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1227 PARTE VENTUNESIMA Corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità Mario D’Antino Introduzione La Corte dei conti è un organo polifunzionale in cui grande importanza riveste la funzione giurisdizio- nale, che è svolta dal giudice speciale amministra- tivo previsto dall’art. 103 della Costituzione nelle materie della contabilità pubblica e nelle altre mate- rie previste dalla legge. La Corte dei conti è chiama- ta a decidere in merito alle controversie in materia di contabilità pubblica ed in particolare alle azioni di responsabilità amministrativa nei confronti dei pubblici dipendenti e dei pubblici amministratori, nonché degli amministratori e funzionari delle so- cietà sottoposte al controllo pubblico, e in merito al contenzioso pensionistico. La quantità di risor- se recuperate in sede di condanna non deve essere considerata come l’unico indicatore del grado di efficacia della lotta agli sprechi ed agli illeciti, do- vendosi riconoscere alle pronunce della magistratu- ra contabile anche un ruolo monitorio e dissuasivo, pur se di difficile misurazione. Alla Corte è anche commesso un controllo preven- tivo di legittimità sugli atti del Governo e della pub- blica amministrazione, ed un controllo di gestione a consuntivo sui bilanci dello Stato, delle amministra- zioni pubbliche e di quegli enti per i quali lo Stato contribuisce alla gestione ordinaria. Vi è infine un controllo di tipo collaborativo intro- dotto normativamente dalla legge n. 131/2003, ma già elaborato dalla Corte costituzionale nella sen- tenza n. 29/1995, relativa al nuovo controllo sulla gestione affidato, in via generalizzata, su tutta la P.A. alla Corte dei conti dalla legge n. 20/1994. Tale compito collaborativo” che caratterizza questo con- trollo è pur sempre “posto al servizio di esigenze pub- bliche costituzionalmente tutelate” tra le quali spicca quella del “buon andamento” dell’amministrazione (art. 97 Cost.). La collaborazione, quindi, è rivolta all’ente nella sua oggettività; non mira a far conseguire successi o a evitare rischi di responsabilità personali agli ammi- nistratori, ma a rendere l’amministrazione control- lata più corretta, efficace, efficiente ed economica, nell’ottica del perseguimento dell’interesse genera- le. Ciò, per corrispondere alla diffusa esigenza delle amministrazioni locali di disporre di un ausilio tec- nico, autorevole e indipendente, che permetta loro di muoversi con maggiore sicurezza nella sovente oscura normazione contabile e finanziaria. Alla stessa Corte fa capo la giurisdizione sulla re- sponsabilità amministrativa e contabile per i danni causati all’ente pubblico per la spendita non dovuta di risorse pubbliche o per il colpevole mancato in- troito di entrate dovute per legge. Al riguardo importantissima novità nel sistema è stata l’emanazione del recentissimo D.Lgs. 26 ago- sto 2016, n. 174 recante il Codice di giustizia conta- bile, da sempre auspicato e adottato in ottemperan- za e ai sensi dell’art. 20 della legge di delega 7 agosto 2015, n. 124 (v. amplius, oltre). La responsabilità amministrativa è la risposta che l’ordinamento ha dato in armonia con la propria cultura e tradizione giuridica. Le norme di rece- pimento delle direttive comunitarie e il disposto dell’art. 97 della Costituzione hanno conferito agli atti delle imprese un rilievo pubblicistico. Ne deriva che l’attività amministrativa e la correlata responsabilità sono configurabili sia quando l’am- ministrazione eserciti pubbliche funzioni e pote- ri autoritativi, sia quando persegua le sue finalità mediante un’attività sottoposta alla disciplina pre- vista per i rapporti tra soggetti privati. La legge, infatti, non ha introdotto alcuna deroga alla ge- nerale operatività dei principi della trasparenza e dell’imparzialità e non ha garantito alcuna “zona franca” nei confronti dell’attività disciplinata dal diritto privato. L’ottica è quella di assumere come prioritaria l’esi- genza di assicurare la buona gestione amministrati- va, accentuando gli aspetti sanzionatori e di preven- zione dell’illecito, in una logica di ragionevolezza e di proporzionalità. La responsabilità amministrativa è quindi comple- mentare ai controlli esterni e rappresenta elemento di chiusura del sistema di garanzie del buon anda- mento, che ha come vertice la Corte dei conti, ma che si snoda attraverso un “sistema” di interventi

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Parte Ventunesima

Corte dei conti: l’attività di controllo e la giurisdizione di responsabilità

Mario D’Antino

Introduzione

La Corte dei conti è un organo polifunzionale in cui grande importanza riveste la funzione giurisdizio-nale, che è svolta dal giudice speciale amministra-tivo previsto dall’art. 103 della Costituzione nelle materie della contabilità pubblica e nelle altre mate-rie previste dalla legge. La Corte dei conti è chiama-ta a decidere in merito alle controversie in materia di contabilità pubblica ed in particolare alle azioni di responsabilità amministrativa nei confronti dei pubblici dipendenti e dei pubblici amministratori, nonché degli amministratori e funzionari delle so-cietà sottoposte al controllo pubblico, e in merito al contenzioso pensionistico. La quantità di risor-se recuperate in sede di condanna non deve essere considerata come l’unico indicatore del grado di efficacia della lotta agli sprechi ed agli illeciti, do-vendosi riconoscere alle pronunce della magistratu-ra contabile anche un ruolo monitorio e dissuasivo, pur se di difficile misurazione.Alla Corte è anche commesso un controllo preven-tivo di legittimità sugli atti del Governo e della pub-blica amministrazione, ed un controllo di gestione a consuntivo sui bilanci dello Stato, delle amministra-zioni pubbliche e di quegli enti per i quali lo Stato contribuisce alla gestione ordinaria.Vi è infine un controllo di tipo collaborativo intro-dotto normativamente dalla legge n. 131/2003, ma già elaborato dalla Corte costituzionale nella sen-tenza n. 29/1995, relativa al nuovo controllo sulla gestione affidato, in via generalizzata, su tutta la P.A. alla Corte dei conti dalla legge n. 20/1994. Tale “compito collaborativo” che caratterizza questo con-trollo è pur sempre “posto al servizio di esigenze pub-bliche costituzionalmente tutelate” tra le quali spicca quella del “buon andamento” dell’amministrazione (art. 97 Cost.).La collaborazione, quindi, è rivolta all’ente nella sua oggettività; non mira a far conseguire successi o a evitare rischi di responsabilità personali agli ammi-nistratori, ma a rendere l’amministrazione control-lata più corretta, efficace, efficiente ed economica, nell’ottica del perseguimento dell’interesse genera-

le. Ciò, per corrispondere alla diffusa esigenza delle amministrazioni locali di disporre di un ausilio tec-nico, autorevole e indipendente, che permetta loro di muoversi con maggiore sicurezza nella sovente oscura normazione contabile e finanziaria.Alla stessa Corte fa capo la giurisdizione sulla re-sponsabilità amministrativa e contabile per i danni causati all’ente pubblico per la spendita non dovuta di risorse pubbliche o per il colpevole mancato in-troito di entrate dovute per legge. Al riguardo importantissima novità nel sistema è stata l’emanazione del recentissimo D.Lgs. 26 ago-sto 2016, n. 174 recante il Codice di giustizia conta-bile, da sempre auspicato e adottato in ottemperan-za e ai sensi dell’art. 20 della legge di delega 7 agosto 2015, n. 124 (v. amplius, oltre).La responsabilità amministrativa è la risposta che l’ordinamento ha dato in armonia con la propria cultura e tradizione giuridica. Le norme di rece-pimento delle direttive comunitarie e il disposto dell’art. 97 della Costituzione hanno conferito agli atti delle imprese un rilievo pubblicistico. Ne deriva che l’attività amministrativa e la correlata responsabilità sono configurabili sia quando l’am-ministrazione eserciti pubbliche funzioni e pote-ri autoritativi, sia quando persegua le sue finalità mediante un’attività sottoposta alla disciplina pre-vista per i rapporti tra soggetti privati. La legge, infatti, non ha introdotto alcuna deroga alla ge-nerale operatività dei principi della trasparenza e dell’imparzialità e non ha garantito alcuna “zona franca” nei confronti dell’attività disciplinata dal diritto privato.L’ottica è quella di assumere come prioritaria l’esi-genza di assicurare la buona gestione amministrati-va, accentuando gli aspetti sanzionatori e di preven-zione dell’illecito, in una logica di ragionevolezza e di proporzionalità.La responsabilità amministrativa è quindi comple-mentare ai controlli esterni e rappresenta elemento di chiusura del sistema di garanzie del buon anda-mento, che ha come vertice la Corte dei conti, ma che si snoda attraverso un “sistema” di interventi

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diversi, in rapporto alla natura e al grado delle irre-golarità da prevenire o da reprimere.Assurgono a valori costituzionali, anche nel giudi-zio di responsabilità, da un lato, il diritto del con-venuto ad un giusto processo, da celebrarsi in tempi ragionevoli e, dall’altro, l’effettività della tutela giu-risdizionale di tutti gli interessi pubblici e colletti-vi. Per consolidare un’area di certezza del diritto, la legge n. 69 del 16 giugno 2009 ha attribuito alle Sezioni riunite della Corte dei conti un potere di interpretazione nomofilattica analogo a quello eser-citato dalla Corte di Cassazione, diretto ad evitare macroscopiche oscillazioni giurisprudenziali. Ora, l’introduzione del Codice di giustizia contabile ha inteso dare risposta a tali istanze.Oggi, alla concezione etica della responsabilità civile viene preferita una concezione secondo la quale la responsabilità è uno strumento di riequili-brio economico del danno e si afferma una teoria se-condo la quale il fondamento della responsabilità civile va ricercato nei principi generali della colpa e del rischio che fa gravare sul soggetto i danni de-rivanti da attività pericolose come rischio connes-so a queste.La giurisdizione contabile è esclusiva e speciale, os-sia radicata in un giudice diverso e separato da quel-lo ordinario, ed è connotata dalla pubblicità e dalla obbligatorietà dell’esercizio dell’azione.La sua area di intervento, prima legata a profili sog-gettivi (rapporto di servizio pubblico o esercizio di funzioni pubbliche), va ora assumendo connotazio-ni più connesse alla materia. Inoltre, si sottolinea la natura sanzionatoria o risarcitoria dei suoi poteri, il rapporto con la funzione di controllo, l’adeguatezza del sistema processuale.Allo stato attuale la giurisdizione contabile rap-presenta la migliore soluzione per il recupero del danno all’erario, avuto riguardo al suo carattere pe-culiare che la distingue nettamente da quella civile. Indefettibili sono le caratteristiche di pubblicità e di obbligatorietà dell’esercizio dell’azione. L’esperien-za dimostra che dove l’azione risarcitoria è affidata alla discrezionalità dell’amministrazione anziché all’iniziativa del pubblico ministero, essa diven-ta casuale e ipotetica e talvolta improbabile (basti pensare alla situazione di pratica irresponsabilità di amministratori e dipendenti di enti locali in epoca precedente alla legge n. 142/1990, o al danno am-bientale e alla responsabilità degli amministratori degli enti pubblici economici).

TITOLO I

La struttura e l’attività di controllo

1. L’assetto organizzativo nell’attuale fase storica

La Corte dei conti è un organismo che risale ai primi anni di vita dello Stato italiano, essendo stata istituita con la legge 14 agosto 1862, n. 800, perché vigilasse sulle amministrazioni dello Stato. Fu solennemente inaugurata a Torino il 10 otto-bre 1862. Essa raccolse l’eredità di istituzioni che già da tempo negli stati preunitari vigilavano sulle pubbliche finanze: ad esempio, la Camera dei conti del Ducato di Savoia, poi Regno di Sardegna, risa-lente al 1351 e sostituita nel 1859 dalla Corte dei conti, sulla quale verrà modellata la nuova istitu-zione dello stato unitario; la Camera dei conti del Regno Lombardo-Veneto, istituita nel 1771; la Re-gia Camera della Sommaria del Regno di Napoli, fondata nel 1444 e sostituita nel 1807 dalla Regia Corte dei conti.La normativa che regola la Corte dei conti è fram-mentata. Va segnalato, in particolare, il T.U. relativo al R.D. 12 luglio 1934, n. 1214 integrato dal D.L. 15 novembre 1993, n. 453 convertito, con modificazio-ni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19 e dalla legge 14 gennaio 1994, n. 20 e innovato dalla legge 20 di-cembre 1996, n. 639. Modifiche sono state introdot-te anche dalla legge n. 205/2000 e da alcune recenti leggi finanziarie.La Corte dei conti è strutturata su uffici centrali e territoriali. Al vertice vi è il Presidente, definito dalla legge n. 15 del 4 marzo 2009, art. 11, comma 7, “Or-gano di governo dell’istituto”. Poi vi è il Consiglio di Presidenza, quale organo di amministrazione della magistratura contabile istituito con l’art. 10 della legge 13 aprile 1988, n. 117, modificato dall’art. 1, comma 1, del D.Lgs. 7 febbraio 2006, n. 62, e con funzioni ridotte a seguito della già citata legge n. 15/2009, art. 11, con compiti minori ma assimila-bili al Consiglio Superiore della Magistratura per i magistrati ordinari. Il Consiglio di Presidenza ha sede a Roma. È composto: dal Presidente della Cor-te dei conti, che lo presiede; dal Procuratore Gene-rale della Corte dei conti; dal Presidente aggiunto della Corte dei conti o del Presidente di sezione più anziano; da quattro cittadini eletti, due dalla Came-ra dei deputati e due dal Senato della Repubblica a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, tra i professori ordinari in materie giuridiche o gli avvocati con venti anni di esercizio professionale; da

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quattro magistrati ripartiti tra le diverse qualifiche in proporzione alla rispettiva effettiva consistenza numerica quale risulta dal ruolo alla data del 1º gennaio dell’anno di costituzione dell’organo.L’organizzazione della Corte prevede Sezioni giuri-sdizionali e Sezioni di controllo, sia a livello centrale che territoriale.Presso la Corte dei conti a livello centrale vi è la Procura Generale contabile retta dal Procuratore Generale e da 20 Vice Procuratori Generali. Con-notazione particolare ha la Procura Generale presso la Sezione giurisdizionale d’appello per la Regione Siciliana, considerata quale sezione della Procura centrale nel territorio siciliano.La Corte dei conti annovera tre Sezioni giurisdizio-nali centrali d’Appello, con sede a Roma, nonché la Sezione giurisdizionale d’appello per la Regione Siciliana, con sede a Palermo.Le Sezioni centrali di controllo, in numero di cin-que, sono: la Sezione centrale di controllo di legitti-mità sugli atti del Governo e sugli atti delle ammi-nistrazioni dello Stato, Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, Se-zione di controllo sugli enti, Sezione delle Autono-mie, Sezione di controllo per gli affari comunitari e internazionali.Infine, vanno menzionate le Sezioni Riunite della Corte dei conti, quali organi di chiusura del siste-ma di giurisdizione amministrativo-contabile con competenza a decidere sulle questioni di massima e sui conflitti di competenza. La competenza è artico-lata in quattro sezioni, con funzioni: giurisdiziona-le, di controllo, deliberante, consultiva, aventi sede a Roma, nonché tre sezioni speciali: Sezioni riunite per la Sardegna con sede a Cagliari, per la Sicilia con sede a Palermo e per il Trentino-Alto Adige con sede a Roma.Presso le seguenti quattordici Regioni sono presenti la Sezione giurisdizionale e la Sezione di controllo quali organi territoriali di giurisdizione contabile, nonché la Procura Regionale: Piemonte, Lombar-dia, Veneto, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, La-zio, Marche, Umbria, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria. Le Regioni a statuto spe-ciale hanno una configurazione diversa.La Corte dei conti, per l’espletamento delle funzioni giurisdizionali si articola in:

- sezioni giurisdizionali regionali, che giudicano in primo grado; hanno sede in ciascun capoluogo di regione (ma vi è una sezione giurisdizionale per la provincia autonoma di Bolzano);

- sezioni giurisdizionali centrali di appello, che giu-dicano in secondo grado; sono tre ed hanno tutte sede presso la sede della Corte dei conti di Roma; vi è inoltre una sezione giurisdizionale di appello per la Regione Siciliana, con sede a Palermo;

- sezioni riunite, che risolvono i conflitti di compe-tenza tra le varie sezioni regionali e/o centrali; su richiesta del Presidente della Corte dei conti, del Procuratore Generale presso la Corte dei conti o di una Sezione, sono chiamate anche a pronunciarsi su “questioni di massima” (quando si è in presen-za di dubbi o “conflitti” interpretativi tra le diverse sezioni).

Presso ogni sezione giurisdizionale regionale ope-ra una Procura regionale, con funzioni di Pubblico Ministero nei giudizi di responsabilità patrimonia-le-amministrativa e contabile ed in generale nel-le materie di contabilità pubblica. I magistrati del pubblico ministero hanno le medesime garanzie di indipendenza e inamovibilità dei magistrati dei collegi giudicanti; dispongono dei poteri istruttori previsti dagli artt. 55-65 del Codice di giustizia con-tabile. Il Procuratore generale e i vice procuratori generali svolgono le funzioni di pubblico ministero presso le sezioni centrali di appello e presso le se-zioni riunite. Il Procuratore generale ha anche una funzioni di coordinamento generale delle procure regionali.Le funzioni della Corte oggi sono rivitalizzate per effetto delle nuove competenze affidate all’Istitu-to dalle più recenti leggi, che ne esaltano il ruolo di garante dell’equilibrio economico-finanziario e dell’integrità delle pubbliche risorse, in particolare nella gestione finanziaria degli enti territoriali (v. il novellato art. 148 TUEL per l’assenza o inadegua-tezza degli strumenti di controllo).

2. Funzioni di controllo

La Corte dei conti in sede di controllo è articolata come segue:

- Sezione Controllo Stato: svolge le sue funzioni ai sensi della legge n. 20/1994, modificata dalla legge n. 639/1996, seguendo i criteri indicati dalle Sezioni Riunite secondo un doppio filo conduttore: la veri-fica di legittimità e la verifica di efficienza - effica-cia - economicità. Si articola in quattro collegi, uno per il controllo sugli atti, uno per il controllo sulla gestione delle entrate, e due per il controllo sulla ge-stione delle spese;

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- la Sezione di Controllo Enti sovvenzionati dallo Stato: nonostante l’imponente privatizzazione di molti enti iniziata negli anni ‘90, in ragione del fatto che lo Stato contribuisce al capitale sociale degli enti o delle società in maniera esclusiva o preponderan-te, la Sezione continua ad operare ai sensi della legge n. 259/1958, controllando la gestione complessiva e rilevandone gli squilibri gestionali specie in materia di appalti, di aiuti statali e di concorrenza;

- la Sezione di Controllo delle Autonomie estende il suo controllo in particolare sui progetti di opere pubbliche finanziate dalla Cassa Depositi e Presti-ti, sui progetti cofinanziati dalla Comunità Euro-pea, sui parcheggi finanziati ai sensi della legge n. 122/1989, e sulla gestione diretta o indiretta da par-te degli enti locali di alcuni servizi pubblici (piscine, scuole, ospedali, ecc.);

- la Sezione di Controllo Affari comunitari e inter-nazionali, istituita ai sensi della legge n. 20/1994, svolge un controllo successivo di tipo diffuso e un controllo di tipo specifico (controllo-referto), al fine di riferire al Parlamento italiano ed ai Consigli Regionali sui programmi nazionali che utilizzano fondi comunitari.

Le Sezioni Riunite hanno competenza a definire i criteri generali e gli indirizzi di coordinamento per il controllo successivo sulla gestione del bilancio dello Stato e ad emettere entro il giugno dell’anno successivo il giudizio di parificazione del rendi-conto generale dello Stato. In una speciale com-posizione (ai sensi del D.Lgs. n. 174/2012) esse giudicano:

a) sui ricorsi avverso le delibere delle Sezioni regio-nali di controllo di approvazione o diniego dei pia-ni di equilibrio finanziario poliennale (nuovo art. 203-quater TUEL);

b) sui ricorsi avverso i provvedimenti di ammissio-ne a “fondo di rotazione” ai fini della stabilità finan-ziaria degli enti locali;

c) sui ricorsi avverso gli atti di ricognizione delle P.A.

Nella Corte dei conti, organo polifunzionale, gran-de importanza riveste la funzione giurisdizionale svolta dal giudice speciale amministrativo previsto dall’art. 103 della Costituzione. In tale veste la Cor-te ha giurisdizione nelle materie della contabilità pubblica e nelle altre materie previste dalla legge, è chiamata a decidere in merito alle controversie in materia di contabilità pubblica ed in particola-re alle azioni di responsabilità amministrativa nei

confronti dei pubblici dipendenti e amministratori, nonché degli amministratori e funzionari delle so-cietà sottoposte al controllo pubblico, e in merito al contenzioso pensionistico.La Corte dei conti effettua un controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo e della pubbli-ca amministrazione, ed un controllo di gestione a consuntivo sui bilanci dello stato, delle amministra-zioni pubbliche e di quegli enti per i quali lo stato contribuisce alla gestione ordinaria.Le funzioni di controllo della Corte sono estese alle amministrazioni decentrate dello stato (Regioni, province e comuni), al fine di garantire i vincoli di stabilità interni all’Italia e quelli derivanti dall’ap-partenenza alla Comunità Europea. Anche per i controlli sulle amministrazioni locali, il controllo è sia preventivo, sulla legittimità degli atti, che con-suntivo, sui risultati della gestione finanziaria. In questo caso le Sezioni decentrate della Corte rife-riscono ai Consigli Regionali degli enti interessati. La Corte svolge le sue funzioni consultive predispo-nendo pareri e referti, quando è invitata a riferire direttamente alle Camere sul risultato dei controlli.La Corte dei conti svolge il ruolo di magistratura contabile della pubblica amministrazione. In sede di controllo, può disporre la sospensione o la non registrazione di provvedimenti di altri organi dello Stato ove non sia dimostrata una sufficiente coper-tura finanziaria o vi sia stato l’impiego non ottimale delle risorse pubbliche.

3. La riforma del titolo V della Costituzione e la nuova disciplina dei controlli

Con la legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001 è stata attuata una profonda riforma del sistema costituzionale italiano concernente le Regioni e i minori enti locali (Titolo V, parte II della Costi-tuzione). Fondamentale è la nuova formulazione dell’art. 114 Cost. che ha sancito il principio della pari dignità degli enti territoriali, statuendo che “la Repubblica è costituita dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato”.La riforma del Titolo V della Costituzione - oggi sottoposta a severa revisione critica e oggetto di specifico referendum - ha fatto assumere al nostro sistema caratteri sempre più spiccatamente plura-listici, con il potenziamento delle autonomie regio-nali locali e l’abrogazione degli artt. 125 e 130 che disciplinavano i controlli esterni sulle Regioni e gli enti locali. La legislazione d’attuazione ha, comun-que, dato una configurazione collegiale all’organo

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di controllo, consentendo la partecipazione ad esso di componenti di diversa estrazione e professiona-lità e non di meri rappresentanti dell’ente sovraor-dinato.L’amministrazione moderna, che privilegia l’effi-cienza e procede per obiettivi, è ormai ovunque ri-tenuta compatibile soltanto con controlli successivi sulla gestione: controlli, cioè, che seguano lo svol-gimento dell’azione amministrativa, considerata nel suo complesso, e non suddivisa in singoli atti, per accertare il rispetto dei programmi e stimolarne l’efficienza e l’economicità.Purtroppo all’abrogazione delle norme che preve-devano i controlli descritti non è seguita, nel testo costituzionale, la previsione di altri controlli di tipo diverso; ciò però non significa che non ne possano essere introdotti dal legislatore ordinario, sulla base di specifiche disposizioni di rango costituzionale. In questo senso si è pronunciata la Corte costituzio-nale riconoscendo la legittimità della riforma dei controlli della Corte dei conti, operata dalla legge n. 20/1994, che ha ridotto a pochi atti fondamentali il controllo preventivo di legittimità sull’amministra-zione statale e ha introdotto su tutte le pubbliche amministrazioni un generalizzato controllo succes-sivo sulla gestione.Quest’ultimo controllo assume caratteristiche di collaborazione, sia pure su un piano dialettico, es-sendo rivolto, attraverso la verifica dei risultati e il confronto degli stessi con gli obiettivi program-mati a stimolare nell’amministrazione controlla-ta la ricerca e l’adozione delle opportune misure correttive. La Corte costituzionale lo ha ritenuto legittimo anche nei confronti delle autonomie re-gionali sulla base di una serie di norme (i principi del buon andamento, della responsabilità dei fun-zionari, ecc.) emergenti da articoli della Costitu-zione diversi da quelli ora abrogati (i già citati artt. 125 e 130 che prevedevano il controllo preventivo di legittimità). La successiva riforma costituziona-le, d’altra parte, non solo non ha introdotto nessu-na disposizione contrastante con questa decisione, ma al contrario, contiene nuovi principi, segnata-mente quelli sul coordinamento finanziario e sulla perequazione tributaria, che legittimano la previ-sione di controlli esterni sull’andamento gestiona-le e finanziario.Questi ultimi non vanno confusi con i controlli interni che ciascun ente nella sua autonomia or-dinamentale deve istituire e che si caratterizzano per essere strumento a disposizione dell’autorità di governo dell’ente per conoscere lo svolgimento

e orientare la direzione dell’attività amministrativa. I controlli esterni, invece, si rapportano, in parti-colare all’organo legislativo e d’indirizzo politico dell’ente e sono caratterizzati dall’indipendenza e neutralità dei controllori rispetto alle amministra-zioni controllate. Si distinguono quindi nettamente dai primi, perché tra i loro compiti c’è anche quello di valutare il funzionamento dei controlli interni. Si sottolinea che controlli esterni e controlli interni coesistono in quasi tutti gli ordinamenti moderni, compresi quelli degli Stati aderenti alla Comunità Europea.Purtroppo, le nuove attribuzioni conferite alla Cor-te dei conti dal D.L. n. 174/2012 in materia di enti territoriali manifestano elementi di criticità: così, il potenziamento di attività giustiziali su delibera-zioni di controllo e di provvedimenti quali i piani di riequilibrio, la parificazione dei conti regionali, i rendiconti delle spese dei gruppi consiliari, le deli-bere di diniego, non è stato accompagnato da regole procedurali e di giudizio.Ciononostante, la sentenza n. 140/14/R del 10 ot-tobre 2014 - Sezione giurisdizionale per l’Emilia Romagna - ha affrontato la nota tematica della ge-stione dei fondi pubblici erogati ai Gruppi consiliari regionali secondo le norme regionali attuative della legge 6 dicembre 1973, n. 853 (c.d. spese dei gruppi consiliari). In detta pronuncia è stata configurata la responsabilità amministrativa dei Presidenti dei Gruppi consiliari, in relazione all’indebito utilizzo di fondi dell’Assemblea legislativa della Regione Emilia Romagna assegnati ai gruppi consiliari, per il pagamento di spazi di comunicazione forniti da emittenti radiotelevisive locali.

4. Il controllo “collaborativo” della Corte dei conti

La legge n. 131 del 5 giugno 2003, che contiene le disposizioni per una prima attuazione dei nuovi principi costituzionali, ha confermato in capo alla Corte dei conti, con alcune significative innovazio-ni, la missione del controllo finanziario e gestio-nale sulle autonomie già assegnatale dalla legge n. 20 del ‘94 ed oggetto delle prime iniziative di attuazione.Hanno influito, su questa scelta, le peculiarità del nostro sistema costituzionale, la posizione di pari dignità riconosciuta con la riforma del 2001 a Co-muni e Province (oltre che alle Città metropolita-ne) rispetto alle Regioni. Tale particolarità non si riscontra in altri Stati, dove invece generalmente gli enti minori sono ricompresi nell’ordinamento

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di quelli maggiori e soggetti alla disciplina orga-nizzativa e funzionale da questi dettata. Nel nostro attuale sistema costituzionale gli enti locali non po-trebbero essere controllati da un organo della Re-gione, neppure se configurato con le prerogative di indipendenza generalmente riconosciute alle Istitu-zioni di controllo esterno, proprio per la posizione costituzionale di estraneità e di pari ordinazione dei rispettivi ordinamenti.L’altra caratteristica tipica del nostro sistema è rap-presentata dalla sua configurazione come fortemen-te solidaristica. L’art. 119 della Costituzione, infatti, prevede risorse aggiuntive e interventi speciali dello Stato in favore di Comuni, Province e Regioni per motivi di solidarietà sociale e per promuoverne lo sviluppo economico; inoltre stabilisce che, con leg-ge dello Stato, sia istituito un fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante, in modo da consentire loro, con il concorso delle altre risorse ordinarie, l’esercizio di tutte le funzio-ni di competenza, ivi comprese quelle consistenti nell’erogazione delle prestazioni sociali al livello minimo, “essenziale” (art. 117, lett. m), uniforme per tutti i cittadini.Ha concorso a tale scelta legislativa la constatazio-ne degli inconvenienti registrati nei paesi in cui si è adottato il modello della pluralità di organi di controllo esterno (ad es., in Germania e Spagna). L’esistenza di funzioni amministrative dei Länder o Comunità autonome cofinanziate dallo Stato fede-rale o dalla Comunità europea è alla base di conflitti di competenza, tra l’organo di controllo nazionale e quelli regionali, con possibilità di duplicazioni o di omissioni di controlli. Si è inoltre lamentata la man-canza di omogeneità nei diversi referti ai rispettivi Parlamenti e la difficoltà di estendere la compara-zione tra gestioni al di là del territorio di propria competenza.Un organo di controllo unitario, pur se articolato in modo da corrispondere alle esigenze connesse allo statuto di autonomia degli enti controllati, consente di superare queste criticità. Più in dettaglio, il nuo-vo ordinamento dei controlli così come prefigurato e, nelle linee essenziali, disciplinato dall’art. 7 della legge n. 131, ai commi 7, 8 e 9, si articola come se-gue.È attribuito alla Corte dei conti un controllo finan-ziario, diretto ad assicurare il rispetto degli equilibri di bilancio, anche in relazione ai vincoli discendenti dall’appartenenza all’Unione europea. Alla stessa è anche attribuito un controllo più strettamente gestionale, di carattere collaborativo con le Ammi-

nistrazioni controllate per il conseguimento degli obiettivi programmatici e di livelli sempre più avan-zati di efficienza e di economicità.Con riguardo al controllo di natura finanziaria, la legge conferma, in primo luogo, il disegno di una Corte dei conti unitaria alla quale, ai fini del co-ordinamento di tutta la finanza pubblica, è affida-to il compito di riferire al Parlamento sul rispetto complessivo degli equilibri di bilancio da parte di tutti gli enti di autonomia, con particolare riguar-do ai vincoli di derivazione comunitaria. È prevista, inoltre, l’istituzione in ogni capoluogo di Regione di una sezione della Corte dei conti per il controllo della gestione amministrativa e finanziaria di tut-ti gli enti territoriali, con il compito di riferire agli organi rappresentativi delle rispettive collettività locali.Questo controllo - che comprende anche la verifica del funzionamento dei servizi di controllo interno - per quanto concerne le Regioni, si esplica in analisi dirette ad accertare il perseguimento degli obiettivi posti sia dalle leggi regionali di principio e di pro-gramma (ed in particolare dalla legge di bilancio) sia dalle leggi statali che abbiano uguale valenza; quanto agli enti locali, si esplica nella verifica della “sana gestione finanziaria” e che, nella sostanza, si identifica nell’accertamento dell’efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa dell’en-te.La legge n. 131/2003 ha inteso anche evitare che l’organo di controllo, per la sua appartenenza a una struttura unitaria, potesse operare come un organo dello Stato centrale, introducendo alcune innova-zioni dirette a collegare, sul piano organico e fun-zionale, le sezioni regionali con gli enti controllati.Sotto il profilo organizzativo, la legge di attuazione prevede che le Sezioni regionali di controllo siano integrate da due componenti - che acquistano ad ogni effetto lo status di magistrati contabili - desi-gnati dalle stesse amministrazioni controllate e pre-cisamente, uno dal Consiglio regionale e l’altro dal Consiglio delle autonomie, organo di rappresentan-za delle autonomie locali nella regione. Circa gli aspetti funzionali delle Sezioni, è previsto che ciascuna Regione, in relazione a proprie parti-colari esigenze, correlate alla verifica della regolarità della gestione finanziaria e dell’efficienza ed effica-cia dell’azione amministrativa, possa, con sua au-tonoma disciplina, avvalersi dell’ausilio della locale Sezione regionale del controllo.Le modalità attraverso le quali tale collaborazio-ne può realizzarsi non sono dalla legge tipizzate e

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possono consistere di un’ampia gamma di attività, che vanno da referti su temi specifici e dalla richie-sta di audizione di magistrati della Sezione presso il Consiglio e le sue articolazioni interne fino alla previsione di forme di certificazione della affidabi-lità dei bilanci. Analoga facoltà è riconosciuta anche agli enti locali, sia pure, almeno di norma, attraver-so l’intervento del Consiglio delle autonomie locali; organo di nuova istituzione (è previsto dall’art. 123, u.c., Cost.) con compiti di raccordo e consultazio-ne tra regioni ed enti locali. Alle sezioni regionali di controllo è, poi, attribuita la possibilità di esprime-re, su richiesta, pareri nella materia della contabilità pubblica (Staderini).In seguito all’entrata in vigore della citata legge, è stata adeguata la struttura organizzativa della Corte al fine di raccordare l’attività di controllo finanzia-rio di competenza di ciascuna Sezione regionale con quelle funzioni, da svolgersi a livello centrale, di re-ferto generale sulla intera finanza regionale e locale di cui è destinatario il Parlamento e che debbono necessariamente avvalersi dei risultati delle analisi finanziarie effettuate nelle sedi periferiche.Si è anche assicurato un coordinamento agevole ed efficace, ma rispettoso dell’autonomia delle singole Sezioni, che consentisse la definizione di metodolo-gie e di linee comuni di verifica delle risultanze con-tabili nonché il raffronto dei modelli organizzativi e metodi di lavoro con gli obiettivi conseguiti nelle diverse realtà locali.Pertanto, nell’esercizio del potere regolamentare ri-conosciuto dalla legge alla Corte dei conti per quan-to attiene all’organizzazione dei suoi uffici, è stata istituita un’apposita “Sezione delle autonomie”. La composizione dell’organo, che è presieduto dal Pre-sidente della Corte e del quale fanno parte tutti i Presidenti delle Sezioni regionali di controllo, con-sente di qualificarlo come “espressione delle sezioni regionali”. In tal modo le funzioni di coordinamen-to assumono una valenza che non nasce dalla gerar-chia di rapporti, ma da scelte condivise.

5. Il nuovo controllo di regolarità contabile

La legge 131/2003 attribuisce alla Corte dei conti, che opera come organo della Repubblica e, cioè dello Stato e delle autonomie territoriali, controlli sia meramente gestionali che contabili e finanziari. La distinzione tra di essi è nettamente tracciata nel testo legislativo, che affida il controllo sulla gestione unicamente alle Sezioni regionali, ponendo in evi-denza la sua natura collaborativa e strumentale per

le assemblee elettive locali, e il controllo finanzia-rio alla Corte dei conti, unitariamente considerata, chiamata ad operare, nell’ambito del coordinamen-to della finanza pubblica, per garantire il rispetto degli equilibri di bilancio e dei vincoli comunitari.In definitiva, il controllo sulla gestione corrispon-de ad una finalità di mera collaborazione con le Amministrazioni locali, al fine di consentire loro di perseguire livelli di maggiore efficienza, efficacia ed economicità. L’altro controllo, invece, accanto a questa finalità, ha anche quella di corrispondere alle esigenze generali della finanza pubblica di cui deve farsi carico lo Stato/Repubblica, ponendo regole e controlli adeguati.Alla sana gestione finanziaria degli enti locali lo Sta-to è, quindi, direttamente interessato avendo l’one-re di dettare regole e prevedere controlli in sede di coordinamento della finanza pubblica che devono essere più stringenti di quanto sia ipotizzabile per la restante gestione amministrativa, per l’interesse generale per il quale sono preordinati.Per corrispondere alle esigenze evidenziate, il le-gislatore si è dato carico di integrare e sviluppa-re quanto già previsto in materia dalla legge n. 131/2001, introducendo una speciale normativa nella legge n. 266/2005 (art. 1, commi 166-171), di-retta a rendere immediatamente operativa la colla-borazione dell’organo di revisione contabile con le Sezioni regionali della Corte.In sostanza è posta a carico degli organi di revisione contabile degli enti locali e delle A.S.L. l’obbligo di trasmettere alle Sezioni regionali una relazione sul bilancio preventivo e una sul rendiconto, “che, in ogni caso, deve dar conto del rispetto degli obiettivi annuali del patto di stabilità interno, dell’osservan-za del vincolo previsto in materia di indebitamento dall’art. 119, ultimo comma, della Costituzione e di ogni grave irregolarità contabile e finanziaria in ordi-ne alle quali l’amministrazione non abbia adottato le misure correttive segnalate dall’organo di revisione”. Ciascuna relazione deve essere redatta secondo “cri-teri e linee guida” unitariamente predisposti dalla Corte dei conti e che precisano non solo i tempi e le modalità formali per la redazione e l’invio, ma an-che il contenuto concreto che essa deve assumere. La norma di legge individua soltanto il contenuto obbligatorio del referto dei revisori, lasciando alla discrezionalità della Corte - Sezione delle autono-mie - la possibilità di aggiungere altre segnalazioni, a quelle che “in ogni caso” devono essere effettuate, di dati e profili potenzialmente critici o comunque

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con valore sintomatico sull’andamento della gestio-ne contabile e finanziaria.Le Sezioni regionali - prosegue la normativa - “qua-lora accertino, anche sulla base delle relazioni di cui al comma 166, comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria e il mancato rispetto degli obiet-tivi posti con il patto, adottano specifica pronuncia e vigilano sull’adozione da parte dell’ente locale delle necessarie misure correttive e sul rispetto dei vincoli e limitazioni” conseguenti alla violazione del patto.L’espressione usata dalla norma, “comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria”, va interpre-tata restrittivamente con riguardo soltanto a vio-lazioni di regole contabili (particolarmente gravi), chiama in causa unicamente l’organo di revisione contabile e si prefigge la “tutela dell’unità economi-ca della Repubblica e il coordinamento della finan-za pubblica”. È quindi da escludere che la specifica pronuncia richiesta debba essere adottata ove siano accertate generiche disfunzioni gestionali.La normativa nulla stabilisce in ordine alle “misu-re correttive” da adottare e alle conseguenze della loro mancata adozione (così come sugli effetti delle gravi irregolarità non più correggibili, quali quelle emergenti dal rendiconto). Più puntuali disposizio-ni sono contenute nella legge n. 174/2012 e ss.mm., anch’esse però aperte ad un ampio margine di su-peramento.Questo tipo di controllo, che la Corte esercita con il concorso degli organi di revisione, non perde il ca-rattere collaborativo con le Amministrazioni locali e non va confuso con il tradizionale controllo di le-gittimità di carattere repressivo, attesa la peculiari-tà, e la maggiore incisività, di questa collaborazione che agisce anche sul momento programmatico della gestione.Il controllo di regolarità contabile corrisponde cer-tamente all’interesse generale dell’ordinamento, ma questo non esclude la sussistenza anche dell’interesse dell’ente controllato tutte le volte che le “pronunce” delle Sezioni regionali pongano all’attenzione “gravi irregolarità contabili” relative al bilancio preventivo, che possono essere eliminate nel corso dell’esercizio adottando le necessarie “misure correttive” di varia-zione del bilancio. Collaborativo è anche il controllo della Corte che si realizza con riguardo al rendiconto. In questo caso, infatti, se non è più possibile interve-nire per modificare un atto contabile divenuto defi-nitivo nella rappresentazione di una gestione che si è svolta in modo irregolare, tuttavia gli accertamenti e le pronunce della Corte sono ancora in grado di pro-durre effetti diretti e indiretti a vantaggio dell’ente,

tenuto a seguire percorsi di risanamento in gran par-te già previsti dalla legge.La nozione di controllo collaborativo è stata intro-dotta normativamente dalla legge n. 131/2003, ma già era stata elaborata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 29/1995, relativa al nuovo control-lo sulla gestione affidato, in via generalizzata, su tut-ta la P.A. alla Corte dei conti dalla legge n. 20/1994 (Staderini). E, come ha sostenuto la Corte costitu-zionale il “compito collaborativo” che caratterizza questo controllo è pur sempre “posto al servizio di esigenze pubbliche costituzionalmente tutelate”, tra le quali spicca quella del “buon andamento” dell’am-ministrazione (art. 97 Cost.).La collaborazione, quindi, è rivolta all’ente nella sua oggettività; non mira a far conseguire successi o a evitare rischi di responsabilità personali agli ammi-nistratori, ma a rendere l’amministrazione control-lata più corretta, efficace, efficiente ed economica, nell’ottica di perseguire l’interesse generale. Il carat-tere collaborativo di tale tipo di controllo perma-ne pur se può verificarsi la possibilità che da esso discendano limitazioni gestionali o, addirittura, sanzioni personali per gli amministratori, dal mo-mento che tali misure sono rivolte a tutelare l’ente locale (e la comunità rappresentata) dagli effetti ne-gativi del deterioramento finanziario e dal possibile dissesto.È auspicabile che l’introduzione per via legislativa di uno strumento di giustiziabilità delle deliberazioni delle sezioni di controllo nelle materie di “dissesto guidato”, di cui al D.Lgs. n. 149/2011, consentireb-be di tutelare in maniera ottimale gli interessi della collettività e quelli più generali di finanza pubblica, ponendo anche termine alle incertezze che attual-mente si riscontrano in tale settore circa il riparto di competenze tra organi giurisdizionali diversi.

6. Il nuovo quadro normativo del controllo

Il sistema dei controlli della Corte per gli enti locali, già delineato con la legge finanziaria per il 2006 (art. 1, c. 166-170, legge 23 dicembre 2005, n. 266) è stato emendato dal D.L. n. 174/2012 con l’abrogazione del c. 168 della citata legge finanziaria e la conco-mitante introduzione della lettera e), c. 1, art. 3 dell’art. 148-bis del TUEL dedicato al rafforzamen-to del controllo della Corte dei conti sulla gestione finanziaria degli enti locali.Con la “costituzionalizzazione” dell’equilibrio dei bilanci si estende a tutti gli enti delle amministra-zioni pubbliche l’obbligo di una gestione finanzia-

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ria in equilibrio e quello di assicurare la sostenibilità del debito pubblico. L’intera gestione finanziaria delle Regioni, qual è ri-flessa nei rispettivi bilanci preventivi e consuntivi, diviene oggetto di controllo da parte delle sezioni regionali della Corte, per la verifica del rispetto de-gli obiettivi annuali posti dal patto di stabilità inter-no, dell’osservanza del vincolo previsto in materia di indebitamento, della sostenibilità dell’indebita-mento e dell’assenza di irregolarità suscettibili di pregiudicare, anche in prospettiva, gli equilibri eco-nomico finanziari degli enti.Inoltre, ogni sei mesi le Sezioni regionali di con-trollo della Corte dovranno trasmettere ai con-sigli regionali una relazione sulla tipologia delle coperture finanziarie adottate nelle leggi regiona-li approvate nel semestre precedente e sulle tecni-che di quantificazione degli oneri. Il rendiconto generale di ciascuna regione è sottoposto - come accade per il rendiconto dello Stato e per i rendi-conti di quasi tutte le Regioni a statuto speciale - al “giudizio di parificazione” delle Sezioni regio-nali di controllo.Di eguale rilevanza, nella legge 213/2012, la portata delle disposizioni concernenti il rafforzamento del sistema dei controlli sugli enti locali e la disciplina per gli enti a rischio di dissesto, la c.d. procedura di riequilibrio finanziario pluriennale; pur trattandosi di disposizioni recenti, la Corte ne ha già dato ap-plicazione con pronunce che potranno avviare un processo di risanamento dei conti di alcune signifi-cative realtà territoriali.Il complesso delle nuove norme dà vita a un sistema di “sorveglianza preventiva e successiva” sul rispet-to, da parte degli enti territoriali, degli equilibri fi-nanziari quali derivano dagli obiettivi della finanza pubblica nazionale, a loro volta condizionati dal vincolo di pareggio del bilancio e dalle regole del patto europeo di stabilità e crescita.Si tratta di un sistema essenzialmente imperniato su vari elementi. In primo luogo, i controlli mettono capo a un organo indipendente dai Governi - da quello centrale, come da quelli regionali e locali - e ciò rappresenta la migliore garanzia delle autono-mie regionali e locali. Inoltre, i giudizi emessi dalla Corte sono neutrali e non condizionati e mirano all’assunzione di decisioni che ricadono nell’ordine delle attribuzioni proprie di altri soggetti: gli am-ministratori e dirigenti degli enti, i Governi locali o regionali, il Governo centrale.I controlli hanno poi carattere ricognitivo, anzi di accertamento, e referente, poiché l’esito di questi

costituisce il presupposto per chiamare eventual-mente in causa le responsabilità del sistema politico amministrativo, richiedendogli di adottare, entro tempi predefiniti per legge, le misure necessarie a risolvere le criticità riscontrate.L’ultima caratteristica riguarda la tempestività e l’efficacia dei controlli della Corte, verso le cui Se-zioni regionali dovrà essere attivato - da parte delle amministrazioni - un flusso costante e coordinato di dati e informazioni, idoneo a costruire indica-tori significativi della regolarità e della proficuità delle gestioni, oltre che ad analizzare andamenti e tendenze, generali e specifiche, dei diversi aggregati rilevanti.

7. Le linee guida della Sezione Autonomie

Le linee guida adottate dalla Sezione delle autono-mie negli anni più recenti hanno ricalcato l’impo-stazione degli anni precedenti ma con significative innovazioni, in rapporto alle modifiche normative intervenute, particolarmente nella formulazione del patto di stabilità, e dell’esperienza maturata con la prima applicazione della nuova disciplina.Tra le più frequenti irregolarità riscontrate nei con-trolli delle Sezioni regionali relativi ai più recenti bilanci di previsione vanno segnalate le seguenti tipologie:

- la ritardata o mancata approvazione del bilancio;

- la ritardata o mancata trasmissione della relazione dell’organo di revisione;

- la ritardata o mancata trasmissione dei questio-nari;

- il mancato rispetto del patto di stabilità interno;

- il mancato rispetto del patto di stabilità interno pluriennale;

- il mancato rispetto del limite dell’indebitamento;

- il pareggio di bilancio ottenuto con l’applicazione dell’avanzo presunto di amministrazione;

- il disavanzo nella gestione di competenza degli esercizi precedenti;

- l’utilizzo dell’avanzo presunto di amministrazione per la copertura delle spese di investimento.

Non infrequenti sono le criticità in ordine alla ge-stione delle società partecipate; tra le quali, la non chiara rappresentazione contabile della situazione finanziaria e patrimoniale nonché la mancanza di adeguate previsioni in bilancio per ricapitalizzare società controllate in perdita abituale.

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Iniziative della Procura hanno riguardato nel più recente periodo il dissesto finanziario degli ee.ll., il mancato rispetto del patto di stabilità, la gestione delle risorse trasferite ai gruppi consiliari dei con-sigli regionali, l’indebito uso di fondi nazionali e comunitari stanziati per lo sviluppo dell’imprendi-toria e dell’agricoltura, i danni ambientali, i danni al sistema sanitario, l’omessa riscossione di proventi pubblici e tributi, le illegittime erogazioni a perso-nale dipendente, le consulenze esterne contra legem, gli illeciti di gestione negli enti a partecipazione pubblica.Invero, i costi a carico della collettività di un - or-mai non più sostenibile - consumo del territorio e dell’ambiente - sono tanti e gravi: dissesto idro-geologico; perdita delle indispensabili funzioni ambientali svolte dal suolo; distruzione del primo fattore produttivo del settore agroalimentare (suo-lo fertile) e di quello turistico (paesaggio), due tra i principali settori trainanti dell’economia naziona-le; perdita di quella per secoli è stata la peculiarità del paesaggio italiano e cioè l’armonia e l’equilibrio tra città e campagna, tra paesaggio rurale e paesag-gio storico-culturale; impatto sociale, in termini di pregiudizio alla qualità della vita, al benessere delle persone, alla memoria storica, ai diritti delle gene-razioni future.L’art. 313, c. 6 del Codice dell’ambiente ha stabilito che “nel caso di danno provocato da soggetti sot-toposti alla giurisdizione della Corte dei conti, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, anziché ingiungere il pagamento del risarcimen-to per equivalente patrimoniale, invia rapporto all’Ufficio di Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti competente per territorio”. In questo modo è salvaguardata la competenza della Corte dei conti in relazione a danni all’ambiente cagionati da funzionari pub-blici.Il quadro delle norme inerenti la sostenibilità am-bientale viene completato dall’art. 34 del D.Lgs. n. 50 del 18 aprile 2016, contenente il riordino della disciplina in materia di contratti pubblici, inerente i criteri di sostenibilità energetica e ambientale. L’ar-ticolo riprende le disposizioni contenute nel Colle-gato ambientale e sancisce l’obbligo di applicazione dei Criteri Ambientali Minimi (CAM) definiti dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territo-rio e del Mare (MATTM), almeno per le specifiche tecniche e per le condizioni di esecuzione contrat-tuale. Si stabilisce, inoltre, nel medesimo articolo che i CAM sono tenuti in considerazione per l’ap-

plicazione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa ai sensi dell’art. 95, comma 6 del Codice.

8. Le Sezioni regionali di controllo

La legge n. 131/2003 assegna alle Sezioni regionali, potenziando il loro ruolo collaborativo, anche una funzione consultiva da espletarsi, nella “materia di contabilità pubblica”, su richiesta delle Regioni non-ché dei Comuni, Province e Città metropolitane; questi ultimi, di norma, tramite il Consiglio delle autonomie, se istituito.Circa i soggetti legittimati a richiedere pareri, si è preferito optare per una interpretazione restrittiva della norma, escludendo Unioni di comuni, Con-sorzi e Comunità montane; mentre si è riconosciuto che la mancata istituzione del Consiglio delle au-tonomie non rappresenti un ostacolo all’iniziativa diretta del singolo ente locale.Quanto all’oggetto della consulenza, individuato dal legislatore nella contabilità pubblica, si è ritenu-to che possa ricomprendere, in particolare, “la di-sciplina dei bilanci e i relativi equilibri, l’acquisizione delle entrate, l’organizzazione finanziaria-contabile, la disciplina del patrimonio, la gestione delle spese, l’indebitamento, la rendicontazione e i relativi con-trolli”.Le richieste di pareri devono riguardare ambiti ed oggetti di portata generale e non fatti gestionali spe-cifici, né, tanto meno, questioni che involgano giu-dizi su comportamenti amministrativi, interferendo con ambiti di competenza delle Procure regionali della Corte. Per le questioni di rilevanza generale o, comunque, di particolare interesse le Sezioni regio-nali chiedono una disamina preventiva alla Sezione delle autonomie, al fine di scongiurare il rischio di pareri territorialmente differenti o contrastanti con precedenti pronunce della stessa Sezione centrale.Attesa l’esigenza di riaffermare l’unitarietà dell’Isti-tuzione di controllo esterno, si è resa necessaria una maggiore incisività dell’attività di coordinamen-to cui è chiamata la Sezione delle autonomie; pur con il più ampio coinvolgimento e la salvaguardia dell’autonomia delle Sezioni regionali di cui essa è “espressione”. La prevalenza dei quesiti proposti ha riguardato l’interpretazione della disciplina annua-le del patto di stabilità contenuta nelle leggi finan-ziarie, ma sono stati anche temi tradizionali dell’or-dinamento contabile a suscitare ancora incertezze e divergenze operative e a coinvolgere la funzione consultiva della Corte.

