controllo cardiovascolare, sistema respiratorio

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Lezione 31 CONTROLLO CARDIOVASCOLARE. SISTEMA RESPIRATORIO. In questa immagine vediamo radunate un po’ di informazioni già viste nelle lezioni precedenti, che ci dicono che esiste un rapporto molto stretto tra consumo d’ossigeno, gittata cardiaca, gittata pulsatoria, frequenza cardiaca: sono tutte profondamente correlate. Vi ricordo, per esempio, se varia il VO ² , il consumo d’O ² , allora varierà simultaneamente anche la gittata cardiaca. La gittata cardiaca è utile che cambi perché in questo modo un maggior afflusso di sangue ai tessuti può erogare più ossigeno al tessuto stesso. Come facciamo a far variare la gittata cardiaca? Possiamo agire su vari aspetti: possiamo variare il gradiente di pressione che sostiene il flusso diminuendo le resistenze (questo si ottiene soprattutto variando la pressione arteriosa - la pressione venosa può variare anche lei ma in genere il controllo si effettua aumentando la pressione arteriosa e diminuendo nel contempo le resistenze totali, le resistenze periferiche, quelle chiamate PRU); in questo modo aumenta la gittata cardiaca, ma nel contempo possiamo anche aumentare la gittata pulsatoria e variare la frequenza cardiaca. Tutti questi fenomeni possono essere mediati tramite il sistema nervoso autonomo. Allora

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Page 1: Controllo cardiovascolare, sistema respiratorio

Lezione 31

CONTROLLO CARDIOVASCOLARE. SISTEMA RESPIRATORIO.

In questa immagine vediamo radunate

un po’ di informazioni già viste nelle

lezioni precedenti, che ci dicono che

esiste un rapporto molto stretto tra

consumo d’ossigeno, gittata cardiaca,

gittata pulsatoria, frequenza cardiaca:

sono tutte profondamente correlate. Vi

ricordo, per esempio, se varia il VO², il

consumo d’O², allora varierà simultaneamente anche la gittata cardiaca. La gittata cardiaca è

utile che cambi perché in questo modo un maggior afflusso di sangue ai tessuti può erogare più

ossigeno al tessuto stesso. Come facciamo a far variare la gittata cardiaca? Possiamo agire su

vari aspetti: possiamo variare il gradiente di pressione che sostiene il flusso diminuendo le

resistenze (questo si ottiene soprattutto variando la pressione arteriosa - la pressione venosa può

variare anche lei ma in genere il controllo si effettua aumentando la pressione arteriosa e

diminuendo nel contempo le resistenze totali, le resistenze periferiche, quelle chiamate PRU); in

questo modo aumenta la gittata cardiaca, ma nel contempo possiamo anche aumentare la gittata

pulsatoria e variare la frequenza cardiaca. Tutti questi fenomeni possono essere mediati tramite

il sistema nervoso autonomo. Allora questa lezione ci spiega come fa il sistema nervoso

autonomo ad accorgersi che c’è bisogno di far variare alcuni o tutti questi parametri al fine di

modificare la perfusione dei vari organi; cioè: chi e come dice al sistema nervoso autonomo che

è diminuita la pressione arteriosa per cercare di farla rialzare? (perché l’abbassamento della

pressione arteriosa determina, per esempio, un abbassamento della perfusione tissutale,

nell’encefalo determina un’ischemia cerebrale). Come facciamo a riportarla su? Dobbiamo

prima prevedere che ci siano dei sistemi che rivelano che la pressione si è abbassata (o è

aumentata), poi dobbiamo informare il sistema nervoso centrale il quale risponderà attraverso

due risposte: una risposta di tipo nervoso tramite il sistema nervoso autonomo, il quale a sua

volta coinvolge anche il sistema ormonale. Vediamo un po’ come si attuano questi meccanismi.

Quello che vedete (a pagina seguente, ndr) è uno schemino dell’arteria carotide comune, e

l’arteria carotide comune si divide, e alla biforcazione della carotide in questo rigonfiamento

che si chiama seno carotideo sono situati i recettori di tensione. Si chiamano recettori di

Page 2: Controllo cardiovascolare, sistema respiratorio

tensione o tensocettori e danno luogo a

quello che chiameremo riflesso

barocettivo o barocettore. Che cosa

succede? Immaginate che la pressione

in questa zona si modifichi, per es

aumenti. Siccome sappiamo che se io

ho un vaso con una parete elastica

esiste una relazione tra la differenza di

pressione transmurare, la tensione e il

raggio e se aumenta la pressione

transmurare aumenta il raggio, allora

se io aumento la pressione dentro il

vaso, cosa farà il raggio? Aumenta,

perché questo vaso è di natura elastica

e ricordate che la relazione tra tensione

e raggio in un vaso elastico è di questo

tipo: se io passo da una condizione di pressione P1 a una condizione di pressione P2 in

un’arteria, che è elastica e quindi non ha di mezzo la complicazione della tensione attiva, il

raggio passerà da questo raggio a questo altro: aumenta il raggio.

Ora, nella parete dell’arteria nel seno carotideo e nella parete

dell’arco aortico (i tensocettori sono sia nella parete dell’arco

aortico che nel seno carotideo), questi tensocettori sono recettori

semplici, terminazioni libere, che si sfiocano nella parete della

nostra arteria (tra le maglie della struttura della parete arteriosa) e

fungono da tensocettori, cioè vengono stimolati quando aumenta la tensione cui sono

sottoposte le strutture in esame, in questo caso il seno carotideo e l’arco aortico. Sono

dei meccanocettori, perché sentono la variazione

di una caratteristica meccanica, in questo caso

della tensione.

Nella figura è identificata anche un’altra struttura:

il tondino rosso, che è chiamato glomo carotideo

ed è anche questo un recettore. Mentre questa

terminazione libera, identificata come questo

sfiocamento, è un tensocettore, ed è responsabile

Page 3: Controllo cardiovascolare, sistema respiratorio

del controllo cardiovascolare e in particolare di quello che verrà definito “controllo della

pressione arteriosa a breve termine”, riflesso barocettore, invece il glomo carotideo non risente

della tensione della parete; lo troveremo alla fine del discorso sulla respirazione perché il glomo

carotideo è un recettore sviluppatosi per risentire della pressione parziale di O² nel sangue

arterioso: quindi non è un tensocettore, un meccanocettore, è un chemocettore. È vero che anche

i chemocettori sono responsabili in un certo qual modo del controllo del sistema

cardiovascolare, del controllo della gittata cardiaca, però in maniera un po’ indiretta. Quindi

oggi parleremo soprattutto dell’effetto che fa la stimolazione di questa componente, cioè del

tensocettore localizzato a livello del seno carotideo, quindi parleremo dei riflessi innescati dal

tensocettore o barocettore (baro = pressione). Quindi attenzione a non confondere il tensocettore

col barocettore (chemocettore??, ndr): sono situati molto vicini ed entrambi sono coinvolti nel

controllo cardiovascolare ma più direttamente il tensocettore e molto meno il chemocettore.

