coolclub.it n.18 (settembre 2005)

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Cartoline dall\'inverno

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Via De Jacobis 42 73100 LecceTelefono: 0832303707e-mail: [email protected]: www.coolclub.itAnno 2 Numero 18settembre 2005Iscritto al registro della stampa del tribunale di Lecce il 15.01.2004 al n.844

Direttore responsabileOsvaldo PiliegoCollettivo redazionaleDario Goffredo, Pierpaolo Lala, Dario Quarta, C. Michele Pierri, Gianpiero Chionna, Cesare Liaci

Collaboratori:Giancarlo Susanna, Valentina Cataldo, Sergio Chiari, Maurizia Calò, Marcello Zappatore, Davide Castrignanò, Amedeo Savino, Patrizio Longo, Augusto Maiorano, Antonio Iovane, Rossano Astremo, Rita Miglietta, Marta Vignola, Daniele Lala, Elisa De Portu, Daniele Rollo, Marco Leone, Fulvio Totaro, Stefano Toma, Federico Vaglio, Lorenzo Coppola, Paola Volante, Nicola Pace, Giacomo Rosato, Antonietta Rosato, Nino D’Attis, Luca Greco, Luisa Cotardo, Rakelman, Antonella Lippo, Livio Romano, Pierfrancesco Pacoda, Stefano Cristante, Carlo Chicco, Antonino De Blasi, Fabio Rossi, Marcello Aprile, Annalisa Serpilli, Nicola Pace, Massimo Muci, Francesco Lefons, Alfredo Borsetti, Fabio Striani, Gianni De Blasi, Antonio Calogiuri, Camillo Fasulo, Chiara Piovan, Ruggero Bondi, Mauro Marino, Federico Baglivi, Lorenzo Donvito

Progetto graficodario

StampaLupo Editore - Copertino

Chiuso in redazione alla 25° oradel 12 settembre 2005

Per inserzioni pubblicitarie:Cesare LiaciT [email protected]

CARTOLINE PERL’INVERNO

Una volta, da Barcellona, mi sono autospedito una cartolina, tornato a Lecce dopo qualche giorno, merito delle poste italiane, la mia cartolina è arrivata. Tra l’incredulità di mia madre, il sorriso rassegnato di mio padre e la mia sincera emozione ho capito che le cartoline sono anche una piccola memoria, ricordo breve di momenti di felicità, una sintetica e desueta testimonianza di un passaggio in luoghi che per un po’ hai vissuto. Da Omero a Conrad, da Céline a Dante, il viaggio e il suo racconto sono tra le pagine più affascinanti scritte in letteratura. Perché non importa se fisico o mentale, l’uomo è esploratore, curioso di vite e spazi altrui. La cartolina ne è l’espressione più concisa, una bizzarra corrispondenza tra immagine e parole, un accenno per la fantasia, un assaggio al racconto di un’avventura. Ultimamente Ringo Star ha pubblicato “Cartoline dai Beatles”, un libro in cui sono raccolte le cartoline ricevute da parte di John, Paul e George. Più delle biografie e delle interviste queste frasi, le immagini, i disegni e il poco spazio a disposizione racchiudono un grande valore: l’amicizia, quella che anche se il gruppo si era sciolto manteneva indissolubilmente legati i quattro. E ci è piaciuto pensare ai nostri amici. A quelli lontani, a quelli partiti e poi tornati, quelli rimasti nel Salento. Tutti con un ricordo, una personale cartolina di questa estate trascorsa. Abbiamo chiesto loro, in poche battute, di raccontarci la loro estate. In una sorta di meccanismo a catena siamo riusciti a compiere il giro del mondo in otto cartoline. Si parte dalla nostra città, dalla sua estate in vetrina, e poi via, passando per Bari, a vedere cosa ci siamo persi in giro per l’Italia con i report da alcuni festival estivi. Tra Arezzo Wave, il Traffic di Torino e l’estate romana band da tutto il mondo hanno suonato in Italia. Il mondo in Italia ma anche l’Italia nel mondo con le cartoline dall’America, la Bosnia, l’Africa. C’è la musica dei festival, tema prediletto dal nostro giornale, ma ci sono anche storie, estati diverse, viaggi e non vacanze, esperienze a conoscere posti e vite diverse.Numero di passaggio questo per il nostro giornale che si prepara dal mese prossimo a un nuovo viaggio. C’è chi decide di rigenerarsi cambiando aria, partendo e c’è chi preferisce cambiare veste. Da ottobre ci sarà un nuovo Coolclub.it. Finalmente raggiungeremo le tanto desiderate 40 pagine. Questo ci permetterà di approfondire alcuni argomenti, di trattarne altri fino ad ora trascurati per problemi di spazio, di ospitare sempre più gente e punti di vista. Come al solito rinnoviamo l’invito a entrare in contatto con noi. Se avete voglia di scrivere delle vostre passioni, di condividere ascolti, visioni e letture con noi, scriveteci a [email protected]. Osvaldo

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Parte prima. Il viaggio nel sud“Gli ospiti sono un dono degli dei”… siamo nella sperduta montagna calabrese, difficile da affrontare in auto per me che sono abituato alla pianura leccese, e un gruppo di cacciatori seduti ad un bar si rivolge a noi con questa frase. Che un po’ ci fa sorridere e un po’ ci dà il senso dell’ospitalità della gente del sud. Cercavamo un posto dove andare a mangiare e questi sconosciuti, poco abituati alla presenza del forestiero, ci invitano a sorseggiare con loro del buon vino rosso e trangugiare bistecche di patate e anatra all’arancia. Una cortesia dovuta, secondo loro, proprio perché l’ospite è un dono divino. Partire dal sud e scendere ancora più giù provoca strane sensazioni. E quando a Catania qualcuno mi chiedeva quando salite, per informarsi sulla data del mio rientro a Lecce, restavo un po’ basito per la sensazione di dover salire per tornare. Io sono abituato (come tutti i miei amici) a salire per andare, per scappare da qualcosa o alla ricerca di qualcosa. Ogni viaggio porta con sé ricordi buoni e amarezze. Ogni viaggio ti lascia qualcosa, un posto, un sorriso, un amico, un cannolo o una cassata, un arancino o la soppressata, il peperoncino (che poi quello di Soverato ho scoperto che non esiste) e soprattutto, per chi nella vita cerca di organizzare concerti e “cose” culturali, quello che succede e come succede da quelle parti.Seconda parte. Prima della partenza e il dopo.Il Salento e la Puglia quest’anno, come un po’ tutta l’Italia, hanno vissuto una crisi turistica dovuta alle carenze economiche o alla scarsa voglia di divertimento che io (forse sbagliando) ho percepito. L’estate porta con sé discussioni interminabili sul ruolo che un territorio deve svolgere per i turisti e per i propri abitanti. Le “politiche culturali” e il “meticciato” – usate a volte solo per cercare di fare scalpore e stordire l’avversario - pare siano state le parole d’ordine dell’estate 2005 (insieme

all’immancabile Sudoku). Ci sono però dei passaggi diffusi in ogni zona del mondo! I politici oltre che sponsorizzare il proprio territorio cercano di sponsorizzare loro stessi per essere rieletti e vogliono sempre la prima pagina e sono disposti anche a commentare la notizia dei canarini afoni dell’amazzonia pur di uscire in tv (e adesso datemi del qualunquista); i privati vanno dai politici a chiedere soldi per non rischiare i propri (e hanno pure il coraggio di definirsi imprenditori); gli “artisti” rivendicano spazi e tempi e denari pubblici per mettere in mostra la propria bravura (o le proprie idee, indiscutibilmente migliori di tutte le altre); gli Enti pubblici si trasformano in uffici di collocamento dello spettacolo (serbatoio infinito di voti) e non sembrano poi aperti alle richieste di chi tenta con il proprio lavoro di accogliere i turisti; alcuni esercenti fanno i furbi e cercano di mangiare il più possibile da una tavola imbandita di leccornie straniere e italiane. Insomma un cane che si morde la coda perché nel meccanismo perverso entrano (ed entriamo) tutti (sono pochi quelli esclusi). Prezzi sballati, servizi i n e s i s t e n t i , c i a l t r o n e r i e , carrozzoni da circo spacciati per novità del millennio, spettacoli di migliaia di euro preparati in fretta e furia (o solo per il finanziamento pubblico) che si trasformano in flop clamorosi. Il tutto condito dalle solite parole che

si usano per idolatrare o seppellire, per riconoscere i meriti o fare finta di nulla. Insomma l’estate 2005 va via come tutte le altre con le inutili discussioni sulla Movida (quest’anno miracolosamente sparita) e sulla sinistrorsità della Taranta (quest’anno abbondantemente finanziata dalla regione di Nichi Vendola), sulle stucchevoli polemiche per la rassegna organizzata dal Comune di Bari, considerata, da molti, senza un vero pensiero politico-culturale alle spalle ma comunque un tentativo del sindaco Emiliano e della sua giunta di ricucire uno strappo tra la politica e la società civile, tra i quartieri degradati e le giovani generazioni.Purtroppo e infine c’è la solita convinzione che il proprio territorio sia l’ombelico del mondo (con accuse incrociate di provincialismo). Che l’identità sia un valore inestimabile e a questo punto diffondibile. Ma il mondo è pieno di ombelichi, di vitalità, di proposte altrettanto pregnanti. La moda è un’altra cosa (e adesso datemi del provinciale).Il rilancio del turismo e la buona vita dei cittadini dovrebbero partire da una semplice constatazione. A ciascuno il suo ruolo. Solo così l’ospite, il turista sarà trattato da dono divino e non come merce di scambio (il più delle volte elettorale).Pierpaolo Lala

Cartolina d’inizio estate,la Regione nega il contributoal Premio Valentinodi Mauro Marino

Han fatto bene! L’estate sembra iniziare col piede giusto. E i deliri sudati troveranno giusta quiete.La funzione di pubblica utilità (come ci si augurerebbe per ogni atto che riguardi una istituzione dello Stato) non sta nel ritorno d’immagine ma nel “resto” che produce nelle comunità.Il Premio Valentino non è bene pubblico è vetrina di vanità di cui non abbiamo bisogno. Avremmo più bisogno d’un altro Rodolfo Valentino o di dare corpo ad un altro Carmelo Bene, ma sappiamo che un attore si coltiva da sé, in solitudine, nella cura della propria personalità, nell’oscillazione narcisistica ed istrionica che lo oppone al contesto culturale ed ambientale che lo genera. Celebrarli dovrebbe essere un atto di dolore che colma la mancanza d’ascolto del loro talento, tradito e spinto ad emigrare, a farsi nell’oltre della provincia, via da ogni morale ed appartenenza. Solo lì la novità può nascere, l’unico, l’irripetibile trova linfa, lontano dallo stantio, dal consueto, dall’ordinario.

