corso sul reddito di impresa
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CONSIDERAZIONI GENERALI SULLA
TASSAZIONE DEL REDDITO D’IMPRESA E SULLE
IMPOSTE CHE COLPISCONO IL REDDITO
D’IMPRESA
A cura di Roberto Mattioni
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INDICE
Premessa .........................................................................................................................3
Tassazione.......................................................................................................................3
IRAP.................................................................................................................................3
IRPEF: considerazioni generali (artt. 2 e 3 tuir)................................................................4
L’IRPEF e le aziende coniugali (Art. 4 Tuir) .....................................................................5
L’IRPEF e le imprese familiari (ART. 5 comma 4 TUIR)...................................................5
L’IRPEF e le società di persone (ART. 5 TUIR) ...............................................................7
L’IRES: considerazioni generali .....................................................................................10
La stabile organizzazione (ART. 162 TUIR) ...................................................................12
I redditi prodotti all’estero (ART. 165 TUIR) ...................................................................15
IL REDDITO D'IMPRESA: Determinazione e nozione ...................................................18
L'imposta dovuta ............................................................................................................18
Nozione di reddito d'impresa (ARTT. 6, 55 , 72 TUIR) ...................................................19
La determinazione del reddito d'impresa (ART. 83 TUIR)..............................................21
Il periodo d'imposta (ARTT. 7 - 76 TUIR) .......................................................................23
Le perdite d'esercizio (ARTT. 8, 84 TUIR) .....................................................................24
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Premessa
Il nostro sistema tributario prevede che il reddito d’impresa sia soggetto a due differenti
imposte:
l’ IRPEF o l’ IRES
l’ IRAP
Le prime due imposte, ovvero l’IRPEF e l’IRES, sono alternative. Si applicherà l’una o
l’altra a seconda della veste giuridica dell’impresa.
L’IRPEF è dovuta dall’imprenditore individuale e dai soci delle società di persone, sempre
che questi siano persone fisiche.
L’IRES è dovuta dalle società di capitali.
Tassazione
Con l’entrata in vigore, il primo gennaio 2005, del TESTO UNICO DELLE IMPOSTE SUI
REDDITI, la determinazione del reddito d’impresa, per le persone fisiche e le società di
persone, segue le stesse regole previste per le società di capitali salvo, come è ovvio,
alcuni adattamenti.
Più avanti esamineremo le regole proprie dell’IRES e, di volta in volta, sottolineeremo i
casi nei quali sono previste regole particolari per le imprese individuali e per le società di
persone.
Un apposito capitolo/lezione sarà dedicata alla determinazione del reddito nel caso di
imprese individuali e società di persone in contabilità semplificata.
IRAP
L’IRAP è dovuta da tutte le imprese qualunque sia la loro veste giuridica.
Le regole per la determinazione del reddito d’impresa ai fini IRPEF/IRES e IRAP non
sempre coincidono. Ma ce ne occuperemo meglio in seguito.
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IRPEF: considerazioni generali (artt. 2 e 3 tuir)
Abbiamo osservato che l’applicazione dell’IRPEF o dell’IRES dipende dalla veste giuridica
dell’impresa.
Ora cerchiamo di fare qualche precisazione sul funzionamento di queste due imposte,
partendo dall’IRPEF.
Si è detto che l’IRPEF è dovuta dagli imprenditori individuali e dai soci delle società di
persone nel caso esse siano persone fisiche. L’IRPEF è un’imposta a carattere personale
e globale. È personale in quanto riguarda la persona fisica e globale perché si applica sul
reddito complessivo della persona fisica, cioè, sulla somma di tutti i suoi redditi.
Di conseguenza l’imprenditore individuale applica l’IRPEF non solo sul reddito d’impresa
prodotto, ma su tutti i redditi da lui percepiti nel periodo d’imposta: redditi fondiari, redditi di
capitale, redditi di lavoro dipendente, redditi di lavoro autonomo, redditi diversi e
ovviamente anche redditi d’impresa. Inoltre egli è tenuto a pagare l’IRPEF, non solo su
tutti i redditi prodotti, ma anche a prescindere dal luogo in cui sono stati prodotti, quindi
anche se prodotti all’estero. Questo principio prende il nome di principio di tassazione del
reddito mondiale. Questa regola si applica inoltre nel caso in cui l’imprenditore individuale
è residente nel territorio dello Stato. Nel caso di persone fisiche non residenti nel territorio
dello Stato, l’IRPEF si applica solamente sui redditi prodotti nel territorio dello Stato.
Questo principio prende, invece, il nome di principio di territorialità. (Art. 2 e 3 TUIR)
La persona fisica non residente produce nel territorio dello Stato italiano un reddito
d’impresa nel caso in cui esercita un’attività d’impresa nel territorio dello Stato mediante
una stabile organizzazione. Su questo concetto, di stabile organizzazione, torneremo
meglio in seguito.
Torniamo alle persone fisiche residenti e cerchiamo di capire quando una persona fisica
può essere considerata residente nel territorio dello Stato.
E’ residente la persona fisica che, per la maggior parte del periodo d’imposta, è iscritta
nelle anagrafi della popolazione residente, o in alternativa, ha nel territorio dello Stato il
domicilio o la residenza ai sensi del codice civile.
A questo proposito ricordiamo che il codice civile precisa che il domicilio di una persona è
nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi, mentre la
residenza è nel luogo in cui la persona dimora abitualmente (ART. 43 c.c.). Inoltre si
considerano residenti i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente
ed emigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato.
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Il requisito dell’iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente o del domicilio o della
residenza deve sussistere per la maggior parte del periodo d’imposta: quindi per 183
giorni o, 184 nel caso di anno bisestile (cioè metà anno +1 giorno). Non è richiesto dalla
norma che tale periodo sia continuativo.
L’IRPEF e le aziende coniugali (Art. 4 Tuir)
La Legge n. 151 del 1975 ha introdotto il nuovo diritto di famiglia. Per tutti i soggetti che
hanno contratto il matrimonio dopo l’entrata in vigore di tale legge, ovvero dopo il 20
settembre 1975 il regime legale della famiglia è la comunione legale, salvo che i coniugi
non abbiano stipulato una diversa convenzione.
Per espressa previsione di legge rientrano nel regime di comunione legale le aziende
gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio. La comunione si estende sia
alla proprietà che agli utili. Se invece, l’azienda è gestita da entrambi i coniugi ma è stata
costituita da uno solo di essi prima del matrimonio, la comunione riguarda i soli utili e gli
incrementi acquisiti dopo il matrimonio.
Non si ha comunione legale nel caso di aziende gestite da uno solo dei coniugi. Da un
punto di vista fiscale l’azienda coniugale è un’azienda che determina il reddito d’impresa
seguendo le regole proprie dell’IRPEF. Inoltre, i redditi dei beni che formano oggetto della
comunione legale sono imputati a ciascuno dei coniugi per la metà del loro ammontare
netto. Questo significa che nel caso di aziende gestite da entrambi i coniugi, sia nel caso
in cui tali aziende sono state costituite dopo il matrimonio che nel caso in cui esse sono
state costituite prima del matrimonio, gli utili conseguiti, sono ripartiti tra i coniugi al 50%.
Tuttavia è prevista la possibilità di ripartire i redditi conseguiti dalle aziende coniugali per
quote diverse tra i coniugi purché esse siano fissate in apposite convenzioni matrimoniali.
L’IRPEF e le imprese familiari (ART. 5 comma 4 TUIR)
Determinano il reddito d’impresa, seguendo le regole proprie dell’IRPEF anche le imprese
familiari. L’impresa familiare è un’impresa individuale caratterizzata dalla collaborazione
dei familiari dell’imprenditore.
