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1 XLIII Congresso Nazionale della Società Italiana di Psichiatria - Bologna 19-24 ottobre 2003 CONSENSUS CONFERENCE “Psichiatria e Medicine Non Convenzionali nel Servizio Sanitario Nazionale” FITOTERAPIA IN PSICHIATRIA: LIMITI ED OPPORTUNITA’ FABIO FIRENZUOLI Centro di Medicina Naturale, Ospedale S. Giuseppe, Empoli Scuola di Fitoterapia Clinica, Az. USL 11 - Empoli ANMFIT - Associazione Nazionale Medici Fitoterapeuti La Fitoterapia applicata alle scienze neuro-psichiatriche è forse il capitolo che maggiormente si presta alle affermazioni di taluni che vorrebbero le piante medicinali unicamente sostanze placebo. Si potrebbe dire la stessa cosa dei farmaci di sintesi. A differenza del farmaco di sintesi tuttavia lo studio delle piante comporta come noto maggiori difficoltà legate alla molteplicità di sostanze chimiche presenti anche negli estratti, e pertanto possono sorgere problematiche nuove. Ad esempio l’estratto idroalcolico di Centella asiatica ha dimostrato un’attività sedativa sul Sistema Nervoso Centrale mentre invece la frazione dei triterpeni estratta in modo selettivo dalle foglie della Centella stessa, costituisce com’è noto un semplice farmaco flebotropo. Molte sono le sostanze di origine vegetale allucinogene, narcotiche o anestetiche utilizzate da tempo anche in medicina, e tra queste la stessa morfina (Papaver somniferum), la reserpina (Rauwolfia serpentina), la mescalina (Peyote), la cocaina (Erythroxylon coca), la efedrina (Ephedra sinica), la fisostigmina, chiamata anche eserina, estratta dalla Fava del Calabar (semi secchi di Physostigma venenosum) ad attività anticolinesterasica, la galantamina estratta dal Narciso, sono state utilizzate sperimentalmente nella demenza di Alzheimer, ecc. La fitoterapia invece, per definizione, piuttosto che la singola molecola utilizza vari tipi di estratti di piante, contenenti il cosiddetto “fitocomplesso attivo”della pianta, ovviamente quando ne siano dimostrate efficacia, sicurezza e vantaggi. Le piante oggi maggiormente studiate in fitoterapia sono la Valeriana, la Passiflora, l’ Iperico, il Ginseng, la Ginkgo biloba, utilizzate in sindromi ansioso- depressive, cefalea, sindromi vertiginose, turbe della memoria e dell’attenzione. Fitoterapici sono utilizzabili come in specialità medicinali e preparazioni galeniche magistrali, anche se nell’ambito dell’automedicazione spesso il paziente si rivolge a prodotti erboristici e integratori, spesso privi delle

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XLIII Congresso Nazionale della Società Italiana di Psichiatria - Bologna 19-24 ottobre 2003

CONSENSUS CONFERENCE

“Psichiatria e Medicine Non Convenzionali nel Servizio Sanitario Nazionale”

FITOTERAPIA IN PSICHIATRIA: LIMITI ED OPPORTUNITA’

FABIO FIRENZUOLI

Centro di Medicina Naturale, Ospedale S. Giuseppe, Empoli

Scuola di Fitoterapia Clinica, Az. USL 11 - Empoli

ANMFIT - Associazione Nazionale Medici Fitoterapeuti

La Fitoterapia applicata alle scienze neuro-psichiatriche è forse il capitolo che maggiormente si presta alle

affermazioni di taluni che vorrebbero le piante medicinali unicamente sostanze placebo. Si potrebbe dire la

stessa cosa dei farmaci di sintesi. A differenza del farmaco di sintesi tuttavia lo studio delle piante comporta

come noto maggiori difficoltà legate alla molteplicità di sostanze chimiche presenti anche negli estratti, e

pertanto possono sorgere problematiche nuove. Ad esempio l’estratto idroalcolico di Centella asiatica ha

dimostrato un’attività sedativa sul Sistema Nervoso Centrale mentre invece la frazione dei triterpeni estratta in

modo selettivo dalle foglie della Centella stessa, costituisce com’è noto un semplice farmaco flebotropo.

Molte sono le sostanze di origine vegetale allucinogene, narcotiche o anestetiche utilizzate da tempo anche in

medicina, e tra queste la stessa morfina (Papaver somniferum), la reserpina (Rauwolfia serpentina), la

mescalina (Peyote), la cocaina (Erythroxylon coca), la efedrina (Ephedra sinica), la fisostigmina, chiamata

anche eserina, estratta dalla Fava del Calabar (semi secchi di Physostigma venenosum) ad attività

anticolinesterasica, la galantamina estratta dal Narciso, sono state utilizzate sperimentalmente nella demenza

di Alzheimer, ecc.

La fitoterapia invece, per definizione, piuttosto che la singola molecola utilizza vari tipi di estratti di

piante, contenenti il cosiddetto “fitocomplesso attivo”della pianta, ovviamente quando ne siano

dimostrate efficacia, sicurezza e vantaggi. Le piante oggi maggiormente studiate in fitoterapia sono la

Valeriana, la Passiflora, l’ Iperico, il Ginseng, la Ginkgo biloba, utilizzate in sindromi ansioso-

depressive, cefalea, sindromi vertiginose, turbe della memoria e dell’attenzione. Fitoterapici sono

utilizzabili come in specialità medicinali e preparazioni galeniche magistrali, anche se nell’ambito

dell’automedicazione spesso il paziente si rivolge a prodotti erboristici e integratori, spesso privi delle

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garanzie richieste. Per gli stessi motivi, e cioè la presenza di numerose sostanze attive, si possono avere

al tempo stesso effetti collaterali o interazioni farmacologiche, così come avviene per i farmaci di

sintesi, con l’aggravante che l’utente, impropriamente, spesso ritiene i prodotti naturali per definizione

privi di effetti nocivi.

La materia, di stretta competenza medica, necessita tuttavia di adeguata regolamentazione, al pari delle

altre medicine non convenzionali.

Riferimento web: www.naturamedica.net

BIBLIOGRAFIA

F. Firenzuoli: Fitoterapia, Masson Ed., III ed., Milano, 2002

C. Ratsch: Enzyklopaedie der psychoaktiven Pflanzen, WVG, Stuttgart, 1998

Kalus P, Strik W.K.: Phytotherapeutic drugs in psychiatry. Ther Umsch. 2002 Jun; 59 (6):307-12

Matthews S.C.:, Camacho A, Lawson K, Dimsdale JE. Use of herbal medications among 200

psychiatric outpatients: prevalence, patterns of use, and potential dangers. Gen Hosp Psychiatry.

2003 Jan-Feb; 25 (1):24-6.

Mamtani R., Cimino A.: A primer of complementary and alternative medicine and its relevance in

the treatment of mental health problems. Psychiatr Q. 2002 Winter; 73 (4):367-81

Ernst E.: Serious psychiatric and neurological adverse effects of herbal medicines -- a systematic

review. Acta Psychiatr Scand. 2003 Aug; 108 (2):83-91.

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XLIII Congresso Nazionale della Società Italiana di Psichiatria - Bologna 19-24 ottobre 2003

CONSENSUS CONFERENCE

“Psichiatria e Medicine Non Convenzionali nel Servizio Sanitario Nazionale”

LA FORMAZIONE IN MEDICINA NON CONVENZIONALE: L’ESEMPIO

DELL’AGOPUNTURA

CARLO MARIA GIOVANARDI

Presidente della Federazione Italiana delle Società di Agopuntura, (F.I.S.A.)

Direttore della Scuola di Agopuntura della Fondazione Matteo Ricci

LA STORIA

A partire dai primi anni ’70, contestualmente alla diffusione delle Medicine Non Convenzionali

(MNC), in assenza di un’offerta didattica in ambito istituzionale, si è creata una realtà di scuole che

ha dedicato la propria attività alla formazione in Medicina Non Convenzionale.

L’atteggiamento dell’Università, sede istituzionale della formazione, rispecchiava fedelmente

quello della comunità medica e, in generale, della comunità scientifica del tempo, cioè di

disinteresse se non spesso di denigrazione.

In quel periodo non esistevano ancora né una classe di docenti ben formati, nè programmi

sufficientemente articolati e omogenei.

Col passare del tempo la realtà è profondamente cambiata, le scuole private sono cresciute e hanno

cercato di darsi programmi e regole precise.

Seri professionisti sono diventati ottimi docenti e hanno portato nell’attività didattica tutta la loro

esperienza accumulata in una più che ventennale attività clinica.

LO STATO ATTUALE

Numerose sono le scuole di MNC distribuite sul territorio Nazionale che annualmente rilasciano

attestati a numerosissimi medici, dopo corsi della durata in genere di 3-4 anni con un monte ore

teorico pratico totale che varia per ogni diversa disciplina e differente scuola..