Le vocazioni sono il bene comune, ed un’accorta politica culturale dovrebbe andare incontro a quelle, producendo relazioni e non vacue passerelle, occasioni di scambio e non vetrine del nulla telegenico, luoghi e spazi di formazione e di accadimento creativo e non inutili palchi moquettatti volti al poco culturale di pubblici selezionati.L’ estate di Puglia può farcela a dire no a modelli di paccottiglia televisiva, può e deve! Che la primavera è venuta ed è suo dovere essere laboratorio di cambiamento, non può tradire la spinta innovativa che l’elezione di Vendola ha posto sul piatto della politica. E la politica culturale è terreno dove verificare la validità e l’oculatezza del cambiamento dando valore alla spesa, sapendo spendere, sapendo investire oltre il momentaneo di un passaggio tv. Guardare a quel ‘minore’ finanziato con spiccioli di bilancio per cantierizzare la risorsa culturale del territorio che non sono gli impresari di spettacolo, imprenditori incapaci di rischiare in proprio senza la rete del finanziamento pubblico. Sedimentare esperienze deve essere il compito di un assessorato alla cultura in regione, ma anche nelle province e nei comuni. Assessorati di militanza critica, di controllo, di produzione. Assessorati di pratiche attive di visione e di sguardo sul divenire della qualità territoriale. L’ispirazione di Casole, dell’abbazia amanuense è ancora martoriata dal turco della superficialità e dell’imponimento mediatico, stavolta ce l’abbiamo fatta, Valentino e l’estate saranno libere dall’ingombro e dal rimorso d’aver sprecato denari. 17 luglio 2005

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Cartolina di fine estate…la Regione concede il contributoalla Notte della Taranta

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Sono nella camera dell’Hotel Bristol di Mostar, un centinaio di chilometri a sud di Sarajevo, ho acceso la tv e dopo un rapido zapping per osservare la programmazione locale, soprattutto telenovelas e soap, mi sintonizzo su Mtv. Andiamo in giro, io e Livio Romano, tutto il giorno per intervistare artisti, visitare atelier e mostre, parlare con questo o quel giornalista e la sera, dopo una rapida sosta in albergo, ci gettiamo per le strade alla scoperta della vita notturna di questa cittadina dove i segni della guerra sono ben evidenti sulle facciate butterate dei palazzi. Usciamo con un gruppo di giovani attori del Mostarski Teatar Mladih, ci portano al centro a bere qualcosa e dare un’occhiata alla fauna locale. Qui, come a Sarajevo, siamo sopraffatti da un incredibile miscuglio di stili e tendenze, le magliette della Benetton si confondono con le lunghe vesti tipicamente orientali, così come tipicamente orientali sono gli orecchini e i bracciali che indossano le ragazze; poi basta girarsi dall’altra parte e osservare due ragazze dark parlare con un ragazzo con jeans aderenti e tanto di cresta colorata e vederli passare davanti, in poche decine di metri, al minareto di una moschea e al campanile di una chiesa.È questo quel che colpisce maggiormente dei ragazzi bosniaci, sono consapevoli di far parte del mondo intero: hanno parenti e amici sparsi per il globo, con la religione hanno un rapporto intimo e spirituale (se ne impippano dei discorsi alterati di qualche barbuto) e parlano

dell’Australia o dell’America come della loro seconda casa, una seconda casa, però, difficile da raggiungere visto che il passaporto bosniaco consente di andare solo in Croazia o a Cuba.Quella sera conosco Ajla, una giovane insegnante d’inglese delle scuole medie. Mi parla della sua famiglia e della sua religione, dice di essere musulmana ma di aver ricevuto un’educazione moderna, non beve alcolici, non per la sua religione, mi dice, solo perché non le piace perdere il controllo, a dispetto delle decine di Ronhill che fuma. Andiamo in questo posto che potrebbe essere un qualsiasi disco bar di Berlino o di Amsterdam eppure quello che si balla e si suona qui dentro è la terribile Turbo Folk, i ragazzi del MTM arricciano il naso, un mix di pop e ritmi gitani, lontanissima dalle frequenze rocchettare dei nostri amici che alla prima occasione ci trascinano fuori, su una terrazza bar dove possiamo osservare Mostar dall’alto.Quando torno in camera quella sera sono agitato, mi metto a letto ma non riesco a dormire, accendo la tv e dopo essermi sorbito cinque minuti di telenovelas messicane delle quali non ci capisco nulla mi sintonizzo su Mtv e ho come un’illuminazione: sullo schermo campeggia l’ultimo rapper con i suoi pettorali fichi, circondato da uno stuolo di giovani donne seminude, ecco, in quel momento seduto sul mio letto nella mia stanza di Mostar ho capito cos’era realmente lo sguardo dei nostri amici che qualche ora prima ci avevano augurato di fare buon viaggio e di tornare presto a trovarli.

Sono stata dove il sole al tramonto si tuffa nell’acqua e tinge tutto di rosso, pensi che un giorno il mondo cominciò proprio così. Ad Hamburg, piccolo villaggio nel Eastern Cape, capo orientale del Sud Africa, a due passi dal paradiso. Il suono dell’Oceano Indiano mi svegliava e mi accompagnava per tutto il giorno, potente massa d’acqua paragonabile solo alla voce di Dio. Un’onda e una preghiera. Per la gente che ti sorride e ti saluta per strada, unica strada sterrata che dopo ore d’auto portava alla prima asfaltata. E per le stradine secondarie arrampicate verso le case della gente, lungo il Keiskamma river. Fiume immobile, tinto di rosso, me lo sono trovato intorno in un pomeriggio passato in canoa. Sono andata in Sud Africa a luglio, per venti giorni, lì era inverno, ma solo di sera. Di giorno il sole era caldo come d’estate. Sono stata invitata dalla Keiskamma Trust per insegnare a fare rose di cartapesta leccese. Sono una giornalista che ama l’arte al punto che passare dalla carta stampata alla cartapesta mi risulta un gioco. Il Keiskamma Art Project si avvale del contributo di artisti provenienti da tutto il mondo per insegnare alle donne del villaggio un’arte, un mestiere. Una vera opportunità, con la vendita dei lavori sfamano i figli e supportano i piccoli ospedali. Ora ci sono esperte del ricamo con filo e perline, per esempio. Alcuni lavori si possono ammirare nel sito ufficiale www.keiskammafriends.com. Non hanno nulla, a parte il paradiso ed un sacco di tempo. Alle prese con l’alcolismo dei loro compagni che non trovano lavoro o con la depressione, quando va bene e non c’è l’Aids contratta a causa del marito che, lontano da casa, ha trovato lavoro e altre donne. E ti sorridono e ti abbracciano. Quando distribuivo i fogli di carta mi tendevano le mani, come se distribuissi pane. Per partecipare ad un festival dovevano costruire un altare ispirato alla Vergine delle rose di Martin Schongauer: dovevano

saper fare le rose. Hanno imparato subito. Abbiamo unito le tecniche e sono nate rose di carta, stoffa e perline. Grazie a Carol Hofmeyr che mi ha voluto come unica italiana del gruppo, a Jan Chalmers e a Jachie Jezewski incontrate a Londra. La vita ha sempre più fantasia di noi. Ho visto le mucche pascolare liberamente, le capre e gli asini, le scimmie, coloratissimi pappagalli. Ho visto conchiglie che non si possono immaginare, distese di deserto sull’acqua da aver paura di perdersi. Poi ho visto un ospedale, piccolo, in attesa. In attesa di diventare più grande, troppi i malati. Alcune donne malate di Aids al mio ingresso hanno salutato e sorriso. Sembravano chiedere scusa. Carol, che è un medico, oltre che responsabile del progetto - lei mi ha insegnato che l’arte e la medicina sono le cure necessarie alla vita - si occupa di loro, insieme ad altri volontari. C’era anche un bambino di un paio d’anni e occhi da adulto, l’unico che non mi ha sorriso. In una recente e-mail dal Sud Africa mi raccontano che ha cominciato a farlo. Gioca anche sul prato del giardino. Guarda verso il sole che tinge tutto di rosso anche quando si leva, e pensi che un giorno tutto sia cominciato così.

Mostar - Bosnia

Meno Turbo Folkpiù Visti per l’esterodi Francesco Lanzo

Hamburg – Sud Africa

Rosso d’Africadi Luisa Cotardo

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Di scorci e paesaggi da cartolina Roma ne ha fin troppi. Tutti un po’ scontati, però, come se nessuno avesse il coraggio di aggiungerne di inediti, magari battendo la periferia e i quartieri più dimenticati della città. Per crearne di nuovi, poi, ci vuole un artista, un architetto e

un urbanista che sia anche un poeta. Qualcuno che sappia inventare delle forme che subito appaiono naturali, che occupano terra e cielo come se ci fossero sempre state. Renzo Piano ci è riuscito. Gli edifici del Parco della Musica sono quanto di più bello e importante sia stato fatto a Roma dopo gli anni terribili della speculazione. Ci piace anche che lo spazio aperto fra i tre grandi “coleotteri” grigi sia stato - e sia - chiamato con la serena noncuranza dei romani “cavea”. Il 22 luglio, quando Brian Wilson è salito su quel palco e le note di I Get Around si sono levate nell’aria, leggere, soffici e colorate come le nuvole di questa mutevole estate, abbiamo avuto la sensazione

che questo concerto tanto atteso e sognato sarebbe stato davvero speciale. Sembrava che Brian volesse farsi perdonare per non esser mai venuto a Roma e avesse per questo studiato apposta un “best of”: Don’t Worry Baby, Dance Dance Dance, In My Room, Surfer Girl, Break Away, Do It Again, Help Me Rhonda, California Girls, Sloop John B, Wouldn’t It Be Nice, God Only Knows, Heroes And Villains, Good Vibrations... Suonata con passione da un gruppo eccezionale, la musica arrivava a ondate, inarrestabile ed emozionante, alternando dolcezza estrema a energia incontenibile. Con Good Vibrations, la “sinfonia tascabile” di tre minuti che fu il più grande successo dei Beach Boys, Brian avrebbe voluto salutarci e andar via, ma il pubblico non ne voleva sapere e lo ha richiamato a gran voce, Brian è tornato con una sequenza micidiale di bis - Johnny B. Goode di Chuck Berry, Barbara Ann, Surfin’ USA, Fun Fun Fun - ha perfino ripreso e suonato il basso come ai vecchi tempi, poi ha riguadagnato i camerini tra applausi entusiasti e fragorosi. L’andatura un po’ incerta, l’aria un po’ smarrita ma felice. Questa fragilità che non fa nulla per nascondere - se non stando seduto dietro una tastiera che non tocca quasi mai e di cui si serve come un’estrema difesa - rende Brian Wilson ancora più caro al suo pubblico. Molti di noi avrebbero voluto abbracciarlo, quest’uomo grande e grosso di 63 anni con l’aria da bambino, dirgli che lo aspettavamo da anni o almeno stringergli la mano. Per fargli capire, non solo con il battito di mille e mille mani, che avevamo capito e che la sua musica e le sue canzoni, soprattutto quelle in cui il contrasto tra luci e ombre è più forte e marcato, ci ha aiutato e ci aiuta ad affrontare la vita con più serenità. Alla fine ci ha lasciato con Love And Mercy, che non a caso sigla sempre i concerti dal suo ritorno negli anni ‘80 e ‘90 e racchiude la sua filosofia. Pensieri, note e parole da portare nel cuore tornando a casa nella notte e da mandare anche a voi su questa cartolina.