Page 4: Controllo cardiovascolare, sistema respiratorio

Il sistema dei barocettori è, dal

punto di vista delle innervazioni,

veramente molto simile al

chemocettore; questo perché i centri

che governano sia il controllo della

circolazione, del sistema

cardiovascolare, che del controllo

respiratorio, sono situati entrambi

nel bulbo e nel ponte e sono tra loro

molto interconnessi, molto vicini e

usano entrambi le stesse via di

ascesa delle informazioni dalla zona arteriosa verso il tronco encefalico, bulbo e ponte. Però

conducono informazioni diverse, quindi nella figura possiamo vedere le analogie ma per il

momento tralasciamo l’aspetto dei chemocettori. I tensocettori sono localizzati a livello

dell’arco aortico, nel seno carotideo, come detto, e la via afferente che parte da entrambi va a

finire con le afferenze condotte dal nervo vago. Esiste anche una componente un po’ più elevata

che è condotta al glosso faringeo attraverso il nervo del seno carotideo (di Hering). Quindi è il

nervo vago assieme al glosso faringeo quello che porta tutte le afferenze ai centri sovrassiali del

tronco. Vediamo cosa succede alle afferenze quando cambia la pressione arteriosa. Nella parte

centrale della figura vediamo qual’ è la scarica afferente per esempio in una fibra del nervo del

seno, in una fibra del nervo di Hering (ma la stessa cosa vale anche per il nervo vago): quando

la pressione è oscillatoria e varia da 80 a 120 la frequenza ha un certo valore. Se noi aboliamo

l’oscillazione e poniamo una pressione media di circa 100 che non raggiunga mai i livelli di 120

vediamo che permane l’afferenza, però è molto smorzata. Questo ci dice che l’entità

dell’afferenza risente dei valori di pressione che vengono espressi nella carotide comune o

nell’arco aortico. Più elevata è la pressione, anche se è ciclica (non deve essere persistente), più

è elevata la frequenza. La pressione media nella zona dove la pressione è oscillante è uguale alla

pressione media dove la pressione pulsatoria è smorzata, quindi cosa vuol dire la risposta in

termini di frequenza? Vuol dire che il barocettore scarica in risposta alla pressione media, però

oltre a risentire della pressione media, risente anche del fatto che la pressione è oscillatoria, cioè

scarica di più quando la pressione ha un andamento di tipo oscillatorio. Quindi i tensocettori

dell’arco aortico e del seno carotideo rispondono in parte in maniera tonica, cioè ci dicono qual

è il livello della pressione media, ma rispondono anche, in aggiunta, in maniera fasica, tanto è

vero che se ho la stessa pressione media ma ho un andamento oscillatorio che mi porta anche in

Page 5: Controllo cardiovascolare, sistema respiratorio

maniera transiente a valori più alti, la scarica

aumenta. Inoltre la risposta è veloce, perché

appena riprendo a consentire la normale

pulsatività del vaso, subito la frequenza tende

ad aumentare. Vediamo qual è la risposta in

termini di pressione arteriosa a questa

sollecitazione: la risposta è che diminuendo la

frequenza di scarica afferente, la pressione

aumenta. Cioè, se la scarica afferente

diminuisce, il sistema nervoso centrale che

riceve l’informazione intende la diminuzione

della frequenza di scarica come un

abbassamento della pressione. Se la pressione

è diminuita la si deve aumentare. La pressione media, in risposta a questa diminuzione, viene

fatta aumentare un po’. Quindi quello che si deduce da questa immagine è che la scarica

afferente è una scarica che induce una risposta di tipo eccitatorio. Tanto minore è la scarica

afferente quanto più verrà eccitata la risposta. Tanto più bassa è la pressione, tanto più bassa è la

scarica afferente; tanto più alta è la pressione tanto maggiore è la scarica afferente. E la scarica

afferente ha significato soprattutto inibitorio, per cui se io la rimuovo la risposta è che la

pressione aumenta. La risposta è sia di tipo tonico che di tipo fasico, e qui c’è una

dimostrazione: questa è un’onda aortica, un’onda sfigmica, e qui viene fatta aumentare

progressivamente la pressione vasale. Vedete che qui la pressione è bassa, nel primo tracciato, è

intorno ai 60 (la figura è messa al contrario). A parità di fasicità, se si aumenta la pressione

minima, la scarica afferente ai centri aumenta. Nel primo caso la scarica è molto bassa, e

corrisponde soltanto alla fase in cui si raggiunge il picco sistolico, cioè soltanto quando la

pressione aumenta si scarica. Via via che aumento la pressione mantenendo sempre l’andamento

oscillatorio e la fasicità, la scarica non è confinata alla fase iniziale dell’aumento di pressione,

ma si mantiene per tempi sempre più lunghi, fino che quando la pressione minima è intorno ai

220 e la massima sarà intorno ai 240-230, praticamente abbiamo una scarica lungo tutto il ciclo

cardiaco. Quindi possiamo dire che: 1) i centri della regolazione cardiovascolare vengono

informati sulla ritmicità, sull’andamento dell’onda sfigmica, perché a seconda del treno

d’impulsi che arriva il centro cardio regolatore può anche sapere qual è il tipo di pressione

massima raggiunta, e inoltre viene informato del valore di pressione lungo tutto il ciclo. Più è

elevata la scarica afferente, più elevata è la scarica inibitoria sul centro cardio regolatore.

Page 6: Controllo cardiovascolare, sistema respiratorio

Questo è ragionevole perché se abbiamo la pressione di 220 o più allora c’è l’esigenza di

abbassare la pressione, quindi avremo un’attività inibitoria che tenderà a ridurre la pressione

arteriosa.