L’imprenditore, in qualità di titolare dell’impresa:
determina il reddito conseguito dall’impresa;
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presenta la dichiarazione dei redditi con riferimento al suo reddito complessivo,
compreso il reddito d’impresa;
attribuisce parte di detto reddito ai familiari collaboratori.
L’IRPEF dovuta dal titolare è calcolata sul suo reddito complessivo tenuto conto che il
reddito d’impresa concorre a formare il reddito complessivo per la parte che residua dopo
l’attribuzione della quota di utili ai familiari collaboratori.
Ciascun familiare collaboratore dichiara il proprio reddito complessivo ivi compresa la
quota di partecipazione al reddito d’impresa di sua spettanza.
Cerchiamo, ora di comprendere meglio le regole che disciplinano l’impresa familiare.
Ricordiamo che la nozione di impresa familiare è contenuta nel Codice civile, all’art. 230-
bis. Tuttavia la nozione civilistica di impresa familiare non sempre coincide con quella
fiscale.
Secondo il Codice civile si ha un’impresa familiare nel caso in cui il familiare
dell’imprenditore presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o
nell’impresa familiare, ciò a meno che non sia configurabile un diverso rapporto di lavoro,
ad esempio esiste un rapporto di lavoro dipendente tra familiare e imprenditore.
Come contropartita alla prestazione del lavoro il familiare ha diritto:
al mantenimento – secondo la condizione patrimoniale della famiglia;
alla partecipazione agli utili – in proporzione alla quantità e alla qualità del lavoro
prestato. Il diritto di partecipazione agli utili si estende anche ai beni acquistati con
gli utili;
agli incrementi dell’azienda anche in ordine all’avviamento - in proporzione alla
quantità e alla qualità del lavoro prestato.
Diversa è la nozione fiscale di impresa familiare.
Per il fisco l’impresa familiare è quella nella quale il familiare dell’imprenditore presta
in modo continuativo e prevalente la sua attività di lavoro nell’impresa. Da un punto di vista
fiscale si può parlare di impresa familiare solamente nel caso in cui il familiare presti la
propria opera nell’impresa: quindi non si può parlare di impresa familiare con riferimento al
lavoro prestato nella famiglia. Inoltre il lavoro del familiare nell’impresa deve essere, non
solo continuativo, ma anche prevalente. Ne consegue che il familiare che svolge in modo
prevalente attività di lavoro dipendente non può essere considerato collaboratore
dell’impresa familiare, così come il familiare che svolge in modo prevalente un’attività
d’impresa o di lavoro autonomo.
Le norme fiscali intervengono a disciplinare le modalità di partecipazione agli utili dei
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familiari. Posto che il familiare presti la propria opera in modo continuativo e prevalente
nell’impresa, egli potrà partecipare agli utili in proporzione alla quantità e alla qualità del
lavoro prestato. Va precisato, però, che complessivamente le quote attribuite a tutti i
familiari che partecipano all’impresa non possono eccedere il 49% degli utili conseguiti.
Questo significa che tale percentuale potrà essere anche inferiore al 49% degli utili
conseguiti, ma non potrà mai superare tale limite.
Ricordiamo che sono considerati familiari dell’imprenditore, il coniuge, i parenti entro il
terzo grado e gli affini entro il secondo grado. Per poter imputare il reddito dell’impresa ai
familiari che collaborano ad essa è necessario che:
l’impresa familiare sia costituita con un atto pubblico o con una scrittura privata a
firme autenticate;
che tale atto sia stipulato prima dell’inizio del periodo d’imposta;
che dall’atto risultino nominativamente i familiari collaboratori e il rapporto di
parentela o affinità con l’imprenditore;
che l’atto sia sottoscritto dall’imprenditore e dai familiari collaboratori.
Non è necessario, invece, che le quote di partecipazione all’impresa familiare siano
stabilite preventivamente: di conseguenza esse possono essere determinate alla fine
dell’esercizio. Ciò è la conseguenza logica della necessità che le quote di partecipazione
agli utili siano proporzionali alla quantità e alla qualità del lavoro effettivamente prestato
dal familiare nell’impresa.
Inoltre l’imprenditore deve indicare, nella propria dichiarazione dei redditi:
le quote di partecipazione agli utili spettanti ai familiari;
deve attestare che le quote stesse sono proporzionate alla qualità e quantità del
lavoro effettivamente prestato dal familiare nell'impresa, in modo continuativo e
prevalente, nel periodo di imposta.
Ogni familiare, invece, dovrà attestare nella propria dichiarazione dei redditi, di aver
prestato la propria attività di lavoro nell'impresa in modo continuativo e prevalente.
L’IRPEF e le società di persone (ART. 5 TUIR)
Si è detto che sono soggetti all’IRPEF anche i redditi prodotti da talune società. In
particolare possono produrre reddito d’impresa:
- le società in nome collettivo;
- le società in accomandita semplice;
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- le società di armamento;
- le società di fatto esercenti attività commerciali;
Per queste società il reddito d’impresa è determinato seguendo le regole proprie
dell’IRPEF.
Anche per le società di persone vale la regola che:
nel caso di società residente, l’IRPEF si applica su tutti i suoi redditi ovunque
prodotti, quindi anche sui redditi prodotti all’estero dalla società;
mentre nel caso di società non residenti, l’IRPEF si applica solamente sui redditi
prodotti nel territorio dello Stato.
Le società di persone sono residenti se, nella maggior parte dell’anno hanno sede legale o
amministrativa o l’oggetto principale nello Stato.
L'oggetto principale è determinato in base all'atto costitutivo, se questo esiste ed è redatto
in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata. In mancanza di tale atto o se
esso non risulta da atto pubblico o scrittura privata autenticata è determinato in base
all'attività effettivamente esercitata.
Alle società di persone residenti nel territorio dello Stato si applica il cosiddetto regime
della trasparenza, ovvero i redditi prodotti da queste società, e determinati secondo le
regole proprie dell’IRPEF, sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dalla
percezione, proporzionalmente alla propria quota di partecipazione agli utili. Quindi la
società non paga l’IRPEF. Essa determina il reddito d’impresa, presenta la dichiarazione,
ma l’imposta è dovuta dai soci.
Quindi, se la società ha concluso l’esercizio con un utile esso è ripartito tra i soci per la
tassazione ai fini del tributo personale sia che l’utile sia distribuito ai soci, sia che esso
venga trattenuto nell’impresa.
Allo stesso modo, se la società conclude l’esercizio con una perdita questa viene attribuita
ai soci in proporzione alle quote di partecipazione. Le quote di partecipazione agli utili si
presumono proporzionali al valore dei conferimenti dei soci, a meno che non sia stabilito
diversamente nell’atto costitutivo o in un successivo atto pubblico o in una scrittura privata
a firme autenticate.
Esempio:
La snc A ha un capitale sociale di 100.000 euro. Ad essa partecipano tre soci: il socio
Rossi che ha conferito 60.000 euro, cioè il 60% del capitale sociale e il socio Bianchi che
ha conferito 25.000 euro, cioè il 25% del capitale sociale;
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socio Verdi che ha conferito 15.000 euro, cioè il 15% del capitale sociale.
Supponiamo, inoltre, che la società ha conseguito nel 2005 un utile di 200.000 euro,
l’utile andrà così ripartito:
socio Rossi 120.000 euro di utile cioè il 60% dell’utile;
al socio Bianchi spetta un utile di 50.000 euro cioè il 25% dell’utile;
al socio Verdi spetta un utile di 30.000 euro cioè il 15% dell’utile;
Tuttavia l’atto costitutivo potrebbe stabilire delle quote di partecipazione agli utili non
proporzionali alle quote dei conferimenti. Ad esempio l’atto costitutivo stabilisce che:
o il socio Rossi ha una partecipazione agli utili del 50%
o il socio Bianchi ha una partecipazione agli utili del 30%
o il socio Verdi ha una partecipazione agli utili del 20%.