Parallelamente a questa diffusione, l’atteggiamento delle Istituzioni verso le MNC sta radicalmente

cambiando con intensità diversa a seconda della MNC. Storico rimane il pronunciamento della

FNOMCeO in occasione del convegno del 17 maggio 2002 di Terni, dove vengono riconosciute

nove Discipline (Omeopatia, Agopuntura, Medicina Tradizionale Cinese, Omotossicologia,

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Fitoterapia, Medicina Ayurvedica, Chiropratica, Osteopatia, Medicina Antroposofica) di esclusiva

competenza medica.

A spingere la Federazione ad interessarsi e ad esprimersi sul fenomeno delle MNC ha contributo

sicuramente la pubblicazione nel 2001, sul Notiziario dell’Istituto Superiore di Sanità, dei risultati

dell’indagine condotta dall’ISTAT e dall’Istituto Superiore di Sanità circa l’utilizzo delle MNC

degli italiani, nel triennio 1997-99, che evidenziava come 9 milioni di italiani, pari al 15,6% della

popolazione avessero fatto ricorso ad almeno una terapia convenzionale. [1]

Inoltre, la stessa Federazione definendo atto medico l’esercizio di queste discipline ha riconosciuto

la centralità e l’importanza fondamentale del momento diagnostico che deve sempre precedere

qualsiasi atto terapeutico.

Del resto, la definizione di atto medico per la pratica delle MNC non ha fatto altro che confermare

una situazione tipicamente italiana dove sono i medici che prevalentemente esercitano queste

medicine, contrariamente al resto d’Europa, in particolare le nazioni del nord, in cui sono spesso i

non laureati in medicina e chirurgia a praticarle. [2] [3]

Questa situazione di difformità, pone grossi ostacoli all’approvazione di una legge a carattere

europeo che sia in grado di armonizzare da un lato la pratica di queste discipline e

contemporaneamente rispettare le peculiari realtà nazionali.

Anche l’Università ha cominciato a mostrare interesse verso le MNC, istituendo corsi di

perfezionamento, master post laurea o corsi elettivi durante il corso di laurea per le per le MNC più

accreditate, in particolare l’Agopuntura e l’Omeopatia. Per supplire alla mancanza di docenti

preparati nelle varie discipline si avvale di esperti del settore e/o docenti degli Istituti privati.

L’ESEMPIO DELL’AGOPUNTURA

Nel panorama associativo e didattico delle MNC, è l’Agopuntura quella che si è meglio strutturata e

autoregolamentata.

Nel 1987 su iniziativa della Società Italiana di Agopuntura (SIA) e della Società Italiana di

Riflessoterapia Agopuntura - Auricoloterapia (SIRAA), le società più rappresentative del tempo, fu

fondata la Federazione Italiana delle Società di Agopuntura (FISA) con lo scopo di unire le due

anime dell’Agopuntura Italiana, quella ad impostazione tradizionale e quella ad impostazione

riflessologica.

Col passare degli anni, quasi tutte le realtà italiane hanno aderito alla FISA.

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Nel 1995, la FISA si è fatta carico di coordinare l’attività didattica delle scuole delle Associazioni

aderenti alla FISA fissando programmi, regole e organismi di controllo comuni a tutte le scuole,

così riassunti:

- durata di quattro anni;

- monte ore a carattere teorico-pratico di almeno 360 ore;

- programma concordato, in cui vengono sviluppati sia gli aspetti tradizionali che quelli

moderni dell’Agopuntura;

- IV anno caratterizzato da stage politematici che l’allievo può frequentare presso una

qualsiasi delle scuole aderenti alla FISA;

- esami annuali di ammissione all’anno successivo;

- discussione finale di una tesi alla presenza di due docenti della scuola che si è frequentata e

di un docente di un’altra scuola aderente alla FISA in rappresentanza della FISA stessa;

- conseguimento, dopo il superamento degli esami e la discussione della tesi, dell’Attestato

Italiano di Agopuntura riconosciuto dalla FISA e iscrizione al Registro Italiano dei Medici

Agopuntori della FISA edito annualmente dalla FISA stessa. [4]

Ogni allievo è possessore di un libretto (uguale in tutto il territorio nazionale) su cui sono registrate

le ore svolte durante il percorso formativo (lezioni teoriche, pratiche, congressi, ecc.) e le firme dei

relativi docenti che hanno insegnato.

IL FUTURO DELLA FORMAZIONE NELLE MNC

Molto dipenderà dall’approvazione o meno di una legge che regolamenti tutto il settore delle MNC

e dal suo contenuto.

Se è prevedibile un sempre maggiore coinvolgimento dell’Università nella formazione in MNC, si

spera che la ricchezza degli Istituti privati sia salvata e venga loro riconosciuto il ruolo che hanno

svolto e stanno tuttora svolgendo in tale settore.

E’ pertanto auspicabile che:

- ogni MNC, attraverso gli Istituti privati, affini sempre di più gli strumenti per

un’autoregolamentazione, giunga ad una uniformità dei programmi e del numero di monte

ore e stabilisca regole per il controllo di qualità, in tema di formazione;

- l’Università innalzi la qualità del livello formativo dei corsi post-laurea fino ad ora

organizzati, il cui livello è insufficiente a formare medici preparati e inserisca durante il

corso di laurea, corsi elettivi informativi sui campi d’azione e i limiti delle varie MNC;

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- il Legislatore, a partire da questa realtà, approvi una legge che riconosca gli Istituti privati e

i titoli da questi rilasciati equiparandoli a quelli universitari;

- venga riconosciuta la professionalità e la figura dei medici che operano nelle varie branche

della MNC, dando loro la possibilità di qualificarsi pubblicamente (superamento delle attuali

norme in tema di pubblicità sanitaria) per dare possibilità al cittadino di fare una scelta

informata del medico esperto in una delle MNC.

Riferimento web: www.agopuntura-fisa.it

www.fondazionericci.it

Bibliografia

[1] Raschetti R., Menniti-Ippolito F., Forcella E., Bologna E., Sebastiani G., Sabbadini L. L,: Le

Terapie non Convenzionali in Italia: i primi dati. In Notiziario dell’Istituto Superiore di

Sanità. Vol 14-Num.7/8, 2001.

[2] Fischer P, Ward A. Medicine in Europe: commplementary medicine in Europe. British

Medical Journal, 1994, 309:107-111.

[3] World Health Organization. WHO Traditional Medicine Strategy 2002-2005, 11

[4] Allais G.B., Giovanardi C.M., Pulcri R., Quirico P.E., Romoli M., Sotte L.: La formazione

del medico agopuntore. In Agopuntura Evidenze Cliniche e Sperimentali, aspetti legislativi e

diffusione in Italia. Federazione Italiana delle Società di Agopuntura. Casa Editrice

Ambrosiana, 2000, pp. 111-112.

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XLIII Congresso Nazionale della Società Italiana di Psichiatria - Bologna 19-24 ottobre 2003

CONSENSUS CONFERENCE

“Psichiatria e Medicine Non Convenzionali nel Servizio Sanitario Nazionale”

L’Unità di Medicine Non Convenzionali nel Dipartimento di Salute Mentale:

una scelta possibile

Aldrigo Grassi (*)

1. La psichiatria pubblica bolognese, che ha avuto una storia molto variegata, con indubbi tratti

di originalità, ma anche con vistosi ritardi, rispetto ad altre città dell’Emilia-Romagna,

nell’attuazione della riforma dell’assistenza psichiatrica, voluta nell’ormai lontano 1978 da

Franco Basaglia, si è data negli ultimi anni, con l’istituzione di un unico Dipartimento di

Salute Mentale, suddiviso in due aree territoriali (l’Area Est e l’Area Ovest, con poco meno

di 200 mila abitanti ciascuna), un ben definito assetto istituzionale ed organizzativo, con una

chiara attribuzione di compiti e responsabilità.

Parto da qui proprio per sottolineare un aspetto che a me pare costituirsi come prerequisito

indispensabile per la realizzazione (e, prima ancora, per la sperimentazione) di ogni progetto

di innovazione; la presenza, cioè, di un quadro di riferimento istituzionale e di un assetto

organizzativo consolidati ed assolutamente riconoscibili entro i quali collocare le esperienze

di innovazione. In caso contrario (se manca o se viene dato illusoriamente o ingenuamente

per scontato questo “prerequisito”) si rischia di costruire su sabbie mobili e di accrescere

instabilità e confusione nei livelli organizzativi e gestionali.

A Bologna da circa tre anni sono operanti due Centri di Salute Mentale (uno nell’Area Est

ed uno, con una sezione universitaria, nell’Area Ovest) a ciascuno dei quali afferiscono un

Day Hospital Territoriale, Semiresidenze/Centri Diurni, Laboratori protetti e Appartamenti

per la Riabilitazione, strutture organizzate in diverse Unità Operative.