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Si verifica assai frequentemente che il dissesto delle società partecipate trascina con sé gli enti locali di riferimento. L’eventuale azione per il risarcimento danni - malgrado le società operino con danaro pubblico - è stato attribuito al giudice ordinario. Ma l’art. 1, c. 4, D.L. n. 174/2012 assegna alle sezioni regionali della Corte dei conti il compito di valu-tare l’operato delle partecipate e il c. 3 contempla l’istituzione di un sistema di controllo da parte degli ee.ll. sulle società partecipate non quotate. Recente-mente la Cassazione ha riconosciuto la sussistenza della giurisdizione contabile per le c.d. “società in house” (soc. di diritto privato definite dalla natura pubblica dei soci, dall’esercizio prevalente dell’atti-vità in favore dei soci stessi e dalla sottoposizione a un controllo corrispondente a quello esercitato da-gli enti pubblici sui propri uffici).Le società partecipate - di numero variabile per es-sere soggette a frequenti modifiche dell’assetto so-cietario - nell’ultima rilevazione della Corte sono: 50 quelle partecipate dallo Stato; 5.258 quelle par-tecipate da ee.ll. (alle quali vanno aggiunti 2.214 or-ganismi di varia natura, come consorzi, fondazioni, ecc.). Circa un terzo delle società partecipate dagli ee.ll. è in perdita. La costituzione di società partecipate risponde all’esigenza di snellezza dell’azione amministrativa, ma ha l’effetto di sottrarre la loro attività al regime della concorrenza e talvolta di eludere i vincoli di finanza pubblica specie nell’attività contrattuale e nell’assunzione del personale per cui è in corso, da parte del Governo e del Parlamento un processo di riduzione del loro numero.

9. Le esigenze di tutela della finanza pubblica e i vincoli comunitari nella giurisprudenza costitu-zionale in materia

La Corte costituzionale ha inteso definire i confini della materia “armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica”, affidata alla competenza ripartita di Stato e Regioni. Al ri-guardo ha seguito un indirizzo che privilegia, nel bilanciamento degli interessi in gioco, le esigenze di tutela della finanza pubblica e il rispetto dei vincoli all’uopo predisposti in sede comunitaria, anche se ciò comporta inevitabili limitazioni indirette all’au-tonomia di spesa delle Regioni e degli enti locali.Tra i principi fondamentali della materia vanno annoverati anche quelli che riconoscono “poteri puntuali eventualmente necessari perché la finalità di coordinamento possa essere concretamente realizza-

ta”, nella convinzione che “il coordinamento finan-ziario può richiedere, per la sua stessa natura, anche l’esercizio di poteri d’ordine amministrativo, di rego-lazione tecnica, di rilevazione di dati e di controllo” (v. sentenza n. 376 del 2003). Questo orientamento è stato successivamente più volte confermato anche con riguardo al controllo della Corte dei conti con le sentenze n. 36 del 2004, n. 35 e n. 64 del 2005 e n. 267 del 2006.La stessa Corte, con la sentenza n. 179 del 23 marzo 2007, ha ribadito la non incompatibilità tra control-lo interno istituito dalle Regioni e controllo esterno affidato alla Corte dei conti, quale “organo della Re-pubblica per garantire il rispetto dell’equilibrio unita-rio della finanza pubblica complessiva”.È da sottolineare il carattere di novità che detto controllo riveste e la sua distinzione dal controllo sulla gestione in senso stretto. Esso, infatti - dice il giudice costituzionale - appartiene alla categoria dei controlli deputati al “riesame di legalità e regolarità”, è “dichiaratamente finalizzato ad assicurare in vista della tutela dell’unità economica della Repubblica e del coordinamento della finanza pubblica la sana ge-stione finanziaria degli enti locali nonché il rispetto del patto di stabilità interno”e trova il suo precipuo fondamento costituzionale nell’art. 117, comma 3, Cost., che riserva allo Stato la competenza a dettare principi nella materia concorrente dell’armonizza-zione dei bilanci e del coordinamento della finanza pubblica.Invero, il controllo sulla gestione in senso stretto, come nota la sentenza, serve ad assicurare l’uso delle risorse nel modo più efficace, più economico e più efficiente e si attua attraverso programmi e su materie scelte a campione e secondo autonome valutazioni dell’organo di controllo. Invece, il con-trollo in questione “si svolge su documenti di carat-tere complessivo e necessario e con cadenza annuale”, quali i bilanci e i rendiconti. Anche questo control-lo ha natura collaborativa, in quanto si limita alla segnalazione all’ente controllato delle rilevate di-sfunzioni e rimette all’ente stesso l’adozione delle misure necessarie, pur riservando al controllore la necessaria vigilanza, “indispensabile per l’effettività del controllo”. Inoltre, esso completa la disciplina già contenuta nella legge n. 131/2003, individuan-do, nell’utilizzazione strumentale dell’opera dei revisori degli enti locali, il percorso operativo ido-neo a dare concreta e generalizzata attuazione al controllo sugli aspetti economici e finanziari della gestione (Staderini).

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10. Le più recenti trasformazioni nella disciplina dei controlli

10.1. Controllo successivo su singoli atti di gestione

L’art. 1, c. 173, legge n. 266/2005 (L.F. 2006) obbliga tutte le P.A. a trasmettere alla competente sezione della Corte gli atti di spesa che si riferiscono a in-carichi di consulenza (per verificare la loro riduzio-ne) nonché a relazioni pubbliche, convegni, mostre e spese di rappresentanza. L’art. 3, c. 44, legge n. 244/2007 (L.F. 2008) ha imposto l’obbligo a tutte le amministrazioni, enti e società pubblici della co-municazione “preventiva” alla Corte dei conti degli atti di attribuzione di emolumenti o retribuzioni e di conferimento di incarichi, perché si accerti, in sede di controllo successivo (come precisa il succes-sivo c. 53), il rispetto dei limiti imposti.La stessa legge, ai commi 54-57, si occupa dei rego-lamenti degli enti locali sugli affidamenti di incari-chi di collaborazione, studio, ricerca e consulenza. In particolare, vi è l’obbligo imposto a tutti gli enti locali di inviare alle Sezioni regionali, entro 30 gior-ni dalla loro adozione, le nuove disposizioni regola-mentari sui limiti, criteri e modalità di affidamento nonché sulla spesa massima consentita.A giudizio della Sezione delle Autonomie, la nuova competenza configura un controllo di legittimità sui singoli atti regolamentari in discorso, rivolto ad accertare la loro conformità al quadro normativo di riferimento; controllo che può comportare un pro-cedimento in contraddittorio con l’Amministra-zione per contestare i vizi di legittimità e suggerire correzioni o integrazioni e può sfociare in una pro-nuncia dichiarativa di inadempienza.

10.2. Controllo concomitante sulla gestione

La legge n. 15 del 4 marzo 2009, che conferisce al Governo una delega “finalizzata all’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e all’efficien-za e trasparenza delle pubbliche amministrazioni”, contiene, all’art. 11, una serie di disposizioni che, da un lato, sono del tutto estranee all’oggetto della delega, dall’altro, sono in grado di sconvolgere l’as-setto tradizionale della Corte dei conti, sia quanto a competenze e procedure che in relazione all’ordina-mento interno.In particolare, sul piano funzionale, è introdotta una nuova forma di controllo sulle gestioni pub-bliche, statali, regionali e locali, in corso di svolgi-mento. Il controllo della Corte non riguarderà più soltanto, come in passato, gestioni già svolte, per

valutarne i risultati e le modalità di svolgimento, ma anche mentre si realizzano, per verificare la loro idoneità a raggiungere, nei tempi programmati e nel rispetto delle regole di buona amministrazione, gli obiettivi prefissati.Più in dettaglio, la Corte ha il potere, ove accerti gravi irregolarità gestionali ovvero gravi deviazioni da obiettivi, procedure o tempi d’attuazione stabiliti da norme o da direttive governative, di individuare le cause, in contraddittorio con l’Amministrazione, e darne comunicazione al Ministro competente, il quale, sulla base di sue valutazioni anche di ordine economico-finanziario, può disporre la sospensio-ne dell’impegno delle somme stanziate. Del pari, la Corte può individuare le cause di rilevanti ritardi nella realizzazione di piani e programmi, nell’ero-gazione di contributi o nel trasferimento di fondi, comunicandole al Ministro competente: l’Ammini-strazione ha sessanta giorni di tempo per adottare i provvedimenti atti a rimuovere gli impedimenti, ma il Ministro può sospendere il termine stesso per il tempo ritenuto necessario o comunicare al Parla-mento e alla Presidenza della Corte le ragioni che impediscono di ottemperare ai rilievi.Le Sezioni regionali della Corte possono anch’esse esercitare gli stessi poteri di controllo concomitan-te sulle gestioni regionali e locali, ma solo “previo concerto con il Presidente della Corte”; in questo caso la facoltà attribuita al Ministro competente spetta ai rispettivi organi di governo ed il referto al Parla-mento è sostituito da quello alle relative assemblee elettive.

10.3. Controllo ai sensi dell’art. 148-bis TUEL

Mantiene un ruolo significativo e preminente, nell’ambito delle funzioni assegnate alle Sezio-ni regionali, il controllo degli equilibri finanziari e della sana gestione delle risorse degli enti locali, svolto attraverso i contributi di analisi e di cono-scenza forniti dalle relazioni predisposte dagli or-gani di revisione sulla base delle Linee guida della Sezione delle autonomie. Si tratta di un controllo, già previsto dall’art. 1, commi 166 e seguenti, della legge n. 266/2005, ma innovato e rafforzato dall’art. 148-bis del D.Lgs. 267/2000, introdotto dal D.L. n. 174/2012, che, in quanto finalizzato alla tutela “dell’unità economica della Repubblica e del coor-dinamento della finanza pubblica”, ha lo scopo di accertare e segnalare ai Consigli degli Enti interes-sati la presenza di squilibri, anche prospettici, di natura economico-finanziario, la mancata coper-

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tura di spese, la violazione delle norme finalizzate a garantire la regolarità della gestione finanziaria o il mancato rispetto degli obiettivi posti dal patto di stabilità interno, infine le gravi irregolarità conta-bili, nonché i consolidati comportamenti difformi dalla sana gestione.L’art. 6, comma 2, del D.Lgs. n. 149/2011 disci-plina la procedura del cd. “dissesto guidato”. Se in base ai controlli effettuati ai sensi dell’art. 148 bis TUEL emergono comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria, violazioni degli obiettivi di finanza pubblica, irregolarità contabili o squilibri strutturali di bilancio in grado di provocare il disse-sto e l’ente non adotta le opportune misure corret-tive, la competente Sezione regionale della Corte dei conti trasmette gli atti al Prefetto e alla Conferen-za permanente per il coordinamento della finanza pubblica. In seguito a tale trasmissione, l’ente ha trenta giorni di tempo per porre fine all’inadempi-mento; in caso contrario, e qualora venga accertata dalla Corte dei conti la sussistenza delle condizioni di dissesto ex art. 244 TUEL, il Prefetto assegna al Consiglio comunale un termine massimo di venti giorni per deliberare lo stato di dissesto, decorso il quale è previsto lo scioglimento del consiglio e la nomina di un commissario.Tuttavia, con il D.L. n. 174/2012 è stata prevista per gli Enti una diversa possibilità di soluzione alle si-tuazioni di difficoltà finanziaria, ovvero la procedu-ra di riequilibrio finanziario pluriennale (artt. 243-bis e ss. TUEL), in cui l’assunzione e la gestione delle iniziative per il risanamento sono affidate agli stessi organi dell’ente.Tale procedura alternativa, alla quale si può ricor-rere previa deliberazione consiliare, non può esse-re iniziata nel caso in cui la Sezione regionale della Corte dei conti abbia già assegnato il termine per l’adozione delle misure correttive previsto dalla so-pra citata norma sul dissesto guidato; per converso, il ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario sospende, per tutta la sua durata, la possibilità di avviare il dissesto guidato (art. 243-bis, comma 3, TUEL).Le Sezioni regionali della Corte dei conti hanno un ruolo non marginale nelle procedure in esame, in quanto l’articolo 243-quater dispone, da parte di quest’ultime, l’esame del piano di riequilibrio entro il termine di 30 giorni dalla data di ricezione della documentazione, che si conclude con una delibera di approvazione o di diniego del piano, valutata “la congruenza ai fini del riequilibrio”.

11. Gli interventi sugli apparati regionali

Per quanto concerne le nuove regole in materia di finanza e funzionamento delle regioni, il D.L. n. 174/2012 reca all’art. 1 disposizioni volte a raffor-zare i poteri di controllo della Corte dei conti ed i sistemi di controllo interno, nonché misure di con-tenimento della spesa degli organi politici degli enti territoriali e di riduzione dell’apparato politico.La linea ispiratrice del nuovo testo è di aumenta-re in modo sostanziale il controllo sulla gestione finanziaria delle regioni attraverso la garanzia del rispetto dei vincoli finanziari derivanti dall’appar-tenenza dell’Italia all’Unione europea, oltre quella già prevista del rafforzamento del coordinamento della finanza pubblica: si prevede pertanto un mo-dello di controllo sui bilanci preventivi e sui ren-diconti consuntivi, che comporta l’esame da parte delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti del complesso dei documenti di bilancio re-gionali sotto il profilo del rispetto degli obiettivi annuali posti dal patto di stabilità interno, dell’os-servanza dei vincoli costituzionali, della sostenibi-lità dell’indebitamento, dell’assenza di irregolarità, suscettibili di pregiudicare gli equilibri economico finanziari degli enti.A tal fine i relativi rendiconti dovranno tener con-to anche degli effetti finanziari derivanti da par-tecipazioni societarie nei soggetti che gestiscono servizi pubblici regionali (o servizi strumentali alla regione) nonché dei risultati della gestione de-gli enti del settore sanitario. La relativa procedura prevede che le Sezioni regionali di controllo della Corte potranno emettere una pronuncia di accer-tamento qualora riscontrino squilibri economico-finanziari o altre rilevanti irregolarità: entro i suc-cessivi 60 giorni le regioni interessate dovranno adottare provvedimenti idonei a rimuovere le irre-golarità e a ripristinare gli equilibri di bilancio e, in caso di inerzia o di inidoneità di tali provvedimen-ti. Alle regioni medesime è preclusa l’attuazione dei programmi di spesa per i quali è stata accertata la mancata copertura o l’insussistenza della relativa sostenibilità finanziaria.Inoltre ogni dodici mesi il presidente della regio-ne dovrà trasmettere alla Corte una relazione sulla regolarità della gestione e sul sistema dei controlli interni. È anche introdotto il giudizio di parifica-zione, da parte delle sezioni regionali di controllo, dei rendiconti regionali ed una relazione semestrale della Corte dei conti sulla tipologie delle coperture finanziarie e sulle tecniche di quantificazione degli

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oneri adottate per i provvedimenti approvati dalle regioni in ciascun semestre.Il nuovo sistema di controllo si estende anche ai rendiconti dei gruppi consiliari del Consiglio regio-nale, ciascuno dei quali deve approvare un rendi-conto di esercizio annuale (redatto secondo idonee modalità stabilite con dPCM), trasmesso al presi-dente del Consiglio regionale e da questo al presi-dente della regione che, entro i successivi 60 giorni, lo invia alla Corte dei conti. In presenza di irrego-larità, quest’ultima (entro 30 giorni, decorsi i quali si determina il silenzio-assenso) può richiederne le opportune modifiche ed integrazioni, da effettuar-si ad opera del gruppo consiliare interessato che, qualora non provveda (o anche qualora non abbia provveduto alla trasmissione stessa del rendiconto) decade dal diritto all’erogazione di risorse da parte del consiglio regionale, con contestuale obbligo di restituzione delle risorse nel frattempo ricevute e non rendicontate.Nel giudizio di parifica dei rendiconti generali del-le singole Regioni è presente anche il Procuratore contabile. Ai fini della riduzione dei costi della politica, l’art. 2 introduce una serie di misure che incidono sulle spese per gli organi regionali, tra le quali si segna-lano:

a) la conferma della riduzione, già disposta dal pre-cedente D.L. n. 138/2011, del numero dei consiglieri ed assessori regionali;

b) la riduzione dell’indennità di consiglieri ed as-sessori;

c) il divieto di cumulo di indennità e emolumenti;

d) la riduzione dei contributi ai gruppi consiliari.

Viene poi novellata (art. 1-bis) la disciplina sanzio-natoria e premiale degli enti territoriali contenuta nel D.Lgs. n. 149/2011, con riguardo in particolare alla relazione di fine legislatura prevista dal mede-simo decreto per le regioni e gli enti locali. Si pre-vede la trasmissione della stessa relazione anche alla Corte dei conti, e si estendono anche alle autono-mie speciali, in presenza di specifici presupposti, le verifiche di regolarità amministrativo-contabile previste nel medesimo decreto legislativo ed, infine, si introduce per gli enti locali la relazione di inizio mandato

12. Le disposizioni relative agli enti locali

Il decreto 174/2012 reca, negli articoli da 3 a 8, nu-merose disposizioni concernenti gli enti locali: si

prevede l’obbligo di trasparenza dei redditi degli amministratori dei comuni con più di 15mila abi-tanti (il cui stato patrimoniale dovrà essere pub-blicato annualmente, nonché all’inizio ed alla fine del mandato) e si ridisegna il sistema dei controlli interni degli enti locali.In proposito si dispone, oltre ai controlli di regola-rità amministrativa contabile, di gestione e di con-trollo strategico, anche il controllo sugli equilibri finanziari dell’ente e il controllo degli organismi gestionali esterni all’ente, in particolare sulle so-cietà partecipate per gli enti locali con popolazio-ne superiore, in prima applicazione della norma, a 100mila abitanti (limite dimensionale che poi è sceso a 50mila abitanti nel 2014 ed a 15mila abitanti a decorrere dal 2015). È stata, inoltre, potenziata la funzione di controllo della Corte dei conti sugli enti locali, che ricomprende, anche in corso di eserci-zio, la verifica della regolarità della gestione finan-ziaria, gli atti di programmazione e la verifica del funzionamento del sistema di controllo interno di ciascun ente. In tal modo, si attribuisce al giudice contabile, nei confronti degli amministratori degli enti, un potere sanzionatorio per un importo che può variare da cinque a venti volte la retribuzione del soggetto interessato.In particolare, l’art 3, lett r) introduce nel TUEL i nuovi articoli 243 bis, 243 ter, 243 quater e 243 quin-quies. Il nuovo articolo 243 bis reca la disciplina ge-nerale della nuova procedura di riequilibrio finan-ziario, volta ad evitare la dichiarazione di dissesto di quei comuni con popolazione non inferiore a 20.000 abitanti e delle province per i quali, anche in considerazione delle pronunce delle competenti se-zioni regionali della Corte dei conti sui bilanci degli enti, sussistano squilibri strutturali del bilancio in grado di provocare il dissesto finanziario. La predet-ta procedura prevede che il consiglio dell’ente locale deliberi un piano di riequilibrio finanziario plurien-nale della durata massima di 10 anni nel quale si deve tenere conto di tutte le misure necessarie a su-perare le condizioni di squilibrio rilevate. Si tratta di una terza fattispecie che si aggiunge alle situazioni, elencate dagli artt. 242 del TUEL e 244 del TUEL, di Enti in condizioni strutturalmente “deficitarie” e di Enti in situazioni di dissesto finanziario. L’art. 243 ter “ istituisce e disciplina l’accesso degli enti locali al “Fondo di rotazione per assicurare la stabilità fi-nanziaria degli enti locali”, il quale è finalizzato al risanamento finanziario degli enti locali che hanno deliberato la procedura di riequilibrio finanziario di cui all’articolo 243 bis. L’art. 243 quater definisce

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le procedure di esame del “piano di riequilibrio fi-nanziario pluriennale” e quelle che garantiscono il controllo sulla relativa attuazione: la sezione regio-nale della Corte dei conti svolge un ruolo essenziale in quanto, a seguito dell’istruttoria condotta dalla sottocommissione della Commissione per la finanza e gli organici degli enti locali (ex art. 155 del TUEL) condotta sulla base delle Linee guida deliberate dalla Sezione delle autonomie della Corte dei conti e delle indicazioni fornite dalla competente Sezione regio-nale di controllo della Corte dei Conti, è chiamata a deliberare sull’approvazione o sul diniego del piano, valutandone la congruenza ai fini del riequilibrio. In caso di approvazione del piano, la Corte vigila sull’esecuzione dello stesso. Nell’art. 243 quinquies sono infine disciplinate le “Misure per garantire la stabilità finanziaria degli enti locali sciolti per feno-meni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso”.L’art. 6 della legge n. 174/2012 affida alle sezioni re-gionali della Corte dei conti il compito di svolgere i controlli per la verifica dell’attuazione delle misure dirette alla razionalizzazione della spesa pubblica degli enti territoriali (c.d. spending review) sulla base di metodologie appropriate definite dalla Se-zione autonomie della stessa Corte di conti.Inoltre, la Corte dovrà esaminare il bilancio pre-ventivo e consuntivo dell’ente locale, comprensi-vi delle risultanze delle partecipazioni in società controllate. Gli effetti del controllo potranno condurre ad una pronuncia di accertamento dalla quale deriva l’obbligo per l’ente di adottare prov-vedimenti correttivi che, se ritenuti inidonei dalla Corte, comportano la preclusione, per l’ente, dei programmi di spesa per i quali è emersa la non so-stenibilità finanziaria. Specifiche norme sono poi volte a rafforzare le sanzioni per gli amministra-tori che abbiano cagionato il dissesto finanziario degli enti locali: si sopprime il limite temporale dei cinque anni che precedono il dissesto accertato dalla magistratura contabile; si inserisce l’espres-so richiamo alle condotte omissive rilevanti ai fini delle cause ostative a ricoprire determinati incari-chi ivi previste; si introduce una sanzione pecunia-ria da irrogare nei confronti degli amministratori giudicati responsabili. Misure sanzionatorie sono anche introdotte per i componenti del collegio dei revisori degli enti locali di cui la Corte abbia accer-tato le responsabilità.

TITOLO II

Il Codice di giustizia contabile

Cap. IIl nuovo processo presso la Corte dei conti

1. La nuova giustizia contabile

Nel s.o. n. 41 alla Gazzetta Ufficiale n. 209 del 7 set-tembre 2016 è stato pubblicato il decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174 relativo al Codice di giustizia contabile adottato ai sensi dell’art. 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124. Si tratta di un testo che, in at-tuazione della cd. Riforma Madia, racchiude le di-sposizioni processuali di tutte le tipologie di giudizi che si svolgono davanti alla Corte dei conti, dai più noti giudizi di responsabilità erariale, ai giudizi di conto, a quelli sanzionatori e pensionistici.Il Codice, entrato in vigore il 7 ottobre 2016, racco-glie organicamente e sistematizza le disposizioni già esistenti e, sulla base dei principi e criteri direttivi della legge delega, contiene significativi elementi di novità, soprattutto sul fronte dei giudizi di re-sponsabilità per danno erariale. Come si legge nel relativo comunicato stampa del Governo, datato 10 agosto 2016:«Sono stati recepiti i principi del “giusto processo”, ed in particolare quello della parità delle parti. Sono stati disciplinati i poteri del pubblico ministero, al quale si chiede di svolgere attività di indagine non solo per provare gli elementi costitutivi della responsabili-tà erariale, ma anche per accertare gli elementi che escludono tale responsabilità; è stato previsto l’obbli-go di motivazione degli atti istruttori e introdotta, in difetto, una specifica causa di nullità; sono state va-lorizzate le tutele difensive sin dalla fase istruttoria; sono stati introdotti riti alternativi e semplificati, con l’obiettivo di ridurre il volume del contenzioso senza trascurare le finalità risarcitorie, in parallelismo con gli analoghi sistemi deflattivi del contenzioso intro-dotti per i giudizi ordinari; sono state dettate nor-me per rendere più certa l’esecuzione delle sentenze di condanna. In sintesi, il processo contabile, fin qui disciplinato da norme risalenti molte addirittura agli anni ‘30, diventa più celere, le garanzie della difesa sono adeguatamente rafforzate, il principio del giusto processo permea tutti gli istituti processuali».Si riportano, per un’illustrazione complessiva, alcu-ne considerazioni tratte dalla Relazione illustrativa al Codice.

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«Le novità di maggior rilievo si sono concentrate nella parte dedicata al giudizio di responsabilità amministrativa, mentre gli interventi che hanno riguardato le altre tipologie di giudizi sono stati principalmente finalizzati alla loro sistematizza-zione, razionalizzazione e semplificazione. Sono stati tuttavia colti aspetti di novità in ambiti di recente introduzione di nuove competenze della Corte: a tale riguardo, merita sottolineare il rilievo specifico e distinto attribuito dal codice, anche in relazione al relativo procedimento, ai giudizi per l’applicazione di sanzioni pecuniarie, nei casi pre-visti dalla legge.La scelta è stata quella di non assimilare tali pecu-liari giudizi all’ordinario giudizio di responsabilità amministrativa, ferme restando le piene garanzie di difesa. Fra le tante innovazioni e i numerosi in-terventi sul piano legislativo che si sono registrati negli ultimi anni in materia di responsabilità am-ministrativa, infatti, sia sul piano sostanziale che sul piano formale, ha assunto un particolare rilievo la tendenza del legislatore, rilevabile nelle leggi finan-ziarie degli ultimi anni, a procedere alla tipizzazione di alcune fattispecie di responsabilità sanzionate.Invero l’ordinamento già conosceva fattispecie di questo tipo, quale, ad esempio, quella prevista dal combinato disposto delle disposizioni di cui agli articoli 45, comma 2, lett. c), e 46, comma 1, del R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, in materia di manca-ta presentazione del conto giudiziale, ma è con la fattispecie di responsabilità sanzionatoria prevista dall’articolo 30, comma 15, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria 2003) che si registra una innovazione sul piano legislativo che segna una nuova tendenza del legislatore a prevedere, accanto alla generale responsabilità amministrativa per dan-no, di tipo risarcitorio, devoluta alla giurisdizione della Corte dei conti, fattispecie di responsabilità amministrativa tipizzate e sanzionate, pur in assen-za di danno patrimoniale, con una sanzione previa-mente prevista dalla legge, e devolute anch’esse alla cognizione del giudice contabile.Le linee di fondo, del tutto coerenti con la delega, sono state quelle di semplificare, di dettare regole certe sull’attività istruttoria, di valorizzare le ga-ranzie difensive sin dalla fase preprocessuale, di far venir meno i presunti profili “inquisitori” del giudi-zio di responsabilità (incidendo sul c.d. potere sin-dacatorio del giudice), e di introdurre infine, nello stesso, i principi del c.d. giusto processo. L’obietti-vo perseguito è stato la ricerca di una sintesi tra le esigenze di un processo equilibrato e dalla durata

ragionevole, la tutela dell’erario (in considerazione del prevalente carattere risarcitorio del giudizio di responsabilità amministrativa) e il rispetto delle garanzie difensive in ogni momento del procedi-mento. Sullo sfondo di tali obiettivi, concordemen-te condivisi dalla Commissione redigente, il primo tema è stato quello dei principi generali, comuni a tutti i diversi giudizi che si svolgono davanti alla Corte dei conti.Nell’analisi di impatto della regolamentazione (a.i.r.) è contenuta la rappresentazione del proble-ma da risolvere e delle criticità constatate, anche con riferimento al contesto internazionale ed eu-ropeo, nonché delle esigenze sociali ed economiche considerate. Da tale analisi vengono tratti alcuni salienti aspetti, idonei a chiarire le principali novità legislative».

2. Denuncia di danno e attività istruttoria del pub-blico ministero

Come si rileva dalla Relazione illustrativa, «il nuovo codice, in attuazione del criterio di delega che ha previsto la “specificazione delle modalità di eserci-zio dei poteri istruttori del pubblico ministero, an-che attraverso l’impiego delle forze di polizia, anche locali”, non introduce nuovi o diversi poteri istrut-tori oltre quelli che ad esso erano già attribuiti. Per-tanto, il codice si è posto nell’ottica di disciplinare e dettagliare i poteri istruttori del pubblico ministero, prevedendo in parallelo le più opportune garanzie della difesa sin dalla fase istruttoria.Ha un carattere di assoluta novità una previsione contenuta nell’articolo 55, secondo la quale il pub-blico ministero, oltre a compiere ogni attività utile al fine di acquisire elementi necessari all’esercizio dell’azione erariale, svolge altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della 16 persona indivi-duata come presunto autore del danno. Si è inte-so esplicitare la regola - peraltro comune a quella vigente in ambito processualpenalistico - in forza della quale il pubblico ministero contabile non deve attivarsi solo per provare gli elementi a sostegno dell’accusa, ma anche ricercare elementi a favore del presunto responsabile. Viene così affermato un imprescindibile principio di garanzia che vuole l’ac-certamento della verità storica quale valore assoluto anche nella tutela delle ragioni dell’erario, ovvia-mente senza perdere di vista la stessa.La norma, che non va ovviamente letta come de-roga al principio generale in tema di onere proba-torio, si coordina perfettamente con la previsione

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contenuta nell’articolo 67, comma 7 del codice, ove si prevede che l’attività istruttoria del pubblico ministero contabile successiva all’invito a dedurre debba trovare fondamento nelle argomentazioni difensive acquisite in sede di controdeduzioni o di audizione personale dell’invitato. Creare uno iato assoluto (...) tra le attività istruttorie ante invito a dedurre e le successive, avrebbe compromesso gravemente le esigenze di difesa delle parti e an-cor più l’interesse superiore, appena menzionato come esplicitamente declinato del codice, all’ac-certamento della verità. I mezzi istruttori, come si è sopra indicato, sono quelli di cui all’articolo 5, comma 6, della L. 19/1994.Il pubblico ministero può pertanto disporre: l’esi-bizione di documenti, nonché ispezioni ed accerta-menti diretti presso le pubbliche amministrazioni ed i terzi contraenti o beneficiari di provvidenze finanziarie a carico di bilanci pubblici; il sequestro di documenti; audizioni personali; perizie e consu-lenze. Non si è ritenuto, per quanto la tesi, di sicura suggestione, sia stata approcciata nei lavori della Commissione, di inserire specifiche indicazioni in ordine all’assistenza “tecnica” (non necessariamente legale) agli atti istruttori da parte del soggetto che, a volte per mera causalità, li “subisce”, non trattandosi in alcun modo di una “parte” in senso processuale, e ancor meno di un soggetto necessitante di difesa. In altre parole, imporre un qualche onere difensivo aggiuntivo, mutuando in maniera impropria alcuni istituti del codice di rito penale, quale l’assistenza senza preavviso ai cosiddetti “atti a sorpresa” avreb-be sortito il paradossale effetto di creare una forma-le, ed indebita, anticipazione del piano dell’attribu-zione delle responsabilità.Tutti gli atti istruttori devono essere motivati: la omessa o apparente motivazione degli atti istrut-tori, ovvero l’audizione assunta in violazione delle prescrizioni di cui all’articolo 60 costituiscono cau-sa di nullità dell’atto istruttorio e delle operazioni conseguenti (art. 65). Tale apparente conseguenza scontata, costituisce un ulteriore ed esplicito raf-forzamento delle istanze difensive valorizzate dal codice.Costituisce un’importante novità la specifica di-sposizione sulla riservatezza della fase istruttoria: in proposito la normativa prevista mira ad evitare non solo che “fughe di notizie” compromettano l’e-sito delle indagini o rechino nocumento a parallele attività accertative svolte dall’Autorità giudiziaria ordinaria delle quali il pubblico ministero conta-bile abbia avuto contezza, ma anche ad evitare che

ricada sulle persone oggetto di accertamenti, la cui ipotesi di responsabilità neppure è stata formalizza-ta nell’invito a dedurre, il disdoro derivante da fatti dannosi la cui fenomenica esistenza e imputabili-tà sono ancora tutti da dimostrare. Quanto detto, nella consapevolezza che purtroppo il deplorevole fenomeno della pubblicizzazione mediatica di fatti rilevanti è difficilmente riconducibile a situazioni tipizzate e tipizzabili, ma col preciso intento di re-sponsabilizzazione degli attori del processo conta-bile nell’interesse, come già detto, della buona riu-scita dello stesso e nel contempo del buon nome dei presunti responsabili.Altre norme disciplinano l’effettuazione di ispezio-ni o accertamenti diretti, la richiesta di atti, docu-menti e informazioni. Va segnalata in proposito la disposizione per la quale gli atti e documenti pub-blicati sui siti internet delle pubbliche amministra-zioni devono essere acquisiti mediante accesso ai medesimi siti.Relativamente alle audizioni personali (art. 60) di persona informata, è previsto che la persona, se lo ritiene, possa farsi assistere da difensore di fiducia. Il soggetto sottoposto ad audizione ha l’obbligo di presentarsi e di rispondere alle domande che gli sono rivolte. Tuttavia il medesimo soggetto non è obbligato a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere una sua responsabilità: in tale caso deve essere avvertito che se intende rispondere ha fa-coltà di essere assistito da difensore di fiducia, la cui assenza impedisce la prosecuzione dell’audi-zione, che è rinviata a nuova data, secondo il noto brocardo latino “nemo tenetur se detegere”, espli-citamente richiamato come applicabile anche in questo ambito, in recepimento di principio di de-lega. Conseguentemente, il codice sanziona con la nullità l’audizione che si svolge in violazione delle suddette prescrizioni in ordine alla presenza del difensore di fiducia (e tale disposizione costituisce una novità assoluta).Come pure costituisce una novità la previsione di una sanzione pecuniaria (tra un minimo di 100 euro e un massimo di 1.000 euro, irrogati dalla se-zione su richiesta del pubblico ministero) a carico dei soggetti che senza giustificato motivo non ade-riscono all’invito del pubblico ministero.La norma sulle audizioni personali è ispirata dall’obiettivo di raggiungere un equilibrio tra le esigenze di accertamento del danno erariale e le garanzie di difesa del presunto responsabile: e in-fatti, da un lato, prevedendosi l’obbligo di aderire all’invito del pubblico ministero a sottoporsi ad

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audizione personale, si rafforza oggettivamente l’attività accertativa e dall’altra, prevedendosi l’im-possibilità di procedere ad audizione del presunto responsabile in assenza del difensore di fiducia e la sanzione della nullità in caso di violazione di tale ultima prescrizione, si rafforzano oggettivamente le garanzie di difesa. L’apparente accentuazione dell’inquisitorietà dello strumento, che si ravvisa in particolare nella disciplina del comma 5, laddo-ve si prevede la sanzione pecuniaria per la mancata comparizione davanti al Pubblico ministero di chi, regolarmente intimato, non compare, se riguarda-to dall’ottica di chi necessita per suffragare le pro-prie argomentazioni difensive di avvalersi di testi-monianze, ne valorizza ancora una volta la finalità garantista e difensiva.Il pubblico ministero, in base all’articolo 56, può svolgere l’attività istruttoria direttamente, oppure può delegare adempimenti istruttori alla Guardia di finanza o ad altre Forze di polizia, anche locale, agli uffici territoriali del Governo ai servizi ispet-tivi delle amministrazioni pubbliche. Solo in casi eccezionali e motivati può conferire incarichi di accertamento ai dirigenti di qualsiasi pubblica am-ministrazione individuati in base a criteri di pro-fessionalità e territorialità; può infine avvalersi di consulenti tecnici. Per le ispezioni e gli accertamen-ti delegati a dirigenti e funzionari regionali occorre la previa intesa con il presidente della regione (art. 61, comma 7). Il riferimento alla possibilità di de-lega a dirigenti di pubbliche amministrazioni, che peraltro codifica prassi diffusa già in uso, risponde all’esigenza di utilizzarne e valorizzarne in ambito accertativo le conoscenze specifiche, ma è stato do-verosamente contemperato con quella di non creare soluzioni di continuità nell’attività fisiologica degli stessi in ragione degli oneri derivanti dal coinvolgi-mento in attività istruttoria per danno erariale. Da qui la necessità di tener conto di criteri di territo-rialità, evitando inutili e dispendiose trasferte, on-tologicamente incompatibili con la ratio dell’intero procedimento e, ovviamente, di professionalità spe-cifica evidentemente ritenuta infungibile dal pub-blico ministero contabile operante nell’ambito della valutazione dell’efficacia della propria attività a fini accertativi del fatto storico.Il sequestro documentale (art. 62) non è atto dele-gabile, se non per la sua esecuzione. Quanto detto, sottolinea l’importanza, ma nel contempo la natura necessariamente invasiva, che deve garantirne il do-minio in chiave di garanzia da parte del pubblico ministero contabile. Deve essere disposto con de-

creto motivato (come tutti gli atti istruttori), copia del quale è consegnata al responsabile dell’ufficio o al soggetto che ha la disponibilità della documenta-zione oggetto di sequestro. Alle operazioni, che van-no eseguite dopo la consegna del decreto, mediante ricerca e acquisizione immediata degli atti e dei do-cumenti da sequestrare, ha facoltà di assistere senza diritto ad essere avvisato il responsabile dell’area legale, purché prontamente reperibile.Quando sono oggetto di sequestro lettere, pieghi, pacchi, valori, telegrammi e altri oggetti di cor-rispondenza, questi, dal personale operante, non vanno aperti o alterati e neppure ne è consentita la conoscenza: vanno consegnati integri al pubblico ministero.Il decreto di sequestro è reclamabile davanti alla se-zione giurisdizionale competente da chiunque ab-bia interesse, entro dieci giorni dalla consegna del decreto. Entro dieci giorni dal deposito del reclamo la sezione, in camera di consiglio e sentite le parti, decide. Se ravvisa l’estraneità dell’atto o documen-to sequestrato all’oggetto dell’istruttoria, la sezione annulla il decreto di sequestro e dispone l’immedia-to dissequestro.La connotazione dell’acquisizione documentale con l’avverbio “immediatamente” riportata al comma 3 dell’articolo 62 serve a porre fine a prassi distorte di effettuazione di sequestri “differiti”, tali cioè da non garantire l’apprensione subitanea, come tale genuina, della documentazione necessaria alla rico-struzione dei fatti.Si segnala anche, quale diretto contraltare della rafforzata incisività del sequestro, la disposizione di cui al comma 4 dell’articolo 59, rubricato “Esi-bizione di documenti”: ove l’atto o il documento sia reperibile in internet, secondo obblighi peral-tro anche recentemente rafforzati dal legislatore, la relativa acquisizione deve avvenire utilizzando i medesimi siti.Ciò deve indurre il pubblico ministero contabile ad una precisa ponderazione degli interessi istruttori utilizzando i mezzi più incisivi laddove ravvisi la ne-cessità di riscontri di veridicità o integrazioni anche informali non diversamente reperibili in internet, evitando per contro inutili accessi - e conseguente clamore mediatico - per verifiche effettuabili “sfrut-tando” i sempre più incisivi obblighi di trasparenza delle pubbliche amministrazioni» (Relazione illu-strativa, pagg. 15 e ss.).

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3. La conclusione della fase istruttoria

L’art. 66 disciplina, in attuazione dello specifico cri-terio di delega, gli atti interruttivi della prescrizio-ne. La prescrizione può essere interrotta dall’invito a dedurre o da altro formale atto di costituzione in mora, ai sensi degli artt. 1219 e 2943 del codice civile. Il termine quinquennale di prescrizione può essere interrotto per una sola volta.Ai sensi del secondo comma dell’art. 66, a seguito dell’interruzione, al tempo residuo per raggiungere l’ordinario termine quinquennale di prescrizione si aggiunge un periodo massimo di due anni: ne con-segue che la durata massima complessiva del termi-ne di prescrizione non può in ogni caso eccedere i sette anni, decorrenti dall’esordio della prescrizione stessa. Si è inteso in tal modo declinare il principio di delega che, per quanto con ambiguità espressive, vuole cristallizzare in un termine finale di 7 anni quello ritenuto sufficiente dal legislatore a contem-perare le esigenze delle indagini con quelle di garan-zia difensiva, ovviamente pregiudicate dall’eccessiva durata del procedimento. Il termine di prescrizione è sospeso per il periodo di durata del processo.Quanto al termine di esordio della prescrizione, sono naturalmente fatti salvi i principi civilistici di ordine sostanziale relativi alla decorrenza della stessa. La regola codicistica di cui all’art. 2935 c.c. è declinata, nel processo amministrativo contabile, nella norma espressa dall’art. 1, comma 2, della leg-ge 14 gennaio 1994, n. 20, come sostituito dall´art. 3, del decreto legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, n. 63, secondo cui, fuori dei casi di occultamento do-loso del danno, il termine di prescrizione deve esse-re computato dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso. In caso di occultamento doloso del danno, la prescrizione decorre dalla data della sua scoperta.Prima di emettere l’atto di citazione in giudizio, il pubblico ministero notifica al presunto respon-sabile un invito a dedurre: in tale ultimo atto (art. 67) devono essere esplicitati tutti gli elementi es-senziali del fatto, di ciascuna condotta contestata e del contributo causale (dell’invitato). Il termine assegnato all’invitato per esaminare tutte le fonti di prova indicate a base della contestazione formula-ta e per depositare le proprie conclusioni non può essere inferiore a 45 giorni. Nello stesso termine, in calce alle deduzioni o con separato atto, il presunto responsabile può chiedere di essere personalmente sentito dal pubblico ministero. L’omessa audizione richiesta comporta l’inammissibilità dell’atto di ci-

tazione. Entro 120 giorni decorrenti dalla scaden-za del termine assegnato per la presentazioni del-le controdeduzioni, il pubblico ministero emette l’atto di citazione (se non ritiene ai sensi dell’art. 69 di archiviare il fascicolo, anche sulla base degli elementi difensivi offerti nelle controdeduzioni). Si segnalano, quali elementi di novità: la specificazio-ne del contenuto necessario dell’invito a dedurre, l’elevazione del termine minimo per controdedurre (dagli attuali trenta ai previsti quarantacinque), la previsione per la quale successivamente all’invito a dedurre non sono ammesse ulteriori attività istrut-torie, “salva la necessità di compiere accertamenti sugli ulteriori elementi di fatto emersi a seguito delle controdeduzioni” (comma 7 dell’art. 67; cfr, anche art. 55).La norma deve essere letta in chiave rigorosamente garantista in quanto vuole porre un limite all’atti-vità istruttoria d’iniziativa del pubblico ministero contabile all’esito della discovery, già effettuata con l’invito a dedurre.L’impulso all’attività integrativa deve essere di ma-trice difensiva, in quanto ricavabile dalle controde-duzioni, id est da indicazioni dei presunti responsa-bili, evidentemente necessitanti di approfondimenti ulteriori, se del caso nei confronti di altro destinata-rio di invito a dedurre (è noto infatti come, soprat-tutto nel caso di pluralità di ipotetici responsabili, le indicazioni difensive dell’uno possano risolversi in elementi accusatori dell’altro ovvero di soggetto non destinatario di invito). Il codice detta specifi-che regole per la proroga del termine (di centoventi giorni) di cui al comma 5 dell’art. 67: le proroghe sono autorizzate dal giudice all’uopo designato dal presidente della sezione, nella camera di consiglio a tal fine convocata; in primo luogo le possibili pro-roghe sono limitate a due; avverso l’ordinanza che accoglie o nega la proroga è ammesso reclamo alla sezione nel termine perentorio di dieci giorni.

4. L’archiviazione

Quando, anche a seguito di invito a dedurre, la noti-zia di danno risulti infondata o non vi siano elemen-ti sufficienti a sostenere in giudizio la contestazione di responsabilità, il pubblico ministero dispone l’archiviazione del fascicolo istruttorio (art. 69; v. anche, art. 54). Il Codice introduce come specifico motivo di archiviazione per assenza di colpa grave il fatto che l’azione amministrativa (ritenuta dan-nosa) del presunto responsabile si sia conformata al parere reso dalla Corte dei conti in via consulti-

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va. Sulla questione si rinvia, per una più esauriente esposizione e commento, al successivo punto 8. In tema di archiviazione sono altresì presenti altre due novità: il visto necessario del procuratore regionale sul decreto di archiviazione e il potere di avocazio-ne del fascicolo istruttorio conferito a quest’ultimo quando permanga un formale dissenso con il ma-gistrato istruttore sulle ragioni dell’archiviazione. Le due disposizioni accentuano il ruolo e la respon-sabilità dei procuratori regionali, quali responsabili dell’ufficio del pubblico ministero.Il comma 2 dell’art. 69 contempla una specifica ipote-si di archiviazione della notizia di danno, per assenza dell’elemento psicologico: ove l’azione degli enti locali (rectius, l’azione degli amministratori, dei dirigenti e dei funzionari degli enti locali) si sia conformata al parere reso dalla Corte dei conti, nei confronti dei medesimi enti locali, in sede di controllo e in via con-sultiva, la notizia di danno (ovviamente concernente l’azione conforme al parere) deve essere archiviata, per assenza di colpa grave.La disposizione normativa attua il principio e criterio direttivo di cui all’art. 20, comma 2, lett. p), della legge n. 124/2015: “disciplinare esplicita-mente le connessioni tra risultanze ed esiti accerta-tivi raggiunti in sede di controllo e documentazione ed elementi probatori producibili in giudizio, assi-curando altresì il rispetto del principio secondo cui i pareri resi dalla Corte dei conti in via consultiva, in sede di controllo e in favore degli enti locali nel rispetto dei presupposti generali per il rilascio dei medesimi, siano idoneamente considerati, nell’am-bito di un eventuale procedimento per responsa-bilità amministrativa, anche in sede istruttoria, ai fini della valutazione dell’effettiva sussistenza dell’elemento soggettivo della responsabilità e del nesso di causalità”. Con riferimento alla tipologia dei pareri in questione, ed in via esemplificativa, ci si può riferire a quanto dispone l’art. 7, comma 7, secondo periodo, della legge n. 131/2003: “Le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti verificano, nel rispetto della natura collaborativa del controllo sulla gestione, il perseguimento degli obiettivi posti dalle leggi statali o regionali di prin-cipio e di programma, secondo la rispettiva com-petenza, nonché la sana gestione finanziaria degli enti locali ed il funzionamento dei controlli interni e riferiscono sugli esiti delle verifiche esclusivamen-te ai consigli degli enti controllati (...)”.

5. Attività preprocessuali di parte

Gli artt. 71 e 72 riguardano le attività difensive. L’obiettivo al quale si è mirato è stato quello di consentire al presunto responsabile, già nella fase processuale, la più ampia difesa, in attuazione dello specifico criterio di delega, secondo il quale “dopo l’avvenuta emissione dell’invito a dedurre, nel quale devono essere esplicitati gli elementi essenziali del fat-to, (deve essere garantito) pieno accesso agli atti e ai documenti messi a base della contestazione”. È stato di conseguenza previsto che il destinatario dell’invi-to a dedurre ha diritto di visionare ed estrarre copia di tutti i documenti inseriti nel fascicolo istruttorio depositato presso la segreteria della procura regio-nale. In un quadro di coerenza anche con i principi del giusto processo e per la miglior tutela delle ra-gioni difensive è stato previsto che per l’invitato a dedurre tutti i termini per l’esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi e per il diritto di accesso civico siano ridotti della metà.Ed ancora, è stato previsto che in caso di diniego all’accesso o decorsi inutilmente i termini per l’a-dozione del provvedimento espresso, il destinata-rio dell’invito a dedurre possa chiedere al pubblico ministero (con effetto sospensivo del termine per controdedurre) l’attivazione dei poteri istruttori di cui gli artt. 58 (richieste di atti) e 62 (sequestro di documenti), motivando in ordine alla rilevanza 22 dei documenti specificamente individuati per la sua difesa.Se il pubblico ministero non ritiene di accogliere la richiesta, è comunque tenuto a trasmetterla entro tre giorni, dandone comunicazione al ricorrente, al presidente della sezione giurisdizionale, che decide entro cinque giorni. Tale disposizione trova fonte non solo nell’enunciato criterio di delega (di pie-na accessibilità agli atti posti a fondamento della contestazione), ma anche nei principi del giusto processo e più in generale della più ampia tutela del diritto di difesa. Nel dibattito interno alla Commis-sione redigente è infatti emerso che spesso le atti-vità tese all’acquisizione di elementi difensivi sono ostacolate dall’inerzia o da ingiustificati ritardi delle amministrazioni. Sempre in un’ottica di tutela del-la difesa, è stato previsto, all’art. 72, che il presunto responsabile possa presentare, entro cinque giorni dalla notificazione dell’invito a dedurre, istanza di proroga del termine assegnatogli per controdedur-re. In caso di diniego di proroga da parte del pubbli-co ministero, il relativo decreto è reclamabile davan-ti alla sezione giurisdizionale.

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6. Azioni a tutela del credito erariale

Il titolo II della Parte II del Codice disciplina le azioni a tutela del credito erariale ed è attuativo del criterio di delega che prevede di applicare “gli istituti processuali in tema di tutela cautelare an-che ante causam e di tutela delle ragioni del credito erariale tramite le azioni previste dal codice di pro-cedura civile, nonché i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale di cui al libro VI, titolo III, capo V, del codice civile”. L’art. 73 esplicita pertanto la possibilità per il pubblico ministero contabile di esercitare “tutte le azioni a tutela delle ragioni del creditore previste dalla procedura civile, ivi compresi i mezzi di conservazione della garanzia patrimonia-le di cui al libro VI, titolo III, capo V del codice civi-le”. L’espresso richiamo alla disciplina codicistica civile in tema di azioni surrogatoria e revocatoria evita la previsione di specifica o diversa disciplina, che sarebbe meramente ripetitiva di quella civile. Una specifica disciplina è stata invece formulata relativamente al sequestro conservativo. Le novità di rilievo, apportate dal codice, consistono nella disciplina sulla reclamabilità dei provvedimenti cautelari (art. 76) e nella previsione di una cau-zione o fideiussione bancaria (art. 81) in luogo del sequestro.È previsto lo svolgimento, da parte del P.M., di accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona individuata come presunto autore del dan-no, oltre a quelli utili al fine di acquisire elementi necessari all’esercizio dell’azione erariale. (Ciò, in analogia a quanto previsto dall’art. 358 c.p.p. per il pubblico ministero nel processo penale: n.d.r.)L’attività istruttoria del P.M. contabile successiva all’invito a dedurre deve trovare fondamento nelle argomentazioni difensive acquisite in sede di con-trodeduzioni o di audizione personale dell’invitato. In sostanza, è preclusa un’attività istruttoria di ini-ziativa post invito a dedurre, affinché quest’ultimo costituisca un momento di ineludibile garanzia informativa per il presunto responsabile, diversa-mente esposto a supplementi istruttori ad libitum (principio che trova il proprio corollario nella cor-rispondenza tra atto di citazione e invito a dedurre, che egualmente garantisce la messa a disposizione del quadro probatorio nella fase preistruttoria e allo scopo di potersi agevolmente difendere).Al riguardo, è stata esaminata la seguente alterna-tiva:

- Inserimento di specifiche tutele in ordine all’as-sistenza “tecnica” (non necessariamente legale) agli

atti istruttori per il soggetto che, a volte per mera ca-sualità, ne viene coinvolto. Tale opzione è stata scar-tata in quanto avrebbe imposto a tali soggetti - che non sono in alcun modo “parti” in senso processua-le o soggetti necessitanti di difesa - oneri difensivi aggiuntivi, peraltro connotando loro in anticipo e del tutto indebitamente di un’aura di inesistente re-sponsabilità al momento dell’effettuazione dell’atto.

- Previsione, nell’ambito delle audizioni personali di persona informata, che la persona, se lo ritiene, possa farsi assistere da difensore di fiducia. Il sog-getto sottoposto ad audizione, pur avendo l’obbligo di presentarsi e di rispondere alle domande, non ha l’obbligo a deporre su fatti dai quali potrebbe emer-gere una sua responsabilità. In tale ultimo caso, deve essere avvertito, a pena di nullità, che se intende ri-spondere ha facoltà di essere assistito da difensore di fiducia, la cui assenza impedisce la prosecuzione dell’audizione, che è rinviata a nuova data.

- Introduzione di una disciplina a tutela della riser-vatezza della fase istruttoria.

- Introduzione di criteri di territorialità in me-rito alle attività delegate a dirigenti e funzionari dell’amministrazione.