Posto che la società ha conseguito nel 2005 un utile di 200.000 euro.
Avremo la seguente situazione:
Al socio Rossi è imputato un utile di 100.000 euro (200.000 x 50%).
Al socio Bianchi è imputato un utile di 60.000 euro (200.000 x 30%).
Al socio Verdi è imputato un utile di 40.000 euro (200.000 x 20%).
Supponiamo ora che nell’atto costitutivo non siano determinati né il valore dei
conferimenti, né le quote di partecipazione agli utili. In questo caso l’utile va ripartito in
parti uguali tra i soci.
Ad esempio, l’atto costitutivo della snc A non stabilisce né il valore dei conferimenti dei
soci, né le quote di partecipazione agli utili. Si procede allora nel modo seguente:
Supponiamo che l’utile conseguito dalla società nel 2005 è pari a 300.000 euro avremo:
socio Rossi 100.000 euro di utile
socio Bianchi 100.000 euro di utile
socio Verdi 100.000 euro di utile
Come si è detto le quote di partecipazione agli utili possono essere stabilite, oltre che
dall’atto costitutivo anche da un atto pubblico o da una scrittura privata autenticata
successivi rispetto all’atto costitutivo. Tuttavia tale atto pubblico o scrittura privata dovrà
avere data anteriore rispetto all'inizio del periodo di imposta.
Vediamo cosa accade nel caso di variazione delle quote di partecipazione agli utili dei soci
di una società di persone.
A tale proposito occorre distinguere due ipotesi:
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i soci intendono variare le quote di partecipazione agli utili ad essi attribuite, mentre
rimangono invariati i soci che formano la società;
i soci intendono variare le quote di partecipazione agli utili attribuite ai soci in
quanto si è verificato l’ingresso di nuovi soci o la fuoriuscita di vecchi soci (come
accade nel caso di cessione della partecipazione, morte, esclusione, recesso).
Nel primo caso, ovvero se i soci rimangono gli stessi, occorre porre in essere un atto
pubblico o una scrittura privata autenticata i cui effetti si produrranno a partire dal periodo
d’imposta successivo a quello di redazione dell’atto.
Nel secondo caso, ovvero se c’è stato il cambiamento del numero dei soci, la variazione
delle quote di partecipazione agli utili ha effetto immediato a partire dall’esercizio in cui
essa si verifica.
Se socio della società di persone è una persona fisica residente nel territorio dello Stato,
egli calcolerà l’IRPEF dovuta tenendo conto di tutti i redditi prodotti e non solo del reddito
d’impresa derivante dalla partecipazione alla società.
Se la partecipazione è assunta dalla persona fisica residente in qualità di imprenditore, la
quota di reddito a lui spettante dalla partecipazione alla società concorre a formare il suo
reddito d’impresa. Se socio della società di persona dovesse essere una società di capitali
residente essa paga l’IRES su tutti i redditi prodotti incluso quello derivante dalla
partecipazione alla società semplice o alla società di persone.
Le ritenute d’acconto subite dalla società e gli eventuali crediti d’imposta spettanti alla
società sono attribuiti ai soci nella stessa misura in cui sono attribuiti i redditi.
I redditi prodotti in Italia dalle società di persone non residenti sono soggette ad IRES
come vedremo meglio tra breve.
L’IRES: considerazioni generali
Determinano il reddito d’impresa, seguendo le regole proprie dell’IRES:
o le società per azioni, le società in accomandita per azioni, le società a
responsabilità limitata, le società cooperative e le società di mutua assicurazione
residenti nel territorio dello Stato;
o gli enti pubblici e privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che
hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali;
o gli enti pubblici e privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che
non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali;
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o le società e gli enti di ogni tipo, con o senza personalità giuridica, non residenti nel
territorio dello Stato. Tra le società non residenti soggette ad IRES si comprendono
sia quelle dotate di personalità giuridica che quelle prive di personalità giuridica.
Dunque sono soggetti ad IRES, come abbiamo già detto in precedenza, anche i redditi
prodotti dalle società di persona non residenti in Italia.
La Finanziaria 2007 ha previsto che sono soggetti passivi IRES anche i Trust.
In particolare sono soggetti passivi IRES:
i trust, residenti nel territorio dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o
principale l'esercizio di attività commerciali (art. 73 TUIR comma 1 lettera b);
i trust, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o
principale l'esercizio di attività commerciali (art. 73 TUIR comma 1 lettera c);
i trust, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato (art.
73 TUIR comma 1 lettera c).
Nei casi in cui i beneficiari del trust siano individuati, i redditi conseguiti dal trust sono
imputati in ogni caso ai beneficiari in proporzione alla quota di partecipazione individuata
nell'atto di costituzione del trust o in altri documenti successivi ovvero, in mancanza, in
parti uguali (art. 73 TUIR comma 2).
Nel nostro corso ci occuperemo essenzialmente delle società di capitali.
Anche nel caso dell’IRES, la residenza della società o dell’ente è determinata con le
medesime regole viste per l’IRPEF relativamente alle società di persone.
Pertanto, si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo
di imposta hanno la sede legale o la sede dell'amministrazione o l'oggetto principale nel
territorio dello Stato.
Per quanto concerne, invece, l'oggetto esclusivo o principale della società o dell’ente è
determinato con due criteri alternativi:
in base a quanto stabilito dalla legge;
o in alternativa
in base a quanto stabilito dall'atto costitutivo o dallo statuto. In questa seconda
ipotesi è necessario che l’atto costitutivo o lo statuto siano redatti sotto forma di atto
pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata.
Nel caso in cui l’oggetto dell’attività non è stabilito dalla legge e manca un atto costituito o
uno statuto redatti nelle forme prescritte dalla legge, l’oggetto principale è determinato in
base all'attività effettivamente esercitata nel territorio dello Stato.
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L’oggetto dell’attività degli enti non residenti è sempre determinata facendo riferimento
all’attività effettivamente esercitata nel territorio dello Stato.
L’oggetto principale della società o dell’ente non è altro che l'attività essenziale per
realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dall'atto costitutivo o dallo
statuto.
Il D.L. 233/2006 ha introdotto una presunzione legale di residenza relativa alle holding.
Si considerano residenti nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione di società ed
enti che detengono direttamente partecipazioni di controllo in società di capitali ed enti
commerciali residenti quando, alternativamente:
o sono controllati, anche indirettamente, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma del
codice civile, da soggetti residenti nel territorio dello Stato;
o sono amministrati da un consiglio di amministrazione o altro organo di gestione
equivalente, formato in prevalenza da consiglieri residenti nel territorio dello Stato.
Contro tale presunzione è ammessa prova contraria.
Anche per i soggetti IRES vale la regola che, nel caso di soggetti residenti sono
assoggettati ad imposizione in Italia tutti i redditi ovunque prodotti, mentre nel caso di
soggetti non residenti sono assoggettati ad imposizione in Italia soltanto i redditi prodotti
sul territorio nazionale.
Quindi una società o un ente non residente in Italia che consegue dei redditi sul nostro
territorio è tassato nel nostro Paese per il reddito ivi conseguito e ciò, indipendentemente
dal fatto che per la stessa ricchezza tale società od ente possa essere assoggettato ad
imposizione anche nel proprio Paese di residenza.
Invece, il reddito prodotto in un Paese estero, anche diverso da quello di residenza, da
società non residente non potrà mai essere assoggettato a tassazione in Italia.