La mission principale del Centro di Salute Mentale (CSM), sancita dell’Atto Aziendale, è

quella di “garantire l’accoglienza, la valutazione e l’attuazione dei programmi terapeutici e

riabilitativi personalizzati a tutti i pazienti del bacino d’utenza afferente tramite interventi

ambulatoriali, domiciliari e semiresidenziali nel rispetto del principio della continuità

terapeutica”; al tempo stesso, tra le più importanti aree di responsabilità del Direttore del

CSM, vi sono la formulazione di “linee d’indirizzo per la coordinata ed equilibrata gestione

delle strutture operative afferenti e l’adozione di decisioni con riferimento all’intero ambito

territoriale di competenza in materia di percorsi assistenziali, modalità di accesso, protocolli

assistenziali e valutazione dei risultati”.

__________________________

(*) : Medico psichiatra, Direttore del Centro di Salute Mentale Ovest dell’AUSL Città di Bologna.

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2. E’ dunque in questo contesto che, sulla base dei dati di domanda assistenziale rilevati

attraverso il sistema informativo psichiatrico aziendale (SIPA) e con riferimento agli

obiettivi indicati nel Piano delle Azioni, predisposto dalle competenti Direzioni aziendali,

viene preparato, discusso ed inviato per l’approvazione al Direttore del Dipartimento il

Programma annuale di lavoro del nostro CSM “Ovest”.

Nel Programma sono contenuti i piani operativi (con i relativi obiettivi) e i progetti che

assumono rilevanza particolare, ciascuno dei quali è corredato da specifici indicatori di

risultato per consentire l’effettuazione di tutte le verifiche del caso in sede di

rendicontazione di fine anno.

Nel programma del 2003 è stato inserito anche il progetto di istituzione, dopo una fase di

sperimentazione, dell’Unità di Medicine Non Convenzionali (U.Me.N.C.).

3. L’idea di ampliare nel Dipartimento di Salute Mentale dell’Azienda USL Città di Bologna

quello che oggi si chiama Catalogo dei prodotti è nata cogliendo, da un lato, la crescente

domanda di trattamenti con medicine non convenzionali (e, di converso, i sempre meno rari

rifiuti delle terapie psicofarmacologiche tradizionali) e dall’altro la possibilità di disporre,

all’interno del Centro, di competenze professionali specifiche nel campo dell’omeopatia e

dell’omotossicologia.

Più in generale, il progetto di costituire un’Unità di Medicine Non Convenzionali si è

inserito in un disegno di più ampio respiro, volto a migliorare l’accessibilità e ad estendere

la gamma delle prestazioni specialistiche fornite dal servizio psichiatrico pubblico.

In questo quadro, considerata la non marginale persistenza di incomprensioni/diffidenze nei

confronti delle Medicine Non Convenzionali da parte della Medicina “Ufficiale” (e con essa

della Psichiatria che, nonostante la sua collocazione tuttora eccentrica rispetto all’universo

delle specialità mediche e chirurgiche tradizionali, non si è certo distinta per iniziative di

confronto/apertura verso le terapie cosiddette non convenzionali), non va certo sottovalutata

la scelta di dare visibilità e, nel contempo, trasparenza, in un servizio psichiatrico pubblico,

a pratiche terapeutiche non convenzionali.

Sempre lungo questa direttrice, con l’obiettivo di fornire prove controllate, evidence based,

dell’efficacia dei trattamenti psichiatrici con medicine non convenzionali (terreno questo già

di per sé molto spinoso per la stessa psichiatria tradizionale), si è collocata anche la scelta di

eseguire test diagnostico-clinici all’inizio e alla fine dei trattamenti “non convenzionali” per

documentare gli esiti degli stessi.

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4. Nella fase sperimentale, d’avvio della nostra esperienza, principalmente allo scopo di

procedere con prudenza e gradualità e tenuto conto delle risorse professionali disponibili, ci

si è posti alcuni vincoli, il primo dei quali rappresentato dall’ancora abbastanza ristretta

tipologia dell’offerta di terapie non convenzionali (che viene limitata all’omeopatia,

all’omotossicologia e alla floriterapia di Bach).

Secondariamente si è stabilito che i trattamenti “non convenzionali” vengano riservati a

persone “in carico” o, comunque, già entrate in contatto con il Centro di Salute Mentale: non

un accesso diretto, quindi, ma di secondo livello, “filtrato” cioè dai medici psichiatri e dagli

psicologi del CSM.

In terzo luogo le indicazioni diagnostiche (la casistica) degli invii all’Unità di Medicine Non

Convenzionali vengono limitate ai cosiddetti disturbi psichiatrici minori (riconducibili, per

lo più, alle nevrosi non strutturate e ai disturbi d’ansia e dell’umore di tipo reattivo),

prevedendo, in alcuni casi, la co-presenza di requisiti aggiuntivi, quali la

resistenza/intolleranza alla farmacoterapia tradizionale e l’assenza di indicazioni specifiche

alla psicoterapia.

5. Posti questi vincoli che, ripeto, potranno essere rivisti, modificati ed anche del tutto rimossi

alla luce dei risultati della fase sperimentale, l’avvio della nuova esperienza ha comportato il

superamento di alcuni passaggi importanti e delicati, primo fra tutti quello rappresentato

dalla ricerca dell’adesione e del consenso, se non proprio della piena collaborazione, alla

riuscita del progetto da parte dei medici psichiatri e degli psicologi del Centro, dei

professionisti cioè che nella fase sperimentale si costituiscono quale esclusiva fonte degli

invii all’ U.Me.N.C.. Affermare che le iniziali perplessità/diffidenze di molti colleghi siano

state completamente superate sarebbe oggettivamente una forzatura; continuano infatti a

sussistere sacche di resistenza, con uno spettro di posizioni che vanno dallo scetticismo/non

belligeranza al quasi-boicottaggio. Va però anche rimarcato che sono andati

contemporaneamente crescendo curiosità, interessi, volontà di collaborazione (in particolare

tra il personale non medico) che fanno ben sperare per gli sviluppi futuri.

Gli altri passaggi, per così dire, delicati sono coincisi con le diverse fasi di presentazione,

esame ed approvazione dello studio di fattibilità, prima all’interno del Centro di Salute

Mentale e in sede di Direzione dipartimentale, quindi ai più alti livelli istituzionali, quelli del

Comitato etico e del Collegio di Direzione aziendale.

Il solido impianto dello studio di fattibilità, la caratteristica sperimentale (per un periodo di

sei mesi) del progetto, l’inclusione nello studio di chiari indicatori di risultato per la verifica

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dell’esito della sperimentazione e, certo non da ultimo, la convinta adesione della Direzione

dipartimentale alla iniziativa credo abbiano fortemente contribuito a favorire il positivo

superamento del complesso percorso istituzionale (percorso al quale, peraltro, dovrebbe

essere soggetta la maggior parte dei progetti innovativi delle Aziende Sanitarie pubbliche.

6. Mi scuso se mi sono dilungato in modo forse troppo dettagliato e magari un po’ noioso

sull’iter che nel nostro Dipartimento di Salute Mentale abbiamo seguito per l’istituzione

dell’Unità di Medicine Non Convenzionali; se l’ho fatto è anche perché coltivo la speranza

che, magari incuriositi e sollecitati dalla nostra iniziativa, altri possano attivarsi, proponendo

nuove esperienze su questo analogo terreno in altri Dipartimenti di Salute Mentale e creando

così le premesse per stimolanti confronti, con l’obiettivo di arricchire ed elevare la qualità

dei trattamenti della psichiatria pubblica e quindi di concorrere in modo sempre più efficace

al miglioramento delle condizioni di salute e di vita dei nostri pazienti.

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XLIII Congresso Nazionale della Società Italiana di Psichiatria - Bologna 19-24 ottobre 2003

CONSENSUS CONFERENCE

“Psichiatria e Medicine Non Convenzionali nel Servizio Sanitario Nazionale”

Il contributo dell’antroposofia all’umanizzazione della medicina

GIUSEPPE LEONELLI

Società Antroposofica Italiana, Gruppo Medico Antroposofico Italiano

Il rapporto medico–paziente nasce dal bisogno del paziente di ristabilire la propria integrità e

autonomia secondo l’immagine in cui si riconosce ed anche è riconosciuta dalla sua comunità come

persona.

Si può definire malattia ciò che le minaccia.

Quando si dice che occorre tener conto non solo della malattia ma anche del malato nella sua

unicità si intende questo. Il medico è riconosciuto o dal paziente o dalla comunità o da entrambi

come colui che può ristabilire quell’unità e interezza perdute. Per farlo egli deve conoscere e avere

potere su ciò su cui il paziente non ha né conoscenza né potere. Questa area ignota o inconscia del

suo esserci è da un lato il suo corpo e dall’altro l’insieme delle forze che hanno costituito la

comunità e regolano l’interazione che entrambi hanno con la natura, dove il cerchio si chiude.