- Specificazione del contenuto necessario dell’invito a dedurre, elevazione del termine minimo per con-trodedurre (dagli attuali trenta ai previsti quaran-tacinque), previsione per la quale successivamente all’invito a dedurre non sono ammesse ulteriori attività istruttorie, “salva la necessità di compiere ac-certamenti sugli ulteriori elementi di fatto emersi a seguito delle controdeduzioni”. In merito a quest’ulti-mo punto, è stata esaminata la seguente alternativa:

• interruzione senza eccezioni delle attività di inda-gine successivamente all’invito a dedurre. È stato valutato che tale opzione avrebbe compromesso le esigenze di difesa delle parti e ancor più l’interesse superiore dell’accertamento della verità.

- In merito alla questione delle denunce anonime, è stata preferita l’opzione zero, ovvero l’assenza di una disciplina esplicita, essendo gli anonimi ricon-ducibili alla dicitura di “notizia di danno comunque acquisita”, purché, ovviamente, sempre filtrata dal-la necessaria sussistenza degli elementi di garanzia della concretezza e specificità dei contenuti. La scel-ta di non introdurre una disciplina esplicita degli anonimi deriva anche dalla volontà di conformare indirettamente il dettato normativo alle “Linee gui-da in materia di tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti (c.d. whistleblower)”, contenute nel-

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la determina dell’ANAC n. 6 del 28 aprile 2015, e all’attuale Piano Nazionale Anticorruzione, che pre-vede nell’All. 1, par. B.12.1, “... che l’amministrazione deve prendere in considerazione anche le segnalazioni anonime, ove queste siano adeguatamente circostan-ziate e rese con dovizia di particolari, ove cioè siano in grado di far emergere fatti e situazioni relazionandoli a contesti determinati”.

7. Questioni di massima e questioni di particolare importanza

In attuazione dei principi e criteri di delega sopra citati, è stata ridefinita la disciplina sul deferimento delle questioni di massima e di particolare impor-tanza già regolata dall’art. 7 del D.L. 15 novembre 1993, n. 453, convertito in legge, con modificazioni, con l’art. 1, comma 1, legge 14 gennaio 1994, n. 19.Accogliendo gli spunti offerti dal consolidato orien-tamento giurisprudenziale, la possibilità di deferire la soluzione di questioni di massima alle sezioni ri-unite viene attribuita alle sezioni giurisdizionali di appello, in ragione della c.d. “difformità orizzonta-le” tra pronunce di secondo grado. Tale possibilità viene, invece, preclusa alle sezioni giurisdizionali territoriali, con ciò riportando la c.d. “difformità verticale” nell’ ambito più propriamente fisiologico della divergenza tra orientamenti giurisprudenziali, e valorizzando per converso, in ragione del princi-pio di ragionevole durata, il vaglio del giudice di appello (...).L’art. 117 regola l’ipotesi del motivato dissenso da parte della sezione giurisdizionale di appello che ri-tenga di non condividere un principio di diritto, di cui debba fare applicazione. In tal caso la decisione dell’impugnazione viene rimessa alla sezione.

8. Regolamento di competenza e giudizi in unico grado

Il conflitto di competenza, che si configura avanti alla giurisdizione contabile soltanto come conflit-to di competenza territoriale, viene definito all’art. 118 in analogia alla disciplina processualcivilistica dell’art. 45 c.p.c. L’istanza di regolamento di com-petenza può essere proposta da tutte le parti del processo, nel quale sia stata disposta ordinanza di sospensione e l’articolazione del giudizio segue, in quanto compatibile, la struttura delineata nel pro-cesso civile. Gli articoli da 123 a 129 compongono il Capo III e riguardano i giudizi in unico grado. Tali articoli attuano, con specifico riferimento ai “giudi-

zi in unico grado”, la delega recata nell’art. 20, com-ma 1, della legge n. 124/2015 in base alla quale: “Il Governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, un de-creto legislativo recante il riordino e la ridefinizione della disciplina processuale concernente tutte le ti-pologie di giudizi che si svolgono innanzi la Corte dei conti, compresi i giudizi pensionistici, i giudizi di conto e i giudizi a istanza di parte”.

9. Riti speciali - Il rito abbreviato

All’interno del Titolo V, dedicato ai “Riti speciali”, il Capo I composto da un unico articolo, discipli-na l’ambito di applicazione ed il procedimento del “Rito abbreviato”. La codificazione normativa, ora introdotta in questo Capo, istituisce il rito e ne reca la disciplina processuale di riferimento, in attuazio-ne puntuale del principio e criterio direttivo recato nell’art. 20, comma 2, lett. f), della legge n. 124/2015 che delega il Governo a “prevedere l’introduzione, in alternativa al rito ordinario, con funzione defla-tiva e anche per garantire l’incameramento certo e immediato di somme risarcitorie all’erario, di un rito abbreviato per la responsabilità amministra-tiva che, esclusi i casi di doloso arricchimento del danneggiante, su previo e concorde parere del pub-blico ministero consenta la definizione del giudizio di primo grado per somma non superiore al 50 per cento del danno economico imputato, con imme-diata esecutività della sentenza, non appellabile; prevedere che, in caso di richiesta del rito abbrevia-to formulata in appello, il giudice emetta sentenza per somma non inferiore al 70 per cento del quan-tum della pretesa risarcitoria azionata in citazione, restando in ogni caso precluso l’esercizio del potere di riduzione”.Sino ad oggi, la possibilità di una apposita “de-finizione agevolata” dei giudizi di responsabilità amministrativa è stata prevista soltanto in appello, con esclusivo riferimento alle sentenze di condan-na in primo grado. Ciò è avvenuto con la legge n. 266/2005, e con il D.L. n. 102/2013. In entrambi i casi, si è consentita la definizione, in appello, delle sentenze di condanna di primo grado, e la conse-guente estinzione del giudizio, mediante il paga-mento, da parte dell’agente pubblico condannato, di una somma rispettivamente compresa tra il 10 ed il 30%, e tra il 10 ed il 25%, dell’importo del danno quantificato nella sentenza di primo grado.L’odierno rito abbreviato consente, invece, la defi-nizione del giudizio di responsabilità, sia immedia-

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tamente in primo grado, che in appello, graduando progressivamente la percentuale della definizione: sino al 50% del danno quantificato nell’atto di ci-tazione al primo grado di giudizio; non inferiore al 70%, ancora del danno quantificato nell’atto di citazione, qualora il rito abbreviato si perfezioni in appello. In entrambi i gradi processuali la sentenza definisce il giudizio, dopo avere verificato l’avve-nuto versamento, in unica soluzione, della somma determinata dal collegio giudicante.

9.1. Rito monitorio

Il rito monitorio si colloca anch’esso, nell’ambito del riti speciali. Ha fonte nell’art. 55 del regio de-creto 12 luglio 1934, n. 1214, e trova applicazione nel giudizio dei conti ai sensi del comma 1 del citato art. 55, esteso, ai sensi del comma 2, ai giudizi di responsabilità amministrativa. Si tratta di una pro-cedura speciale che, in ragione della lieve entità del danno patrimoniale, ovvero nei casi in cui l’addebi-to non superi l’importo di euro 10.000, prevede che con decreto venga determinato l’importo da pagare entro un termine fissato per l’accettazione. Spirato il termine senza esito, ovvero in caso di mancata espressa accettazione oppure nel caso di irreperibi-lità della parte, il giudizio prosegue secondo il rito ordinario.Permane, rispetto alla disciplina previgente, il carat-tere vincolante del parere del pubblico ministero. In attuazione del principio di delega di cui all’art. 20, comma 2, lettera e) che autorizza a “procedere all’e-levazione del limite di somma per il rito monitorio di cui all’art. 55 del testo unico di cui al R.D. 12 lu-glio 1934, n. 1214, concernente fatti dannosi di lie-ve entità patrimonialmente lesiva, prevedendo che esso sia periodicamente aggiornabile in base alle va-riazioni dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati”, l’importo da euro 5.000 è stato elevato a 10.000 euro.

9.2. Rito relativo a fattispecie di responsabilità sanzio-natoria pecuniaria

All’interno del Titolo V, dedicato ai “Riti speciali”, il Capo III (articoli da 133 a 136), disciplina il “Rito relativo a fattispecie di responsabilità sanzionatoria pecuniaria”, in attuazione del generale principio e criterio direttivo recato nell’art. 20, comma 1, del-la legge n. 124/2015 prevedente l’emanazione di un “decreto legislativo recante il riordino e la ridefi-nizione della disciplina processuale concernente

tutte le tipologie di giudizi che si svolgono innanzi la Corte dei conti, compresi i giudizi pensionistici, i giudizi di conto e i giudizi a istanza di parte”. La codificazione normativa, ora introdotta nel Capo III, dà certezza ai giudizi in questione, sino ad oggi privi di una disciplina processuale, legislativa, di riferimento. Sui medesimi giudizi si erano invece espresse, di fatto riconducendo tali giudizi al “rito ordinario”, le sezioni riunite della Corte dei conti, con la sentenza n. 12 del 2007.Con riferimento alle fattispecie oggetto del rito in questione, si tratta di casi nei quali la legge prevede che la Corte dei conti commini, ai responsabili del-la violazione di specifiche disposizioni normative, una sanzione pecuniaria stabilita tra un minimo ed un massimo edittale. Esempio paradigmatico di tali fattispecie, è quella contenuta nell’art. 30, comma 15, della legge n. 289/2002 secondo cui “qualora gli enti territoriali ricorrano all’indebi-tamento per finanziare spese diverse da quelle di investimento, in violazione dell’art. 119 della Co-stituzione, i relativi atti e contratti sono nulli. Le Sezioni Giurisdizionali Regionali della Corte dei Conti possono irrogare agli amministratori, che hanno assunto la relativa delibera, la condanna ad una sanzione pecuniaria pari ad un minimo di cinque e fino ad un massimo di venti volte l’inden-nità di carica percepita al momento di commissio-ne della violazione”.

9.3. Giudizi di conto

Gli articoli dal 137 al 176 trattano dei giudizi di con-to, dei giudizi pensionistici e dei giudizi ad istanza di parte. Va precisato che relativamente ai giudizi in questione la delega non detta criteri direttivi spe-cifici, per cui si deve concludere che l’inserimento della relative disposizioni nel codice risponde ad una esigenza di razionalizzazione e semplificazione, essendosi colto l’obiettivo di racchiudere in un uni-co “corpus” la disciplina processuale di tutti i diversi giudizi che si svolgono davanti alla Corte dei conti.Va tuttavia precisato che i principi generali di cui alla prima parte del Codice riguardando tutti i detti giudizi, per cui sono estesi ai giudizi di conto, pen-sionistici e ad istanza di parte quei principi che inte-grano il c.d. giusto processo, come pure sono appli-cabili ai giudizi in questione le prescrizioni relative agli organi, alla competenza, all’astensione e ricusa-zione del giudice, agli ausiliari, agli atti processuali e ai provvedimenti, nonché alle nullità. Il giudizio di conto è disciplinato dagli articoli dal 137 al 150.

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Le norme introducono, quali elementi di novità, l’anagrafe degli agenti contabili, la trasmissione per via telematica dei conti giudiziali, una più dettaglia-ta disciplina del c.d. giudizio per la resa del conto (art. 141), che la vigente normativa non qualificava adeguatamente.Merita segnalare, quale ulteriore elemento di no-vità, la previsione di un decreto del presidente della sezione che all’inizio di ciascun anno, sulla base di criteri oggettivi e predeterminati, fissa le priorità cui i magistrati relatori, nella pianificazione dell’esame dei conti, dovranno attenersi. Più specificamente, l’obiettivo è quello di attribuire un carattere di prio-rità, nel calendarizzare l’esame, ai conti depositati da agenti contabili relativamente ai quali sono già emer-se criticità in occasione di giudizi di responsabilità, ovvero ai conti di gestioni che presentino maggiore interesse per le dimensioni delle stesse, per gli even-tuali risultati o per il loro carattere di novità.

10. Le impugnazioni

Al Capo I figurano alcune norme a carattere ge-nerale: enunciazione dei singoli rimedi contro le decisioni, definizione della cosa giudicata formale, disposizioni in merito ai termini da rispettare e al luogo della notificazione, disciplina sul deposito dell’atto di impugnazione e sulla fissazione dell’u-dienza, disposizioni per l’ipotesi di una pluralità di parti nel giudizio d’impugnazione e disciplina dei rapporti intercorrenti tra impugnazioni avver-so la medesima sentenza; seguono disposizioni in materia di intervento, sugli effetti della riforma o dell’annullamento della decisione, sulla sospensio-ne del procedimento d’impugnazione e sugli effetti dell’estinzione dello stesso.Il Capo II riguarda la fase dell’appello. Sono ivi di-sciplinate la legittimazione a proporre appello, la forma e il contenuto di quest’ultimo, nonché gli effetti sospensivi sull’esecuzione della sentenza di primo grado.Il Capo II contiene, altresì, un rinvio in materia di costituzione delle parti e definisce la riserva facolta-tiva di appello, oltre al divieto di nuove domande ed eccezioni e al divieto di nuovi mezzi di prova; infine, è disciplinata la mancata comparizione dell’appel-lante, con conseguente improcedibilità dell’appello, è operato un rinvio alla disciplina del primo grado in materia di trattazione della causa, si sancisce la non riproponibilità dell’appello dichiarato impro-cedibile o inammissibile e si disciplinano le ipotesi di rinvio al primo giudice.

Peculiare è la disciplina di tale rinvio, nell’ipotesi di accoglimento del gravame per le sentenze che abbiano deciso solo questioni preliminari o pregiu-diziali. Si è preferito in tal caso optare per la rimes-sione al primo giudice ai fini 36 della prosecuzione del giudizio sul merito - con ogni conseguenza in ordine al regime delle spese - essendosi reputata prevalente la garanzia del doppio grado di giudizio. È difatti sembrata stringente la considerazione che la sentenza d’appello è in questo caso soggetta al ri-corso per cassazione per i soli motivi inerenti alla giurisdizione.Il Capo III riguarda l’opposizione del terzo. Sono enunciati i soggetti legittimati a proporla e le fat-tispecie che possono darvi origine, la forma della domanda e le caratteristiche del procedimento, tra cui la mancanza di effetti sospensivi nei con-fronti della sentenza impugnata e la possibilità di incorrere nel pagamento di una pena pecuniaria laddove il giudice dichiari inammissibile o impro-cedibile la domanda o la rigetti per infondatezza dei motivi.Il Capo IV concerne il rimedio della revocazione: sono disciplinati i casi in cui è possibile agire in revocazione, le modalità ed i termini per la propo-sizione della domanda, con adattamento ai giudizi di conto attraverso l’espressa previsione d’impu-gnazione anche per le ipotesi di omissione, doppio impiego o errore di calcolo. Quanto al procedimen-to, vengono richiamate le norme per il procedimen-to davanti al giudice adito in revocazione, se non espressamente derogate; sono altresì disciplinate le ipotesi di eventuale sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata e le impugnazioni am-missibili avverso una sentenza emessa in giudizio di revocazione.Il Capo V attiene infine al ricorso per cassazione. Le disposizioni ivi contenute ineriscono ai motivi di ricorso, alla mancanza di effetto sospensivo sull’e-secutività della sentenza impugnata, ai rapporti tra revocazione e ricorso per cassazione e alle ipotesi di riassunzione della causa.

11. Esecuzione delle sentenze di condanna e privilegio dei crediti erariali

Ai fini del recupero del credito erariale agiscono, dunque, direttamente ed esclusivamente le ammi-nistrazioni ed enti danneggiati.Il pubblico ministero contabile non è intestatario di alcun titolo di legittimazione, se non quello di “mo-nitorare” l’innesco ed il consequenziale svolgimento

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delle procedure di esecuzione dei titoli giudiziali di condanna risarcitoria emessi.Ciò ha implicato molteplici effetti negativi, qua-li tolleranze, ritardi, se non addirittura inerzie ed omissioni, dovute anche a difficoltà organizzative e funzionali delle pubbliche amministrazioni centra-li o periferiche, nazionali e degli enti locali, con un correlato e persistente basso tasso di riscossione ef-fettiva dei crediti erariali (inferiore al 10% annuo).Infine, la natura del credito erariale, puramente chi-rografario, nel caso in cui più creditori anche priva-ti, concorrano in esecuzione sul patrimonio dell’a-gente responsabile di danno erariale condannato a risarcimento e divenuto debitore dell’ente creditore esecutante, ha sovente determinato inevitabili effet-ti di incapienza nella massa passiva esecutata. Con la nuova normativa è previsto:

- il potenziamento delle attività di vigilanza e mo-nitoraggio costante da parte del pubblico ministero contabile. Il pubblico ministero, senza che ciò com-porti alcuna “cogestione” delle procedure, potrà supportare l’azione amministrativa attraverso ac-certamenti patrimoniali od altre istruzioni impar-tibili a richiesta. In merito a quest’ultimo punto, è stata esaminata la seguente alternativa;

- l’attribuzione al pubblico ministero contabile della titolarità di agire e di resistere innanzi al giu-dice civile dell’esecuzione e non di un mero ruolo di supporto dell’azione amministrativa. Tale op-zione ha dovuto confrontarsi con due diversi limiti di carattere ordinamentale generale: da un lato, la competenza giurisdizionale in tema di esecuzione forzata si radica innanzi al giudice ordinario, sicché è inattuabile una intestazione diretta dell’azione per espropriazione forzata al pubblico ministero conta-bile; dall’altro, appare di difficile attuazione la pre-visione di un’interferenza cogente nell’esercizio di attività spiccatamente amministrative - e, dunque, assistite da riserva di amministrazione - quali le op-zioni tra le varie ed assentite modalità di recupero del credito erariale;

- la regolazione espressa della possibilità, a richiesta, di rateizzare il debito, presidiata da decadenza dal beneficio in caso di mancato versamento di cinque rate anche non consecutive.

In attuazione dell’esplicita e puntuale indicazione di delega, attribuzione al credito erariale di un mag-gior grado di preferenza, collocandolo dopo quelli elencati, rispettivamente, negli artt. 2778 e 2780 del codice civile.

Cap. IIApplicazione del processo contabile e sue modalità

1. Sulla natura risarcitoria delle pronunce della Corte dei conti

È emerso, anche recentemente, il problema se deb-ba assegnarsi alle pronunce della giurisdizione di responsabilità la natura risarcitoria o quella san-zionatoria. La distinzione è forse più apparente che reale, poiché la funzione di risarcimento del danno contiene in sé un aspetto sanzionatorio e una fina-lità di deterrenza, non disgiunti da un aspetto (ri-levante anche sul piano etico) della reintegrazione dell’ordinamento contabile. In realtà, il carattere fondamentale, anzi la stessa ragion d’essere della giurisdizione di responsabilità è quella del recupero, per quanto possibile, del danno cagionato all’era-rio. Sarebbero certo auspicabili soluzioni non ne-cessariamente giurisdizionali. Ma attenuare ancor più il sistema della responsabilità amministrativa allontanerebbe il nostro paese dall’Europa, ove è in atto un processo opposto e costituisce l’unica seria alternativa alla responsabilità penale. Sarebbe anzi da considerare contraddittorio il sistema che, invece di puntare su una più ridotta attività del giudice pe-nale per rivolgersi ad altre forme di tutela, scegliesse una linea opposta, quale quella di sottrarre impor-tanti contenuti alla giurisdizione contabile.Da rilevare che l’art. 130 del nuovo Codice prevede il “rito abbreviato” e una definizione agevolata me-diante il pagamento in primo grado di una somma non superiore al 50% della pretesa risarcitoria azio-nata in citazione e, in appello, mediante il pagamen-to di una somma non inferiore al 70% del danno contestato in citazione.L’art. 133 del Codice di giustizia contabile prevede un apposito giudizio per l’applicazione di sanzio-ni pecuniarie. Ricorrendo i presupposti indicati nel successivo art. 134 il giudice fissa una sanzione in misura ridotta, pari al trenta per cento per il caso di pagamento immediato della stessa da versare entro 30 giorni.

2. La verifica giudiziale della gestione

Con il sistema normativo costituito dalle leggi n. 19 e 20 del 1994 e n. 639 del 1996 si era cercato di contemperare l’esigenza di autonomia degli am-ministratori, garantendoli dal rischio di possibili

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invasioni da parte del giudice nel merito di ogni singola scelta compiuta, con l’esigenza, del pari in-sopprimibile, che l’attività gestoria non si sottraesse a una verifica giudiziale, quanto meno per accertare i più importanti fenomeni ove è presente la colpa grave dell’amministratore. Sul punto gran parte della dottrina ritiene che sarebbe stato opportuno mantenere principi e regole che si affidano poi alla prudente interpretazione giurisprudenziale, piut-tosto che procedere a drastiche amputazioni della responsabilità amministrativa che l’ordinamento non potrebbe tollerare se non a costo di una caduta di credibilità e di fiducia nelle istituzioni da parte dei cittadini.In realtà, la responsabilità amministrativa è la ri-sposta che l’ordinamento ha dato in armonia con la propria cultura e tradizione giuridica e che nel tempo la giurisprudenza della Corte costituziona-le, della Cassazione e del Consiglio di Stato hanno esteso anche all’attività dei concessionari di pubbli-ci servizi e delle stesse imprese private.Invero, le norme di recepimento delle direttive comunitarie e lo stesso disposto dell’art. 97 della Costituzione hanno conferito agli atti delle impre-se un rilievo pubblicistico. Ne deriva che l’attività amministrativa e la correlata responsabilità sono configurabili sia quando l’Amministrazione eserciti pubbliche funzioni e poteri autoritativi, sia quando persegua le sue finalità mediante un’attività sot-toposta alla disciplina prevista per i rapporti tra soggetti privati. La legge, infatti, non ha introdotto alcuna deroga alla generale operatività dei principi della trasparenza e dell’imparzialità e non ha garan-tito alcuna “zona franca” nei confronti dell’attività disciplinata dal diritto privato.Nella logica della effettività della tutela dei crediti erariali si iscrive la disposizione recata dalla legge finanziaria 2006 (art. 1, comma 174), secondo la quale il procuratore regionale della Corte dei conti può disporre di tutte le azioni a garanzia delle ra-gioni del creditore previste dalla procedura civile, ivi compresi i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale considerati dal codice civile.Nella stessa ottica della tutela dell’unità economica della Repubblica e del coordinamento della finan-za pubblica si colloca la norma della stessa legge finanziaria (comma 166) che impone agli organi degli enti locali di revisione economico-finanziaria ed anche agli enti del Servizio sanitario nazionale (comma 170) di trasmettere alla Corte una relazio-ne sul bilancio di previsione dell’esercizio di com-

petenza e sul rendiconto dell’esercizio medesimo. Si ricorda che il bilancio di previsione di un ente locale presenta una situazione di criticità struttura-le quando l’equilibrio di parte corrente non risulti garantito con continuità dalle risorse necessarie per la copertura delle spese a carattere obbligatorio. Ora una disciplina compiuta delle azioni a tutela delle ragioni del credito erariale è contenuta negli artt. 73 e segg. del Codice di giustizia contabile.La relazione deve dimostrare che sono stati rispet-tati gli obiettivi annuali posti dal patto di stabilità interno nonché il vincolo previsto in tema di inde-bitamento dall’art. 119 u.c. della Costituzione. Deve anche segnalare ogni grave irregolarità contabile e finanziaria in ordine alle quali l’amministrazione non abbia adottato le misure correttive segnalate dall’organo di revisione.Compete alla Corte dei conti definire in maniera unitaria criteri e linee-guida ai quali devono atte-nersi gli organi degli enti locali di revisione nella predisposizione della detta relazione. Ove le sezio-ni regionali di controllo accertino, anche sulla base delle indicate relazioni, comportamenti in contra-sto con i principi di sana gestione finanziaria, o il mancato rispetto degli obiettivi posti dal patto, de-vono adottare specifica pronuncia che, a norma del comma 170 della L.F. 2006, viene segnalata alla Re-gione interessata per i conseguenti provvedimenti.Si è voluto imprimere una forte spinta al sistema decentrato delle verifiche sulla sana gestione finan-ziaria e sugli equilibri di bilancio degli enti locali e degli enti sanitari, chiamati a concorrere alla rea-lizzazione degli obiettivi di finanza pubblica nel ri-spetto dei vincoli imposti ai Paesi dell’Unione euro-pea. Tali verifiche sono affidate alle sezioni regionali di controllo della Corte, composte da magistrati, e presiedute da un presidente di sezione della Corte (ma anche integrabili con la nomina di due membri esterni designati rispettivamente dal Consiglio re-gionale e dal Consiglio delle autonomie locali) che operano in posizione di separatezza organizzativa e funzionale rispetto alle sezioni giurisdizionali ed alle Procure regionali.Esse riferiscono sul risultato del controllo eseguito “esclusivamente” agli organi rappresentativi delle comunità territoriali, cui spetta il controllo politi-co-amministrativo sulla condotta gestionale dell’e-secutivo.Si è inteso, in tal modo, rafforzare, attraverso un collegamento diretto e sistematico con i revisori dei conti, i controlli di natura contabile e finanziaria

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sulle gestioni locali, per far emergere le gravi irrego-larità poste in essere, in contrasto con la disciplina finanziaria e contabile dettata ai fini del coordina-mento e del rispetto del quadro delle compatibilità generali di finanza pubblica. Tutto ciò, nello spirito di collaborazione che connota i controlli successivi sulla gestione che hanno come “misura” la finalità di stimolare, nell’interesse generale della collettività, processi virtuosi di autocorrezione in sede ammi-nistrativa. Allo scopo di garantire la coerenza nell’attività svol-ta dalla Corte dei conti in materia di coordinamento della finanza pubblica, il Presidente della stessa può disporre che le sezioni riunite adottino pronunce generali sulle questioni risolte in maniera difforme dalle sezioni regionali di controllo, oltre che nei casi che presentano una questione di massima di parti-colare importanza. Le sezioni devono conformarsi a dette pronunce.Con l’estensione dell’ambito della giurisdizione a tutti i pubblici funzionari e dipendenti e con il de-centramento regionale, il legislatore ha apportato una serie di innovazioni attenuative della gravosità di questo illecito. La prospettiva che sembra far-si strada va nel senso di un istituto radicalmente rinnovato, sia pure con connotazioni tutte proprie e distinte da quelle dell’illecito civile. Si intravede la finalità di assumere come prioritaria l’esigenza di assicurare la buona gestione amministrativa, ac-centuando gli aspetti sanzionatori e di prevenzione dell’illecito, in una logica di ragionevolezza e di pro-porzionalità.La responsabilità amministrativa è quindi comple-mentare ai controlli esterni ed è elemento di chiu-sura del sistema di garanzie del buon andamento, che ha come vertice la Corte dei conti, ma che si snoda attraverso un “sistema” d’interventi diversi, in rapporto alla natura e al grado delle irregolarità da prevenire o da reprimere.Finora il legislatore è intervenuto in modo disor-ganico, integrando normative risalenti nel tempo e determinando nodi interpretativi di difficile so-luzione. Si pensi che il nostro codice di procedura risaliva a oltre 80 anni fa e la disciplina sostanziale di questo giudizio non si discosta molto da quella risalente alla legge cavourriana del 1862 istitutiva della Corte dei conti.Con il Codice di giustizia contabile (D.Lgs. n. 174/2016) si è data risposta all’esigenza di appron-tare una disciplina organica e completa per un con-trollo giudiziario generalizzato perché economica-

mente proficuo per l’Erario, fondata su caratteri e finalità dell’istituto per le esigenze di tutela della finanza pubblica, compatibile con i principi del giu-sto processo consacrati nella Costituzione.

3. Le principali normative in tema di responsabilità

L’analisi delle gestioni locali compiuta dalle Sezioni regionali della Corte dei conti ha posto in evidenza, tra le altre irregolarità, il fenomeno della mancata realizzazione di progetti di opere pubbliche finan-ziate dalla Cassa Depositi e prestiti, nonché, più in generale, ritardi e difetti di programmazione nella progettazione e nell’esecuzione di opere pubbliche.Circa i problemi emersi nell’esercizio della giurisdi-zione di responsabilità, negli ultimi anni è rimasto elevato il numero delle denunce e degli accertamen-ti che, conseguentemente, vengono disposti dagli organi requirenti della Corte dei conti, mentre assai inferiore risulta il numero delle iniziative giudizia-rie, con citazione di amministratori e dipendenti, ritenuti responsabili, innanzi al giudice competente.Ciò si deve alle modifiche alla disciplina delle re-sponsabilità finanziarie che sono state introdotte, principalmente con legge n. 639/1996 e che dan-no rilevanza ai danni arrecati alla finanza pubbli-ca soltanto se cagionati con dolo o colpa grave, dispongono l’intrasmissibilità dell’obbligazione di risarcimento agli eredi e stabiliscono la scriminante della buona fede nell’attività degli organi politici di governo. L’accertamento se, in concreto, vi sia stato dolo o colpa grave e se sussistano tutti gli altri pre-supposti necessari ad un’azione di responsabilità, ha determinato in via prevalente l’archiviazione. Al giusto precetto che chiama responsabili ammini-stratori e dipendenti pubblici per i danni arrecati sia all’ente di appartenenza che ad altro ente, è sta-ta assegnata efficacia dal gennaio 1994, sancendosi una sostanziale impunità per i fatti commessi ante-riormente alla data stessa.Con D.Lgs. 15 settembre 1997, n. 342 è stato pre-visto che gli amministratori degli enti locali che la Corte dei conti avesse riconosciuto responsabili an-che in primo grado di danni da loro prodotti, con dolo o colpa grave, nei cinque anni precedenti al dissesto finanziario, non potessero ricoprire, per un periodo di 5 anni, incarichi di assessore, di revisore dei conti negli enti locali o di rappresentante presso altri enti, istituzioni ed organismi pubblici o privati (T.U. n. 267/2000, art. 248, c. 5). Quanto innanzi, se la Corte, valutate le circostanze e le cause che ave-vano determinato il dissesto, avesse accertato che lo

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stesso fosse la diretta conseguenza delle azioni od omissioni per le quali l’amministratore era stato ri-tenuto responsabile.La Corte dei conti è ora in grado di conoscere tut-ti i casi di sottoposizione a procedimenti penali di dipendenti e amministratori per fatti costituenti reato da cui possa derivare danno all’erario: ciò, ad evitare che omesse denunzie o segnalazioni possano comportare sottrazione al dovere di risarcire la col-lettività dei danni conseguenti ai reati da parte dei loro autori. La successiva legge n. 281 del 30 luglio 1998, concernente la «disciplina dei consumatori e degli utenti», ha previsto che agli stessi sono rico-nosciuti fondamentali diritti, quali quello alla tute-la della salute, il diritto alla sicurezza e alla qualità dei prodotti e dei servizi e il diritto all’erogazione dei servizi pubblici secondo standard di qualità e di efficienza. Si assicura in tal modo la tutela giu-risdizionale non solo dei diritti che riguardano l’uomo come individuo, ma anche come membro delle formazioni sociali in cui svolge la sua funzione e si conferisce una legittimazione ad agire alle stesse formazioni sociali.Ora, il Codice di giustizia contabile dedica un intero Capo alla denuncia di danno e stabilisce, in parti-colare, con gli artt. 51 e 52 l’obbligo di denuncia e l’onere di segnalazione a carico dei soggetti apicali delle istituzioni pubbliche, degli ispettori, dei ma-gistrati della Corte dei conti addetti ad attività di controllo per fatti dai quali possa derivare danno erariale.Va anche segnalata una norma di carattere contabi-listico relativa all’equilibrio finanziario e contabile degli enti locali. Si tratta dell’art. 2, comma 20 della c.d. «legge Bassanini ter», la quale ha precisato che i pareri che devono emettere gli organi di revisio-ne dei comuni e delle province (T.U. n. 267/2000, art. 239, c. 1, lett. b) devono contenere un «motivato giudizio di congruità, coerenza e di attendibilità con-tabile delle previsioni di bilancio e dei programmi e progetti, anche tenuto conto dei pareri espressi dal re-sponsabile del servizio finanziario ai sensi dell’art. 3, delle variazioni rispetto all’anno precedente, dell’ap-plicazione dei parametri di deficitarietà strutturale e di ogni altro elemento utile». Si tratta di norma di-retta a contrastare il fenomeno di deficit finanziari dovuti ad erronee previsioni, con riflessi anche sul piano delle responsabilità.L’art. 1, comma 8, della legge n. 191/1998 ha preci-sato che le regioni, nel trasferire le loro funzioni agli enti locali, devono ispirarsi al duplice principio di sussidiarietà e a quello di economicità e di efficien-

za. Ma lo stesso principio di sussidiarietà, consisten-do nell’attribuzione della competenza all’autorità più vicina ai cittadini, risponde esso stesso ad un criterio di economicità ed efficienza. A quest’ultimo principio si ispirano anche tutti gli altri criteri che, ai sensi dell’art. 4, comma 3 della legge n. 59/1997, le regioni devono seguire nel trasferimento delle loro funzioni agli enti locali, e cioè i criteri di completez-za, cooperazione, responsabilità, unità, omogeneità, adeguatezza, differenziazione nell’allocazione delle funzioni, di autonomia organizzativa e, infine, quel-lo di copertura finanziaria. In realtà, autonomia ed efficienza sono termini che non vanno disgiunti e che il fine ultimo che si vuole raggiungere è sempre quello del miglior soddisfacimento degli interessi della collettività e alla tutela della persona umana.È stata infine configurata una sorta di “responsabi-lità da risultato” in materia di rapporti di lavoro, di ufficio o di servizio dei pubblici amministratori o dipendenti.Una successiva normativa (art. 30, punto 15, della legge n. 289/2002) ha stabilito la nullità degli atti e dei contratti di indebitamento degli enti territo-riali al fine di finanziare spese diverse da quelle di investimento, con conseguente possibilità, in sede di giustizia contabile, di irrogare sanzioni a carico degli amministratori che hanno assunto la relativa delibera. Ciò, naturalmente, senza che sia necessa-rio l’accertamento di una perdita patrimoniale che nei singoli casi può anche mancare. Si intende, cioè, sanzionare una condotta che, di per sé ha costituito lesione dell’interesse pubblico a che il finanziamen-to delle spese non sia distolto da quelle di investi-mento.Sono quindi considerati “danni da disservizio” tutte quelle situazioni caratterizzate da una minore pro-duttività della P.A., in quanto l’azione amministra-tiva è stata inefficace o inefficiente. Nella pubblica funzione il disservizio si configura solo quando la pubblica funzione sia illecitamente esercitata con dolo penale (corruzione, concussione, peculato), in quanto, attesa la contrarietà dei fini perseguiti a quelli istituzionali, l’esercizio della funzione - non riferibile all’A. - ha comportato il dispendio di ri-sorse umane o di mezzi strumentali pubblici. Ciò si verifica quando tali fenomeni si protraggono nel tempo rendendo inutile la spesa investita per l’organizzazione e lo svolgimento dell’attività am-ministrativa. Quando, invece, vi sia l’erogazione di pubblici servizi - di regola gestiti in forma impren-ditoriale - la presenza di investimenti e di costi di gestione ben identificati fa sì che la disorganizza-

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zione del servizio determini un maggior costo. La sentenza della Corte dei conti, Sez. Lombardia, n. 74 del 23.2.2009, ha sostenuto che il danno da disser-vizio si caratterizza per l’inosservanza dei doveri del pubblico dipendente con conseguente diminuzione di efficienza dell’apparato pubblico, nella mancata o ridotta prestazione del servizio o nella cattiva qua-lità dello stesso, come nell’ipotesi di verifica fiscale “compiacente”in cui il dipendente pubblico compie dolosi azioni criminose omissive.Anche il fenomeno dell’“assenteismo” è stato inqua-drato in questa tipologia di danno, in quanto l’as-senza prolungata e ingiustificata del dipendente dal servizio costituisce danno per inadempimento con-trattuale che giustifica la mancata erogazione del corrispettivo retributivo. Inoltre, l’assenza ingiusti-ficata e non programmata altera l’equilibrio funzio-nale del settore al quale il dipendente è addetto. Ciò comporta una possibile lievitazione di costi rispetto ai risultati conseguiti, in quanto costringe l’ammi-nistrazione ad assicurare, nonostante l’assenza ar-bitraria, il livello minimo garantito dalla qualità di servizio erogato (si pensi al settore sanitario, ove i livelli minimi di assistenza devono essere comun-que assicurati a costi certamente maggiori, qualora si verifichino assenze arbitrarie).Infine, non è infrequente il fenomeno, sempre san-zionato dalla Corte dei conti, del danno erariale nei confronti del Servizio sanitario regionale per illeci-ti rimborsi di prestazioni sanitarie (da ultimo, Sez. giur. Lazio, 23.9.2014, n. 670 nei confronti della S. Raffaele ed altri).

4. Limiti della giurisdizione della Corte dei conti

Per radicare la giurisdizione della Corte dei conti, come ha riconosciuto la giurisprudenza della Corte di cassazione, è sufficiente l’inserimento del sogget-to agente nell’apparato organizzativo della P.A., e ciò anche quando il danno sia stato cagionato ad amministrazioni o enti diversi da quelli di apparte-nenza (art. 1, comma 4, legge n. 20/1994). Il Codice di giustizia contabile dedica due distinti capi, il III e il IV (artt. 13-20) alla giurisdizione e alla competen-za della Corte dei conti.La Corte costituzionale ha valutato positivamente la nuova configurazione della responsabilità ammi-nistrativa e contabile che limita la responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave, poiché essa rispon-de all’intento di «predisporre, nei confronti dei di-pendenti e degli amministratori pubblici un assetto normativo in cui il timore della responsabilità non

esponga all’eventualità di rallentamenti ed inerzie nello svolgimento dell’attività amministrativa» (Cor-te cost., sent. n. 371 del 29.11.1998). Una volta sta-bilito che il dipendente risponde solo nell’ambito delle ipotesi di dolo o di colpa grave, e che quindi, al di là di tali ipotesi, il rischio resta a carico dell’am-ministrazione, si realizza un’ulteriore ripartizione del rischio: una parte del danno può restare a carico della P.A., mentre è addossata al dipendente solo quella parte che gli è imputabile in base al criterio della gravità della colpa.Sul tema di graduazione della colpa, acquista rilievo un concetto ben noto agli studiosi del diritto penale, il concetto di «antidoverosità» del comportamento. Per giudicare la gravità di un comportamento se-condo le norme di contabilità pubblica è del tut-to insufficiente riferirsi al concetto psicologico di «colpa grave» ricavato dal confronto con il modello astratto del buon padre di famiglia: esso serve per stabilire che l’agente versa in uno stato di colpa, ma non serve per stabilire quanta parte del danno gli sia imputabile a causa della gravità della colpa stessa.A questi fini occorre stabilire di quanto si sia di-scostato dalla prescrizione normativa, secondo un giudizio concreto, in riferimento alle circostanze in cui si svolsero i fatti, se l’agente poteva essere in gra-do di conoscere o prevedere il verificarsi dell’evento dannoso e se era in grado di evitarlo. Non ci sarà quindi solo un modello astratto, quello del buon padre di famiglia, ma tanti modelli, quanti sono i casi concreti. È, invece, evidente che nei casi di dolo si deve senza dubbio rispondere dell’intero danno, non potendosi parlare di un rischio da accollare all’amministrazione se il danno è stato volutamente causato dal dipendente pubblico.Graduare la responsabilità significa innanzitutto stabilire che ciascuno risponde individualmente, perché il giudizio di responsabilità amministrativa deve tendere a fini di deterrenza, ed è per questo che non può mai parlarsi di responsabilità solidale.Tali principi sono stati ribaditi dalla Corte costi-tuzionale con la sentenza n. 453 del 30 dicembre 1998, secondo la quale è costituzionalmente legitti-mo l’art. 1-quinquies della legge n. 20 del 1994 nel-la parte in cui limita, nelle ipotesi di concorso, la responsabilità solidale ai soli soggetti che abbiano agito per dolo. La stessa sentenza ha stabilito che se vi è il concorso di quanti hanno agito con dolo e di altri responsabili a titolo di colpa grave, questi ultimi «restano obbligati solo in via eventuale, dopo l’infruttuosa escussione di coloro che abbiano agito

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con dolo» (v. anche C. dei conti, Sez. Riunite, sent. 29 del 25.2.1997).Sul tema dell’efficienza dell’azione amministrativa, va ricordata un’altra sentenza della Corte costitu-zionale che, nel dichiarare costituzionalmente legit-tima la norma della legge n. 639/1996 secondo cui «l’azione di responsabilità per danno erariale non si esercita nei confronti degli amministratori locali per la mancata copertura minima del costo dei servizi co-munali», ha ribadito che il sindacato della Corte dei conti deve arrestarsi di fronte alle scelte di carattere politico o che attengono al merito della scelta stessa.In realtà, la responsabilità amministrativa è cosa diversa da quella civile e la relativa azione del P.M. contabile è un’azione civile pubblica a tutela di inte-ressi permanenti dell’ordinamento e della collettivi-tà. In ordine ad essa l’amministrazione non ha alcu-na disponibilità, per cui diviene difficile pensare ad una costituzione di parte civile di quest’ultima, per il risarcimento dei danni in sede penale.Una diversa considerazione riguarda il fatto che i soggetti convenuti in giudizio rappresentano spes-so l’anello terminale e più debole della catena delle responsabilità e spesso si trovano nella impossibilità di addurre elementi probatori a discarico di fronte a poteri forti o ad A. che non collaborano nelle in-dagini e nelle istruttorie disposte dalla Procura, tal-volta anche a copertura di altre responsabilità. Già alla stregua della stessa normativa civilistica, che ri-conosce al giudice ordinario ampi poteri istruttori, sarebbe stata legittima l’attribuzione al giudice con-tabile del potere istruttorio, senza che con ciò fosse violato il principio del giudice terzo e imparziale. Ciò per garantire una più efficace tutela ai convenu-ti. La norma costituzionale stabilisce che nel proces-so deve essere assicurata la piena parità delle parti ed il rispetto del principio del contraddittorio. Occorre coordinare quindi il principio della terzietà con il principio che tende ad assicurare la pienezza della difesa nel rispetto del contraddittorio.Nel procedimento contabile era una situazione di tendenziale diseguaglianza fra le parti per la posi-zione di debolezza in cui vengono a trovarsi i con-venuti di fronte all’ampio potere inquisitorio del Procuratore regionale. Tale situazione era bilan-ciata dal potere istruttorio di carattere integrativo che opportunamente l’ordinamento conferisce al giudice. A tali esigenze ha cercato di dare risposta il recente Codice di giustizia contabile attraverso i rimedi illustrati al cap. I.

TITOLO III

La responsabilità patrimoniale

1. Le responsabilità giuridiche e quelle extragiuridi-che - La responsabilità politica

Il pubblico dipendente nell’esercizio delle proprie funzioni, può astrattamente incorrere in cinque fondamentali responsabilità:

a) quella civile (se arreca danni a terzi, anche estra-nei all’amministrazione, o alla stessa amministra-zione);

b) penale (se pone in essere comportamenti qualifi-cati dalla legge come reato);

c) amministrativo-contabile (se arreca un danno erariale all’amministrazione di appartenenza o ad altra amministrazione);

d) disciplinare (se viola obblighi previsti dalla con-trattazione collettiva, dalla legge o dal codice di comportamento);

e) dirigenziale per il solo personale dirigenziale che non raggiunga i risultati posti dal vertice politico o si discosti dalle direttive dell’organo politico.

La privatizzazione del rapporto di pubblico impie-go ha ex novo disciplinato la responsabilità discipli-nare (art. 55 del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165) e la responsabilità dirigenziale (art. 21 del medesimo D.Lgs. n. 165), mentre non ha innovato la previgen-te disciplina sulle tre restanti responsabilità (ovvero civile, penale ed amministrativo-contabile), per le quali viene richiamata la relativa disciplina legislati-va di settore dall’art. 55, c. 2 del D.Lgs. n. 165.Tali cinque responsabilità non sono tra loro incom-patibili o alternative, in quanto spesso la medesima condotta illecita viola diversi precetti legislativi o contrattuali, originando concorrenti reazioni ad opera dell’ordinamento. Si pensi al caso di un di-pendente che accetti tangenti per aggiudicare una gara ad una ditta “amica”: tale comportamento configura un reato (corruzione, art. 319 cod. pen.), un illecito civile verso le imprese partecipanti non vincitrici danneggiate (art. 2043 cod. civ.), un illeci-to amministrativo-contabile (danno erariale da tan-gente e danno all’immagine dell’amministrazione), un illecito disciplinare. Si pensi ancora al dipenden-te, che, dopo aver timbrato il badge di ingresso, si allontana dall’ufficio per ore per motivi personali: oltre ai risvolti penali (delitto di false attestazioni e certificazioni) e disciplinari, si configura anche un illecito amministrativo-contabile (danno da eroga-

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zione di retribuzione da parte della p.a. senza fruire di controprestazione). Al contrario, talune condot-te, che assumono valenza di illecito penale potreb-bero non avere rilevanza civile o disciplinare e vice-versa, in quanto i presupposti di ciascun illecito non sono sempre coincidenti: si pensi alla commissione di un illecito civile che non assuma valenza penale in assenza di dolo, oppure alla commissione di un reato che non abbia però arrecato alcun danno pa-trimoniale a terzi o alla P.A.L’ordinamento appresta alcune norme volte a di-sciplinare, sul piano procedurale, il concorso di tali concorrenti reazioni, che tuttavia sono tra loro au-tonome e seguono distinti binari.Nel quadro delle responsabilità facenti capo ad un dipendente o ad un amministratore di ente locale si iscrivono quelle discendenti dall’ordinamento generale e le responsabilità scaturenti dagli ordi-namenti particolari. Derivano dall’ordinamento generale la responsabilità civile e quella penale; dai singoli ordinamenti particolari derivano la respon-sabilità amministrativa (che si riparte in ammini-strativa-disciplinare e amministrativa-patrimonia-le) e quella contabile.Le prime due si riferiscono a tutti i cittadini in ge-nerale (uti cives); le altre responsabilità di tipo am-ministrativo sono caratterizzate dal fatto di essere «particolari» in quanto fanno carico a soggetti in-cardinati nell’ente pubblico e possono cumularsi tra di loro, quando ne ricorrano i presupposti. A tali forme di responsabilità si dà il nome di responsabi-lità giuridiche. Oltre ad esse esistono altre respon-sabilità, non disciplinate positivamente, a cui ogni singolo soggetto soggiace secondo parametri diversi da quelli giuridici: si tratta di responsabilità morale, o educativa o intellettuale, rilevanti nel foro interno della coscienza, od anche, politica, la quale emerge in svariate situazioni non fisse né predeterminate. La sanzione più grave connessa a tale ultima forma di responsabilità è quella della rimozione dall’inca-rico ricoperto.Quest’ultima forma di responsabilità - in correla-zione non solo con i risultati delle singole gestio-ni, ma anche con la capacità di equilibrio politico - riguarda i vertici delle amministrazioni statali, i presidenti e amministratori degli enti pubblici, il Presidente della Giunta regionale, dell’amministra-zione provinciale, i sindaci, gli assessori regionali, provinciali e comunali.Soggiacciono alle particolari responsabilità innanzi indicate tutti i soggetti legati alle amministrazioni pubbliche da un rapporto di impiego o di servizio,

o anche quelli che abbiano comunque instaura-to, anche informalmente, un rapporto di impiego (funzionari di fatto). Così, un impiegato comuna-le, dopo la riforma di cui alla legge n. 142/1990, è sottoposto alla forma di responsabilità ivi prevista, integrata dalla prescrizione del relativo statuto e re-golamento.Nell’ambito più propriamente amministrativo, pos-sono distinguersi diverse specie di responsabilità. Vi è, innanzitutto, una responsabilità amministrativa, del tipo disciplinare, per mancato adempimento di tipici doveri previsti dal complesso delle norme or-dinamentali. Vi è poi una responsabilità per danno patrimoniale recato all’ente pubblico (es., mancato incasso di una entrata dell’ente, omessa vigilanza su un dipendente che abbia potuto così commettere peculato, ecc.). Questa responsabilità dà luogo, in concreto, ad un processo contenzioso che si svolge davanti alla Corte dei conti, su iniziativa del Procu-ratore regionale, per la quantificazione del danno e la condanna alla restituzione.Altra responsabilità particolare è la c.d. responsabi-lità contabile che grava su quanti hanno comunque maneggio di danaro pubblico e si instaura a carico degli agenti contabili al termine della loro gestione (giudizio di conto), a prescindere dal fatto che essi abbiano o meno commesso irregolarità.

2. La responsabilità nel Testo unico 18 agosto 2000, n. 267

Nell’ambito della responsabilità amministrativa e contabile del dipendente dell’ente locale, è di fon-damentale importanza l’art. 93 (Responsabilità pa-trimoniale) del D.Lgs. del 18 agosto 2000, n. 267.Secondo la disposizione in esame il dipendente o il funzionario risponde con il proprio patrimonio dei danni arrecati alla P.A., derivanti dal suo comporta-mento, caratterizzato da dolo o colpa grave.Per aversi responsabilità amministrativa, la condot-ta deve essere riprovevole e contraria alle norme giuridiche (leggi, regolamenti) poste a tutela dell’in-teresse della P.A. Le disposizioni sulla responsabilità amministrativa si considerano applicabili alle ipo-tesi di responsabilità contabile, che concernono gli agenti contabili. Il giudice naturale delle questioni relative alle suddette responsabilità è la Corte dei conti secondo l’art. 103, c. 2 Cost. Il termine prescrizionale decorre dal momento del fatto. La previsione in esame si integra con quella dell’art. 1, c. 3, legge n. 20/1994 in virtù del quale l’azione di responsabilità si esercita nei confronti

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dei funzionari i quali hanno consentito il decorrere del termine prescrizionale per non aver denunciato tempestivamente l’illecito al Procuratore regionale della Corte dei conti. In tal caso la prescrizione de-corre dal momento in cui matura il termine prescri-zionale precedente. Il rapporto tra i dipendenti pubblici e gli ammini-stratori è caratterizzato dalla distinzione netta tra il potere gestionale dei primi e il potere politico dei secondi (D.Lgs. 267/2000; legge 127/1997; D.Lgs. 29/1993; legge 421/1992; art. 97 Cost.). Nella real-tà delle cose, tuttavia, la distinzione delle due sfere, gestionale e politica, non è così netta. Infatti, l’or-gano politico (es. Giunta) è legittimato ad emettere in taluni casi provvedimenti di carattere gestionale amministrativo (es. predisposizione e variazione della pianta organica). In questa ipotesi il funzio-nario competente ha l’obbligo di eseguire e mettere a punto il provvedimento dell’organo politico, cui si aggiunge l’altro obbligo più generale concernente l’attuazione degli obiettivi contenuti nel PEG. Per-tanto, ove il danno all’Amministrazione discenda direttamente dal provvedimento dell’organo poli-tico, quest’ultimo ne dovrà rispondere in via am-ministrativa.In realtà, il comma 1 dell’art. 93 del T.U. non detta una nuova disciplina delle responsabilità degli am-ministratori e dei dipendenti degli enti locali, ma stabilisce che per gli stessi si dovranno applicare le disposizioni vigenti per gli impiegati civili dello Stato, abrogando implicitamente la normativa già esistente, attraverso un rinvio ricettizio alle nor-me richiamate. In sostanza, nel sistema normativo degli enti locali viene colmato il vuoto conseguen-te all’abrogazione della precedente normativa con il recepimento in blocco della disciplina in vigore nell’ordinamento dello Stato in materia di respon-sabilità. La soluzione prevista dal legislatore è quella di assoggettare amministratori e dipendenti di enti locali alla giurisdizione della Corte dei conti: scelta divenuta inevitabile sia per la consolidata interpre-tazione del comma 2 dell’art. 103 Cost., accolta dalle SS.UU. della Corte di Cassazione e dalla Corte costi-tuzionale, che per le soluzioni legislative già adotta-te negli altri settori pubblici.La Cassazione ha sempre affermato il carattere ge-nerale della giurisdizione della Corte dei conti nelle materie di contabilità pubblica, precisando che tale espressione ha riferimento a tutti i rapporti, con-nessi alla gestione finanziaria e patrimoniale svolta dall’amministrazione dello Stato o di qualsiasi ente pubblico, con l’eccezione, poi caduta (con decisione

della Cassaz. S.U. n. 19667 del 2003) degli enti pub-blici economici. A sua volta, la Corte costituzionale (sent. n. 129/81) aveva riaffermato il principio del ca-rattere generale della disposizione dell’art. 103 Cost.La disciplina della responsabilità amministrativa dei dipendenti dello Stato - poi estesa ai dipendenti degli enti locali - è contenuta negli artt. 82 e 83 del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, nell’art. 52 del T.U. delle leggi sulla Corte dei conti approvato con R.D. 12 luglio 1934, n. 1214 e negli artt. 18, 19 e 20 del T.U. sugli impiegati civili dello Stato, approvato con D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3. Dispone l’art. 82 della legge di contabilità generale dello Stato che «l’im-piegato che, per azione od omissione, anche solo col-posa, nell’esercizio delle sue funzioni, cagioni danno allo Stato, è tenuto a risarcirlo».A tali fonti normative si è aggiunta recentemente la legge n. 124/2015 recante “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, meglio conosciuta come Legge Madia di Riforma della PA, che è stata pubblicata sulla Gazzet-ta Ufficiale n. 187 del 13 agosto 2015. Il conseguente D.Lgs. 27 maggio 2017, n. 75 introduce modifiche e integrazioni al “Testo unico del pubblico impiego”. Tra le novità dei due provvedimenti ci sono le nuove norme in materia di responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti, per accelerare e rendere effettiva l’azione disciplinare; il polo unico Inps per le visite fiscali; le modifiche alla valutazione delle performan-ce dei dipendenti per ottimizzare la produttività del lavoro pubblico e di garantire efficienza e trasparenza della Pa, il danno d’immagine, la sospensione dal ser-vizio nei procedimenti disciplinari, le nuove norme in materia di concorsi di accesso.Quando l’azione od omissione è dovuta al fatto di più impiegati, ciascuno risponde per la parte che vi ha presa, tenuto conto delle attribuzioni e dei doveri del suo ufficio, tranne che dimostri di aver agito per ordine superiore che era obbligato ad eseguire.L’art. 83 della stessa legge stabilisce che i funzionari di cui ai precedenti articoli sono sottoposti alla giu-risdizione della Corte dei conti. Analoghe disposi-zioni sono contenute negli altri due provvedimenti legislativi. In particolare, le norme del T.U. 10 gen-naio 1957, n. 3, si applicano solo al personale civile dello Stato, mentre le altre hanno coinvolgono sia i soggetti legati allo Stato da un rapporto di impie-go, sia quelli che versano soltanto in un rapporto di servizio.Se si trasferiscono tali disposizioni nel settore degli enti locali, deve affermarsi che incorre nella respon-sabilità amministrativa non soltanto l’amministra-

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tore o l’impiegato, ma chiunque versi in un rappor-to di servizio e che nell’esercizio delle sue funzioni e per violazione dolosa o colposa dei suoi obblighi di servizio abbia cagionato all’ente un danno eco-nomico. La responsabilità assume una configura-zione di tipo contrattuale, potendo verificarsi solo nell’ambito di un precostituito rapporto tra l’ente e il soggetto responsabile e sorgere per effetto della violazione di obblighi di servizio.