La stabile organizzazione (ART. 162 TUIR)
Come si è affermato in precedenza, nel caso di soggetti non residenti (sia essi persone
fisiche che società), il reddito prodotto in Italia è determinato secondo le regole del reddito
d’impresa qualora essi esercitano nel nostro paese l’attività per mezzo di una stabile
organizzazione.
Definire, quindi, cos è una stabile organizzazione è fondamentale per comprendere se il
reddito d’impresa prodotto da un non residente nel territorio dello Stato è tassabile in Italia.
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La nozione di stabile organizzazione è contenuta nell’art. 162 del Testo unico delle
imposte sui redditi. Prima della riforma del diritto tributario il TUIR non prevedeva
un’esplicita definizione di stabile organizzazione.
L’articolo in questione contiene una definizione generale di stabile organizzazione. Questa
espressione indica una sede fissa di affari per mezzo della quale l'impresa non residente
esercita in tutto o in parte la sua attività sul territorio dello Stato.
Quindi, i requisiti essenziali, perché si possa parlare di stabile organizzazione sono:
o esistenza di una sede fissa di affari;
o l’impresa non residente deve esercitare in tutto o in parte la sua attività per mezzo
di questa sede d’affari.
La sede d’affari deve essere fissa, quindi affinché si parli di stabile organizzazione è
necessaria una stabilità di tale sede. Inoltre tale sede deve avere lo scopo di gestire gli
affari dell’impresa non residente.
Lo stesso articolo disciplina una serie di fattispecie positive e negative. Le prime sono
ipotesi che, per legge, configurano l’esistenza di una stabile organizzazione.
Così possiamo affermare che l'espressione stabile organizzazione comprende:
a. una sede di direzione;
b. una succursale;
c. un ufficio;
d. un'officina;
e. un laboratorio;
f. una miniera, un giacimento petrolifero o di gas naturale, una cava o un altro luogo
di estrazione di risorse naturali, anche in zone situate al di fuori delle acque
territoriali in cui, in conformità al diritto internazionale consuetudinario ed alla
legislazione nazionale relativa all'esplorazione ed allo sfruttamento di risorse
naturali, lo Stato può esercitare diritti relativi al fondo del mare, al suo sottosuolo ed
alle risorse naturali.
Le fattispecie negative sono ipotesi nelle quali non può parlarsi di stabile organizzazione.
Così la legge prevede che una sede fissa di affari non è, comunque, considerata stabile
organizzazione se:
a. viene utilizzata un’installazione ai soli fini di deposito, di esposizione o di consegna
di beni o merci appartenenti all'impresa;
b. i beni o le merci appartenenti all'impresa sono immagazzinati ai soli fini di deposito,
di esposizione o di consegna;
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c. i beni o le merci appartenenti all'impresa sono immagazzinati ai soli fini della
trasformazione da parte di un'altra impresa;
d. una sede fissa di affari è utilizzata ai soli fini di acquistare beni o merci o di
raccogliere informazioni per l'impresa;
e. una sede fissa di affari viene utilizzata ai soli fini di svolgere, per l'impresa, qualsiasi
altra attività che abbia carattere preparatorio o ausiliario;
f. una sede fissa viene utilizzata ai soli fini dell'esercizio combinato delle attività sopra
menzionate, purché l'attività della sede fissa nel suo insieme, quale risulta da tale
combinazione, abbia carattere preparatorio o ausiliario.
Ancora, non costituisce di per sé stabile organizzazione la disponibilità a qualsiasi titolo di
elaboratori elettronici e relativi impianti ausiliari che consentano la raccolta e la
trasmissione di dati ed informazioni finalizzati alla vendita di beni e servizi.
Inoltre, non costituisce stabile organizzazione dell'impresa non residente il solo fatto che
essa eserciti nel territorio dello Stato la propria attività per mezzo di un mediatore, di un
commissionario generale, o di ogni altro intermediario che goda di uno status
indipendente, a condizione che dette persone agiscano nell'ambito della loro ordinaria
attività.
E infine, non costituisce stabile organizzazione dell'impresa il solo fatto che la stessa
eserciti nel territorio dello Stato la propria attività per mezzo di un raccomandatario
marittimo o di un mediatore marittimo che abbia i poteri per la gestione commerciale o
operativa delle navi dell'impresa, anche in via continuativa.
Sono poi previste una serie di ipotesi particolari. Così un cantiere di costruzione o di
montaggio o di installazione, ovvero l'esercizio di attività di supervisione ad esso
connesse, è considerato «stabile organizzazione» soltanto se tale cantiere, progetto o
attività abbia una durata superiore a tre mesi.
E ancora costituisce una stabile organizzazione dell'impresa il soggetto, residente o non
residente, che nel territorio dello Stato abitualmente conclude in nome dell'impresa stessa
contratti diversi da quelli di acquisto di beni.
Infine, il fatto che un'impresa non residente con o senza stabile organizzazione nel
territorio dello Stato controlli un'impresa residente, ne sia controllata, o che entrambe le
imprese siano controllate da un terzo soggetto esercente o no attività d'impresa non
costituisce di per sé motivo sufficiente per considerare una qualsiasi di dette imprese una
stabile organizzazione dell'altra.
Le società e gli enti commerciali con stabile organizzazione nel territorio dello Stato
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determinano il reddito prodotto in Italia secondo le disposizioni relative all’IRES sulla base
di un apposito conto economico relativo alla gestione delle stabili organizzazioni e alle
altre attività produttive di redditi imponibili in Italia. Unica eccezione è rappresenta dalle
società semplici.
I redditi prodotti all’estero (ART. 165 TUIR)
In precedenza abbiamo affermato che i redditi prodotti all’estero concorrono alla
formazione del reddito dell’impresa residente. Accenniamo ora brevemente a come
avviene la tassazione del reddito complessivo nel caso in cui esso comprenda anche
redditi tassati all’estero.
La regola generale è che i redditi prodotti e tassati all’estero non sono esclusi da
imposizione in Italia. Ovviamente, trattandosi di una regola generale, essa presenta delle
eccezioni.
L’impresa residente che produce parte dei suoi redditi all’estero, si trova, dunque a pagare
su questi redditi una prima volta l’imposta nel paese in cui il reddito è stato prodotto e una
seconda volta in Italia.
Al fine di evitare la doppia imposizione dello stesso reddito è riconosciuto all’impresa un
credito per le imposte sui redditi versate all’estero a titolo definitivo. E’ importante
sottolineare che il credito d’imposta è riconosciuto per imposte pagate all’estero a titolo
definitivo, cioè per imposte per le quali non c’è la possibilità di rimborso. Il credito consiste
nella possibilità di detrarre, dalle imposte dovute in Italia (sia nel caso di IRPEF che di
IRES), le imposte pagate all’estero sui redditi qui prodotti.
La detrazione delle imposte assolte all’estero è ammessa nei limiti della quota d’imposta
italiana corrispondente al rapporto tra reddito estero e reddito complessivo.
Esempio:
Una società ha prodotto in Italia un reddito di 5.000 euro e all’estero un reddito di 1.000
euro. Il reddito complessivo prodotto ammonta a 6.000 euro. La società paga in Italia
l’IRES su 6.000 euro pari a 1.980 euro (come vedremo nella prossima lezione l’IRES
ammonta al 33% del reddito imponibile, quindi nel nostro caso è pari al 33% di 6.000
euro). La stessa società ha pagato all’estero, sui 1.000 euro ivi prodotti, un’imposta di 300
euro.
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Le imposte pagate all’estero attribuiscono un credito d’imposta.