Quello che si vede nella pagina successiva è lo schema di come sono organizzati i centri per il

controllo della funzione cardiovascolare cosiddetta “a breve termine”. Incominciamo dalla parte

di destra per sottolineare la complessità di questo controllo. Vediamo qual è l’insieme delle

afferente a quello che viene chiamato centro vasomotore (anche se in realtà non esiste un vero e

proprio centro vasomotore, ma un insieme di nuclei che sono sia ad attività inibitoria che

eccitatoria; quindi oggi questa dizione di “centro vasomotore” viene compresa nella dizione di

“centro cardio regolatore”, più in generale). Questo centro cardio regolatore si trova

fondamentalmente a livello del bulbo e riceve delle informazioni che non sono solo quelle che

arrivano dall’arco aortico e dal seno carotideo: questa componente è solo una della tante

afferente che arrivano al centro cardio regolatore. Afferente vagali arrivano per esempio anche

dall’atrio destro: l’atrio destro è dotato di terminazioni libere che portano la loro afferenza

sempre tramite le fibre afferenti vagali e che sono i meccanocettori atriali che risentono della

distensione delle pareti dell’atrio, quando per esempio è aumentato o diminuito il volume di

sangue circolante, per cui le parete vasali possono essere distese o diminuite. Questi

meccanocettori sono responsabili del riflesso di Bembridge, che è un riflesso per cui quando

aumenta il volume che ritorna all’atrio destro, per esempio se fate un’infusione rapida di

soluzione fisiologica nella vena di un paziente avete come risposta una tachicardia riflessa:

questo è il riflesso di Bembridge e viene indotto da questi meccanocettori atriali. Qui nell’atrio

ci sono poi anche degli altri recettori (i recettori natriuretici) che vedremo quando parleremo del

“controllo della pressione arteriosa a lungo termine” (non lo trattiamo oggi perché è un

controllo espletato più che altro a livello renale).

Page 7: Controllo cardiovascolare, sistema respiratorio

Sul centro vasomotore arrivano afferenze da recettori venosi, per la distensione venosa, ma per

esempio anche dai corpuscoli del Pacini a livello muscolo-tendineo, quindi arrivano afferenze a

livello propriocettivo; arrivano afferenze anche dai fusi neuromuscolari, perché quando aumenta

l’attività muscolare aumenta l’esigenza del muscolo di ricevere un flusso maggiore di sangue, e

quindi deve essere regolato il centro cardio regolatore (come anche quello cardio respiratorio);

arrivano afferenze dal centro cardio respiratorio, che è lì vicino, nel ponte; arrivano afferenze

dai barocettori che percepiscono la pressione parziale di O² nel sangue; arrivano afferenze anche

dai centri sovrassiali, dal talamo (sede dove arrivano tutte la afferenze, che ha risposte anche di

tipo vegetativo: tramite il talamo arrivano al centro vasomotore questo tipo di informazioni),

dall’amigdala (un’emozione può farci battere il cuore, un dispiacere molto forte può provocare

un collasso: i centri dell’amigdala interagiscono sia in senso positivo che negativo col centro

cardio regolatore modificando la frequenza cardiaca → risposta di tipo vegetativo). Quindi ora

descriviamo questi centri solo per l’aspetto del riflesso barocettivo, però tenete conto che queste

risposte sono mediate anche da una varietà di stati emotivi e da altre condizioni del sistema

nervoso centrale. Tutte queste afferenze vanno spedite nella zona bulbare, rappresentata dal

rettangolo azzurrino delimitato dalla riga tratteggiata. Nella zona bulbare ci sono vari nuclei, il

più importante dei quali, per il controllo cardiovascolare è il nucleo del tratto solitario, che

riceve le afferenze vagali, dal glosso faringeo e altre. Il nucleo del tratto solitario è situato nella

zona dorso-mediale del bulbo, ed è la sede principale di proiezione bulbare, da cui vengono

smistati i segnali ad altre strutture. Per esempio il nucleo del tratto solitario manda proiezioni di

tipo inibitorio all’area pressoria ventro-larerale, area bulbare C1. Essa è l’unica area di questa

zona bulbare che ha un’azione eccitatoria sul centro vasomotore. Il centro vasomotore manda

delle afferenze di tipo eccitatorio sulle strutture ortosimpatiche, cioè sui nuclei intermedi laterali

del midollo toracico e anche in parte del midollo cervicale. In queste zone sono localizzati tutti i

Page 8: Controllo cardiovascolare, sistema respiratorio

nuclei toracici dorsali dell’ortosimpatico. Quindi quest’area pressoria eccita il centro

vasomotore che a sua volta eccita queste vie efferenti ortosimpatiche che agiscono su cuore,

vasi e sul surrene. Quindi per esempio fate conto che ci sia il soggetto col cappello davanti al

palazzo della regina, in un giorno caldissimo con su il cappello di pelle d’orso e la pressione

scende perché ha una crisi di ortostatismo: cosa fa questo sistema per impedire che il ragazzo

svenga riportando in alto la pressione? Se la pressione si abbassa la scarica afferente dall’arco

aortico e dal seno carotideo diminuisce di frequenza; se diminuisce di frequenza diminuisce

l’inibizione sul nucleo del tratto solitario, quindi diminuisce l’inibizione portata dal nucleo del

tratto solitario sull’area pressoria, diminuendo l’inibizione sull’area pressoria C1, cosa vuol dire

diminuire l’inibizione? Vuol dire favorire l’eccitazione. E quindi si favorisce l’eccitazione

dell’area pressoria che a sua volta eccita i nuclei intermedi laterali del midollo, quindi aumenta

l’eccitazione e noi avremo un aumento del tono ortosimpatico su cuore, vasi e surrene. Cosa fa

questa risposta? (vedere le formule iniziali, ndr) Se aumenta il tono ortosimpatico avremo un

aumento delle frequenza cardiaca, una aumento della gittata pulsatoria, un aumento della

vasocostrizione arteriolare periferica, quindi aumenta la pressione arteriosa e la frequenza

cardiaca, e il nostro soggetto che rischiava di svenire non sviene. Questo è l’esempio di come un

abbassamento di pressione venga compensato grazie all’intervento dell’attività del centro

cardio eccitatore o vasomotore.

In questo quadro c’è anche il surrene: quindi abbiamo visto l’azione sul cuore con la frequenza

e l’aumento della gittata pulsatoria, l’azione sui vasi con l’aumento della spremitura venosa e

l’aumento del tono arteriolare, anche il surrene fa la sua parte, perché l’ortosimptico stimola sia

la corteccia surrenale che la midollare. La midollare del surrene determina la liberazione di

adrenalina e noradrenalina, che sono entrambi due ormoni che hanno un’attività simpatico-

mimetica, quindi aumenta la frequenza cardiaca e tutta l’attività simpatica vista. Inoltre

aumenta nel surrene anche la produzione degli ormoni surrenali, tra cui l’aldosterone, che

vedremo agisce sul rene facilitando l’azione renale che sarà quella del controllo a lungo termine

della pressione arteriosa. Quest’azione eccitatoria dell’ortosimpatico viene favorita da una

contemporanea inibizione degli effetti inibitori del parasimpatico, perché se diminuisco l’azione

inibitoria sull’area pressoria C1 diminuisco anche l’attività eccitatoria che il nucleo del tratto

solitario ha sul centro cardio inibitore. Il centro cardio inibitore è, al di fuori del bulbo, è lì nella

zona del tronco encefalico ed è composto fondamentalmente dal nucleo motore dorsale del vago

e dal nucleo ambiguo. Entrambe queste strutture sono strutture efferenti da cui partono le vie

discendenti del parasimpatico. Quindi vedete che diminuendo l’attività efferente del nucleo del

tratto solitario, mentre si favorisce l’eccitazione del centro vasomotore, si inibisce, perché