3. Le modifiche in materia di responsabilità alla legge n. 20/1994

3.1. Considerazioni generali

Il concetto di gravità della colpa dell’amministra-tore è relativo, nel senso che la stessa va valutata in rapporto alla diversa natura delle funzioni, o man-sioni svolte dall’agente pubblico e alla specificità del contesto organizzativo. La colpa è grave, quando si discosta notevolmente dallo standard normale ri-chiesto dal tipo di prestazione svolta.In realtà, la responsabilità amministrativa è la rispo-sta che il nostro ordinamento ha dato in armonia alla propria cultura e tradizione giuridica, affidando detta giurisdizione a un giudice speciale e l’inizia-tiva a una parte pubblica, il pubblico ministero. In altri ordinamenti lo stesso tipo di responsabilità è stato collocato altrove e la legittimazione a farla va-lere è stata attribuita anche ai cittadini. Da noi si è ritenuto che attenuare il sistema delle responsabili-tà allontanerebbe il nostro paese dall’Europa, ove è in atto un processo opposto e che la responsabilità amministrativa ha solo bisogno di nuove regole, ma non può essere cancellata in quanto costituisce l’u-nica seria alternativa alla responsabilità penale.In linea generale, il funzionario può invocare a propria discolpa l’errore professionale (comples-sità o contraddittorietà della normativa, oscillanti orientamenti della giurisprudenza, ecc.) ovvero un’irrazionale situazione organizzativa addebitabile all’amministrazione. Nel caso di organi collegiali, è responsabile solo chi ha espresso voto favorevo-le alla deliberazione assunta. Per quanto riguarda i titolari di organi politici, gli stessi di massima non rispondono se hanno approvato in buona fede gli atti di uffici tecnici o amministrativi.

3.2. L’insindacabilità nel merito delle scelte discrezio-nali

Secondo il primo comma dell’art. 1 della legge n. 20/1994, come novellato dall’art. 3 della legge n.

639/1996, si è responsabili solo per fatti od omissio-ni compiuti con dolo o colpa grave, ma sono insin-dacabili nel merito le scelte discrezionali.Se il disposto normativo ha il pregio della chiarez-za, va detto che esso è il punto di arrivo di un’am-pia polemica tra coloro che, in nome della difesa degli interessi dell’erario, invocavano la censurabi-lità per ogni tipo di atto delle varie amministrazio-ni e coloro che volevano limitare la responsabilità per attività discrezionale alle sole ipotesi di dolo. La colpa grave deve intendersi come la mancata osservanza di quel minimo di diligenza richiesta dalla natura delle mansioni esercitate cui, secondo la comune accezione, si attiene o dovrebbe attener-si la generalità dei soggetti che svolgono le mede-sime funzioni (C.d.c., Sez. III, 23.7.1996, n. 320/A e 321/A).La Corte ha precisato che «nel sindacare le scelte discrezionali della pubblica amministrazione, la valutazione del giudice contabile va svolta in limi-ti ben circoscritti, dovendo essere compiuta con giudizio ex ante e con il parametro della irragione-volezza, dal momento che solo in presenza di una palese irragionevolezza il comportamento psicolo-gico dell’amministratore decidente può configurar-si come colposo. Pertanto - ha proseguito la Corte - in ipotesi di discrezionalità piena e non tecnica, il giudizio del giudice deve limitarsi a una valutazio-ne sulla razionalità e congruità dei comportamen-ti, che va effettuata in relazione al momento in cui concretamente gli amministratori hanno operato e alla esigenza concreta da perseguire». Non sussiste quindi la responsabilità dell’amministratore comu-nale e del segretario comunale per la decisione di abbandonare un’opera pubblica voluta dalla giunta precedente risolvendo i contratti con le ditte qualo-ra le scelte operate abbiano costituito manifestazio-ne di una legittima facoltà politico amministrativa propria degli organi rappresentativi e l’uso di questa facoltà non sia inficiata da comportamenti del tutto arbitrari o assolutamente irragionevoli (C.d.c., Sez. Veneto, 18.2.2009, n.166).In definitiva, in base alla normativa vigente occor-re operare una distinzione tra attività discreziona-le, non censurabile dal giudice contabile, e attività non discrezionale, con riguardo alla quale l’innal-zamento della soglia di punibilità non appare sor-retto da valide giustificazioni. In sostanza, è stata soddisfatta l’esigenza degli amministratori locali di vedere ristabiliti i termini di certezza nell’esercizio dell’attività discrezionale, ma non si è evitato che possano determinarsi delle sacche di impunità per

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attività che richiederebbero una maggiore tutela da parte del legislatore. È stato comunque ritenuto che la c.d. discrezionalità tecnica attiene non al merito del provvedimento amministrativo, ma a stime e valutazioni su materie caratterizzate da regole e pre-scrizioni tecnico-scientifiche di carattere obiettivo, il cui sindacato deve quindi ritenersi non solo con-sentito ma doveroso per il giudice contabile (C.d.c., Sez. I centrale, 20.9.2004, n. 333/A).

3.3. Il regime prescrizionale

L’art. 1, c. 2 della legge n. 20/1994, come sostituito dall’art. del D.L. 543/1996, convertito dalla legge n. 639/1996, stabilisce il diritto dello Stato al risarci-mento del danno da far valere entro i cinque anni decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso. Ciò, salvo il caso di occultamento doloso del danno, nella quale ipotesi la prescrizione de-corre dalla data della sua scoperta (in applicazione dell’art. 2941, n. 8 cod. civ.). Per fatto dannoso deve intendersi non il momento del comportamento dif-forme dalle regole, ma quello del verificarsi dell’e-ventus damni, dal quale momento il P.M. può eser-citare l’azione di responsabilità, ai sensi dell’art. 51 e segg. del Codice di giustizia contabile.Tale termine, già previsto dalla legge n. 20/1994, rappresenta un punto di fermo rispetto agli altri e ben diversi termini previsti da precedenti normative o dalla stessa giurisprudenza della Corte dei conti, termini che avevano reso elastico e sovente incerto il limite temporale al diritto al risarcimento. Diver-so è il criterio previsto per i responsabili delle unità sanitarie locali, delle regioni e degli enti ospedalieri disciolti. Tale termine non è stato innovato dal Co-dice di giustizia contabile.Si noti che l’occultamento doloso “non può coinci-dere puramente e semplicemente, con la commis-sione dolosa del fatto dannoso, ma richiede un’ulte-riore condotta, indirizzata ad impedire la conoscen-za del fatto: occorre, in altri termini, un comporta-mento che, se pure può comprendere la causazione stessa del fatto dannoso, deve tuttavia includere atti specificamente volti a prevenire la scoperta di un danno ancora in fieri oppure a nascondere un dan-no ormai prodotto” (C. conti, Sez. III centrale, n. 32/2002; Sez. I, 2.2.2009, n. 40; Sez. giur.le Liguria, 11.6.2009, n. 287; Sez. III app., n. 474/2006).

3.4. Il problema dei danni cagionati ad ammini-strazioni diverse da quelle di appartenenza e la responsabilità del dirigente

La fattispecie in esame abbraccia tutte le ipotesi di comando, distacco o comunque di preposizione o utilizzazione dell’amministratore, funzionario o dipendente presso amministrazioni o enti pubblici diversi da quelli di appartenenza e di possibili danni da questi causati all’Erario nell’esercizio dei compiti ad essi attribuiti.L’ipotesi era già prevista dall’art. 1, c. 4, della leg-ge 20/1994 ed aveva suscitato in sede parlamen-tare vivaci dispute tra chi voleva escluderla dalla previsione legislativa e chi voleva mantenerla in ogni caso, nella considerazione che il risarcimento riguarda comunque danaro pubblico. Le Sezioni Riunite della Corte dei conti hanno ritenuto san-zionabili anche i comportamenti avvenuti in aree di attività estranee alle «mansioni proprie» della loro qualifica. È stato, infatti, stabilito (sentenza 8 luglio 1996, n. 39/96/A), che tale responsabilità non è esclusa dal fatto che i comportamenti attribuiti «all’agente pubblico concernevano in realtà aree di attività estranee alle mansioni proprie» degli stessi. Ciò perché tali comportamenti erano «contrari al dovere di fedeltà verso l’Amministrazione ed erano caratterizzati da rilevanza causale efficiente e deter-minante rispetto all’evento di danno». Il dipendente pubblico - ha concluso la Corte - «deve comunque anteporre il rispetto della legge e dell’interesse pubbli-co agli interessi privati propri e altrui».Questa sentenza è di particolare rilievo, perché fa emergere nuovi e delicati aspetti dei doveri de-gli impiegati e dei funzionari e pone esattamen-te in luce il generale dovere di fedeltà e di lealtà dell’impiegato e del funzionario nei confronti della P.A. Questo dovere è previsto nella Costitu-zione (art. 98), nello statuto degli impiegati civili dello Stato del 1957 (artt. 13 e 81), e nel «Codice di comportamento» emanato dal Ministero della Funzione pubblica nel 1994; dovere, quindi, che supera e assorbe il particolare problema delle «mansioni».Il codice di comportamento contenente «specifica-zioni esemplificative degli obblighi di diligenza, lealtà, imparzialità», nell’art. 2, comma 3, afferma che: «il dipendente, nell’espletamento dei propri compiti, antepone il rispetto della legge e l’interesse pubbli-co agli interessi privati propri e altrui». Le Sezioni riunite della Corte dei conti hanno perciò puntual-mente considerato questo «Codice» come uno dei

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parametri ai quali - in collegamento con le norme di legge - si può rapportare non soltanto la respon-sabilità disciplinare, ma anche e specialmente la responsabilità contabile. I doveri dell’impiegato e del funzionario riguardano, quindi, l’intera attività che essi svolgono in qualunque ambito della P.A., e non si può cercare di sfuggire alla responsabilità nascondendosi nell’interstizio dell’attività estranea alle «mansioni proprie».È stata ravvisata la responsabilità degli amministra-tori di un ente pubblico (nella specie l’INPDAP) per i danni derivanti dallo svolgimento a tempo indeterminato di mansioni superiori dirigenziali da parte di vari dipendenti, ben oltre i limiti temporali previsti dall’art. 52, D.Lgs. n. 165/2001 (C.d.C., Sez. giur. Lazio, 10.9.2014).In relazione alle responsabilità del dirigente possono essere menzionate al riguardo le seguenti decisioni: Sez. I centr., sentenze n. 149/2016, n. 150/2016, n. 163/2016, n. 173/2016, n. 225/2016, n. 277/2016; Sez. II centr., sent. n. 787/2016, n. 948/2016; Sez. III centr., sent. n. 73/2016, n. 143/2016, n. 160/2016, n. 208/2016, n. 267/2016.Fra le varie trasgressioni emerse in sede giurisdizio-nale figurano:

- inosservanza dei limiti stabiliti per le ore di straor-dinario, mancate corrispondenze del numero di ore liquidate con quello risultante dai registri delle firme o da altro documento attestante l’impegno orario;

- irragionevoli e non congrue eccedenze dell’entità degli emolumenti corrisposti ove non prefissati nel-la misura massima;

- illecite deliberazioni di spese a titolo di indennità e gettoni di presenza a componenti di organi di am-ministrazione, indebite corresponsioni di indennità di funzione e di compensi aggiuntivi;

- violazioni del principio di onnicomprensività del trattamento economico di dipendenti e di dirigenti;

- indebiti compensi gravanti su fondi esterni (es. europei) per lo svolgimento di ordinarie e già retri-buite attività istituzionali. Orbita nello stesso ambi-to tematico la questione del conferimento e ricono-scimento di cd. mansioni superiori.

Soluzioni giurisprudenziali similari (quanto all’im-putabilità del danno agli organi amministrativi di vertice) si registrano nei casi in cui si proceda a “re-clutamenti di personale” anomali, facendo fronte ad esigenze di servizio attraverso indebiti assorbimenti di personale appartenente a società di servizio ester-ne convenzionate con l’Ente pubblico.

3.5. Il tramonto della responsabilità per colpa lieve

È apparsa a taluno preoccupante la prospettiva di limitare la responsabilità alla colpa grave, in quanto la «colpa lieve», fin qui regola della responsabilità amministrativa, che è la stessa regola del privato prestatore d’opera, non chiama a rispondere per mere irregolarità ma per violazione delle cautele sintomatiche della diligenza media del «bonus pa-terfamilias».Si è però sostenuto che «prevedere una responsabi-lità per colpa lieve significa penalizzare la p.a.» (Bas-sanini) e che per oltre cento anni gli impiegati dello Stato sono stati assoggettati alla responsabilità per colpa lieve per i danni allo Stato e per colpa grave per i danni a terzi. Ma va fugato il diffuso allarme sul regime delle responsabilità, perché ciò che in pratica va perseguito è l’ illecito sostanziale.L’attenuato regime delle responsabilità riverbera i suoi effetti su altri due importanti fenomeni, quel-lo delle gestioni in situazioni di potenziale dissesto (anche per la mancata adozione di provvedimen-ti correttivi), e quello relativo alla mancata cura nell’accertamento e nella riscossione delle entrate.

3.6. I principali problemi della giurisdizione contabile

a) Mancata acquisizione di entrate. Si tratta di iner-zie e negligenze colpevoli, che conduce alla mancata acquisizione delle entrate (per canoni demaniali, per locazione di beni patrimoniali, per mancato aggiornamento di canoni o di tariffe, per mancata attivazione di procedure per acquisire entrate pro-prie di enti che poi incide, con la richiesta di trasfe-rimenti, sulla finanza pubblica); a ciò si affianca il problema della scarsa utilizzazione dei fondi comu-nitari, e quello della mancata utilizzazione di entra-te che comportano oneri, quali i mutui.In sede di conversione del D.L. n. 543/1996 è stata introdotta una norma che vieta l’esercizio dell’azio-ne di responsabilità nei confronti degli amministra-tori degli enti locali per la mancata copertura mini-ma del costo dei servizi. In realtà, il non assicurare con l’elevazione delle tariffe la copertura minima dei servizi si traduce in una minore entrata per l’en-te locale e in maggiori trasferimenti da parte dello Stato di somme dirette a riequilibrare la situazione finanziaria di enti locali che sono destinatari di ri-sorse minori di quelle assegnate ad altri enti aventi le stesse caratteristiche.La disciplina vigente dispone l’obbligo di copertura minima dei servizi e sancisce quale sanzione la per-

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dita di una quota del fondo perequativo: tale disci-plina è stata dettata per incentivare l’autonomia di gestione degli enti locali, per ridurre la dipendenza dalla finanza statale e attenuare l’onere che questa sostiene per sovvenire dette gestioni. Il D.Lgs. n. 422/1997 prevedeva assegnazioni e affidamenti a scadenza periodica, con introduzione da parte delle Regioni di strumenti idonei a garantire economicità ed efficienza delle gestioni, per le quali l’obiettivo è di passare dal 35% al 50% di copertura dei co-sti tramite i ricavi, riducendo conseguentemente il contributo pubblico. Tale previsione si è dimostrata utopistica.

b) Errore professionale scusabile. Secondo un con-solidato indirizzo della Corte dei conti, costitui-scono esimenti l’errore professionale scusabile e la non imputabilità di danni conseguenti a carenze organizzative delle strutture pubbliche. Oggi, per effetto della vigente normativa, è onere del Pub-blico Ministero acquisire i maggiori elementi pro-batori che consentano la migliore valutazione dei comportamenti tenuti dagli agenti pubblici nella determinazione di danni. Non è quindi più suffi-ciente per il P.M. addebitare responsabilità sulla base dell’inosservanza di leggi, regolamenti o re-gole di comportamenti materiali, ma è necessaria una più penetrante analisi dei comportamenti amministrativi e suffragare con chiari e specifici elementi la presunta grave trasgressione ai pub-blici doveri. Per le attività materiali, normalmente più rischiose, occorrerà accertare se la negligenza o l’imperizia siano da collegare - per il danno che ne è derivato - in misura prevalente alla condotta dell’agente o al rischio insito nell’attività mate-riale. Per le attività amministrative non vengono più in rilievo l’arbitrarietà delle scelte o il mancato raggiungimento dei risultati, ma la carenza di spe-cifico potere o la sovrapposizione non motivata o palesemente erronea o prevaricante di proprie va-lutazioni rispetto ai fini istituzionali.

c) Responsabilità solidale. Normalmente i danni all’erario non sono il risultato dell’azione od omis-sione di un solo organo o ufficio, ma coinvolgono più uffici dello stesso ente o di più enti pubblici. Il legislatore ha stabilito che la responsabilità degli amministratori e dipendenti pubblici è solidale solo quando il danno sia stato determinato dal concorso di più azioni dolose o nel caso di illecito arricchi-mento di coautori del danno.In passato la giurisprudenza aveva seguito in pre-valenza l’indirizzo di richiedere una colpevolezza

qualificata nel comportamento amministrativo, in quanto riconducibile ad attività aventi connotati di professionalità, e sulle quali incidono situazioni di rischio spesso non ben note all’atto in cui si fanno le scelte, ovvero ad attività disciplinate da una legi-slazione né chiara e neppure di agevole interpreta-zione.

d) Responsabilità degli organi politici. La «buona fede». Vi è poi un’altra norma, recata dalla legge n. 639/1996, che in tema di responsabilità finanziarie pone in evidenza il criterio della «buona fede», nel sancire il divieto di estendere agli organi politici la responsabilità nei casi di approvazione o di auto-rizzazione all’esecuzione di atti che sono di compe-tenza di uffici amministrativi o tecnici c.d. esimente politica). In questa ipotesi la giurisprudenza deve utilizzare il criterio della «buona fede» in rapporto ai doveri di comportamento degli organi politici. Anche le scelte collegate alla valutazione politica degli interessi della collettività escludono il sindaca-to giudiziario, sempre che non divengano arbitrio o personale interesse degli amministratori.Non molto innovativa rispetto alla già consolidata prassi giurisprudenziale è poi la previsione, nel caso di attività di organi collegiali, dell’attribuzione di responsabilità ai soli casi in cui si sia espresso un voto favorevole (è irrilevante l’astensione).Si pongono, peraltro, problemi per l’azione ammi-nistrativa nei casi in cui si preferisca non decidere per non avere responsabilità: ciò potrebbe, invero, portare alla diffusione di un comportamento non coerente con il «dovere» di decisione e di scelta che incombe a tutti gli organi che devono amministrare.

e) Gli illeciti finanziari. Circa, infine, gli illeciti fi-nanziari, perseguibili solo per dolo o colpa grave, in cui è rara la presenza di un vincolo solidale ed è stabilita l’intrasmissibilità agli eredi del debito per danno all’erario, si è confermato lo speciale pote-re di riduzione dell’addebito e il dovere del giudi-ce contabile di tenere conto, nella determinazione del danno risarcibile, dei vantaggi - di non agevole misurazione - per l’A. e la collettività, conseguiti in rapporto all’attività (illecita) dei soggetti al giudizio di responsabilità.Se è lecito trarre un giudizio di valore dalla nor-mativa in commento, può dirsi che essa presenta molteplici profili che rendono difficile una valuta-zione unitaria, ma che gli aspetti positivi superano senz’altro quelli negativi. L’aver il legislatore ritenu-to insindacabili le scelte discrezionali, significa aver

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indicato un punto di equilibrio su cui dovrebbe riflettere lo stesso legislatore nel porre regole al sin-dacato penale.

4. L’analisi dei comportamenti amministrativi e le responsabilità dei politici

L’analisi dei comportamenti amministrativi da par-te del giudice delle responsabilità ha avuto sin qui come punto di riferimento l’arbitrarietà delle scelte, la prevedibilità dell’evento lesivo, la consapevolezza degli eventi dannosi delle omissioni, ovvero l’atten-dibile previsione del mancato raggiungimento dei risultati previsti dalle norme. Quando siano presen-ti questi elementi, l’azione di responsabilità è appar-sa giustificata, in coerenza con il moderno modo di fare amministrazione, come osservanza dei proce-dimenti volti al conseguimento di risultati.In virtù del principio della netta distinzione dei compiti di programmazione e direttiva, che compe-tono ai politici, e dei compiti di gestione, che fanno capo ai funzionari, vi è la norma secondo cui, pur se gli organi politici abbiano consentito o autorizzato l’esecuzione di atti che rientrano nella competenza degli uffici tecnici o amministrativi, non sono re-sponsabili, se non nei casi di mala fede. Ciò, in re-lazione al fatto che agli organi politici è precluso di fare gestione; ad essi sono attribuite funzioni in cui il profilo politico, cioè la valutazione degli interessi della collettività, assume preminente rilievo.Per tutte le funzioni attribuite dalle leggi dello Sta-to - e non dallo statuto o dalla legislazione regio-nale - le scelte, anche amministrative, non possono comportare imputazioni di responsabilità, sempre che razionalmente riconducibili all’autonomia e alle esigenze ad essa sottese e non si dimostri una ingerenza ingiustificata dell’organo politico sulle incombenze amministrative, ed è salvo il sindacato del giudice sulla razionalità delle scelte.Secondo l’art. 248, c. 5 del T.U. n. 267/2000, gli am-ministratori degli enti locali che la Corte dei conti ha riconosciuto responsabili, anche in primo grado, di danni da loro prodotti, con dolo o colpa grave nei cinque anni precedenti il dissesto finanziario, non possono ricoprire, per un periodo di cinque anni, incarichi di assessore, di revisore dei conti di enti locali e di rappresentante di enti locali presso altri enti, istituzioni e organismi pubblici e privati, ove la Corte, valutate le circostanze che hanno determina-to il dissesto, ne accerti la diretta conseguenza dalle azioni od omissioni per le quali l’amministratore è stato riconosciuto responsabile. L’art. 246, c. 2, dello

stesso T.U. ha espressamente previsto che gli atti re-lativi al dissesto degli enti locali vengano inviati alle Procure regionali della Corte dei conti per le valuta-zioni di competenza, ai fini del perseguimento delle responsabilità di gestione.Attualmente, i casi più frequenti di danno alla fi-nanza pubblica riguardano, in particolare: trattative private, economicamente svantaggiose, conseguenti al ritardo nell’assumere l’iniziativa contrattuale; co-sti di ripristino di immobili lesionati o crollati in seguito a movimenti sismici, ma realizzati in epoca recentissima in base a programmi di edilizia econo-mica e popolare; tollerate occupazioni abusive di beni demaniali; maggiori oneri conseguenti a siste-matici ritardi nei pagamenti, ovvero alla creazione di debiti fuori bilancio; omessa acquisizione di en-trate; prolungate esposizioni di cassa nei confronti dei tesorieri; situazione di avanzo solo apparente di molte gestioni pubbliche; dissesto potenziale di molti enti locali; nel settore sanitario, irregola-rità nella tenuta degli elenchi di assistiti da medici di medicina generale e da pediatri convenzionati nell’acquisto a prezzi elevati di presidi medicochi-rurgici; progettazione di opere che non trovano realizzazione; opere iniziate non ultimate; opere ultimate e non utilizzate; mancate o ritardate ini-ziative di esproprio con illegittima occupazione di suoli privati, ovvero ricorso alla accessione invertita in luogo dell’esproprio, con oneri maggiori di ca-rattere finanziario; assunzioni di invalidi civili che non risultano tali e la concessione a questi ultimi di provvidenze economiche; mancata acquisizione di entrate in generale; omessa o irregolare acquisi-zione di proventi di beni pubblici; truffe commesse nei confronti dell’I.N.P.S. mediante alterazione di posizioni assicurative; disfunzioni degli uffici finan-ziari per incapacità organizzative che determinino danno per mancate acquisizioni tributarie o per tar-dive notificazioni; indebite percezioni di indennità e rimborsi ingiustificati per trasporto da parte di appartenenti alle forze armate di masserizie in occa-sione di trasferimenti di sede; indebiti conferimenti di consulenze a soggetti estranei alla P.A., in caren-za di esigenze straordinarie dell’ente; corruzioni o concussioni di organismi finanziari con compro-missione del rapporto tra cittadini e P.A.; manca-ta presentazione di rendiconti da parte di enti che hanno ricevuto la concessione per l’espletamento di corsi di formazione professionale; illeciti commessi nell’ambito dell’assistenza farmaceutica, attraverso iperprescrizioni o altri fenomeni; pagamento di ri-serve non dovute all’appaltatore o il ricorso a tran-

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sazioni troppo onerose per la P.A.; riconoscimento, da parte dei comuni, di debiti fuori bilancio; ricorso a varianti inutili, occupazioni appropriative, inde-bite contabilizzazioni di opere non eseguite, danni per interessi derivanti da comportamenti integranti responsabilità precontrattuale, ritardati pagamenti di materiali per opere pubbliche o di fatture varie, erogazione di corrispettivi non dovuti a causa di collaudo solo apparente, indebite prestazioni di fi-dejussione, acquisti o affitti di immobili con costi sproporzionati rispetto alla consistenza finanziaria dell’ente, locazioni finanziarie di sistema informati-co, poi rimasto inutilizzato, omessa vigilanza sull’e-secuzione del contratto.Va ricordato che per gli enti locali l’art. 202, c. 1, ammette il ricorso all’indebitamento solo nelle for-me previste dalle leggi vigenti o per la realizzazione degli investimenti.

5. La natura pubblica o privata del danaro gestito come possibile discriminante dell’azione della Procura della Corte dei conti

L’attenzione della Procura generale e delle procure regionali della Corte dei conti è indirizzata, tra l’al-tro ad iniziative, quali:

- apprestare una sanzione per le violazioni delle norme a tutela dell’ambiente;

- vigilare sull’adempimento dell’obbligo di rende-re il conto, che grava su tutti i gestori di beni della comunità;

- seguire l’esecuzione delle sentenze di condanna;

- verificare gli illeciti commessi nella gestione di strutture regolate da norme di diritto privato, ma finanziate da danaro pubblico;

- assumere iniziative per una quotidiana azione contro il fenomeno della corruzione.

I contesti in cui essa ha occasione di svilupparsi non si limitano al mondo degli appalti, né all’a-spetto dell’illecita dazione di danaro o di benefi-ci; essa trova facile terreno nell’evasione fiscale e nell’economia sommersa ed è un mezzo congeniale agli ambienti criminali: il suo terreno di coltura è l’illegittimità in tutte le sue forme. La corruzione è agevolata dall’eccesso di leggi (“in pexima repu-blica plurimae leges”) che causa la moltiplicazione delle competenze e delle responsabilità. Ciò, però, non deve giustificare la soppressione di regole certe e di controlli (che spesso vengono smantellati con la motivazione dell’emergenza per eludere le rego-

le sugli appalti e i controlli preventivi e di gestione, come accaduto nel caso dell’Expo-Milano 2015 e nei provvedimenti commissariali di protezione ci-vile).Il danno ambientale è un danno ulteriore rispetto al danno materiale arrecato al bene e le iniziative per azionare le pretese per i danni materiali arrecati a questi beni pubblici competono alla Procura presso la Corte dei conti. Si è ritenuto che questo danno ai beni pubblici sia conseguenza, prima ancora che delle iniziative private, dell’azione illecita dei poteri pubblici che lo hanno consentito con propri prov-vedimenti ovvero - una volta verificatosi per abusi dei privati l’evento lesivo - per non essere interve-nuti con i necessari provvedimenti, idonei ad otte-nere il ripristino della situazione violata.Vi sono poi i casi di mancata esecuzione di senten-ze di condanna tratte da segnalazioni stampa: le procure regionali sono state attivate nei casi in cui per intervenuta prescrizione del credito derivante dall’actio judicati, vi erano solo da perseguire le re-sponsabilità relative. Nei casi di ritardata esecuzio-ne, viene verificato se dal ritardo consegua la perdita di garanzie per il recupero del credito, ovvero la sot-trazione di cespiti aggredibili.È noto che anche per l’incidenza della normativa comunitaria, il nostro ordinamento tende a non ravvisare più la distinzione «pubblico-privato», ma risulteranno sempre più determinanti elementi so-stanziali come il finanziamento, cioè la natura del danaro gestito, l’effettiva subordinazione alle regole del mercato, il controllo del danaro pubblico.I fatti corruttivi, e gli altri delitti contro la P.A. si presentano con due distinte connotazioni. Possono consistere nel pagamento indebito di danaro per un’attività legittima e dovuta della P.A., e di ciò è competente il giudice penale. Ovvero si concretano in una prestazione a favore dell’amministratore o del funzionario infedele, cui però deve corrisponde-re un’illecita controprestazione di questo, un bene-ficio non dovuto che avvantaggia il corruttore e lo compensa dell’importo versato. Deve essere, però, dimostrato che sia stato liquidato illegittimamen-te al corruttore più di quanto dovutogli e se oneri maggiori e non dovuti siano stati messi a carico del-la pubblica finanza.La legge n. 190/2012 sulla prevenzione della corru-zione e obblighi di pubblicità e trasparenza, men-ziona, tra i soggetti destinatari della normativa, an-che gli enti locali (art. 1, comma 60) e le società a partecipazione pubblica. Inoltre, la legge 22 maggio

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2015, n. 68, che si applica anche nei confronti de-gli enti locali, reca disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente.Una sentenza della Corte dei conti (Sez. Lombar-dia 17.2.2009, n. 69) ha ritenuto sussistere il danno erariale derivante dalla condotta di amministrato-ri comunali per aver arbitrariamente mancato di dare esecuzione alla pronuncia definitiva del giu-dice amministrativo che imponeva l’adozione di una procedura selettiva ad evidenza pubblica per l’affidamento di servizi di igiene urbana del comu-ne, effettuando altra scelta gestionale (affidamento diretto in via temporanea a favore delle medesime ditte risultate aggiudicatarie della trattativa privata annullata dal TAR), con conseguente soccombenza nel successivo giudizio di ottemperanza.Si è ritenuto illegittimo l’affidamento da parte di un comune all’esterno, di un’attività materiale, che rientra pacificamente nelle competenze ordinarie di una pubblica amministrazione, non particolar-mente complessa, trattandosi, nel caso di specie, di un ente locale territoriale di modeste dimensioni. Inoltre, l’attività risultava anche agevolata, negli anni successivi al primo impianto del servizio, dalla predisposizione dei dati informatici. Perciò, secon-do la Corte dei conti, gli adempimenti in questione avrebbero potuto essere svolti sia direttamente dal funzionario responsabile del servizio finanziario, con l’ausilio di un altro dipendente, pure addetto al servizio, trattandosi di adempimenti elementari (C. conti, I app., 11.10.2017, n. 299).

6. Riferibilità all’amministrazione degli atti illeciti dei dipendenti. Limiti

L’ente pubblico risponde, di massima, a titolo di-retto per l’attività illecita dei suoi dipendenti, rea-lizzata nell’esercizio delle loro funzioni per il per-seguimento dei fini della persona giuridica. In tal caso, infatti, queste attività non possono che essere riferite all’Amministrazione, anche se la responsa-bilità di questa non può essere assimilata a quella dei padroni o committenti, e configurarsi come una culpa in eligendo o in vigilando. In deroga a tale principio, tuttavia, il D.L. 26 marzo 1989, n. 66, convertito dalla legge n. 144/1989, ha previsto che per i debiti fuori bilancio non ritenuti legittimi, ri-spondono i soggetti che hanno disposto l’esecuzio-ne delle relative spese, senza oneri per l’ente (T.U. 267/2000, art. 191, c. 4).La Sezione I centrale, con la sentenza n. 22/2016 ha sinteticamente rammentato che il debito fuori

bilancio è un’obbligazione verso terzi per il paga-mento di una determinata somma di danaro di cui è debitore l’ente pubblico, assunta in violazione delle norme giuscontabili che regolano i procedimen-ti di spesa degli enti interessati (v. in proposito la definizione contenuta nella circolare del Ministero dell’Interno 20 settembre 1993, n. F.L. 21/1993). Si tratta di obbligazione pecuniaria - giuridicamen-te perfezionatasi nell’ordinamento civilistico in assenza di una specifica previsione di bilancio, in violazione pertanto delle norme che disciplinano il procedimento di spesa - che sussiste e permane pur in assenza di uno specifico e formale impegno contabile.Occorre, quindi, considerare che il corretto adem-pimento contabilistico (assunzione dell’impegno di spesa, successiva liquidazione del dovuto, ordi-nazione e pagamento al terzo debitore) non può essere ritenuto meramente formale e superfluo, né può essere giustificabile la tenuta di una contabi-lità “elastica” che trascuri i prescritti passaggi pro-cedurali giuscontabili. Tale evenienza determina l’impossibilità per gli amministratori di conoscere con esattezza, di volta in volta, l’entità delle risorse a disposizione e può causare incertezze, ritardi nei pagamenti e transazioni commerciali, contenzioso con i creditori privati e, di conseguenza, maggiori, indebite spese per l’amministrazione.Proprio dette insorgenze disfunzionali hanno dato origine a tutte le norme in materia di divieto di gestioni fuori-bilancio e connessa necessità di far rientrare nell’alveo dell’ordinaria contabilità le ri-sorse gestite dagli enti pubblici, specie quelli terri-toriali.Le considerazioni sulla natura della responsabilità della Pubblica Amministrazione valgono a gettare luce sulla responsabilità del funzionario, stabilita dalla prima parte dell’art. 28 della Costituzione. Pur sussistendo, infatti, la responsabilità diretta dell’Amministrazione, è evidente che tale norma ha inteso dar vita a una responsabilità personale del funzionario direttamente nei confronti del danneg-giato. Tale responsabilità non dovrebbe ammettersi in mancanza di una espressa disposizione di legge, in quanto a due soggetti distinti non può normal-mente essere imputato in via diretta un medesimo fatto dannoso.Si possono quindi esperire due distinte azioni di responsabilità, che possono essere cumulate, ovvero proposte disgiuntamente: l’una contro l’ente pub-blico (art. 113 Cost.) e l’altra direttamente contro

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il funzionario che fisicamente ha determinato il fatto illecito. L’art. 28 della Costituzione costituisce il fondamento giuridico di questa azione, che non potrebbe trovare alcuna altra base nei principi ge-nerali.

7. La responsabilità amministrativa patrimoniale dei dipendenti

È noto che nell’ambito della responsabilità giuridica dei funzionari e degli impiegati, cioè della responsa-bilità nascente dalla violazione di norme giuridiche, si distinguono tre forme di responsabilità: quella penale, quella civile e quella amministrativa. In que-sta sede, non rileva la responsabilità penale, mentre interessa la responsabilità civile dell’Amministrato-re o del funzionario, disciplinata dal codice civile, la quale non può che scaturire dalla violazione di ob-blighi di diritto privato. Essa ha carattere extracon-trattuale e si ispira al principio del “neminem laede-re”. Va, però, fatta una fondamentale precisazione: quando siano stati violati dall’amministratore o dal funzionario obblighi di diritto pubblico, nell’eser-cizio di pubbliche funzioni, si è in presenza di una diversa responsabilità, di natura contrattuale, verso l’amministrazione. Tale responsabilità, anche se la relativa sanzione ha contenuto patrimoniale, non può qualificarsi civile, ma è responsabilità di diritto pubblico. Quest’ultima forma di responsabilità ri-guarda i funzionari e gli impiegati dell’ente locale nel loro rapporto interno ed ha carattere patrimo-niale.È, invece, responsabilità civile nei confronti dell’en-te quella degli impiegati che nell’esercizio delle loro funzioni abbiano allo stesso arrecato un dan-no, imputabile alla loro condotta colposa. Tale comportamento non può configurare un illecito amministrativo e l’obbligo di risarcimento che fa capo all’impiegato colpevole del danno è, invece, di natura civile perché si ricollega ad un illecito civi-le. Ne consegue che le due forme di responsabilità, quella amministrativa e quella patrimoniale, pur se sovente sono trattate unitariamente, non possono ridursi ad un unico denominatore: esse si pongono su distinti livelli, in quanto l’una si ricollega ad un illecito amministrativo e l’altra ad un illecito civile.Considerato il processo di riforma dell’organizza-zione dei pubblici uffici, l’obbligo di denuncia, ai sensi dell’art. 52 del Codice di giustizia contabi-le (D.Lgs. n. 174/2016) incombe su tutti i soggetti che, nella loro qualità di responsabili di un settore

dell’Amministrazione, si trovino in posizione api-cale anche gli ispettori, gli organi di controllo e di revisione e vengano in possesso, in ragione del loro ufficio,degli elementi per l’accertamento della re-sponsabilità e la determinazione dei danni (C.d.c., Sez. I centr., appello n. 344 del 25.7.2008). Ai sensi dell’art. 53 dello stesso Codice, la denuncia del dan-no deve contenere la sua presumibile quantifica-zione e, ove possibile, l’indicazione dei responsabili presunti del danno.

8. Compiti e responsabilità dei revisori dei conti

Numerosi e delicati sono i compiti che il T.U. n. 267/2000 e le altre leggi statali assegnano ai revisori. Il loro svolgimento - specie negli enti di grandi di-mensioni - comporta particolari difficoltà e, consi-derate le connesse responsabilità, richiede una spe-ciale capacità professionale nell’operatore. Questo è incardinato nell’ente, svolge una pubblica funzione, è soggetto al segreto d’ufficio e agli altri doveri del pubblico dipendente, nonché alla giurisdizione del-la Corte dei conti, secondo la disciplina prevista per l’accertamento della responsabilità per danno arre-cato all’amministrazione. Il revisore soggiace quin-di agli effetti reattivi dell’ordinamento giuridico nascenti dall’eventuale inadempimento dei doveri di diligenza propri dei mandatari (art. 240, T.U. n. 267/2000). Tra i singoli compiti che la legge attri-buisce ai revisori, di particolare rilievo sono quelli relativi alla collaborazione con il consiglio nella sua funzione di indirizzo e di controllo dell’attività del-la giunta e degli altri organi e uffici cui è attribuita una competenza specifica.Per il bilancio preventivo e relative variazioni, la funzione consultiva dei revisori non può essere assimilata giuridicamente a quella del responsabi-le di ragioneria e del segretario (art. 53), mentre lo statuto stabilisce le forme ed i tempi dell’esercizio della collaborazione che deve essere fornita solo per le aree riconducibili alle funzioni di controllo e di indirizzo del consiglio. Uguale rilievo ha la vigilanza sulla regolarità contabile e finanziaria della gestione dell’ente, che è attività sistematica, duratura ed au-siliaria. Essa non si limita agli aspetti formali emer-genti dalle scritture contabili, ma si estende agli aspetti finanziari, a quello patrimoniale ed econo-mico della gestione, alla procedura di accertamento delle entrate e dell’impegno delle spese.Come si desume dagli artt. 239, c. 1, lett. c) e 240 del T.U. n. 267/2000, i revisori rispondono della ve-

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rità delle loro attestazioni e fungono da strumento per l’accertamento delle responsabilità altrui: «ove riscontrino gravi irregolarità nella gestione dell’en-te, ne riferiscono immediatamente al Consiglio» e la Corte dei conti può avvalersi delle loro relazioni. Se si verifica l’ipotesi di ammanchi oggettivamente agevolati dall’inerzia dei revisori (e dello stesso pre-sidente dell’ente) rispetto a diffuse e continue ille-gittimità afferenti a gestioni contabili, gli stessi ven-gono ascritti alla colpa grave del collegio sindacale e del presidente (C.d.c., Sez. I centrale, 23.7.2002, n. 250/A).Importante obbligo per i revisori è quello di denun-ciare al procuratore regionale della Corte dei conti l’indebitamento dell’ente per spese correnti, ai sensi dell’art. 239, c. 1, lett. e) del T.U. enti locali, con-figurandosi l’indebitamento per spese correnti una delle “gravi irregolarità di gestione” che integrano ipotesi di responsabilità contabile. La responsabilità in questione è comunque addebitabile agli ammini-stratori che hanno adottato la relativa delibera.Inoltre, in base all’art. 52 del Codice della giustizia contabile, in quanto incaricati della revisione, sono tenuti a presentare tempestivamente denuncia alla procura della Corte dei conti territorialmente com-petente di fatti che possono dar luogo a responsa-bilità erariali.

9. La giurisdizione in materia di responsabilità - Il sequestro conservativo

La giurisdizione della Corte dei conti è piena ed esclusiva:

- piena, in quanto la cognizione del giudice è este-sa a tutti gli aspetti della controversia, compresa la soluzione di questioni pregiudiziali ed incidentali, quali il giudizio sulla legittimità di atti prodotti, ov-vero quello sulla ammissibilità dei mezzi di prova, salvo l’esclusione del giudizio relativo all’incidente di falso, riservato, per principio generale, al giudice ordinario;

- esclusiva, in quanto nelle specifiche materie è esclusa qualsiasi altra giurisdizione ed in ordine alla stessa il giudizio investe sia questioni attinenti a di-ritti soggettivi, che ad interessi legittimi.

Quanto al potere sindacatorio della Corte, non essendo previsto da alcuna disposizione di legge, deve ritenersi oggi non più esercitabile, in ossequio all’art. 111 della costituzione nella sua nuova for-mulazione. Ne deriva che il giudice non può d’uf-ficio, sostituendosi alle parti, determinare l’oggetto

del contendere, né decidere su questioni che non si-ano state preventivamente sottoposte al necessario contraddittorio.Legittimato a proporre l’azione di responsabilità è il Procuratore generale o quello regionale presso la Corte dei conti, dotato di autonomia rispetto alla volontà dell’amministrazione (art. 51 e segg. del co-dice di giustizia contabile). Essa si basa sulla natura pubblica dell’azione di responsabilità. Allo stesso Procuratore incombe l’onere di provare i fatti po-sti a fondamento della proposta azione, trovando applicazione il principio generale dell’ordinamento secondo il quale spetta all’attore provare i fatti co-stitutivi della propria pretesa ed al convenuto quelli negativi della stessa.Il giudice contabile chiamato a pronunciarsi sui fatti già oggetto di processo penale ed in ordine ai quali sia stata pronunciata sentenza per intervenuta amnistia, può utilizzare, a fini probatori, l’accerta-mento dei fatti e il loro svolgimento quali emergono dal processo penale, pur non avendo, tale senten-za, autorità di cosa giudicata (C.d.c., Sez. Riunite, 7.4.1993, n. 875/A).In sede di giudizio di responsabilità, la sentenza penale di condanna intervenuta a seguito di «pat-teggiamento», non ha, in deroga a quanto stabilito dagli artt. 651 e 654 cod. proc. pen., autorità di cosa giudicata, ma può costituire oggetto di autonoma valutazione da parte del giudice, ai fini dell’accer-tamento della colpevolezza del convenuto (C.d.c., giurisprudenza costante). Le prove acquisite nel processo penale definito con il meccanismo di cui all’art. 444 c.p.p. possono essere utilizzate nel giu-dizio di responsabilità amministrativa, purché valu-tate in modo autonomo e non acritico (C.d.c., Sez. appello Sicilia, 10.11.2008, n. 336/A).Il sequestro conservativo dei beni è una misura cautelare introdotta con nuove modalità dall’art. 5 della legge 14 gennaio 1994, n. 19. Questo può esser chiesto prima ancora che l’attore decida se introdurre il giudizio di merito, e ad esso provvede il Presidente della Sezione competente, inaudita altera parte, con decreto motivato. Avverso le sen-tenze delle Sezioni giurisdizionali regionali è am-messo l’appello alle Sezioni Centrali della Corte dei conti (in Roma, v. Baiamonti, 25) che giudi-cano con l’intervento di cinque magistrati e solo per motivi di diritto. L’appello è proponibile dalle parti e dal procuratore regionale o da quello gene-rale entro 60 giorni dalla notificazione o entro il diverso termine stabilito dall’art. 178 del Codice di giustizia contabile. Per inciso va detto che il termi-

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ne accordato al convenuto per il deposito delle de-duzioni, ove cadente nel periodo della sospensione feriale (dal 1° al 31 agosto) decorre dalla scadenza di tale periodo.

10. L’esecuzione delle decisioni di condanna

È in vigore il Regolamento recante norme semplifi-cative dei procedimenti di esecuzione delle decisio-ni di condanna e risarcimento del danno erariale, a norma dell’art. 20, comma 8, della legge 15 marzo 1997, n. 59. Attraverso tale regolamento, approvato con D.P.R. 24 giugno 1998, n. 260, sono discipli-nate le modalità del recupero dei crediti liquidati dalla Corte dei conti, mediante ritenuta su tutte le somme dovute ai responsabili in base al rapporto di lavoro o di servizio. Il pagamento può essere ef-fettuato a rate ed è prevista l’iscrizione ipotecaria sui beni del debitore. I crediti liquidati sono iscritti in apposita voce di entrata del bilancio dello Stato o dell’ente interessato. Il Codice di giustizia contabile prevede, tra l’altro, il “rito abbreviato” a determinate condizioni (art. 130), il rito monitorio per addebiti d’importo non superiore a e 10.000 (art. 131) e un “rito relativo a fattispecie di responsabilità sanzionatoria pecunia-ria” per le violazioni di specifiche normative (artt. 133 e 136).Lo stesso Codice (artt. 212-216) prevede analitica-mente l’esecuzione delle sentenze di condanna, le quali sono munite della formula esecutiva. Il P.M. competente la comunica all’amministrazione o all’ente titolare del credito erariale che lo notifica al condannato nei modi di cui all’art. 117 e segg. c.p.c. Alla riscossione dei crediti liquidati dalla Corte dei conti provvede con decisione definitiva l’ente titola-re del credito ed avvia tempestivamente l’azione di recupero del credito nei modi indicati dall’art. 214, comma 5 del Codice.

11. Responsabilità di gestione degli amministratori locali

Il sistema delle responsabilità degli amministratori pubblici e, in particolare, di quelli locali, nel quadro legislativo e nell’interpretazione vigente non si pre-senta come armonico, neppure sotto il profilo del-la giurisdizione, che appare ripartita tra Corte dei conti e autorità giurisdizionale ordinaria.Vi è, innanzitutto, una responsabilità di gestione, cioè per danni arrecati all’ente locale, per inosser-vanza di regole di gestione. Vi è, poi, una respon-

sabilità per illeciti nella gestione e conservazione del patrimonio dell’ente locale. Vi è, ancora, una responsabilità per danni arrecati all’ente locale o a terzi verso i quali l’ente debba rispondere. Vi è, infi-ne, una responsabilità per danni arrecati allo Stato o ad ente diverso da quello locale.Per la responsabilità di gestione, occorre fare rife-rimento a due elementi: quello del danno arrecato all’ente locale e quello dell’inosservanza delle regole di gestione. Con riferimento al «danno» possono considerarsi unificate tutte le responsabilità di ge-stione, in quanto fondate su un evento lesivo (dan-no); la costruzione del fatto dannoso va operata se-condo i criteri comuni e comporta la messa a carico degli amministratori degli effetti dell’evento lesivo, sempre che vi sia una colpa.Vi sono, poi, attività illegittime che assumono rilie-vo sul piano dell’illecito. Per l’esercizio della relativa azione non è necessaria un’illegittimità accertata da organi amministrativi di controllo o giurisdizionali, né è necessario che un accertamento giurisdizionale della illegittimità preceda l’azione di responsabilità. Non è configurabile responsabilità di gestione ove non vi sia inosservanza delle regole sulla gestione. In particolare, gli illeciti nella conservazione e nella gestione del patrimonio si configurano in tutti i casi in cui si sia arrecato un danno all’ente, in violazione del suo diritto ai propri beni (v. delibera C.d.c., Sez. Enti Locali, n. 650 del 1989).Inoltre, qualunque scelta operativa discrezionale non può prescindere da una previa comparazione tra costi e benefici: pertanto i costi aggiuntivi per interessi passivi e spese accessorie per mutui con-tratti costituiscono danno per l’Ente quando la va-lutazione finale, in termini di benefici del servizio, è eccessivamente divaricata rispetto ad una soluzione differita più conforme ai canoni di buona ammini-strazione (C.d.c., Sez. riunite, 13.9.1993, n. 897/A).

12. La situazione dei concessionari di pubblici servizi e gli enti pubblici economici

La Corte di Cassazione ritiene che l’attività impren-ditoriale svolta dagli enti pubblici economici e dalle S.p.a. a prevalente capitale pubblico, essendo sog-getta alle norme del diritto privato, deve ritenersi un’attività del tutto parificata a quella dell’impren-ditore privato e non una «pubblica funzione». Ne deriva che, come già accennato, i soggetti che la esercitano non possono essere sottoposti alla giu-risdizione di responsabilità da parte della Corte dei conti.