Per lo più parlando di umanizzazione della medicina si intende l’attenzione al vissuto del paziente,

alla relazione psicologica ed etica col medico. Ma questo è solo il profumo della cosa, la fiducia del

suo poter accadere. La cosa è proprio il ricondurre l’individuo malato all’integrità e all’autonomia

o, se non lo si può, il riconoscere questo limite come ragione di condivisa sofferenza. Ciò

presuppone che paziente, medico e comunità condividano un’immagine di integrità,

di integrazione. Ma il suo fondamento è che l’area dell’esserci del paziente ignota a lui sia

accessibile al medico –che il medico sappia e possa in qualche caso quello che il paziente né sa, né

può– e che entrambi riconoscano un’area inaccessibile a tutti.

Per il chirurgo il fondamento è la precisa conoscenza dell’anatomofisiologia, la sua quotidiana

frequentazione. Quando si occupa per esempio del percorso dei nervi laringei o delle coronarie egli

fa questo in nome e sotto il controllo della comunità, perché nervi e vasi sono questa ignota area

essenziale ed accessibile dell’umanità del singolo. Il singolo poi, costretto dall’impossibilità di

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vivere o dal disagio, rinuncerà anche alla propria coscienza per affidarsi alla sue mani. Egli farà

proprio lo sguardo del chirurgo, quello sguardo che si è educato ad escludere il vissuto soggettivo

del corpo, salvo assumere poi la funzione e la responsabilità verso di esso del soggetto

che gli si affida.

Lo psichiatra pure in nome della comunità ha un potere sull’individuo, unico nell’ambito medico,

quello di privarlo della sua libertà. Ma qual è in questo caso l’area del suo esserci, ignota al paziente

ma accessibile al medico ? Il “corpo del chirurgo” è lo stesso del “corpo dello psichiatra”?

L’anatomofisiologia e la quotidiana frequentazione sono le stesse?

Gli organi nel corpo si costituiscono dall’incontro di vasi e nervi, nella loro rete, e possono essere

guardati da fuori come un qualsiasi oggetto fisico, che si può anche trapiantare, e da dentro come

parte del sé, di cui si può avere coscienza anche se amputata.

Il “corpo del chirurgo” è la traduzione in sintomi e segni fisici della storia del soggetto, ma per il

chirurgo questa deve essere muta come il soggetto. Il “corpo dello psichiatra” appare lui muto,

mentre i sintomi e i segni si presentano tutti nella storia e nel soggetto. In realtà essi sono la

traduzione di ciò che in quel corpo muto è malato.

Come il chirurgo, per reggere la proiezione su di sé del paziente e la sua domanda, lascia cadere la

sua storia e agisce sul corpo, così lo psichiatra, per riportare in sé il paziente, deve agire sul corpo e

mettere da parte i sintomi. Per entrambi, ma per ragioni opposte, la storia deve ammutolire; per

entrambi, ma da lati opposti, si tratta di agire sul corpo.

Che nel corpo veda cercata la causa delle psicosi è oggi in realtà anche troppo affermato. Il dilagare

epocale e patologico dell’uso di sostanze psicotrope può sembrare proprio la conseguenza di una

concezione corporea, non psicodinamica, relazionale e sociale, del disturbo psichiatrico, sostenuta

per di più dall’enorme sviluppo delle conoscenze sulla “chimica” delle emozioni e della mente. Qui

si colloca il contributo dell’antroposofia alla psichiatria.

Le conoscenze biochimiche in realtà nascono dalla stessa forma mentale, dallo stesso sguardo che il

chirurgo o il rianimatore volgono al corpo, da fuori.

Si è accumulata una quantità impressionante di dati e manca per ora un collegamento organico con

la vita del paziente, del medico e della comunità.

Non c’è un ponte tra biochimica e quadri psicopatologici; semmai la “chimica” delle sostanze e lo

spettro delle loro azioni si sostituisce alla diagnostica e ad ogni visione eziopatogenetica. Si fa

sempre più strada l’idea che “l’anima è un’ipotesi non necessaria”, che l’attività spirituale è la

neurofisiologia del cervello.

Quasi per opposizione a questa tendenza in psichiatria si è molto spostato l’accento su

fenomenologia e storia della malattia, sui sintomi e i segni, e quindi sugli aspetti relazionali e sociali

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di essa. Lo psichiatra imita in ciò il chirurgo o il rianimatore, interviene sui sintomi, ma questi nel

suo caso lo spingono a divenire un ideologo o uno sciamano, un sociologo o un antropologo, o lo

riducono a ribellarsi al ruolo di guardiano per la comunità del modello che essa ha di integrità oggi

sempre più discusso e per di più soggetto a mutare nei tempi lunghi.

Non c’è dubbio che lo stato mentale risenta della vita degli organi, ma esiste forse una fisiologia del

loro ruolo nella genesi della coscienza?

L’unica fisiologia che ancora si insegna è quella per cui gli organi elaborano materie e forze fisiche,

non quella per cui essi – e non solo il cervello- elaborano anche sostanze e forze psichiche.

Il ponte tra lo sguardo da fuori, che magicamente anche rende esteriore tutto ciò che tocca, e quello

da dentro, che può perdersi nel labirinto delle rappresentazioni interiori, è la fisiologia degli stati

elementari della materia: termico, aeriforme, liquido, solido o nel linguaggio antico: fuoco, aria,

acqua, terra.

In questi stati natura e uomo si sovrappongono, fluiscono l’uno nell’altra e la loro esperienza è

universale, testimoniata ovunque e in ogni tempo.

Essi sono come le costanti dell’universo, un dato non arbitrario in cui realtà e coscienza trapassano

l’una nell’altra, un tertium. Gli stati elementari della materia , come già Schelling aveva

sottolineato, fin dalla loro rappresentazione nella Grecia antica, non sono infatti materia ma forma.

In essi, nel mistero delle loro proprietà e dei loro stabili confini, da sempre l’uomo ha percepito

l’anima del mondo, il suo ordine e le sue trasformazioni.

Non esisterebbe una fisiologia della respirazione se non ci fosse l’aria, ma lo stato aeriforme

nell’organismo è lungi dal coincidere con la sola respirazione. Senza lo stato aeriforme sarebbe

impossibile la vita psichica e in particolare l’intenzionalità, il tendere verso, l’anelito, il coraggio.

Non esisterebbe una fisiologia della circolazione se non ci fosse liquido ma lo stato liquido

nell’organismo non coincide con la sola rete vascolare. Senza di esso sarebbe impossibile la vita

vegetativa e sul piano psichico la sensibilità.

Non esisterebbe una fisiologia dell’apparato muscolo-scheletrico se non ci fosse lo stato solido ma

esso nell’organismo è più che il solo sistema osseo. Senza di esso non ci sarebbero individualità

biologica, forma, né sul piano psichico l’attività pensante.

Non esisterebbe una fisiologia del ricambio e del movimento senza calore ma lo stato di calore è più

che la temperatura corporea. Senza di esso non ci sarebbe coscienza dell’io né possibilità di

entusiasmarsi, di volere e fare alcunché.

Il corpo umano è una miscela di questi stati elementari e ciascuno di essi fa capo ad un organo

centrale, ad un cervello.

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Questo organo è centrale rispetto allo stato elementare non perché esista un organo solo di calore o

aeriforme –ogni organo in modi diversi li riunisce tutti- ma governa quell’elemento anche negli altri

organi, dipendendo da loro a sua volta per gli altri elementi. In esso si esprime nella pienezza di

questa sua funzione. Quale funzione?

Collegare lo spirito che è nell’uomo con lo spirito che è nella materia; fare da ponte tra corpo e

anima; collegare lo stato elementare che governa gli altri, unificando il campo della coscienza:

l’uomo pensa tanto con i suoi piedi che col suo cervello.

Non è così d’altronde anche nel mondo, dove calore, aria, acqua e terra stanno entro i loro

misteriosi confini ed è innegabile per esempio riferire il calore al Sole e non alla Luna, ma a questa

invece un’azione sull’acqua? Attraverso gli elementi traspare una vita psichica della natura.

Del cuore per esempio, che governa lo stato del calore del corpo, si dovrà pensare che tale funzione

si esplichi principalmente a partire dalla sua struttura di calore e non da quella aeriforme e liquida, a

cui peraltro tutte le sue manifestazioni si trasmettono. Del cuore cioè si deve pensare che esso sia

una struttura di calore differenziato e non solo quello che il chirurgo si trova tra le mani.

Anche per gli altri organi esiste una struttura di calore differenziato soggetta al governo del cuore,

anche per il fegato, i polmoni, i reni, che invece governano rispettivamente l’uomo liquido, solido,

aeriforme. È evidente che questa funzione è distinta da quella fisica in cui cuore, fegato, polmoni e

reni appaiono correlati all’elemento liquido, di calore, aeriforme e ancora liquido.

Del calore poi in rapporto all’uomo si deve riconoscere che è l’unico stato della materia che egli

può sperimentare da dentro e da fuori; di cui può avvertire l’estraneità o che può generare o

spegnere per forza propria. Nel calore l’essere umano sperimenta se stesso, l’io coglie la propria

oggettività.

