alimentano

vicendevolmente. Quando i professionisti o gli studenti riflettono sulle proprie esperienze di vita ed

esaminano le relazioni che si sono innescate nel prendersi cura dei malati, diventano tanto più

disponibili ed utili per i pazienti.

La narrazione può esprimersi attraverso il linguaggio orale, scritto o corporeo. Da rimarcare l’utilità del

linguaggio e delle immagini digitali, audio interviste, video interviste, disegni, sculture, poesie, collage,

sondaggi, file MP3, musica, URL, mail, focus group, chat room, siti web, blog, Facebook e Twitter. La

narrazione andrebbe inserita nei progetti di miglioramento della qualità di ogni azienda sanitaria. Le

esperienze fin qui condotte hanno utilizzato come strumenti l’intervista narrativa che fornisce in

dettaglio elementi sul funzionamento del sistema sanitario, la raccolta della storia naturale, il caso

aziendale che tipizza il contesto locale, costruzione di un senso comune attraverso la logica del team

operativo fatto di figure multidisciplinari.

La classificazione internazionale sul funzionamento e la disabilità (ICF) secondo il modello

biopsicosociale di salute ha trovato un suo fertile campo di azione nelle malattie croniche e nelle

malattie rare in particolare per gli aspetti riabilitativi (22, 49-50). Il Paziente complesso ovvero affetto da

tre o più patologie, può dalla medicina narrativa essere seguito nei processi di cura attraverso nuove

strategie meta cognitive e meta-comunicative, colmando i vuoti da essa lasciati irrisolti da un approccio

unicamente EBM. La narrazione ha in sé anche un ruolo terapeutico non solo finalizzato all’ottimale

controllo delle strategie curative strettamente biologiche, ma anche dal punto di vista emozionale.

La sfera emotiva della persona malata può essere indagata e indirizzata in senso migliorativo grazie

all’apporto della narrazione. Se ne deduce quindi un ruolo psicoterapeutico di non secondaria

importanza. Ne consegue che molti sforzi andranno fatti per migliorare le abilità comunicative degli

operatori sanitari, specie di quelli che si ritengono interessati alla narrazione. Talora definirsi portati

verso una metodologia non equivale ad esserne competenti. La necessità di un training comunicativo

dovrebbe appartenere al bagaglio formativo di ogni operatore sanitario. Percentuali fredde sulla

malattia e narrazione indicano che sempre più frequentemente il medico usa termini numerici per

indicizzare l’evoluzione di un malattia in una persona. Spesso quindi il malato viene identificato con un

Relazioni degli esperti_Allegato

44

numero (guarigione, recidiva, complicazioni, morte ecc.). La narrazione permette di utilizzare un diverso

modo di comunicazione evitando che “l’ethos” sia umiliato in nome del “bios” e che il medico per suo

comportamento errato acuisca il dolore della persona anziché lenirlo. Il corpo del malato, in un

ambulatorio medico e soprattutto in un Ospedale, è completamente consegnato nella sua estrema

fragilità ai gesti e alle parole del medico che talora può farlo soffrire, ancora più di quanto già non faccia

la malattia, con la sua indifferenza emozionale e con la sua tecnica gelidamente applicata. Quando si sta

male, non posso non ribadirlo, cresce istantaneamente la sensibilità interiore alle cose ma, anche, la

rabdomantica captazione dei significati e delle allusioni, queste ancora più insostenibili, che si

nascondono nelle parole e nei gesti del medico (51).

Pierluigi Brustenghi riporta una sua esperienza nell’assistere i malati di sclerosi multipla. Fra i vari

problemi per questi malati, risulta presente quello della fatica. Il disturbo non è di poco conto e sebbene

farmacologicamente possa essere trattato, modifica l’endurance della giornata del malato e la sua

progettualità. Un paziente ebbe modo di rappresentare tale vissuto pubblicamente e si espresse nel

modo seguente: “noi che siamo malati di sclerosi assomigliamo ad una pila caricata a metà, quando ti

svegli al mattino sai che non puoi consumare tutta la batteria ma devi distribuirla nell’arco della

giornata. Non devi illuderti al mattino di poter esagerare nel fare le cose ma devi avere il controllo della

distribuzione delle forze. Solo facendo così arriverai a sera non distrutto”. Un’altra paziente riferì: “ io mi

sento come una gelatina che cammina e si sposta, quando mi muovo sono traballante come un budino,

dall’esterno questo non si vede o si vede poco, ma io sono così e vivo muovendomi con questa sensazione

che sempre mi accompagna”. Un’altra paziente, a proposito dei disturbi di coordinazione disse: “noi

donne malate di sclerosi non possiamo truccarci in piedi, altrimenti si sbaffa tutto il viso, ma dobbiamo

sederci per evitare che il tremore ci faccia andare storti... così facendo abbiamo la possibilità di essere

come le altre donne sane e di avere un viso con trucco appropriato, anche questo aiuta a sentirsi meno

malate”. Un altro paziente espresse: “La mattina non posso fare la barba in piedi perché in quella

posizione devo fare due cose: controllare l’equilibrio e gestire la lametta sul viso. O faccio una cosa o

faccio l’altra, farle assieme mi è impossibile. Così ho imparato che la barba la posso fare da seduto in

modo da abolire la concentrazione sul controllo dello stare in piedi, in questo modo non mi taglio più il

viso né lascio zone non rasate”. Queste espressioni così vivide e veritiere appartengono alla narrazione

del quotidiano, ma si collegano anche direttamente, sebbene con un linguaggio non medico-scientifico,

alla clinica: sono i sintomi che vengono descritti da chi li vive come persona. Questo importante

repertorio non si trova descritto nei libri di medicina ma solo nelle autobiografie dei malati incoraggiati

ad aprirsi. La medicina narrativa deve interessarsi anche a ciò. Le persone malate che hanno ascoltato

queste esperienze, hanno provato un senso di benessere nel sentire quelle modalità espressive, che

erano anche loro, ma che prima di quel momento non avevano trovato valida voce descrittiva.