Page 9: Controllo cardiovascolare, sistema respiratorio

diminuisce la scarica eccitatoria, il centro cardio-inibitore, che è meno eccitato. E quindi

essendo meno eccitato è meno eccitato il vago efferente, e siccome il vago efferente ha attività

inibitoria, se è meno eccitato vuol dire che si privilegia l’azione contraria, cioè quella

eccitatoria. Quindi l’azione eccitatoria l’abbiamo perché contemporaneamente la diminuzione

dell’attività del nucleo del tratto solitario favorisce da una parte una stimolazione delle risposte

efferenti eccitatorie ortosimpatiche, dall’altra, contemporaneamente, una diminuzione della

scarica efferente inibitoria parasimpatica. Il tutto è favorito anche da un po’ di altre aree che si

trovano lì intorno, per esempio questo nucleo sopraottico e paraventricolare e l’area ipotalamica

depressoria, che sono situate a livello ipotalamico. Quindi anche l’ipotalamo agisce sul centro

vasomotore, tramite queste due zone. L’area ipotalamica depressoria agisce inibendo il centro

vasomotore: se diminuisce di nuovo l’attività del nucleo del tratto solitario perché la pressione è

diminuita, diminuisce l’eccitazione dell’area ipotalamica depressoria e diminuisce l’attività

depressoria del centro vasomotore e quindi aumenta l’attività ortosimpatica. La stessa cosa

fanno quest’area depressoria caudale e la zona nel nucleo del rafe: entrambe sembra ricevano

(ma non è chiaro per il nucleo del rafe) un’attività di tipo eccitatorio dal nucleo solitario. Quindi

l’area ipotalamica depressoria, l’area depressoria caudale bulbare e i nuclei del rafe si

comportano tutti allo stesso modo e hanno un’attività inibitoria sul centro vasomotore.

La cosa opposta succede se la pressione aumenta: aumenta l’attività del nucleo del tratto

solitario mediale, perché aumenta la scarica, se aumenta l’attività del nucleo del tratto solitario

aumenta l’eccitazione del nucleo cardio inibitore, quindi aumenta l’attività dei nuclei dorsali del

vago e del nucleo ambiguo che sono di attività parasimpatica, viene stimolato il vago e l’azione

del vago, a differenza dell’azione del centro vasomotore, che agisce in senso più ampio su

cuore, vasi e surrene, invece l’attività vagale agisce solamente sul cuore, modificandone

l’attività. Se aumenta il tono vagale sul cuore diminuisce la frequenza cardiaca, diminuisce la

forza di contrazione del cuore e di conseguenza diminuisce la gittata pulsatoria, diminuisce la

gittata cardiaca, diminuisce la pressione arteriosa. È molto indicativo il fatto che il centro che

controlla la pressione alta, cioè il centro che riporta la pressione al valore normale quando

questa si innalza, è chiamato centro cardio inibitore, perché agisce solo sul cuore, mentre invece

il centro che controlla la pressione facendola aumentare se si abbassa è chiamato vasomotore,

perché agisce sul cuore, su vasi, e sul rene, cioè ha un’azione più ampia. C’è anche nel caso

dell’aumento di pressione una risposta sui vasi, ma è indiretta: se ho un aumento della pressione

troppo elevato, la risposta è questa: afferenze → nucleo del tratto solitario → eccitazione del

centro cardio inibitore → eccitazione del vago → risposta nella diminuzione dell’attività

cardiaca. Però se viene eccitato il nucleo del tratto solitario aumenta anche questa componente

Page 10: Controllo cardiovascolare, sistema respiratorio

inibitoria sull’area pressoria C1 e sull’area depressoria caudale, e sull’area ipotalamica

depressoria che inibiscono il centro vasomotore. Quindi mentre aumenta l’attività inibitoria

specifica del vago aumenta anche l’output inibitorio sul centro vasomotore, e quindi viene

inibito il tono vasomotore dei vasi, viene inibita l’attività della surrenale cosicché i vasi

arteriolari venosi che prima erano contratti adesso si rilasciano; non esiste vasodilatazione attiva

da parte del parasimpatico, il parasimpatico non vasodilata i vasi, però rimuove la

vasocostrizione ortosimpatico, e quindi i vasi si rilasciano non perchè il vago li fa rilasciare ma

perchè viene a mancare l’azione costrittiva da parte dell’ortosimpatico. Quindi è un fenomeno

passivo: è per questo che non si parla di centro vasoinibitore, perché non c’è un’azione attiva

che fa allargare i vasi, i vasi s’allargano semplicemente perché viene a mancare il tono che

prima li faceva costringere.

Controllo

vegetativo

dell’attività

cardiaca. Il

meccanismo della

possibilità di

modulare la

frequenza cardiaca

(già visto): l’attività

cardiaca può essere

variata andando a

variare l’andamento

del potenziale delle

cellule pacemaker del nodo seno-atriale e degli altri componenti del tessuto differenziato: per

esempio la pendenza viene modificata dall’intervento vagale di modo che la contrazione

successiva alla precedente viene ritardata. Normalmente l’attività cardiaca è sotto l’egida del

tono vagale, quindi il centro che governa l’attività cardiaca normalmente, nelle condizioni a

riposo, è il centro cardio inibitorio – è quello che governa la ritmicità cardiaca. In genere quindi

è la diminuzione ulteriore dell’attività cardiaca che scatena il riflesso di controllo andando ad

attivare il centro cardio motore e vasomotore. Qui la figura ci dice anche che può esserci un

ulteriore controllo individuato nell’abbassamento del potenziale minimo raggiunto dal

pacemaker (non si può parlare in questo caso di potenziale di riposo).

Page 11: Controllo cardiovascolare, sistema respiratorio

Questa immagine dà in concreto un’informazione che già abbiamo: c’è un continuo controllo

reciproco tra attività vagale e attività ortosimpatica, se aumenta la pressione aumenta l’attività

vagale e diminuisce

quella simpatica che

viene inibita,

viceversa se

diminuisce la

pressione verrà inibita

l’attività vagale ed

eccitata quella

ortosimpatica. Questa

figura non fa altro che

dire come variano

l’attività vagale e

l’attività simpatica, qui espressa in % del massimo, se varia la pressione nel seno carotideo

( punto di afferenza dei meccanocettori): se la pressione aumenta, per esempio da 60 a 180,

come c’è da aspettarsi, aumenterà l’attività vagale, mentre diminuisce l’attività simpatica. Non

diminuisce in maniera rettilinea ma con quest’onda a S italica, o onda sfigmica, e lo stesso

l’attività vagale aumenta con questo andamento che non è rettilineo. Questo perché c’è bisogno

della maggior precisione del controllo nell’intervallo di pressione che corrisponde al valore di

pressione normale. Quindi tra i 100 circa e i 180 si ha la massima sensibilità, e lo capiamo dalla

pendenza della curva: in questa zona intermedia piccole variazioni della pressione nel seno

fanno variare di molto l’attività vagale e quella simpatica, mentre invece quando si arriva al

massimo, o al minimo, a fronte di variazioni anche ampie la risposta è azzerata. Questo è un

comportamento (come visto) comune a tutti i recettori: c’è una zona di massima sensibilità.