Roma – Italia

22/07/2005 Bryan Wilsondi Giancarlo Susanna

New York - USA

Not a nice daydi Chiara Piovan

“Back in time. You’re so kind”. Cammini lungo la Broadway e nel reticolo di cartelli, insegne, segnali stradali, la scritta emerge stranamente all’altezza dei tuoi occhi. È un Blockbuster, le sue dimensioni non ti colpiscono più, dopo un po’ hai fatto l’abitudine agli spazi enormi e saturi di stimoli sensoriali ma la scritta, la scritta ti sembra che esprima qualcosa e continui a pensarci a questa pseudofilosofia americana della gentilezza a ogni costo, mentre ti fai spazio tra ondate di gente che scorre, mentre prendi velocità, che non è solo adeguare il passo ed evitare gli scontri, è il ritmo, il respiro, il battito e tutte quelle altre stronzate New Age che proprio non riesci a sopportare. Cammini e una dopo l’altra le facce entrano nel tuo campo visivo ma sono solamente impressioni fugaci; del miscuglio di gente e origini e storie confluite in questi pochi chilometri quadrati di terra che chiamano il centro del mondo – ti fermi a pensare a quell’euforia e a quella sensazione di potenza, di centralità che vedi negli occhi esaltati di quelli appena arrivati qui, come fossero immigrati sbarcati dopo un viaggio impervio per mare – di quel miscuglio incredibile ti rendi conto in modo preciso

scendendo nella subway, in mezzo alla gente sudata per il caldo da girone infernale, sulla banchina ricoperta di cicche spiaccicate ad aspettare un treno e il refrigerio dell’aria condizionata. Ma l’hai capito anche stamattina, ora che ci pensi, è stata una sensazione netta di appartenenza, è cominciata quando il tabaccaio indiano ti ha detto “Buongiorno” nella tua lingua ricevendo il dollaro quotidiano per il New York Times, è proseguita al Connecticut Muffin vicino a Central Park dove il portoricano che ti vende il caffé col ghiaccio (in un bicchierone da Coca Cola con tanto di cannuccia) è andato oltre l’ “Have a nice day” nazionale – continuamente ripetuto, ossessivo – e ti ha chiesto fino a quando ti fermerai. La frenata. È la tua stazione, scendi, il pensiero interrotto, gli occhiali che si appannano per lo sbalzo di temperatura all’esterno. Ma fuori c’è la notte di nuovo, pericolosa e affollata. E c’è la musica. Qui ascolti la musica in un modo che altrove non era tuo, è un sollievo per te questo modo facile di coinvolgimento, adori i concerti qui, capitano ovunque. Ti rendi conto che la musica permea le strade di New York

come l’odore misto di spazzatura e carne arrostita che ti nausea lievemente mentre percorri lento la fila ordinata che si snoda fino a Battery Park di fronte alla statua della Libertà. Ti senti bene, dopo, nella confusione, ti arriva anche uno sbuffo di aria di mare in mezzo a tutti quei corpi che ballano con i grattacieli alle spalle. È il quattro luglio e

sei felice mentre ascolti gli Yo la tengo, con tutta quell’energia punk e quella dolcezza jazz e quel rock movimentato che ti viene spinto addosso. Sorridi e ancora non sai. Che riproverai quella sensazione, identica e sempre diversa, ascoltando una batteria solitaria alla Grand Central Station, ballando a un concertino funky improvvisato nel giardino della New York University o ridendo per un gospel stonato sentito sulla Fifth Avenue. Non lo sai ma soffrirai per la malinconia drammatica di Anthony (and the Johnston) che accarezza e percuote il suo pianoforte, che impazzirai letteralmente per il fascino di Rufus Wainwright e per quel modo incredibile con cui Ben Folds pesta i tasti del suo pianoforte. Ancora non lo sai…Not only nice days.

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Giunge alla seconda edizione questo evento sostenuto e finanziato dalla Città di Torino e dalla Regione Piemonte: ingresso completamente gratuito per quattro giorni in tutti i luoghi del festival. Non poteva esserci un inizio migliore e, quasi a perpetuare il caldo asfissiante e lo smog appena arrivati nella città della Mole ci aspettano Throbbling Gristle, Pan Sonic e CCC CNC NCN nel luogo simbolo post-industriale dell’area metropolitana torinese, le ex-Fonderie Limone: Genesis P’Orridge, dopo il cambio di sesso, basso alla mano, riempie la scena, accanto a un Peter Christopherson “uomo della porta accanto” visto i suoi capelli brizzolati, gli occhialini e la pacatezza con cui agiva sul personal computer. Gli anni si fanno sentire: molte basi sono registrate, si riconoscono un sacco di preset e pochissima improvvisazione nonostante le parti sperimentali di Cosey Fanny Tutti alla chitarra e alla tromba.Dopo di loro all’esterno del Teatro fonderia tocca ai CCC CNC NCN, gruppo/squadra di operai edili della scena industriale di Torino. Senza un vero e proprio palco, improvvisano costruzioni e colano cemento intorno ai presenti, fra squarci techno e betoniere. La serata proseguirà con i Pan Sonic, indiscussi maestri finlandesi dell’elettronica, intenti a manipolare le loro strane scatoline del suono autocostruite. Profondi conoscitori delle loro sintesi granulari riescono a rendere bollente all’udito qualsiasi frequenza proveniente da una

fredda macchinetta di resistenze e saldature di stagno. Piacevoli, con frequenze da mal di pancia.L’indomani è soprattutto il giovedì di Aphex Twin e di Chris Cunningham. Purtroppo non mancano le classiche coincidenze e così mi ritrovo costretto a rinunciare a The Faint e Bright Eyes: scelgo la techno, con le Cocorosie da special guest. Ma il destino si accanisce e l’eccessiva rilassatezza mi fa giungere alle ultime note delle dolcissime francesi. Il re della serata è però Richard D.James: contornato da uno spettacolo multimediale diretto dallo stesso Chris Cunningham, con tanto di ballerine, per la prima volta il regista e il producer si trovano insieme sullo stesso palco. Aggressivo per tutte le quasi tre ore di performance, riesce a far perdere la concezione del tempo e dello spazio: brani vecchi come Come to Daddy sono capaci di rivoltare la terra sotto i piedi dei migliaia di corpi che si muovono come in crisi d’astinenza di fronte ad un palco immenso. Chicca finale del matto inglese un remix di pochi secondi di Rosso Relativo di Tiziano Ferro, quasi a suggellare l’agonia della musica di quest’ inizio secolo, musica a cui lui, nella notte torinese, dà il colpo di grazia. Probabilmente è più avanti di chiunque altro, probabilmente è pazzo, ma uno spettacolo cosi non si era mai visto. Dopo un delirio del genere ti aspetta solo la decompressione totale: un DJ set fino al mattino ai Murazzi del Po con Feel Good Productions dj; refrigerio per le orecchie a cercar

di far tornare l’udito a livelli normali dopo devastazioni di bpm.La terza giornata del festival è vissuta pigramente: il concerto di Carmen Consoli con Lura & Virginia Rodriguez & Jean “Binta” Breeze in un happening dedicato alle donne del Sud del mondo. Alle 21 allo Spazio 211 ci sono invece i torinesi Pertubazione e la dolcissima italo-islandese Emiliana Torrini. Scelgo la tranquillità dello Spazio 211 e la dolce Emiliana che esegue i pezzi del suo secondo album Fisherman’s Woman uscito per Rought Trade: nonostante i problemi audio di un amplificazione poco consona all’evento, il folk-rock minimalista della cantante colpisce nel segno, fresco e caldo allo stesso tempo come il timido carattere della donna, che tra un pezzo è l’altro non omette di raccontare aneddoti e vicende estive londinesi.Giornata finale con i Jaga Jazzist nel pomeriggio e i New Order previsti al Parco della Pellerina in serata. I Jaga Jazzist sono subito trascinanti: ibridano jazz, post-rock, elettronica, con un Lars Horntveth in ottima forma. Dieci polistrumentisti norvegesi sul palco per un suono che ha il sapore di Squarepusher, Stereolab, Davis, Coltrane.Traffic Free Festival chiude i battenti con l’unica data italiana dei New Order. Già nel pomeriggio il discorso era stato introdotto dalle proiezioni in prima nazionale del film sull’epopea musicale di Ma’D’chester, “24 hour Party People”, dal post-punk di fine anni settanta all’acid-house celebrata

sul dancefloor dell’Hacienda. Dopo una coinvolgente performance degli 808 state, puro spleen ibizenco ’88 circa, salgono gli dei di Manchester, introdotti da un’acida introduzione del vate Tony Wilson. Dai primi Joy Division al nuovo suono anni ottanta contaminato dall’acid house, il concerto ripercorre tutte le tappe della loro carriera. Una celebrazione. Ci aspetta ancora il set di Shaun Ryder sulle rive del Po aspettando un’altra stupenda alba torinese.