La detrazione delle imposte pagate all’estero deve essere calcolata nel modo seguente:
imposta italiana x (Reddito prodotto all’estero/Reddito complessivo).
Nel nostro caso questo rapporto è pari a :
1.980 x (1.000/ 6.000) = 330 euro
Il credito massimo attribuibile ammonta a 330 euro. Poiché l’imposta pagata all’estero è
inferiore a tale limite, essendo pari a 300 euro, il credito d’imposta è riconosciuto per
l’intera imposta pagata all’estero.
Nel calcolo appena visto il reddito complessivo va assunto al netto di eventuali perdite
riportate a nuovo. L’imposta assolta all’estero in un determinato periodo d’imposta, che
non trova capienza nella relativa quota di imposta italiana può essere detratta nel
medesimo periodo d’imposta a condizione che nei periodi d’imposta precedenti, sino
all’ottavo, vi sia un’eccedenza della quota di imposta italiana relativa al reddito estero.
Torniamo all’esempio precedente.
Esaminiamo cosa può accadere nel corso del tempo alla stessa società residente in Italia
che produce parte del reddito all’estero. Nel primo esercizio, dunque, la società ha
prodotto in Italia un reddito di 5.000 euro e all’estero un reddito di 1.000 euro. Il reddito
complessivo prodotto ammonta a 6.000 euro.
La società paga in Italia l’IRES su 6.000 euro pari a 1.980 euro (33% x 6.000). La stessa
società ha pagato all’estero, sui 1.000 euro ivi prodotti, un’imposta di 300 euro.
Abbiamo detto che il credito d’imposta massimo utilizzabile ammonta a 330 euro. Il credito
d’imposta effettivamente spettante ammonta a 300 euro pari alle imposte effettivamente
pagate all’estero.
Nel secondo esercizio la società ha prodotto in Italia un reddito di 4.500 euro e all’estero
un reddito di 1.500 euro. Il reddito complessivo prodotto ammonta a 6.000 euro. La società
paga in Italia l’IRES su 6.000 euro pari a euro 1.980 (33% x 6.000). La stessa società ha
pagato all’estero, sui 1.500 euro ivi prodotti, un’imposta di 450 euro. Il credito d’imposta
massimo che può essere riconosciuto è pari a:
1.980 x (1.500/ 6.000) = euro 495
Il credito effettivamente spettante alla società ammonta a 450 euro, cioè alle imposte
effettivamente pagate all’estero.
Ipotizziamo ora che nel terzo esercizio la società subisca in Italia una perdita pari a 1.000
euro, mentre all’estero essa ha conseguito un reddito di 2.000 euro. Il reddito complessivo
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prodotto ammonta a 1.000 euro. La società paga in Italia l’IRES su 1.000 euro pari a 330
euro (33% x 1.000). La stessa società ha pagato all’estero, sui 2.000 euro ivi prodotti,
un’imposta di 600 euro.
Le imposte pagate all’estero attribuiscono un credito d’imposta solamente per 330 euro. Il
credito d’imposta riconosciuto, infatti, non può eccedere l’ammontare delle imposte dovute
nel nostro paese.
Tuttavia il meccanismo del riporto all’indietro, consente alla società di utilizzare il credito
d’imposta corrispondente all’eccedenza del tributo italiano relativo al reddito estero rispetto
al tributo locale relativi al primo e secondo esercizio pari rispettivamente a 30 (330 – 300)
e 45 (495 – 450).
Quindi il credito d’imposta scomputabile dall’imposta italiana nel terzo esercizio è pari a:
o credito relativo al terzo esercizio : 330
o credito recuperabile del secondo esercizio: 45
o credito recuperabile del primo esercizio: 30
o credito d’imposta totale: 405
Accanto al meccanismo del riporto all’indietro la legge prevede il meccanismo del riporto in
avanti.
Esso prevede che il tributo assolto all’estero in un dato periodo d’imposta, che non trova
capienza nella relativa quota di imposta italiana può essere utilizzato quale credito
d’imposta negli esercizi successivi, sino all’ottavo, qualora vi sia una eccedenza
dell’imposta italiana relativa al reddito estero rispetto al tributo locale.
Esempio:
Una società subisce in Italia una perdita pari a 1.000 euro, mentre all’estero essa ha
conseguito un reddito di 1.000 euro. Il reddito complessivo prodotto ammonta a 0 euro. La
società non paga imposte in Italia e non beneficia del credito d’imposta.
Nell’esercizio successivo la società consegue in Italia un reddito di 500 e all’estero un
reddito di 1.000. Sul reddito complessivo di 1.500 euro la società paga l’IRES dovuta che
ammonta a 495 euro (33% x 1.500). La stessa società ha pagato all’estero, sui 1.000 euro
ivi prodotti, un’imposta di 300 euro.
Il credito di imposta massimo di cui può beneficiare la società ammonta a 330 euro.
L’imposta pagata all’estero è inferiore a tale limite, essendo pari a 300 euro, tuttavia
l’impresa può avvalersi di un credito d’imposta pari a 330 euro recuperando parte del
credito derivante dalle imposte pagate all’estero nell’esercizio precedente e non utilizzate.
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Se alla formazione del reddito complessivo concorrano redditi prodotti in più stati esteri, la
detrazione spetta separatamente per ciascun stato, con l’eccezione di alcune fattispecie.
IL REDDITO D'IMPRESA: Determinazione e nozione
L'imposta dovuta
Nella prima lezione ci siamo occupati soprattutto di comprendere quali imposte colpiscono
il reddito d'impresa. Inoltre abbiamo esaminato le caratteristiche salienti dell'IRPEF e
dell'IRES.
In questa seconda lezione ci soffermeremo soprattutto sul reddito d'impresa: che cos'è e
come lo si determina.
Prima di entrare nel merito di questi argomenti esaminiamo brevemente come si calcolano
l'IRPEF e l'IRES dovuta. L'IRPEF, come si è detto, non è dovuta solo sul reddito d'impresa
conseguito dall'imprenditore individuale o dal socio, persona fisica, di una società di
persone, ma è dovuta sul suo reddito complessivo.
In pratica la persona fisica residente calcola il reddito complessivo, dato dalla somma dei
redditi appartenenti alle varie categorie.
Vediamo come viene determinato il reddito complessivo nel caso in cui l’imprenditore è
una persona fisica. A tale proposito ricordiamo che la Finanziaria 2007 ha apportato delle
modifiche alla materia. Nel calcolare il reddito complessivo la persona fisica potrà tenere
conto anche di eventuali perdite subite dall'esercizio dell'impresa come sarà precisato
meglio in seguito.
Dal reddito complessivo il contribuente può dedurre eventuali oneri deducibili (a titolo di
esempio ricordiamo i contributi assistenziali e previdenziali dovuti per legge, i contributi
versati a forme pensionistiche complementari, ecc..).
L'imposta dovuta si calcola applicando al reddito imponibile le aliquote IRPEF che lo
ricordiamo variano con il variare dello scaglione di reddito.
Dall'imposta lorda determinata si sottraggono le detrazioni per carichi di famiglia, le altre
detrazioni, le detrazioni per oneri e quelle per canoni di locazione.
La differenza rappresenta l'imposta netta dovuta, dalla quale occorre sottrarre le ritenute
subite a titolo di acconto e i crediti d'imposta in modo da determinare l'imposta a debito o
a credito.
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Diverso è il meccanismo dell'IRES.
Una volta determinato il reddito complessivo netto della società ad esso si applica
l'aliquota del 33% in modo da ottenere l'imposta lorda. Dall'imposta lorda è possibile
detrarre il 19% delle erogazioni liberali a favore di partiti e movimenti politici entro
determinati limiti. In alcuni casi (a esempio società i cui titoli sono negoziati in mercati
regolamentati) tale deduzione non è consentita.