Conclusioni (con proposta di condizioni da rispettare nella scelta della metodologia)

L’analisi della letteratura effettuata presenta una disamina delle principali metodologie e degli strumenti

di cui si avvale la medicina narrativa presenti in letteratura, con particolare attenzione alla cronicità ed

alle malattie rare. Il lavoro consente di porre in risalto alcune importanti considerazioni. Dai lavori

emerge come il racconto, spontaneo o guidato, rappresenti una delle via più utilizzate per dare senso ad

Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative”

45

una storia di malattia ove l’esperienza in sé, viene filtrata in base a molteplici parametri, individuali e

non. I criteri metodologici proposti invitano a lasciare libero l’intervistato nell’usare la modalità narrativa

a lui più confacente e spontanea non influenzando dall’esterno il contenuto rappresentativo

dell’informazione già allo stadio iniziale del suo formarsi. Launer sottolinea che la sfida dell’approccio

narrativo sta nel contenere la dimensione del racconto, che deve essere finalizzato ad un risvolto

operativo nelle cure con concrete azioni di accompagnamento. Lucia Zannini (6) esamina questo

aspetto problematico che concerne il rapporto tra disponibilità di tempo e approccio narrativo nella

relazione con il paziente. Il fissare dei limiti al tempo del racconto può essere utile nella pratica

quotidiana, ma non risolutivo, nel senso che i vantaggi dell’eventuale allungamento dei tempi richiesti

deve essere considerato in relazione al complessivo percorso di cura. Nelle malattie cronico-

degenerative una relazione terapeutica narrative-based può favorire una maggiore adesione al

trattamento ed un migliore controllo delle complicanze, con esiti completamente differenti

dall’approccio biomedico.

Una componente molto importante della medicina narrativa è la cosiddetta “Narrative inquiry”. Una

modalità molto ricorrente che consiste nell’adottare tracce di intervista semi-strutturata all’interno di

approcci di ricerca qualitativi, per approfondire la conoscenza dell’esperienza e dei vissuti di malattia

della persona assistita. A questo proposito, vi è una costante tensione nella ricerca giustificativa della

validità dell’approccio narrativo. Molti articoli riportano in modo puntuale l’adozione di metodologie di

ricerca “miste”: quantitative e qualitative. In tal senso sembra emergere che sia possibile per talune

patologie, per lo più croniche, oncologiche o legate alla prevenzione, indagare l’uso di metodologie e

tecniche narrative in modo misto. Metodologie solo quantitative che colgano il percepito dei pazienti

non sembrano efficaci. Lo sforzo è il tenere saldo il timone di una correttezza metodologica che possa

legare un esito nomo tetico a quello idiografico.

Nello studio sono state anche indagate lo sviluppo delle competenze narrative attraverso percorsi

formativi. Il concetto di competenza narrativa, non può più essere considerata un optional ma uno degli

strumenti basilari su cui si fonda la “good practice” di ogni figura sanitaria. A tal fine, andrebbero

promosse capillari iniziative, ad ogni livello, finalizzate all’approccio nel suo complesso. L’esperienza

formativa attraverso la narrazione si caratterizza come un processo di “costruzione di significato”, non

solo di acquisizione di conoscenze, e riflette un atteggiamento formativo di tipo clinico finalizzato ad

affrontare le situazioni per capirne dal di dentro i processi e le dinamiche. L’approccio narrativo

consente di operare continue ristrutturazioni del proprio sapere attraverso una modalità pedagogica

caratterizzata dall’apprendimento attivo per scoperta. Attraverso la pratica della narrazione, la continua

costruzione di significati consente di interpretare la realtà sanitaria a partire dalle proprie esperienze di

cura e dalle vicende di malattia con una prospettiva innovativa di formazione e di cura.

La maggior parte degli articoli vede coinvolte diverse figure professionali, con una ridotta

rappresentanza della categoria medica. Il dato conferma quanto ancora si debba fare in termini

operativi per incoraggiare la cultura della narrazione dentro i centri di cura, ancora troppo adesi

all’approccio medico-biologico, onde anche evitare che si strutturi la convinzione che la metodologia

narrativa sia di solo pertinenza di altre figure socio-sanitarie. I luoghi della narrazione non

necessariamente devono essere quelli ospedalieri, ma comprendere ogni ambiente ove il malato vive la

Relazioni degli esperti_Allegato

46

sua malattia, domicilio compreso, ove si presume egli possa esperire il massimo grado di confort

espressivo.