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Invero, il termine «funzione» sta ad indicare soltanto l’assolvimento di compiti nell’interesse altrui e può essere espletata anche da semplici agenti, sprovvisti di poteri autoritativi; del resto, anche l’attività am-ministrativa di diritto privato attiene alla cura di interessi pubblici, pur se si svolge mediante istituti e norme di diritto privato.Inoltre, gli enti pubblici economici e le S.p.a. a prevalente capitale pubblico, che erano stati creati nell’ottica di un’economia mista, ora che lo Stato si ritrae dal mercato dismettendo il proprio pa-trimonio, non hanno più lo scopo di influenzare il mercato, ma quello di assicurare lo svolgimento dei servizi pubblici, in relazione ai quali essi assu-mono la veste di «concessionari». Come tali, essi sono inseriti nell’organizzazione amministrativa e svolgono un’attività che non può considerarsi estranea dall’attività della pubblica amministrazio-ne centrale o locale. La Corte Costituzionale (sent. n. 466/1993) ha dichiarato che le S.p.a. provenienti dalla privatizzazione degli enti pubblici economici sono soggette al controllo della Corte dei conti, at-teso il loro carattere speciale e le molteplici caratte-ristiche di diritto pubblico che le distinguono dalle società di diritto privato.Numerose sentenze della Corte di Cassazione han-no ritenuto sussistere un rapporto di servizio tra P.A. ed enti privati anche nei casi di affidamento a questi ultimi di attività di carattere pubblico (sent. n. 2668 del 5.3.1993). Nell’ordinamento interno, relativo all’organizzazione interna della P.A., l’Ente stru-mentale per nulla si distingue dall’Ente istituzio-nale, per cui non si può disconoscere un rapporto di fiducia, o di servizio tra gli amministratori della S.p.a. o dell’ente pubblico economico e l’ente isti-tuzionale.Sul piano pratico la mancata sottoposizione di detti amministratori alla giurisdizione della Corte dei conti, previsto dall’ordinamento vigente ave-va determinato un’area di irresponsabilità per gli amministratori stessi e prodotto complicazioni a carico dei componenti dei Consigli di amministra-zione dell’ente pubblico economico o della S.p.a. a prevalente capitale pubblico. Infatti nei casi non improbabili in cui questi non abbiano provveduto a citare davanti al giudice ordinario gli amministra-tori responsabili di eventuali danni, restava l’obbli-go del P.M. presso la Corte dei conti di accertare se questa omissione abbia, a sua volta, prodotto danni. Il che determinava una responsabilità indiretta, ad accertamento tardivo e talvolta inefficace, mentre si

sarebbe potuto agire in maniera più efficace per gli interessi della collettività nei confronti dei respon-sabili diretti.Il quadro delle responsabilità è mutato con il so-pravvenire della giurisprudenza della Corte di Cas-sazione (ss.uu., 22.12.2003, n. 19667/2003) nella quale si è riconosciuta la legittimazione della Corte dei conti anche nei casi innanzi esaminati. Con più recenti sentenze, come già accennato, la Corte di Cassazione ha ripristinato la giurisdizione/compe-tenza del giudice ordinario per tali fattispecie.Secondo la giurisprudenza civilistica, la responsa-bilità verso la società degli amministratori di una s.p.a., prevista e disciplinata dagli artt. 2392 e 2393 c.c. ha la sua fonte nell’inadempimento dei doveri imposti dalla legge o dall’atto costitutivo, o nell’i-nadempimento all’obbligo generale di vigilanza (giur. della Cassazione costante). La giurisprudenza della Corte d’appello Milano (n. 159040/1998) ha precisato che la responsabilità dell’amministratore verso la società è ravvisabile in ogni abuso, arbitrio od omissione che si traducano in un pregiudizio del patrimonio sociale dal punto di vista economico o della regolarità contabile. Viceversa, la remunerati-vità delle scelte di gestione compiute dagli ammini-stratori, concernendo profili di merito e rientrando nell’ambito discrezionale dell’attività imprendito-riale, non è suscettibile di essere valutata dal giudice in termini di responsabilità giuridica.In sostanza, nell’adempimento delle obbligazioni verso la società l’amministratore deve dispiegare la stessa diligenza del mandatario, che non è scissa dalla perizia, prudenza e avvedutezza in relazione ad ogni attività implicata nella gestione della so-cietà. Non è però sindacabile il merito delle scelte gestionali e delle modalità della loro conduzione, se non nella misura in cui si riscontri l’omissione delle cautele, verifiche e informazioni normalmen-te richieste dall’ordinaria diligenza professionale a cui ogni amministratore è obbligato, secondo un criterio di prevedibilità e di prevenibilità delle con-seguenze insoddisfacenti e pregiudizievoli (Cass., ss.uu., n. 14488/03). Invero, il merito dell’azione amministrativa riguarda la scelta secondo parame-tri non giuridici delle modalità di azione della P.A., in vista della realizzazione degli interessi commessi dalla legge alle sue cure, ma non attiene al profilo della legittimità.Nel giudizio di responsabilità amministrativa la ti-tolarità dell’azione spetta in via esclusiva al Procu-ratore regionale della Corte dei conti e il soggetto convenibile viene chiamato in giudizio solo per fini

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obiettivi e neutrali, al di fuori di valutazioni di con-venienza o di altro tipo. Invece i soci della società sono privi di legittimazione attiva nel giudizio di responsabilità amministrativa, i quali però possono denunciare i fatti causativi del danno al P.R. perché promuova la relativa azione di responsabilità.

13. I rapporti col giudizio penale secondo il nuovo codice di procedura

Secondo il precedente codice di procedura penale era sancito il principio della preminenza del pro-cesso penale. Il nuovo codice ha mutato indirizzo ispirandosi al principio di separazione dei processi, quale conseguenza dell’assoluta autonomia di giu-dizi. È stata così ripudiata la pregiudizialità obbliga-toria del processo penale rispetto ad altri processi, con l’effetto anche di scoraggiare la costituzione di parte civile (v. art. 75 c.p.p. e artt. 651, 652 e 654 c.p.p.). Il danneggiato non è più obbligato ad at-tendere l’esito del processo penale per ottenere il risarcimento del danno: valuterà caso per caso la convenienza di rivolgersi ad altro giudice. Tutta-via, la sospensione del giudizio di responsabilità si appalesa opportuna quando possa derivare utilità dall’individuazione dei fatti effettuata dal giudice, dal materiale probatorio e dalle affermazioni del giudice penale sugli elementi soggettivi del dolo e della colpa (C.d.c., giurisprudenza costante).Per quanto riguarda i rapporti tra giudizio penale e giudizio di responsabilità amministrativa, trova senz’altro applicazione in quest’ultimo giudizio l’art. 651 c.p.p. e pertanto ha efficacia di giudica-to nei confronti del condannato la sentenza penale irrevocabile di condanna quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, alla sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commes-so. Quindi è necessario accertare, nel giudizio di responsabilità amministrativa, che vi sia un nesso tra il danno erariale ed i fatti accertati nel giudizio penale (come, ad esempio, nell’ipotesi di «fatto cor-ruttivo» (C.d.c., Sez. riunite, n. 920/A, 17.11.1993).L’art. 17 del Codice di giustizia contabile stabilisce norme sulla competenza del giudice contabile e la soluzione delle questioni attinenti al conflitto di giurisdizione.È stato abrogato dal Codice l’art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97, secondo il quale “la sentenza ir-revocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti indicati all’art. 3 (dipendenti di ammini-strazioni o enti pubblici o di enti - e società - a pre-valente partecipazione pubblica) per il delitti contro

la pubblica amministrazione previsti nel capo I del ti-tolo II del libro secondo del codice penale è comunica-ta al competente procuratore regionale della Corte dei conti affinché promuova entro trenta giorni l’even-tuale procedimento di responsabilità per danno era-riale del confronti del condannato. Resta salvo quanto disposto dall’articolo 129 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271”.La sentenza penale emessa ai sensi dell’ex art. 444, secondo comma, c.p.p. intervenuta su accordo delle parti, come innanzi accennato, non esplica efficacia nei giudizi civili e amministrativi in quanto la stes-sa non ha natura di sentenza di condanna. Invero, la sentenza di condanna emessa in sede di patteg-giamento non può essere trasferita sic et simpliciter nel giudizio non penale, al fine dell’affermazione di responsabilità, che risulterebbe acritica e immoti-vata; tuttavia la stessa può essere acquisita e libera-mente valutata dal giudice contabile, come gli altri elementi probatori (C.d.c., giurisprudenza costan-te). La sentenza penale di assoluzione per non aver commesso il fatto, esclude la responsabilità ammini-strativa del convenuto, ove sia accertata l’identità dei fatti posti alla base nei due giudizi (C.d.c., Sez. II, 10.5.1993, n. 115). In particolare, la sentenza pena-le per non aver commesso il fatto, se pronunciata a seguito di dibattimento, ha effetto di giudicato nel giudizio contabile, nel senso che va esclusa la re-sponsabilità amministrativo-contabile dello stesso convenuto per i medesimi fatti (C.d.c., Sez. I centr., 25.1.2006, n. 23/A).Peraltro, dopo la novellazione dell’art. 445 c.p.p. da parte dell’art. 2, legge 97/2001, alla condanna appli-cata nel giudizio penale dal GIP sull’accordo delle parti va attribuito l’effetto di provare, nel proces-so contabile, l’illiceità dei fatti e la colpevolezza del presunto responsabile. Questo deve quindi dare le prove necessarie a discolparsi (C.d.c., Sez. I centr., 20.9.2004, n. 334/A).

14. Imputazione delle responsabilità di gestione

Salvo gli approfondimenti effettuati in seguito, si accenna fin da ora a taluni principi (tratti dalla giurisprudenza della C.d.c.) sull’imputazione di re-sponsabilità dei componenti degli organi collegiali.Nell’ambito dell’attività deliberativa dell’organo collegiale, la responsabilità per avere partecipato alla delibera è correlata agli effetti che dalla delibe-ra stessa sono derivati. Delle deliberazioni assunte rispondono tutti i membri dell’organo collegiale

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favorevoli alla delibera (litisconsorzio necessario). Ove al dissenso del membro non segua il suo voto contrario, ma solo l’astensione, non è esclusa la re-sponsabilità dello stesso.In generale, gli amministratori sono tenuti non solo a svolgere l’attività di gestione con l’osservanza delle disposizioni di legge, ma anche a impedire che altri indebitamente pongano in essere tale attività. Non si può però far carico agli amministratori per quella parte di danno che non discende dalla loro condot-ta, ma che è imputabile a deficienze amministrative dell’apparato burocratico o all’avvicendarsi conti-nuo di segretari comunali o all’intervento di com-missari «ad acta». Lo stesso discorso vale per tutti gli altri enti pubblici.Un organo collegiale non può tollerare l’inerzia di un organo individuale, ma deve adottare ogni ini-ziativa idonea a rimuovere l’impedimento: diversa-mente, i suoi membri rispondono dei danni deri-vanti all’ente dal mancato funzionamento. Inoltre, il sindaco (o, negli altri enti pubblici, il presidente) potrà rispondere dei danni per inattività dell’orga-no collegiale dovuti al mancato esercizio da parte dello stesso del dovere di convocazione e scelta delle questioni da trattare.Il principio di separazione delle responsabilità tra gli amministratori e i dirigenti è contenuto nel T.U. 18 agosto 2000, n. 267 (art. 107), e, per gli altri enti pubblici, in disposizioni similari, ed ha trova-to attuazione negli statuti e nei regolamenti. Detta separazione si realizza nell’attività «di indirizzo e di controllo» spettante agli eletti e nell’attività «di gestione amministrativa» spettante ai dirigenti. Compete ancora ai dirigenti l’adozione di atti con rilevanza esterna, la presidenza di commissioni di gara e di concorso, la responsabilità delle procedu-re di appalto, di concorso, la stipulazione di con-tratti, con le conseguenti responsabilità. I dirigenti (anche se assunti con contratto a tempo determi-nato) sono direttamente responsabili della tradu-zione in termini operativi degli obiettivi dell’Ente, della correttezza amministrativa e dell’efficienza della gestione.

15. L’accertamento in concreto del danno

Già da tempo la Corte Costituzionale (sent. 23.3.1983, n. 72) ha ritenuto che la responsabilità di cui agli artt. 252 e 253 del T.U. n. 383/1934 (ora abrogati), si identificasse nella normale responsa-bilità patrimoniale fondata sui requisiti del danno e dell’elemento psicologico e che «non si può con-

siderare che ogni spesa effettuata senza il rispetto delle norme prestabilite arreca, ipso iure, all’ente pubblico un nocumento patrimoniale pari all’im-porto delle stesse spese».La Corte dei conti, a sua volta, ha affermato che se il danno consiste nell’effettivo nocumento patrimo-niale, il giudice contabile deve «considerare l’im-porto della somma la cui erogazione è risultata utile all’ente pubblico, in modo che la condanna venga limitata soltanto alla differenza e quindi, in sostan-za, esclusivamente al nocumento patrimoniale ef-fettivamente subito dalla P.A.» (v. anche C.d.c., Sez. riunite, 19.4.1986, n. 471).La nozione di danno erariale comprende non solo ipotesi finanziarie (es. alterazione o turbativa dei bilanci) o patrimoniali (es. distruzione o danneg-giamento di beni demaniali), ma anche la lesione di interessi più generali, di natura pubblica, purché suscettibili di valutazione economica (C.d.c., giuri-sprudenza costante).Tale concezione del danno consente di ricondurre alla nozione di patrimonio pubblico non solo gli elementi finanziari o più direttamente patrimoniali, ma anche l’insieme di utilità suscettibili di apprez-zamento economico di cui fruisce la collettività. Negli squilibri finanziari è quindi insito il dissesto economico che grava sull’intera collettività e co-stituisce danno per la finanza pubblica ogni spesa che ecceda i limiti posti dalla legislazione statale in materia di finanza locale e di esso sono responsabili gli amministratori locali che colposamente non ab-biano osservato tali disposizioni.Si realizza, inoltre, danno al buon andamento della pubblica amministrazione, in quanto la responsa-bilità amministrativo-contabile dei funzionari e dipendenti pubblici va inquadrata tra i mezzi per assicurare tale buon andamento (art. 97 Cost.). Sot-to questo profilo è stata ritenuta regolare l’attività di indagine posta in essere dalla Procura sulla base di esposti anonimi, ai sensi dell’art. 74 del T.U. n. 1214/1934 che conferisce alla Procura stessa ampio ed informale potere di acquisire notizie di danno con tutti i mezzi. Ciò in quanto le notizie vengono vagliate nel loro fondamento attraverso mirate ini-ziative requirenti fondate su accertamenti diretti e richieste all’amministrazione (C.d.c., Sez. Sardegna, 26.3.1994, n. 137).Nella determinazione del danno erariale il giudice contabile, in applicazione degli artt. 1175, 1223 e ss. c.c., deve considerare che non possono far cari-co al debitore quelle conseguenze patrimoniali che non siano correlate al suo inadempimento, ma sia-

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no riferibili a situazioni di rischio comune, né può estendere la domanda di risarcimento proposta dal P.M. nei confronti di un soggetto di cui sia stata af-fermata la responsabilità, comprendendovi anche il danno addebitato ad altro soggetto dichiarato esen-te da responsabilità (C.d.c., Sez. app. Regione Sicilia, 21 maggio 2002, n. 93/A).

16. Le irregolarità di gestione e nella gestione dei residui

Elemento soggettivo per la colpevolezza è la viola-zione di norme di legge e l’inosservanza dei principi di normale diligenza e prudenza nel comportamen-to prescritto. La giurisprudenza non fa riferimento alle regole di gestione, ma fa coincidere la colpa con le violazioni tipiche indicate nelle norme sulla re-sponsabilità, in esse comprese anche le omissioni. Gli atti di gestione irregolari non necessariamen-te sono dannosi, ma l’esistenza dell’irregolarità nell’atto di gestione radica la competenza del giudi-ce contabile e la valutazione compiuta da questo ai fini della responsabilità degli amministratori riflette la colposa violazione degli obblighi riguardanti la funzione.Nella gestione dei residui conservati nel relativo conto, le irregolarità che riguardano le fasi dell’ac-certamento delle entrate o dell’impegno delle spese, possono determinare responsabilità. Il riaccerta-mento dei residui può comportare irregolarità di gestione propria di questa operazione, ovvero può evidenziare una irregolarità pregressa: l’elimina-zione di residui attivi può essere conseguenza di mancata vigilanza nella riscossione di entrate ov-vero dello stanziamento nelle previsioni di entrate puramente figurative. L’eliminazione di residui pas-sivi non comporta, in generale, responsabilità degli amministratori.L’irregolare dichiarazione d’inesigibilità, il non avere esercitato le azioni per il recupero di som-me costituenti residui attivi, la mancata revisione dei residui inesigibili ma conservati nelle scritture patrimoniali, danno luogo a possibile azione di re-sponsabilità per non avere curato la riscossione di entrate o per cattiva gestione del patrimonio.La Corte dei conti (Sez. Riun., decisione del 7.4.1992, n. 758/A) ha ritenuto che il quarto com-ma dell’art. 58 della legge n. 142/1990 (T.U., art. 93, c. 4) è norma attinente alla giurisdizione nei limiti in cui trasferisce alla Corte dei conti la competenza a conoscere della responsabilità degli amministra-tori e dipendenti degli enti locali già di spettanza

dell’A.G.O., con conseguente immediata applica-bilità ai giudizi in corso. La stessa previsione è da ritenere di diritto sostanziale e quindi irretroattiva nella parte in cui dà una diversa configurazione alla responsabilità dei predetti soggetti.Da rilevare, per inciso, che gli atti interruttivi della prescrizione hanno natura tipicamente recettizia. Quindi, ove fossero indirizzati ad un soggetto de-ceduto, non possono spiegare effetti interruttivi nei confronti di altri soggetti, pur se eredi del de cuius, anche se questi ultimi abbiano avuto conoscenza degli stessi. Non può comunque ravvisarsi respon-sabilità del funzionario quando questi non abbia dimostrato colpevole inerzia rispetto a pagamenti scaduti e ad interessi maturati in epoca precedente alla sua incardinazione nell’ufficio (C.d.c., Sez. II, 13.6.1994, n. 150).

17. Prescrizione dell’azione di responsabilità ed intra-smissibilità agli eredi

Il comma ultimo dell’art. 93 del Testo unico in-troduce rilevanti innovazioni nella materia, stabi-lendo che: a) l’azione di responsabilità si prescrive nel termine di cinque anni; b) tale termine decorre dalla commissione del fatto; c) la responsabilità nei confronti degli amministratori e dei dipenden-ti degli e. locali è personale e non si estende agli eredi.L’art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20 aveva previsto che gli eredi possono essere convenuti in giudizio solo nei casi in cui il dante causa si sia ar-ricchito ai danni dell’Erario nella presunzione che gli stessi si sono ingiustificatamente avvantaggiati ereditando una ricchezza che illecitamente è stata fatta propria dal loro dante causa e che sono tenuti perciò a restituire. Occorre, tuttavia, la prova che la locupletazione sia incontestabilmente avvenuta e a questo scopo non può applicarsi il principio dell’ac-cettazione pura e semplice o beneficiata dell’eredità (C.d.c., Sez. II, 10.3.1994, n. 71). Anche nel caso di accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario, l’erede resta legittimato passivamente nel processo contabile, se sussista un illecito arricchimento del dante causa e un conseguente arricchimento inde-bito dello stesso erede, atteso che il beneficio d’in-ventario limita soltanto la responsabilità, ma non la elimina in radice (C.d.c., Sez. I centrale, 19.12.2005, n. 413/A).Tale principio non è applicabile agli agenti conta-bili che, pur essendo consegnatari di beni pubblici e avendo maneggio di denaro, non sappiano di-

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mostrarne l’esito (C.d.c., Sez. giur. Reg. Puglia, n. 36/1993 e n. 20/1994). Il dies a quo del termine pre-scrizionale decorre da ogni evento giuridicamente rilevante che determini causalmente una spesa sen-za utilità o una mancata entrata (C.d.c., giurispru-denza costante).Ora, l’art.66 del Codice di giustizia contabile stabi-lisce che il termine quinquennale di prescrizione è interrotto dall’invito a dedurre di cui all’art. 67, c.8 dello stesso Codice, e dal formale atto di messa in mora ai sensi dell’art. 1219 e 2943 cod. civ., e l’inter-ruzione può avvenire una sola volta.

TITOLO IV

La responsabilità contabile

Cap. ILineamenti generali della responsabilità con-tabile

1. Fondamento dell’esigenza di rendere il conto da parte dell’agente contabile

Nell’ambito della responsabilità amministrativa as-sume singolare importanza la responsabilità degli agenti contabili dello Stato, degli enti pubblici e, in particolare, degli enti locali, dei quali, invero, assai poco si è fin qui occupata la dottrina. Il rendimento dei conti costituisce un istituto comune al diritto privato e al diritto pubblico, perché tanto nell’uno quanto nell’altro settore risponde all’identica esi-genza della gestione di cose altrui.Sotto il profilo sostanziale, il soggetto è posto in una situazione obbligatoria verso un altro soggetto, per il quale esso deve eseguire varie prestazioni, tutte informate all’identica causa, che è appunto la dimo-strazione della situazione prodotta dal fatto della gestione. L’obbligo del rendimento del conto non si connette ad un particolare obbligo di amministra-zione, ma al semplice fatto che si sia verificata una gestione, ed è diverso e indipendente dall’obbligo di rispondere delle attività cui l’amministrazione tenuta o il fatto compiuto. Già il compianto Chio-venda affermava che anche un amministratore che nulla deve e che forse è creditore dell’amministrato, deve a costui il conto dell’amministrazione. Appun-to per questo l’azione ha uno svolgimento tutto suo proprio e può essere promossa anche indipenden-temente da quella creditoria. A sua volta chi rende

il conto ha a proprio favore la mancanza assoluta di qualsiasi presunzione di debito: “ante rationes reddi-tas, neque debitor neque creditor”.Nel sistema italiano, l’avvertita esigenza di tutelare la finanza e i beni pubblici, ha condotto a rivestire una responsabilità fondamentalmente patrimonia-le, delle forme più rigorose in cui si attuano i pub-blici poteri. Colui che gestisce cose e valori pubblici assume quindi una particolare configurazione ed è sottoposto a una speciale forma di responsabilità detta «contabile», cui è tenuta una serie di agenti la cui elencazione è contenuta nell’art. 73 della legge di contabilità e nell’art. 187 del regolamento, oltre-ché nell’art. 58 della legge n. 142/1990 (T.U. art. 93).Possono definirsi agenti contabili «quelle persone fisiche o giuridiche, e queste ultime sia pubbliche sia private, che con qualsiasi titolo sono incaricate di riscuotere le entrate dello Stato e di versarne l’am-montare (agenti di riscossione), che ricevono dallo Stato somme di denaro per effettuare i pagamenti per conto dello Stato (agenti pagatori); che hanno comunque maneggio di pubblico danaro; che ab-biano in consegna oggetti o materie appartenenti allo Stato e di cui lo Stato stesso debba risponde-re (agenti consegnatari); ed infine tutti coloro che senza legale autorizzazione si ingeriscono nelle fun-zioni affidate agli agenti di cui sopra (contabili di fatto)». L’elemento essenziale per la individuazione della categoria dei contabili pubblici è costituito dal maneggio attuale ed effettivo di denari, valori o di materie di proprietà dello Stato o di un ente pubbli-co. Il termine «maneggio di denaro» non va inteso nella comune accezione letterale, ma in quello più lato di «disponibilità» che può consistere, nella de-tenzione del denaro, ad esempio per i fondi deposi-tati in banca.Tutti i contabili, per espressa previsione normativa, sono tenuti a scadenze fisse a rendere conto dei va-lori maneggiati e delle materie di proprietà dell’ente pubblico avute in consegna. Ciò devono fare con la presentazione alla Corte dei conti di apposito rendi-conto giudiziale, redatto secondo determinate for-malità, che non va confuso con il rendiconto ammi-nistrativo, che il contabile deve rendere all’autorità amministrativa da cui dipende.Nei confronti dei soggetti che incorrono in respon-sabilità amministrativa in senso stretto, l’onere di provare, oltre il danno, la colpa, nel giudizio di-nanzi al magistrato, incombe al titolare dell’azio-ne. Invece, nei confronti di coloro che incorrono in responsabilità contabile, il pubblico ministero si limita a far rilevare il danno o quanto meno la

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tradizione dei valori, e l’onere della prova circa la colpa è invertito, nel senso che spetta al convenuto contabile dimostrare la eventuale sussistenza della forza maggiore o del caso fortuito dirimente la sua responsabilità.Duplicità di funzione assume la rendicontazione, cioè sia di resa del conto da parte del tesoriere nei confronti dell’ente, sia di rendiconto da parte del-la Giunta nei confronti del Consiglio. Il rendiconto negli enti locali si compone, per la parte finanziaria, sia del conto del tesoriere nel quale sono evidenziate le operazioni di riscossione e di pagamento com-piute in esecuzione degli ordini dell’ente, sia del rendiconto della Giunta al Consiglio, nel quale vie-ne illustrata l’attività svolta e la gestione dei mezzi di bilancio. Nel rendiconto vi è una parte, denomi-nata “conto”, in cui viene esposta la consistenza del patrimonio dell’ente alla fine dell’esercizio. Secon-do gli artt. 227 e 239 del T.U. n. 267/2000, il ren-diconto, dopo essere stato sottoposto all’esame dei revisori, che concludono con una relazione, viene portato all’approvazione del Consiglio.Il giudizio di conto nei confronti del tesoriere s’in-staura mediante la presentazione del conto appro-vato direttamente alla Corte dei conti: adempimen-to, questo, che costituisce in giudizio il tesoriere medesimo. Se l’amministrazione non provvede ad effettuare tale deposito, il giudizio viene iniziato su istanza del Procuratore generale, sulla cui base la Sezione competente emana un decreto con il quale fissa un termine per la presentazione del conto. è, questo, il giudizio per resa di conto, derivazione di-retta del principio della obbligatorietà del giudizio di conto.In giurisprudenza si sostiene che l’art. 58 della leg-ge 142 (T.U., art. 93), nello stabilire che tenuto alla resa del conto è solo il tesoriere dell’Ente locale, ha escluso che d’ufficio possano essere convenuti gli amministratori in ordine alla responsabilità alla ge-stione del bilancio (C.d.c., Sez. I, 21 gennaio 1991, n. 32 e giur. costante).Il giudizio sul conto del tesoriere di Ente locale non è circoscritto alla mera dimostrazione contabile per il carico e l’effettivo discarico, ma va esteso alla rego-larità dei titoli di spesa, alle disposizioni in materia di residui e di imputazione della spesa, all’accerta-mento delle disponibilità di bilancio, avuto riguar-do ai vincoli prescritti a salvaguardia della finanza locale. Sebbene il giudizio sul consuntivo degli enti locali riguardi il conto del tesoriere, in caso di con-nessione dell’attività di questo con quella delibera-

tiva dell’ente locale, la Corte dei conti può estendere le valutazioni di propria competenza ai singoli fatti di gestione ed alle risultanze finali (Sez. I, 1994, n. 200).

2. Il maggior rigore della responsabilità contabile

Il rapporto contabile non si pone in derivazione dell’obbligo della resa del conto che incombe all’a-gente e della speciale giurisdizione sulla regolare esecuzione del rapporto stesso cui esso è sottoposto. È assiomatico che l’agente non diviene contabile perché rende il conto, ma è vero l’inverso: rende il conto solo il contabile, e la resa del conto accompa-gna l’esecuzione del rapporto. Il rapporto contabile, pur non essendo sinonimo di servizio, è un aspetto particolare di questo, in quanto è contenuto nel più ampio rapporto in cui l’agente è posto anche per l’esercizio della funzione contabile. Ma non è suf-ficiente identificare il rapporto contabile come una relazione di fiducia, in quanto il rapporto di fiducia è sempre alla base del rapporto del pubblico im-piego, e i doveri dei contabili riposano nella natura stessa del rapporto di servizio.La norma di cui all’art. 1768 cod. civ. permette di affermare che sempre la responsabilità inerente all’esercizio di un’attività professionale rientra nel tipo contrattuale, e quindi è ammissibile una diffe-renziazione di grado che consente di graduare con maggiore o minor rigore la colpa professionale, a seconda del grado di diligenza che si ritiene neces-sario per la prestazione. Dall’obbligo di presentare il rendiconto, a documentazione della propria gestio-ne, imposto al contabile, dottrina e giurisprudenza hanno preso le mosse per individuare la nozione e la disciplina della responsabilità contabile. Secondo il nuovo ordinamento, solo il conto del tesoriere, parificato dal Comune e non più il conto consun-tivo nel suo complesso, va presentato alla Corte dei conti.Il conto consuntivo, comprensivo anche del conto del patrimonio, deve essere presentato, dagli enti tenuti, alla Sezione autonomie locali della Corte dei conti ai fini dell’esame e del referto al Parla-mento. In analogia col regime statale, il tesoriere non è l’unico agente contabile tenuto alla pre-sentazione del conto ma, accanto ad esso, a tale adempimento soggiace chiunque abbia maneggio di danaro o gestione di beni. Inoltre, nei casi di responsabilità amministrativa, la Corte dei conti ha il potere di graduare la condanna in relazione all’intensità della colpa, mentre nei casi di respon-

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sabilità contabile, di massima, lo stesso giudice non dispone di poteri di graduazione. Peraltro tale principio è stato recentemente più volte derogato. Così, si è ammesso l’esercizio del potere riduttivo anche in relazione al concorso di colpa, sia pure applicato nel rapporto di pubblico impiego con gli adattamenti resi necessari dal carattere im-personale dell’organizzazione amministrativa che sospinge verso una rappresentazione oggettiva del danno, peraltro riscontrabile anche nelle recenti prospettazioni della responsabilità civile in termi-ni oggettivi di rischio.

3. Il danno nella responsabilità contabile

Le persone incaricate di gestire denaro o valori o che comunque si sono ingerite nel maneggio di de-naro, sono tenute alla resa del conto e non possono ottenere il discarico se non producono le scritture nelle forme di legge. Ove non forniscano idonee prove documentali, l’ente resta in credito delle som-me non giustificate: non sarebbe, infatti, possibile attribuire il discarico in quanto la regolarità delle scritture ha funzione legale di prova. La responsa-bilità contabile come, del resto, la responsabilità amministrativa generale, è soggetta a prescrizione quinquennale, salva la più complessa determinazio-ne del dies a quo per la decorrenza degli interessi. In tal senso appare innovativa la norma di cui al comma 4, art. 58 della legge n. 142/1990 (T.U. art. 93, c. 4).La giurisprudenza si è orientata nel senso di rite-nere imprescindibile il danno, dietro l’affermazione autorevole che «nell’ordinamento amministrati-vo contabile pubblico non è configurabile una re-sponsabilità cosiddetta formale e pertanto nessuna irregolarità può indurre ad affermazioni di colpe-volezza, ove non si sia verificato danno per l’ammi-nistrazione» (Giannini).Questa avvertita esigenza di pervenire all’effetti-va esistenza del danno patrimoniale è da ritenere un risultato del tutto positivo, in quanto alieno da rigorosi formalismi e fondato su una più realisti-ca visione del fenomeno. In sostanza il contabile, attesa la tipicità delle sue mansioni, deve rigoro-samente attenersi, nella redazione del rendicon-to, al rispetto di precise esigenze formali, mentre le eventuali violazioni saranno suscettibili di va-lutazione in sede amministrativa, sempre che sia dimostrata la sussistenza di una responsabilità amministrativa vera e propria. Solo l’effettività del danno può concretare quell’illecito civile che deve

essere dal giudice accertato perché sia affermata la responsabilità del contabile, cui incombe un’ob-bligazione di risarcimento, che è la tipica sanzione dell’illecito civile.Occorre, inoltre, che il danno sia imputabile all’a-gente contabile, perché possa affermarsi una sua responsabilità. Così, l’assoluzione penale esclude di per sé la sussistenza di un qualche danno contabi-le per lesioni alla reputazione e all’estimazione di un ente pubblico (C.d.c., Sez. I centrale, 8.7.2002, n. 221/A). La giurisprudenza ha ritenuto la respon-sabilità contabile del titolare di ufficio postale per omessa preparazione di un plico, ovvero dell’accol-latario del servizio di effetti postali. Solo quando la detenzione del bene è meramente strumentale ri-spetto alla sua utilizzazione da parte del medesimo soggetto, la responsabilità ha natura amministrati-va.La responsabilità contabile scaturisce non dall’ir-regolare od omessa tenuta delle scritture, ma dalla concreta mancata custodia del bene causa della perdita dello stesso. Ne deriva che, pur in assen-za di caso fortuito o di forza maggiore e di ido-nee scritture che dimostrino come quei beni siano stati amministrati, il furto perpetrato con artificio, in locali in cui era consentito l’accesso ad un rile-vante numero di persone non si configura come colpa grave (C.d.c., Sez. giur.le Emilia-Romagna 28.5.2002, n. 1618). Tuttavia, il consegnatario con-tabile che abbia omesso di custodire con le dovute cautele le chiavi del magazzino, risponde, a tito-lo di colpa grave, del furto verificatosi, sia pure senza effrazione, ad opera di ignoti (C.d.c., Sez. I, 8.7.2002, n. 223/A).Riveste il ruolo di agente contabile (come tale sot-toposto alla giurisdizione della Corte dei conti) il privato estraneo alla P.A. che, in virtù di un atto concessorio, sia destinatario della funzione pubbli-ca di gestione e maneggio di danaro di pertinenza erariale (es. società concessionaria di contributi per la gestione di corsi di formazione professionale. In tal senso, C.d.c., Sez. Puglia, 9.11.1995, n. 134). I di-pendenti del contabile di diritto rivestono la qua-lifica di agenti fiduciari e non di contabili di fatto, per cui essi non rispondono del loro operato che è, invece, addebitabile al contabile di diritto (C.d.c., Sez. I centr., 2.8.1999, n. 244/A).Vi è la tendenza giurisprudenziale a concepire il po-tere del giudice di ridurre l’addebito come espres-sione di un’istanza altamente equitativa, implicante la parziale rinuncia - attraverso una decisione della Corte - da parte dello Stato o dell’ente pubblico a

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un suo credito concettualmente non applicabile, di massima, nei confronti dell’agente contabile che, avendo assunto danaro o materie, esattamente di tali beni deve ottenere il discarico. Inoltre, fermo restando che il contabile di diritto risponde, in linea di principio, degli illeciti dei propri subordinati, che rivestono la qualità di fiduciari, si è ravvisata una situazione esimente di forza maggiore quando detto contabile di diritto sia stato gravato da una serie di compiti estranei alla sua funzione essenziale e quin-di posto nell’impossibilità di controllare adeguata-mente l’operato dei fiduciari (C.d.c., Sez. I centrale, 5.11.2002, n. 385/A).Si riportano alcuni principi giurisprudenziali ela-borati dalla Corte dei conti (e citati dalla Sez. giur. Veneto n. 6/2017 del 17.1.2017) con riferimento ai giudizi di conto resi da economi operanti presso pubbliche amministrazioni:

- l’economo è personalmente responsabile del-le somme ricevute in anticipazione e, nel conto reso annualmente, deve dimostrare la regolarità dei pagamenti eseguiti in stretta correlazione agli scopi per i quali sono state disposte le anticipa-zioni;

- l’economo è obbligato ad utilizzare il fondo eco-nomato per le sole spese tassativamente previste nel relativo regolamento e non può distrarlo per ese-guire spese non espressamente previste nel regola-mento;

- in disparte ogni valutazione in ordine all’utilità diretta delle spese effettuate per l’ente, va affermata l’irregolarità di spese economali allorquando esse non siano previste nel regolamento di contabilità e/o economale e non siano riconducibili a finalità istituzionali dell’ente;

- il controllo e la verifica della regolarità delle spese costituisce un obbligo del responsabile del servi-zio finanziario ed è propedeutico al discarico delle somme pagate, con reintegrazione del fondo econo-male;

- vi può essere responsabilità concorrente dell’eco-nomo che ha effettuato spese non previste o supe-riori al limite massimo stabilito nel regolamento e del responsabile del servizio finanziario che non le abbia segnalate a seguito dell’esame in sede di ren-dicontazione e di parificazione; responsabilità, pre-valentemente di natura sussidiaria;

- tale responsabilità, infine, potrebbe estendersi al revisore dell’ente che omettesse il controllo del con-to o il rilievo, anche consapevolmente, celandone la

veridicità o la regolarità (argomentando sulla scorta dei referenti normativi contenuti nel comb. disp. degli artt. 240 TUEL, 328 e 357 cod. pen. in giuri-sprudenza, cfr. sentenza n. 554 del 21.10.2010 Sez. Giur. Calabria);

- il fondo economale non può essere utilizzato per aggirare le disposizioni di contabilità in tema di assunzione di impegno ricorrendo, semmai, all’ar-tificiosa parcellizzazione delle spese, dettate, in via generale, dalla normativa comunitaria e nazionale in tema di procedure contrattuali;

- il fondo economale deve essere determinato an-nualmente in sede di approvazione del documento generale di bilancio dell’ente, quale espressione de-gli Organi collegiali deliberativi dell’indirizzo poli-tico dell’ente (consiglio e giunta comunali).

4. Il giudizio contabile

Il recente codice di giustizia contabile disciplina agli artt. 137 - 150 il giudizio sui conti.I conti giudiziali e i relativi atti e documenti sono trasmessi alla Corte mediante tecnologie dell’infor-mazione e della comunicazione (art. 137). Gli agen-ti che vi sono tenuti entro l’ordinario termine di 60 giorni o alla cessazione della gestione presentano il conto giudiziale all’amministrazione di apparte-nenza, il quale identifica un responsabile del pro-cedimento che, entro 30 giorno dall’approvazione, lo deposita, insieme con la relazione degli organi di controllo interno, alla sezione giurisdizionale com-petente per territorio.Il conto, munito dell’attestazione di parifica, è de-positato presso la segreteria della Sezione della Corte competente o anche inviato con modalità te-lematiche. Il deposito del conto costituisce l’agente in giudizio (art.140, c. 3).Il P.M. è tenuto a promuovere il giudizio in alcu-ni casi particolari quali la cessazione dell’agente contabile dal proprio ufficio senza aver presentato il conto della gestione, l’accertamento di deficien-ze da parte dell’amministrazione (art. 141, c. 1). Il giudice monocratico decide con decreto motivato in camera di consiglio entro 30 giorni dal deposi-to del ricorso; in caso di accoglimento, assegna al contabile un termine di almeno 30 giorni per il de-posito del conto (comma 2). Decorso inutilmente il termine per il deposito del conto, il giudice dispone la compilazione dello stesso a spese del contabile e determina la sanzione pecuniaria a carico di questo, non superiore alla metà degli emolumenti a lui do-

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vuti in relazione al periodo cui il conto si riferisce (comma 6).Avverso il decreto del giudice monocratico si può proporre ricorso al collegio nel termine fissato per il deposito del conto. Tale deposito sospende l’esecu-zione del decreto. Il presidente, entro 10 giorni dal deposito del ricorso, fissa l’udienza di discussione. Il procedimento si conclude entro il termine di 40 giorni dal deposito del ricorso (art. 142). Il giudizio è definito con sentenza inappellabile e immediata-mente esecutiva (art. 144).Il giudizio sul conto prevede l’assegnazione ad un giudice relatore, il quale, accertata la parificazione da parte dell’amministrazione, procede all’esame del conto e conclude o per il discarico del contabile (in caso di pareggio) o di condanna al pagamento di una somma a carico del contabile (art. 145). In caso di conto in pareggio o comunque sia dichiarato regolare, il giudice deposita la relazione e propone il discarico del contabile. Il presidente, ove non abbia obiezioni, trasmette la relazione al P.M. che esprime il proprio avviso nel termine di 30 giorni. Ove non vi siano obiezioni, il presidente approva il conto con decreto di discarico (art. 146).Ove non possa provvedersi a norma dell’art. 146, entro 30 giorni dal deposito della relazione il presi-dente fissa l’udienza per la discussione del giudizio, assegnando un termine per il deposito di memorie e per le conclusioni del P.M. Il decreto di fissazione dell’udienza - salvi i casi contemplati dall’art. 147, c. 3 - a cura della segreteria è comunicato all’agente contabile per il tramite della sua amministrazione.Segue l’udienza di discussione nei modi di cui all’art. 91 del Codice; l’agente può chiedere di essere sentito personalmente dal collegio ed il P.M. espri-me il proprio avviso. Ove sussista anche la responsa-bilità di soggetti non tenuti a presentare il conto, si riunisce il giudizio sul conto con quello di respon-sabilità (art. 148, c. 5).Ove il collegio non ravvisi la regolarità del conto, liquida il debito dell’agente; in ipotesi di accertati ammanchi o perdite, il collegio pronuncia con-danna alla restituzione delle somme mancanti e all’alienazione della cauzione prestata dall’agente (art. 149), Il giudizio del conto si estingue trascorsi cinque anni dal deposito del conto presso la segre-teria della sezione senza che sia stata presentata la relazione prevista dall’art. 145, c. 4 o senza che sia-no state elevate contestazioni a carico del contabile (art. 150).

Cap. IIGiudizio penale e giudizio contabile

1. Giudizio penale e giudizio contabile

Il giudizio di responsabilità dinanzi alla Corte dei conti è stato definito “un processo penale che si svol-ge nelle forme del processo civile”, in ragione delle evidenti affinità tra le due azioni pubbliche e alle evidenti difficoltà di restringere negli angusti con-fini degli strumenti processuali civili nell’attività di indagine e di formazione della prova nel giudizio contabile. Senza dubbio, un ricorso in via analogi-ca - se fosse consentito - agli strumenti processuali penali o almeno ad alcuni di essi, costituirebbe una rilevante apertura sulla quale occorre porre ogni attenzione al dialogo e alla collaborazione investi-gativa tra P.M. penale e P.M. contabile, allo stato pressoché inesistenti.Le cause delle aree di criticità possono suddivider-si in tre categorie: sostanziali, processuali e conse-guenti al venir meno della pregiudiziale penale. Le corrispondenze significative incidono sotto vari profili nei rapporti fra le due giurisdizioni creando notevoli criticità in assenza di una disciplina nor-mativa adeguata.

a) Sostanziali

Le ragioni sostanziali di criticità sono riconducibili alle fortissime analogie concettuali e di contenuto tra l’illecito penale e illecito contabile, in particolare alla luce della legge n. 20 del 1994 e ss.mm.Non vi è un rischio di confusione tra le due figu-re, distinte nella sostanza e nella forma, ma vi sono aree significative di sovrapposizione delle rispettive fattispecie quando i fatti materiali su cui si basano sono identici.In particolare, la tipologia dei reati di evento contro la pubblica amministrazione offre elementi struttu-rali quasi del tutto omogenei a quelli tipici dell’il-lecito contabile: status soggettivo dell’agente, con-dotta, evento, nesso causale tra condotta ed evento, elemento soggettivo (dolo per i reati contro la P.A., dolo o colpa grave per l’illecito contabile).

b) Processuali

Esistono delle omogeneità tra azione penale e azio-ne contabile, entrambe intestate significativamente alla figura del P.M., definito dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti (sent. 14/2000 del 20.12.2000) “soggetto terzo agente nell’interesse dello Stato, tito-lare dell’azione, ma non del diritto sostanziale fatto valere in giudizio”.

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Entrambe le azioni sono precedute da una fase d’in-dagine da parte del P.M., disciplinata nei termini e negli strumenti, finalizzata alle determinazioni ine-renti all’esercizio dell’azione penale o contabile.Esiste infatti unitarietà di attribuzioni tra i due P.M., al punto che il P.M. contabile non può costituirsi parte civile ed è rappresentato nel processo penale dal P.M. penale in ordine al danno subito dalla P.A. parte offesa del reato (C.d.c.,Sez. Riunite, 4.2.1992, n. 774).

c) Venir meno della pregiudiziale penale

La contemporanea pendenza del giudizio penale e di quello contabile, quando entrambi hanno ad og-getto lo stesso “fatto materiale” generatore della re-sponsabilità penale e di quella contabile, determina, nella realtà, una interdipendenza tra i due giudizi, pur se è venuta meno la pregiudiziale penale ai sensi dell’art. 75 c.p.p.È certamente venuta meno la sospensione neces-saria, come costantemente rilevato dalla Corte dei conti, la quale è sempre sollecita nel respingere ogni richiesta di sospensione per pendenza di procedi-mento penale sugli stessi fatti, da un lato per il ve-nir meno della pregiudiziale penale, dall’altro per le caratteristiche di autonomia e specificità dell’azio-ne contabile rispetto a quella penale. Continuano a sussistere, invece, le ragioni di opportunità che possono in determinati casi consigliare una so-spensione facoltativa, non espressamente prevista, ma neppure preclusa dalle norme procedimentali e praticata non infrequentemente dalla Corte dei conti.

2. Le più importanti aree di criticità

Non mancano zone di criticità che connotano i momenti più rilevanti delle due giurisdizioni e che possono sintetizzarsi come di seguito illustrato.

2.1. Canali di informazione della notitia criminis e della notitia damni

È noto, e non vi è discussione sui soggetti tenuti all’informativa, tra i quali rientrano anche il P.M. penale rispetto a quello contabile in base all’art. 129 att. c.p.p. e agli artt. 6 e 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97; nonché il P.M. contabile come la stessa Corte dei conti, in forza dell’art. 36 c.p. (omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale).In merito al citato art. 129 att. c.p.p., occorre sot-tolineare l’obbligo di informativa al P.M. contabile di reati che abbiano cagionato un danno all’erario,

sia esso di natura patrimoniale, che di danno all’im-magine (oggetto di più limitata considerazione oggi per effetto della più recente normativa).Poiché l’obbligo è correlato all’esercizio dell’azio-ne penale, e tale esercizio coincide con la richie-sta di rinvio a giudizio o atto equiparato, il P.M. penale non sarebbe tenuto ad informare il PM contabile durante tutto il periodo delle indagini preliminari.Orbene, da un lato sarebbe irrazionale una tale estraneità dei due P.M. durante una fase estrema-mente importante, quale quella di acquisizione delle prove, dall’altro, già la semplice notitia crimi-nis nascente dalle prime indagini sul reato anco-ra generico di danno erariale potrebbe avere una grande rilevanza per un tempestivo avvio delle in-dagini propedeutiche all’azione contabile la quale è ristretta entro limiti prescrizionali piuttosto an-gusti.

2.2. Indagini preliminari penali e indagine ante pro-cesso contabile

Nell’ordinamento processuale penale, nell’ottica della speditezza, economia ed efficacia delle indagi-ni, l’art. 371 disciplina i rapporti tra i diversi uffici del P.M. attraverso il concetto di indagini collegate e gli strumenti di coordinamento dei rispettivi ti-tolari, che si traducono nello scambio di atti e di informazioni, nella comunicazione delle direttive impartite alla polizia giudiziaria, nella possibilità di procedere congiuntamente al compimento di deter-minati atti d’indagine.Si tratta di un coordinamento ampiamente uti-lizzato nel processo penale per indagini tra loro omogenee, ma che investe un campo più vasto che potrebbe riguardare i rapporti tra indagini del P.M. contabile e del P.M. penale, quando le due separate istruttorie attengano ai medesimi fatti generatori della duplice responsabilità, penale e contabile.Le norme in materia, prima citate, riguardano do-veri di comunicazione da entrambe le parti che po-stulerebbero un più puntuale adempimento, ma che non riguardano il coordinamento imposto, nel caso di collegamento tra inchieste penali e contabili, dal-le esigenze di speditezza ed economia delle indagini e dalla natura stessa dell’azione contabile, rispetto all’azione pubblica penale. Si noti che si è parlato, al riguardo, di processo penale che si svolge nelle for-me del processo civile.Vi è quindi un principio di unitarietà dell’ufficio del P.M. come titolare delle due azioni pubbliche, come

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è stato sottolineato anche dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti (sent. 5.2.1992, n. 774).La sfasatura temporale, per effetto della legge n. 97 del 2001, secondo cui il P.M. contabile dovrebbe aprire la propria indagine dopo la chiusura dell’in-dagine penale si evidenzia nel caso di comunicazio-ne delle sentenze penali di condanna.Non è mancato chi ha suggerito di anticipare i tempi della comunicazione. E tuttavia, su questo terreno si pongono notevoli problemi applicativi in quanto l’esigenza di anticipare la collaborazione si scontra con il grosso ostacolo rappresentato dal segreto delle indagini penali. Nel pubblico interesse, comunque, va avviato un dialogo costruttivo tra i due P.M., nascente dalla consapevolezza dell’unicità delle funzioni, omogenee sia sotto il profilo sogget-tivo (carattere pubblico delle due azioni), sia sotto quello oggettivo, nell’ottica dell’efficacia e della spe-ditezza delle rispettive indagini.È auspicabile un rinvio alle norme processuali pe-nali - che allo stato non è previsto - con tutte le cautele del caso, al pari del rinvio di cui all’art. 26 del predetto regolamento. Invero, un ricorso all’art. 371 c.p.p. da parte di entrambi i P.M., penale e contabile potrebbe rappresentare uno strumento di coordinamento e di collaborazione investigativa attraverso lo scambio di atti e di informazioni e l’utilizzazione delle rispettive risultanze e i diversi canali di azione sinergica consentita dalla norma richiamata.Non risolve il problema il recente Codice di giusti-zia contabile che pure assegna ampio rilievo ai com-piti del P.M. contabile. Al riguardo, è stata abrogata la previsione di cui all’art. 17, comma 30-ter del D.L. n. 78/2010, non è stata inserita una disciplina esplicita degli anonimi, essendo gli stessi ricondu-cibili all’espressione “notizia di danno comunque acquisita”purché dotata di concretezza e specificità. Ciò, in armonia con le “Linee guida in materia di tutela del dipendente pubblico che segnala illeci-ti (c.d. whistlerblower)” contenute nella determina dell’ENAC n. 25 del 28 aprile 2015.Resta fermo quanto previsto dall’art. 129 disp. Att. Cod. proc. pen che, nella disciplina delle Informa-zioni sull’azione penale al c. 3 prevede espressamente l’obbligo di informativa da parte del P.M. penale a quello contabile, ove il fatto reato abbia cagionato anche danno all’erario.Diverso è il regime delle garanzie con riferimento al diritto di difesa: si pensi alla disciplina del giusto processo e al dibattito circa la sua applicabilità al rito contabile. Si noti che diritto di difesa e giusto

processo hanno la massima estensione proprio nel processo penale e nelle indagini preliminari penali, mentre l’inchiesta penale conserva tutti i caratteri del rito inquisitorio.Ne deriva che prove e fonti di prova acquisite con gli strumenti processuali penali non sono censura-bili in caso di utilizzazione nel processo contabile, mentre il percorso inverso nell’ottica di una colla-borazione investigativa potrebbe presentare qual-che problema.Si tratta quindi di superare l’estraneità tra le due inchieste e tra i due titolari delle stesse nella con-sapevolezza dell’unitarietà delle funzioni del P.M, e l’avvio del dialogo tra i due organismi investigativi, pur nel rispetto delle peculiarità, dell’autonomia e delle opzioni strategiche delle due inchieste.

2.3. I diversi tempi di svolgimento dei due giudizi

Con la caduta della pregiudiziale penale si è stabilita la piena autonomia del giudizio contabile rispetto a quello penale, anche se in molti casi vi sono ragioni importanti che suggeriscono una sospensione facol-tativa. E tali ragioni vanno valutate non in astratto, in relazione alla mera pendenza del giudizio penale, ma in concreto con riferimento alle particolarità del fatto generatore del danno erariale, alla fase di svi-luppo dei due procedimenti, alla struttura probato-ria, ai diversi termini prescrizionali.Si tratta di una valutazione complessa, rimessa all’apprezzamento del giudice contabile e comun-que necessaria a prevenire la contraddittorietà dei giudicati, con tutte le conseguenze di una sentenza contabile in conflitto con una sentenza penale irre-vocabile.È d’altra parte pacifico che possono trovare libero ingresso nel processo contabile tutte le prove legitti-mamente acquisite nel procedimento penale essen-do esse rilevanti al fine delle decisioni del giudice contabile e previa assicurazione del contraddittorio tra le parti sulle prove stesse.