Anche per l’IRES dall’imposta lorda si possono detrarre ritenute subite a titolo di acconto e
crediti d’imposta al fine di determinare l’imposta dovuta.
Nozione di reddito d'impresa (ARTT. 6, 55 , 72 TUIR)
Dopo aver brevemente illustrato come si calcolano l'IRPEF e l'IRES e prima di cominciare
ad illustrare come si determina il reddito d'impresa cerchiamo di comprendere cosa si
intende per reddito d'impresa.
A tale proposito occorre fare una distinzione a seconda della veste giuridica delle imprese.
In base ad essa si può applicare un criterio oggettivo o un criterio soggettivo.
Il primo criterio, quello oggettivo, considera redditi d'impresa alcune tipologie particolari di
reddito. Questo criterio si applica alle imprese individuali.
Il secondo criterio, quello soggettivo, considera redditi d'impresa i redditi prodotti da alcuni
soggetti a prescindere dal tipo di reddito. Questo criterio si applica alle società di persone
e alle società di capitali.
Iniziamo ad esaminare il criterio oggettivo proprio delle imprese individuali.
Per le imprese individuali il reddito d'impresa è definito all'art. 55 del TUIR.
A tale proposito si considerano redditi d'impresa quelli che derivano dall'esercizio di
imprese commerciali.
L'esercizio di imprese commerciali si ha nel caso di esercizio per professione abituale,
anche se non esclusiva, di talune attività elencate dalla legge. Questo implica che
un'attività commerciale svolta occasionalmente non produce un reddito d'impresa, bensì
un reddito diverso.
Le attività che, se esercitate in modo professionale ed abituale, producono reddito
d'impresa sono tutte le attività elencate nell'art. 2195 del codice civile e le attività agrarie
per la parte che eccede il reddito agricolo.
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Ricordiamo che l'art. 2195 del codice civile considera commerciali:
le attività industriali dirette alla produzione di beni o di servizi;
le attività intermediarie nella circolazione dei beni;
le attività di trasporto per terra, o per acqua o per aria;
le attività bancarie o assicurative;
le attività ausiliarie delle precedenti.
Le attività agrarie che danno luogo alla produzione del reddito di impresa sono:
o le attività di allevamento di animali se il numero dei capi allevati supera il limite di
quelli allevabili con mangimi ottenibili per meno di un quarto dal terreno;
o le attività di coltivazione di vegetali effettuate mediante strutture fisse o mobili
(come ad esempio le serre), se la superficie adibita alla produzione eccede il
doppio di quella del terreno su cui la produzione insiste;
o le attività di manipolazione, trasformazione e alienazione di prodotti agricoli e
zootecnici, ancorché non svolte sul terreno, che non rientrino nell'esercizio normale
dell'agricoltura secondo la tecnica che lo governa o che abbiano per oggetto
prodotti ottenuti per meno della metà dal terreno e dagli animali allevati su di esso.
Tutte queste attività, quelle indicate nell'art. 2195 e quelle agricole se eccedono i limiti per
essere considerate tali, si considerano produttive di reddito d'impresa se sono esercitate
come professione abituale, anche se non esclusiva. Non è necessario, invece, che esse
siano organizzate in forma d'impresa.
Sono considerate produttive del redditi d'impresa anche:
le attività dirette alla prestazione di servizi diversi da quelli indicati nell'art. 2195
In questi casi è però necessario che l'attività sia organizzata in forma d'impresa;
Le attività di sfruttamento di miniere, cave, torbiere, saline, laghi, stagni e altre acque
interne.
Infine si considerano redditi di impresa anche i redditi dei terreni per la parte derivante
dall'esercizio di attività agricole ove spettino alle società in nome collettivo e in
accomandita semplice nonché alle stabili organizzazioni di persone fisiche non residenti
esercenti attività di impresa.
Passiamo all'esame del criterio soggettivo. Esso si applica alle società di capitali, agli enti
commerciali e alle società di persone. I redditi prodotti da questi soggetti sono considerati
redditi di impresa da qualunque fonte essi provengono.
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La determinazione del reddito d'impresa (ART. 83 TUIR)
Come si è accennato nella lezione precedente, il nuovo Testo unico delle imposte sui
redditi entrato in vigore il 1° gennaio 2004 ha portato ad un'inversione di tendenza rispetto
a quanto era previsto in precedenza.
In passato, quando esisteva ancora l'IRPEG come imposta sul reddito delle persone
giuridiche, il reddito d'impresa era disciplinato nell'ambito dell'IRPEF e l'IRPEG seguiva le
regole proprie dell'IRPEF salvo gli opportuni aggiustamenti.
Con l'introduzione dell'IRES accade il contrario: le norme che disciplinano la
determinazione del reddito d'impresa sono contenute nell'ambito dell'IRES a cui debbono
rifarsi, in linea generale, anche i soggetti IRPEF. Sono però previste norme particolari in
ambito IRPEF per i soggetti che applicano tale imposta.
Il punto di partenza per la determinazione del reddito di impresa che dovrà essere
assoggetto a tassazione è il conto economico redatto dall'impresa. Al reddito risultante dal
conto economico occorre apportare le variazioni in aumento e in diminuzione necessarie
per l'applicazione delle norme tributarie in modo da determinare il reddito imponibile. Il
conto economico, insieme allo stato patrimoniale e alla nota integrativa, costituisce il
dell'impresa. Il bilancio deve essere redatto, da un punto di vista fiscale, da tutte le
imprese in contabilità ordinaria.
Il regime di contabilità ordinaria è obbligatorio sempre per le società di capitali, mentre è
obbligatorio per le imprese individuali e le società di persone solamente se viene superato
un determinato volume di affari, variabile in base al tipo di attività svolta.
In particolare, hanno l’obbligo di tenere la contabilità ordinaria, le imprese individuali e le
società di persone che nell'anno precedente, hanno avuto un volume di ricavi annuo pari o
superiore a:
309.874,14 euro se si tratta di imprese aventi per oggetto la prestazione di servizi;
516.456,90 euro se si tratta di imprese che hanno per oggetto attività diverse dalla
prestazioni di servizi.
Nel caso in cui il contribuente svolge contemporaneamente sia attività di prestazione di
servizi che attività diverse da queste, occorre distinguere due ipotesi diverse:
il contribuente contabilizza separatamente i ricavi relativi alle diverse attività;
il contribuente non contabilizza separatamente i ricavi relativi alle diverse attività.
Nel primo caso, per stabilire se l'impresa deve rientrare nel regime ordinario o meno si
deve fare riferimento all'attività prevalente, cioè all'attività con la quale l'impresa ha
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conseguito i maggiori ricavi nel periodo d'imposta e verificare, in base ad essa, il
superamento o meno dei limiti fissati dalla legge.
Nel secondo caso, per stabilire se l'impresa deve essere considerata in contabilità
ordinaria o meno occorre fare riferimento sempre al limite di 516.456,90 euro.
Chiaramente il regime ordinario può essere adottato, per scelta, anche da imprese
individuali e società di persone, che non abbiano superato i limiti appena visti.
Come abbiamo già detto nella prima lezione, nel nostro corso esamineremo le norme che
regolano la determinazione del reddito d'impresa nel caso di contabilità ordinaria, mentre
affronteremo in una specifica lezione, il tema della determinazione del reddito delle
imprese minori che adottano il regime semplificato.
Si è detto che il reddito imponibile è dato dal reddito civilistico risultante dal conto
economico aumentato o diminuito delle variazioni necessarie per l'applicazione delle
norme tributarie.