Torino - Italia

29/06/2005 Traffic Free Festivaldi Federico Baglivi

Scrivere di Arezzo Wave non è proprio facile, ci sarebbero da raccontare un bel po’ di storie e non solo musicali. Quello di cui siamo sicuri e per questo anche soddisfatti è che qualcuno ancora sale su un palco per il piacere di farlo e non solo per la fama, i soldi e l’appagamento del suo ego. Di che stiamo parlando vi chiederete? Di quello che abbiamo visto e ascoltato durante i quattro giorni di questo Love Festival. Sono stati proprio i musicisti a comunicarci questo: “Loro non pensano di fare canzoni per tutta la vita e si vede, io sì, penso sempre a scrivere”, abbiamo un po’ origliato quello che diceva Manuel Agnelli nel Bakstage dello Pshyco Stage tra un piatto di cus cus e un bicchiere d’acqua. Per la cronaca loro erano i Subsonica, che alla Mescal ultimamente non godono di molta popolarità. “Ma te pensi che io faccia questo per essere famoso?” Le domande alla fine ce l’ha fatte Giorgio, batterista degli Afterhours. E ancora Giorgio Canali che tra una sigaretta e l’altra ci ha raccontato di come abbia smesso di fare il meccanico del suono per fare solo quello che lo “sfagiolasse” e che sul palco si può anche rischiare perché una cosa non la fai per avere il consenso ma per far riflettere gli altri. Potremo anche non credere ai Negramaro, logorroici nella loro voglia di comunicare quanto fosse

vero quello che fanno. Sì, è vero, sono andati a Sanremo e sotto il palco del main stage, dal pomeriggio c’erano ragazzine pronte con striscioni e macchine fotografiche. Che dire? Anche Springsteen è andato a Sanremo e di ragazzine che correvano sul palco per baciarlo ne ha viste parecchie. Potrei continuare per dieci pagine ma il concetto è che eventi come Arezzo Wave, come il Tora Tora (apertosi proprio domenica 17 con la conclusione del Festival toscano) eliminano quella barriera tra “l’artista” - lo mettiamo tra virgolette per sottolineare l’imbarazzo con cui spesso alcuni musicisti hanno reagito ad essere chiamati così - e il pubblico, riportando il mondo della musica su un terreno più popolare da cui certi soldi facili, certe case discografiche lo hanno allontanato. Sarà che ultimamente sono le cose più elementari a sfuggirci ma ce lo ricordiamo o no che quello che sta là sopra, con il microfono davanti alla bocca, avrà tutti i meriti del mondo, ma non ci sarebbe mai arrivato senza quello che sta lì sotto e batte le mani?Ma basta con i polpettoni di saggezza e parliamo di musica. Di canzoni dal 12 al 17 luglio ne sono state suonate tante, forse anche troppe. Questo per dire che

forse anche una selezione più severa avrebbe potuto portare un minor numero di gruppi e una migliore attenzione da parte degli ascoltatori e della stampa. Soltanto nel wake up e nello pshyco stage sono girati una cinquantina di gruppi. Ci sarebbe da scrivere qualcosa su ognuno: il reggae dei Blueabeaters, l’hip hop misto drum&bass degli Instituto dal Brasile, il punk, funk dei lcd Soundsystem, quella miscela un po’ indecifrabile di rock, dance ed elettronica dei Soulwax dal Belgio, le tristi ballate cantate da quel Nick Cave androgino di Antony con i suoi Johnsons, per finire con il sano e puro rock&roll degli Afterhours.

Arezzo - Italia

12-17 luglio Arezzo Wave Love Festivaldi Lorenzo Donvito

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Di certo non siamo al cospetto della nuova fashion band inglese, niente ragazzotti bellocci ed efebici ma straripante e debordante pop di ottima fattura. La musica avanti a tutto per i The Magic Numbers che senza fronzoli ma con un singolo a presa rapida hanno fatto immediatamente parlare di sé. Parola d’ordine in questo disco è la melodia, nulla di imprescindibile per carità, di dischi come questo i nostri scaffali si affollano, dischi stagionali mi piace chiamarli, album che passano e raramente vengono riascoltati. Ma, messa da parte la data di scadenza del prodotto in questione, questo disco ha in sé un compromesso che lo rende diverso e per questo bello. I The Magic Numbers conciliano trovate spiccatamente british pop a rimandi più folk e psichedelici. La natura raminga del cantante Romeo Stodart condisce di influenze brani che sembrano palleggiare tra America e Inghilterra. Le voci, infine, sono il tratto distintivo dei The Magic Numbers, oltre al carattere di quella di Stodart gli altri due elementi femminili della band creano intrecci quasi dream che aggiungono bellezza e spessore alle aperture e alle pause di questo disco sbarazzino e romantico.

The Magic Numbers

The Magic NumbersHeavenly

di Osvaldo Piliego

Richard HawleyColes cornerMuteFosse nato negli anni 50 sarebbe un crooner e farebbe parte dei Ratpack, uscirebbe con Frank Sinatra ed Elvis e invece è l’ex chitarrista dei Pulp. Sembra un classico ma è il nuovo bellissimo disco di Richard Hawley.

B-back In timeCd ariapirataNon vengono dalla Svezia ma sono toscani, nati dalla fusione di elementi di due storici gruppi italiani Ray datona e Gloves. I B-back ci propongono un disco pieno di vagonate di fuzz, garage punk selvaggio e primitivo. Finalmente sono arrivati i veri eredi dei Sink Rose.

Marco ParenteNeve RidensMescalEsce il 16 settembre il primo dei due nuovi album di Marco Parente. Non un doppio ma due lavori diversi per umore, suoni e atmosfere. Gli album, omonimi, si distingueranno nella parte grafica del titolo: il primo avrà la parola Ridens cancellata, il secondo (in uscita a febbraio), la parola Neve.

EnriMusic performer Record kicks 2005Dopo l’esordio di Docktor zoil, un altro ex vip 200 giunge al suo primo lavoro discografico. Disco per gli amanti del funk, dell’hammond groove con ballate tenere alternate a pezzi più di matrice stomper senza tralasciare i commentatori sonori italiani come Piero Piccioni.

Era dal lontano 99 che non sentivamo parlare di loro. I più feticisti, compreso il sottoscritto, li hanno sempre seguiti, anche nel silenzio riempito da progetti paralleli e solisti. Una raccolta di singoli, il progetto Zita Swoon dell’ex bassista Stef Kamil, l’esperimento elettronico Magnus del leader Tom Barman, sono stati il lenitivo prima del nuovo album ufficiale dei Deus. La band belga, rimaneggiata nella formazione, torna, dopo The Ideal Crash con questo nuovo Pocket Revolution. Prima del trapasso al nuovo millennio ci avevano lasciato un testamento spiazzante, quasi una riflessione sul decennio vissuto da assoluti protagonisti nella scrittura di una nuova grammatica dell’indie, un rock lontano dai grandi centri, denso di idee, eclettico, spigoloso. L’idea che abbiamo avuto dall’inizio, fin dai tempi del bellissimo Worst Case Scenario del 94 era quella di un collettivo di musicisti, una fucina di voci e idee diverse confluenti in un risultato sorprendente per quegli anni. La potenza dirompente del loro sound sembrava sempre preparare un tracollo che mai arrivava, spinti fino all’estremo in un equilibrio che li rendeva rocciosi e fragili allo stesso tempo. Rumorosi e violenti riuscivano a riservarsi riflessioni ricche di dolcezza e malinconia, il violino (forse mai usato così bene nel rock se si escludono i Velvet Underground) era parte integrante di un nuovo suono che presto avrebbe segnato una nuova stagione per la musica. Il mini My Sister = My Clock del ‘95 e l’album In A Bar, Under The Sea del 96 scrivono pagine di post grunge, intagliano gemme low-fi, proseguono un cammino culminato e interrotto con The Ideal Crash. E oggi finalmente la nuova prova sulla lunga distanza. Gli anni sono passati e hanno lasciato il loro segno anche sui Deus. Barman non è più circondato da una band ma sembra esserne supportato. Un disco che esalta tutto di lui, l’eclettismo, la voce, le nuove fascinazioni più elettroniche. Ma lo zoccolo duro, l’anima di quel suono c’è ancora, la senti fin dalla prima nota e la segui in un disco che sa graffiare e accarezzare. 7 Days, 7 Weeks, primo singolo estratto arriva dopo una circolare e deflagrante apertura e ci restituisce l’anima melodica della band. A seguire una doppietta che alza tono e volume prima di una ballata tra elettronica, feedback, delay, che sembra quasi una filastrocca simil country sognante e acida, straniante in perfetto stile Deus. Tra piani e forti il disco scorre veloce e vorresti non finisse con la bellissima bossa Nothing really ends. La nuova formazione convince, interprete nuova di un suono che ancora si evolve. La sensazione alla fine è quella di un disco che non accetta omologazioni alle mode correnti, un album con una personalità che ancora ruggisce e ci auguriamo lo faccia ancora per molto. In attesa dei concerti italiani di fine novembre vi consigliamo Pocket Revolution e l’intera discografia di questa grande band.Osvaldo

DeusPocket

RevolutionV2

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Sigur RosTakkCapitoldi Osvaldo Piliego

Concerti e dischi di questa band sono sempre un evento. Questi ragazzi Islandesi sono stati capaci con pochi album di ridisegnare i confini dell’indie, sapendo calibrare sperimentalismo a eteree melodie senza tempo. Impossibile identificare la provenienza della lingua, assolutamente inventata, che usano nelle loro liriche e impossibile classificare i forti contrasti che compongono la densa amalgama delle loro canzoni. È quasi visionario ascoltare un loro disco. Li vedi lì in queste distese immense, tra ghiacci e vulcani. Lontani come se venissero da un altro pianeta, come se fossero un unico strumento che produce un suono nuovo e ricco di sfumature.Attesissimo questo nuovo Takk dopo il celestiale “()” non tradisce le aspettative di una band che solo a se stessa può essere paragonata. Più diretti senza sentire il peso della sopraggiunta major i Sigur Ros ci regalano un’ora di sogni in musica. Takk (che in islandese significa grazie) allora ai Sigur Ros per questo nuovo bellissimo disco.