Come si ottiene la risposta: a livello centrale,

cioè a livello miocardico, variando la forza di

contrazione, la frequenza e anche la gittata

pulsatoria, e a livello periferico vengono

variate, grazie all’ortosimpatico, le resistenze

arteriolari e il ritorno

venoso. Uguale azione per

la frequenza cardiaca:

aumenta la pressione

Page 12: Controllo cardiovascolare, sistema respiratorio

arteriosa, diminuisce la frequenza cardiaca. Diminuire la frequenza cardiaca, all’aumentare delle

pressione arteriosa, vuol dire cercare di riportare la gittata cardiaca entro valori normali e quindi

riequilibrare, in via se volete indiretta, la pressione arteriosa. Quindi anche la frequenza cardiaca

in un certo qual modo modifica la gittata cardiaca.

Quest’immagine dice che c’è un punto critico nel quale si ha una condizione di equilibrio.

Parlando della legge di Starlig per il cuore abbiamo detto che all’aumentare del ritorno venoso

aumenta la gittata cardiaca, diminuisce il ritorno venoso, diminuisce la gittata cardiaca. Ora per

adeguare il ritorno venoso alla gittata cardiaca bisogna che ci sia un aumento del ritorno venoso,

un aumento della lunghezza delle fibre ventricolari miocardiche, la risposta in termini di forza e

di maggior forza di contrazione che riequilibra (? …, ndr), ci vuole un po’ di tempo perché

questi due parametri tornino ad riequilibrarsi. Questo è quello che dice la figura. Quando

cambia la pressione venosa centrale aumenta il ritorno venoso e varia la gittata cardiaca. Come

variano le cose? All’aumentare della pressione venosa centrale il ritorno venoso varia in questo

modo, cioè: se la pressione venosa, che è la pressione che c’è alla fine del tubo, è intorno a 0 o -

1 (può essere inferiore a 0 a fine espirazione, nell’atrio destro, come si vedrà) voi avete un

valore del ritorno venoso che è per esempio di 7 l/min, perché la pressione alla fine è bassa. Se

la pressione venosa aumenta è chiaro che si ridurrà il gradiente di pressione tra l’inizio e la fine

del giro, e quindi diminuisce il ritorno venoso; tanto più elevata è la pressione venosa centrale,

tanto più basso tende a essere il ritorno venoso. Viceversa: tanto più elevata è la pressione

venosa centrale, tanto più è la pressione in entrata all’atrio destro, quindi al ventricolo destro, e

quindi tanto maggiore sarà il volume di sangue che arriva nel ventricolo, e quindi tanto

maggiore è la gittata pulsatoria e cardiaca. Quindi c’è un apparente paradosso tra l’effetto della

pressione venosa centrale nel diminuire il ritorno venoso e contemporaneamente far aumentare

la gittata cardiaca. I due flussi raggiungono un punto di equilibrio che è quello normale, quello

descritto dalla legge di Starling, per cui la pressione sarà intorno a 2, tanto sangue arriva, 5

l/min - vedete che non a caso il punto di equilibrio, d’intersezione, è 5l/min che sappiamo essere

la gittata cardiaca normale, ne entrano 5 e ne escono 5. Se per qualche motivo il ritorno venoso

diminuisce, perché diminuisce la pressione venosa centrale, paradossalmente mi aspetto un

aumento della gittata cardiaca, aumento che però viene subito controllato da un ritorno della

gittata cardiaca verso il suo valore normale. Se stimoliamo il sistema nervoso simpatico per un

transiente molto breve, la gittata cardiaca aumenta, e allora si instaurerà un nuovo punto di

equilibrio (questa volta nel punto D) che prevede che nel caso di stimolazione simpatica ci sia

una maggior spremitura delle vene, quindi un maggior ritorno venoso ed una maggiora gittata

Page 13: Controllo cardiovascolare, sistema respiratorio

cardiaca. Quindi vedete come anche il controllo della gittata cardiaca si insinua in questo

controllo meccanico che abbiamo visto ad opera della famosa legge di Starling per il cuore.

L’ultima immagine (a pag.

seguente, ndr) vuole indicare

che l’attività miocardia di

contrazione viene modificata

non soltanto dal controllo da

parte del sistema nervoso

autonomo, sia con i nervi

simpatici che con il nervo

vago, c’è anche un

meccanismo miogeno, che è quello indotto dal pacemaker cardiaco, ma c’è anche una serie di

altri fattori, per es. una diminuzione del metabolismo o un aumento del metabolismo possono

interferire con l’attività di contrazione del miocardio. Quindi l’attività contrattile, quindi in

ultima analisi anche l’attività di controllo cardiovascolare, dipende: a) dall’attività miogenica,

che è quella del pacemaker, che è stabilita dalle caratteristiche intrinseche del pacemaker

cardiaco; queste caratteristiche intrinseche possono essere modificate, o diminuendole o in gran

parte aumentandole sia dal controllo che viene fatto dall’attività del sistema nervoso autonomo

che da altri fattori di tipo metabolico, vuoi legati ad una diminuzione della pressione parziale di

O² , o ad un aumento della pressione parziale di CO² o anche da fattori di altro genere. Da ultimo,

c’è una compressione sistolica, che è un’indicazione del tutto patologica, che è quella per

esempio delle compressioni violente del torace: molto spesso negli incidenti stradali succede

che c’è un blocco dell’attività cardiaca perché c’è una sovreccitazione miocardica che comporta

una contrazione violenta del miocardio; questa è legata ad una compressione della fibra

miocardia stessa, quindi ci sono degli arresti cardiaci indotti proprio dalla compressione

meccanica dello sterno, quindi del torace, quindi del miocardio.