Facciamo ora una precisazione che riguarda le imprese tenute all'applicazione dei principi
contabili internazionali (IAS) nella redazione del bilancio.
A partire dal 2005 gli IAS dovranno essere obbligatoriamente applicati:
dalle società quotate in borsa sia per ciò che concerne il bilancio d’esercizio che per
ciò che concerne il bilancio consolidato di gruppo;
dalle società aventi strumenti finanziari diffusi presso il pubblico e dalle banche e
dagli intermediari finanziari sia per ciò che concerne il bilancio d’esercizio che per
ciò che concerne il bilancio consolidato di gruppo;
dalle assicurazioni per ciò che concerne il bilancio consolidato di gruppo, mentre
per quanto riguarda il bilancio d’esercizio essi saranno obbligatori solo nel caso di
società quotate che non redigono il bilancio consolidato di gruppo.
Le società non quotate hanno la facoltà e non l’obbligo di adottare gli IAS sia per ciò che
concerne il bilancio d’esercizio che per ciò che concerne il bilancio consolidato.
Sono sempre escluse dall’applicazione degli IAS le società ammesse a redigere il bilancio
in forma abbreviata.
Per le imprese che, per obbligo di legge o per scelta, redigeranno a partire dal 2005 il
bilancio applicando gli IAS, il reddito imponibile è determinato sempre partendo dal reddito
risultante dal conto economico. Esso andrà aumentato o diminuito di quei componenti di
reddito che, per effetto dell'applicazione degli IAS, sono imputati direttamente a patrimonio
netto. Sul reddito così determinato dovranno essere apportate le variazioni in aumento o in
diminuzione conseguenti all'applicazione delle norme tributarie.
23
Questo modo di procedere è necessario, per le imprese che adottano gli IAS nella
redazione del bilancio, in quanto tali principi prevedono che alcuni componenti di reddito
vengano imputati a patrimonio netto e dunque non confluiscono nel Conto economico
come accade, invece, per le imprese che adottano i principi contabili nazionali.
Il periodo d'imposta (ARTT. 7 - 76 TUIR)
Abbiamo detto che il reddito d'impresa soggetto a tassazione è determinato partendo dal
reddito dell'esercizio che risulta dal conto economico apportando ad esso le variazioni in
aumento o in diminuzione derivanti dall'applicazione delle norme del TUIR.
Ora va detto che il reddito contabile si riferisce all'esercizio. Questo normalmente, ma non
necessariamente, coincide con l'anno solare. Il reddito imponibile, invece, va determinato
con riferimento al periodo d'imposta.
C'è da chiedersi, allora, se l'esercizio e il periodo d'imposta coincidono o meno e se il
periodo d'imposta coincide o meno con l'anno solare. Il periodo di imposta è costituito
dall'esercizio. Nelle persone fisiche e nelle società di persone l'esercizio coincide con
l'anno solare: questa regola vale sia ai fini civili che fiscali.
Anche per le società di capitali, nella maggior parte dei casi, l'esercizio coincide con l'anno
solare, tuttavia, l'atto costitutivo può stabilire un esercizio diverso rispetto all'anno solare.
Le norme fiscali prevedendo che il periodo di imposta, normalmente, non si riferisce
all'anno solare, ma all'esercizio così come esso è determinato dall'atto costitutivo.
Tuttavia, se la durata dell'esercizio non è determinata dall'atto costitutivo o, nel caso in cui
l'esercizio abbia una durata di due o più anni, il periodo d'imposta è dato dall'anno solare.
Nel caso in cui il periodo d'imposta è superiore o inferiore a 12 mesi, alcuni componenti di
reddito vanno ragguagliati ad anno. Essi sono:
redditi degli immobili che non costituiscono beni strumentali per l'esercizio
dell'impresa;
redditi derivanti dall'esercizio di attività di allevamento di animali oltre il limite per cui
esso è considerato attività agricola;
quote di ammortamento ordinario;
spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione;
quote di ammortamento finanziario dei beni gratuitamente devolvibili;
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svalutazione dei crediti iscritti in bilancio e quote di accantonamenti per rischi su
crediti;
quote di accantonamenti a fronte delle spese per lavori ciclici di manutenzione e
revisione delle navi e degli aeromobili;
quote di accantonamento per spese di ripristino e sostituzione di beni gratuitamente
devolvibili.
Le perdite d'esercizio (ARTT. 8, 84 TUIR)
Continuiamo il nostro esame delle regole relative alla determinazione del reddito d'impresa
parlando delle perdite d'esercizio.
Iniziamo col vedere cosa accade nelle imprese individuali e nelle società di persone. Le
perdite subite dalle imprese individuali e dalle società di persone non concorrono al
calcolo del reddito complessivo dell’imprenditore o del socio.
Così ad esempio, l'imprenditore individuale non può sottrarre dal suo reddito complessivo,
dato da redditi fondiari, redditi di lavoro dipendente, redditi di lavoro autonomo, redditi di
capitale e redditi diversi, la perdita subita nel periodo d’imposta a seguito dell'esercizio di
un'impresa commerciale. La stessa regola si ha nel caso della persona fisica socia di una
società di persona. Tuttavia la perdita che deriva dall'esercizio di un'impresa commerciale
può essere portata in diminuzione di redditi della stessa natura, cioè esclusivamente di
redditi d’impresa. Così l'imprenditore individuale che esercita due imprese può
compensare la perdita subita su una con l'utile conseguito con un'altra impresa.
Inoltre, le perdite delle imprese individuali in contabilità ordinaria e quelle derivanti dalla
partecipazione in società di persone con contabilità ordinaria possono essere riportate nei
successivi 5 esercizi a compensazione di eventuali redditi della medesima categoria. Il
riporto all'esercizio successivo è ammesso solamente se la perdita non trova capienza nel
reddito d'impresa o nei limiti in cui ciò si verifica.
Fino al 2005 questa regola si applicava esclusivamente alle imprese individuali in
contabilità ordinaria e ai redditi di partecipazione in società di persone in contabilità
ordinaria.
A partire dal 2006, per effetto del D.L. del 04/07/2006 n. 233, la norma si applica anche
alle imprese individuali in contabilità semplificata e ai redditi di partecipazione in società di
persone con contabilità semplificata. Il riporto ai successivi esercizi, non oltre il quinto, è
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applicabile alle imprese in contabilità semplificata, a partire dalle perdite realizzate dal
2006.
Prima dell’introduzione del D.L. 233/2006 le imprese in contabilità semplificata potevano
portare in diminuzione le perdite dell’esercizio dal proprio reddito complessivo. La
compensazione, però, poteva avvenire solamente nel periodo d’imposta in cui la perdita
era stata prodotta senza ammettere la possibilità del riporto in avanti.
Per le perdite realizzate dal 2006, alle imprese in contabilità semplificata si applicano le
stesse regole previste per le imprese in contabilità ordinaria. Ovvero:
o le perdite subite possono essere dedotte esclusivamente da redditi della stessa
categoria;
o è ammesso il riporto in avanti delle perdite che possono essere scomputate da
redditi di impresa nei successivi esercizi ma non oltre il quinto.
Esempio:
L’imprenditore subisce in un esercizio una perdita di 10.000 euro. Supponiamo che egli
percepisca altri redditi per 7.000 euro. La perdita non può essere portata in diminuzione
del reddito complessivo dell’esercizio che ammonta dunque a 7.000 euro. Ipotizziamo,
però, che nell’esercizio successivo egli consegue un utile di 3.000 euro e altri redditi
sempre per 7.000 euro. Egli potrà portare una parte della perdita in diminuzione del
reddito d’impresa conseguito che dunque si azzera e dichiarare un reddito complessivo
comunque pari a 7.000 euro.