I am KlootGods And MonstersEcho/Selfdi Camillo Fasulo

Giunti con Gods And Monsters al traguardo del terzo album, gli I am kloot si confermano come una delle realtà più interessanti e meno allineate della scena pop-rock britannica. Con l’esordio Natural History(2001) vennero inseriti nel fantomatico new acoustic movement. Null’altro che un maldestro tentativo di trovare, all’epoca, un successore al brit pop, fenomeno ormai in forte declino. Chiaramente un’invenzione! Quel disco era ricco di rock acustico, certo, ma anche elettrico e beatamente scassato, sicuramente più vicino all’espressione di “rock tradizionalmente britannico” tanto da far guadagnare al trio anche la definizione, abbastanza azzardata, di “Oasis in bassa fedeltà illuminati dalla fantasia di Robyn Hitchcock”. I due album successivi, l’omonimo “I Am Kloot” (2003) e il nuovissimo Gods And Monsters, aggiungono alla formula base rifiniture ed elettricità in dosi variabili ma senza modificare di molto l’attitudine musicale del trio. L’allergia per le etichette, invece, resta immutata. John Bramwell (voce e chitarre), Peter Jobson (basso) e Andrew Heargraves (batteria) sanno perfettamente come si crea e si interpreta un buon pezzo. Spaziando tra rock e folk, con una classe ed un senso artigiano che sbalordisce, non si curano minimamente di assomigliare a tutti i costi a qualcuno o a qualcosa. Gli I am Kloot sono, per farla breve, una delle poche certezze di qualità per il pop odierno. Non hanno grandi rivali in quest’ambito. Gods And Monsters conserva così le energie migliori dei nostri e nello stesso tempo aggiunge un altro importante tassello alla loro storia artistica.

Heavy TrashHeavy TrashYep Records/I.R.D.di Camillo FasuloMentre tutti arrancano appresso alla scia del garage-revival, copiando in sostanza la Blues Explosion, Jon Spencer alza il dito medio e se ne va direttamente ai primordi del rock’n’roll ed anche se il nome di questa ditta suggerirebbe ben altro, Heavy Trash è la copertura sotto la quale Mr. Spencer, accompagnato da una combriccola di sgangherati amici, ha deciso di agire. Blues & country dalla loro parte gli Heavy Trash si abbeverano direttamente alla fonte del rock’n’roll! Questo è avere le palle, altroché! Sarà pure uno scherzo Heavy Trash, forse un gruppo fittizio, di quelli da una botta e via, ma se pure fosse c’è da godere un bel po’ con questa inattesa spruzzata di godibilissimo rock’n’roll! Revival del revival, praticamente un revival al quadrato! Fantastico! Potremmo quasi definirli una rock’n’roll explosion pensando al fatto che una delle due metà di questi Heavy Trash è Jon Spencer in persona che smessi momentaneamente, forse, i panni del bluesman selvaggio si unisce a Matt Verta-Rey degli Speedball Baby, sottovalutata band newyorkese, per dar vita a questo progetto totalmente legato ai Fifties. Ad essere presi in esame qui ci sono, se ancora non si fosse capito, generi come il rockabilly ed il country rurale ma senza dimenticare la grande lezione del blues più nero e grezzo che ci sia. Tant’è che viene piuttosto facile raccomandare questo disco quale complemento ideale per sbronze, orge ed happening di vario tipo!

John HiattMaster Of DisasterNew West/I.R.D.di Giancarlo Susanna

Quando John Hiatt è in forma e si muove in una situazione che gli è congeniale, fa mangiare la polvere a chiunque lo sfidi sul terreno del rock più classico. La sua concezione del “suono americano” ci ha dato in passato dischi bellissimi, ma Master Of Disaster ci arriva come una gradita sorpresa, perché era da tempo che Hiatt non realizzava un album così incisivo. Merito suo, naturalmente, della sua voce, della sua scrittura, del suo modo di suonare la chitarra, ma anche del produttore Jim Dickinson e dei musicisti da lui convocati. Se in questo momento ci chiedessero il titolo di un disco capace di racchiudere in sé il suono di cui dicevamo, non avremmo alcuna esitazione a indicare Master Of Disaster. Prendete ad esempio Wintertime Blues. Sembra uscita da una session tra John Sebastiane, Ry Cooder, con in più la voce rauca e inconfondibile di Hiatt, che trascina la sua band in una performance davvero superlativa.Conoscenza e padronanza della musica tradizionale - folk, blues, rock’n’roll, jazz - padronanza assoluta di quello che fa, passione, ironia... in poche parole: cuore e mente al posto giusto. Cosa chiedere di più a un musicista che calca le scene da così da tanto tempo?

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Ry Cooder Chavez RavineNonesuch-2005di Lorenzo Donvito Valéry Larbaud

Altro non è rimastoAcide produzioni

Sono passati quasi 30 anni da Chicken Skin Music, un po’ meno dall’ormai ultranoto Buena Vista Social Club e Ry Cooder è sempre pronto a stupirci con una delle sue zampate di classe. Perché abbiamo citato questi due dischi? Perché probabilmente all’interno della sterminata produzione del chitarrista californiano dalle mille collaborazioni (potremo citare i Rolling Stones, ma anche Flaco Jimenez, Willie Dixon, Taj Mahal, e molti altri ancora) i due titoli sono quelli più vicini al suo nuovo progetto dal titolo di Chavez Ravine. A questo giro però il buon Ry non è andato né in Messico, Cuba o Africa. No, è tranquillamente rimasto a Los Angeles, vicino a casa sua, a Santa Monica, dedicando questi ultimi tre anni alla riscoperta del quartiere di Chavez Ravine scomparso negli anni ’50. La frenesia americana di distruggere e ricostruire continuamente parti di intere città, portò infatti alla sua estinzione, come se l’esistenza di qualcosa di vecchio potesse suggerire l’idea di povertà. E ascoltando le storie contenute nelle tracce di questo lavoro, ci rendiamo conto che il barrio messicano di Chavez Ravine sarà sicuramente stato povero, ma non per questo poco divertente o triste. Ry Cooder, recuperando alcuni musicisti di quegli anni, ha riportato alla luce un tesoro. Tra quelle case, buttate giù per far posto ad uno stadio da baseball per ricchi californiani, risuonava una musica che non ne ha voluto sapere di morire. A dimostrarcelo i 15 pezzi dell’album -molti dei quali scritti apposta- nati dal passato ma piacevolmente freschi ed attuali.

Ci sono tanti modi per approcciare il rock in italiano. I Valery Larbaud scelgono una commistione tra atmosfere decadenti e poesia (il nome stesso della band è un omaggio al critico artefice dell’incontro tra Svevo e Joyce). Affiancare alla melodia e dissonanze sembra l’artificio artistico prediletto da questa band che muovendosi in un rock di matrice noise riesce a inserire liriche che puntano in alto o in profondità a seconda di come lo si voglia intendere. Il filone seguito è quello vagamente dark o wave più nell’atmosfera che nei suoni che invece sembrano divisi tra derive americane di scuola sonic youht o più italiane ibridazioni alla Marlene. Brano portante oltre che in apertura dell’album è Dublino, diretta, con un ritornello ad effetto. La sensazione globale è quella di un progetto che non manca di personalità, una band che porta avanti un percorso sicuramente non facile, difficile è infatti distinguere in questa nuova scuola italiana figlia degli anni novanta prodotti non omologabili ad esempi precedenti). Nel caso dei Valery Larbaud gli spunti sono molti, sta a noi cercarli e a loro svilupparli.

UselesswoodentoysUselesswoodentoys

Dai Bentley Rhythm Ace, passando per Fatboyslim fino ad arrivare ai 2 Many DJ’s ho sempre provato fascinazione e curiosità per chi riesce a cat tu ra re , r imanegg ia re , amalgamare f ramment i musicali di altri e farne nuova musica. Uselesswoodentoys è il nome di questo progetto tutto italiano che poco ha da invidiare ai più blasonati colleghi stranieri. Che l’Italia in ambito elettronico non fosse solo sinonimo di house e dance cominciamo finalmente ad accorgercene e fa piacere la vitalità e la qualità di produzioni come questa. Questo lavoro è un tripudio di ritmi funk (la seconda traccia Wooden boogie è un esaltante omaggio ai Kool and the Gang) che si lasciano affascinare da cadenze hip hop, hammond groove e atmosfere da spy stories del nuovo millennio. Più si va avanti più il beat si fa lento in una wait e walk dal touch in crescendo che si muove tra la Francia degli Air e l’Inghilterra di Bristol. Jackbass quasi in fine sembra ringraziare i Chemical Brothers fino alle liquide suggestioni ambient di Corner. Una buona prova.

Traffic SoundYellow sea yearsVampi soul – 2005di Postman Ultrachic

Il limite storico del rock è stato quello di avere delle aree geografiche ben precise, trascurando autentici meraviglie provenienti dalla parti più disparate del pianeta. L’esempio lampante ci viene dato da questa antologia dedicata ad una delle band latino americane più apprezzabili degli anni 60. Questo disco recupera alcune registrazioni della MAG che vanno dal 1968 al 1971. I Traffic sound sono stati gli agitatori assoluti della scena psichedelica peruviana. Un disco ben strutturato, rock farcito da tocchi psychedelici con ritmiche influenzate dall’origine latina. Capace di evocare immagini sonore dilatate e caledoscopiche. Ascoltate Meshkalina: è un classico esempio di psychedelia andina con un incontro scatenato tra vibrafono e sax da capogiro. You got to be sure è una ballata a colori di spaventoso splendore che investe l’orecchio di una eccitazione permanente. Immaginate i Cream che giocano con il latin soul e verrà fuori Inca snow. Yellow sea years è un disco da avere assolutamente. Rispetto alle tante produzioni odierne usa e getta alcune volte bisogna fermarsi di fronte a capolavori senza tempo.

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Valentina DormeIl coraggio dei piumaFosbury

Giorgio TumaUncolored (swing ’n’ pop around rose)I dischi de l’amico immaginario 2005di Valentina Cataldo

Mentre parlava io stavo ad ascoltarlo e quasi non ci credevo. Perché da un ventisettenne non te l’aspetti mica una passione così forte per le giostre, specie quelle grandi, e il sogno di poterne comprare una un giorno, da tre miliardi. E non a caso uno dei pezzi forti del suo nuovo, primo, lavoro si intitola The Stockholm rollercoaster, la giostra più bella del parco di divertimento di Stoccolma.Giorgio Tuma esce così, con un cd intitolato Uncolored (swing’n’pop around rose) prodotto dalla nuova etichetta indipendente I dischi de l’amico immaginario e supportato dal suo silly group tra cui spicca Matilde De Rubertis dei noti Studio Davoli alla voce, suadente e convincente come sempre. Una gestazione alquanto lunga -il cd è stato registrato nel Marzo 2003- per questo lavoro dalle chiare sonorità lounge e dai toni sognanti e malinconici. Non mancano i richiami ad un bossa più fresco e leggero, come in Happiness is a stupid song, per esempio, prima traccia del disco. Grazie anche a partecipazioni importanti, come quella di Populous ospite del quarto pezzo, questo lavoro è validissimo nel suo genere, e spalanca le porte ad un nuovo talento che la giovane e attenta casa discografica ha scoperto e supportato. Mi auguro di vederlo presto dal vivo, Giorgio, magari mentre suona tra gigantesche montagne russe.