La medicina narrativa offre la possibilità di prestare attenzione in modo preciso al linguaggio che il

paziente usa, aiutando le persone a trovare il modo di rivelare se stessi, non necessariamente in una

unica e coerente storia, ma anche in termini di discontinuità, instabilità. Mentre la medicina centrata sul

paziente indica un cambiamento nel comportamento di consulenza, l’approccio narrativo richiama

l’attenzione al modo in cui che le credenze, i sistemi di valori e la differenti culture siano sempre

profondamente radicata nel linguaggio che usiamo e in ciò che sentiamo o non sentiamo. In molti modi,

la NBM, capovolge l’approccio biomedico tradizionale e anche l’approccio patient-centered. Invece di

ascoltare la storia del paziente per decidere che cosa fare, il professionista della cura contribuisce nel

miglioramento della narrazione del paziente.

Implicazioni per la pratica possono riguardare una attenzione alla circolarità del colloquio ed alla co-

costruzione della storia di malattia, costantemente alimentata di feedback e da riformulazioni del

discorso. Il team operativo rappresenta per la Medicina narrativa un sicuro veicolo interpretativo di tipo

fenomenologico-deduttivo.

Scopo del team è quello di creare una mente collettiva in base al detto: “more eyes, see more”. Uno

strumento essenziale del team è il briefing quotidiano all’interno del quale ogni figura professionale

offre il suo aggiornamento narrativo su una storia di malattia. Sarebbe consigliabile la costruzione di un

diario narrativo di team la cui compilazione andrebbe lasciata aperta a tutte le figure ad esso afferenti.

Partendo dalle testimonianze dei malati e delle loro famiglie sarebbe auspicabile la realizzazione di un

testo clinico descrittivo, per ogni malattia cronico-degenerativa o rara, fatto riportando le originali

espressioni delle persone malate.

Launer (24) si interroga se la Narrative Based Medicine sia una moda passeggera o un “passo da gigante”

per la Medicina. Sottolinea come il grande valore aggiunto sia il nuovo quadro concettuale che porta

allo stesso livello la medicina con le scienze sociali e umanistiche. Sottolinea la necessità per i medici e

altri operatori sanitari di proporre nuove e più utili narrazioni per i pazienti e analizza il modo in cui i

medici cercano di orientare i pazienti verso «Trame terapeutiche».

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Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative”

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TEMA 3 _ Quale può essere l’utilità della medicina

narrativa? In quali ambiti può essere

utilizzata, facendo riferimento alle

esperienze applicative ad oggi

realizzate?

Autori

Roberto LALA, Ospedale Infantile Regina Margherita, Città della Salute e della Scienza di Torino,

Torino

Mariella LOMBARDI RICCI, Facoltà Teologica, Torino

Co-autori

Anna Maria DELPIANO, ASL 2 Liguria, Savona

Giorgia FENOCCHIO, Ospedale Infantile Regina Margherita, Città della Salute e della Scienza di Torino,

Torino

Ilaria LESMO, Dipartimento Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa”, Università degli Studi

Milano-Bicocca, Milano

Patrizia RUSTIGHI, ASL 2 Liguria, Savona

Relazioni degli esperti_Allegato

50

Abstract

Introduzione. Le narrazioni in medicina possono essere considerate le principali strutture logico-

relazionali sulle quali si basa l’attività clinica, sebbene in modo spesso inconsapevole. Le storie di

cui si occupa la medicina narrativa diventano reale strumento terapeutico se i clinici sono dotati di

competenza ermeneutica.

Metodologia. La Narrative Based Medicine (NBM) si declina in diversi ambiti: la pratica e la

relazione clinica, l’attività di ricerca e produzione di conoscenza, l’attività di formazione di operatori

e pazienti. Per rispondere al quesito posto ci siamo soffermati prevalentemente sul primo ambito. Il

processo durante il quale si crea una sintesi co-costruita tra le narrazioni dell’operatore e quelle del

paziente è l’incontro clinico. Esistono poi altre esperienze applicative quali l’integrazione delle

narrazioni nella cartella clinica, i diari auto-biografici, le interviste aperte, i colloqui telefonici, le

comunicazioni attraverso dispositivi elettronici, i videotape, le attività di gruppo, le performance

teatrali. I principali esiti riscontrati in letteratura rispetto alle esperienze applicative della medicina

narrativa nella pratica e nella relazione clinica sono: maggiore compliance, maggiore

empowerment, consapevolezza e migliorata percezione della qualità della vita dei pazienti,

maggiore soddisfazione degli operatori, miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza dei servizi

sanitari, migliorata percezione della qualità della vita. I rischi rispetto alle esperienze applicative

della medicina narrativa nella pratica e nella relazione clinica sono: l’utilizzo delle narrazioni a

scopo manipolatorio: da parte del paziente, da parte dell’operatore, da parte di privati che si

appropriano di narrazioni pubbliche (aziende farmaceutiche, cliniche private, singoli professionisti).

Conclusioni. Il significato più importante della NBM è fornire, attraverso la personalizzazione degli

interventi, motivazioni e scopi alla medicina basata sull’evidenza (EBM), ampliando così le

possibilità di diverse opzioni terapeutiche e dando alla EBM caratura scientifica in senso

popperiano, perché offre una cura misurata sulla singolarità del paziente.

Parole chiave: narrazioni, utilità, utilizzo, ambiti, esperienze applicative.

Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative”

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Introduzione

Le narrazioni in medicina possono essere considerate le principali strutture logico-relazionali sulle quali

si basa l’attività clinica, sebbene in modo spesso inconsapevole. Questo perché il mondo umano è un

mondo intessuto di storie. L’uomo si ri-conosce in quanto racconta le sue esperienze e accoglie quelle

dell’altro. La sua è un’identità narrativa che non smette di farsi e disfarsi. Le storie permettono di

costruire la pratica clinica fornendo materiale e strumenti per raccogliere evidenze ed esperienze

passate, connetterle con il vissuto attuale attribuendo così un senso cognitivo ed emotivo, costruire dal

vissuto attuale la programmazione futura. In accordo con Griffiths (1) nelle patologie croniche è

possibile individuare una traiettoria di malattia intercalata da momenti di costruzione clinica, in cui si

delineano le proprietà emergenti dell’esperienza del malato. In questi momenti si evidenziano le

proprietà di adattamento e trasformazione dell’esperienza della persona con malattia cronica.

Definire l’utilità delle narrazioni in medicina significa attribuire ad esse scopi specifici: l’individuazione

delle caratteristiche dello stato di sofferenza di un paziente, delle influenze reciproche tra questo ed il

contesto personale e sociale, del potere trasformativo delle narrazioni condivise nell’incontro clinico.

Ciò consente di raggiungere un adattamento che integri la sofferenza in un vissuto quotidiano il più

positivo possibile. Perché ciò avvenga è indispensabile che la medicina recuperi la dimensione etica che

la connota (2). La clinica richiede di cogliere la singolarità di ogni paziente e, specularmente, di tener

conto di quella di ogni curante. Si interviene per il bene del paziente sulla base del suo caso, unico e

mutevole lungo la traiettoria di malattia. Non si deve dimenticare che la clinica è impresa morale in

quanto legata all'esperienza esistenziale di ogni singolo soggetto coinvolto nella relazione terapeutica.

Nel processo clinico, infatti, intervengono elementi eticamente significativi: l'esperienza del paziente, la

narrazione del suo sentirsi malato, la scelta di procedere ad esami fisici e test di laboratorio, la

partecipazione del medico alla nuova storia co-costruita.

Le storie di cui si occupa la medicina narrativa diventano reale strumento terapeutico se i clinici sono

dotati di competenza ermeneutica (3,4). In altre parole, è necessario che si conosca la tipicità umana sia

dal punto di vista ontologico (il soggetto è, in quanto si riconosce negli atti che compie lungo la sua

esistenza e nel racconto che ne fa) sia epistemologico. La capacità ermeneutica aiuta il clinico a

comprendere il paziente grazie all’ascolto attivo, uno spazio dove il paziente può dare un senso alla

nuova situazione esistenziale di persona malata, rinarrandola (5). Ogni nuova situazione esistenziale, e la

malattia lo è, esige una ri-lettura del proprio esistere (6). I racconti di malattia permettono così di dare

all’EBM una prospettiva olistica anziché limitarsi ad applicare principi etici astratti a casi clinici

spersonalizzati (5,6).

L’NBM integrata con la EBM vitalizza l’arte della medicina nel perseguimento di una comprensione più

profonda e più appropriata della pratica clinica. I racconti di malattia risentono sia della interpretazione

soggettiva del paziente sia del contesto socio-culturale, per questo è possibile lo sviluppo di una

categorizzazione attraverso l’individuazione di temi ricorrenti in analoghe esperienze (1).

L’utilizzo della medicina narrativa descrive l’insieme delle pratiche e dei linguaggi narrativi applicati nel

contesto clinico. Si tratta di pratiche e linguaggi molteplici e spesso difformi: letterario-poetico,

Relazioni degli esperti_Allegato

52

ermeneutico, biografico-etnografico, sociologico, etico, strutturale-lessicale, biomedico-scientifico. La

consapevolezza dell’importanza delle narrazioni in ambito clinico consente a pazienti, operatori sanitari

e cittadini di utilizzare con senso critico il forte potere culturale e sociale del narrare per meglio

determinare le prospettive di cura ed evitare rischi di manipolazione.

Excursus

AMBITI DELLA MEDICINA NARRATIVA

La medicina narrativa si declina in diversi ambiti: la pratica e la relazione clinica, l’attività di ricerca e

produzione di conoscenza, l’attività di formazione di operatori e pazienti. Per quanto questi ambiti siano

strettamente interrelati, per rispondere al quesito posto ci soffermeremo prevalentemente sul primo,

cioè la pratica e la relazione clinica, considerando soltanto gli aspetti di ricerca e formazione più

strettamente correlati ad esse.

Pratica e relazione clinica si basano su un’attività ermeneutica che mette in luce le rappresentazioni

della realtà attraverso la selezione di elementi ritenuti significativi. Durante l’incontro clinico il paziente

narra frammenti della propria storia in base a quanto gli viene richiesto e ritiene possa essere utile

all’operatore. L’operatore è portatore delle rappresentazioni della realtà costruite in base alle narrazioni

mediche, farmacologiche (3) e infermieristiche filtrate dall’esperienza personale (7).

Durante l’incontro clinico si crea una sintesi co-costruita tra le narrazioni dell’operatore e quelle del

paziente, su cui si basa l’efficacia delle pratiche di cura.

Una maggiore consapevolezza di queste prassi permette di implementare il processo ermeneutico:

l’operatore diviene consapevole delle narrazioni di cui è portatore in quanto esperto di un certo sapere;

i pazienti possono estendere le proprie narrazioni, lasciando spazio a dettagli che favoriscano un’attività

ermeneutica co-costruita, piuttosto che prodotta in modo paternalistico.

