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CRESCITA E DECLINO Studi di storia dell'economia romana Elio Lo Cascio <<L'ERMA> di BRETSCHNEIDER

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CRESCITA E DECLINO Studi di storia dell'economia romana

Elio Lo Cascio

<<L'ERMA> di BRETSCHNEIDER

ELI0 Lo CAscIo

CRESCITA E DECLINO STUDI DI STORIA

DELL' ECONOMIA ROMANA

<<L'ERMA>> di BRETSCHNEIDER

ELIO Lo CAscIo Crescita e declino

Studi di storia delleconomia romana

Copyright 2009 <<L'ERMA>> di BRETSCHNEIDER Via Cassiodoro, 19 - Roma

Tutfi i diritti riservati. E vietata la riproduzione di testi e illustrazioni senza ii permesso scritto dell'Editore.

Lo Cascio, Elio Crescita e declino: studi di storia dell'economia romana I Elio Lo Cascio. - Roma: <<L'ERMA>> di BRETSCHNEIDER, 2009. - 380 p. ; 17x24 cm. (Centro ricerche e documentazione sull'an-tichità classica. Monografie; 32)

ISBN 978-88-8265-562-4

CDD 21, 330.937

1. Roma antica - Economia I. Lo Cascio, Elio

Vo1umepiatoeoni1 contributo del MIUR

SOMMARIO

Premessa . 1

INTRODUZIONE

CRESCITA E DECLINO: L'ECONOMTA ROMANAIN PROSPETTIVA STO-RICA................................................ 5

L' AGRICOLTURA ROMANA TRA AUTOCONSUMO, RENDITA B PROFITTO

I. LA PROPRIETA DELLA TERRA, I PERCETTORI DEl PRODOTTI E DELLA RENDITA ....................................19 La proprietà della terra in Roma arcaica, 20 , - L' emergere della pic-cola proprietà contadina, 23 - Daile fattorie alle villae, dali' auto-consumo al mercato, 26 - Le conquiste transmarine, l'afflusso di ricchezza in Italia e i problemi sociali del II secolo a.C., 35 - Af-fittuari e salariati, 43 - L'Italia e le sue produzioni agricole nell'età dell'imperialismo, 48 - Ii nuovo assetto politico-amministrativo dell'impero e i suoi effetti sull'economia agraria della penisola, 55 - L' evoluzione della proprietà e le opzioni del propritari nel nuovo scenario, 58 - La "crisi" e gli sviiuppi di eta tardoantica, 66

H. OBAERARII (0BAERATI): LA NOZIONE DELLA DIPENDENZA INVARRONE .....................................71

III. C0NsIDERAzI0NI SULLA STRUTTURA E SULLA DINAMICA DELL' AFFITTO AGRARIO IN ETA IMPERIALE ..............91 Premessa, 91 - La varietà delle affittanze e degli affittuari, 92 - Mo-dello africano e modello pliniano, 97 - Dinamica deli' affitto agrario e dinamica della popolazione, 108

IV. L'ECONOMIA DELL' ITALIA ROMANA NELLA TESTIMONIANZA DIPLINIO ........................................115

VI CRESCITA E

POPOLAZIONE E RISORSE

I. POPOLAZIONE E RISORSE NEL MONDO ANTICO............139

La natura della documentazione antica, 139 - Documentazione comparativa, modelli demografici e struttura per eta e per sesso del-le popolazioni antiche, 144 - I numeri assoluti, 150 - La dinamica delle popolazioni antiche, 157

II. IL RAPPORTO UOMINI-TERRA NEL PAESAGGIO DELL'ITALIA ROMANA.......................................... 165

Ill. MOVIMENTI DEMOGRAFICI B TRASFORMAZIONI SOCIALI TRA PRINCIPATO E TARDOANTICO: A PROPOSITO DEL IV CAPITO-LU DI SCHIAVITT'JANTICA E IDEOLOGIE MODERNE DI MOSES FINLEY..........................................179

MERCI, MERCATI E PREZZI

I. IL DENARIUS E GLI SCAMBI INTEP.MEDITERRANBI ......... 195

II. LA VITA ECONOMICA E SOCIALE A POMPEI............... 211

III. Piuzzi IN ORO E PREZZI IN UNITA DI CONTO TRA IL III E IV SEC. D.0 ......................................... 235

IV. CONsIDERAzI0NI SU CIRCOLAZIONE MONETARIA, PREZZI E FISCALITA NEL QUARTO SECOLO ...................... 259

V. MERCATO LIBERO E "COItvIIVIERCIO AMIV11NISTRATO" IN ETA TAR-DOANTICA ........................................ 273

VI. L'APPROVVIGIONAMBNTO DELL'ESERCITO ROMANO: MERCA-TO LIBERO U "COMMERCIO AMMINISTRATO" ............. 287

WEBER B L'ECONOMIA ROMANA

I. WEBER E IL "CAPITALISMO ANTICO ..................... 299

II. L'IMPBRO PATRIMONIALE E LA <<MORTE LENTA DEL CAPITA-LISMO ANTICO>>: L'INTERPRETAZIONB WEBERTANA DEL PAS-SAGGIO DALLA REPUBBLICA AL PRINCIPATO .............317

Bibliografia .......................................... 337 Indice dellefonti ...................................... 369