Se esistono nuove strade per la musica d’autore italiana forse quella intrapresa dei Valentina Dorme è tra le migliori possibili. Dopo

24 GranaMetaversus Edizione SpecialeLa canzonetta/Selfdi Giancarlo Susanna

La realtà dei 24 Grana nell’ambito della “nuova musica italiana” è davvero particolare. Non lo è soltanto per la notevole qualità della loro discografia, ma anche e soprattutto per la loro indipendenza. Presi sotto contratto da La canzonetta, storica casa editrice napoletana, i 24 Grana hanno dato in licenza alla CGD soltanto Metaversus. Questa edizione speciale mette riparo alla sua scomparsa dal mercato e offre come ulteriore motivo d’interesse un DVD che ripercorre la storia del gruppo. Se la situazione dei consumi culturali non fosse in Italia quel disastro che tutti conosciamo, la presenza dei 24 Grana sarebbe molto più forte. Metaversus suona ancora oggi come un’opera di passaggio in cui le varie componenti di una musica sempre vissuta con passione coabitano senza trovare un equilibrio. Quello che potrebbe essere un difetto si rivela tuttavia un pregio. Qui trovate fra l’altro quella che non è solo una delle cose migliori della bands, ma anche una delle più belle canzoni italiane degli ultimi dieci anni, “La costanza”. Se si può parlare a ragion veduta di “nuova canzone napoletana, è proprio grazie al talento del leader Francesco Di Bella e a dischi come Metaversus.

Fr LuzziHappiness is an overestimated valueArabsheepLa felicità è un valore sopravvalutato, mentre il Friuli Venezia Giulia è una regione sottovalutata dal punto di vista musicale. Lo dimostra questo disco di Francesca Luzzi che sembra figlio legittimo del New acoustic movement. Il suo stile ha rimandi diretti alla Glasgow dei Belle and Sebastian, ai The Gentle weaves di Isobell Campbell, a tutte quelle produzioni malinconiche al femminile di maternità francese e adottate dal pop acustico europeo e non solo. Il disco è dolce come la voce di Francesca, elegante negli arrangiamenti mai troppo invadenti ma ricchi e suggestivi. E scorre con un ruscello di note, a tratti quasi sussurrato questo disco adatto a questo autunno ormai alle porte. Niente di rivoluzionario sia ben chiaro ma una bella e piacevole sorpresa come il guizzo cadenzato e ritmato di Sugar family prima del finale The thorn in my side is gone con una cover di Mark Eitzel.

Il cantante lo abbiamo già visto accanto a Caparezza nel brano “Vengo dalla luna”, chi segue la scena punk probabilmente li avrà già ascoltati. I Medusa sono in pista dal 1990 e dopo una capatina in Extra Labels/ Virgin tornano al primo amore: la Dracma Records. In tanti anni di concerti e canzoni molto cambia e molto cresce. Questo nuovo Migliore Attore Non Protagonista è un album diverso rispetto alle precedenti produzioni della band, che imbocca nuove strade mantenendo un sound granitico e compatto. L’irriverenza nei testi è in pieno stile punk con un calcio alla banalità e uno a tutto il mondo. In equilibrio tra ciò che va in radio e quello che mai ci potrebbe andare, i Medusa calibrano bene i colpi in serbo, una sferzata di

MedusaMigliore Attore Non ProtagonistaDracma Records

potenza e freschezza, forse non per i puristi ma un’ottima alternativa a tutto il finto rock da classifica.

il successo di critica del precedente Capelli di Rame questo nuovo e atteso Il Coraggio dei piuma arriva come una conferma. La conferma che dopo i Diaframma, i Massimo Volume, i La Crus qualcosa si muove nel tentativo di unire testi con un certo peso specifico a nuove confezioni musicali non di tradizione. IMario Pigozzo Favero scandaglia ancora dentro di sé con parole dirette, a volte violente come quello che intorno a lui oscilla dispari prima di liberarsi in rabbiose sfuriate chitarristiche. Racconti crudi e semplici come quelli del Carver citato in copertina trovano giusta dimora in strutture musicali che riproducono il suono di oggi. Se si potesse separare musica e testi il valore sarebbe pari, se le due cose convivono così bene il valore è doppio.

AA.VV.Filati pregiati vol.2Tavolo Melega – 2005di Postman Ultrachic

Il progetto Filati pregiati, a cura del dj e musicologo Robert Passera e caratterizzato dallo stile grafico di Eric Kilkenny, giunge al suo secondo appuntamento dopo il successo ottenuto dal primo volume sia in Francia che in Giappone. Filati pregiati vuole essere una collana che analizza in tutti i suoi aspetti la cultura della cocktail generation. Mentre il primo era dedicato alla bossanova, questo volume ci trasporta verso orizzonti più variegati e stravaganti pieno di energia sottile con andamento morbido. La forza di questa compilazione è quella di unire musicisti notissimi con degli autentici sconosciuti riuscendo a creare un lavoro bilanciato, versatile e pieno di motivi di interesse. Si passa da una samba sofisticata, leggera e accattivante di Gerardo Frisina al lounge dalle influenze urbane e soffici di Raffaele Vasquez. Disco ideale con un massaggio sushi per sentirsi meno centrifugati nel rito collettivo.

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Giulio Mozzi, editor, insegnante di scrittura creativa, animatore di siti internet letterari tra i più visitati d’Italia, ma soprattutto scrittore di libri quali La felicità terrena, Il male naturale, Fantasmi e fughe, Fiction è da poco tornato nelle librerie con il suo testo d’esordio risalente al 1993, Questo è il giardino, pubblicato dalla casa editrice Sironi, per la quale lavora. Perché ripubblicarlo a dodici anni di distanza? Sentito via e-mail Mozzi ha risposto: “Perché, banalmente, le edizioni precedenti sono totalmente (Theoria del 1993) o pressoché (Oscar Mondadori del 1998) esaurite. E, ovviamente, mi fa piacere che un mio libro continui a essere “vivo”. Ma anche perché sono convinto, molto convinto, che Questo è il giardino sia un libro di valore: un libro tale, che non sarò mai più capace di scrivere niente di paragonabile”. Leggendo gli otto racconti che strutturano il testo, ciò che appare con evidenza è che Questo è il giardino è l’opera nella quale la scrittura di Giulio Mozzi coincide maggiormente con la sua vita. È il libro nel quale Mozzi si confessa in maniera totale, senza filtri o schermi letterari d’ogni sorta. In racconti come L’apprendista o Lettera accompagnatoria c’è tutto il codice genetico dell’uomo Mozzi, che nei testi successivi subirà una lenta dissoluzione in favore di un approccio più oggettivo e meno sentito del fare scrittura.

Lo scirocco è il vento che non asciuga niente. Lo sa la madre di Girolamo De Michele, lo sa la mia, lo sanno bene tutte le madri del profondo sud dello stivale. Caldo e umido, quando soffia appanna la mente, può provocare un cerchio alla testa, indurre a cali di attenzione, concentrazione e memoria.In valigia, prima di partire per il mare, ho messo questo secondo romanzo dell’autore di Tre uomini paradossali (sempre per Einaudi), in parte spinto dall’entusiasmo di un amico appena entrato nello staff della Stile Libero: “Ti piacerà, vedrai che ti piacerà!”Misteri d’Ita(g)lia. Servizi segreti. Partigiani in Guzzi. Bologna. I Pixies. Il Sud Sound System. Gli Almamegretta. Nick Cave in duetto con Shane McGowan. I cavalier, le armi, gli amori (con una roscia che si tinge i capelli, la dà negli alberghi di lusso e, se interrogata, espone meglio di Melanie Moore le differenze tra una Top Escort e una puttana da marciapiede).Un thriller agganciato alla nostra storia contemporanea come una tavola disegnata da Andrea Pazienza. Un noir epico e feroce con sbirri, assassini, sobillatori, figure grandi e piccole appese ai fili di quel Grande Romanzo Italiano inaugurato da Q di Luther Blissett e Romanzo Criminale di Giancarlo De Cataldo.L’avvio è così e così: non si capisce quasi niente, urta un po’ il calco wuminghiano della vicenda e di alcuni personaggi, si fa strada un’intuizione che rischia di farsi certezza: duecento pagine in meno di ricette culinarie, abbuffate, chinotti, alcolici e caffè assortiti non avrebbero guastato. Superato tale scoglio, l’opera affascina, entusiasma, travolge, mette addirittura la sordina ad una svista da editing (a pag. 520 l’hacker Ferodo si trasforma nel defunto Lester per una sola riga) portando il lettore all’interno di un romanzo di destini individuali e paranoie collettive, radiografia di una nazione assediata da misteri irrisolti, consegnata come un gran teatro del vuoto ad oscuri burattinai.Stragi di Stato. Aldo Moro. I soldati politici. I generali. Il lato oscuro della Forza: eredità pesante. Il fardello che la Tv di Buona Domenica e Saranno Famosi, di una scuola senza più memoria da tramandare stanno sollevando dalle spalle delle nuove generazioni. Tornano i protagonisti del libro precedente: un detective sui generis, un poliziotto non bastardo, un reduce della lotta armata che in cella si è messo a leggere Manzoni. Tre amici catapultati dagli anni ’70 nella Piazza Grande delle infinite-sempre attuali macchinazioni italiane (con propaggini internazionali, nel segno della “guerra creativa”): una scena raccontata solo in parte dalle cronache, la punta di un iceberg spesso ridotto ad innocuo ghiacciolo dall’impegno indefesso degli insabbiatori di professione.Non si fatica a riconoscere figure reali (poco) nascoste dietro nomi di fantasia (il senatore Cappas, oppure il fascio tarantino Giancarlo Ceffo, giusto per fare due esempi). Riemergono dolore e sdegno, fitte che attestano la sopravvivenza di un sentire civile, di una lotta al cancro che addormenta le coscienze.Si esce da queste pagine in silenzio. Ho chiuso il libro ricordando una volta di più che fascismo e terrorismo non possono che essere sinonimi quando le trame della storia si scrivono e si riscrivono sfruttando criminalmente le diminuzioni di attenzione, concentrazione e memoria dei popoli.Nino G. D’Attis

Giulio MozziQuesto è il giardino

Sironi 2005

di Rossano Astremo

libro del meseGirolamo De

MicheleScirocco

Einaudi - 2005

Valter BinaghiLa porta degli innocentiDario FlaccovioC’è un gioco virtuale che diventa reale e ci sono le sue vittime. Uno speculatore spiantato finito per caso in un rave in campagna e un extra comunitario senza casa né lavoro. E così cominciano le indagini.