IL SISTEMA RESPIRATORIO

(invito a seguire le esercitazioni e chiarire i dubbi; la fisiologia respiratoria è la sua materia, quindi va saputa

particolarmente bene… Non parleremo degli aspetti legati alla fonazione, per questione di tempo, ma l’argomento va

fatto comunque sul testo – il testo di riferimento per la fisiologia respiratoria è il West)

Page 14: Controllo cardiovascolare, sistema respiratorio

Questo è uno schema delle vie aeree superiori, di cui ci occuperemo in parte. Le vie aeree

superiori sono chiamate anche vie aeree di conduzione, perché sono quelle vie che funzionano

da condotti e non hanno alcuna funzione di tipo respiratoria, dove per respiratoria si intende

quella parte del sistema respiratorio che serve a scambiare i gas. La funzione principale del

sistema respiratorio (ma ne ha tante altre) è quella di far sì che i gas respiratori, che sono

ossigeno e anidride carbonica, vengono scambiati tra mezzo esterno e mezzo interno. Il mezzo

esterno è l’aria-ambiente, il mezzo interno è il sangue (milieu interieur) che consente, in questo

caso specifico ai gas respiratori, di arrivare dall’ambiente esterno ad ogni singola cellula. Quindi

parleremo di una respirazione esterna per parlare di tutti i fenomeni che consentono il trasporto

di gas respiratori dall’esterno fino alla cellula singola, mentre la respirazione interna è quella

che si occupa di utilizzare l’O² nel mitocondrio o nel citoplasma ad opera della glicolisi e di

produrre la CO². Quindi la respirazione interna è puramente cellulare e coinvolge processi

biochimici, cellulari, citoplasmatici e mitocondriali, noi ci occupiamo invece della respirazione

esterna. Essa consiste

di varie fasi: 1)

prendere l’aria che c’è

fuori e portarla a

ridosso della superficie

respiratoria. Le

superfici respiratorie di

cui disponiamo sono

due: la superficie cutanea e la superficie alveolare. L’unica zona respiratoria di tutto il sistema

respiratorio è quella che consente a O² e CO² di passare tra i vari ambienti, l’ambiente esterno

che è l’alveolo e l’ambiente interno che è il sangue. In cosa consiste quindi la respirazione?

Devo prendere l’aria dall’esterno e portarla ai polmoni attraverso un meccanismo di conduzione

che si avvale di flussi di massa, come l’aria che scorre nel tubo dell’aspirapolvere; poi l’O ² deve

passare attraverso questa membrana che si chiama barriera alveolo-capillare (o membrana

alveolo-capillare), che vedremo è composta dall’endotelio del capillare, dalla membrana basale,

dall’interstizio, dalla membrana basale dell’epitelio alveolare e dall’epitelio alveolare. Il tutto

per uno spessore di 0,1 µm. La respirazione è qui, solo a questo livello i gas possono permeare;

laddove lo spessore è più grande non ce la fanno a permeare (ecco perché in tutte le vie

precedenti non si può parlare di respirazione, ma si parla di zona di conduzione, in cui i gas

vengono trasportati lì dove poi potranno finalmente passare). Quindi la fase 2) è quella del

passaggio dei gas qui, sia l’O² in ingresso che la CO² in uscita. Una volta che l’O² ha attraversato

Page 15: Controllo cardiovascolare, sistema respiratorio

questa barriera non basta, perché da lì deve essere trasportato nel punto di utilizzo. Quindi ci

sarà un trasporto dell’O² e anche della CO² nel sangue, trasporto che viene fatto sia a livello del

plasma che a livello del globulo rosso. Nel capillare del tessuto ci arrivano anche il plasma e i

globuli rossi con dentro l’O². L’ultima fase quindi sarà il passaggio di O² e CO² attraverso il

capillare e da lì nella singola cellula dove finalmente avrà luogo la respirazione cellulare.

Il polmone è l’organo specifico preposto alla respirazione ed è quello che consente lo scambio

del 99% dell’O². Però un pochino di scambio avviene anche a livello cutaneo. In alcuni animali,

per esempio negli anfibi, nella rana e in alcune salamandre, la respirazione cutanea vale per il

50% della respirazione totale, nell’uomo solo circa l’1%.

Il sistema respiratorio di conduzione è caratterizzato dal fatto di avere una serie di suddivisioni

successive; sono delle divisioni dicotomiche. Le suddivisioni dicotomiche dell’albero

respiratorio sono molto interessanti e sono state studiate con il metodo dei frattari. Quello che è

emerso è che le suddivisioni dicotomiche in natura sono molto frequenti (delta dei fiumi, radici

degli alberi, …) e si ripresentano sempre con delle caratteristiche di suddivisione dei frattari

abbastanza conservate.

Le vie di conduzione si biforcano; le biforcazioni totali sono circa 23. Si riconoscono 23

generazioni di biforcazioni a partire dall’ingresso nelle vie aeree superiori fino all’alveolo vero

e proprio. Di queste 23 le vie di conduzione ne compongono 16, mentre le ultime 8 sono bene o

male vie respiratorie vere e proprie, perché sono formate di bronchioli respiratori e di dotti

alveolari alla cui fine abbiamo il sacchettino alveolare.

Page 16: Controllo cardiovascolare, sistema respiratorio

Il sistema respiratorio più perfezionato non è il nostro ma quello degli uccelli, perché gli uccelli

hanno sviluppato in sistema respiratorio che consenta loro di avere una pressione parziale nel

sangue arterioso quasi uguale alla pressione atmosferica, mentre nell’uomo non è così. Qual è lo

scopo della respirazione? È di far sì che l’O ² che c’è nell’aria arrivi fino alla cellula; però

vedremo che passando dall’aria alla cellula la pressione dell’O² e la sua concentrazione nell’aria

non è uguale. Se la pressione parziale dell’O² nell’aria e nell’ambiente è circa 150 mmHg, a

livello arterioso è 100 mmHg, invece negli uccelli rimane circa 140 mmHg. Negli uccelli il

sistema respiratorio si è sviluppato in modo da far sì che la massima pressione parziale possibile

sia messa a disposizione della cellula, tant’è vero che esistono specie di uccelli che possono

addirittura volare al di sopra della catena Himalaiana, cioè a circa 9000m, mentre noi esseri

umani a 9000m non ce la facciamo.