3. Interazione del giudizio penale su quello contabile

La sentenza penale di assoluzione per non aver commesso il fatto, esclude la responsabilità ammi-nistrativa del convenuto, ove sia accertata l’identità dei fatti posti alla base nei due giudizi (C.d.c., Sez. II, 10.5.1993, n. 115). In particolare, la sentenza pe-nale per non aver commesso il fatto, se pronunciata a seguito di dibattimento, ha effetto di giudicato nel giudizio contabile, nel senso che va esclusa la re-

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sponsabilità amministrativo-contabile dello stesso convenuto per i medesimi fatti (C.d.c., Sez. I centr., 25.1.2006, n. 23/A).Affinché il giudicato penale di assoluzione deter-mini la preclusione dell’azione di responsabilità amministrativa, occorre non solo la perfetta coin-cidenza tra il fatto materiale sottoposto al vaglio del giudice penale e quello valutabile dal giudice contabile, ma anche l’accertata insussistenza di ogni censura comportamentale. Così, è stato rite-nuto che l’assoluzione dal reato di abuso d’ufficio non impedisse il sindacato del giudice contabile circa il comportamento per il quale il pubblico dipendente era stato assolto, per una violazione gravemente colposa di norme procedurali inter-ne all’amministrazione (C.d.c., Sez. Lazio, sent. 20.9.2011, n. 1354).Peraltro, dopo la novellazione dell’art. 445 c.p.p. da parte dell’art. 2, legge 97/2001, alla condanna appli-cata nel giudizio penale dal GIP sull’accordo delle parti va attribuito l’effetto di provare, nel proces-so contabile, l’illiceità dei fatti e la colpevolezza del presunto responsabile che deve quindi dare le prove necessarie a discolparsi (C.d.c., I centr., 20.9.2004, n. 334/A).Si realizza, inoltre, danno al buon andamento della pubblica amministrazione, in quanto la responsa-bilità amministrativo-contabile dei funzionari e dipendenti pubblici va inquadrata tra i mezzi per assicurare tale buon andamento (art. 97 Cost.). Il D.L. n. 78/2009 e ss.mm. ha anche stabilito che le Procure della Corte dei conti esercitano l’azione di responsabilità per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e nei modi pre-visti dall’art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97 (passaggio in giudicato della pronuncia penale e limitazione delle fattispecie a quelle individuate nel codice penale).Da rilevare che l’art. 1-sexies della legge n. 20/1994, introdotto dall’art. 1, c. 62, legge n. 190/2012, il qua-le prevede che il danno all’immagine si presume, salvo prova contraria, pari al doppio della somma di danaro o del valore patrimoniale o di altra uti-lità conseguita dal dipendente, è norma sostanziale e quindi non può trovare applicazione per i dan-ni erariali realizzatisi prima dell’entrata in vigore di quest’ultima legge. Nei casi di concussione, ove l’amministrazione abbia rimosso il dipendente dal-le sue funzioni entro pochi giorni dalla notizia del reato, il danno all’immagine si considera limitato e circoscritto; pertanto va quantificato equitativa-mente nelle metà della somma illecitamente perce-

pita dal dipendente (C.d.C., Sez. giur. Sardegna, 2 settembre 2014, n. 173).In virtù di detto articolo, la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti pubblici per i delitti contro la P.A. previsti dal capo I, libro II cod. pen. è comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti, perché promuova entro i successivi 30 giorni l’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale.Ai sensi dell’art. 129, c. 3 D.Lgs. n. 27/1989, quando esercita l’azione penale per un reato che ha cagio-nato danno all’erario, il P.M. è tenuto ad informare il competente procuratore regionale della Corte dei conti, dando notizia dell’imputazione. La sanzione di nullità prevista dall’art. 17, c. 30-ter del D.L. n. 78/2009, conv. dalla legge n. 102/2009 presuppone il compimento da parte del p.m. contabile di atti istruttori o processuali in violazione di norme del-lo stesso comma 30-ter. Detta nuova disciplina non trova applicazione ove sia intervenuta sentenza di primo grado alla data di entrata in vigore della legge di conversione n. 102/2009.Dovrebbe spettare al giudice dell’esecuzione, indi-viduato ai sensi dell’art. 665 c.p.p., l’invio al P.M. presso il giudice contabile delle sentenze penali di condanna, di cui agli artt. 6, comma 2, e 7 della legge n. 97 del 2001. Ciò in conformità con quanto sta-bilito dal Ministero della Giustizia - Dipartimento per gli affari di giustizia (Direzione generale della giustizia penale), con la circolare n. 027.001.04.69 del 26110/2006.Comunque, nei casi previsti dal suddetto art. 6, comma 2, della legge n. 97 del 2001, è sempre op-portuno l’invio di copia delle sentenze di condanna anche al competente Procuratore regionale presso il giudice contabile.Inoltre l’art. 129, c. 3 delle disposizioni di coordi-namento e transitorie al c.p.p. dispone: “Quando esercita l’azione penale per un reato che ha cagionato un danno per l’erario, il pubblico ministero informa il procuratore generale presso la Corte dei conti, dando notizia dell’imputazione”.Vanno poi menzionate alcune norme che prescri-vono una informativa alle Procure della Corte dei conti. Così l’art. 5 della legge n. 89/2001 prevede che il decreto di accoglimento della domanda di equa riparazione venga comunicato, tra l’altro, al P.G. della Corte dei conti. Del pari, l’art. 6, c. 2, legge n. 97/2001 prevede che nel caso di condan-na per delitti di cui al capo I, Titolo II del II libro del codice penale commessi a fini patrimoniali, la sentenza sia trasmessa al P.G. della Corte dei

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conti, il quale procederà ad accertamenti patri-moniali a carico del condannato. Il successivo art. 7, legge n. 97/2001 stabilisce che la sentenza irrevocabile di condanna a carico di dipendenti pubblici per delitti contro la p.a. va comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti perché promuova entro 30 giorni l’e-ventuale giudizio di responsabilità nei confronti del condannato.L’azione di risarcimento dei danni esercitata dalla P.A. dinanzi alla giurisdizione ordinaria non impe-disce la contemporanea del P.M. contabile. Solo con il sopravvenire di una sentenza civile definitiva o di altro titolo parimenti satisfattivo della pretesa risar-citoria erariale, viene meno l’interesse ad agire del P.M. contabile. In caso di duplicità di titoli, la com-pensazione in sede esecutiva evita la duplicazione dei risarcimenti.Il carattere concorrente delle due azioni è stato inoltre affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 272 del 13 luglio 2007. Ciò, men-tre l’esclusività della giurisdizione contabile è sta-ta affermata con riferimento all’azione di rivalsa esercitata nei confronti di un pubblico dipendente in seguito a condanna della p.a. in sede civile, ai sensi dell’art. 22 del T.U. n. 3/1957 (Cass. ss.uu., 4.12.2001, n. 15288).In tali casi il concorso con la giurisdizione civile è escluso, attesa la peculiarità del regime sostanzia-le cui soggiace l’azione di rivalsa nei confronti del pubblico dipendente o dell’amministrazione, che è un regime diverso da quello civilistico. In sostanza, il regime stesso della responsabilità del dipendente nel caso all’esame esclude l’azione civilistica di re-gresso e quella in via di surrogazione reale ai sensi dell’art. 1203, n. 3 c.c.Il termine di prescrizione per l’esercizio, da parte del P.M. presso la Corte dei conti, dell’azione per il ristoro del danno erariale a seguito di comporta-mento delittuoso di un dipendente pubblico inizia a decorrere dall’accertamento, mediante sentenza penale irrevocabile di condanna, della condotta il-lecita dell’agente.Grande rilevanza assumono, infine, le disposizio-ni contenute nella legge 6 novembre 2012, n. 190 (“Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica ammi-nistrazione”) che impone ad ogni amministrazione pubblica, comprese Regioni, province e comuni a effettuare l’analisi e la valutazione dei rischi specifici di corruzione e a indicare gli interventi organizzati-vi volti a prevenirli. La Presidenza del Consiglio dei

Ministri - Dipartimento della funzione pubblica ha più recentemente emanato il Piano Nazionale Anti-corruzione, al quale devono attenersi tutte le ammi-nistrazioni pubbliche.A tale legge si affianca il d.P.R. 16 aprile 2013, n. 70 che detta norme sul “Riordino del sistema di reclu-tamento e formazione dei dipendenti pubblici e delle scuole di formazione”.

TITOLO V

Il giudizio di responsabilità avanti alla Corte dei conti

Cap. IOrientamenti giurisprudenziali sulla respon-sabilità degli amministratori e dei tesorieri degli enti locali

1. Responsabilità degli Amministratori locali: con-cetto e tipologia

È, ora, da esaminare come la responsabilità ammini-strativa degli amministratori comunali e provinciali si collochi nel quadro del regime delle responsabi-lità giuridiche che, diversamente da quella politica, si fonda sulla violazione di norme giuridiche, quale soggezione agli effetti reattivi dell’ordinamento, per l’inadempimento di un dovere coercibile (T.U., art. 93, c. 1). Se al rapporto di servizio e alle pubbliche funzioni l’evento dannoso si riconnette, non si trat-ta di responsabilità civile, ma di responsabilità am-ministrativa, che è responsabilità, non di carattere penale, del Sindaco, Assessore, Consigliere comuna-le, Presidente della Provincia, Assessore e Consiglie-re provinciale, rispettivamente verso il Comune o la Provincia per azioni od omissioni compiute nell’e-sercizio delle loro funzioni, in violazione di obblighi relativi al particolare status di amministratori degli Enti pubblici.Essa si distingue in «responsabilità amministrativa disciplinare» e «responsabilità amministrativa pa-trimoniale».La prima, indipendentemente dal danno patri-moniale, comporta sanzioni disciplinari afflittive, erogate dall’Autorità amministrativa nell’esercizio della potestà a questa spettante per lo speciale sta-tus di supremazia insito nel rapporto di servizio, e ricorre, nonostante la mancanza di un vero e

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proprio vincolo di gerarchia, anche nei confronti del Sindaco, Presidente della Provincia, Assessore, Consigliere.Hanno carattere di sanzione disciplinare taluni provvedimenti come la sospensione del Sindaco disposta con decreto del Presidente della Repubbli-ca per gravi motivi di ordine pubblico e per reite-rata violazione degli obblighi di legge, l’inibizione all’esercizio delle funzioni di Ufficiale di governo. Sanzioni disciplinari sono anche costituite dalla de-cadenza di Assessori e di Consiglieri per mancato intervento alle sedute, lo scioglimento del Consiglio disposto con decreto del Presidente della Repubbli-ca per gravi motivi di ordine pubblico o persistente violazione di obblighi di legge, o per i reati previsti dalla legge n. 646/1982 (T.U., art. 142).La responsabilità amministrativa patrimoniale si ha quando dall’illecito comportamento degli ammini-stratori od impiegati sia derivato un danno all’Ente, che comporta l’obbligo del risarcimento. Pur fon-dandosi sui secolari principi elaborati dalla dottrina privatistica, non può identificarsi con quella civile (ossia con quella verso i terzi), trattandosi di una responsabilità, di diritto pubblico, regolata ex jure singulari, mentre la responsabilità civile è responsa-bilità di diritto privato ex jure communi. Nel sistema giuscontabilistico, non solo italiano, ma di tutti gli Stati europei, l’esigenza di tutela della finanza e dei beni pubblici ha portato a rivestire un’Amministra-zione tipicamente patrimoniale dalle particolari ga-ranzie cui è condizionato il pubblico potere. Ne de-riva che chi gestisce le cose pubbliche, riscuotendo entrate ed erogando spese, è soggetto al particolare rapporto per l’esercizio della funzione contabile (T.U., art. 93, c. 2).A ciò si aggiunge la responsabilità inerente alle funzioni proprie di gestione dell’Amministratore, allorché questi operi come ordinatore di spese, in relazione alla rigorosa tutela dell’equilibrio del bi-lancio ed agli effetti finanziari di vari provvedimenti amministrativi il cui procedimento di formazione e di esecuzione è disciplinato tassativamente dalla legge e dal regolamento.

2. L’aggravamento di misure nella responsabilità contabile

È regola generale che il denaro del Comune e della Provincia o di qualunque altro ente pubblico deve essere maneggiato esclusivamente dal tesoriere o esattore, che assume, perciò, la figura del contabile

di diritto ed è assoggettato a responsabilità contabi-le. Soltanto il tesoriere, infatti, effettua il pagamento dei mandati che devono essergli trasmessi in doppio esemplare, uno dei quali egli deve restituire al Co-mune o alla Provincia, provvedendo ad estinguerli nei limiti del fondo stanziato in bilancio e delle va-riazioni apportate al bilancio nel corso dell’eserci-zio, dopo aver accertato che i mandati stessi siano muniti delle firme richieste e corredati dalle indica-zioni riferibili alle prescritte deliberazioni. Proprio per questo, è il tesoriere che deve rendere il conto della gestione di cassa nel termine di due mesi dalla chiusura dell’esercizio.Il Sindaco, il Presidente della Provincia, l’Assessore e il Consigliere non devono avere maneggio di de-naro, e non assumono mai la figura del contabile di diritto, ed ove uno di loro, non legittimato, s’in-gerisse nel maneggio effettivo del denaro dell’Ente, assumerebbe la figura di contabile di fatto, e sarebbe tenuto alla resa del conto ed assoggettato alla giuri-sdizione del magistrato contabile.Gli amministratori che s’ingeriscono nel maneggio sono soggetti, per questo solo fatto, a giudizio di conto. Esso consiste nell’accertare, attraverso l’esa-me dei movimenti quantitativi, tutti i movimenti giuridicamente influenti ai fini della legalità ed esattezza del carico, dello scarico e del risultato della gestione. Vi è il giudizio di responsabilità contabile, avanti alla Corte dei conti, anche fuori dell’esame del conto, tutte le volte che, pur non essendo sta-to dedotto in giudizio alcun rendiconto, venga loro imputata la perdita di denaro o valori di cui aveva-no il maneggio.

3. L’“actio de in rem verso” da parte degli Ammini-stratori

Punto di notevole importanza è quello che si rife-risce all’azione di utile versione attiva e passiva da parte degli amministratori. Ritiene, infatti, tutta la dottrina che se gli atti dannosi compiuti dagli am-ministratori sono valutabili con criteri di diritto privato e si riferiscono ad interessi pubblici o pa-trimoniali, è applicabile l’azione innanzi segnalata. La giurisprudenza ritiene poi che un privato pos-sa esperire tale azione solo se l’amministrazione dichiari il suo «utile versum» goduto e cioè che la gestione sia stata effettivamente, e non solo inizial-mente, fruttuosa. Dovrebbe quindi sempre esservi, a seguito dell’illecito formale, un procedimento ex officio ed una pronuncia del magistrato ammi-nistrativo. Peraltro, in pratica, tale principio deve

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tener conto degli effetti della ratifica, da parte del Consiglio comunale, degli eventuali provvedimen-ti adottati dal Sindaco e dalla Giunta pur priva di legittimazione, nonché delle spese fatte in ecceden-za al bilancio. A rigore, non dovrebbe ammettersi alcuna ratifica di atti intrinsecamente invalidi né, ad esercizio chiuso, la convalida di atti di gestione viziati nell’elemento obiettivo. Tale convalida, in-fatti, si risolverebbe in un facile espediente per gli amministratori che dispongono di maggioranza consiliare per eludere la responsabilità derivante dal comportamento illecito.L’arricchimento - o meglio l’utilità - non può essere misurato sulla base del criterio civilistico dell’au-mento del patrimonio dell’Ente. Il patrimonio è infatti costituito per soddisfare pubblici bisogni e l’utilità della spesa non si realizza soltanto con la creazione o l’incremento di beni (com’è nel caso della costruzione di un immobile o nell’acquisto di mobili assunti in carico nelle scritture dell’Ente), ma anche con servizi resi alla collettività (come nel caso della distribuzione di medicinali che scongiu-rino un’epidemia). Quindi la valutazione dell’utili-tà, ardua in quanto correlata a tutto il sistema della gestione in concreto ed ai vantaggi derivati dall’ac-quisizione di nuovi beni e di nuovi servizi, deve es-sere fatta, in sede amministrativa, solo dalle autorità amministrative con l’approvazione dell’organo di controllo, rimanendo vincolato il giudice ordinario a tale apprezzamento, allorché sia chiamato a deci-dere sull’utile versione.

4. Connotazioni particolari della responsabilità amministrativa generale

4.1. Il dolo e la colpa grave

La responsabilità amministrativa generale in senso stretto è quella nella quale incorrono gli ammini-stratori e i dipendenti dei Comuni, delle Province e dei relativi Consorzi i quali, nell’esercizio delle loro funzioni, con dolo o colpa grave, arrechino danno a contenuto patrimoniale, cioè con diminuzione di patrimonio, ai predetti enti.La normativa che disciplina la responsabilità am-ministrativa generica degli amministratori comu-nali e provinciali prima contenuta negli artt. 261 e 265 della legge comunale e provinciale 1934 (ai sensi dell’art. 261, gli amministratori provinciali e comunali erano tenuti a rispondere dei danni deri-vati da loro azioni od omissioni imputabili a dolo o colpa grave, sempre che tale colpa sia stata la causa

efficiente e decisiva del danno subito dall’ente), con il rinvio disposto dall’art. 58 della legge 142/1990 (T.U. n. 267/2000, art. 93), è ora quella vigente per gli impiegati civili dello Stato, già richiamati.L’estremo del dolo o della colpa grave costituisce sempre uno degli elementi necessari per aversi l’a-zionabilità dinanzi al giudice ordinario per respon-sabilità jure comuni degli amministratori degli enti locali. Ma si tratta di responsabilità diversa da quella attribuita alla cognizione del giudice contabile.In particolare, la colpa grave si concreta in una si-tuazione di macroscopica contraddizione tra il comportamento tenuto nella specifica circostanza dal pubblico dipendente e il minimum di diligen-za imposto dal rapporto di servizio, in relazione alle mansioni, agli obblighi e ai doveri di servizio (C.d.c., Sez. I centrale, 4 agosto 1999, n. 246/A).Pertanto, sussiste danno erariale nell’ipotesi in cui un Comune, avendo omesso di trasformare in via definitiva un’occupazione provvisoria di suolo pri-vato, sia stato condannato dal giudice civile a ri-sarcire il proprietario di detto suolo (nella specie è stato ritenuto che, ove fosse stata completata la pro-cedura espropriativa, il prezzo pagato al proprieta-rio sarebbe stato ancorato al momento dell’occupa-zione del suolo e non avrebbe subito alcun aggravio finanziario per pagamento di indennizzo da oc-cupazione illegittima per il periodo intercorrente dall’anno di scadenza dell’occupazione provvisoria fino al momento della pronuncia del giudice (C.d.c., giurisprudenza costante: vedasi, fra le altre Sez. II centrale, 12 novembre 2002, n. 340/A. Dal 1° gen-naio 2003 è comunque vigente il T.U. sulle espro-priazioni - D.Lgs. n. 327/2001, integrato dal D.Lgs. n. 302/2002 - v. apposita Parte in questa Guida). La Corte dei conti ha giurisdizione nei confronti degli amministratori comunali per i danni derivati dalla mancata attivazione delle procedure necessarie alla regolarizzazione dell’occupazione abusiva degli al-loggi (C.d.c., Sez. II, n. 231 del 29.9.1989).Le indennità aggiuntive a quella dovuta al pro-prietario di aree agricole espropriate devono fare riferimento comunque al valore agricolo medio. Invece, il corrispettivo per la cessione volonta-ria delle aree non edificabili va determinato con le modalità vigenti per i calcolo delle indennità espropriative e non utilizzando il valore agricolo medio (C.d.c., Sez. contr. Friuli-Venezia Giulia, parere 22.3.2012).

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4.2. La divisibilità del danno

L’aver ricondotto il sistema di responsabilità degli amministratori e dipendenti degli enti locali a quel-lo proprio dei dipendenti statali comporta il supe-ramento del principio di cui all’art. 261 dell’abro-gata legge 3 marzo 1934, n. 383, della responsabilità solidale di quanti, amministratori o dipendenti, ab-biano recato danno. Oggi vige il principio della di-visibilità del danno di cui all’art. 82, comma 2, della legge di contabilità generale dello Stato, in base al quale «quando l’azione od omissione è dovuta al fatto di più impiegati, ciascuno risponde per la par-te che vi ha preso» (peraltro, sul punto, si vedano le considerazioni espresse dalla sentenza della Corte costituzionale n. 453/1998, citata nella premessa). Sul punto la legge n. 20/1994, art 1-quater dispo-ne: “Se il fatto dannoso è causato da più persone, la Corte dei conti, valutate le singole responsabilità, condanna ciascuno per la parte che vi ha preso”.Vige, tuttavia, il principio secondo cui la divisibilità del danno, determinante ai fini dell’individuazio-ne della responsabilità dei singoli concorrenti, non esclude che, in sede di realizzazione del credito da parte dell’amministrazione, a favore della stessa sia riconosciuto il vincolo di solidarietà per il paga-mento della somma da ciascuno dovuta. Ma oltre a tale tipo di responsabilità amministrativa generi-ca, ne esiste una più «specifica» che incombe agli stessi soggetti nell’esercizio di un’attività gestoria, e che è assimilabile alla responsabilità contabile. Le ipotesi più rilevanti sono quella per danni derivanti dall’aver gli amministratori proceduto ad acquisti, vendite o appalti senza l’osservanza di disposizioni di legge o quella per aver trascurato l’applicazione o la riscossione di tributi o di entrate regolarmente deliberate (C.d.c., I, 1997, n. 110/A).Da rilevare che ove l’ente danneggiato si costitu-isca come parte civile nel giudizio penale, viene a interrompersi il corso della prescrizione dell’azione di responsabilità amministrativa, che resta sospesa fino alla definizione del processo penale (C.d.c., Sez. Riunite, 25.11.2004, 8/QM).

4.3. Ordinazione di spese non autorizzate o non ri-tualmente deliberate o eccedenti i limiti di legge

I vari tipi di responsabilità patrimoniale hanno come loro comune denominatore l’esistenza di un danno economico subito dall’Amministrazione. In generale, l’amministratore comunale che ordina una spesa non deliberata né stanziata in bilancio

risponde del danno causato, che non è determinato dall’acquisto di materiale realmente impiegato per le finalità dell’ente pubblico, bensì dalle spese ag-giuntive ricadute sull’ente stesso per il ritardo nel pagamento della prestazione, determinato dall’as-senza della relativa deliberazione di impegno. Pe-raltro, di massima, l’irregolare ordinazione di una spesa non configura di per sé un danno illegittimo alle finanze dell’ente locale, in quanto si dovrà di-mostrare l’inutilità della stessa e la sua estraneità ai fini istituzionali dell’ente o quanto meno l’insussi-stenza di un interesse pubblico alla erogazione di-sposta (ad es. spesa disposta dal sindaco in carenza di potere, ma poi sanata dal consiglio comunale - C.d.c., Sez. Riunite, 1.3.1999).Essendo i bilanci comunali e provinciali informati al canone del pareggio, non possono gli ammini-stratori, sovrapponendo le proprie scelte a quelle assunte dagli organi deliberanti, indirizzare l’at-tività di gestione secondo linee diverse dal trac-ciato prestabilito. Ne deriva che, quando gli am-ministratori ordinano o impegnano spese non previste in bilancio o non ritualmente deliberate, la relativa spesa, pur se in astratto riferibile a fini istituzionali, resta in concreto estranea all’ente, in quanto non rientrante nel quadro delle scelte pri-oritarie operate dagli organi competenti a delibe-rare in materia. Quando, però, la spesa determini un effetto positivo sul patrimonio dell’ente, ciò fa sorgere una pretesa dell’amministratore idonea ad annullare o modificare le conseguenze primarie dell’irregolarità.Peraltro, integra un’ipotesi di responsabilità per danno riguardante la gestione patrimoniale dell’en-te locale, il comportamento del Sindaco che si con-cretizza nell’emanazione di deliberazioni invalide, nella mancata ottemperanza a determinazioni degli organi di controllo e nella mancata esecuzione di decisioni di organi giurisdizionali. Al riguardo, si è ravvisata la responsabilità del sindaco di un co-mune siciliano per il danno indiretto alla P.A. come conseguenza della condanna del comune stesso in un giudizio civile, attivato da un dipendente ri-mosso ingiustamente da una funzione istituzionale (comandante del corpo della polizia municipale), precedentemente assegnata dallo stesso sindaco (il quale è stato anche condannato penalmente per abuso d’ufficio) (C.d.C., Sez. giur. Reg. siciliana, n. 61 del 13.2.2012).

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4.4. Danno all’erario in occasione di lavori pubblici

La giurisprudenza della Corte dei conti considera con particolare attenzione il c.d. «danno finanzia-rio». Così, l’affidamento di lavori pubblici senza il rispetto delle regole ed in assenza dei fondi, provoca un’alterazione nell’equilibrio economico-finanzia-rio del Comune. Ne deriva, quindi, la responsabilità di colui che ha ordinato la spesa per il pagamento di interessi alla ditta, mentre l’esigenza improcra-stinabile di assicurare una fornitura ad un Ente, che non sarebbe stato possibile soddisfare seguendo le ordinarie procedure contrattuali, esclude la respon-sabilità di colui che ha richiesto la fornitura, anche per gli oneri aggiuntivi sopportati dall’Ente locale.È sempre responsabile in via amministrativa degli aggravi di spesa sostenuti dall’ente locale chi abbia autorizzato l’esecuzione di maggiori lavori, estra-nei al progetto, che l’amministrazione non abbia approvato, neppure in via di ratifica. Peraltro, ove vi siano carenze della progettazione esecutiva di un’opera pubblica che alterino significativamente il quadro economico previsto dall’amministrazione committente, sussiste responsabilità del progettista e direttore dei lavori che abbia indebitamente au-torizzato lavori non previsti nel progetto (C.d.c., giurispr. costante).Con la sentenza n. 62 del 3 maggio 2017, la Sezione ha contestato, ad un direttore dei lavori, il danno patrimoniale diretto subito dall’amministrazione committente consistente nel pagamento, da par-te di quest’ultima, di acconti di opere e materiali in eccesso rispetto a quelli effettivamente forniti dall’impresa in esecuzione di un appalto a corpo. La Sezione ha in proposito affermato che il direttore dei lavori, ex art. 194 del d.P.R. n. 207/2010, deve procedere correttamente alle valutazioni di sua competenza, sicché i SAL, che costituiscono acconti corrisposti all’impresa, devono essere commisura-ti alla quantità e qualità delle opere effettivamente eseguite. Peraltro - ha precisato la Sezione - ai sensi dell’art. 183 del medesimo d.P.R., ogni misurazio-ne effettuata dal direttore dei lavori, qualunque sia il metodo adottato, deve corrispondere allo scopo di determinare nella maniera più precisa possibile il lavoro o la prestazione fornita, al fine di consen-tire il rispetto del principio di corrispondenza tra quanto eseguito e quanto liquidato in esecuzione del contratto di appalto.La Corte dei conti (Sez. giur. Sardegna, sent. 9 ot-tobre 2014) ha ritenuto necessario l’espletamento di una gara per l’affidamento della progettazione di

una variante urbanistica, non essendo assimilabile all’affidamento di servizi legali.Dal pari, il direttore dei lavori risponde del danno costituito dal costo di un’opera eseguita in diffor-mità dal progetto ed inidonea all’interesse pubblico che era destinata a perseguire, ove vi sia stata iner-zia circa la promozione della necessaria perizia di variante idonea a ricondurre l’opera nei limiti pro-gettuali o a far determinare l’organo deliberativo in modo diverso in ordine all’esecuzione dell’opera pubblica (C.d.c., giurisprudenza costante). Lo stes-so direttore dei lavori è responsabile del ritardo con il quale abbia provveduto all’emissione di certifica-ti di pagamento o di regolare esecuzione dei lavori determinando danno erariale per interessi morato-ri (C.d.c., Sez. II, 27.1.1994, n. 40; Regione Sicilia 10.11.1993, n. 111/ Resp.).Per tutta tale problematica creatasi dopo l’entrata in vigore del nuovo Codice sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, occorre tener conto del-le relative prescrizioni in un ambito valutativo da operarsi a stregua delle regole di trasparenza, effi-cacia, efficienza, rispondenza allo scopo, non senza considerare, tuttavia, che per aversi responsabilità occorre comunque il verificarsi di un danno patri-monialmente valutabile e della sussistenza di dolo o colpa grave a carico del presunto responsabile. Così, se è cagionata da arbitraria revoca di una legittima aggiudicazione di opera pubblica, la risoluzione con risarcimento dei danni subita dall’incolpevo-le appaltatore a seguito dell’eccessivo ritardo della consegna dei lavori va imputata agli amministra-tori della stazione appaltante che, quindi, devono rispondere verso l’ente a titolo di responsabilità amministrativa indiretta (C.d.c., Sez. I centrale, 19.6.2002, n. 203/A).Il direttore dei lavori che resti inerte dinanzi a gravi ritardi di esecuzione imputabili all’appaltatore di un’opera pubblica comunale, senza replicare nep-pure di fronte alle riserve dello stesso, e non abbia una contabilità regolare e tempestiva, risponde a titolo di responsabilità indiretta per colpa grave dei danni civili corrisposti dall’ente locale verso la ditta appaltatrice, oltre che dei costi del procedi-mento arbitrale (C.d.c., Sez. II centrale, 20.6.2002, n. 199/A). Non è invece da considerare apprezzabi-le un qualche ingiusto danno in pregiudizio della stazione appaltante quando un’opera pubblica, non utilizzabile a causa della sospensione sine die dei re-lativi lavori sia sottoposta, ad iniziativa dell’ente ap-paltante, ad interventi di adattamento e sia succes-

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sivamente messa al servizio della collettività (C.d.c., Sez. II centrale, 1.10.2002, n. 310/A).

4.4.1. Problemi e responsabilità in tema di opere pubbliche

Con specifico riferimento alla vigente disciplina sui lavori pubblici, va ricordato che la programmazio-ne è strettamente legata alla progettazione, anche se per anni si è fatto ricorso alla c.d. «programmazione rovesciata», per cui l’esecuzione delle opere veniva decisa sulla base degli stanziamenti al momento di-sponibili, e non viceversa.Occorre infatti tener conto della realtà della cd. “programmazione rovesciata”, per cui la genera-lità delle amministrazioni - salvi i casi di calamità naturali e di interventi emergenziali - prima deter-minano le risorse per gli investimenti e poi, su tale parametro economico, individuano le opere da re-alizzare.Altro possibile elemento di criticità, dal quale potreb-bero derivare responsabilità, è costituito dalle spese per le attività preliminari, di cui all’art. 22, c. 11 del Codice dei contratti. Le spese per le attività prelimi-nari (comprese le indagini geologiche e geognosti-che, ecc.) e le spese per le progettazioni di fattibilità e definitive possono “gravare sui bilanci delle stazio-ni appaltanti”, ma al contempo, preliminarmente al progetto di fattibilità, non si può programmare l’in-vestimento (e quindi non si può acquisire il relativo finanziamento) e tali oneri potrebbero essere finan-ziati solo dalle stazioni appaltanti con proprie risorse ordinarie. Ciò a maggior ragione quando la stazio-ne appaltante decida di far ricorso a professionalità esterne per la progettazione, i cui consistenti oneri devono essere allocati in bilancio in un momento preliminare all’effettuazione delle procedure per l’in-dividuazione dei progettisti medesimi.In questo contesto si osserva che il comma 4 dell’art. 23 del Codice dei contratti pone sulla stazione ap-paltante l’onere di indicare caratteristiche e requisi-ti degli elaborati progettuali, in quanto l’esperienza insegna che il rischio di vedersi addossare la respon-sabilità penale e contabile per aver adottato un al-leggerimento degli approfondimenti e degli oneri previsti o aver saltato un livello minore, induce i re-sponsabili a scegliere sempre e comunque il livello più elevato possibile.

4.4.2. Fatto dannoso connesso a deficienze amministrative dell’ente e a stato di necessità

Tra i casi meritevoli di particolare menzione, c’è quello riguardante il fatto dannoso connesso a de-

ficienze amministrative dell’ente. Nell’ipotesi ora segnalata, ove il fatto dannoso non sia riconduci-bile al comportamento colposo degli amministra-tori stessi, il principio desumibile dall’art. 1227 c.c. (in base al quale, nella valutazione del danno da risarcire, occorre aver riguardo al concorso di col-pa del danneggiato nella produzione dell’evento) trova applicazione nei confronti degli amministra-tori di enti locali quali il Sindaco e i componenti della giunta.Il danno erariale è costituito non solo dalle somme di pertinenza di un ente pubblico incassate e non regolarmente versate nelle casse dell’ente, ma an-che dalle somme che l’ente stesso aveva il diritto di riscuotere e non ha riscosso per il comportamento colpevolmente omissivo, in violazione dei doveri di ufficio dei funzionari responsabili.Di massima non può ravvisarsi una responsabilità del funzionario il quale non abbia mostrato col-pevole inerzia rispetto ad un pagamento scaduto e ad interessi maturati in epoca precedente alla sua incardinazione all’ufficio. In presenza di particola-ri situazioni di emergenza, quali la carenza di per-sonale idoneo al servizio di N.U., lo stato precario dell’igiene pubblica, ecc., non si è ritenuto che co-stituisse danno all’Erario l’affidamento in appalto a privati del servizio di nettezza urbana, sempre che esso sia avvenuto con procedure trasparenti e im-parziali. Ciò, in quanto la situazione di estremo de-grado igienico di un comune con grave pregiudizio della salute pubblica integra un’ipotesi di necessità ed urgenza che legittima - ove non addebitabile ad inerzia degli amministratori - l’affidamento a pri-vati di interventi immediati igienico-sanitari, pur senza il preventivo esperimento di gara.Di regola, non è ammessa alcuna sanzione di dan-no per violazione di regole procedimentali. Per-tanto, in ipotesi di assunzione di personale stagio-nale, se non è provata l’inutilità delle prestazioni relative, gli amministratori non devono risponde-re della relativa spesa, specie ove la pianta organica dell’ente locale preveda un ridotto numero di per-sonale d’ordine (C.d.c., Sez. I, 30.1.1996, n. 2/A).Viceversa, configura danno erariale fare assunzioni al di fuori della dotazione organica, ove non sus-sistano eccezionali sopravvenute esigenze (C.d.c., Reg. Calabria, 6.2.1996, n. 1). Inoltre, nell’ipotesi di nuova internalizzazione di servizi precedente-mente svolti da una società totalmente partecipata da un comune, questo non può procedere all’as-sunzione di personale già in servizio nella società partecipata. Ciò sia per il carattere inderogabile

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dei limiti imposti dalla legge statale alla spesa del personale degli enti locali, sia perché risulterebbe violato il principio costituzionale dell’accesso ai pubblici impieghi mediante pubblico concorso (C.d.c., Sez. contr. Regione Lazio, 20 ottobre 2011, n. 67).È stato considerato ipotesi di danno erariale l’er-roneo inquadramento di un dipendente comunale privo del titolo di studio della laurea (ma in posses-so del diploma di ottico) a capo di gabinetto di un sindaco (C.d.c., Sez. giur. Emilia Romagna, sent. 18 novembre 2014).Del pari, un’indiscriminata erogazione del pre-mio di produttività a tutti i dipendenti di un ente pubblico senza predisposizione di parametri di va-lutazione delle prestazioni lavorative degli stessi o di obiettivi di lavoro determina una violazione di legge tale da evidenziare una colpa grave dell’orga-no deliberante (C.d.c., Sez. I centrale, 13.11.2002, n. 399/A; Sez. II, 1.9.2004, 280/A). Nello svolgimento di rapporti contrattuali di durata (ad es., rapporti di locazione), la perdita di chances per la manca-ta rinegoziazione di un canone più favorevole per l’ente pubblico è ravvisabile sulla base delle clausole contrattualmente stabilite e il decorso della prescri-zione avviene nel momento in cui scade il termi-ne di disdetta contrattuale (C.d.c., Sez. I centrale, 30.12.2005, n. 420/A).

4.4.3. Pagamento di interessi moratori

All’attualità il D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, in at-tuazione della direttiva 2000/35/CE, come modi-ficato dal D.Lgs. n. 192/2012 e n. 161/2014, circa i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, ed in attuazione della legge di delega n. 180/2011, si applica alle pubbliche amministrazioni (art. 2, c. 1, lett. b), e quindi anche ai comuni.La più recente giurisprudenza (v., da ultimo, Corte dei conti, Sez. giur.le Lazio, sent. n. 4 del 10.1.2017), ha affermato, infatti, che: «nei rapporti commer-ciali di fatto, come ritenuti ammissibili dallo stesso legislatore, alla controprestazione del debitore da corrispondere in denaro, possa applicarsi il princi-pio generale della debenza degli interessi moratori di cui agli artt. 1206 e 1219 c.c. Costituisce, infatti, principio giuridico di portata generale che trova re-golamentazione in tutti i rapporti obbligatori quel-lo che, laddove la prestazione da rendere consista nella dazione di una somma di denaro e non sia sta-to fissato un termine per l’adempimento, lo stesso è determinato con rinvio agli usi e comunque la pre-

stazione deve essere resa al domicilio del creditore senza bisogno di alcuna intimazione per iscritto.Il debitore incorre nella specifica responsabilità se non prova che il ritardo sia dovuto a causa a lui non imputabile.Identici principi sono codificati nella norma con-tenuta nell’art. 4 comma 2 del decreto legislativo n. 231/2002 per i rapporti contrattuali stipulati per iscritto, laddove anche in mancanza di specifica pattuizione contrattuale, gli interessi moratori de-corrono automaticamente senza necessità di costi-tuzione in mora alla scadenza del termine legale di 30 giorni decorrenti dalla ricezione della fattura o della prestazione del servizio».Va ricordato che la Direttiva comunitaria 2000/35/CE del 29 giugno 2000 è intervenuta sanzionando «l’eccessivo ritardo nell’adempimento dell’obbligazione pecuniaria nelle transazioni commerciali impone, alle imprese, specie se di piccola o media dimensione, pe-santi oneri amministrativi e finanziari, determinando contrazioni di posti di lavoro e problemi di solvibilità». Infatti, «nella maggior parte degli Stati membri, i ritar-di di pagamento costituiscono, di fatto, per i debitori, una violazione contrattuale finanziariamente attraen-te, in ragione dei bassi livelli dei tassi degli interessi di mora e, nondimeno, della lentezza delle procedure di recupero». I rimedi proposti sono incentrati nel forte contenuto dissuasivo del ritardato pagamento, per cui è stato assegnato agli Stati membri, per confor-marsi, il termine dell’8 agosto 2002.La disciplina che al riguardo è stata introdotta con il D.Lgs. n. 192/2012 pone alcune regole chiare e, per quanto riguarda in particolare i rapporti con le pub-bliche amministrazioni, fortemente innovative, an-che dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 161/2014, secondo cui qualsiasi ritardo nell’adempimento, a partire dal momento stabilito con norma primaria o secondaria, dà luogo, secondo i principi civilisti-ci, al diritto del creditore di ottenere interessi nella misura legale. E ciò in virtù del principio, dal 2013 ritenuto operante anche nei confronti delle pubbli-che amministrazioni, secondo il quale “i debiti pe-cuniari sono, di per sé e per chiunque, fruttiferi”; nel senso che il credito che l’amministrazione è tenuta a soddisfare ad una data scadenza, pure in difetto di domanda, è produttivo di interessi dalla stessa scadenza, anche se manchi l’impegno e l’ordinazio-ne della spesa, e vi siano contestazioni sull’an e sul quantum.Ciò precisato per gli interessi corrispettivi, il ritar-do colpevole della P.A. nell’adempiere le proprie obbligazioni pecuniarie produce in capo ad essa,

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quale debitore, l’obbligo non solo di corrispondere interessi (c.d. moratori) nella misura legale, salve diverse misure ove stabilite, e indipendentemente dalla prova del creditore di aver sofferto un danno (art. 1224, c. 1, cod. civ.), ma anche il risarcimento del maggior danno eventualmente subìto dal creditore (art. 1224, c. 2, cod. civ.).Le novità del D.Lgs. n. 231/2002, consistono non soltanto nell’avere posto una disciplina che, in ge-nerale, agevola la possibilità, per il creditore, di otte-nere la prestazione pecuniaria dovuta, ma nell’avere anche equiparato in toto le pubbliche Amministra-zioni ai privati.Infatti, detto decreto, dopo avere stabilito, all’art. 3, che “il creditore ha diritto alla corresponsione degli interessi moratori, ai sensi degli articoli 4 e 5, salvo che il debitore dimostri che il ritardo nel pagamento del prezzo è stato determinato dall’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabi-le”, dispone inequivocabilmente, all’art. 4, commi 1 e 2, non soltanto che “gli interessi decorrono, auto-maticamente, dal giorno successivo alla scadenza del termine per il pagamento” (cioè il termine stabilito in contratto), ma anche che ciò avviene “automa-ticamente, senza che sia necessaria la costituzione in mora”.In mancanza di apposita previsione contrattuale, il termine, alla scadenza del quale gli interessi co-minciano a decorrere, è fissato in trenta giorni, e decorre “dalla data di ricevimento della fattura da parte del debitore o di una richiesta di pagamento di contenuto equivalente”. Nelle transazioni commer-ciali nelle quali debitore è la P.A. le parti possono pattuire in relazione alla natura dell’oggetto del contratto, purché in modo espresso e per iscritto, un termine di pagamento superiore a 30 giorni, ma non superiore a 60 giorni.Il tasso legale degli interessi di mora è previsto dal-la legge ed è pari alla misura del saggio di interesse stabilito dalla Banca Centrale Europea maggiorato di 8 punti percentuali.Va ricordato che il D.Lgs. n. 192/2012 si applica ai contratti stipulati a partire dal 1° gennaio 2013 e che altra regola peculiare è quella relativa alla possibi-lità, riconosciuta a favore dello Stato, ma non del privato, di operare compensazioni tra propri crediti e debiti.Poiché il D.Lgs. 9 novembre 2012, n. 192, ha di-sposto per le nuove norme l’inizio di applicazione per ogni tipo di transazione tra P.A. e privati, dal 1° gennaio 2013, ne deriva ratione temporis, che pri-ma di quella data non può dirsi esistente un siffatto

vincolo temporale, anche se sussistevano principi di correttezza, lealtà, trasparenza, buona fede, concen-trazione e speditezza, quali regole di comportamen-to e di buon andamento valide per ogni P.A.

4.5. Se gli interessi moratori concretino debiti fuori bilancio

In relazione al quesito se detti interessi, ove dovuti, debbano essere identificati quali debiti fuori bilan-cio, si osserva quanto segue.Gli interessi moratori maturati a seguito del ritar-dato pagamento di fatture per contratti stipulati dagli enti locali con ditte esterne non costituiscono debito fuori bilancio secondo la Corte dei Conti (v. Sez. reg. controllo Puglia, delib. n. 149 del 23 luglio 2015).Le Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti in molteplici occasioni (cfr. ex multis, Sez. reg. controllo per la Sardegna, deliberazione n. 118/PAR/2011, Sez. reg. controllo per il Piemonte, deli-berazione n. 354/PAR/2013, Sez. reg. controllo per la Regione siciliana n. 55/2014) hanno espresso l’av-viso che debito fuori bilancio sia ogni debito che non risulti preventivamente previsto nel bilancio dell’ente e, quindi, impegnato, su quel bilancio, nelle forme di legge, in coincidenza con l’assunzione di un’obbliga-zione giuridicamente perfezionata.Inoltre, sia il chiaro disposto normativo di cui all’art. 194 del TUEL, sia la costante interpretazione della stessa giurisprudenza contabile consentono di affermare il carattere tassativo della predetta elen-cazione, e da questa vanno comunque esclusi gli interessi delle obbligazioni di cui è debitrice la P.A.In ogni caso, secondo la Corte, l’obbligazione di pagamento degli interessi moratori non può confi-gurare un’ipotesi di debito fuori bilancio, in quanto la non riconoscibilità del debito è riconducibile al difetto del requisito dell’utilità e dell’arricchimento nei confronti dell’ente stesso.In generale, l’assenza di un regolare impegno di spe-sa comporta che il pagamento della medesima sia preceduto dal riconoscimento del debito fuori bi-lancio nei termini indicati dall’art. 194, c. 1, lett. e), del TUEL, sempre che ne ricorrano tutti i presup-posti. Può procedersi al riconoscimento del debito solamente nei limiti nei quali il bene o il servizio acquisito rientrino “nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza” e ven-ga accertata, con delibera motivata, sia l’utilità del bene o del servizio che l’arricchimento che l’attività ha comportato per l’ente (art. 194, c. 1, lett. e).

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È noto che ogni volta che l’ente abbia seguito una procedura irregolare può attuare una sorta di rego-larizzazione a posteriori che, però, non opera auto-maticamente, in quanto viene demandata al Consi-glio dell’ente la valutazione discrezionale in ordine alla sussistenza, in concreto, dei presupposti previsti dalla norma e solo in caso positivo potrà procedersi all’effettivo riconoscimento. In mancanza del requi-sito dell’utilità (art. 194, c. 1, lett. e del TUEL), il co-mune non può riconoscere spontaneamente alcun debito né, tantomeno, quello per interessi che per sua stessa natura non produce affatto utilità all’ente.Peraltro, non è pensabile che il comune, in presenza di un’obbligazione di interessi di mora per ritardato pagamento debba sostenere un contenzioso giudi-ziale, al fine di poter fare rientrare il debito nella fattispecie di cui alla lettera a) del citato comma 1 dell’art. 194 TUEL e subire le ulteriori conseguen-ze negative della condanna alle spese del giudizio (Corte dei conti, Puglia, delibera n. 149 del 23 luglio 2015).

4.6. Danno all’immagine per i delitti contro la PA (sez. riun. in sede giurisdizionale, sent. n. 8/2015)

La Corte costituzionale nella sentenza n. 350 del 2010, e in successive ordinanze, aveva stabilito che l’art. 17, comma 30-ter, del D.L. 1° luglio 2009, n. 78, andava inteso nel senso che le Procure della Corte dei conti possono esercitare l’azione per il risarcimento del danno all’immagine solo per i delitti di cui al Capo I del Titolo II del libro se-condo del codice penale, in quanto tale principio costituiva una scelta non arbitraria del legislatore finalizzata a circoscrivere i reati da cui può deri-vare il “vulnus” all’immagine della P.A., in relazio-ne alla percezione esterna che si ha del modello di azione pubblica ispirato ai principi e ai canoni che trovano la loro tutela ultima nell’art. 97 della Costituzione, con la conseguenza che, fuori da tale ambito, ogni estensione dei casi previsti dalla nor-mativa in rassegna appare arbitraria.Tuttavia, il primo periodo del citato comma è stato abrogato dal Codice di giustizia contabile.

4.7. Applicazione di norme di obiettiva difficoltà interpretativa ed errore di fatto

È giurisprudenza consolidata della Corte dei con-ti che, ai fini della responsabilità dei dipendenti e agenti pubblici per i danni arrecati all’erario nell’e-spletamento delle loro funzioni, va escluso l’ele-

mento della colpa nelle ipotesi in cui vi siano stati comportamenti costituenti applicazione di norme di obiettiva difficoltà interpretativa. E invero, l’o-biettiva difficoltà di interpretazione delle norme da applicare concreta a favore del funzionario agen-te un errore professionale scusabile, che esclude la sua responsabilità amministrativa per il danno eventualmente subito dall’erario (ad es., in ipotesi di assegnazione in proprietà di alloggi di tipo eco-nomico e popolare, in cui l’A. risulti condannata al risarcimento dei danni). È da escludere la respon-sabilità degli amministratori che abbiano adottato provvedimenti di erogazione illegittima di inden-nità ove gli stessi si siano determinati a provvedere in base ad erronea valutazione della situazione di fatto nel cui contesto l’indennità stessa fu richiesta e concessa (ad es. sulla base di precedenti nella stessa regione o di oscillante giurisprudenza dei T.A.R. in materia). In ogni caso, l’errore scusabile, come esi-mente della colpa, presuppone l’incertezza sull’in-terpretazione di una normativa complessa, innova-tiva o transitoria (C.d.c., Sez. I, 31.1.1994, n. 25).Infine, la dubbia interpretazione di una norma di legge, avvalorata da circolari, anche postume, che dimostrano la possibilità di una interpretazione di-versa da quella risultata poi corretta, rendono scu-sabile l’errore in cui sono incorsi gli Amministratori di un Ente pubblico nell’adozione di una delibera, per cui gli stessi possono essere assolti da ogni re-sponsabilità per errore scusabile (C.d.c., Sez. riuni-te, 13.1.89, n. 596/A), o per difficoltà interpretative della norma (C.d.c., Sez. I, 12.9.1997, n. 178/A; Sez. III centrale, 19.6.1997, n. 182/A).Costituiscono esimenti o attenuazioni della respon-sabilità, la complessità del caso, l’accavallarsi dei ricorsi, l’incertezza interpretativa delle norme, il susseguirsi di atti adottati in epoche diverse da am-ministratori diversi (C.d.c., Reg. Molise, 28.4.1997, n. 226 e 16.7.1997, n. 367), l’interpretazione di di-sposizione normativa recentemente modificata in fattispecie di norma astrattamente idonea a con-sentire divergenti ipotesi interpretative non con-notate da manifesta irragionevolezza (C.d.c., Sez. reg. Piemonte 25.2.1999, n. 354), ovvero l’incertez-za interpretativa avvalorata da delibera regionale di trasformazione del posto in organico, a seguito di illegittimo inquadramento (C.d.c., Sez. I centr., 30.9.1999, n. 268/A).

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4.8. Non sussistenza di responsabilità in mancanza di danno economicamente valutabile e di comporta-mento omissivo

L’art. 51 c. 2 del Codice di giustizia contabile sta-bilisce espressamente: “La notizia di danno, comun-que acquisita, è specifica e concreta quando consiste in informazioni circostanziate e non riferibili a fat-ti ipotetici o indifferenziati”. Il P.M. inizia l’attività istruttoria sulla base appunto di concreta e specifica notizia di danno (c. 1) e qualunque atto istruttorio posto in essere in violazione di questa disposizione è nullo e può essere fatto valere da chiunque vi ab-bia interesse. (c. 3).Le attività degli amministratori di un ente pubbli-co, pur se poste in essere al di fuori della normativa vigente, non integrano una ipotesi di responsabilità amministrativa, qualora non abbiano comportato un danno economicamente valutabile per il patri-monio dell’ente. Così, nell’ipotesi di un ente che abbia disposto assunzioni in situazione di generale disordine del settore e di carenza di effettiva vigi-lanza, ma che permisero all’ente stesso di dotarsi di organi utili al suo funzionamento, da non consen-tirne in prosieguo l’eliminazione, la Corte, pur rav-visando il provvedimento non immune da censure, nel constatare che l’attività degli amministratori non determinò un danno, ha ritenuto non sussiste-re una loro responsabilità. In una diversa ipotesi, è stata ritenuta non conforme a legge e produttiva di danno erariale la corresponsione di compensi ag-giuntivi per incarichi straordinari di lavoro a favo-re di amministratori di enti pubblici che godono, proprio in funzione dell’integrale svolgimento dei propri compiti di istituto, di indennità fissa di ca-rica. Pertanto, gli amministratori sono stati ritenuti responsabili del danno arrecato all’ente per effetto dell’illegittima determinazione assunta.Invece, un accertamento totalmente induttivo sulla quantità e sussistenza di una pretesa evasione fiscale in materia di imposta sulla pubblicità e sulle pubbli-che affissioni non supportato da riscontri obiettivi, non può essere censurabile, non essendo raggiunta la prova della effettività del danno (C.d.c., Sez. II, 10.5.1993, n. 114). Del pari, la tardiva riscossione dei tributi, ove non sia sintomatica di un comportamen-to «continuato» di omessa vigilanza sugli uffici am-ministrativi, cui i ritardi vanno addebitati, non può essere causa di responsabilità per danno degli ammi-nistratori comunali (C.d.c., Sez. II, 20.5.1993, n. 124). Né può essere addebitato all’amministratore il danno che dipenda essenzialmente dall’incuria degli uffici

amministrativi nel tenere aggiornate e nel segnalare le scadenze (C.d.c., Sez. II, 20.5.1993, n. 126).Nei giudizi di responsabilità amministrativa il P.M., con l’atto di citazione non può limitarsi ad una generica prospettazione della verificazione del danno, ma deve fornire sufficienti elementi dai quali sia dato evincere sia l’ingiusto nocumento all’erario, sia il nesso causale tra il preteso danno e la volontà colpevole dell’agente, con la conse-guenza che questi, in carenza di tali elementi, non può essere condannato al risarcimento. Non sono, infatti, sufficienti allegazioni di colpevolezza, non supportate neppure da indizi di prova, non essen-do compito del giudice collegiale quello di sup-plire all’attività probatoria (C.d.c., Reg. Sardegna, 13.5.1993, n. 193).In definitiva, il danno erariale deve avere i requisiti della certezza, attualità e concretezza, verificabili su dati di fatto presunti e non su calcoli legati a mere ipotesi di futuro danno (C conti, Sez. I, 23.3.1994, n. 68). Così, ad es., in tema di tributi locali, resta escluso l’elemento soggettivo della colpa degli am-ministratori che non si attivarono per la concreta riscossione dei tributi, ove le ragioni giustificative abbiano coerenza logico-giuridica e non sia data piena dimostrazione del danno (C.d.c., Sez. Lazio, 11.11.1996, n. 71).Va anche esclusa la responsabilità, per difetto di colpa grave di un commissario straordinario per comportamenti omissivi tenuti nell’attività di pre-disposizione della riconversione dell’ente pubblico al quale era stato preposto, con incidenza sull’asset-to patrimoniale dello stesso, ove tale atteggiamento sia giustificato dal variabile intendimento politico oscillante tra la completa liquidazione dell’ente e il suo mantenimento in vita con diversa configura-zione giuridica, ed in assenza di indicazioni mini-steriali (o comunque dell’azionista di riferimento) circa le necessarie linee guida (C.d.c. Appello - Sez. I centrale, 3.1.2007, n. 1/A).La violazione del termine di 120 giorni per il de-posito della citazione da parte del P.M. comporta la sanzione di inammissibilità, che però non può essere dichiarata d’ufficio dal giudice, ma va ecce-pita dal convenuto interessato (C.d.c., Sez. I centr. Appello, 9 maggio 2012).