Indice analitico .......................................377

PREMESSA

I saggi ricompresi in questo volume sono stati pubblicati in un lun -go arco di tempo, a partire dai primi anni '80 del secolo scorso, anche se la maggior parte e stata edita negh ultimi quindici anni Ho ntenuto opportuno riprendere anche qualche vecchio lavoro, dal momento che ml sembrava che bene si integrasse nel disegno complessivo dei carat-teri fondamentali e delle fondamentali linee di sviluppo dell'economia romana che queste pagine vorrebbero presentare. I saggi sono stati rivi-sti e corretti tacitamente, in talune occasioni in misura piü consistente, soprattutto nel caso di qualche significativo mutamento di opinione o per eliminare fastidiose ripetizioni. In parte è stato anche aggiornato (se non aggiunto ex-novo) l'apparato erudito, per tenere conto, entro limiti ovviamente molto modesti, del dibattito successivo alla loro prima usci-ta. Ma non è stata modificata la loro struttura e forma, anche dipendente dalla sede dell' originaria pubblicazione: dunque si troveranno nel libro saggi concepiti per volumi indirizzati (come si dice) a un pubblico colto e saggi pill specificamente rivolti a un pubblico di specialisti. L' ambizio-ne è quella di proporre un quadro certo non sistematico dell'economia romana nel suo divenire, ma che vorrebbe avere una sua coerenza di fondo: un quadro basato su alcune idee forti - la drastica differenza delle economie che precedono la rivoluzione industriale e la transizione ener-getica rispetto a quelle successive, ma perciô anche la loro comparabilità sui piani put diversi; il carattere comunque dinamico delle economie del passato e di quella romana in particolare, ma senza che questo possa si-gnificare il rinvenimento di un percorso rettilineo e necessario. Quel che si vuol proporre è dunque non un modello complessivo e totalizzante, ma un' analisi nei limiti del possibile rigorosamente basata su alcune prese di posizione teoriche di fondo.

I diversi aspetti dell'economia romana presi in considerazione nelle vane partizioni del libro sono 1' agricoltura, il rapporto tra popolazione e risorse, i mercati e i prezzi, senza nessuna pretesa, com'è ovvio, né di esaustività, né di sistematicità. L'aggiunta di un'ultirna sezione, sull'in-terpretazione weberiana deli' economia romana, e motivata dal fatto, in -negabile se si guarda alla storiografia antichistica soprattutto degli ultimi trent' anni, che la lezione weberiana ha suscitato un interesse che va ben

2 CRBSCITA E DECLINO

al di là di quello meramente storiografico: mi è sembrato perciô che i'm-serimento di questa sezione fosse pienamente giustificato in un volume sui caratteri e sull'evoluzione deli'economia romana. Weber continua a essere ancor oggi un interlocutore di rilievo, ed è stato comunque l'ispi-ratore di alcune fra le pin fortunate teorie sulla natura delle economie antiche e sul loro fünzionamento, che hanno dominato ii dibattito scienti-fico. Ii saggio introduttivo, che porta lo stesso titolo del libro, vuol essere una sorta di giustificazione non tanto o non solo di questo stesso titolo, quanto deli' approccio complessivo.

I ringraziamenti vanno anzitutto a Giuseppe Zecchini per avermi pro-posto di raccogliere in volume alcuni dei miei saggi sull'economia ro-mana e per avere voluto accogliere ii volume nella serie del Cerdac, e a Marco Maiuro, a Giovanna Merola e a Gianiuca Soricelli, che ml hanno aiutato nella revisione dei testi originari, suggerendomi opportune inte-grazioni all'apparato delle note a pie di pagina e aila bibliografia. Vanna Merola ha anche curato gli indici. Devo poi sentitamente manifestare la mia riconoscenza, com'è ovvio, a tutti gli amici, troppo numerosi per ci-tarli qui, che nel corsodi moiti anni hanno discusso con me e molte volte hanno manifestato ii loro dissenso sulle mie opinioni spesso eterodosse, a partire da quelli che negli anni '70 a Cambridge attorno alla figura ca-rismatica di Sir Moses Finley e ford della sua impareggiabile lezione si formavano assieme a me come studiosi deile economie e deile società del mondo antico. Ma soprattutto ho un debito di riconoscenza nei confronti di molti dei miei ailievi delle università neile quali ho insegnato, dalia cui intelligente autonomia di giudizio ho tratto continua ispirazione.

Crescita e declino: 1 'economia romana in prospettiva storica è apparso nella <<Rivista di Storia Economica>> n.s., XXIII, 2007, 269-82, e in <<Scienze uma-nistiche>> 2, 2006, 29-41; La proprietà della terra, i percettori dei prodotti e della rendita in G. Forni e A. Marcone (a c. di), Storia dell'agricoltura ita-liana. I. L'età antica; 2. Italia roinana, Firenze, Accademia dei Georgofihi, 2002, 259-3 13; Obaerarii (obarati): la nozi one della dipendenza in Varrone in <<Index>> 11, 1982, 265-84; Considerazionisulla struttura e sulla dinamica dell'affitto agrario in eta imperiale, in H. Sancisi-Weerdenburg, R.J. Van der Spek, H.C. Teitler, H.T. Waffinga (eds.), De agricultura. In memoriam P. W de Neeve, Amsterdam, Gieben, 1993, 296-316; L'economia dell'Italia romana nella testimonianza di Plinio, in Plinius der Jllngere und seine Zeit, hg. v. L. Castagna u. E. Lefèvre, Mtinchen-Leipzig, Saur, 2003, 281-301; Popolazi one e risorse nel mondo antico, in V. Castronovo (a c. di), Storia dell'economia mondiale, I. Dall'antichità al medioevo, Roma-Bari, Laterza, 1996, 275-99; 11 rapporto uolnini-terra nel paesaggio deli 'Italia romana, in <<Index>> 32, 2004, 107-21; Movimenti demografici e trasforinazioni sociali tra Principato e tar-