Nel grafichetto abbiamo la zona di conduzione e le varie unità respiratorie. Dobbiamo abituarci

a distinguere bene 2 casi: fine espirazione e fine inspirazione. La fine espirazione può essere

portata e allora io dalla fine espirazione normale butto fuori dell’aria. La fine inspirazione può

essere portata se io porto dentro dell’aria. Quindi possiamo raggiungere vari volumi;

normalmente passiamo da un valore che chiamiamo fine espirazione tranquilla ad un valore che

chiamiamo fine inspirazione tranquilla e respiriamo aumentando il volume polmonare e

diminuendolo in maniera ciclica, senza neanche accorgerci. Possiamo buttare fuori un po’ più

aria, se vogliamo, oppure tirarne dentro un po’ di più; questo è possibile grazie all’intervento dei

muscoli inspiratori ed espiratori. I muscoli inspiratori sono: il diaframma, i muscoli respiratori

esterni e alcuni muscoli accessori del collo, tra cui per es. lo sternocleidomastoideo. I muscoli

espiratori sono i muscoli intercostali interni e i muscoli addominali, soprattutto il retto

addominale. Normalmente la inspirazione è sempre attiva, cioè richiede sempre la contrazione

dei muscoli inspiratori, sia il diaframma che i muscoli intercostali esterni: il diaframma si

abbassa e gli intercostali esterni si contraggono spingendo la gabbia toracica verso l’esterno e

verso l’alto. La espirazione, in condizioni di respirazione normale, è sempre passiva. Espiriamo

perché smettiamo di contrarre i muscoli inspiratori. Invece se facciamo una espirazione forzata,

per buttare fuori l’aria in maniera forzata, devo contrarre i muscoli espiratori. Però normalmente

non li contraggo.

Immaginate di avere questo palloncino alla fine di un tunnel, con la zona di conduzione e il

polmone: quando tiro dentro l’aria tiro dentro un volume di aria che si chiama volume corrente,

VC o VT (Tidal Volume: tide in inglese è la marea, quindi chiamare tidal volume è molto

descrittivo, dà l’idea che entra e esce). Quando inspiriamo tutta la gabbia toracica si espande,

comprese le vie di conduzione. L’aria che rimane nelle vie di conduzione va a costituire quello

Page 17: Controllo cardiovascolare, sistema respiratorio

che si chiama spazio morto, che è un volume di aria che è stato introdotto ma che non arriva

nell’alveolo, quindi non subisce gli scambi respiratori. L’aria che serve per gli scambi è quella

che arriva agli alveoli, quindi l’aria alveolare. Una parte del VT quindi rimane nello spazio

morto (VD), e il resto (VA) arriva a distendere l’alveolo, quindi VT = VD + VA. VT normalmente è

abbastanza variabile, ed è circa 500 ml; di cui 1/3 circa, cioè 150 ml circa, rimane nello spazio

morto, mentre i 2/3, cioè circa 350 ml, arrivano a distendere gli alveoli (V A = Volume

Alveolare).

Questi sono tutti volumi, però un flusso è uguale ad un volume moltiplicato per l’unità di

tempo. Allora, abbiamo definito il ciclo cardiaco come intervallo temporale in cui si

completa tutto un processo cardiaco; vediamo ora di definire il ciclo respiratorio. Il

ciclo respiratorio è composto da 2 fasi, una fase inspiratoria e una fase espiratoria. In

1 minuto a riposo ci sono circa 15 atti respiratori, quindi la frequenza è di 15 atti

respiratori, e il periodo, che è il reciproco della frequenza, a riposo sarà quindi di

circa 4 sec, di cui circa 1/3 (un po’ di più) occupato dalla fase inspiratoria e il

resto da quella espiratoria (non sono simmetrici). Possiamo parlare di

ventilazione (V puntata), come Vt per la frequenza respiratoria. Per es. se Vt è

500 ml e la frequenza è 15 atti al minuto, sono circa 7500 ml/min, o 7,5 l/m. poi

potremmo dire, facendo lo stesso ragionamento, che il flusso che ventila lo

spazio morto sarà uguale a VD per la frequenza respiratoria, e questo sarà uguale a 150 per 15

atti al minuto, quindi 2250 ml/min circa e poi il flusso alveolare sarà uguale a 350 ml (VA) per

15 cioè 4250 ml/min circa. A proposito delle vie di conduzione il flusso dipende dalla legge di

Poiseuille. Siccome si tratta di un

sistema di conduzione il cui scopo è

quello di spostare un flusso di massa di

aria dall’imbocco delle vie aeree alla

fine delle vie aeree, è importante

stabilire come variano le resistenze al

flusso nelle vie aeree; e allora quello che

si vede è che al variare del volume del

polmone le resistenze delle vie aeree

tendono a diminuire in questo modo: le

resistenze sono molto alte quando il

polmone ha un valore piccolo e sono

molto basse quando il volume si

Page 18: Controllo cardiovascolare, sistema respiratorio

espande. Se il volume del polmone si distende tanto le vie aeree aumentano il loro diametro e se

aumentano il diametro le resistenze diminuiscono; quindi tanto maggiore è il volume tanto più

basse saranno le resistenze nelle vie di conduzione.

A destra (nell’immagine precedente) vediamo un altro parametro, che è la conduttanza, ed è il

reciproco della resistenza. Quindi avremo che la conduttanza aumenta all’aumentare del volume

polmonare, perché se diminuiscono le resistenze la conduttanza aumenta.

Page 19: Controllo cardiovascolare, sistema respiratorio

Questa figura deve

rimanervi bene in mente. È

la terra circondata dallo

strato di gas che

compongono l’atmosfera, la

quale dipende dal nucleo

ferro-magnetico del pianeta

che definisce la forza

gravitazionale. Questo

manicotto di aria ha

un’altezza di circa 14000m e

ovviamente, come tutti i

fluidi, pesa sulla superficie

terrestre, e la pressione con cui pesa sulla superficie terrestre è ρgh. La densità dell’aria è molto

inferiore a quella dell’acqua, è circa 1000 volte inferiore - ricordo che la densità dell’acqua

distillata a 20º è 1g/cm³, quindi qui siamo nell’ordine dell’1*10-3g/cm³. Per cui, nonostante ci sia

un’altezza di 14000m sulla testa, la pressione complessiva è di 1atm, che corrisponde a 101 kPa.

L’aria atmosferica è formata da una serie di gas (ossigeno, azoto, anidride carbonica, argon, …)

che però sono ognuno in concentrazioni diverse. Il gas più concentrato è l’azoto che compone il

79%. In fisiologia respiratoria invece della % useremo molto spesso la frazione molare del gas.