A questo cuore come struttura di calore differenziato e come cervello dell’intero uomo di calore, e

agli altri organi rispettivamente si deve pensare in psichiatria per avere un fondamento anatomo-

fisiologico ed una quotidiana frequentazione equivalenti a quelle di cui si valgono il chirurgo e il

rianimatore.

Quando si dice “deve” non si intende né dovere morale né esortazione ma si vuole sottolineare la

necessità intrinseca a queste cose, che solo attraverso un pensiero attivo e che nasca per libera

iniziativa del medico, vengono a coscienza e manifestano la loro realtà e le loro leggi.

Questo apre anche la strada alla terapia. Se il cuore, la sua struttura di calore, è malato ad essa dovrò

rivolgere le cure. Certo non è una malattia delle fibre miocardiche, del cuore liquido, per cui cercare

per esempio nella digitale quello che mi occorre. Lo cercherò invece in quei metalli che hanno

un’affinità con la centralità del calore nel sistema del mondo.

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Si trova così un fondamento per quell’umanizzazione della medicina che non va confusa con la sola

cura della relazione medico paziente –senza nulla voler togliere alla sua importanza- ma che è

cercare di pensare in modo umano l’uomo, il suo corpo, i suoi organi e il loro rapporto col mondo.

Che cosa siano la natura e l’uomo, e quindi l’integrazione, la salute, è ogni volta in realtà una

decisione della comunità. Oggi delle comunità del passato e delle loro immagini restano solo

sopravvivenze ed è in corso un complesso processo di emersione dell’universale dalla loro varietà e

molteplicità. Questo complesso emergere è anche una lotta e più volte nel XIX e XX secolo si è

visto l’operare funesto in campo scientifico-religioso e politico-economico di tentativi prematuri di

affermare il primato di una qualche comunità o di attuare il dominio di un modello sopra tutti.

Questi tentativi si sono intrecciati ad eventi o derive psicopatologiche collettive da cui non siamo

del tutto emersi. L’integrazione questa volta, l'umanizzazione della medicina, non è solo mettersi in

armonia con il sistema del mondo della propria etnia e della propria storia culturale, ma con

l’universalmente umano che anela d’essere riconosciuto. Esso sembra consistere più che in qualche

dogma scientifico in un salto antropologico che, valendo in ogni uomo, fa di ciascuno un promotore

di verità, di libertà, di realtà.

BIBLIOGRAFIA

R. Steiner. Il ponte tra la spiritualità cosmica e l’elemento fisico umano (Dornach, 1920). Ed.

Antroposofica, Milano 1979.

R. Steiner. Principi di etica medica (Dornach, 1924). Ed. Antroposofica, Milano 1977.

R. Steiner. Corso di medicina pastorale (Dornach, 1924). Ed Antroposofica, Milano 2000.

R. Steiner, I. Wegman. Elementi fondamentali per un ampliamento dell’arte medica (1925). Ed.

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XLIII Congresso Nazionale della Società Italiana di Psichiatria - Bologna 19-24 ottobre 2003

CONSENSUS CONFERENCE

“Psichiatria e Medicine Non Convenzionali nel Servizio Sanitario Nazionale”

IL CONTRIBUTO DELL’OMEOPATIA PER UN SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE

INTEGRATO: DALLA FORMAZIONE ALLA TERAPIA

ENNIO MASCIELLO

Direttore Didattico della Scuola Triennale di Bologna del Centro Italiano di Studi e

Documentazione in Omeopatia, CISDO; Membro della Commissione per le Medicine Non

Convenzionali dell’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Bologna

L’omeopatia è nata agli inizi del XVIII secolo ad opera del medico tedesco C.F.S. Hahnemann, nato

in Sassonia nel 1755 e morto a Parigi nel 1843 all’età di 88 anni.

Per lui il medico deve avere come unico scopo quello di rendere sani i malati, ossia di guarirli

(Organon, par 1), come avevano già insegnato Ippocrate, Paracelso e Crollius.

Per questo motivo, non soddisfatto del suo operato di medico, chiude l’ambulatorio già di successo

per rimettersi a studiare e per trovare un metodo che curi radicalmente i pazienti, rendendoli liberi

di dedicarsi agli scopi superiori della loro esistenza (Organon, par. 9) .

Dallo studio degli effetti della lavorazione della corteccia di china sugli operai che la maneggiavano

nacque l’omeopatia.

Infatti Hahnemann ipotizza che una sostanza il cui uso in dosi ponderali nell’uomo sano produce

diversi segni e sintomi può curare, se usata in dosi sufficientemente attenuate, tutte quante le

malattie che mostrano nel malato quella stessa costellazione sintomatologica, in base al “Principio

di Similitudine”.

Hahnemann iniziò a preparare i rimedi in dosi concentrate ma ben presto capì che queste potevano

causare effetti collaterali e tossici. Quindi partì diluendo il rimedio con passaggi centesimali vale a

dire 1:100 parti in volume e si accorse così che dopo il terzo passaggio la maggior parte delle

sostanze non producevano più alcun effetto tossico.

Provò quindi ad agitare vigorosamente la soluzione dopo ogni diluizione, procurando la cosiddetta

succussione o dinamizzazione, notando che con questo procedimento non solo la sostanza non perde

i suoi effetti sull’uomo sano ma, aumentandone le diluizioni, acquisisce effetti sempre più vasti,

profondi e potenti.

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Dato che egli era uomo pratico e sincero sperimentatore, sperimentò su se stesso, i figli e gli allievi

numerosi rimedi che iniziò ad applicare nella clinica, affermando che solo l’esperienza pura è il

responso infallibile dell’arte di guarire il malato.

Sperimentò così 61 rimedi i cui sintomi provocati su individui sani, i cosiddetti “provings”,

costituiscono la patogenesi o patogenesia dei rimedi che vengono raccolti e catalogati nella prima

Materia Medica Omeopatica, strumento fondamentale del medico omeopata.

A questi segni e sintomi si sono aggiunti quelli che il medico rileva sul malato nel corso

dell’osservazione clinica e non riconducibili al dato sperimentale. Attualmente disponiamo di

Materie Mediche estremamente ampie che comprendono la sintomatologia di migliaia di rimedi.

Cardine della disciplina fondata da Hahnemann sono l’ascolto e l’osservazione estremamente attenti

e accurati di tutti i segni e sintomi che i sensi del medico possono rilevare nel paziente, i quali

vanno annotati con precisione e rigorosa attenzione per costituire il quadro completo di ogni singolo

malato, dato che, secondo l’omeopatia non esistendo le malattie ma solo le persone malate, ogni

protocollo terapeutico deve essere personalizzato essendo il frutto dell’intima relazione

gnoseologica tra medico e paziente.

L’Omeopatia, apparsa, come abbiamo visto, tre secoli fa, sia pure tra alterne vicende (guerre

napoleoniche, mancata pubblicazione se non agli inizi del XX secolo dell’ultima edizione

dell’Organon, opera fondamentale del Maestro, contemporanea nascita e sviluppo della

batteriologia, frammentazione del mondo omeopatico in diverse correnti di interpretazione del

pensiero del Maestro), non ha mai smesso di svilupparsi, cioè di soddisfare un numero sempre

crescente di prescrittori e di malati.

In Italia oggi si annoverano tra i soli omeopati circa 7500 medici prescrittori, quasi una farmacia su

due è fornita di medicinali omeopatici, l’8,2% della popolazione utilizza medicine omeopatiche

(ove per medicine omeopatiche si deve intendere medicine prodotte secondo farmacopea

appropriata con metodologia di diluizione e dinamizzazione, come già descritto, prescindendo dalla

tecnica clinica seguita nella scelta e prescrizione della medicina da cui: omeopatia, omotossicologia,

antroposofia) con un fatturato da parte delle aziende italiane del settore di 157,2 milioni di Euro.

Tali numeri diventano nell’Unione Europea di 700 milioni di Euro, 50.000 medici, 50 milioni di

utenti che assurgono a centinaia di milioni a livello mondiale.

E’ quindi ovvio che un fenomeno di queste dimensioni necessiti di essere governato ed anche in

questa ottica ritengo si debba leggere la delibera della FNOMCeO del maggio 2002 nelle cui “Linee

Guida sulle Medicine e Pratiche Non Convenzionali” vengono riconosciute 9 Discipline

(Omeopatia, Agopuntura, Medicina Tradizionale Cinese, Omotossicologia, Fitoterapia, Medicina

Ayurvedica, Chiropratica, Osteopatia, Medicina Antroposofica) di esclusiva competenza medica.

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Però non è solo da “cavalcare la tigre”, ma è anche importante capire il “fenomeno” ed il perché

della sua vastità.

L’affermazione che l’omeopatia non sia scientifica è falsa perché sino dalle sue origini essa si basa

sull’applicazione del principio galileiano di osservazione, interpretazione e riproducibilità del

fenomeno.