PREMESSA 3

doantico: a proposito del IV capitolo di Schiavitü Antica e Ideologic Moder-ne di Moses Finley, in <<Opus>> I, 1982, 147-59 (col titolo A proposito del IV cap itolo. di Ancient Slavery and Modem Ideology: movimenti demografici e trasforinazioni sociali tra Principato e Basso Impero); II denarius e gli scambi intennediterranei, in G. Urso (a c. di), Moneta mercanti banchieri. Ipreceden-ti greci e romani dell'Euro, Pisa, ETS, 2003, 147-65; La vita economica e so-ciale a Pompei; in F. Zevi (a c. di), Pompei, II, Napoli, Banco di Napoli, 1992, 113-31 (coltitOlo La vita economica e sociale); Prezzi in oro eprezzi in unità di conto tra ii III e IV sec. d. C., in Prix etformation des prix dans les écono-mies antiques, textes rassembids par Jean Andreau, Pierre Briant, Raymond Descat, Entretiens d'Archéologie et d'Histoire, S. Bertrand-de-Comminges, musde archo1ogique ddpartemental 1997, 161-82; Considerazioni su circola-zione monetaria, prezzi efiscalita nel quarto secolo, in Finanza e attività ban-caria tra pubblico e privato nella tarda antichità: definizioni, norinazione e prassi, Atti del XII Cony. Internazionale dell'Accademia Romanistica Costan-tiniana (Perugia-Spello, 11-14 ottobre 1995), Napoli 1998, 121-36; Mercato libero e commercio amministrato in eta tardoantica, in C. Zaccagnini (a c. di), Mercanti e politica nel mondo antico, Roma, <<L'ERMA>> di Bretschneider, 2003, 307-25; L'approvvigionamento dell'esercito romano: mercato libero o 'comnzercio amministrato'?, in L. de Blois & E. Lo Cascio (eds.), The Impact of the Roman Army (200 BC-AD 476). Economic, Social, Political, Religious and Cultural Aspects, Leiden-Boston, Brill, 2007, 195-206; Weber e il <<ca-pitalismo antico; in M. Losito - P. Schiera(a c. di), Max Weber e le scienze sociali del suo tempo, Bologna, Ii Mulino, 1988, 401-22; L'impero patrimo-niale e la <<morte lenta del capitalismo antico: l'interpretazione weberiana del passaggio dalla Repubblica al Principato, in A. Storchi Marino (a c. di), L'incidenza dell 'antico. Studi in memoria di Ettore Lepore, I, Napoli, Luciano, 1995, 261-79.

INTRODUZIONE

CRESCITA E DECLINO: L'ECONOMIA ROMANA IN PROSPETTIVA STORICA

Le analisi effettuate di recente della composizione degli strati della calotta polare artica e dei sedimenti di bacini lacustri in Svezia, Svizzera e Spagna hanno rivelato che ii grado della polluzione da piombo e da rame deli' atmosfera deli' emisfero settentrionale, in conseguenza delle operazioni di trasformazione del minerale estratto dalle miniere di argen-to e di rame, in un certo periodo del mondo antico, e cioè i quattro secoli a cavallo degi' inizi deli' era cristiana, è stato tale da essere eguagliato solo in un' epoca successiva all' avvio delia rivoluzione industriale'. Ii dato in sé e assai significativo, giacché mostra non soltanto che 1' atti-vita economica nel Mediterraneo unificato da Roma deve essere stata assai intensa, ma piü specificamente che assai elevato deve essere stato ii grado di monetarizzazione deli' economia: la polluzione da piombo è, infatti, un indicatore deli' entità della produzione deli' argento, e dunque delia moneta argentea, mentre la poiluzione da rame indica che anche la produzione di moneta enea deve avere avuto dimensioni assai ragguar-devoli. In ultima analisi ii dato suggerisce che gli scambi commerciali, "lubrificati", per dir così, da un' enorme quantità di moneta, integrata da strumenti creditizi peculiari e notevolmente sofisticati di cui siamo venuti a conoscenza da recenti e meno recenti scoperte epigrafiche e pa-piracee, devono essere stati assai vivaci2.

Lo stesso quadro e peraitro quello che emerge dailo studio dei relitti dei naufragi delle navi onerarie rinvenuti lungo le coste del Mediterra-neo: ii numero dei relitti risalenti a questi stessi quattro secoli è molto put elevato del numero di quelli risalenti a epoca precedente e successiva, ciô che suggerisce che ii volume del traffico commerciale si deve essere at-testato in questi secoli su livelli mai puut raggiunti in seguito. Scambi cos! intensi testimoniano a loro volta una produzione globale molto elevata, spia di elevata popolazione e presumibilmente spia di elevata produtti-

'Riferimenti infra, 195. 2 lnfra, 195 sgg.; DE CALLATAV 2005.