In una miscela in cui la concentrazione totale è del 100% la frazione molare totale del gas è 1, e

quindi se il gas è il 79% la frazione molare è 0,79. L’ossigeno è il 20,93%, cioè lo 0,2093 in

pressione molare; la CO2 è lo 0,03% e quindi in frazione del gas sarebbe lo 0,0003 e quindi

praticamente uguale a 0. Queste concentrazioni si mantengono inalterate in tutta l’atmosfera

perché nell’atmosfera c’è un continuo rimescolamento del gas. La CO2 presente nell’atmosfera è

legata solamente alla CO2 prodotta dal metabolismo animale (e adesso purtroppo anche

all’emissione dei vari gas nell’atmosfera); a ridosso della superficie terrestre è più elevata sia la

concentrazione di CO2 che la concentrazione di O2 che dipende dalla respirazione vegetale. Se è

vero che sia l’O2 che la CO2 vengono prodotte nello strato limitrofo alla superficie terrestre, è

anche vero però che il rimescolamento dell’aria nell’atmosfera fa sì che praticamente la

concentrazione risulti essere pressoché costante. Quindi la concentrazione di azoto, ossigeno e

anidride carbonica è la stessa in tutta l’atmosfera. È sbagliato dire che in alta quota c’è meno

ossigeno, perché la concentrazione è uguale. La differenza importante è legata alla pressione

parziale. Cos’è la pressione parziale di un gas? Immaginiamo di avere un recipiente chiuso con

Page 20: Controllo cardiovascolare, sistema respiratorio

dentro delle molecole di un gas, il 100% del gas nel recipiente è fatto dallo stesso gas, quindi in

questo recipiente la frazione molare del gas è 1, perché c’è solo lui e occupa tutto. Viene

definita pressione parziale del gas il prodotto tra la frazione del gas e la pressione totale. Per es.:

immaginiamo che la pressione del gas totale contenuto nel recipiente sia 1atm. Se quell’aria è

composta solamente di azoto è il 100% di N2, la frazione molare è 1, la pressione totale è 1atm,

quale sarà la pressione parziale dell’azoto? Sarà 1 (pressione molare) per la pressione totale, che

in questo caso è 760 mmHg (1atm). Però l’aria è una miscela di più gas, allora applichiamo

questa regola: la pressione totale della miscela è data dalla pressione parziale del gas 1 + la

pressione parziale del gas 2 + la pressione parziale del gas 3 + … + la pressione parziale del gas

n. Ogni gas esercita la sua pressione parziale, che dipende dalla sua frazione. Quindi la

concentrazione totale è 100 (100%), data dalla concentrazione dei vari gas (3, se considero N2,

O2, CO2): gas 1 con

concentrazione 1, gas 2 con

concentrazione 2, gas 3 con

concentrazione 3. Se la

frazione totale è 1, ogni gas

avrà la sua frazione. La

pressione parziale esercitata

dal gas 1 sarà la pressione

totale per la frazione del gas 1,

e così via, di modo che la

pressione totale non è altro che

la sommatoria della pressione parziale dei singoli gas. Perché questo? Da cosa dipende la

pressione di un gas? La pressione è una forza diviso una superficie; allora se io ho la mia

molecolina di gas la pressione è la forza che questa molecola esplica imprimendo una forza

contro le pareti dell’involucro. Se ho 10 palline di un gas queste eserciteranno una pressione sui

recipienti che è legata alla concentrazione: tanto maggiori sono le palline di gas tanto più è la

loro concentrazione tanto più è la loro pressione parziale. La somma di tutte le pressioni parziali

dà la pressione totale. La pressione totale quindi non è altro che la sommatoria del prodotto tra

le frazioni dei gas e la pressione totale.

A livello del mare abbiamo N2, O2 e CO2. La pressione totale è 1atm; come la posso esprimere?

Dirò che: 760 mmHg = FO2 *760 + FN2*760 + FCO2*760; dove FO2 = 0,2093, FN2 = 0,79,

FCO2 = 0,0003.

Page 21: Controllo cardiovascolare, sistema respiratorio

La scatola in realtà può non essere chiusa e ci può essere un gas nell’aria ma ci può essere lo

stesso questo gas in contatto con dell’acqua. Cosa succede, per es. nel mare? Nel mare ci sono

N2, O2 e CO2; le molecole di gas si mettono in equilibrio, si scambiano, tra aria e acqua, sono

due fluidi: il gas può ripartirsi in un altro gas o andare in equilibrio nel fluido. E allora avremo

una condizione in cui a volte si stabilisce un equilibrio di saturazione, cioè quando esiste

equilibrio tra il numero di molecole che passano dal gas disciolto nell’acqua all’aria e tra quelle

che passano dal gas disciolto in aria all’acqua, cioè quando si è in una condizione di equilibrio

in cui lo scambio netto è uguale a 0, perché tante molecole di gas passano dall’acqua all’aria

quante molecole di gas passano da un altro gas all’acqua, allora si parla di una condizione in cui

l’aria, in equilibrio con l’ambiente fluido, è satura di questo gas. Per es. in una sauna l’aria è

satura di vapore acqueo: il

gas di cui parliamo in questo

caso è il vapore acqueo, le

molecole di acqua

raggiungono un equilibrio e

saturano l’aria ambiente.

Quando le molecole di acqua

che passano dall’acqua

all’aria sono uguali di

numero alle molecole di

acqua che tornano

dall’ambiente all’acqua, si

parla di saturazione. Nell’aria oltre a N2, O2 e CO2 e altri gas c’è anche acqua. L’umidità indica

quant’è la quota di acqua presente nell’ambiente, e questa può variare. Nel sistema respiratorio

è molto importante parlare anche del gas acqua presente nell’aria che c’è nelle vie respiratorie.

L’aria contenuta nell’ambiente in genere non è quasi mai satura di vapore acqueo, quando è

inspirata passa attraverso il cavo orale, le fosse nasali e le vie respiratorie che sono tutte umide,

tutte bagnate da un velo d’acqua, il quale evapora a una temperatura di 37ºC, e quindi l’aria

ambiente viene saturata di vapore acqueo. Allora oltre ad avere azoto, O2 e CO2 abbiamo anche

l’acqua sotto forma di gas, e anche l’acqua sotto forma di gas occupa una porzione della

frazione molare ed esercita una pressione parziale. La pressione parziale dell’acqua cambia a

seconda della temperatura, come indicato: la figura dice che in funzione della temperatura la

pressione di saturazione, indicata in kPa, si modifica a seconda dell’umidità relativa. A 37ºC la

pressione di saturazione del vapore acqueo è di 47mmHg. A 10ºC la pressione di saturazione del

Page 22: Controllo cardiovascolare, sistema respiratorio

vapore acqueo è più bassa, per esempio è intorno ai 15-20 mmHg; e questo è il motivo per cui

anche se si va al Polo Nord i panni stesi possono asciugarsi: nonostante ci sia una temperatura

molto bassa l’acqua contenuta negli indumenti evapora, perché siccome la pressione parziale di

saturazione dell’ambiente è molto più alta di quanto non sia a temperature più elevate, l’acqua

evapora anche a bassissime temperature. Ricordate quindi che nel momento in cui inspiriamo

non abbiamo più soltanto N2, O2 e CO2, ma abbiamo anche l’acqua. Quando parleremo di

pressione parziale del gas nel sistema respiratorio dovremo sempre ricordarci di correggere per

la pressione di saturazione del vapore acqueo, che è sempre 47mmHg perché nelle vie aeree la

temperatura è costante a 37ºC.