4.9. La responsabilità contabile e il potere riduttivo

Il riferimento normativo del potere di modera-re il danno riconosciuto dalla Corte dei conti è dato dall’art. 83 della legge di contabilità di Stato,

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dall’art. 52 del T.U. delle leggi sulla Corte dei conti e dall’art. 19 della legge n. 3/1957. È, in sostanza, conferito alla Corte un potere di moderazione la cui giustificazione viene ricavata dal fatto che la fonte della obbligazione del contabile risieda sia nella re-sponsabilità contabile che in quella amministrativa, da un precostituito rapporto di servizio tra il sog-getto e la P.A. L’esercizio di tale potere è general-mente valutato quale potestà del giudice contabile, piuttosto che facoltà connessa alla specifica ipotesi della responsabilità amministrativa. Il potere ridut-tivo costituisce una parziale rinunzia al credito, de-rivante dalla valutazione del giudice contabile e non del creditore. In essa vengono in considerazione non solo gli elementi estranei all’attività dell’agente, ma ogni circostanza di fatto che, secondo il pruden-te apprezzamento del giudice, può indurre a una motivata meno rigorosa valutazione della respon-sabilità e che va individuata nella situazione obiet-tiva nella quale il responsabile è stato costretto ad operare, o nella situazione soggettiva concernente l’attività del danneggiato e del responsabile stesso.Per prevenire il giudizio di responsabilità ammini-strativo-contabile occorre dichiarare l’inesistenza del danno erariale, quale mancanza di presupposto per detta azione. Al riguardo, è indispensabile pro-vare che il danno sia stato interamente risarcito con l’avvenuto pagamento della sola sorte capitale, se ef-fettuato prima della domanda giudiziale e, se questa è stata introdotta, anche degli interessi dovuti sulla somma richiesta fino alla data di notifica dell’atto di citazione in giudizio. Non può inoltre essere fat-ta ricadere sul patrimonio del dipendente pubblico quella parte del danno difficilmente valutabile che è da correlare alla rischiosità di un’attività svolta nell’interesse dell’intera collettività (caso delle forze di polizia o di vigili urbani: C.d.c., Sez. I, n. 188/90).L’uso del potere riduttivo ha per presupposto il rap-porto tra l’efficienza delle cause giustificatrici accer-tate e la misura del risarcimento dovuto e va sempre correlato alla gravità ed intensità della colpa (C.d.c., Sez. Riunite, 22.7.1992, n. 797/A). Peraltro, la ridu-zione dell’addebito, mentre non è compatibile con una condotta dolosa, può esserlo con quella della colpa anche «grave» (azione contraddistinta da ele-vata sconsideratezza o imprudenza: C.d.c., Sez. II, 4.9.1992, n. 208). Per avere il discarico l’agente con-tabile deve o restituire quanto a suo tempo ricevuto all’atto dell’assunzione della gestione, o giustificare, con la prova di legittime e ragionevoli circostanze impeditive, la mancata restituzione. Il danno pub-

blico conseguente alla perdita di materiali assunti in carico dall’agente contabile va quantificato alla stre-gua del valore attualizzato all’atto della liquidazione e non già ai valori storici di magazzino (C.d.c., Sez. I, 23.11.2004, 379/A).

4.10. Il contabile di fatto nella giurisprudenza della Corte dei conti

L’art. 93, c. 2 del T.U. dispone che è soggetto alla giurisdizione della Corte dei conti chi si ingerisca negli incarichi attribuiti agli agenti contabili, dive-nendo, in tal modo «contabile di fatto». Costitui-sce requisito necessario e sufficiente per l’esercizio dell’azione di responsabilità amministrativo-con-tabile, l’esistenza di un rapporto di pubblico im-piego al momento dell’azione o dell’omissione che ha dato causa al danno erariale. Nell’obbligazione di responsabilità amministrativo-contabile sono solidalmente corresponsabili del danno erariale, in virtù del principio di equivalenza delle cause ex art. 41, c. 1, del codice penale - di generale ap-plicazione nell’ordinamento - tutti i soggetti che, mediante il loro comportamento commissivo od omissivo, in violazione di obblighi di servizio, si-ano stati compartecipi del processo etiologico del danno erariale.La caratteristica peculiare del rapporto contabile è la prestazione di un’attività di gestione da parte dell’agente che - pur se limitata ad un solo atto o fatto - comporti il maneggio o la custodia di dena-ro o di valori materiali di pertinenza dell’ente o di cui l’ente sia debitore verso terzi. Non è necessaria l’effettiva assunzione di una particolare qualifica nell’ambito della P.A., essendo sufficiente che l’a-gente abbia avuto l’effettivo maneggio del denaro (C.d.c., giurispr. costante).L’inosservanza delle norme di servizio concernen-ti la custodia e la conservazione dei valori affidati a pubblici dipendenti comporta la responsabilità dell’agente contabile solo quando sia possibile rile-vare un preciso rapporto di causalità tra l’inosser-vanza stessa e il danno subìto dall’erario. Ma l’agen-te contabile che accetti senza verifiche il materiale consegnatogli dal suo predecessore, assume la re-sponsabilità delle deficienze che si dovessero in se-guito riscontrare, senza che sia necessario effettuare ulteriori accertamenti sulla sua responsabilità nella perdita dei beni erariali.

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4.11. La considerazione del danno effettivo

Per affermare o escludere, in tutto o in parte, il danno patrimoniale, è necessario verificare la perti-nenza delle spese ordinate dagli amministratori, in violazione delle normali procedure, agli obiettivi e agli interessi perseguibili a termini di legge dall’ente locale. Occorre poi verificare l’utilizzazione, in tutto o in parte, dei beni o servizi acquisiti all’ente stesso in funzione pubblica, valutata in modo determi-nato. In realtà, non ogni bene o servizio comporta sempre e comunque un accrescimento del patrimo-nio dell’ente, ma solo quelli che siano in rapporto di strumentalità e congruità (che siano cioè opportuni e strumentali) in ordine al perseguimento dei fini istituzionali.Al fine dell’accertamento dell’ipotesi di responsabi-lità è decisivo il riferimento all’elemento soggettivo (colpa grave) e a quello oggettivo (danno), il quale ultimo deve essere effettivo e patrimoniale. La va-lutazione del danno, poi, va fatta con riferimento alla situazione patrimoniale dell’ente locale e con riguardo alle conseguenze che l’attività di spesa irregolare abbia avuto sui risultati delle gestioni. Il danno deve consistere nella diminuzione della con-sistenza economica del patrimonio dell’ente, deve essere effettivo e, per la sua determinazione, si deve tener conto di eventuali incrementi derivati alle so-stanze pubbliche in conseguenza dell’atto illegitti-mo compiuto (art. 3, legge n. 639/1996).Va posto in evidenza il concetto di disutilità soppor-tato dall’ente locale a seguito dell’azione illegittima posta in essere dall’amministratore, in rapporto alle utilità che da questa attività siano nondimeno derivate, al fine di accertare se e in quale misura si sia determinato un danno patrimoniale. Agli effetti dell’apprezzamento dell’eventuale danno derivante da illegittimità o da irregolarità di spesa, la compa-razione fra somma di denaro erogata e utilità conse-guente non può fondarsi esclusivamente sul criterio della congruità dei prezzi di mercato. Essa deve te-ner conto anche di altri interessi di natura pubbli-cistica, certamente prevalenti in rapporto ai fini da conseguire. Quindi, se il danno non sia quantifica-bile in maniera precisa, ben può il giudice contabile procedere ad una liquidazione secondo equità, a stregua di quanto dispone l’art. 1226 c.c.È configurabile un danno all’erario anche in ipote-si di erogazione complessivamente ammissibile in base alla norma, se una parte di essa risulti priva di giustificazione in quanto non supportata dal crite-rio dell’intrinseca economicità del bene conseguito

in relazione al valore delle risorse erogate. Così, il costo di costruzione del bene acquisito non deve ec-cedere in modo rilevante il prezzo di acquisto.In generale, l’inutilità della prestazione, normal-mente assunta dal P.M. della Corte dei conti a fon-damento della pretesa risarcitoria, può essere affer-mata solo se correlata ad obiettivi eventi dannosi che, ricollegandosi ad accertate omissioni o man-canze, rendono apprezzabile il danno fonte di re-sponsabilità (C.d.c., Sez. II, n. 281/1993). Lo stesso concetto di patrimonio pubblico è da intendere, agli effetti della valutazione della ipotesi di responsabili-tà degli amministratori di enti locali non solo come complesso di elementi finanziari e patrimoniali, ma anche come insieme di utilità suscettibili di ap-prezzamento economico di cui fruisce la collettività e nei cui confronti lo Stato e gli altri enti pubblici abbiano per legge obblighi di tutela. In definitiva, anche il pregiudizio di un bene immateriale (ad es., l’immagine e il prestigio della p.a.) se comporta delle spese per il suo ripristino, è danno risarcibile. Secondo le regole generali, per essere risarcibile il danno deve essere certo,attuale ed effettivo.La Corte dei conti è legittimata a decidere sul ri-sarcimento del danno d’immagine cagionato di-rettamente all’ente pubblico da comportamenti costituenti illeciti penali commessi da dipenden-ti di società partecipata (C.d.c., Sez. III appello, 14.3.2012, reg. Lombardia).

4.12. Patrimonialità e ingiustizia del danno

Al fine di valutare la sussistenza del danno, occorre verificare la pertinenza delle spese illegittimamente ordinate dagli amministratori agli interessi perse-guibili a termini di legge dall’ente locale, nonché l’utilizzazione del bene o del servizio acquisito dall’ente stesso, in funzione pubblica. È evidente, in-fatti, che non ogni bene o servizio comporta un ac-crescimento del patrimonio dell’ente, ma solo quelli che siano in rapporto di strumentalità e congruità rispetto al perseguimento dei fini istituzionali. D’al-tra parte, la disutilità sopportata dall’ente a seguito della condotta illegittima non può essere identifica-ta solamente con la spesa sostenuta, ma va indivi-duata tenendo conto dei vantaggi che l’ente stesso, o meglio l’erario, avrebbe potuto conseguire ove i procedimenti di spesa fossero stati correttamente seguiti e le scelte fossero state quindi effettuate dagli organi a ciò istituzionalmente delegati. Correlativa-mente, l’utilità è rappresentata dall’arricchimento conseguito dall’ente, a seguito della condotta ille-

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gittima, individuata con riferimento alla rispon-denza alle finalità istituzionali e al grado di utilità verificatosi in concreto (art. 3, legge n. 639/1996). Il danno patrimoniale può consistere nella perdita di danaro, valori e materie di pertinenza dell’ente (danno emergente), ovvero nella mancata acquisi-zione di elementi patrimoniali che la P.A. avrebbe potuto realizzare (lucro cessante).Gli effetti sananti della condotta illegittima di un amministratore di ente locale che abbia causato all’ente un danno patrimoniale possono esplicarsi solo nello stesso esercizio finanziario in cui è sorta l’obbligazione. E, infatti, successive attività possono costituire solo un criterio sintomatico ai fini della valutazione dell’attività derivata da tale condotta, spettante al giudice contabile, ma non sono idonee ad escludere «ipso iure» la responsabilità. Il fatto di aver ottenuto la sanatoria da parte del competen-te organo deliberante dell’ente non esclude in ogni caso la responsabilità degli amministratori di enti locali per illegittimo o irregolare fatto di gestione. L’adozione della sanatoria costituisce solo un utile elemento di giudizio nell’ambito della valutazione degli elementi che caratterizzano la responsabilità amministrativo-contabile: ma l’apprezzamento del fatto gestorio che abbia prodotto il danno patri-moniale resta nella sfera di competenza del giudice contabile. Infine sussiste responsabilità ammini-strativa per danno all’erario nel comportamento di amministratori di enti locali i quali ordinino le spe-se senza l’autorizzazione in bilancio o senza previa deliberazione del competente organo collegiale, de-terminando ritardo nei pagamenti e la conseguente soccombenza dell’amministrazione nelle contro-versie giudiziarie, con la condanna della stessa al pagamento di ulteriori somme per sorte, interessi ed accessori.

5. La responsabilità dei tesorieri

L’art. 58, c. 2, della legge 142/1990 (T.U., art. 93, c. 2), ha ribadito il principio per cui il tesoriere (e ogni altro agente contabile con maneggio di pubblico de-naro) è soggetto alla giurisdizione della Corte dei conti. È noto che i tesorieri degli enti pubblici sono di diritto «contabili», in quanto hanno il maneg-gio e la disponibilità del danaro e, in generale, dei valori: ne discende la loro responsabilità contabile, essendo essi tenuti a rendere il conto della loro ge-stione, che è poi sottoposta alla giurisdizione della Corte dei conti, giudice esclusivo in materia di con-tabilità pubblica (C. Cost., 3.6.1966).

Il servizio di cassa di un ente pubblico, indipen-dentemente dal titolo all’assunzione, dà vita in ogni caso ad un rapporto contabile di natura pubblica, rientrante quindi nell’ambito della giurisdizio-ne contabile. Né può opporsi la circostanza che la banca abbia nei confronti dell’ente un semplice rapporto di natura privatistica di conto corrente, anziché di tesoreria o di cassa, bastando a stabilire la competenza della Corte dei conti la semplice ge-stione di pubblico danaro. Sul tesoriere, in sostanza, incombe un’obbligazione di restituzione, per cui in caso di ammanco e in assenza della dimostrazione che non ne sia derivato un danno all’ente, egli re-sta responsabile nei confronti dell’A. (C.d.c., Sez. II, 157/1994). La responsabilità presuppone anche in questo caso il danno ingiusto e cioè la violazione di un altrui interesse giuridicamente protetto dall’or-dinamento giuridico. È quindi evidente che man-ca l’antigiuridicità quando manchi un pregiudizio concretamente sofferto dall’ente, o nei casi - da di-mostrare - in cui il tesoriere ha agito per necessità, in ipotesi di spese obbligatorie (ad es. per anticipa-zione degli stipendi al personale dell’amministra-zione impedita dal ritardo nell’approvazione dei bilanci) o nel caso di erogazioni dovute a motivi di imprescindibile urgenza.È stata pure esclusa la responsabilità dei tesorieri nei casi di pagamenti, sia pure modesti, eseguiti per evitare all’ente pregiudizi economici derivanti da sanzioni pecuniarie e liti giudiziarie a causa di erra-te previsioni di spesa o di insufficienti disponibilità.Nel sistema delle responsabilità, si ha comporta-mento doloso quando si accerti che il tesoriere ha agito con l’intenzione di recare danno all’ente, oppure di non volere adempiere coscientemente il proprio obbligo. Si ha comportamento gravemen-te colposo quando il tesoriere ha agito non osser-vando neanche un minimo di diligenza, quella che tutti solitamente osservano. La Corte, al riguardo, ha sempre censurato l’atteggiamento di cosciente violazione delle disposizioni alle quali il tesoriere è tenuto ad attenersi, nonché, in generale, del contrat-to di tesoreria (art. 3, legge n. 639/1996).Tra le ipotesi più frequenti di responsabilità, vi è quella per danno conseguente ad attività omissiva del tesoriere, sia per fatto proprio che dei propri collaboratori: il tesoriere è un organo con funzioni meramente esecutive che ha il dovere di controllare la regolarità dei titoli di spesa sotto il profilo mera-mente formale e di verificare la preventiva adozione del provvedimento autorizzativo della spesa.

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Non infrequenti sono le pronunce giurisprudenziali sui tesorieri. Così, l’erogazione - mediante prelievi effettuati dal Sindaco - da parte del cassiere-tesoriere al di fuori dello schema contabile di delegazione con apertura di credito, comporta la colpa grave dell’i-stituto bancario, nei confronti del quale non può trovare neanche applicazione il potere di riduzione dell’addebito (C.d.c., Sez. riunite, 7.9.1993, n. 895/A).

Cap. IIModalità della denuncia al Procuratore re-gionale

1. Premessa

Vi è una avvertita esigenza di ridefinire i modelli operativi e i settori rientranti a pieno titolo nella nozione di “contabilità pubblica”, nel momento in cui nuovi interventi legislativi e la conseguente ela-borazione giurisprudenziale ha finito per estendere il sindacato del giudice contabile anche ai profili dell’efficacia e dell’utilità dell’azione amministrati-va. Vi è in secondo luogo l’emergere di un tendenza normativa a definire come ipotesi specifiche di re-sponsabilità amministrativa l’inosservanza di regole e vincoli di carattere finanziario.La giurisprudenza della Corte dei conti ha sempre ritenuto che la mera illegittimità del provvedimento amministrativo ovvero del comportamento ritenu-to produttivo di danno per l’erario non sia suffi-ciente a determinare l’ingiustizia del danno stesso e quindi la responsabilità amministrativa, essendo in-vece necessaria la illiceità dell’azione posta in esse-re, come presupposto logico dell’ulteriore giudizio sulla sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave.Inoltre, negli ultimi anni la Corte di Cassazione, SS.UU., aveva prodotto una giurisprudenza che ha ricondotto sotto la giurisdizione della Corte dei conti enti e soggetti che in passato ne erano esclusi. Pertanto si era affermata la giurisdizione della Corte dei conti nei confronti di amministratori e dipen-denti pubblici economici in precedenza esclusa, tranne nei casi in cui l’ente svolgeva la propria atti-vità mediante l’esercizio di poteri autoritativi.Una sentenza (n. 529/2012) della Sez. giur. centrale di appello della Corte dei conti ha tuttavia escluso tale giurisdizione per le seguenti considerazioni.L’art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97 stabilisce che la sentenza di condanna nei confronti dei dipendenti

indicati dall’art. 3 della stessa legge per delitti con-tro la P.A. è comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti perché promuova l’e-ventuale procedimento di responsabilità per danno erariale. L’art. 3 richiamato accomuna nel giudizio di responsabilità avanti al giudice contabile i dipendenti di amministrazioni, quelli di enti pubblici e quelli a prevalente partecipazione pubblica.D’altra parte la Corte Costituzionale aveva afferma-to che la semplice trasformazione degli enti pubblici economici di cui all’art. 15 della legge n. 359/1992 non poteva essere ritenuta motivo sufficiente a de-terminare l’estinzione del controllo ai sensi dell’art. 12 della legge n. 259/1958 fino a quando rimanga inalterato l’apporto finanziario dello Stato nella struttura economica dei nuovi soggetti.La Corte di Cassazione (sent. n. 12367/2001), a sua volta, aveva deciso che le società per azioni co-stituite dai comuni e dalle province in house (art. 22, c. 3, legge n. 142/1990) operano come perso-ne giuridiche private ma con la qualifica di agenti contabili, come tali soggette ai giudizi di conto in relazione al maneggio di danaro che costituisce un rapporto tra l’ente pubblico ed altro soggetto “a seguito del quale la percezione del danaro avvenga, in base a un titolo di diritto pubblico o di diritto privato, in funzione della pertinenza di tale danaro all’ente pubblico e secondo uno schema procedimen-tale di tipo contabile”.Una successiva sentenza (n. 12192/2004) ha poi sta-bilito che la qualificazione di agente contabile com-porta la giurisdizione della Corte dei conti anche per i danni che l’agente contabile arrechi all’ente locale per cui agisce. E un’altra sentenza (n. 13702/2004) della stessa Cassazione ha affermato la giurisdizione della Corte dei conti sui sindaci di un comune che avevano omesso, durante la loro permanenza nel-la carica, di promuovere l’azione di responsabilità a carico degli amministratori di società di capitali partecipata, nella considerazione che tale attività non rientra nel contesto delle attività discrezionali dell’amministrazione, ma consiste nella violazione di precisi obblighi di tutela del patrimonio.Infine, la sentenza Cass. S.U., n. 7799/2005, ha af-fermato la giurisdizione del giudice ordinario, in riferimento alla richiesta di annullamento di prov-vedimenti comunali di mancata approvazione del bilancio e conseguente revoca di amministratori di s.p.a. di cui il comune era unico socio. In quella qualità il comune avrebbe dovuto agire sulla base degli artt. 2383, 2458 e 2459 c.c., trasfusi anche nello statuto della società.

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Evidentemente la Cassazione aveva posto l’attenzio-ne sulla sostanziale impunità degli amministratori degli enti pubblici economici e delle società parte-cipate da enti locali, cresciuti in maniera esponen-ziale anche in rapporto al processo inverso avvenuto nello Stato e fonte di disavanzi - dovuti peraltro non sempre a cattiva gestione ma a ritardati pagamen-ti dei servizi da parte del socio - e aveva disposto un allargamento della giurisdizione della Corte dei conti su detti organismi.Egualmente la Cassazione riconosceva l’attribuzio-ne alla Corte dei conti anche nei confronti di ammi-nistratori e dipendenti di enti pubblici economici essendo irrilevante il fatto che essi perseguano le proprie finalità mediante un’attività disciplinata dal diritto privato (sent. n. 19667/2003). Inoltre, con la sent. n. 3899/2004 la Cassazione affermava che l’affidamento da parte di un comune ad un ente privato esterno della gestione del servizio relativo all’esercizio dei mercati all’ingrosso implica l’assog-gettamento alla giurisdizione della Corte dei conti, nonostante la natura privatistica dell’ente.Ma una brusca interruzione nell’ampliamento giurisprudenziale della giurisdizione contabile è intervenuta con la decisione n. 26806/2009 della Cassazione (confermata dalla sent. n. 519/2010), secondo cui spetta al giudice ordinario la giuri-sdizione sull’azione di risarcimento dei danni su-biti da una società a partecipazione pubblica, non essendo configurabile un danno arrecato all’ente pubblico idoneo a radicare la giurisdizione del giudice contabile. Quest’ultima ha invece giuri-sdizione quando vi sia un comportamento di chi, quale rappresentante dell’ente partecipante, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri di-ritti di socio, in tal modo pregiudicando il valo-re della partecipazione. Ovvero quando vi sia un comportamento dell’amministratore o del sindaco tale da compromettere la ragione stessa della par-tecipazione sociale dell’ente pubblico, strumentale al perseguimento di finalità pubbliche. L’orien-tamento della Cassazione si è consolidato con le ordinanze nn. 14655 e 20941/2011 ove si afferma che il pregiudizio patrimoniale arrecato dalla cat-tiva gestione degli organi sociali della società par-tecipata non integra il danno erariale in quanto si risolve in un vulnus gravante in via diretta ed esclusiva sul patrimonio della società stessa sog-getta alle regole di diritto privato.La sentenza n. 20940/2011 non costituisce un’ec-cezione in quanto assegna al giudice contabile la

giurisdizione nei confronti di amministratori della Croce Rossa Italiana per aver recato danno patri-moniale all’ente pubblico titolare di partecipazione societaria “per aver esercitato in modo non conforme al dovere di diligente cura del valore di tale parteci-pazione i diritti e le facoltà inerenti alla posizione di socio”.Inoltre, con la sent. n. 3692 del 9 marzo 2012, la Cassazione, S.U., con riferimento a Poste Italiane s.p.a. ha escluso la giurisdizione della corte dei conti nonostante la società sia a partecipazione pubblica totalitaria. Nel caso di specie non era in questione il servizio postale c.d. universale, ma l’attività banca-ria svolta da Poste Italiane.La stessa Corte di Cassazione, S.U., sentenza 2 set-tembre 2013, n. 20075, ha enunciato i seguenti prin-cipi:

1. Quando si discute del riparto della giurisdizione tra Corte dei conti e giudice ordinario, occorre aver riguardo al rapporto di servizio tra l’agente e la pubblica ammi-nistrazione. Per tale può intendersi anche una relazione con la P.A. caratterizzata dal fatto di investire un soggetto, altrimenti estraneo all’amministrazione medesima, del compito di porre in essere in sua vece un’attività, senza che rilevi né la natura giuridica dell’atto di investitura - provvedimento, convenzione o contratto - né quella del soggetto che la riceve, sia essa una persona giuridica o fisi-ca, privata o pubblica.

2. È ricompreso nella giurisdizione contabile anche l’ac-certamento della responsabilità erariale conseguente all’il-lecito o indebito utilizzo, da parte di una società privata, di finanziamenti pubblici o per la responsabilità in cui può incorrere il concessionario privato di un pubblico servizio o di un’opera pubblica, quando la concessione investa il privato dell’esercizio di funzioni obiettivamente pubbliche, attribuendogli la qualifica di organo indiretto dell’amministrazione, onde egli agisce per le finalità pro-prie di quest’ultima.

3. Si esercita attività amministrativa non solo quando si svolgono pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma an-che quando si perseguono le finalità istituzionali proprie dell’amministrazione pubblica mediante un’attività disci-plinata in tutto o in parte dal diritto privato. Ne consegue che, nell’attuale assetto normativo, il dato essenziale che radica la giurisdizione della corte contabile è rappresen-tato dall’evento dannoso verificatosi a carico di una P.A. e non più dal quadro di riferimento - pubblico o privato - nel quale si colloca la condotta produttiva del danno.

4. La scelta della pubblica amministrazione di acquisire partecipazioni in società private implica il suo assogget-tamento alle regole proprie della forma giuridica prescel-ta. Dall’identità dei diritti e degli obblighi facenti capo ai componenti degli organi sociali di una società a parteci-pazione pubblica, pur quando direttamente designati dal

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socio pubblico, logicamente discende la responsabilità di detti organi nei confronti della società, dei soci, dei credi-tori e dei terzi in genere, nei medesimi termini - contem-plati dagli artt. 2392 c.c. e segg. - in cui tali diverse possibili proiezioni della responsabilità sono configurabili per gli amministratori e per gli organi di controllo di qualsivoglia altra società privata.

Ma il danno inferto dagli organi della società al patri-monio sociale, che nel sistema del codice civile può dar vita all’azione sociale di responsabilità ed eventualmente a quella dei creditori sociali, non è idoneo a configurare anche un’ipotesi di azione ricadente nella giurisdizione della Corte dei conti, perché non implica alcun danno era-riale, bensì unicamente un danno sofferto da un soggetto privato (appunto la società), riferibile al patrimonio ap-partenente soltanto a quel soggetto e non certo ai singoli soci - pubblici o privati - i quali sono unicamente titolari delle rispettive quote di partecipazione e i cui originari conferimenti restano confusi e assorbiti nell’unico patri-monio sociale.

Ancora più recentemente, la Corte dei conti (sez. I giur. centr. d’appello - sent. 20 febbraio 2015, n. 178), ha affermato la giurisdizione della Corte dei conti nei confronti della SO.GE.M.I. S.p.A., società incaricata della gestione dei mercati agroalimentari all’ingrosso della città di Milano) ed ha anche affer-mato i seguenti principi:

1. Vi è giurisdizione della Corte dei conti in ipotesi di Società partecipata totalmente dal Comune, ove vi sia la nomina della maggioranza degli amministratori da par-te del Comune, vi sia svolgimento esclusivo di attività di primario interesse pubblico, utilizzo di risorse finanziarie interamente pubbliche, assenza di attività svolta dalla so-cietà in regime di concorrenza.

2. Inoltre, sussiste la giurisdizione della Corte dei conti per i pregiudizi finanziari prodotti al bilancio di una so-cietà la quale risulti partecipata pressoché totalmente da un Comune, il quale nomina direttamente la maggioranza degli amministratori e indirettamente tutti gli altri, svolge esclusivamente attività di primario interesse pubblico e spende risorse quasi del tutto pubbliche.

3. Sussiste la giurisdizione della Corte dei conti quando, anche sotto il mero profilo finanziario, la dipendenza della società dal socio maggioritario è totale e non vi è alcuna attività che sia svolta in un vero regime di concorrenza.

In sintesi, la Cassazione ha enunciato il principio se-condo il quale “sull’azione di risarcimento del danno subito da una società a partecipazione pubblica per effetto di condotte illecite dei dipendenti” può cono-scere soltanto il giudice ordinario, “in quanto l’au-tonomia patrimoniale di essa esclude ogni rapporto di servizio tra agente ed ente pubblico danneggiato e impedisce di configurare come erariali le perdite che restano esclusivamente della società, che è regolata nel

caso come ogni altro soggetto sovra personale di dirit-to privato” (ex multis, S.U., ord. 7.1.2014, n. 71; S.U. 25.3.2013, n. 7374; S.U. 22.12.2011, n. 23829).Viene fatta eccezione per le società qualificate come “in house providing”, considerate longa manus della società partecipante (quasi sua direzione generale), “con conseguente equiparazione al danno erariale del pregiudizio che gli atti di mala gestio abbiano arreca-to al suo patrimonio” (S.U. n. 26283/2013).Sussiste, invero, l’esigenza, secondo la Cassazione, di “ricondurre la soluzione del problema di giurisdizio-ne entro un quadro coerente di principi giuridici che sono a fondamento del sistema ordinamentale”. Ciò, in quanto “l’art. 103 Cost., comma 2, impone, al di fuori della materie di contabilità pubblica, di trovare il fondamento della giurisdizione della Corte dei conti in una specifica disposizione di legge (…)”. Nell’attua-le quadro normativo “il perseguimento delle finalità istituzionali proprie della pubblica amministrazione si realizza anche mediante attività disciplinate in tutto o in parte dal diritto privato, onde il dato essenziale che radica la giurisdizione della corte contabile è rappre-sentato dall’evento dannoso verificatosi a carico del-la stessa pubblica amministrazione (…); in secondo luogo, (…) le società di capitali costituite o comunque partecipate da enti pubblici per il perseguimento delle finalità loro proprie non cessano sol per questo di es-sere delle società di diritto privato, la cui disciplina, se non diversamente disposto, riposa tuttora sulle norme dettate dal codice civile, come confermato anche dal dettato dell’art. 2449 dello stesso codice”. “(…) Quan-to alle società a partecipazione pubblica, lungi dal rav-visarsi disposizioni normative che inequivocabilmente attribuiscano loro la qualifica di ente pubblico, s’è già visto come il legislatore si sia preoccupato a più riprese di ribadirne, in via generale e fatta salva l’applicazione di singole regole speciali, l’assoggettamento alla disci-plina dettata dal codice civile per le società di diritto privato, con le richiamate conseguenze in punto di giu-risdizione” (Cass., S.U. Civ., 25.11.2013, n. 26283).Può definirsi una società in house, quella costituita da uno o più enti pubblici per l’esercizio di pub-blici servizi, a) di cui esclusivamente i medesimi enti possono essere soci, b) che statutariamente esplichi la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti e c) la cui gestione sia, per statuto assoggettata a forme di controllo analoghe a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici (cfr. S.U., 25 novembre 2013 e successive). La nozione di società in house è notoriamente di matrice sovra-nazionale ed origina dall’esigenza di impedire che ci si possa sottrarre ad alcune regole costitutive del

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mercato comune ed ai principi di concorrenza (in particolare in ordine alle modalità degli appalti) at-traverso il filtro della società a partecipazione pub-blica non correlate strettamente all’organizzazione ed all’attività della pubblica amministrazione (in senso lato), derogando, senza una plausibile ragio-ne, a quell’architettura di norme che, nel corso degli ultimi decenni, ha progressivamente strutturato le dinamiche del mercato della Comunità e poi dell’U-nione europea.Il fatto che la società fruisca dello stanziamento di fondi pubblici non si pone in contrasto con la natura privatistica della società, e neppure incide la circo-stanza che la partecipata sia commissariata, essendo preponderanti gli elementi di natura privatistica.In tema di incompatibilità, in altra ipotesi (C.d.C., Sez. giur.le Emilia Romagna n. 182 del 7.9.2017) si è rilevato che l’art. 9 del D.Lgs. n. 39/2013 discipli-nava l’ipotesi di incompatibilità degli incarichi am-ministrativi di vertice e degli incarichi dirigenziali nelle pubbliche amministrazioni, che comportino funzioni di vigilanza e controllo sulle attività svol-te dagli enti di diritto privato regolati o finanziati dall’amministrazione che conferisce l’incarico, con l’assunzione di incarichi e cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dall’amministrazione che conferisce l’incarico (comma 1).L’incompatibilità riguarda i predetti incarichi am-ministrativi di vertice e dirigenziali che sono con-feriti dall’amministrazione, non anche la carica di revisore dei conti, che non è classificabile quale incarico amministrativo di vertice né quale incari-co dirigenziale (ad esempio, è incompatibile esse-re il dirigente competente ad effettuare i controlli dell’amministrazione sull’attività svolta dalla so-cietà ed essere contemporaneamente sindaco della società controllata, fattispecie differente da quella oggetto del giudizio). La Sezione ha ritenuto che nessuna forma di incompatibilità, applicabile alla fattispecie in esame, possa essere desunta, indiret-tamente, dalla disciplina recata dall’art. 147-quater TUEL.La norma, infatti, disciplina i controlli sulle società partecipate non quotate che l’ente locale deve ap-prontare e svolgere con le strutture proprie, che ne sono responsabili, ma non attribuisce alcuna forma di controllo diretta all’organo di revisione del co-mune sulla contabilità della società partecipata. È, quindi, una funzione amministrativa di competen-za dei servizi comunali, non di una forma di con-trollo contabile attribuita al collegio dei revisori. La norma dispone, inoltre, al comma 4, l’obbligo, per

il comune, di redigere il bilancio consolidato, che comporta la sola rappresentazione contabile degli esiti della gestione societaria nel bilancio comunale, al fine di dare veritiera e completa rappresentazio-ne degli equilibri economico-finanziari del bilancio comunale nel suo complesso.

2. Le denunce di danno erariale

Il Codice di giustizia contabile dedica due articoli, il 52 e il 53 all’obbligo di denuncia e onere di segnala-zione ed al contenuto della denuncia di danno.Le denunce provenienti dalla stessa amministrazio-ne danneggiata possono assumere un particolare valore sia perché il contatto diretto con la fattispecie dannosa può conferire alle stesse un più significati-vo valore almeno indiziario (anche per la possibilità di una maggiore completezza nella descrizione del fatto), sia perché le stesse hanno un indiretto valore di deterrenza. Già nel 2007 era stata diramata dalla Procura generale una nuova nota interpretativa (2 agosto 2007, n. 9434/2007P) in materia di obbligo di denuncia di danno erariale ai Procuratori regio-nali presso le sezioni giurisdizionali della Corte.Le ragioni giustificative dell’intervento della Procu-ra generale si rinvenivano nei seguenti fattori:

• l’ampliamento dei confini della giurisdizione con-tabile, a seguito delle note pronunce della Corte di Cassazione in merito alla sussistenza della cogni-zione del giudice contabile sulla responsabilità di amministratori o dipendenti per danni causati ad enti pubblici economici ed a società a partecipa-zione pubblica e di recenti interventi legislativi (in materia di danno ambientale, si veda ad es. l’art. 313, comma 6, del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152). Al riguardo, la Corte ha già affermato che è «devoluta alla giurisdizione del giudice contabile quanto alla domanda di risarcimento del danno avanzata dal procuratore generale della corte dei conti, quando l’a-zione di responsabilità trovi fondamento nel compor-tamento di chi, quale rappresentante dell’ente par-tecipante o comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio, in tal modo pregiudicando il valore della partecipazione, in caso di comportamenti degli amministratori o dei sindaci tali da compro-mettere la ragione stessa della partecipazione sociale dell’ente pubblico, strumentale al perseguimento di finalità pubbliche ed implicante “impiego di risorse pubbliche o da arrecare così direttamente pregiudizio al patrimonio”» (Cass., S.U., sent. n. 26806 del 19 dicembre 2009). Si esercita infatti attività di rilevan-

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za pubblica non solo quando si svolgono pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando, nei limiti consentiti dall’ordinamento, si perseguono le finalità istituzionali proprie dell’amministrazione pubblica mediante un’attività disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato. Tali valutazioni valgono anche nel caso di responsabilità di società di diritto privato partecipate da un ente pubblico, in quan-to non perdono la loro natura di enti privati per il solo fatto che il loro capitale sia alimentato anche da conferimenti provenienti dallo Stato o da un altro ente pubblico;

• le modifiche alla legge n. 241/1990, operate dalla legge n. 15/2005, per quanto attiene alle funzioni del dirigente delle unità organizzative e del respon-sabile del procedimento amministrativo, che ha comportato la possibilità di una più facile indivi-duazione dei soggetti che gestiscono o controllano concretamente i vari procedimenti amministrativi o le loro varie fasi, indipendentemente dalla qualifi-ca formale rivestita dagli stessi all’interno delle varie strutture;

• gli spazi di potestà di regolamentazione, in mate-ria di disciplina dei procedimenti amministrativi e di organizzazione interna, riconosciuti alle regio-ni ed agli enti locali dal nuovo titolo V della Co-stituzione e quindi anche nell’individuazione dei soggetti tenuti ad effettuare le denunce di danni erariali. Infatti, com’è noto, l’art. 117 della Costitu-zione prevede in materia di organizzazione interna una potestà regolamentare in capo agli enti locali ed alle regioni;

• l’espressa previsione normativa dell’obbligo di denuncia a carico di ulteriori soggetti pubblici e la sopravvenuta modifica di alcune norme richiamate nell’indirizzo;

• nuovo raccordo fra il P.M. presso il giudice con-tabile e le autorità giudiziarie ordinarie attraverso l’obbligo di trasmissione delle sentenze di condan-na per delitti commessi da pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, previsto dagli artt. 6 e 7 della legge n. 97/2001.

L’obiettivo della nota era quello di ottenere il mas-simo della collaborazione nella denuncia di possi-bili danni erariali, da parte dei soggetti tenuti al re-lativo obbligo, in modo da consentire al Pubblico Ministero di attivarsi con tempestività, disponen-do di ogni utile elemento di valutazione, nei con-fronti dei presunti responsabili, anche attraverso l’utilizzo di tutte le azioni a tutela delle ragioni del

creditore, compresi i mezzi di conservazione del-la garanzia patrimoniale previsti dal codice civile, così come prevede l’art. 1, comma 174, della legge n. 266/2005.

3. Esercizio dell’azione revocatoria da parte del P.M. - Sussistenza della giurisdizione contabile

La Suprema Corte ha riconosciuto la sussistenza della giurisdizione contabile sull’esercizio di un’a-zione revocatoria da parte del P.M. (Cass., Sez. Un., ord. n. 22059/2007). Tale decisione è particolarmen-te rilevante in quanto riconosce espressamente che la suddetta disposizione è da considerare una vera e propria interpositio legislatoris, idonea ad ampliare l’ambito di giurisdizione del giudice contabile.Infatti, il Giudice di legittimità ha testualmente af-fermato che «la conclusione della devoluzione alla giurisdizione del giudice contabile delle controversie in argomento, oltre che imposta dalla lettera della leg-ge è anche coerente con il suo scopo, esplicitato nel fine di realizzare una più efficace tutela dei crediti era-riali: tutela che indubitabilmente compete alla Corte dei conti apprestare, per le azioni di accertamento e di condanna, e che egualmente deve ritenersi esserle stata affidata per quelle “a tutela delle ragioni del cre-ditore” e per “i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale”, in quanto rispetto alle prime hanno carattere accessorio e strumentale».Oltre al già disciplinato sequestro conservativo, la novella sembra consentire, perciò, un ampliamento dei procedimenti cautelari di cui, su iniziativa del P.M., può conoscere il giudice contabile, con par-ticolare riguardo a quelli diretti a provvedimenti d’urgenza atipici ex art. 700 c.p.c., in modo da evi-tare al pubblico erario, in attesa della definizione di un giudizio di merito, il prodursi di pregiudizi che pur non essendo attuali sono però imminenti ed ir-reparabili (si pensi ad es. alla possibilità di richiede-re la sospensione degli effetti di inquadramenti ille-citi o della corresponsione di compensi non dovuti da parte delle pubbliche amministrazioni). Inoltre, dovrebbe ammettersi, sulla base della suddetta nor-ma, il potere del P.M. di esercitare, ex art. 2900 c.c., i diritti e le azioni verso terzi, in surrogazione del presunto responsabile, al fine della conservazione della garanzia patrimoniale.Le suddette azioni andrebbero esercitate dal P.M., in sostituzione del presunto responsabile, presso i giudici forniti di giurisdizione, in base alla natura e finalità delle stesse.

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ravvisare più la distinzione «pubblico-privato», ma risulteranno sempre più determinanti elementi so-stanziali come il finanziamento, cioè la natura del danaro gestito, l’effettiva subordinazione alle regole del mercato, il controllo del danaro pubblico.I fatti corruttivi, e gli altri delitti contro la P.A. si presentano con due distinte connotazioni. Possono consistere nel pagamento indebito di danaro per un’attività legittima e dovuta della P.A., e di ciò è competente il giudice penale. Ovvero si concretano in una prestazione a favore dell’amministratore o del funzionario infedele, cui però deve corrisponde-re una illecita controprestazione di questo, un bene-ficio non dovuto che avvantaggia il corruttore e lo compensa dell’importo versato. Deve essere, però, dimostrato che sia stato liquidato illegittimamen-te al corruttore più di quanto dovutogli e se oneri maggiori e non dovuti siano stati messi a carico del-la pubblica finanza.Le due forme di responsabilità, quella ammini-strativa e quella patrimoniale, pur se sovente sono trattate unitariamente, non possono ridursi ad un unico denominatore: esse si pongono su distinti li-velli, in quanto l’una si ricollega ad un illecito am-ministrativo e l’altra ad un illecito civile.Considerato il processo di riforma dell’organizzazio-ne dei pubblici uffici, l’obbligo di denuncia, ai sensi dell’art. 20 del D.P.R. n. 3/1957 e s.m.i., incombe su tutti i soggetti che, nella loro qualità di responsabili di un settore dell’amministrazione, si trovino in po-sizione apicale e vengano in possesso, in ragione del loro ufficio, degli elementi per l’accertamento della responsabilità e la determinazione dei danni (C.d.c., Sez. I centr. Appello, 25.7.2008, n. 344).

5. L’interpretazione delle SS.RR. della Corte dei conti sulle nuove norme in tema di istruttoria del P.M. contabile

Sulla corretta interpretazione delle nuove norme in tema di nullità dell’attività istruttoria si sono pro-nunciate le Sezioni Riunite della Corte dei conti con due specifiche sentenze, la n. 12/QM e la 13/QM, entrambe del 3 agosto 2011, nei modi seguenti:

1) l’art. 17, c. 30-ter e ss. mm., del D.L. n. 78/2009 - di cui è stato abrogato il primo periodo dal Codice di giustizia contabile (art. 4 norme transitorie) sui requisiti che devono possedere le notizie di danno ai fini della detta attività istruttoria è suscettibile di applicazione immediata e retroattiva in relazione a situazioni istruttorie e processuali maturate nel vi-gore della normativa preesistente;

Inoltre, la suddetta nuova previsione potrebbe essere l’occasione anche per una riflessione circa l’ammissi-bilità di un ricorso per decreto ingiuntivo da parte del P.M. nei casi di responsabilità caratterizzate da man-cata restituzione di somme o di beni da parte di un agente contabile. In tal caso la denuncia del fatto con l’invio della prova scritta del credito, rappresentata dal documento con il quale è stato affidato il carico al contabile costituisce un elemento indispensabile per consentire il ricorso. Si ricorda che, ai sensi dell’art. 635 c.p.c., il libro degli inventari ed giornale di cas-sa costituiscono prove idonee di crediti dello Stato, se provvisti di adeguata attestazione di regolarità da parte di un funzionario autorizzato.

4. Caratteristiche del danno oggetto di denuncia

L’attenzione della Procura generale e delle procure regionali della Corte dei conti è indirizzata, tra l’al-tro, ad iniziative quali l’apprestare una sanzione per le violazioni delle norme a tutela dell’ambiente; il vigilare sull’adempimento dell’obbligo di rendere il conto, che grava su tutti i gestori di beni della comu-nità; seguire l’esecuzione delle sentenze di condan-na; il verificare gli illeciti commessi nella gestione di strutture regolate da norme di diritto privato, ma finanziate da danaro pubblico; l’assumere iniziative per una quotidiana azione contro il fenomeno della corruzione.Il danno ambientale è un danno ulteriore rispetto al danno materiale arrecato al bene e le iniziative per azionare le pretese per i danni materiali arrecati a questi beni pubblici competono alla Procura presso la Corte dei conti. Si è ritenuto che questo danno ai beni pubblici sia conseguenza, prima ancora che delle iniziative private, dell’azione illecita dei poteri pubblici che lo hanno consentito con propri prov-vedimenti ovvero - una volta verificatosi per abusi dei privati l’evento lesivo - per non essere interve-nuti con i necessari provvedimenti, idonei ad otte-nere il ripristino della situazione violata.Vi sono poi i casi di mancata esecuzione di senten-ze di condanna tratte da segnalazioni stampa: le procure regionali sono state attivate nei casi in cui per intervenuta prescrizione del credito derivante dall’actio judicati, vi erano solo da perseguire le re-sponsabilità relative. Nei casi di ritardata esecuzio-ne, viene verificato se dal ritardo consegua la perdita di garanzie per il recupero del credito, ovvero la sot-trazione di cespiti aggredibili.È noto che anche per l’incidenza della normativa comunitaria, il nostro ordinamento tende a non

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2) la ratio della norma è quella di ancorare l’irretro-attività a un momento in cui il giudice ha già fatto la sua scelta irreversibile (giorno della pubblicazio-ne della sentenza, ex art. 133, c. 1 c.p.c.) e non deve trattarsi di un provvedimento meramente istrutto-rio, come tale revocabile;

3) il termine “notizia” di cui all’art. 17, c. 30-ter, non si identifica con quello di “denunzia”. È invece da in-tendersi come dato cognitivo derivante da apposita comunicazione, o acquisibile da strumenti di infor-mazione di pubblico dominio; l’aggettivo “specifica” è da intendersi come informazione che abbia una sua peculiarità e individualità e non sia riferibile ad una pluralità indifferenziata di fatti, tale da non ap-parire generica, ma ragionevolmente circostanziata; l’aggettivo “concreta” è da intendersi come obietti-vamente attinente alla realtà e non a mere ipotesi o supposizioni.Quindi, costituiscono “specifica e concreta notizia di danno”: a) l’esposto anonimo, specifico e concreto; b) i fatti conosciuti attraverso l’invito a dedurre; c) i fatti conosciuti a seguito della delega alle indagini attribuita dalla Procura ad organismi quali la Guar-dia di Finanza. Non possono considerarsi specifiche e concrete le notizie relative alla mera condotta, in carenza di ipotesi di danno;

4) per “fattispecie direttamente sanzionate dalla leg-ge” devono intendersi quelle in cui non è solo pre-vista una sanzione pecuniaria come conseguenza dell’accertamento di responsabilità amministrativa, ma quelle in cui la norma definisce anche l’auto-matica determinazione del danno. Sono escluse le ipotesi in cui la legge si limiti a prevedere che una certa fattispecie “determina responsabilità erariale”, o espressioni analoghe.Ora, comunque, l’art. 65 del Codice stabilisce che “La omessa o apparente motivazione dei provvedi-menti istruttori del pubblico ministero ovvero l’au-dizione assunta in violazione dell’art. 60, comma 4, costituiscono causa di nullità dell’atto istruttorio e delle operazioni conseguenti”.

6. Onere di segnalazione e contenuto della denuncia

Sono tenuti a segnalare il danno erariale, ai sensi dell’art. 52 del Codice di giustizia contabile: “i respon-sabili delle strutture burocratiche di vertice delle ammi-nistrazioni, comunque denominate, ovvero i dirigenti o responsabili di servizi, in relazione in relazione al settore cui sono preposti, che nell’esercizio delle loro funzioni vengono a conoscenza, direttamente o a seguito di se-

gnalazione di soggetti dipendenti, di fatti che possono dare luogo a responsabilità erariali, devono presentarne tempestiva denuncia alla procura della Corte dei conti territorialmente competente. Le generalità del pubblico dipendente denunziante sono tenute riservate.

2. Gli organi di controllo e di revisione delle pubbli-che amministrazioni, nonché i dipendenti incaricati di funzioni ispettive, ciascuno secondo le singole leggi di settore, sono tenuti a fare immediata denuncia di danno direttamente al procuratore regionale compe-tente, informandone i responsabili delle strutture di vertice delle amministrazioni interessate.

3. L’obbligo di denuncia riguarda anche i fatti dai quali, a norma di legge, può derivare l’applicazione, da parte delle sezioni giurisdizionali territoriali, di sanzioni pecuniarie (…).

6. Resta fermo l’obbligo per la pubblica amministra-zione denunciante di porre in essere tutte le iniziative necessarie a evitare l’aggravamento del danno, inter-venendo ove possibile in via di autotutela o comunque adottando gli atti amministrativi necessari a evitare la continuazione dell’illecito e a determinarne la ces-sazione”.

In sostanza, l’amministrazione denunciante, con l’inoltro della denuncia, non si libera dell’obbligo di intraprendere le iniziative necessarie a evitare l’ag-gravamento del danno, intervenendo ove possibile in via di autotutela o comunque adottando gli atti amministrativi necessari a evitare la continuazio-ne dell’illecito e a determinarne la cessazione. Va-rie note di coordinamento emanate dalla Procura Generale nel corso degli anni hanno evidenziato che l’amministrazione denunciante deve disporre, avendone il relativo potere oppure attivando gli or-gani rispettivamente competenti:

- le necessarie indagini amministrative interne;

- la costituzione in mora del presunto responsabile, quale atto interruttivo della prescrizione;

- ogni atto utile a favorire l’eventuale rifusione spontanea e volontaria del nocumento patrimonia-le causato;

- l’intrapresa di legittime iniziative, in autotutela ed anche cautelari amministrative, per evitare la dimi-nuzione o dispersione del compendio patrimoniale del danneggiante (in funzione di garanzia generica ex art. 2740 c.c.) o per agevolare il recupero del cre-dito risarcitorio (es. fermo amministrativo previsto, per le Amministrazioni statali, dall’art. 69 della leg-ge di contabilità dello Stato).