6 CRESCITA E DECLINO

vita: testimoniano, vale: a -dire, l'esistenza di un'economia in grado di produrre un elevato surpius&

Quanto al livello del popolamento delle regioni del Mediterraneo, e segnatamente dellitâlia; Si puô a mio avviso sostenere che l'ipotesi pit aderente al quadro documentario a nostra disposizione parrebbe suggeri-re che la popolazione in eta augustea e nei primi tempi dell'età imperiale deve avere raggiuntollivelli poi raggiunti nuovamente solo assai phui tar-di: per 1'Italia solo nel diciottesimo secolo4.

Ci Si PUÔ chiedere-se, a questa elevatezza della produzione globale e della popolazione rispetto alle eta precedenti e alle eta successive, abbia corrisposto un livello parimenti elevato del prodotto pro capite, ii segnale pitt eloquente, in definitiva,--della individuale prosperità. Che sappiamo del tenore di vita di cut godevano nella multiforme realtà dell'impero sovranazionale e plurietnicoT di Roma i suoi abitanti? Dobbiamo pen-sare che la popolazione elevata dell'impero, fosse, proprio per ii fatto di essere cos! ôlevata, anche malnutrita, sottoalimentata? 0 viceversa potremo individuare in essa una popolazione che vive ben al di sopra della sussistenza7 Due altn "segnali" sono stati individuati di recente attraverso, ancora una volta, 1' ausilio offerto dalle scienze della natura: l'entità, variabile nel tempo, .delconsumo di came di maiale come lo Si

puô stimare dai resti organici delle ossa degli animali; e i dati antropo-metrici sulla statura -media della popolazione, ricavati dalla documen-tazione degli scheletri. Si. tratta di dati che mostrano una coerenza di fondo e che non sono falsificabili con le normali procedure della ricerca storica. Un saggio- recente di Wim Jongman ha raccolto la documenta-zione sino ad oggi pubblicata e proveniente da un cospicuo numero di siti romani, una docurnentazione ovviamente parziale dalla quale non puô dedursi nulia piui che degli ordini di grandezza, e tuttavia abbastanza significativi 5 . Ii consumo di came di maiale sembra incrementarsi, nel complesso del mondo romano, ben pit! di quanto si incrementi la popola-zione. Per quanto riguarda i datiantropometrici gli studi in questi ultimi trent' anni di antropometria storica o auxologia hanno conosciuto un rin-novato sviluppo. Nei dati in questione, raccolti soprattutto in occasione del reclutamento militate, si riconosce un'indicazione significativa del livello nutrizionale, della salute e della generale qualita della vita, non-ché del grado di "social equality": i dati rivelano, in effetti, nel mondo

3 PA1uP 1992; MEIJER 2002; DR CALLATM 2005. 1 L CASCJO & MALANIMA 2005 e rif. ivi. 5 JONGMAN 2006.

INTRODUZIONE

contemporaneo, quanto una marcata diseguaglianza sociale possa essere riflessa sulla differenza di statura. Se confrontati con quelli ricavabili dai resti scheletrici rinvenuti nelle necropoli del mondo antico, essi ci danno un'informazione del tutto inattesa: c'è una netta differenza tra ii livello medio di statura degli abitanti del mondo mediterraneo in eta greca e romana e quello degli abitanti delle medesime regioni nel diciottesimo e diciannovesimo secolo (senza che si possano ascrivere le differenze a fattori genetici). Bisogna per di piü tenere conto del fatto che ii campione antico non riguarda solo giovani reclute, ma individui adulti e sappiamo che la statura nell'età adulta diminuisce gradualmente. Ora, si è notato che la statura media dei coscritti in Italia nel 1854 era di 162,64 cm, vale a dire oltre 5 centimetri inferiore rispetto a quella - di 168,3 cm - che è stato possibile calcolare su un campione di 927 scheletri di maschi adulti rinvenuti in tutta l'Italia e relativi a un arco cronologico che va dal 500 a.C. al 500 d.C. Ii livello di statura antico sarebbe stato eguagliato, in base ai dati relativi alle reclute dell' esercito italiano, solo nel 1956, dun- que con la coorte dei nati nel 19366.

Che cosa siamo autorizzati a dedurre da dati del genere? Apparente-mente una conclusione che parrebbe paradossale: che l'Italia e piü in ge-nerale il mondo mediterraneo nel suo complesso, e quali che ne fossero le differenziazioni regionali, risultava in eta romana, non solo piü affolla-to di gente e, nel suo complesso, piü produttivo, ma anche con un tenore di vita piit elevato di quanto non sia stato in mold periodi della sua storia successiva, e ancora in epoche assai recenti. Ne dedurremo altresI che c'è stato - e ancora una volta quali che siano le differenziazioni regionali e quale che sia l'arco temporale nel quale va collocato nelle diverse aree - un "declino": un declino demografico e produttivo, e presumibilmente anche un declino nel tenoredi vita, un declino da associare evidentemen-te, in ultima analisi, con ii declino del mondo antico sino alla dissoluzio-ne di una organizzazione politica unitaria in occidente.