Supponiamo ora che, nell’esercizio successivo, egli consegue un utile di 5.000 euro e altri
redditi sempre per 7.000 euro. Egli potrà portare una parte della perdita in diminuzione del
reddito d’impresa conseguito e dichiarare un reddito complessivo comunque pari a 7.000
euro. Infine, si supponga che nell’esercizio successivo l’imprenditore consegue un utile di
6.000 euro e altri redditi sempre per 7.000 euro. Egli potrà portare la parte della perdita
non ancora utilizza (che ammonta a 2.000 euro) in diminuzione del reddito d’impresa
conseguito in modo che il reddito d’impresa che confluirà nel calcolo del reddito
complessivo ammonta a 4.000 euro, mentre il reddito complessivo ammonterà a 11.000
euro.
Il limite temporale dei cinque esercizi non si applica in caso di perdite subite da imprese
individuali in contabilità ordinaria e di perdite derivanti dalla partecipazione in società di
persone sempre in contabilità ordinaria di nuova costituzione. La regola si applica per le
perdite subite nei primi 3 esercizi di attività.
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A partire dal 2006 tale regola sarà applicabile anche alle imprese in contabilità semplificata
per effetto del D.L. 233/2006.
Il D.L. 233/2006 ha precisato che, il riporto illimitato delle perdite si applica:
alle perdite realizzate nei primi tre periodi d’imposta dalla data di costituzione
dell’impresa o della società;
le perdite si devono riferire ad una nuova attività produttiva.
Questo significa che il riporto illimitato delle perdite sarà consentito in caso di avvio
effettivo di una nuova attività imprenditoriale e non nell’ipotesi di continuazione di una
vecchia attività in capo ad un nuovo soggetto. La norma si applica a partire dal periodo
d’imposta in corso alla data di entrata in vigore del decreto. Quindi, nel caso di esercizio
coincidente con l’anno solare, a partire dal 2006. Per quanto concerne le perdite
illimitatamente riportabili subite prima del 2006 e non ancora completamente compensate
alla data di entrata in vigore del decreto, è necessario verificare la sussistenza dei nuovi
due requisiti introdotti dal D.L. 233/2006. Se essi sussistono la perdita è riportabile in
modo illimitato nei futuri esercizi. Se essi non sussistono la perdita si considera
limitatamente riportabile fino all’ottavo periodo di imposta successivo a quello di
formazione.
Per le società di persone si è detto che la perdita subita dalla società è ripartita tra i soci
nella stessa proporzione in cui si procede alla ripartizione dell'utile. Si veda a tale
proposito anche quanto detto nella lezione precedente.
Tuttavia nel caso di società in accomandita semplice si applica una regola particolare. Le
perdite della società sono imputabili ai soci accomandanti solamente nei limiti della quota
del capitale sociale da essi posseduta. La norma trova giustificazione nella disciplina
civilistica che prevede una responsabilità limitata dei soci accomandanti alle sole quote di
capitale sottoscritte.
Ipotizziamo allora che la Sas A ha un capitale sociale di 10.000 euro così ripartito:
* socio Bianchi accomandante 2.000 euro
* socio Verdi accomandante 3.000 euro
* socio Rossi accomandatario 3.500 euro
* socio Carli accomandatario 1.500 euro.
In pratica il socio Bianchi detiene il 20% del capitale sociale, il socio Verdi il 30%, il socio
Rossi il 35% e il socio Carli il 15%. Nella stessa misura si deve provvedere ad imputare la
perdita subita dall'impresa.
Supponiamo che la società subisca in un esercizio una perdita pari a 5.000 euro.
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Poiché la perdita è inferiore rispetto al capitale sociale non si pone nessun problema: essa
è ripartita in misura proporzionale al capitale sottoscritto da ciascuno come si può vedere
dalla tabella riportata a video.
Vediamo ora cosa accade se la perdita da imputare ai soci eccede il valore del capitale
sociale. In questa seconda ipotesi, infatti, si deve tenere conto che ai soci accomandanti
non può essere imputata una perdita eccedente il capitale sottoscritto. Supponiamo,
allora, che la perdita subita dalla società ammonti a 22.000 euro.
Ripartiamo dapprima la perdita pari al capitale sociale, ovvero 10.000 euro e avremo:
socio Bianchi 2.000 euro (20% x 10.000)
socio Verdi 3.000 euro (30% x 10.000)
socio Rossi 3.500 euro (35% x 10.000)
socio Carli 1.500 euro (15% x 10.000)
Ora occorre ripartire la perdita eccedente il capitale sociale, ovvero 12.000 euro (perdita
22.000 - capitale sociale 10.000).
Questa parte di perdita può essere imputata solamente ai soci Rossi e Carli, ovvero agli
accomandatari. La perdita che eccede il capitale sociale deve essere imputata ai due soci
proporzionalmente alle quote da essi conferite. Ora posto che il socio Rossi ha conferito il
35% e il socio Carli ha conferito il 15%, entrambi complessivamente hanno conferito il
50% del capitale sociale. Al socio Rossi va imputata la parte di perdita eccedente il
capitale sociale pari ai 35/50, cioè 8.400.
Al socio Carli va imputata la parte di perdita eccedente il capitale sociale che rappresenta i
15/50, ovvero 3.600 euro.
Quindi al socio Bianchi e al socio Verdi è imputata, rispettivamente, la perdita di 2.000 e
3.000 euro, pari alle rispettive quote di capitale sottoscritte. Al socio Rossi è imputata
complessivamente la perdita di 11.900 euro, ovvero 3.500 + 8.400. Al socio Carli è
imputata la perdita di 5.100 euro (1.500 + 3.600). La perdita complessivamente imputata
ai soci ammonta a 22.000 euro. Per le società di capitali valgono regole analoghe a quelle
viste per le imprese individuali e le società di persone in contabilità ordinaria. Per cui, la
perdita di un periodo d'imposta, determinata con le stesse regole valevoli per la
determinazione del reddito, può essere portata in diminuzione del reddito dei periodi
d'imposta successivi, ma non oltre il quinto, per l'intero importo che trova capienza nel
reddito imponibile di ciascuno di essi. Anche per le società di capitali le perdite subite nei
primi tre periodi d'imposta possono essere computate in diminuzione del reddito
complessivo dei periodi d'imposta successivi senza alcun limite di tempo ricordando che a
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partire dal 2006 occorre verificare la presenza dei nuovi due presupposti fissati dal D.L.
233/2006.
La regola del riporto illimitato delle perdite trova, nel caso delle società (sia di persone che
di capitali) delle limitazioni nel caso in cui la maggioranza delle partecipazioni aventi diritto
di voto nelle assemblee ordinarie venga trasferita e, inoltre, nel caso in cui venga
modificata l'attività principale esercitata nei periodi d'imposta in cui le perdite sono state
realizzate. Le due condizioni si devono verificare congiuntamente. Per le società
appartenenti ad un gruppo il riporto illimitato delle perdite era possibile anche in presenza
di tali circostanze.
Il D.L. 233/2006 ha eliminato tale possibilità. Per ciò che concerne il calcolo della perdita
nelle società di capitali va detto che essa deve essere diminuita dell'eventuale eccedenza
dei proventi esenti dall'imposta rispetto agli interessi e alle spese generali non dedotti per
effetto dei proventi esenti stessi. Avremo modo di vedere nelle successive lezione che, nel
caso in cui l’impresa consegue dei proventi esenti che non concorrono alla formazione del
reddito essa non può dedurre integralmente gli interessi passivi e le spese generali. Per
proventi esenti non devono intendersi le plusvalenze esenti indicate all'art. 87 del TUIR.