Ciò avviene principalmente nell’incontro ma anche attraverso varie esperienze applicative quali

l’integrazione delle narrazioni nella cartella clinica, i diari auto-biografici scritti direttamente dal

paziente, le interviste semi o non strutturate, i colloqui telefonici (8), le comunicazioni attraverso

dispositivi elettronici, i videotape, le attività di gruppo, le performance teatrali (7).

ESITI DELLA MEDICINA NARRATIVA

I principali esiti riscontrati in letteratura rispetto alle esperienze applicative della medicina narrativa

nella pratica e nella relazione clinica sono:

Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative”

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Maggiore compliance

Nel lavoro di Ahlsen (9) è stato indagato il senso che la partecipazione ad un programma di

riabilitazione assume nella vita di uomini affetti da dolore cronico. Sono state analizzate interviste

qualitative usando un metodo narrativo per connettere la storia individuale passata con la

situazione presente e le aspettative per il futuro, in una prospettiva sensibile al genere degli

intervistati. Nella loro vita individuale, il lavoro riabilitativo non è solamente destinato al recupero

delle funzioni corporee ma assume un significato rispetto al bisogno profondo di ricostruire il senso

di sé, di essere confortati e in relazione con gli altri. Esaminando le storie dei pazienti al di fuori

della clinica riabilitativa, si evidenzia che il significato dell’adesione al programma terapeutico si

estende al di là dell’identificazione della causa del dolore e del recupero della forza fisica. In

particolare il significato di intraprendere un progetto riabilitativo viene valutato in relazione alla

delegittimazione sociale di persone che lamentano dolori di non chiara origine ed alla loro

esperienza di essere abbandonati ed isolati. Essere accolti in un programma che fornisce un senso

alla loro sofferenza è parte integrante del processo riabilitativo. Secondo Charon (10), parte

essenziale della responsabilità del medico, oltre a fornire attento esame e trattamento

professionale, è anche di accompagnare i pazienti attraverso i territori della malattia.

Lo studio di Ahlsen (9) pone in rilievo alcuni limiti dell’EBM che, facendo prevalere categorizzazioni

e diagnosi, rinuncia a valorizzare la necessità delle persone di essere accolte ed aiutate a ricostruire

il senso di sé e la connessione con il tessuto sociale. In particolare evidenzia la condizione di coloro

che, come i sofferenti di dolore cronico, non ricevendo una chiara diagnosi possono essere accusati

di debolezza morale e di uso improprio dei servizi socio-sanitari. Inoltre sottolinea le particolarità di

genere di questa specifica sofferenza, facendo riferimento alle norme sociali relative a come il

genere maschile dovrebbe fronteggiare il dolore.

Nel lavoro di Griffiths (1), si sviluppa un approccio all’analisi della patologia cronica che considera il

malato come un sistema complesso che si adatta al contesto e subisce ripetute trasformazioni.

Esaminando i risultati degli interventi attuati nell’ambito delle cure primarie ai pazienti con

condizioni croniche, quali depressione, diabete e patologie muscolo-scheletriche, si evidenziano in

media benefici modesti, poiché alcuni individui ottengono benefici sostanziali ed altri non ne

ottengono affatto. Queste osservazioni hanno dato origine alla ricerca di analisi statistiche centrate

sulla persona. L’approccio metodologico proposto da Griffiths considera l’individuo affetto da

patologia cronica come un “caso” in senso sociologico, per il quale salute e malattia sono solo una

parte della sua individualità. Questo individuo è in costante trasformazione e la sua individualità

emerge attraverso relazioni dinamiche con il contesto, che evolvono nel tempo. Tale concezione

dell’individuo lo assimila ad un sistema complesso aperto con proprietà emergenti in potenziale

trasformazione. La “traiettoria di malattia” è un elemento che attraversa l’esistenza dell’individuo,

definita da molte altre traiettorie di vita interconnesse. In una traiettoria di malattia si possono

individuare diversi momenti, caratterizzati da proprietà emergenti. Queste ultime sono il risultato

della complessità delle interrelazioni esperite in quel momento, che portano ad un aggiustamento

della traiettoria di malattia e all’adattamento ad essa. Utilizzando questo approccio teorico,

Griffiths ha condotto ed analizzato interviste a pazienti con condizioni croniche, come esemplificato

in tabella. Rendere esplicita l’analisi delle condizioni di adattamento ed aggiustamento alla malattia

Relazioni degli esperti_Allegato

54

attraverso la narrazione del paziente ha il potenziale di permettere la pianificazione degli interventi

assistenziali in base al momento della traiettoria di malattia specificamente individuato.

Tabella 1 - Una traiettoria di malattia di depressione ed artrite [1, modificato]

Tempo Descrizione di

dolore/funzione

Interazione con il contesto Aggiustamento ed

adattamento

Prima della depressione

Matrimonio a 17 anni

10 anni or sono Inizio della depressione

Divorzio/mancanza di denaro Inizio della traiettoria di malattia

Tempo intermedio

Si aggiunge artrite colonna e ginocchia

Con il dolore alla schiena non potevo fare esercizio

Combinazione distruttiva di depressione ed artrite

Ultimi 18 mesi Aumento di peso Sensazione di non essere supportata da medici/famiglia/amici