Ma ne dovremo dedurre; altresI, che c'6 stata anche "crescita" (e tanto "estensiva", vale a dire crescita di quel che possiamo definire il Prodotto Interno Lordo dell'Impero, determinata dal mero incremento della po-polazione, quanto "intensiva", 1' autentica crescita economica, la crescita del prodotto pro capite). Dobbiamo, vale a dire, ritenere che ii mondo mediterraneo non solo nell'ottavo secolo a.C. o nel quinto, ma ancora nel terzo secolo a.C., quando Roma avviava le sue conquiste transmari-ne, non era né altrettanto popolato, né altrettanto "ricco" di tre o quattro

6 KRON 2005.

CRBSCITA E DECLINO

secoli piii tardi, nell'epoca del gibboniano "apogeo". Ne dedurremo pii in generale che quella deli' eta romana è un' economia tutt' altro che im-mobile.

E questa una conclusione che assevera, quant' altre mai, mi sembra, la crisi del paradigma finleyano - a buon diritto definito ancora negli anni ottanta la "nuova ortodossia": un paradigma che ha dominato negli anni settanta e ottanta la discussione sulla natura e sulle "performances" delle economie antiche soprattutto, ma non solo, nel mondo angiosassone. Ii libro di Sir Moses Finley, The Ancient Economy, apparso in Tnghilterra e negli Stati Uniti nel 1973 e subito tradotto in molte lingue (la traduzio-ne italiana fu una delle prime se non la prima in assoluto a comparire), ha avuto un'influenza decisiva nell' orientare ii dibattito scientifico, non solo perché proponeva un quadro di grande coerenza e in termini peren-tori, per nulla sfumati, ma perché mirava a integrare la rapida presenta-zione dei caratteri di quella che il Finley definiva unitariamente appunto l'economia antica nel piii ampio quadro delle economic preindustriali. Interlocutori di Finley erano dunque, e dichiaratamente, non solo quegli antichisti di cui pure egli non mancava di sottolineare lo scarso spessore teorico, ma economisti e storici delle economic piü tarde. Converrà rapi-damente delineare gli elementi del paradigma finleyano 7. Finley partiva dalla constatazione se si vuole banale della distanza che avrebbe separato 1' economia antica dalle economie capitalistiche: mutuando la caratteriz-zazione di questa distanza e dei suoi tratti salienti da Max Weber, da Karl Polanyi, e in definitiva anche dalle vane "teorie degli stadi" in yoga nella letteratura della scuola storica dell' economia, di cui una versione ovviamente del tutto peculiare era lo stesso materialismo storico mar-xiano. Questa radicale distanza portava, prima di tutto, a ritenere sostan-zialmente inutilizzabili per intendere il funzionamento dell'economia antica e i comportamenti e le motivazioni degli attori economici privati e "pubblici", le categoric della scienza economica classica e soprattutto neoclassica, in quanto nata col nascere del capitalismo industriale mo-demo. Finley seguiva sostanzialmente Polanyi nel postulare una netta contrapposizione tra il mondo precapitalistico e ii mondo capitalistico, per ii fatto che nel primo 1' economico sarebbe stato "embedded", "inca-strato", nel sociale e nel politico, laddove il mondo capitalistico avreb-be visto la sua autonomizzazione. (Incidentalmente va detto che si pUè riconoscere nell'insistenza su questa contrapposizione anche un sotter-raneo orientamento sostanzialmente critico nei confronti dell'ideologia

Per quel che segue Lo CASCIO 1991a.

INTRODIJZIONE 9

liberale e per certi versi anche di quella marxista 8). Per un altro verso si evidenziavano le differenze con 1' economia capitalistica in modo netto: si sottolineava ii rilievo fondamentale che avrebbe avuto la produzione primaria e dunque veniva considerato del tutto limitato ii ruolo del corn-mercio e della manifattura, sicché la città antica veniva considerata come città consumatrice (e non c'è bisogno di soffermarsi sulle ascendenze sombartiano-weberiane di questo concetto); si insisteva SU un supposto mancato coinvolgimento nel commercio e nella manifattura delle elites dei proprietari terrieri, che avrebbero mantenuto un'ideologia da rentier (sarebbe mancata, quanto meno nell' elite, una mentalità imprenditoria-le); si metteva in rilievo l'assenza di un'integrazione economica tra le vane aree e di conseguenza l'assenza di una specializzazione produttiva; veniva negata, infine, qualsiasi possibilità di crescita che non fosse legata alla conquista e all'impero, ma che fosse ii prodotto per esempio dell'in-novazione tecnica e della sua diffusione. Per quel che riguarda gli attori economici pubblici Finley negava che si potesse parlare di una "politica econornica" consapevolmente perseguita da un' organizzazione politica antica e contestava gli storici modernizzanti (soprattutto quelli attivi fra le due guerre) che volevano contrapporre politiche "liberali" o "liberiste" a politiche "dirigiste".