L’affermazione che l’omeopatia sia solo effetto placebo è confutata da innumerevoli lavori

scientifici tra i quali vanno citati: lo studio condotto dal Servizio di Ematologia della Facoltà di

Farmacia dell’Università di Bordeaux, che dimostra l’inversione dell’effetto clinico ottenuto tra

l’utilizzo di aspirina a dosi di 100 mg/kg e varie diluizioni fino alla 30CH su diversi parametri

(trombizzazione, embolia, aggregazione piastrinica, ecc.) su di una popolazione di cavie; gli studi

che Cornelli e Coll. stanno conducendo alla Loyola University di Chicago sulle eparine a basso

peso molecolare ottenute per diluizione e dinamizzazione.

Le tre metanalisi di Kleijenen J. et Al. (1991); Cucherot M. et Al. (2000); Linde K. et Al. (1997)

nelle quali i tre gruppi di valutatori indipendenti, ognuno con un diverso processo di analisi, sono

arrivati allo stesso risultato finale: l’azione positiva dell’omeopatia, pur affermando la necessità di

ulteriori studi.

L’affermazione secondo cui il medicinale omeopatico non contiene massa molecolare sufficiente e

quindi non può essere efficace è, secondo i detrattori dell’omeopatia, il lato debole ed oscuro della

disciplina. A costoro si possono contrapporre numerose evidenze scientifiche.

In Italia uno dei più autorevoli gruppi di ricerca scientifica sull’omeopatia fa riferimento al veronese

Paolo Bellavite dell’Istituto di Chimica e Microscopia Clinica dell’Università di Verona e

all’Osservatorio per le Medicine Complementari, sorto per iniziativa congiunta dell’Università degli

Studi di Verona e dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di quella città.

Secondo Bellavite et Al. fino alla diluizione 10CH (decima centesimale), pur non riscontrandosi

massa sufficiente a giustificare un’azione farmacologica, si può teorizzare un’azione mediata da

sistemi moltiplicatori.

Non volendoci dimenticare dell’ovvietà della vita, cito due esempi tra i milioni riscontrabili in

natura: i ferormoni agiscono a concentrazione alla 10 -14 pari ad una 7CH e le endorfine endogene

agiscono a concentrazione nanomolecolare come pure i releasing factors, ecc.

Quanto proposto da Bellavite mi conforta fino alla 10CH.

La maggior parte della produzione dei medicinali omeopatici, quindi degli strumenti terapeutici di

Omeopati, Omotossicologi ed Antroposofi è dato dalle basse diluizioni, infatti circa l’80% della

produzione è al di sotto della 7CH, circa l’85% è entro la 9CH.

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Tutti noi sappiamo bene che i dubbi sull’efficacia dell’Omeopatia non sono risolti, ma mi sembra

altresì corretto che ci si collochi tra l’evidenza della medicina empirica ed il dubbio sperimentale.

Da questa collocazione oltre che dalla necessità di “cavalcare la tigre” dell’ovvietà dell’esistenza

del mercato dell’Omeopatia e delle Medicine Non Convenzionali in genere, deriva la necessità di

prendere atto responsabilmente di tutti gli aspetti del fenomeno per meglio e compiutamente

integrare l’Omeopatia e le altre Medicine Non Convenzionali o, meglio, Integrative nel Sistema

Sanitario Nazionale.

Integrazione che può derivare solo dal reciproco riconoscimento tra un sistema medico dominante e

le medicine complementari e i rispettivi sistemi epistemologici che le sorreggono.

“La medicina integrata non è solo usare erbe al posto dei farmaci. La medicina integrata è buona

medicina ed il suo successo sarà evidenziato dalla caduta dell’aggettivo. La medicina integrata di

oggi dovrebbe essere la medicina del nuovo Millennio”, così si sono espressi L. Rees, direttore del

programma di formazione del Royal College of Physicians, U.K., e A. White, direttore del

programma per la Medicina Integrata dell’Università di Tucson, Arizona, nell’editoriale dal titolo:

“Integrated Medicine”, apparso sul British Medical Journal.

Lo scopo della Medicina Integrata è identificare i trattamenti più appropriati per ogni paziente

nell’ambito di tutte le possibilità di cura basate sull’evidenza scientifica.

Questo a maggior ragione se consideriamo che ai tempi di Hahnemann (1755-1843) e di Pasteur

(1822-1895) ci si ammalava e si moriva di privazioni ed infezioni mentre oggi si sono ridotte le

prime e combattute le seconde, ma ci si ammala lo stesso. Di cosa ci si ammala? Di cattivo rapporto

con l’ambiente (allergie), con se stessi (malattie autoimmuni, cancro, ansia, anoressia, bulimia, ecc).

Diceva Pasteur: “Il batterio è molto, il terreno è tutto”.

Cosa è quindi meglio della medicina dell’uomo nella sua totalità?

Quindi il concetto di Medicina Integrata non è quello di una sorta di sincretismo medico al pari di

un sincretismo religioso, bensì l’integrazione tra culture diverse che riconoscendosi reciprocamente,

reciprocamente si arricchiscono.

Quindi sta ad ogni medico agire sulla base della conoscenze acquisite, ove la decisione clinica viene

presa in base al numero maggiore di opzioni terapeutiche possibili.

Il processo d’integrazione non si può fermare solo a questo livello, ma deve coinvolgere l’intero

sistema, le istituzioni, le strutture e così via, addivenendo ad una reale cooperazione a tutti i livelli:

formativa, organizzativa, finanziaria, strutturale.

Fino a oggi la formazione ha ruotato intorno ad una serie di scuole private.

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Nel caso del C.I.S.D.O. (Centro Italiano di Studi e Documentazione in Omeopatia) dal 1980 al 2002

abbiamo formato o contribuito a formare oltre 2.800 medici e 13.500 farmacisti; e molti sono stati i

medici e farmacisti informati sull’esistenza dell’Omeopatia.

Il corpo docente della Scuola è composto da 80 medici che operano in 8 sedi nazionali di scuole di

Medicina Omeopatica Clinica Triennale e 14 sedi nazionali di scuole di Medicina Omeopatica

Annuale.

In questi quasi venti anni di attività come docente ho visto cambiare la popolazione dei

medici/allievi: dalla prevalenza di giovani neolaureati all’attuale età media di 30-40 anni, con punte

al limite della pensione.

Un’altra variazione è data dall’aumento del numero dei medici operanti nel Sistema Sanitario

Nazionale, sia come dipendenti, sia come convenzionati: pediatri, medici di base, ginecologi,

psichiatri, ecc.

Che cosa può spingere dei professionisti che per età e livello professionale raggiunto potrebbero

considerarsi “arrivati” a cambiare se non addirittura a rivoluzionare lo stato delle loro cose

professionali? Si sentono schiacciati dal burocratismo clinico-operativo-legale: in fondo cosa sono i

LEA, i DRG, i Protocolli Terapeutici, se non delle camice di forza che imbrigliano terapia e

terapeuta, rapporto medico-paziente e spesa sanitaria entro degli schemi operativi molto limitati e

molto poco interpretabili?

Laddove nelle medicine complementari o integrative come l’omeopatia c’è meno chimica e in

tempi di sviluppo biocompatibile è giusto porsi anche il problema dell’ecologia interna.

Inoltre questi Colleghi sono animati da curiosità speculativa, spinta interiore, voglia di rinnovarsi,

sensibilità innata a relazionarsi con il paziente in maniera olistica.

Queste loro grandi motivazioni sono lo stimolo più importante per noi docenti.

I Colleghi predetti lavorano come operatori sul territorio e sono quindi il primo filtro del Sistema

Sanitario Nazionale rispetto alla popolazione, quelli più a contatto con gli umori ed i bisogni del

territorio e quindi sono i più sensibili a quel cambiamento epocale che è il passaggio dal concetto di

salute come assenza di malattia a quello di salute come benessere psico-fisico.

La grande partecipazione e la coralità dei nostri allievi producono un dialogo estremamente fecondo

grazie anche ad un alto rapporto tra numero dei docenti e numero dei discenti: lezioni frontali

laboratori, supervisioni cliniche e metodologiche, gruppi di studio costituiscono il cuore del nostro

percorso formativo.

Nella mia esperienza di docente e direttore didattico rilevo che è frequente che colleghi già

diplomati non solo continuino a frequentare a volte le lezioni frontali ma più di tutti i gruppi di

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studio e di supervisione clinico-metodologica, realizzandosi così la formazione ed aggiornamento

continuo e si rileva una profonda empatia tra allievi anziani e quelli del primo anno.

Tutti questi elementi aumentano motivazione, impegno e rendimento di docenti e discenti.

Questo rapporto partecipativo e corale fa sì che ci sia grande disponibilità tra i diplomati e discenti

dell’ultimo anno con i neoiscritti, questo grazie ad un contesto di spontaneità e partecipazione dato

dalla motivazione dei Colleghi ad intraprendere questa strada.