Valerio Neri Anna e il MeccanicoMarsilioUn giovane perito meccanico, viene attirato in un perverso congegno psicologico, ideato dalla vedova Gatelli, a capo di una famiglia di imprenditori antifascisti, per sedurre la ribelle figlia Anna, innamorata di un colonnello tedesco.

Nick Hornby Non buttiamoci giùGuandaCome ritrovarsi sulla cima di un grattacielo per suicidarsi e invece diventare amici e insieme riuscire a superare le difficoltà. Con la penna ironica abituale Hornby affronta un tema difficile.

Nanni Svampa Bisogna saperle raccontare Ponte alle GrazieFermata del tram. “Scusi, l’undici passa di qui?” “No, mi spiace. L’undici sono a Venezia”. Una delle barzellette raccolte da Nanni Svampa, un maestro del cabaret che offre il meglio del suo repertorio.

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Massimo LocheLo scottante problema delle caldarrostePiccolo Vademecum per giornalisti televisivi (e non)Manni – 2005di Pedroso

Pino CasamassimaDonne di piombo. Undici vite nella lotta armataBevivino – 2005di Antonietta Rosato

CrolliMarco BelpolitiEinaudi 2005di Rita Miglietta

Undici ritratti di donne. Sono quelli delle “pasionarie” della lotta armata raccontate a partire dalla vicenda di Margherita Cagol, la prima donna terrorista caduta per mano dello Stato cui lei stessa aveva dichiarato guerra, fino ad arrivare a Nadia Desdemona Lioce, ultima in ordine di tempo ad aver imbracciato il fucile in nome dell’eversione sociale. Storie di donne diventate guerriere, protagoniste di vicende forse mai del tutto capite e sulle quali è faticoso dare un giudizio, interpreti di alcune delle pagine più scomode della storia del nostro Paese.Non si tratta di un’analisi storica del terrorismo, il libro è piuttosto un album fotografico delle donne degli anni di piombo, figure che sembrano uscire da un romanzo cruento e legate a doppio nodo da un filo rosso che sembra spezzarsi solo con il racconto di Francesca Mambro, militante neofascista, la cui storia troviamo a conclusione del libro. In realtà la cesura è solo apparente perché tutte le vicende hanno lo stesso comune denominatore: sono tutte donne che, per dirla con le parole dell’autore, “hanno verificato che l’evangelico consiglio di porgere l’altra guancia autorizzava solo chi gli schiaffi li dava a continuare nella prepotenza e che infine hanno deciso di mollarlo loro qualche ceffone”.

Sergio BianchiLa Gamba del FeliceSelleriodi Osvaldo

Quale sguardo è più limpido e sincero se non quello di un bambino, quale migliore testimone colui che non conosce compromessi, puro e semplice come la sua età, il bambino è come uno specchio, una finestra aperta e curiosa sul mondo. Ed è con questo spirito che Sergio Bianchi decide di raccontarci la sua e la nostra Italia, quella a cavallo con gli anni 60, anni importanti, di grossi cambiamenti per il nostro paese. Attraverso la descrizione del suo paesino il bambino, ci ripropone in maniera agile e leggera, tradizioni, cambiamenti sociali di un’Italia che cominciava a crescere. Divertente, minuzioso il libro è un testamento importante, una raccolta di aneddoti e storie che fanno sorridere, incuriosiscono e fanno riflettere.

Cosa ha spinto Warhol nel ’62, a riprodurre su tela, una pagina del NY Mirror con l’immagine di un incidente aereo? Perché a Berlino dopo lo smantellamento del muro, alcuni pezzi sono stati spacciati per souvenir? E perché il crollo del WTC ha assunto la dimensione di un evento più che di un fatto storico? Procedendo per frammenti, l’autore di questo piccolo libro ci racconta di letteratura, arte, cinema e media, delineando una cultura occidentale contemporanea estremista: da una parte banalità e kitch, dall’altra paura e claustrofobia. Le tele di Warhol e i souvenir del muro di Berlino, se pur da presupposti differenti, sono la medesima espressione di una <<banalità ininterrotta>>, che appiattisce e omologa tutto ciò che incontra e soprattutto il tempo. Ugualmente, le immagini dei media di catastrofi e incidenti assetano il bisogno quotidiano che qualcosa succeda per farci credere, nella paura, che il mondo va avanti; ma come suona in apertura del libro, una frase di Calvino: <<giorni di catastrofe sono tutti i giorni

Tante volte vedendo un telegiornale viene in mente “ma che cavolo vorrà dire”, come tante volte sfogliando un giornale il lettore si rende conto che alcuni termini sono assolutamente fuori luogo. Per non parlare della maldestra abitudine di fare copia e incolla dai comunicati ufficiali (non sapete come sono divertenti quelli in burocratese delle forze armate). Lo scottante problema delle caldarroste è un libro per chi vuole fare il giornalista e per chi vuole tentare di capire quella lingua forse un po’ troppo oscura che i giornalisti usano. Massimo Loche, cronista di lungo corso, attualmente a Rai News 24, firma questo agile volume, pubblicato dalla salentina Manni, diviso in due parti fondamentali. La prima presenta la lingua utilizzata nel giornalismo contemporaneo (con tutte le sue contraddizioni) e una rapida sintesi dei manualetti esistenti e delle regole basilari da seguire. La seconda parte è un vero e proprio manuale di consultazione con le regole sulla punteggiatura e sulle parole, sull’uso delle lingue straniere e sui titoli con esempi tratti da telegiornali e quotidiani.

in cui non succede nulla >>, giorni cullati da un <<rumore bianco>>, impercettibile, come racconta DeLillo.

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La 62esima Mostra del Cinema di Venezia, dopo le proiezioni, le polemiche, le serate di gala, segnerà la programmazione delle sale per le prossime settimane (per non dire mesi). Successo di botteghino (quasi) assicurato per George Clooney che è arrivato in piazza San Marco nei panni di regista impegnato con Goodnight and Good Luck con David Strathairn (miglior attore), lo stesso Clooney, Jeff Daniels, Robert Downey Jr, Patricia Clarkson. Il film si basa sulla storia vera del giornalista Edward R. Murrow che, con l’appoggio del suo editore, Fred Friendly, è riuscito a far crollare la manovra politica di terrore anti-comunista del senatore Joseph McCarthy negli Usa degli anni Cinquanta. Un film dedicato dall’attore brizzolato, vincitore morale del festival (così è stato detto) e premiato per la sceneggiatura, al padre giornalista. Chissà come andrà in Italia la storia dei cowboy omossessuali raccontata dal regista Ang Lee in Brokeback Mountain. La giuria, dopo lunghe discussioni, ha assegnato al regista de La tigre e il dragone il leone d’oro come miglior film. Ma vediamo un po’ cosa esce da Venezia.Partendo dalla Puglia segnaliamo tre produzioni girate in questa terra ricca di fascino e tradizione. Tanto per cominciare c’è Craj, il film-rivelazione di Davide Marengo presentato nella sezione Giornate degli Autori che vede la presenza nel cast di Teresa De Sio, Giovanni Lindo Ferretti e Uccio Aloisi (e tratto dall’omonimo spettacolo). Tutto inizia da un sogno fatto dal Principe Froridippo, dove un enorme ragno lo spinge a compiere un viaggio verso sud. Durante il viaggio, il principe ed il suo servo faranno tre tappe, in ognuna delle quali incontreranno e parleranno con tre dei principali maestri della musica tradizionale pugliese. Girati poi rispettivamente dalle parti di Fasano e Ostuni il primo e nel Salento il secondo sono La seconda notte di nozze di Pupi Avati e La bestia nel cuore di Cristina Comencini (vedi recensione) grazie al quale una splendida Giovanna Mezzogiorno ha conquistato la Coppa Volpi come migliore attrice protagonista. Tra gli altri film (nelle varie sezioni) sono in uscita gli italiani I giorni dell’abbandono di Roberto Faenza con Margherita Buy, Luca Zingaretti e il musicista Goran Bregovic e Mary di Abel Ferrara, una coproduzione italo statunitense, con Juliette Binoche, Matthew Modine, Forest Whitaker. In concorso erano anche il nonno del cinema mondiale Manoel de Oliveira con Espelho magico, John Turturro con Romance and Cigarettes (nel cast James Gandolfini, Kate Winslet, Susan Sarandon, Christopher Walken), la nutrita rappresentanza di produzioni provenienti dalla Francia e dal Canada (Jo o Botelho con O Fatalista Portogallo, Laurent Cantet con Vers le sud’ Francia, Patrice Chereau con Gabrielle, Philippe Garrel con Les Amants réguliers – che ha conquistato il Leone d’argento). Dall’est hanno tentato di conquistare il Leone d’oro il russo Aleksey German Jr con Garpastum, il cinese Stanley Kwan con Changhen ge, il coreano Chin-jeol-han Geum-ja-ssi di Park Chan-wook e il polacco Persona non grata firmato da Krzysztof Zanussi. Chiudono la pattuglia gli anglosassoni The Brothers Grimm di Terry Gilliam con Matt Damon, Heath Ledger, Jonathan Pryce e Monica Bellucci, Proof di John Madden con Gwyneth Paltrow, Jake Gyllenhaal, Anthony Hopkins e The Constant Gardener di Fernando Meirelles. Molte di queste pellicole sono destinate all’estinzione immediata (soprattutto in piazze piccole come Lecce) o al “confino” in rassegne di cineforum. Fuori concorso ma con grande successo al botteghino (così sperano i produttori) hanno partecipato Ron Howard con Cinderella Man (vedi recensione) e Tim Burton. Dopo il successo con Big Fish l’istrionico regista è tornato con due pellicole. A Venezia è arrivata l’animazione di Corpse Bride, firmato in coppia con Mike Johnson. Ci troviamo in un villaggio europeo del diciannovesimo secolo: qui il giovane Victor (che ha la voce e le fattezze di Johnny Depp) sta per sposare la sua amata Victoria, ma il ragazzo scoprirà presto che a reclamare il suo cuore ci sarà un’altra fanciulla, una donna come non se ne trovano tutti i giorni, sicuramente non nel regno dei vivi. Nelle sale Burton arriva con Charlie e la fabbrica di cioccolato. Insomma un autunno pieno di nuovi arrivi.