In sostanza si individuavano tutta una serie di contrapposizioni tra l'antichità greca e romana e una modernità definita tradizionalmente come 1' occidente grosso modo successivo alla rivoluzione industriale, ma senza attribuire evidenternente alle trasformazioni radicali venute in conseguenza di quest'ultima un valore di discrimine decisivo, se webe-rianamente i prodromi, per non dire il primo emergere, del capitalismo venivano collocati pur sempre assai prima, e senza in definitiva - mi sembra - riconoscere ii salto che separa, in termini qualitativi non meno che in termini quantitativi, la crescita possibile di una "advanced orga-nic economy" (per definirla nei termini felici in cui la definisce Tony Wrigley)' e la crescita venuta in connessione con la rivoluzione indu-striale e con la rivoluzione energetica, con 1' avvento dei combustibili fossili. L' economia antica veniva caratterizzata come quella che si ba-sava su tutta una serie di assenze e su una presenza. La presenza era ovviamente quella della schiavitü, anche se veniva messa in discussione l'utilità euristica del ricorso a categorie come quelle di "modo di produ-zione" e di "formazione economico-sociale", e anche se opportunamente ne veniva messa in rilievo la centralità, rispetto al ruolo che la schiavitü

8 Si vd. ii libro recente di NAFISSI 2005.

Si vd. ora WRIGLEY 2004.

10 CRESCITA E DECLINO

avrebbe assunto nelle autentiche società schiavistiche del Nuovo Mondo, società marginali e periferiche di un mondo assai diverso, ormai avvia-to verso ii capitalismo Le assenze erano queue di una produzione di massa e di un mercato del lavoro libero nella forma del lavoro salaria-to; l'assenza di un orientamento verso ii profitto degli attori economici e 1' assenza di un calcolo razionale e sinanco della stessa possibilità di un calcolo razionale da parte di questi stessi attori; 1' assenza di un' ac-cumulazione diversa da quella appunto consentita dalla guerra e dalla conquista imperiale; 1' assenza di un'integrazione economica, che vuol dire assenza di mercati integrati (e semmai presenza di quel che Finley seguendo Polanyi definiva "commercio amministrato"); infine 1' assenza di una crescita nel senso deli' incremento della produttività e del reddito pro capite, per esempio determinata dall'utilizzazione economica di in-novazioni tecnologiche. L'economia del mondo antico si caratterizzava dunque come un'economia immobile.

Infine c'è un ulteriore aspetto dello scenario delineato da Finley su cui mi sembra opportuno insistere. Veniva negata da Finley qualsiasi possi-bilità di effettiva quantificazione, data l'inesistenza di statistiche antiche (quella che Hugo Jones definiva 1' "ignominiosa yenta") 11 e dato il carat-tere stesso della documentazione antica: scarsa, episodica, inaffidabile. Ne Finley mostrava un grande interesse per le quantificazioni effettuate dagli studiosi della cultura materiale, che sarebbero pervenuti, su queste basi, a conclusioni spesso definitive. B tuttavia 1' asserita impossibilità di quantificazione diveniva inevitabilmente, ma illegittimamente, un vigo-roso argomento a favore dell'ipotizzato immobilismo delle economie an-fiche, nella loro struttura di fondo: dell'assenza di dinamicità. Si faceva equivalere in questo modo, e implicitamente, la pretesa impossibilità di misurare un fenomeno con 1' assenza o con la scarsa rilevanza del feno-meno stesso.

La reazione nei confronti del quadro costruito dal Finley è corninciata ad emergere nettamente già nei pnimi anni '80 e fra i suoi critici piit pe-netranti vanno annoverati alcuni degli studiosi a lui pia vicini. RicorderO, tra gli altri, ii compianto Keith Hopkins (lo studioso che per pnimo ha appunto parlato, e non per caso, di "nuova ortodossia" finleyana) 12, ii quale ha inteso correggere il quadro di Finley su aspetti molto rilevan-ti, che toccano alcuni temi di fondo, anche di carattere metodologico.

'°Vd. pure FINLEY 1980a. JONES 1948, 3.

12 HOPKINs 1983, 1X-XXV; Si vd. in particolare HoPKINs 1978 e HOPKINS 1980; H0PIUI'Is 1995/6.

INTRODUZIONE 11

Tipico ii caso deli'impossibilità di quantificazione (quell'impossibilita - detto tra parentesi - che consentiva a Finley di ignorare totalmente nella costruzione del suo modello interpretativo la dinamica dernografi-ca). Attraverso un'astuta considerazione di ciô che è quantificabile nella documentazione materiale e il ricorso a quel che viene definito ii "para-metric modelling", Hopkins ha recuperato, nello studio di aspetti rilevan-ti deli' economia romana, quella dimensione diacronica sostanzialmente assente in Finley. Questa stessa dimensione è, peraltro, quella che emer-ge con maggiore nettezza nelle posizioni deli' antichistica italiana soprat-tutto di orientamento marxista, che si sono espresse nei lavori, di signifi-cato epocale, del gruppo di antichistica dell'Istituto Gramsci: dai volumi su Società romana e produzione schiavistica a quelli su Società romana e impero tardoantico 13 . Ii modello finleyano è stato messo in discussione in modo radicale soprattutto da Andrea Carandini e dalla sua scuola 14 . Va tuttavia osservata una parziale adesione da parte degli studiosi italiani del Gramsci ad alcuni elementi del paradigma finleyano e a uno in partico-lare: l'idea secondo la quale solo con 1' avvento del capitalismo moderno si sarebbe avuta 1' "autonomizzazione" dell'economico dal sociale e dal politico (di qui 1' accusa di economicismo a quei critici di Finley che sva-lutanola significativita di questa contrapposizione o che non aderiscono ail'idea di Polanyi, e dei critici dell'economia di mercato, della "grande trasformazione"); o ancora il rilievo attribuito alla presenza e anzi alia centralità della schiavitü nel determinare l'ideologia dei ceti dominanti e le "risposte" dei ceti subalterni nel mondo antico.