E’ allora quando sono stata veramente male

Tempo attuale I problemi continuano

“mi sento orribile” ma mi sento meglio al lavoro e se posso scappare dalla città

Sentirsi “orribile” ma anche avere supporto e distrazione

Futuro I problemi continueranno

In pensione tra 18 mesi

Maggiore empowerment dei pazienti

Nel lavoro di Piana (11) si introduce un approccio narrativo-autobiografico nella care ed educazione

di adolescenti con diabete di tipo 1, osservando gli effetti di tale approccio sulla

autoconsapevolezza, sull’attenzione all’auto-cura e sul benessere. L’analisi qualitativa dei

questionari e dei diari autobiografici prodotti, centrati sull’esperienza personale di malattia, ha

messo in evidenza l’empowerment dei pazienti, basato sulla maggiore autoconsapevolezza, sul

miglioramento del rapporto con gli altri e con la malattia. L’integrazione dell’autobiografia nella

presa in carico del paziente diabetico, attraverso il potere liberatorio e la possibilità di condivisione

dell’autobiografia stessa, ha permesso agli adolescenti di contrastare la propria sensazione di

diversità, di apportare cambiamenti relativi alla consapevolezza, maturità, accettazione della

malattia e responsabilità nell’autotrattamento.

Maggiore soddisfazione degli operatori

Nel lavoro di Tropea (12), si fa riferimento al concetto dell’“emplotment terapeutico” di Mattingly

(13) che trae origine dall’interpretazione linguistica dell’esperienza umana. Mattingly sottolinea

l’importanza delle narrazioni nel creare esperienze cliniche pratiche. Nell’“emplotment

terapeutico” le narrazioni diventano strumenti nelle mani dei professionisti sanitari per plasmare e

costruire le relazioni con i pazienti affetti da malattie croniche. Ciò introduce un cambiamento nella

modalità con cui i professionisti, comprese le infermiere, vivono la propria pratica professionale.

L’“emplotment terapeutico” migliora la consapevolezza nella pratica comunicativa e relazionale

degli operatori, determinando maggiore aderenza alla propria pratica professionale.

Nell’articolo di Stempsey (14), si evidenzia l’inadeguatezza dei singoli modelli proposti sul

ragionamento clinico, poiché essi non riescono a rendere conto della complessità di questo tipo di

Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative”

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ragionamento. Si suggerisce piuttosto l’utilizzo di un approccio combinato che evidenzi la

multidimensionalità del ragionamento clinico e illustri come la conoscenza clinica dipenda dal

contesto, dalla relazione medico-paziente, dal linguaggio naturale e dall’attribuzione di senso ai

concetti. Il modo in cui un problema è inquadrato non dipende solo da un impegno teorico, ma

anche dalla personalità dell’operatore sanitario e dalle caratteristiche socio-culturali del contesto.

Maggiore consapevolezza dei pazienti

Nel lavoro di Angel (15) si analizza la percezione che i pazienti hanno dell’intervento di counselling

effettuato in un programma di trattamento. Inoltre si esaminano le modalità con le quali essi

integrano le informazioni ottenute nelle proprie biografie personali. Un gruppo di interviste a

pazienti sono state analizzate utilizzando il metodo di analisi testuale di Ricoeur (16). La teoria di

Bury (17) sulla malattia cronica come agente distruttore della biografia personale, è stata usata

come cornice teorica interpretativa dei dati. La partecipazione attiva dei pazienti nel creare nuovi

orizzonti esplicativi dei sintomi è stata cruciale per accrescere i benefici ottenuti dagli interventi. Se

i partecipanti riuscivano a cambiare i propri comportamenti relativi alla salute venivano trasformati

da vittime passive del dolore ad agenti attivi e capaci di controllo. Al contrario i pazienti che

avvertivano di essere incapaci di aderire e promuovere un trattamento efficace si sentivano

stigmatizzati, ponendosi in una posizione di disgrazia ai propri stessi occhi ed allo sguardo di coloro

che offrivano ad essi il proprio aiuto.

Miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza dei servizi sanitari, che evitano prestazioni inutili e

scarsa compliance dei pazienti

La capacità narrativa può diventare strumento clinico per migliorare l'assistenza e la ricerca.

La definizione degli obiettivi di cura richiede la costruzione di una visione condivisa del problema a

cui il professionista contribuisce con conoscenze tecniche sulla malattia e con l’apporto delle

narrazioni ricevute dai pazienti in tempi precedenti, mentre l’attuale paziente contribuisce con

l’esperienza della sua malattia (18).

Jacobi (19), attento al ruolo della memoria quale lente attraverso cui si struttura l’interpretazione

della vita, afferma che, tra differenti approcci terapeutici studiati, è grazie al metodo narrativo che

la resilienza, ossia la capacità reattiva della persona, si rafforza e la compliance migliora.

È possibile un’azione educativa del paziente cronico attraverso il Chronic Care Model mediante

chiamate telefoniche, per motivare il paziente al cambiamento di comportamenti, aumentarne la

consapevolezza e raggiungere maggiore aderenza alla terapia. Risultato parallelo è stato anche un

abbattimento dei costi sanitari (8).

Migliorata percezione della qualità della vita

La capacità di ascolto e l’atteggiamento narrativo permettono di condurre i pazienti non soltanto a

maggiore consapevolezza di sé ma anche a riattribuire un senso alla loro vita. Colpisce che analogo

risultato sia ottenuto sia in pazienti adolescenti (11) sia in anziani affetti da demenza ai primi stadi

(20).