Se è vero come è vero che il Ministero della Salute propugna il concetto di formazione continua e

permanente, come è provato dall’avvio del Programma ECM, il CISDO ha fatto di questo principio

il suo asse portante fin dalla sua costituzione.

Per mio tramite, anche in questa sede, la Scuola che rappresento esprime la sua piena motivazione,

interesse e disponibilità a collaborare sia per progetti di ricerca, sia per protocolli terapeutici, sia per

attività di formazione e supervisione dei medici chirurghi, odontoiatri e farmacisti operanti nel

Servizio Sanitario Nazionale.

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BIBLIOGRAFIA

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Hahnemann C.F.S. Organon dell’arte del guarire, VI ed. (1842), Red Edizioni, Como 1985

Hahnemann C.F.S. Traité de Matière Médicale Homeopathique. 4 voll. Baillière, Paris, 1876-1891

Rees L., White A.: Integrated Medicine. British Medical Journal, 322:119-120, 2001

FNOMCeO: “Linee Guida su Medicine e Pratiche Non Convenzionali”, Atti del Consiglio

Nazionale, Terni, 2002

Doutremepuich C., Aguejouf O., Belon P.: Effects of low dose of aspirin on embolization in a model

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1996

Vesvres M.H., Doutremepuich F., Lalanne M.C., Doutremepuich C.: Effect of aspirin on

embolization in an arterial model of laser induced thrombus formation. Hemostasis, 22:8-12, 1993

Lalanne M.C., Ramboer I., Deseze O., Doutremepuich C.: In vitro platelets/endothelial/cells

interactions in presence of acetylsalicylic acid at various dosage. Thrombosis Research, 65:33-43,

1992

Kleijenen J., Knipschild P., ter Riet G.: Clinical trials of homeopathy. British Medical Journal,

302:316-323, 1991

Cucherat M., Haugh M.C., Gooch M., Boissel J.P.: Evidence of clinical efficacy of homeopathy. A

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J Clin Pharmacol., 56:27-33, 2000

Linde K., Clausius N., Ramirez G., Melchart D., Eitel F., Hedges L.V., Jonas, W. Are the clinical

effects of homeopathy placebo effects? A meta-analysis of placebo-controlled trials. Lancet,

350:834-843, 1997

Bellavite P., Signorini A.: The emerging science of homeopathy. North Atlantic, Berkeley, Ca.,

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XLIII Congresso Nazionale della Società Italiana di Psichiatria - Bologna 19-24 ottobre 2003

CONSENSUS CONFERENCE

“Psichiatria e Medicine Non Convenzionali nel Servizio Sanitario Nazionale”

PSICHIATRIA PUBBLICA E MEDICINE NON CONVENZIONALI: PERCORSI OPERATIVI E

STRUMENTI TECNICI

PAOLO ROBERTI

Dirigente Medico di Psichiatria del Centro di Salute Mentale “Ovest”, Dipartimento di Salute

Mentale, AUSL della Città di Bologna

Obiettivo unificante dell’impegno dei medici del Servizio Sanitario Nazionale dovrebbe essere

quello di concorrere alla costruzione di una medicina capace di adeguare l’offerta di cura alla

maggior consapevolezza/maturità dei cittadini e alle nuove domande di salute che negli ultimi

vent’anni sono venute sviluppandosi nella società postindustriale.

In questa prospettiva, il progetto di realizzare nel Servizio Sanitario Nazionale la piena integrazione

tra medicina tradizionale e medicine non convenzionali o complementari può trovare nell’area della

tutela della salute mentale un “laboratorio” originale e specifico, anche e in particolar modo per il

carattere di multidisciplinarietà della maggior parte degli interventi/trattamenti della psichiatria

pubblica.

In psichiatria, d’altra parte, forse più che in altri ambiti della medicina, ci si ritrova frequentemente

a fare i conti con quel famoso trattino che unisce “psiche” a “soma” che per troppo tempo ha

costituito lo spartiacque di incomunicabilità o per lo meno di difficile dialogo tra “organicisti” e

“non organicisti”.

Non per caso, dunque, nella letteratura internazionale è sempre meno raro imbattersi in lavori clinici

sull’uso delle medicine non convenzionali nel trattamento di disturbi psichiatrici; voglio ricordare,

tra le pubblicazioni più recenti, il bell’articolo di Mamatani e Cimino (2002), il lavoro di Davidson,

Morrison et Al. (1997) sul trattamento omeopatico dell’ansia e della depressione, gli studi

controllati sulla terapia omeopatica del disturbo d’ansia generalizzata (Bonne, Shemer et Al., 2003)

e della depressione post partum (Mantle, 2002).

Lo scorso anno il National Center for Complementary and Alternative Medicine del National

Institute of Health, USA, su oltre 200 progetti di ricerca, ne ha finanziati 24 riguardanti l’area

psichiatrica: tra questi alcuni studi controllati sul trattamento con farmaci omeopatici delle

depressioni reattive, della fobia sociale e del disturbo ossessivo-compulsivo.

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In Europa da anni servizi psichiatrici pubblici effettuano terapie con medicine non convenzionali;

mi limito qui a citare la clinica antroposofica di Friburgo, collegata all'università, con 100 letti di

degenza psichiatrica.

In Italia, dove sono almeno un centinaio le strutture pubbliche che erogano prestazioni di medicina

non convenzionale, si sono venute affermando, negli ultimi anni, anche alcune esperienze in campo

psichiatrico, come quelle del Centro Psicosociale di Rho (Milano) per la floriterapia di Bach e del

Servizio di Diagnosi e Cura di Formia (Roma) per l’omotossicologia e l’elettroagopuntura secondo

Voll.

Io stesso, negli anni tra il 200 e il 2002, presso il Centro di Salute Mentale “Tiarini” del

Dipartimento di Salute Mentale di Bologna, ho effettuato uno studio su 23 pazienti, 16 femmine e 7

maschi (di area diagnostica - Cod. ICD 9 CM - 300.0, 300.3, 300.4, 300.5) trattati con farmaci

omotossicologici (i risultati sono riportati in un articolo di recente pubblicazione - vedi bibliografia -).

E’ stato, del resto, anche sulla scia di questo lavoro che ha preso le mosse, nell’inverno 2002-2003,

il progetto di costituzione di una Unità di Medicine Non Convenzionali (U.Me.N.C.) nel Centro di

Salute Mentale “Ovest” di Bologna.

Tralascio di ripercorrere le fasi “costituenti” del progetto, alle quali ha fatto ampiamente riferimento

nella sua relazione Aldrigo Grassi, che desidero pubblicamente ringraziare per il decisivo contributo

fornito nell’elaborazione e realizzazione dell’U.Me.N.C..

Voglio qui invece cogliere l’occasione per illustrare brevemente i principali percorsi operativi e gli

strumenti tecnici di cui si è dotata l’Unità che dirigo, limitandomi a ricordare che l’offerta di terapie

non convenzionali è per ora circoscritta alle cure omeopatiche, a quelle omotossicologiche e alla

floriterapia di Bach e che la casistica degli invii è stata inizialmente mirata sui disturbi psichiatrici

cosiddetti minori (vedi prospetto - allegato 1 -).

Come già si è accennato, l’invio all’U.Me.N.C. avviene tramite i colleghi medici psichiatri e

psicologi del Centro di Salute Mentale (viene utilizzata un’apposita Scheda di Invio - vedi allegato 2 - ,

corredata dal punteggio della Scala di Valutazione di Funzionamento Globale - GAF -).

Dopo una preliminare valutazione, nel corso della quale possono essere raccolte ulteriori

informazioni ed effettuati più dettagliati accertamenti, anche in collaborazione con il medico o

psicologo inviante, l’U.Me.N.C. procede all’effettiva “presa in carico” del paziente (nel caso,

invece, di controindicazioni, ne vengono fornite le motivazioni al professionista inviante).

All’inizio e alla fine del trattamento vengono somministrati al paziente la Scala di Hamilton (per

l’Ansia o per la Depressione o entrambe) e, in relazione al quadro psicopatologico, eventuali altri

test diagnostico-clinici.

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E’ stata inoltre predisposta un’apposita cartella clinica omeopatico/omotossicologica del paziente in

carico all’U.Me.N.C. (vedi allegato 3), strutturata in modo da poter integrare l’inquadramento

nosografico-clinico della psichiatria tradizionale con i criteri e le valutazioni proprie delle medicine

non convenzionali praticate.

La conclusione (o, nel caso accada, l’avvenuta interruzione) del trattamento viene comunicata

dall’U.Me.N.C. al professionista che ha effettuato l’invio, tramite un’apposita Scheda di dimissione

(vedi allegato 4), corredata dall’aggiornamento dei punteggi delle Scale di valutazione utilizzate

all’atto dell’invio.