Dalla laguna alle sale

Venezia2005

Ron HowardCinderella

manBuena Vista

Il più delle volte parlando di cinema si può ascoltare la frase “In fondo è solo un film”. Ma chi era veramente James Braddock? Un pugile esageratamente più forte degli altri, una vittima della Grande Depressione o cos’altro? Ron Howard e Russel Crowe raccontano la vera storia di questo grande personaggio che incarna tutte le caratteristiche dell’americano da cartolina, tenace che non si abbatte e guarda al futuro. Strano soprannome Cinderella man per un pugile e quella di Braddock è stata in effetti proprio come quella di Cenerentola, una parabola ascendente partita dalla miseria per arrivare alla nobiltà. Da segnalare la presenza di Renée Zellweger (la moglie Mae) un po’ al di sotto delle attese e di Paul Giamatti (il manager Joe Gould) eccezionale come al solito. Incredibili le scene di battaglia che oltre a farci immedesimare nel protagonista, ci danno la sensazione di sentirne il sudore, di spostarci affannosamente sul ring, di avvertirne la sofferenza. La sofferenza di una persona che non solo accusa colpi terribili, ma anche quella di un uomo che lotta per valori veri ed universali che non possono non renderci partecipi e che non potranno che trionfare. Ed è in quel momento che mentre il sangue sgocciola dal viso e l’avversario sta per crollare al tappeto che viene da urlare “Vai Jim! Sei tutti noi”. E in fondo ci rende conto che non è solo un film.

Cristina Comencini

La bestia nel cuore

01 Distribution

Quarta prova dietro la macchina da presa per Cristina Comencini figlia d’arte e già apprezzata scrittrice che questa volta porta in sala proprio la trasposizione del suo ultimo romanzo, “La bestia nel cuore”, edito da Feltrinelli. Sabina (Giovanna Mezzogiorno) è bella, fa un lavoro che le piace e ha un compagno che ama. Tuttavia, da un po’ di tempo, strani incubi la tormentano e si domanda se è veramente felice. Quando scopre di aspettare un bambino, Sabina inizia a recuperare i ricordi legati alla sua infanzia passata in una famiglia borghese, severa e rassicurante, che nasconde però un angosciante segreto. Con l’aiuto del fratello Daniele, trasferitosi negli Stati Uniti, cercherà di recuperare la serenità e il rapporto con il suo compagno Franco (Alessio Boni). E tutto il film non è altro che la ricerca della consapevolezza di quella “bestia” che per i protagonisti ha un significato ben preciso, ma che è inevitabilmente presente in tutti noi. Quel disagio per quello che è stato o che sarà, quel senso di inadeguatezza che nasconde spesso fantasmi rimossi per il timore di affrontare a muso duro le nostre paure. La vita è un percorso a ostacoli e la Comencini cerca di darcene uno spaccato, in parte veritiero, sicuramente doloroso.

pagina a cura diC. Michele Pierri

Il Caffé Letterario riapre dopo la pausa estiva. Torna l’appuntamento con il mercoledì sonoro, che quest’anno si chiama Alta Fedeltà, e con le mostre. L’apertura è riservata a Ora o mai più di Alessandra Lupo e Emanuela Bartolotti. Info: www.caffeletterario.org

Se sei un organizzatore di eventi (teatro, cineforum, concerti, mostre, feste e tutto il resto) manda una mail a [email protected]. L’evento sarà inserito sul giornale o sul sito.

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sino al 28 settembreCaffé Letterario – Lecce

Ora o mai più

da mercoledì 14 a sabato 17Palazzo dei Celestini - Lecce

Jazzinpuglia summer 2005Due film e due concerti per la rassegna Jazzinpuglia summer 2005 organizzato dalla South Production in collaborazione con la Provincia di Lecce. In programma le proiezioni di Ray e Bird e i live di Charles McPherson e Sarah Jane. Info 0832392629.

domenica 18Martignano

Luoghi d’allertaFondo Verri presenta per il terzo anno consecutivo i viaggi artisticamente itineranti dei Luoghi d’allerta. Tra gli artisti ospiti Mattias Hermann Ibach, i Croque Mule, Elio Coriano. La rassegna si chiude il 23 a Ugento. Inizio ore 20.00. Altre info su www.coolclub.it

da lunedì 19 a sabato 24Palazzo Baronale – Novoli

Il cinema dei generiLa rassegna, organizzata da Arci Novoli e Coolclub, prevede la proiezione di film, cortometraggi, trailer, documentari. Inizio ore 19.30, ingresso gratuito. A seguire selezioni musicali di Postman Ultrachic. Sabato 24 festa finale con i dj di Coolclub. Programma completo su www.coolclub.it

sabato 1 ottobreSaletta della Cultura – Novoli (Le)

RadicantoNuova stagione di concerti per la Saletta della Cultura di Novoli. Sul palco la musica d’autore dei Radicanto che propongono una musica dal centro volutamente incerto. Quello dei Radicanto è canto tradotto. Canto che attraversa più culture, più linguaggi. Inizio ore 21.30. Info 3470414709.

dal 10 al 18 – cinemaSalento International Film Festival a Tricasedomenica 11 – musicaGiorgio Canali-Rossofuoco a Palmariggi (Le)

martedì 13 – musicaElisa a Foggiamercoledì 14 – musicaElisa a Molfetta (Ba)giovedì 15 – musicaStudio Davoli a Molfetta (Ba)

Tiromancino a Barivenerdì 16 – musicaOne Dimensional Man a Bitonto (Ba) sabato 17 - musicaFranziska in Piazza Ferrarese a BariKumenei a Cutrofiano (Le)

Shank a Vernole (Le)lunedì 19 - musicaRadiodervish a Palo Del Colle (BA)Negramaro a Copertino (Le)sabato 24 - musicaHill Metal Festival a Mottola (Ta)

venerdì 30 - musicaRadiodervish a Trani (BA) domenica 9 - musicaMoravagine a Lecce

La redazione di Coolclub.it non è responsabile di eventuali variazioni o annullamenti.Gli altri appuntamenti suwww.coolclub.itPer segnalazioni [email protected]

Da giovedì 29 settembre a domenica 2 ottobreLecceGran BazarDal 29 settembre al 2 ottobre l’ex convento dei Teatini a Lecce ospita la quinta edizione di Gran Bazar – scritture, esperienze, culture. La manifestazione, organizzata da Presidi del Libro, Libreria Icaro e Fondo Verri con il patrocinio del Comune di Lecce, nel 2005 decide di cambiare. Da banco dell’editoria e della poesia salentina, dicitura e motivazione che ha accompagnato le precedenti edizioni, diventa luogo di incontro e di approfondimento di scritture, esperienze e culture. Questa edizione sarà contraddistinta da due ‘dediche’ che ‘descriveranno’ la linea del lavoro della quattro giorni dedicata al libro e alla lettura. La prima dedica è all’opera di Franco Basaglia (in foto), uno degli esponenti di maggior rilievo della cultura contemporanea, psichiatra, artefice di quel movimento di pensiero e soprattutto di pratiche che portarono alla legge 180 che sancì la chiusura dei manicomi. Basaglia ispirerà gli incontri dedicati alle pratiche di cura e accudimento del disagio mentale ed esistenziale e all’agire culturale ed artistico come argine e strumento terapeutico. L’altra dedica è alla scrittura di Pier Paolo Pasolini di cui ricorre il trentennale della morte. Un uomo che ha fatto della scrittura uno strumento di verità e denuncia sociale, affrontando a viso aperto le strategie di rifiuto e di emarginazione che la società borghese mise in atto nei suoi confronti, fino a chiudergli la bocca con la morte. Tra gli ospiti la sociologa Maria Grazia Giannichedda; lo psichiatra Eugenio Borgna; la psicoterapeuta Ivana Castoldi; gli scrittori Osvaldo Capraro, Giordano Meacci, Antonio Errico, Mario Desiati, Giuse Alemanno, Vincenzo Camerino; i poeti Lino Angiuli, Vittorino Curci, Giuseppe Goffredo; gli editori Grazia Manni, Livio Muci, Mauro Minervino, Aldo D’Antico. Lo spazio visioni sarà a cura dell’Archivio del Cinema del Reale di Bigsur. Info: Mauro Marino_3333841113 – 0832304522 / e.mail:[email protected] - Libreria Icaro_0832241559. Il programma completo su www.coolclub.it

Riflessioni ai margini di un’estate normaleAppunti in forma di furtoExperimental remix #1Tnx to: B. M./G. L. F./G. G./L. F. C./RTC/V. B./B./D. M./D. V./V. S./P. C./S. Q.

Tornerà un altro inverno, cadranno mille petali di rose, la neve coprirà tutte le cose. Bisogna essere attenti, per essere padroni di se stessi bisogna essere attenti.Ma di mattina, quando la gente dorme, col suo normale malumore, può bastare un niente, forse un piccolo bagliore, un’aria già vissuta, un paesaggio che non so, e sto bene.Un altro paese, altra gente intorno a te, agitata in un modo un po’ bizzarro, qualche piccola vanità in meno, dispersa, qualche orgoglio che non trova più la sua ragione, la sua menzogna, la sua eco familiare, e non occorre altro, la testa vi gira, e il dubbio vi attira, e l’infinito si spalanca solo per voi, un ridicolo piccolo infinito e voi ci cascate dentro...Il viaggio è la ricerca di questo niente assoluto, di questa piccola vertigine per coglioni...I’m a gabber baby, why don’t you fuck me?Il tabacco è a seccare,e la vita cocumola fra le pentoledove donne pennute assaggiano il brodo.Ultima di una lunga serie di cleptomani

letterari(un tempo professione onorata)

Liberati i loro istinti più primitivi, gli uomini si ritrovarono abbracciati l’un l’altro a scambiare opinioni sulle strategie da adottare il giorno seguente per catturare una grossa preda. Erano felici e si sentivano l’uno il fratello dell’altro. Parlando, aspettavano il momento in cui avrebbero potuto giacere tra le braccia della propria compagna. Le donne non erano in comune, e anch’esse scambiavano commenti sulla giornata passata e su quella a venire, desiderando di poter stringere i propri compagni.Il comunismo è un pessimo istinto?i musei sono scatole solcateda alipedi furori i bar un incuboho chiesto un’ombra che non c’erae mi han guardato come fossi un ostregadove sono finite le osterie?Che tempi - mormori - sempre più confusiche trambusto di scafi e di motoriche assortita fauna sul mare.Non lasciatemi qui solo.Luglio-settembre 2005: una lunga estate calda in cerca di un po’ d’ombra in un parco conteso, con la polizia che, si sa, fa solo il proprio dovere.M’investe della sua forza il mare.Sì, d’inverno è meglio.è a questo che penso se qualcuno mi parla di rivoluzione.Mai più nessuno mi porterà nel Sud.

Dario Goffredo