Relazioni degli esperti_Allegato

56

RISCHI RISPETTO ALLE ESPERIENZE APPLICATIVE DELLA MEDICINA NARRATIVA NELLA PRATICA E

NELLA RELAZIONE CLINICA

Utilizzo delle narrazioni del paziente a scopo manipolatorio da parte dell’operatore che vi ricorre per

accrescere la propria influenza sul paziente.

Taussig (21) evidenzia che talvolta i professionisti della salute, attribuendo una posizione

privilegiata alla definizione che il paziente elabora del suo problema, la utilizzano per

appropriarsene strumentalmente. In questo modo essi strappano il controllo al paziente e lo

definiscono non più come un partner in un processo di scambio, ma come oggetto del proprio

discorso.

Utilizzo delle narrazioni a scopo manipolatorio da parte del paziente: il racconto di elementi falsi, se

non intercettati, può mettere a rischio l’adeguatezza delle pratiche di cura.

L’articolo di Woods (22) mette in luce il rischio che le storie raccontate dai pazienti non descrivano

realmente ciò che accade. Woods suggerisce di non ridurre la capacità narrativa all’accogliere e

assorbire storie in quanto ‘fatto verbale puro’ ma di prestare attenzione anche al linguaggio non

verbale. Woods cita Gabriel (23) che afferma che “mentre le storie possono essere veicolo di

contestazione, opposizione ed auto-empowerment, esse possono anche agire come veicoli di

oppressione, auto-delusione e dissimulazione”.

Utilizzo delle narrazioni pubbliche a scopo manipolatorio da parte di privati (per esempio aziende

farmaceutiche, cliniche private, singoli professionisti).

Nel lavoro di Lewis (3) viene citata l’esperienza di Matheson (24), il quale ha utilizzato la sua

posizione di ricercatore farmaceutico ed etnografo per mostrare come alcuni significati narrativi

siano co-creati fin dall’inizio dall’industria con la partecipazione di ricercatori e professionisti di

marketing. Il ruolo del marketing nel processo non può essere svelato attraverso i normali metodi

evidence based, perché l’industria farmaceutica introduce le narrazioni a monte nell’ambito del

discorso medico-scientifico allo scopo di creare il consenso al prodotto.

Implicazioni

Il lavoro condotto ha evidenziato l’utilità della medicina narrativa per potenziare i seguenti ambiti

pratici:

efficacia diagnostica

La possibilità di integrare nell’anamnesi le evidenze prodotte dalle narrazioni dei pazienti può

fornire un valore aggiunto al processo diagnostico. In particolare alcuni elementi relativi alla

consistenza personale e socio-culturale dei sintomi possono orientare nella valutazione qualitativa

e quantitativa degli effetti della malattia. Per fare emergere questi elementi è necessario un ri-

posizionamento dell’operatore sanitario sulla valorizzazione dell’ascolto attivo come strumento di

Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative”

57

lavoro e sulla promozione dell’autonomia del paziente come soggetto attivo e portatore di valori

specifici.

efficacia terapeutica

Nel produrre un progetto terapeutico assume fondamentale importanza la collocazione dei

trattamenti previsti nel mondo soggettivo, emotivo, culturale, pratico e fisico del paziente. La

terapia quindi non può essere considerata un prodotto standard derivante unicamente dalle prove

espletate su di una popolazione affetta dalla specifica malattia. Le indicazioni dell’EBM relative ai

progetti terapeutici devono essere personalizzate in base ai bisogni, alle percezioni e ai progetti di

vita del singolo.

Il valore delle narrazioni ai fini diagnostici e terapeutici è una caratteristica insita da sempre nella

pratica medica che si è andata progressivamente affievolendo a causa della iper-

tecnologicizzazione, del difensivismo medico-legale, della burocratizzazione del rapporto medico-

paziente e dell’impostazione economico-finanziaria dell’assistenza medica. E’ necessario porre

nuovamente l’accento sugli aspetti narrativi della medicina che possono rivitalizzare e reindirizzare

l’attività clinica verso una più soddisfacente pratica intersoggettiva.

funzionamento dell’equipe

Caratteristica della medicina moderna è la multi-specialità e la multi-professionalità. Il lavoro

d’equipe necessita di un’interrelazione tra vari membri che utilizzano narrazioni di diversa natura.

L’analisi delle narrazioni prodotte nelle equipe permette di implementare la produzione di progetti

coerenti ed efficienti, ma anche di migliorare il clima lavorativo.

conoscenza da parte dell’operatore sanitario di sé e del proprio mondo emotivo

L’importanza di saper ascoltare anche le proprie risonanze emotive nella pratica clinica permette

all’operatore di vivere meglio la relazione terapeutica e professionale.

conoscenza dei rapporti sociali interfamiliari e delle posizioni delle persone significative per il

paziente

Attraverso le narrazioni è possibile esplorare e conoscere punti di vista e posizioni delle persone

significative per i pazienti. Molte attività diagnostiche e terapeutiche richiedono la partecipazione e

la collaborazione di familiari e persone significative. La narrazione è lo strumento privilegiato per

ottenere questo coinvolgimento e ridurre la conflittualità tra i vari soggetti coinvolti.

comunicazione intra-ospedaliera (cartella clinica narrativa…)

All’interno dell’attività ospedaliera si generano narrazioni esplicite ed implicite. Spesso le narrazioni

implicite, quali i passaggi di consegne verbali o i contenuti verbali di riunioni collegiali contengono

elementi indispensabili per la comprensione della sofferenza dei malati e delle loro aspettative. La

possibilità di registrare e formalizzare queste narrazioni costituisce un arricchimento dell’attività di

cura intra-ospedaliera.