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È evidente che vada adottata anche ogni possibile determinazione reputata utile od opportuna affin-ché, de futuro, sia evitato il ripetersi di accadimenti analoghi, e quindi come attività deterrente insita nelle azioni di responsabilità (v. Cerimonia inaugur. anno giudiz. 2017 - Procura, p. 70).Circa il contenuto della denuncia, l’art. 53 del citato Codice così dispone: “La denuncia di danno contiene una precisa e documentata esposizione dei fatti e delle violazioni commesse, l’indicazione ed eventualmente la quantificazione del danno, nonché ove possibile, l’individuazione dei presunti responsabili, l’indica-zione delle loro generalità e del loro domicilio”.Il procuratore regionale, acquisita la notizia di dan-no, “ove non ritenga di provvedere alla sua immedia-ta archiviazione per difetto dei requisiti di specificità e concretezza o per manifesta infondatezza, dispone l’apertura di un procedimento istruttorio ed assegna, secondo criteri oggettivi e predeterminati,la trattazio-ne del relativo fascicolo” (art. 54).Una competenza piena alla denuncia dei fatti dan-nosi per la finanza pubblica è stata sempre ritenu-ta propria degli organi di controllo, sia interni che esterni, in ordine ai fatti dannosi imputabili agli or-gani di vertice degli enti e strutture pubbliche ovve-ro in via sostitutiva nei casi di omessa denuncia da parte dei soggetti a ciò tenuti. Il sistema normativo, infatti, vuole che le responsabilità siano perseguite, che siano gli autori dei fatti dannosi a doverne ri-spondere e costituisca eccezione l’operatività della norma di chiusura che stabilisce responsabilità per omessa denuncia.Questo obbligo, oggi, incombe agli uffici di ra-gioneria, sia dipendenti del Ministero del teso-ro che propri delle organizzazioni pubbliche che hanno conservato competenze generali di verifica dell’azione amministrativa e di tutti gli organi di controllo interno, collegi sindacali di revisione, ecc. (come mera conferma normativa dell’espo-sto principio, si veda, a titolo di esempio l’art. 107 D.Lgs. n. 77/1995), tenuto conto della rilevanza che a tali controlli ha attribuito il legislatore (art. 3, c, 7, legge n. 20/1994). Incombe anche sui ma-gistrati della Corte dei conti assegnati alle sezioni e agli uffici di controllo l’obbligo di segnalare alle procure regionali i fatti da cui possono derivare responsabilità erariali che emergano dall’esercizio delle loro funzioni (art. 52, c. 4 del Codice di giu-stizia contabile).Il presupposto che deve essersi verificato perché sorga detto obbligo è quello stesso che comporta il decorso del termine di prescrizione per l’aziona-

mento della responsabilità, ossia il verificarsi di fat-to dannoso per la finanza pubblica.In proposito può ricordarsi che l’indirizzo giuri-sprudenziale individua detto termine iniziale non nel momento della conoscenza, ma della conoscibi-lità dei fatti da parte non del Procuratore regionale titolare del potere d’azione, ma dell’organo dell’am-ministrazione che abbia obbligo di denuncia.Esiste, infatti, un principio generale, il quale, con l’escludere la decorrenza della prescrizione nel tem-po in cui il diritto non può essere fatto valere (art. 2939 cod. civ.), si riferisce solo alle cause giuridiche impeditive dell’esercizio di tale diritto e non anche ai semplici ostacoli di fatto, tra i quali l’ignoranza (colpevole o meno) del titolare in ordine alla sus-sistenza del diritto. In effetti è la conoscibilità in seno all’amministrazione quella che ha rilievo per individuare il momento di inizio del termine pre-scrizionale.La giurisprudenza costante ritiene che dà inizio al periodo prescrizionale non il semplice compimento della condotta trasgressiva degli obblighi di servi-zio dalla quale non sia ancora scaturito alcun no-cumento patrimoniale all’ente pubblico, ma il ve-rificarsi del danno che costituisce componente del “fatto” dannoso cui fa, ora, espresso riferimento la generale disciplina in materia di prescrizione (legge n. 20/1994, art. 1, c. 2.).È stato poi, recepito dal legislatore (art. cit.) il prin-cipio giurisprudenziale secondo cui, nel caso di occultamento doloso del danno, il termine di pre-scrizione inizia a decorrere dalla data della sua sco-perta. E, difatti, la cognizione di situazioni pregiu-dizievoli all’amministrazione pubblica è l’effetto di una tipica attività di controllo, la cui impossibilità di esplicarsi, per fatto doloso dell’autore del danno, comporta un obiettivo impedimento ad agire, di ca-rattere giuridico e non di mero fatto.È dal momento in cui si concreta il danno, o dal-la scoperta del danno dolosamente occultato che, come decorre il termine di prescrizione, così si con-creta l’obbligo di denuncia.In termini generali può aggiungersi che il momento iniziale della prescrizione è quello in cui si è verifi-cato il danno erariale, e cioè la data dell’evento le-sivo nel caso di danno diretto e, nel caso di danno indiretto (che deriva dal fatto che l’amministrazio-ne risarcisca un terzo del danno causato dal dipen-dente: v. danno indiretto da mobbing, sent. C.d.c., Sez. giur. Calabria, 25.6.2013), dalla diversa data in cui con sentenza passata in giudicato o transazione approvata nei modi di legge viene ad esistenza un

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titolo esecutivo o un’obbligazione specifica di pa-gamento per l’amministrazione, cioè una situazio-ne giuridica senz’altro produttiva di conseguenze dannose.Qualora si sia verificata una situazione di fatto con potenzialità lesiva, senza danno attuale, ne può es-sere effettuata segnalazione agli uffici di Procura per eventuali iniziative intese a coadiuvare un’azione amministrativa intesa a che la potenzialità non di-venga evento lesivo per l’erario, segnalazione la cui omissione - giova precisare - non configura viola-zione dell’obbligo di denuncia.La denuncia non può consistere in una mera tra-smissione di atti ma deve concretarsi in un docu-mento che contenga le indicazioni che la legge pre-scrive. Deve pertanto contenere l’indicazione, allo stato degli atti in possesso dell’amministrazione, del fatto, nel senso di descrizione del procedimen-to seguito, quale previsto dalla normativa di settore ovvero quale di fatto e anche in deroga attuato, non-ché dei comportamenti tenuti dai dipendenti, con precisazione delle deviazioni dalle regole normative o dai principi di sana gestione. Ciò con riferimento agli atti allegati alla denuncia.La denuncia deve, poi, indicare l’importo del danno subito dall’erario, ove ciò risulti dai fatti conosciuti, ovvero, se tale elemento non sia deter-minabile esattamente, i dati in base ai quali emer-ga la certezza dello stesso benché ne sia incerta la quantificazione. A questo fine vanno indicati gli elementi che, in base ai dati di esperienza ammi-nistrativa nel settore, ove esistano, possano servire alla quantificazione ovvero a offrire parametri per la determinazione in via equitativa del danno me-desimo (art. 1226 c.c.).Altro elemento essenziale è l’indicazione, ove pos-sibile, delle generalità e dei domicili attuali (sia privati sia di servizio) dei dipendenti la cui attività si sia posta in rapporto causale con l’evento dan-noso. Non tanto è necessaria la valutazione delle responsabilità (valutazioni che potranno essere effettuate allo stato degli atti e se ritenute coeren-ti con gli interessi dell’amministrazione), quanto l’indicazione, in base alle realtà organizzative e funzionali, dei soggetti cui sia imputabile l’evento lesivo perché partecipi ai procedimenti ed all’atti-vità amministrativa e perché inadempienti agli ob-blighi di servizio che ad essi facevano carico nella fattispecie concreta.Al riguardo è importante la figura del responsabile del procedimento, con la separazione dei compiti di governo da quelli di amministrazione, con la previ-

sione di collaborazioni che sono a base del nuovo modo di concepire l’azione amministrativa (D.Lgs. n. 29/1993, legge n. 142/1990, legge n. 241/1990, ecc.).Se taluno dei presunti responsabili risulti decedu-to, il denunciante deve provvedere, solo su richiesta della competente Procura regionale, all’acquisizione degli elementi necessari per l’individuazione degli eredi legittimi o, se del caso, testamentari (denunce di successione, atti testamentari, accertamenti sulla consistenza mobiliare e immobiliare dell’asse eredi-tario, documentazione relativa al diritto degli eredi a riscuotere ratei di stipendio o di altre competenze maturate dal responsabile al momento del decesso, ecc.).

7. La presentazione della denuncia nel termine prescritto

La denuncia, una volta verificatosi l’evento lesivo, deve essere immediata (“tempestiva” stabilisce l’art. 52 del Codice) e sulla base degli atti in possesso. Rimane assegnato al successivo momento dell’atti-vità istruttoria l’acquisizione di ulteriori elementi. È necessaria l’immediatezza della denuncia, tenuto conto che la responsabilità è sancita dall’art. 1, com-ma 3, legge n. 20/1994 non soltanto per omessa, ma anche per ritardata denuncia, ritardo che ha rilievo allorché la denuncia pervenga in tempo che tecni-camente non consente gli adempimenti necessari all’attivazione delle iniziative giudiziali.L’aver adempiuto all’obbligo di denuncia non spo-glia le amministrazioni da poteri in relazione ai fatti emersi. Queste, infatti, hanno sempre il potere di richiedere, in via amministrativa, la rifusione del danno ai responsabili; con la conseguenza che le iniziative giudiziali delle Procure, cui si collegano oneri sempre maggiori per i responsabili, possono divenire superflue in caso di adempimento di questi e comunque hanno l’effetto di costituire in mora i responsabili stessi.L’obbligo di denuncia non si esaurisce con la segna-lazione dell’evento ma importa il dovere di riferire costantemente alla Procura regionale competente - anche in assenza di specifiche sollecitazioni - in me-rito ai successivi sviluppi della questione, trasmet-tendo di volta in volta ogni atto o documento che si ravvisi utile ai fini di giustizia. Ovviamente, ogni segnalazione integrativa deve fare chiaro e preciso riferimento alla denuncia iniziale.Oltre a possibili richieste di accertamenti da parte della Procura regionale competente, questi possono

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essere, dopo la denuncia, disposti di propria inizia-tiva dall’amministrazione ad opera di Commissioni d’inchiesta o di singoli funzionari. In tal caso, gli atti dell’inchiesta amministrativa vanno trasmessi in duplice esemplare alta Procura competente, la quale, comunque, va costantemente informata in ordine all’inizio, allo svolgimento (specie se i lavori si presentino particolarmente lunghi o difficili) ed all’esito degli accertamenti.Anche nell’ipotesi che, in relazione ai fatti che han-no formato oggetto di denuncia, siano instaurati giudizi penali, civili, amministrativi o controversie arbitrali, la Procura competente va informata del loro avvio, delle fasi dello svolgimento dei giudizi, nei vari gradi, sino all’esito definitivo, indipenden-temente da sollecitazioni. Le sentenze pronunciate nei vari gradi di giudizio vanno trasmesse in dupli-ce copia integrale autenticata, precisando, di volta in volta, se esse siano passate in giudicato o siano state impugnate.Con la “nota interpretativa” n. 9434/2007, in ma-teria di denunce di danno erarìale, il P.G. presso la Corte dei conti, nel formulare ai Procuratori regio-nali presso le Sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti elementi chiarificatori, con rife-rimento ai soggetti tenuti all’obbligo di denuncia, ha ribadito che la denuncia di fatti dannosi per il pubblico erario costituisce essenziale presupposto per l’attivazione del sistema giurisdizionale diretto all’accertamento di responsabilità amministrative, a garanzia del buon uso delle risorse pubbliche, che costituisce un interesse di tutti i cittadini.La collaborazione, in tal senso, da parte dei pub-blici apparati è necessaria, anche tenuto conto che l’art. 1, comma 3, della legge n. 20/1994 chiama a rispondere del danno erariale coloro che, con l’a-ver “omesso o ritardato la denuncia”, abbiano de-terminato la prescrizione del relativo diritto al ri-sarcimento. D’altra parte, l’art. 23, comma 5, della legge n. 289/2002, stabilisce che i provvedimenti di riconoscimento del debito, posti in essere dalle am-ministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001, devono essere trasmessi alla competente Procura regionale presso il giudice con-tabile. La nota del 2007 ricorda che, oltre ai vertici degli enti e ai dirigenti responsabili, anche gli organi di controllo sono tenuti alla denuncia di fatti dan-nosi per la finanza pubblica (si veda, in proposito, l’art. 20, comma 2, del D.P.R. n. 3/1957).In particolare, l’obbligo in discorso riguarda gli or-gani di controllo interno, di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 286/1999, competenti al riscontro della regolarità

amministrativa e contabile dell’azione amministra-tiva.L’Ispettorato per la funzione pubblica, di cui all’art. 60, comma 6, del D.Lgs. n. 165/2001 (come modifi-cato dall’art. 10-bis della legge n. 248/2005), è ob-bligato a denunciare al P.M. presso il competente giudice contabile, anche a seguito di segnalazioni di privati cittadini o pubblici dipendenti, irregolarìtà, ritardi o inadempienze delle amministrazioni pub-bliche dalle quali possano derivare danni alle stesse.L’Alto Commissario per la prevenzione ed il con-trasto della corruzione e delle altre torme di illecito all’interno della P.A., istituito con la legge n. 3/2003, è tenuto a denunciare al P.M. presso il competente giudice contabile le ipotesi di responsabilità ammi-nistrativa, che potrebbero evidenziarsi a seguito di accertamenti diretti o delegati presso le ammini-strazioni pubbliche; di monitoraggio su procedure contrattuali e di spesa o grazie alla collaborazione dei servizi di controllo interno.

8. Tempestività della denuncia

Va sottolineato che la denuncia, una volta verifica-tosi l’evento lesivo, deve essere immediata e deve essere effettuata sulla base degli atti in possesso dell’amministrazione. Rimane assegnata al succes-sivo momento dell’attività giudiziaria istruttoria l’acquisizione di ulteriori elementi.Va osservato, al riguardo, che la necessità di una tempestiva denuncia si desumeva, indírettamente, dalla suddetta fattispecie di responsabilità, sancita dall’art. 1, comma 3, della legge n. 20/1994, che at-tiene a casi non soltanto di “omessa”, ma anche di “ritardata” denuncia, cioè pervenuta alla Procura competente quando non è più praticamente pos-sibile attivare le iniziative giudiziali prima della scadenza del termine di prescrizione. Ora l’obbligo di tempestiva denuncia di fatti che danno luogo a responsabilità erariali è espressamente previsto dall’art. 52, c. 1 del Codice.La generale validità delle indicazioni finora fornite non esclude la praticabilità di una procedura più snella per l’assolvimento dell’obbligo di denuncia, nelle fattispecie di seguito indicate. Essa consiste nell’inoltro alla Procura presso la Carte dei conti territorialmente competente, a cadenza periodica (semestrale), di un sintetico rapporto-denuncia che segnala gli eventi dannosi. Tale rapporto periodico, secondo il P.G., si deve sostanziare in un prospet-to riepilogativo, contenente una scheda riassuntiva per ciascuna vicenda, con la succinta descrizione

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del fatto, dell’ammontare dei danni, degli accerta-menti svolti e delle risultanze emerse. Sarà cura del-la Procura destinataria del rapporto richiedere, ove ne ravvisi la necessità, ulteriori e più approfonditi elementi informativi e documentali su uno o più dei fatti segnalati.Le fattispecie suscettibili di denuncia, secondo la suddetta procedura semplificata, riguardano tipi-camente i danni derivanti da incidenti stradali, nel caso di mancato risarcimento (totale o parziale) da parte di società assicuratrici. Qualora dagli accer-tamenti effettuati in sede di inchiesta amministra-tiva o dai verbali di accertamento di Polizia non si rivelino fatti dolosi, le amministrazioni potranno procedere ad inoltrare alla Procura regionale com-petente un rapporto sintetico sui fatti occorsi, salvi successivi approfondimenti da parte della Procura stessa.

9. L’ulteriore attività amministrativa dell’ente in ordine ai fatti dannosi ed il raccordo con il giudice penale ex art. 129, c. 3 disposizioni di coordina-mento e transitorie del c.p.p.

Non basta adempiere con tempestività ed esaustivi-tà all’obbligo di denuncia, ma occorre che l’Ammi-nistrazione faccia uso dei poteri ad essa direttamen-te intestati in relazione ai fatti emersi.In primo luogo essa ha la facoltà di “costituire in mora”, mediante intimazione o richiesta scritta, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 1219 e 2940 del codice civile, i responsabili del danno, al fine di in-terrompere la decorrenza del termine di prescrizio-ne.L’amministrazione ha, poi, il potere - nelle more di decisioni definitive del P.M. presso il giudice con-tabile - di assumere proprie iniziative nei confronti del dipendente per conseguire, in via amministrati-va, la rifusione del danno. Tale eventuale circostan-za va tempestivamente segnalata al P.M. contabile competente. Infine, l’obbligo di denuncia non si esaurisce con la segnalazione dell’evento, ma im-porta il dovere di riferire costantemente alla Procu-ra regionale competente anche in assenza di speci-fiche sollecitazioni in merito ai successivi sviluppi della questione, trasmettendo, con chiaro e preciso riferimento alla denuncia iniziale:

- i risultati di ulteriori indagini disposte di propria iniziativa dall’amministrazione, compresa l’even-tuale attivazione e l’esito di procedimenti discipli-nari;

- i dati concernenti l’instaurazione di giudizi penali, civili, amministrativi o controversie arbitrali;

- le sentenze pronunciate nei vari gradi di detti giu-dizi, in copia integrale autenticata, con la precisa-zione se esse siano passate, in giudicato o siano state impugnate.

Inoltre l’art. 129, c. 3 delle disposizioni di coordi-namento e transitorie al c.p.p. dispone: “Quando esercita l’azione penale per un reato che ha cagionato un danno per l’erario, il pubblico ministero informa il procuratore generale presso la Corte dei conti, dando notizia dell’imputazione”.Infine, al fine di consentire, nei termini di legge, al Requirente la prosecuzione del giudizio presso il giudice contabile competente, in applicazione dei principi della c.d. translatio iudicii, affermati dalle recenti sentenze n. 77 della Corte Costituzionale e n. 4109 della Corte di cassazione, entrambe del 2007, si segnala l’importanza dell’invio da parte delle am-ministrazioni pubbliche al P.M. contabile delle sen-tenze del giudice del merito o della Suprema Corte dichiarative della giurisdizione del giudice contabi-le relativamente ad una fattispecie di responsabilità azionata dall’amministrazione danneggiata presso il giudice civile.Decisiva è la rilevanza che assumono le informa-zioni, provenienti dall’amministrazione creditrice, circa l’esecuzione delle sentenze di condanna defi-nitive a titolo di responsabilità amministrativa. Ciò non solo per una generica funzione di vigilanza o di repressione di eventuali inerzie che dovessero manifestarsi in materia all’interno dell’amministra-zione danneggiata, ma anche perché il citato art. 1, comma 174 della legge finanziaria per il 2006, ha riaperto il problema del riconoscimento dell’eser-cizio dell’azione esecutiva da parte del P.M. innan-zi al giudice contabile (o a quello ordinario). Tale riconoscimento, attraverso una maggiore effettivi-tà nel concreto soddisfacimento dei crediti erariali derivati da accertate responsabilità amministrative, completerebbe il sistema delle garanzie degli inte-ressi di cui il Requirente presso il giudice contabile si fa portatore.In definitiva, la tempestività e completezza delle de-nunce di danno erariale da parte dei soggetti obbli-gati che operano all’interno delle amministrazioni pubbliche danneggiate o vigilanti gli enti danneg-giati - espressamente menzionata e prevista quale stretto dovere dei vertici amministrativi dall’art. 52 del Codice - è necessaria non solo per una profi-cua attivazione, da parte del P.M., del procedimento

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diretto ad una citazione in giudizio nei termini di prescrizione dell’azione, ma, altresì, per consentire eventualmente al Requirente di esercitare le nuove azioni che ha oggi a disposizione, dirette anch’esse a rendere effettiva la tutela giurisdizionale dei crediti erariali derivanti da responsabilità amministrative.Vanno poi menzionate alcune norme che prescrivo-no un’informativa alle Procure della Corte dei con-ti. Così, l’art. 5 della legge n. 89/2001 prevede che il decreto di accoglimento della domanda di equa riparazione venga comunicato, tra l’altro al P.G. della Corte dei conti. Del pari, l’art. 6, c. 2, legge n. 97/2001 prevede che nel caso di condanna per delit-ti di cui al capo I, Titolo II del II libro del c. p. com-messi a fini patrimoniali, la sentenza sia trasmessa al P.G. della Corte dei conti, il quale procederà ad accertamenti patrimoniali a carico del condannato.Infine, l’art. 23, u.c., della legge n. 289/2002 pre-vede che i riconoscimenti di debito posti in essere dalla p.a. sono trasmessi agli organi di controllo e alla competente procura della Corte dei conti. Tale prescrizione implicherebbe un controllo generaliz-zato di regolarità su un’ampia categoria di atti am-ministrativi da parte delle Procure, pur in presenza dell’art. 1 del D.Lgs. n. 286/1999 che esonera gli or-gani di controllo da tale obbligo.Sono state innanzi ricordate le norme di cui all’art. 17, c. 30 e segg. del D.L. n. 28/2009 ed in particolare l’art. 30-ter - il cui primo periodo è stato abrogato dal Codice - secondo il quale le Procure della Corte dei conti possono iniziare l’attività istruttoria ai fini dell’azione per danno erariale a fronte di specifica e concreta azione di danno. Dovrebbero essere consi-derati attendibili quegli esposti, eventualmente non completi ma sufficientemente circostanziati e docu-mentati avanzati da cittadini, associazioni ambien-tali, consumatori, come è stato ritenuto dalla Sez. Lombardia (sent. n. 648/2009), la quale ha affer-mato l’idoneità di un articolo di stampa - piuttosto circostanziato e documentato sulla base di afferma-zioni di consiglieri dell’ente locale - a costituire la base per un’indagine.Infine, ai sensi dell’art. 24, c. 2 del D.Lgs. n. 123/2011 nell’ipotesi che la relazione redatta dagli ispetto-ri dei Servizi ispettivi di finanza pubblica eviden-zi ipotesi di danno erariale, va effettuata apposita segnalazione alla Procura regionale della Corte dei conti competente per territorio, ai sensi dell’art. 6, legge n. 1291/1962.

10. Rapporti tra azione civile e azione di responsa-bilità davanti alla Corte dei conti

L’azione di risarcimento dei danni esercitata dalla P.A. dinanzi alla giurisdizione ordinaria non impe-disce la contemporanea azione del P.M. contabile. Solo con il sopravvenire di una sentenza civile de-finitiva o di altro titolo parimenti satisfattivo della pretesa risarcitoria erariale, viene meno l’interesse ad agire del P.M. contabile. In caso di duplicità di titoli, la compensazione in sede esecutiva evita la duplicazione dei risarcimenti.Il carattere concorrente delle due azioni è stato inoltre affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 272 del 13 luglio 2007. Ciò, mentre l’e-sclusività della giurisdizione contabile è stata affer-mata con riferimento all’azione di rivalsa esercitata nei confronti di un pubblico dipendente in seguito a condanna della p.a. in sede civile, ai sensi dell’art. 22 del T.U. n. 3/1957 (Cass., ss.uu., 4.12.2001, n. 15288).In tali casi il concorso con la giurisdizione civile è escluso, attesa la peculiarità del regime sostanzia-le cui soggiace l’azione di rivalsa nei confronti del pubblico dipendente o dell’amministrazione, che è un regime diverso da quello civilistico. In sostanza, il regime stesso della responsabilità del dipendente nel caso all’esame esclude l’azione civilistica di re-gresso e quella in via di surrogazione reale ai sensi dell’art. 1203, n. 3 c.c.

Cap. IIIIl procedimento nel giudizio di responsabilità

1. L’iniziativa del pubblico ministero

Va premesso che l’azione di responsabilità è eser-citata dal pubblico ministero contabile presso le sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti. Il P.M. è l’unico soggetto che può attivare l’azione di responsabilità, ove ritenga sussisterne i presupposti, non potendo il giudice procedere d’ufficio, in assenza di domanda di parte. A sua volta, l’ente danneggiato, mentre è tenuto a se-gnalare i fatti dannosi alla competente Procura della Corte dei conti, non può sostituirsi al P.M., attivando il giudizio nei confronti dei presunti re-sponsabili, non essendo titolare dell’azione ammi-nistrativa.Il giudizio in materia di responsabilità per danni all’erario si attiva attraverso l’iniziativa del Procu-

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ratore regionale della Corte dei conti presente in tutti i capoluoghi di Regioni, oltre che a Trento e Bolzano. L’art. 51 del Codice di giustizia contabile, al primo comma stabilisce che il P.M. inizia l’attività istruttoria sulla base di specifica e concreta notizia di danno.L’organizzazione delle funzioni del P.M. è discipli-nata dall’art. 2 del D.L. n. 453/1994. Esse sono eser-citate davanti alle Sezioni riunite della Corte e alle Sezioni centrali d’appello, dal Procuratore generale o da vice procuratori assegnati alla procura genera-le; presso le sezioni giurisdizionali regionali da un procuratore regionale a da altri magistrati addetti all’Ufficio.Norme più specifiche sono dettate riguardo alla le-gittimazione a proporre appello contro le sentenze di primo grado, che è attribuita sia al Procuratore generale che al procuratore regionale.Il Procuratore generale coordina l’attività dei pro-curatori regionali e questi ultimi coordinano l’at-tività dei magistrati addetti agli uffici. Le modalità del coordinamento, in assenza di norme specifiche, sono tratte dalle disposizioni sull’ordinamento giu-diziario (D.Lgs. n. 106/2006, come modificate dalla legge. n. 269/2006).Il P.M., titolare in via esclusiva del potere di azione, è organo neutrale e agisce nell’interesse obiettivo dell’erario. La sua azione è autonoma, doverosa e irretrattabile. I poteri istruttori, già presenti nella legge n. 800 del 1862 e, successi-vamente, nell’art. 74 del T.U. del 1934, sono stati modificati con l’art. 16, c. 3 del D.L. n. 152/1991 in occasione dell’istituzione delle sezioni giu-risdizionali meridionali. L’art. 2, c. 4 del D.L. n. 453/1993 ha stabilito che per l’esercizio delle sue attribuzioni la Corte dei conti può delegare l’eser-cizio di adempimenti istruttori a funzionari delle p.a. e avvalersi di consulenti tecnici. La delega di adempimenti istruttori a funzionari regionali è disposta d’intesa con il Presidente della regione o provincia autonoma (art. 1, legge n. 639/1996, di conversione del D.L. n. 543/1996).La funzione del P.M. - in analogia con quanto pre-visto dall’art. 385 c.p.p. per il P.M. penale - è tenuto a svolgere “accertamenti su fatti e circostanze a favore della parte individuata quale presunto responsabile” (art. 55, c. 1 del codice).L’art. 67 del Codice prevede che il P.R. emetta un “invito a dedurre” nei confronti della persona che intende citare in giudizio, assegnandole il termi-ne di 30 giorni per le deduzioni e la documenta-

zione. Ciò costituisce da un lato, un garanzia di difesa, dall’altro un’acquisizione per il P.M. di ul-teriori elementi di valutazione. La mancata emis-sione di tale invito costituisce motivo di nullità della successiva citazione e inammissibilità della reiterazione dell’invito stesso (C.d.c., Sez. III, n. 267/A/2007).

1. Prima di emettere l’atto di citazione in giudizio, il pubblico ministero notifica al presunto responsabile un atto di invito a dedurre, nel quale sono esplicitati gli elementi essenziali del fatto, di ciascuna condotta contestata e del suo contributo causale alla realizza-zione del danno contestato, fissando un termine non inferiore a quarantacinque giorni, che decorre dal perfezionamento dell’ultima notificazione dell’invito, entro il quale il presunto responsabile può esaminare tutte le fonti di prova indicate a base della contesta-zione formulata e depositare le proprie deduzioni ed eventuali documenti.

2. Nello stesso termine il presunto responsabile, con istanza da formulare in calce alle deduzioni di cui al comma 1, ovvero in separato atto, da depositare nella segreteria del pubblico ministero,può chiedere di es-sere sentito personalmente; in tal caso l’omessa au-dizione personale, determina l’inammissibilità della citazione.

3. Il pubblico ministero fissa il luogo e il giorno dell’au-dizione che, ad istanza del presunto responsabile, per motivate e comprovate ragioni, può essere differito co-munque entro il termine di cui al comma 1.

4. Le audizioni personali, alle quali il presunto re-sponsabile ha la facoltà di farsi assistere dal difensore, sono sempre verbalizzate a cura di un funzionario della Corte dei conti o da un appartenente agli organi di cui al comma 1, dell’articolo 56.

5. Il procuratore regionale deposita l’atto di citazione in giudizio, a pena di inammissibilità dello stesso, en-tro centoventi giorni dalla scadenza del termine per la presentazione delle deduzioni da parte del presunto responsabile del danno, salvo quanto disposto dall’ar-ticolo 86.

Notificato l’invito a dedurre, l’interessato ha diritto ad accedere ai documenti menzionati nello stesso e a farsi assistere da un avvocato nell’eventuale audi-zione personale. Nei 120 giorni successivi al deposi-to delle deduzioni, il P.R. può emettere l’atto di cita-zione, salva l’interruzione feriale dall’1 agosto al 31 agosto sia per le deduzioni che per l’atto di citazio-ne (C.d.c., ss.rr., 15.2.2007, n. 1/QM). Non trovano applicazione le regole del contraddittorio (C.d.c.,

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Sez. I, n. 651/2009), né il destinatario dell’invito ac-quista la qualità di parte processuale e quindi non può partecipare al procedimento di proroga del termine di 120 giorni, che rappresenta l’unico caso normativamente disciplinato, di intervento del giu-dice sull’istruttoria del P.M.

2. Sequestro conservativo ante causam

La disciplina del sequestro conservativo, ante cau-sam, già dettata dall’art. 5, c. 3, 4, 5 del D.L. n. 453/1993 è integrata dalle disposizioni del c.p.c. sui procedimenti cautelari e in particolare dagli artt. 669-bis e segg. che disciplinano il procedimento cautelare in generale e dagli artt. 671 e ss. che ri-guardano il sequestro conservativo, è oggi discipli-nata dall’art. 74 del Codice di giustizia contabile.Secondo l’art. 75 la domanda di sequestro conser-vativo in corso di causa va proposta non al collegio, ma al presidente, ai sensi dell’art. 669-quater c.p.c. e il processo segue come se si trattasse di un sequestro ante causam. Tuttavia, poiché nel processo contabile manca la figura del giudice istruttore, si obietta che il giudice competente per la causa di merito non può che identificarsi nello stesso collegio giudican-te.La decisione sul reclamo previsto dall’art. 76 del Codice spetta allo stesso giudice di primo grado in diversa composizione. Ai sensi dell’art. 76, c. 3 e 4: «3. Il collegio, convocate le parti, omessa ogni formali-tà non necessaria al contraddittorio e svolti gli atti di istruzione ritenuti indispensabili in relazione ai pre-supposti e alle finalità del sequestro, decide in camera di consiglio non oltre venti giorni dal deposito del ri-corso, pronunciando ordinanza non impugnabile con la quale conferma, modifica o revoca l’ordinanza del giudice designato.4. Il reclamo non sospende il provvedimento tuttavia il collegio,quando per motivi sopravvenuti il provve-dimento arrechi grave danno, può disporre con ordi-nanza non impugnabile la sospensione dell’esecuzione o subordinarla alla prestazione di congrua cauzione».

3. Il giudizio di responsabilità

L’applicazione della disciplina generale della re-sponsabilità a tutti i dipendenti pubblici è confer-mata dall’art. 55 del D.Lgs.165/2001 e dall’art. 93 del T.U. Enti locali (D.Lgs. n. 267/2000) il quale ha stabilito che per gli amministratori e il personale degli enti locali si osservano le disposizioni vigen-ti in materia di responsabilità degli impiegati civili

dello Stato. La responsabilità amministrativa non richiede necessariamente l’esistenza di un rapporto d’impiego o la qualità di dipendente, ma il sempli-ce inserimento nell’organizzazione della p.a. con lo svolgimento di funzioni proprie della stessa ammi-nistrazione.Il giudizio di responsabilità per danni cagionati allo Stato dai suoi funzionari o agenti è istituito ad istanza del Procuratore 51 e seguenti del Codice di giustizia contabile. La citazione in giudizio con in calce il decreto presidenziale di fissazione dell’u-dienza, va notificata nelle forme previste dal c.p.c.In ipotesi di responsabilità solidale, il valutare l’in-cidenza partecipativa di ciascun responsabile nella commissione del fatto dannoso è devoluta al giu-dice nel suo potere sindacatorio. Ne consegue che la domanda attrice non è nulla se contiene in me-rito indicazioni sufficienti per orientare il collegio, quanto meno desumibili dal contesto dei fatti e dei motivi di diritto enunciati (C.d.c., Sez. Marche, n. 389/1995).La costituzione del convenuto deve avvenire (art. 166 c.p.c.) almeno 20 giorni prima dell’udienza fis-sata e questa è l’indicazione dei termini che è con-tenuta nel decreto del Presidente che fissa l’udienza. Non è ammesso l’intervento autonomo o adesivo autonomo o ad adiuvandum del convenuto della P.A., ma solo quello adesivo dipendente, purché non introduca domande nuove o sia ampliativo del thema decidendum.L’introduzione del codice di giustizia contabile ha accentuato il carattere accusatorio del procedimen-to giurisdizionale per dare effettività ai principi co-stituzionali del contraddittorio e del diritto di difesa ma anche di giusto processo, per cui il giudice ha il potere di integrare il materiale probatorio ove esista un principio di prova posto a fondamento della do-manda (C.d.c., Sez. Sicilia, n. 390/1998).

4. Vicende del processo

Il processo viene introdotto con l’atto di citazione (art. 86 del codice), la quale è nulla se è omessa o assolutamente incerta l’identificazione del conve-nuto (c. 3) o se il convenuto non si costituisce in giudizio.La citazione è del pari nulla ove non vi sia corri-spondenza tra i fatti indicati all’art. 86, c. 2, lett. e) e gli elementi essenziali del fatto specificati nell’invito a dedurre (art. 87 del codice). Sono fissate regole sulla pubblicità dell’udienza (art. 91, sul rinvio e la contumacia del convenuto (artt. 92 e 93), sull’as-

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sunzione dei mezzi di prova, tra cui la consulenza tecnica d’ufficio e la prova per testimoni (artt. 94-99).La sentenza deve essere depositata in segreteria en-tro 60 gg. dalla conclusione della camera di consi-glio nella quale è stata deliberata (art. 101: termine ordinatorio); è presa a maggioranza, ed è stesa dal relatore, a meno che no decida di stenderla il pre-sidente (art. 101). Regole particolari sono fissate in ipotesi di incidente di falso (art. 105), di sospensio-ne o di interruzione (per morte di una delle parti o la cessazione della rappresentanza)), per rinunzia agli atti del processo o per la sua estinzione con sen-tenza (artt. 104-111). È regolata dagli artt. 112 e 113, in analogia con quanto accade nel processo civile e in quello tributario, la procedura di correzione degli errori materiali.Norme particolari valgono per i giudizi innanzi alle Sezioni riunite (art. 114 e ss.) per le questioni di massima, per i regolamenti di competenza (artt. 118 e ss.), per i giudizi in unico grado, tra i quali quelli in materia di piani di riequilibrio degli enti territoriali di cui all’art. 11, c. 6, lett. a) (v. artt. 123 e seguenti).Importante novità è costituita dal rito abbreviato, di cui all’art. 130, nei casi in cui il convenuto voglia ottenere la definizione alternativa del giudizio me-diante il pagamento della somma non inferiore al 50% della pretesa risarcitoria oggetto della citazione o, in caso di sentenza di condanna del convenuto (e mai nei casi di arricchimento doloso) mediante il pagamento di somma non inferiore al 70%.Il giudice provvede sulle spese nei casi di condan-na, ma non è disposta la condanna alle stesse in caso si assoluzione da parte dei convenuti. Anzi, in base alla legge n. 135/1997, di conversione del D.L. n. 67/1997, e solo con riferimento ai dipendenti di amministrazioni statali, è previsto il rimborso, da parte dell’amministrazione delle spese legali so-stenute nel caso che il giudizio si sia concluso con sentenza di assoluzione del convenuto e sempre che i limiti del rimborso siano da ritenere congrui da parte dell’Avvocatura dello Stato. La norma è tut-tora vigente in quanto non abrogata dal Codice di giustizia contabile.Anche nel giudizio di responsabilità è previsto il giudizio monitorio, il cui limite di somma è sta-to elevato a 10.000 euro, da aggiornare ogni tre anni (art.131). Sulla determinazione presidenziale dell’addebito deve essere sentito il P.M., il cui parere è obbligatorio. Pertanto, nel caso che la richiesta di condanna sia mantenuta entro detto limite, l’atto

di citazione deve contenere anche l’avviso del P.M. sull’entità della riduzione dell’addebito.

5. Il giudizio sui conti

La parte III del Codice tratta del giudizio sui conti, che devono essere presentati alla chiusura dell’e-sercizio annuale o, comunque, alla cessazione della gestione (art. 139).L’art. 141, c. 1 disciplina le ipotesi di promozione del giudizio da parte del P.M., che viene deciso dal giudice monocratico entro 30 giorni dal deposito del ricorso (comma 4). Avverso il suo decreto si può proporre gravame al collegio entro il termine fissato dalla sezione (art. 142) ed è definito con sentenza non appellabile (art. 144).Ove il conto chiuda in pareggio e risulti regolare, il giudice propone il discarico del contabile; il pre-sidente trasmette la relativa relazione al P.M. che esprime il proprio avviso nei successivi 30 giorni, superati i quali il presidente ordina il discarico del conto (art. 146).

6. Il giudizio cautelare

È anche disciplinato il procedimento cautelare (art. 161 e segg.), quando si lamenti un pregiudi-zio grave e irreparabile derivante dall’esecuzione dell’atto impugnato. In particolare, nell’udienza di discussione il giudice, sentite le parti provvede con ordinanza in camera di consiglio all’accoglimento o al rigetto della domanda. Contro l’ordinanza è ammesso reclamo da proporsi entro 15 giorni dal-la pronuncia in udienza o dalla comunicazione/notificazione, se anteriore (art. 162). All’udienza di discussione il giudice interroga liberamente le parti presenti e tenta la conciliazione, o, se questa viene rifiutata, fissa altra udienza nei dieci giorni successivi concedendo alle parti un termine peren-torio non superiore a 5 giorni per il deposito in segreteria di note difensive (art. 164). Quindi pro-nuncia sentenza dando lettura del dispositivo; ove la fattispecie risulta complessa, fissa nel dispositivo un termine non superiore a 60 giorni per il depo-sito della sentenza.Infine, la Corte dei conti giudica su giudizi ad istan-za di parte, tra i quali i ricorsi a titolo cautelativo, su stipendi o altri emolumenti di funzionari o in mate-ria di contabilità pubblica (art. 172 e segg.).

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Cap. IVIl Giudizio di appello

1. Appellabilità delle sentenze di I grado delle Sezioni regionali

Gli artt. 177 e ss. prevedono i mezzi di gravame, quali l’appello, l’opposizione di terzo la revocazione e il ricorso per cassazione per i soli motivi attinenti alla giurisdizione.A Roma hanno sede le Sezioni centrali a cui il D.L. n. 453/1993 ha attribuito competenze di appel-lo, attualmente in numero di tre, con competenza promiscua su tutti gli appelli contro le sentenze di primo grado delle sezioni regionali. Esse giudicano in numero di cinque magistrati, compreso il presi-dente. A Palermo ha sede una sezione d’appello per la Sicilia, istituita con D.Lgs. n. 200/1999.L’appello ha effetto devolutivo, per cui l’oggetto di cognizione del giudizio di primo grado si trasferi-sce a quello d’appello, nei limiti di cui ai motivi di impugnazione, mentre le domande non accolte in primo grado, se non espressamente riproposte, s’in-tendono rinunciate (art. 346 c.p.c.). Non sono am-messe domande né eccezioni (o documenti) nuove, tranne quelle rilevabili d’ufficio e neppure il richia-mo per relationem alla comparsa di costituzione del primo grado (art. 193 del codice). Se proposte, le nuove domande sono dichiarate inammissibili d’ufficio. Non sono ammessi nuovi mezzi di prova né possono essere prodotti nuovi documenti (art. 194). Le domande e le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado, che non siano riproposte in appello, s’intendono rinunciate (art. 195). In casi particolari, indicati all’art. 199 del codice, il giudice d’appello deve disporre il rinvio al giudice di primo grado.L’appello dichiarato inammissibile o improcedibile non può essere riproposto, anche se non è decorso il termine fissato dalla legge (art. 198).È anche previsto che un terzo possa fare opposizio-ne contro la sentenza esecutiva pronunciata tra altri soggetti quando essa pregiudica i suoi diritti. Gli aventi causa e i creditori di una delle parti possono fare opposizione alla sentenza, quando la stessa è l’effetto di dolo o collusione a loro danno (art. 200).

2. Pronunce appellabili. Legittimazione e parti in appello

Sono oggetto di appello le sentenze delle Sezioni giurisdizionali regionali in tutti i tipi di giudizio,

compreso quello pensionistico. Sono appellabili an-che i provvedimenti emanati in forma di ordinanza, se l’appello è consentito per soli motivi di diritto nella sostanza contengono decisioni di tutta o parte della controversia. Nei giudizi in materia di pensio-ni l’appello è consentito per soli motivi di diritto, ma la giurisprudenza ammette anche la deduzione del vizio per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo, in quanto configurante un motivo di diritto.Presupposto dell’appello è l’interesse all’impu-gnazione, che si identifica con la soccombenza. Quest’interesse per il P.M. contabile non viene meno nel caso che la sentenza impugnata abbia ac-colto le conclusioni del P.M. di udienza, che siano diverse da quelle presenti nell’atto introduttivo del giudizio, in quanto le conclusioni assolutorie non equivalgono a rinuncia all’azione.La legittimazione ad appellare spetta sia al Procura-tore generale che al procuratore regionale quando il P.M. sia stato parte nel giudizio di primo grado. Il che pone la questione se si tratta di uno stesso po-tere, pur se esercitato disgiuntamente, o di due di-stinti poteri. Appare più plausibile che si tratti dello stesso potere, in coerenza con l’appello civile, con la conseguenza che la notifica dell’appello ad uno dei due uffici di procura fa decorrere il termine bre-ve anche per l’altro e l’appello proposto da uno dei due uffici consuma il potere di proporlo anche per l’altro, ed egualmente dicasi per la decadenza o l’ac-quiescenza (C.d.c., SS.RR., 14.5.2007, n. 2/QM). Il litisconsorzio necessario viene di regola escluso nei casi di responsabilità solidale ed anche in appello. Invero, esclusivo è il potere di azione del P.M., anche se ciò determina un vuoto di tutela incompatibile con l’art. 24 Cost.Del pari, il giudice di appello può eseguire un accer-tamento incidentale di responsabilità nei confronti di soggetti presenti in primo grado (e non anche in appello), solo al fine di determinare le quote di danno da porre a carico dei soggetti in giudizio, senza che tale accertamento possa esplicare effetti sulle posizioni ormai definitive degli assenti (C.d.c., SS.RR., 20.6.2001, n. 5/QM).

3. Forma e termini dell’appello. L’appello incidentale

L’art. 178 del codice fissa in 60 giorni il termine per proporre l’appello, la revocazione, l’opposizione di terzo e il ricorso per cassazione. I termini sono perentori e decorrono dalla notificazione della sen-tenza ed il ricorso nei primi tre casi va depositato

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area III - i principi di buon andamento ed imparzialità della p.a. e la tutela dei cittadini

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nella segreteria del giudice adito, entro 30 giorni dall’ultima notificazione, insieme con la sentenza impugnata e alla prova delle eseguite notificazioni.Il gravame è proposto alle sezioni centrali d’appel-lo della Corte dei conti ed è proposto a cura della parte che impugna e nelle forme stabilite dagli artt. 285 e 286 c.p.c. In pratica il deposito è effettuato presso il ruolo unico e successivamente il gravame è assegnato ad una delle tre sezioni centrali d’ap-pello, secondo criteri predeterminati. La notifica del gravame si considera tempestiva entro il termine è avvenuta la consegna dell’atto all’ufficiale giudizia-rio, che può desumersi dal timbro apposto (C.d.c., Sez. II, 13.5.2008, n. 146). Viceversa, ai fini del de-corso del termine di 30 gg. per il deposito dell’ap-pello si ha riguardo al giorno in cui la notifica si è perfezionata per il destinatario, non da quello in cui essa deve considerarsi compiuta per l’appellante (C.d.c., ss.rr., 21.12.2009, n. 8/QM). Tuttavia qual-che recente pronuncia ha affermato che il termine del deposito decorre dalla data di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario.Il presidente della sezione, su richiesta della parte più diligente, fissa con decreto il giorno dell’udienza e i termini entro i quali provvedere alla notificazio-ne del decreto e al deposito di documenti e memo-rie difensive (art. 181). La parte che abbia ottenuto il decreto di fissazione dell’udienza deve notificarlo all’altra parte entro il termine stabilito (art. 182).Tutte le impugnazioni proposte separatamen-te contro la stessa sentenza, vanno riunite, anche d’ufficio, in un solo processo. L’impugnazione in-cidentale può essere rivolta contro qualsiasi capo della sentenza entro 60 giorni dalla notificazione della sentenza. Le parti contro le quali è stata pro-posta impugnazione e quelle chiamate a integrare il contraddittorio possono proporre impugnazione incidentale anche se per esse è decorso il termine o hanno fatto acquiescenza alla sentenza (art. 184). La riforma o l’annullamento parziale della sentenza ha effetto anche sulle parti della decisione dipendenti dalla parte riformata o annullata (art. 186).L’appello è proponibile tra le parti fra le quali è stata pronunciata la sentenza di primo grado, dal procu-ratore regionale competente o dal procuratore ge-nerale (art. 189).La motivazione dell’appello deve contenere, a pena d’inammissibilità, la precisazione delle ragioni in fatto e in diritto sulle quali si fonda il gravame, con l’indicazione dei capi della sentenza che si intende appellare e delle circostanze dalle quali deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini

della decisione impugnata. La proposizione dell’ap-pello sospende l’esecuzione della sentenza impu-gnata (art. 190). La costituzione in appello avviene secondo le forme e i termini previsti per i procedi-menti in primo grado (art. 191). Contro le sentenze previste dall’art. 102, comma 6, lett. d) del codice, l’appello può essere differito se la parte soccomben-te ne fa riserva entro il termine per appellare (art. 192). Nell’appello non possono essere proposte nuove domande, né nuove eccezioni (art. 193), né sono ammessi nuovi documenti o nuove prove (art. 194). L’appello dichiarato inammissibile o improce-dibile non può essere riproposto (art. 198).

4. Il ricorso per revocazione e per cassazione

Secondo la giurisprudenza, le disposizioni contenu-te nel T.U. del 1934 (artt. 68-70) e nel Regolamento (artt. 106 e segg.) si integravano con quelle corri-spondenti del c.p.c. Ora il codice di giustizia conta-bile, all’art. 202 nello stabilire quando le sentenze in primo grado o in appello possono essere impugnate per revocazione, riproduce pressoché integralmen-te il disposto dell’art. 395 c.p.c., aggiungendovi la facoltà per il P.M. di impugnare per revocazione la sentenza pronunciata senza che egli sia stato senti-to, ovvero quando la sentenza è l’effetto della collu-sione posta in opera dalle parti per frodare la legge (comma 2).La revocazione va proposta allo stesso giudice che pronunciò la decisione impugnata, che, in caso di composizione collegiale, può essere costituito dagli stessi giudici che hanno partecipato alla delibera-zione della sentenza impugnata (art. 204). Si osser-vano, per il resto, le norme di cui agli artt. 202 e ss. del codice.In particolare, l’errore di fatto ha le stesse caratteri-stiche indicate dall’art. 395, n. 4 c.p.c. Si tratta di un errore estraneo al dibattito processuale che riguarda un fatto specifico e incontrovertibile nella sua esi-stenza; non è un errore del giudizio, ma una svista del giudice immediatamente rilevabile dagli atti, senza necessità di particolari indagini (C.d.c., Sez. app. Sicilia, 23.2.2010, n. 45/A).Non è invece un errore oggetto di revocazione quel-lo determinato da un vizio logico o giuridico, quale quello sull’interpretazione della domanda, che ri-guarda l’attività valutativa del giudice (C.d.c., II, n. 368/2008).Quindi, il giudice della revocazione non procede a nuove valutazioni di merito degli stessi fatti, ma ad una valutazione per la prima volta di fatti nuovi

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non controversi e non più controvertibili nel giudi-zio oggetto di revocatoria.Da segnalare che talvolta si è riconosciuto l’erro-re revocatorio nell’omesso esame di domande ed eccezioni delle parti; il che non significa decisio-ne implicita di rigetto, ma sentenza che integra un’omessa pronuncia obiettivamente rilevabile dalla motivazione delle sentenza, come nell’ipo-tesi che il travisamento delle risultanze proces-suali ha condotto il giudice d’appello a ritenere inesistente un fatto e cioè la proposizione degli appelli incidentali, invece esistente (C.d.c., Sez. II, n. 203/2007).Le decisioni in primo grado o in appello possono essere impugnate avanti alla Corte di cassazione ai sensi degli artt. 362 c.p.c. e 111, c. 8 della Costituzio-ne, per i soli motivi inerenti alla giurisdizione; tale ricorso non sospende l’esecutività della sentenza impugnata, salvo il disposto di cui all’art. 209.Se avverso una sentenza definitiva della Corte dei conti sia stato proposto ricorso per cassazione, la par-te che ha proposto domanda di revocazione può fare istanza di sospensione ai sensi dell’art. 205, dando dimostrazione di avere già depositato il ricorso per cassazione contro la sentenza stessa (art. 209).

5. Interpretazione del titolo giudiziale ed esecuzione

Se ai fini dell’esecuzione sorga questione sull’inter-pretazione di una decisione della Corte dei conti, le parti, la P.A. o l’ente interessato possono promuove-re il giudizio di interpretazione del titolo giudiziale, ed il relativo procedimento è regolato dalle disposi-zioni che disciplinano il giudizio ad istanza di parte (art. 211).

Le decisioni definitive di condanna e gli altri prov-vedimenti indicati dall’art. 212, per valere come titolo per l’esecuzione forzata, sono muniti della formula esecutiva.Il P.M. competente per territorio, ottenuta copia della sentenza esecutiva, la comunica all’ammini-strazione titolare del credito erariale, e questa la notifica con la formula esecutiva al condannato, ai sensi dell’art. 137 e ss. c.p.,c., al fine di dare avvio all’esecuzione (art. 213).L’amministrazione titolare del credito erariale, rice-vuta la comunicazione del titolo esecutivo, ha l’ob-bligo di avviare immediatamente l’azione di recu-pero del credito nel modi previsti dall’art. 214, c. 5, sotto la vigilanza del P.M.Trascorsi tre mesi dalla chiusura dell’esercizio finanziario, il responsabile del procedimento è tenuto a trasmettere al P.M. un prospetto infor-mativo con indicazione delle partite riscosse e di quelle che restano da riscuotere, con relativi do-cumenti giustificative (art. 214, c. 8). Si applica-no, inoltre, le norme concernenti il recupero del credito erariale in via amministrativa (art. 215) e l’esecuzione forzata innanzi al giudice ordinario (art. 216).È, infine, previsto il giudizio di ottemperanza avanti al giudice che ha emesso la sentenza di cui è chiesta l’ottemperanza, con le modalità previste dagli artt. 217 e 218 del codice.Particolarmente importanti le norme contenute nell’allegato 3 al Codice concernenti le abrogazio-ni, con particolare riferimento al R.D. n. 1038/1933, agli artt. 1, 2, 3, 6, 7 del d.P.R. n. 260/1998 e dell’art. 7 della legge n. 97/2001, oltre agli altri articoli del pari indicati.