Oggi le posizioni critiche nei confronti del modello finleyano si 50110

moltiplicate, come tra 1' altro emerge, per un verso, da numerose opere collettive su aspetti specifici - sui commerci e i mercanti, sui "mercati" e sul loro funzionamento, sul ruolo della moneta e del credito, suil'in-fluenza esercitata dall' azione delle autorità pubbliche su produzione e commercio, sul ruolo economico delle città, sull'innovazione tecnica e sul suo rapporto con la crescita'5 - e per un altro verso da un'altra opera coilettiva appena uscita, la nuova Cambridge Economic History of the Greco-Roman World, che tuttavia si pone come finalità quella di superare 1' opposizione giudicata sterile tra finleyani e antifinleyani,

' GIARDINA e SCHIAVONE (a c. di) 1981; GIARDINA (a c. di) 1986. 4 Si vd. tra i suoi vari contributi quelli raccolti in CARANDINI 1988b. ° PARKINS & SMITH (eds.) 1998; Lo CAscIo (a c. di) 2000b; Lo CAscIo (a c. di) 2003; Lo CAscIo

& RATHBONE (eds.) 2000; MATTINGLY & SALMON (eds.) 2001; PARKINS (ed.) 1997; Lo CASCIO (a c. di) 2006; vd. pure alcuni dei saggi ricompresi in de BLOIs & RICH (eds.) 2002; SCHEIDEL & VON REDEN (eds.) 2002; BANG, IKEGUCHI, ZICHE (eds.) 2006.

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tentando di costruire un nuovo e piü sofisticato apparato concettuale per interpretare le caratteristiche peculiari delle economie antiche 16• Le posizioni critiche ed anche quest' ultima impresa si riconducono in larga misura auna presa di posizione metodologica di fondo: 1' affermazione non solo della legittimità, ma dell'utilità euristica di una considerazione comparativa deli' economia ellenistico-romana (pitt che di quella greca) e di altre economie preindustriali, tanto deli' Occidente europeo, quanto deli' Oriente asiatico. La finalità fondamentale, se posso dir così, del ii-bro di Finley, in parte dipendente anche dal suo carattere di libro rivolto anzitutto a un pubblico, come si è già avuto occasione di notare, di non antichisti, era di spiegare, di fronte al "modernismo" volgare e facile, dominante negli studi sull' economia antica al suo tempo, la natura della radicale differenza tra economie contemporanee ed econome antiche. Ma, paradossalmente, in questo esercizio, Finley seguiva Weber nello svalutare di fatto ii carattere epocale delle trasformazioni poste in essere dalla rivoluzione industriale e dalla rivoluzione energetica, e dal venir meno delle economie agricole tradizionali. Finley, in sostanza, seguen-do Weber, allontanava troppo l'economia imperiale romana dalle eco-nomie piiI sviluppate dell' Occidente europeo, come quella deli' Olanda e dell'Inghilterra prima della Rivoluzione industriale, perché avvicinava troppo queste ultime alle economie nate dalla Rivoluzione industriale stessa 17: economie radicalmente diverse per la brusca accelerazione che ne è derivata del tasso di crescita del prodotto pro capite, per la drastica riduzione del settore primario, per la moltiplicazione delia quantità di energia. a disposizione.

La revisione oggi in atto nello studio deile economie antiche e Se-gnatamente di quella imperiale romana parte dunque dal presupposto di una similarità nella struttura di fondo delle "economie organiche" del passato e dunque di una loro comparabiiità. Ma inevitabilmente parte anche dal presupposto che ii mondo preindustriale nel suo compiesso è stato tutt' altro che immobile: ha conosciuto importanti episodi di cre-scita, come per esempio quello che ha caratterizzato l'Inghilterra tra il diciassettesimo e ii diciottesimo secolo, e sino al 1760, vale a dire prima dell' avvio della Rivoluzione industriale stessa. Oggi si parla, come recita ii titolo di un libro divenuto familiare anche agli studiosi dell' economia del mondo antico (deil'economista e storico economico Eric Jones) di una "Growth recurring" 18: una crescita, come si è detto, attestata anche