Relazioni degli esperti_Allegato

58

economia di sistema

L’individuazione di obiettivi di cura mirati e precisi, che si può realizzare con un corretto uso delle

narrazioni prodotte nell’attività clinica, costituisce sicuramente un importante elemento per

favorire l’economia di sistema, riducendo interventi inappropriati e non desiderati.

senso critico rispetto a narrazioni mediatiche

La riflessione sul potere delle narrazioni mediatiche e sull’influenza che esse hanno sulla politica del

corpo sia a livello sociale, sia a livello individuale, assume un significato rilevante per la difesa

dell’autonomia di pensiero e di un’espressione democratica.

senso critico rispetto a proposte narrative di mercato

Il ruolo delle forze di mercato nell’orientare i processi di cura e nel fornire opzioni terapeutiche è

innegabile. E’ importante accrescere la consapevolezza dei cittadini sottolineando i rischi che le

narrazioni promosse dal mercato influenzino le loro scelte di salute.

Commenti

Scarsa attenzione al paradigma in uso in medicina

Dalla letteratura emerge l’importanza di attivare una metodica clinica della complessità e quindi

l’urgenza di modificare il paradigma lineare, attualmente ancora molto diffuso, con il paradigma

della complessità sia a livello clinico sia formativo. Se ciò non avviene, il rischio è che la medicina

perda sempre di più la dimensione antropologica che la connota. Non solo, ma gli interventi clinici

rischiano di rimanere scollegati tra loro, rendendo così la pratica terapeutica parcellizzata.

Incertezze nella scelta dei criteri di valutazione delle ricerche qualitative

Dalla letteratura emerge il tentativo di validare i risultati secondo i criteri della metodologia della

EBM. Le difficoltà di validazione danno l’impressione agli Autori che lo studio sia ancora fragile e

suscettibile di ulteriori ricerche.

Da parte nostra, suggeriamo di annotare ulteriormente i risultati e i commenti dei ricercatori sugli

studi qualitativi al fine di trovare criteri appropriati all’approccio e alla validazione della situazione

patologica nella sua singolarità.

Scarsa letteratura sull’incontro medico-paziente

Dall’analisi della letteratura scientifica messa a disposizione emerge una rilevante carenza della

documentazione diretta relativa alle narrazioni prodotte nell’incontro medico-paziente.

Costituendo queste narrazioni il fulcro dell’attività clinica è auspicabile un incremento della ricerca

in questo ambito.

Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative”

59

Scarso rilievo riconosciuto agli aspetti narrativi già presenti nell’attività clinica e nel contesto

sanitario

È importante bilanciare l’evoluzione degli aspetti documentari relativi all’attività sanitaria che

attualmente sono volti principalmente a raccogliere informazioni quantitative riguardo ai parametri

vitali e alle attività fisiologiche dei pazienti e riguardo ai flussi delle prestazioni economiche. Ciò può

avvenire integrando le precedenti informazioni con le narrazioni degli aspetti di vita dei pazienti e

delle considerazioni dei professionisti, attraverso cui tali informazioni acquisiscono un significato.

Dalle narrazioni risulta un racconto liberatorio, positivo, efficace per il malato

Dall’analisi degli articoli e dalla letteratura è emerso quanto la narrazione, attraverso varie forme,

esprima non solo il dato clinico, ma anche aspetti sociali, psicologici ed antropologici del paziente.

Necessità di introdurre nei percorsi formativi il metodo narrativo

È necessario introdurre nei percorsi formativi degli operatori sanitari una sensibilità alla narrazione

in medicina in tutti i suoi aspetti e ambiti di applicazione. La finalità è di fornire all’operatore

sanitario una sensibilità e competenza narrativa da utilizzare nel rapporto con i pazienti, con i loro

familiari, con gli altri operatori, con l’opinione pubblica, le istituzioni sanitarie e le industrie

farmaceutiche. È opportuno sensibilizzare i responsabili dei luoghi di cura della necessità di una

formazione continua attraverso lezioni teoriche e lezioni-laboratorio, per portare la mentalità

narrativa anche nel personale curante.

Conclusioni

L’analisi della letteratura ha dimostrato l’utilità della medicina narrativa intesa come il corpus delle

narrazioni che a vario titolo e in varia misura costituiscono la struttura portante dell’attività clinica.

Va rafforzato anche l’aspetto della medicina narrativa come atteggiamento mentale, perché è quello

che permette di sopperire al fatto che molto spesso l’utilizzo di tali narrazioni è in gran parte

inconsapevole e quindi necessita di essere registrato, conosciuto e valorizzato.

Le applicazioni pratiche sono molte: dal miglioramento dell’efficacia diagnostica e terapeutica attraverso

la doverosa personalizzazione di questi interventi, alla valorizzazione delle prospettive interfamiliari e

relazionali dei pazienti, al miglioramento delle attività di equipe, alla maggiore economicità ed efficienza

di tutto il sistema sanitario.

Il significato più importante della medicina narrativa è fornire, attraverso la personalizzazione degli

interventi, motivazioni e scopi alla EBM, ampliando così le possibilità di diverse opzioni terapeutiche.

Si può sottolineare l’importanza di attivare una metodologia clinica della complessità, senza la quale si

resta nella logica lineare, perdendo la dimensione antropologica propria della medicina.

Relazioni degli esperti_Allegato

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