Infine, nel Regolamento dell’U.Me.N.C., che entrerà in vigore una volta ultimata la fase

sperimentale, sono previste l’effettuazione di periodiche riunioni/incontri con i professionisti del

Centro di Salute Mentale per esaminare e discutere aspetti organizzativi e per l’eventuale

approfondimento di casi problematici e complessi e la presentazione annuale di una relazione

sull’attività svolta e sui risultati raggiunti,

Come si vede, notevole è stato lo sforzo per dotare l’U.Me.N.C. di un’affidabile base tecnico-

organizzativa e operativa; è comune, peraltro, la consapevolezza che solo il prolungarsi

dell’esperienza sul campo e il confronto con altre analoghe iniziative potranno consentire

all’U.Me.N.C. di acquisire quell’assetto solido e stabile, capace di garantire efficienza, efficacia e

trasparenza nella valutazione dei risultati.

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Dipartimento di Salute Mentale Allegato 1Centro di Salute Mentale “Ovest”

UNITA’ DI MEDICINE NON CONVENZIONALI (U.Me.N.C.)

CASISTICA DEGLI INVII ALL’U.Me.N.C.

ICD 9-CM DIAGNOSI REQUISITI AGGIUNTIVI

• 293.83 Disturbo organico dell’umore

associato al puerperio, al

climaterio o a sindromi

disendocrine

Assenza d’indicazioni specifiche ovvero

resistenza/intolleranza alla psicofarmacoterapia

• 294.80 Disturbo organico d’ansia

associato al puerperio, al

climaterio o a sindromi

disendocrine

Assenza d’indicazioni specifiche ovvero

resistenza/intolleranza alla psicofarmacoterapia

• 300.0 Stati d’ansia Resistenza/intolleranza alla psicofarmacoterapia

e assenza d’indicazioni specifiche alla

psicoterapia

• 300.4 Depressione nevrotica/ Distimia Resistenza/intolleranza alla psicofarmacoterapia

e assenza d’indicazioni specifiche alla

psicoterapia

• 300.5 Nevrastenia

• 300.8 Neurosi psicastenica/ Psicastenia/

Disturbi da somatizzazione

Assenza d’indicazioni specifiche alla

psicofarmaco- terapia e alla psicoterapia

• 301.6 Disturbi astenici della personalità Assenza d’indicazioni specifiche alla

psicoterapia

• 306.2 Disturbi cardiovascolari psicogeni

• 306.5 Dismenorrea psicogena

• 307.8 Psicalgie/ Disturbo da dolore

somatoforme

Assenza d’indicazioni specifiche alla

psicoterapia

• 309.1 Reazione depressiva di lunga

durata

Resistenza alla psicofarmacoterapia e assenza

d’indicazioni specifiche alla psicoterapia

• 309.2 Reazione di adattamento con

s i n t o m i e m o t i v i , n o n

propriamente di tipo depressivo

Allegato 2

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Scheda di invio all’Unità di Medicine Non Convenzionali

(U.Me.N.C.)

• Cognome _______________________ Nome __________________________

• Data e luogo di nascita ______________________________________________

• Diagnosi __________________________________________________________

• Data della “prima visita” _______________ Ambulatorio _________________

• Data di invio all’ U.Me.N.C. _____________

• Eventuale trattamento psicofarmacologico in atto (riportare il tipo e la posologia

giornaliera dei farmaci prescritti e la presumibile durata del trattamento)

__________________________________________________________________

__________________________________________________________________

• Altri eventuali trattamenti/interventi in atto ____________________________

_________________________________________________________________

• Eventuali precedenti trattamenti con medicine non convenzionali __________

__________________________________________________________________

• Brevi informazioni su dati anamnestici e di interesse psicopatologico e clinico

ed eventuali suggerimenti operativi (nel caso la richiesta di inizio di trattamento rivesta

carattere di urgenza, specificarne i motivi):

IL MEDICO/LO PSICOLOGO ________________________________________

Allegato 3

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UNITA’ DI MEDICINE NON CONVENZIONALI (U.Me.N.C.)

Cartella Sanitaria di _________________________________________________ N° __

Data e Comune di nascita ___________________________________________________________

Indirizzo e Comune di residenza _____________________________________________________

Recapito telefonico e altri recapiti utili ________________________________________________

________________________________________________________________________________

Medico di Medicina Generale ________________________________ telefono _______________

Data della “Prima visita” presso Ambulatori: Tiarini ____________

Scalo _____________

altri ______________

Data di invio all’U.Me.N.C. _______________ Data della I° Visita all’U.Me.N.C. _____________

Professionista inviante (Cognome e Nome) _____________________________________________

Struttura di riferimento del professionista inviante________________________________________

Diagnosi di invio: 1) ____________________________________________ codice ____________

2) ____________________________________________ codice ____________

Terapie in atto: a) farmacologiche ____________________________________________________

_________________________________________________________________

_________________________________________________________________

b) altre ____________________________________________________________

_________________________________________________________________

UNITA’ DI MEDICINE NON CONVENZIONALI (U.Me.N.C.)

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SCHEDA A

Cartella Sanitaria di _____________________________________________ N° ____

S T A T O A T T U A L E

• Peso Kg _____ Altezza cm _____

• Dati anatomo-morfologici rilevanti ____________________________________________

___________________________________________________________________________________

• Generalità

- Sonno __________________________________________________________________________

- Bioritmi ________________________________________________________________________

- Lateralità ________________________________________________________________________

- Sudorazione _____________________________________________________________________

- Termoreattività ___________________________________________________________________

- Appetito ________________________________________________________________________

- Desideri ________________________________________________________________________

- Avversioni ______________________________________________________________________

- Intolleranze ______________________________________________________________________

- Sete ____________________________________________________________________________

- Digestione _______________________________________________________________________

- Alvo ___________________________________________________________________________

- Diuresi _________________________________________________________________________

- Ciclo___________________________________________________________________________

• Aspetto e comportamento ____________________________________________________

__________________________________________________________________________________

• Psichismo _________________________________________________________________

__________________________________________________________________________________

___________________________________________________________________________

___________________________________________________________________________

___________________________________________________________________________

I N Q U A D R A M E N T O B I O P A T O G R A F I C O

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A) Quadro lesionale __________________________________________________________________

B) Causalità ________________________________________________________________________

C) Tipologia sensibile

C1) Morfologia _______________________________________________________________________

C2) Temperamento ___________________________________________________________________

C3) Bioreattività _____________________________________________________________________

C4) Tendenze morbose ________________________________________________________________

D) Gerarchizzazione e qualificazione sintomo/semiologia

D1) Psichismo ________________________________________________________________________

________________________________________________________________________

D2) Sintomi e segni generali caratterizzati ________________________________________________

D3) Sintomi e segni locali caratterizzati __________________________________________________

D4) Sintomi comuni ___________________________________________________________________

E) Costituzione ______________________________________________________________________

F) Modalità reattiva diatesica ___________________________________________________________

___________________________________________________________

G) Revisione della tipologia sensibile _____________________________________________________

INQUADRAMENTO DI FASE SECONDO LA TAVOLA DELL’OMOTOSSICOSI

____________________________________________________________________________________

____________________________________________________________________________________

____________________________________________________________________________________

____________________________________________________________________________________

____________________________________________________________________________________

Variazioni di Fase (Vicariazioni) _________________________________________________________

____________________________________________________________________________________

____________________________________________________________________________________

____________________________________________________________________________________

____________________________________________________________________________________

____________________________________________________________________________________

____________________________________________________________________________________

____________________________________________________________________________________

____________________________________________________________________________________

____________________________________________________________________________________

____________________________________________________________________________________

____________________________________________________________________________________

Data ______________________ _________________________ (timbro e firma del Medico)

UNITA’ DI MEDICINE NON CONVENZIONALI (U.Me.N.C.)

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SCHEDA B

Cartella Sanitaria di _____________________________________________ N° ____

TERAPIA

DATA TIPOLOGIA POSOLOGIAData variaz./

sospensione

Firma del

medico

ACCERTAMENTI LABORATORISTICI E STRUMENTALI

DATATIPOLOGIA ESITO Annotazioni

Allegato 4

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Scheda di dimissione dall’Unità di Medicine Non Convenzionali

(U.Me.N.C.)

• Cognome _______________________ Nome __________________________

• Diagnosi (se modificata rispetto alla diagnosi di ammissione) _____________________

_________________________________________________________________

• Data di invio all’U.Me.N.C. ______________________

• Data di inizio e tipo di trattamento ___________________________________

__________________________________________________________________

• Dimissione: _ esplicita per: _ conclusione trattamento

_ interruzione concordata

_ per abbandono (specificare eventuali motivi) ___________________

_______________________________________

_ per altri motivi (specificare) _______________________________

_______________________________________

• Eventuale terapia psicofarmacologica (nel caso sia iniziata o sia stata modificata

rispetto a quella iniziale nel corso del trattamento, specificare) ______________________

__________________________________________________________________

__________________________________________________________________

• Valutazioni cliniche sull’andamento e sull’esito del trattamento ___________

__________________________________________________________________________________________________________________________________

_________________________________________________________________

_________________________________________________________________

Data ________________ IL MEDICO ________________________________