16 SCHEIDEL, MORRIS, SALLER (eds.) 2007. 17 Si vd. quanto osserva PLEKET 1990, 27 S. 11 E.L. JONES 2000.

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prima della Rivoluzione industriale e in regioni estranee all' Occidente europeo le cui origini, caratteristiche e modalità per certi versi sarebbe-ro addirittura comparabili a queue che hanno caratterizzato, certo con infinitamente maggiore velocità, la crescita delie nazioni europee a par-tire dal diciannovesimo secolo. Un aitro storico dell'economia, studioso della Cina, Kenneth Pomeranz, si è chiesto, in un suo libro anch' esso divenuto familiare agli studiosi delle economie antiche, che cosa abbia determinato la "great divergence" tra i'Europa nordoccidentale e 1'Asia orientale al momento deli' avvio di una crescita industriale sostenuta, no-nostante la presenza di sorprendenti similarità tra Europa e Asia, ancora visibili alla metà del diciottesimo secolo; e ha riconosciuto nelia dispo-nibilità e nell'uso del carbone fossile, per un verso, nel commercio col Nuovo Mondo, per un altro verso, le ragioni del decollo 19• In questa sede non interessa ovviamente entrare nel merito di un simile problema. In-teressa piuttosto ribadire ancora una volta che ii cammino piii fruttuoso da seguire nello studio deli' economia romana e, per un verso, quello che passa per un programmatico ricorso al materiale comparativo, per un altro verso, quello che consiste nell'inventare nuovi modi di analizzare la documentazione soprattutto materiale, alla ricerca di quei segnali che indichino il cambiamento tanto nelia direzione della crescita, quanto nel-la direzione del declino.

Quest'ultimo è un punto decisivo, a me sembra. Ii dibattito che si è svolto a partire dalla pubblicazione del libro di Finley ha ripreso i termini della vecchia controversia che oppose Karl Bticher a Eduard Meyer, la cosiddetta controversia primitivisti-modernisti, in un aspetto essenziaie: Si SOflO continuate ad aifrontare due maniere diverse di concepire 1' evo-luzione economica complessiva deil'occidente: in chiave lineare e in chiave ciclica. La teoria bücheriana di una successione di stadi, di Stufen, dali' "economia domestica chiusa", tipica dell' antichità e deli' Alto Me-dioevo, all' "economia cittadina", tipica del Basso Medioevo, all"econo-mia nazionale", tipica del mondo moderno, differenziantisi fra di loro in base al numero di passaggi attraverso i quali ogni prodotto perveniva dal produttore al consumatore, era una delle tante teorie degli stadi elaborate dalla scuola storica dell'economia20 . Una simile teoria, come le altre te-one degli stadi, concepiva 1' evoluzione economic a dell' occidente come lineare o linearmente progressiva. Per Meyer viceversa quella che egli definiva "1' evoluzione storica universale" aveva carattere ciclico. Non casualmente Meyer insisteva sulle analogie che, a suo avviso, la storia del

' POMERANZ 2000. 20 Si vd. Lo CASCIO 1991a, 313 sgg.

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mondo antico greco-romano presentava con la storia europea dal quattor-dicesimo al diciannovesimo secolo: e l'insistenza su un tale confronto è visibile nel piü grande fra gil storici modernizzanti del ventesimo secolo, Rostovtzeff. La persistenza del contrasto fra le due concezioni si pUÔ dire che sia, in qualche misura, implicita nello stesso affascinante tentativo da parte di Aldo Schiavone di interpretare in parallelo l'evoluzione di Roma antica e quella dell'occidente moderno 21 . Ii parallelismo è insi-stito, ed esplicito: ma paradossalmente proprio per arrivare a negare una prospettiva in qualche modo ciclica, per ribadire la sostanziale "alterità" dell'evoluzione verso la modernità dell'Europa medievale e moderna ri-spetto agli sviluppi del mondo antico: per ribadire la natura di "storia spezzata", di tentativo abortito che hanno le apparenti anticipazioni nel mondo romano di sviluppi che caratterizzeranno l'occidente europeo. Caratteristico, e illuminante, è in Schiavone ii rovesciamento della for-mula di Rostovtzeff. Rostovtzeff aveva sostenuto che le differenze tra i conseguimenti dell'economia imperiale romana e quelli delle economie dell'Europa modema andavano poste su un piano esciusivamente quail-titativo. Per Schiavone il confronto sul piano quantitativo non va neces-sariamente a scapito del mondo romano, ma egli insiste, tutt'al contrario, sulle differenze su un piano qualitativo. E l'elemento che giustifica in ultima analisi perché ii pur possibile "decollo" non vi sia stato è ii rilievo che avrebbe avuto la schiavitü nel dar forma alla struttura economica del mondo romano. Ii fatto è che Schiavone, pur cos! influenzato dal genera-le quadro delle economie antiche che Weber aveva proposto in relazione al problema dell'origine del capitalismo moderno, non è forse disposto a condividere il giudizio che Weber dava nella chiusa della sua opera for-se piü significativa sull'economia romana: "II continuum dello sviluppo meditenaneo-europeo non ha conosciuto finora né 'cicli' in sé conclusi, né un andamento 'rettilineo' univocamente orientato. A volte è capitato che taluni fenomeni della civiltà antica di cui si erano perse completa-mente le tracce sono poi riemersi in un ambiente del tutto estraneo"22.

Questo giudizio di Weber mi sembra che meriti tuttora di essere condiviso. Esso ci aiuta, per un verso, a evitare qualsiasi teleologismo nell' apprezzamento dell' evoluzione deli' economia romana, per un altro verso, ci aiuta a ricostruirla, quest' evoluzione, in termini corretti, di di-scontinuità: di crescita, per 1' appunto, e di decino. Un approccio del genere, peraltro, aiuta anche a trarre ii massimo profitto da un'analisi

21 SCHIAVONE 1996. WEBER 1981, 353.

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dichiaratamente comparativa dei conseguimenti dell'economia romana, che valga anche a coglierne le specificità, e su van piani: dai caratteri della produzione primaria, alla diffusione dei rapporti mercantili, all'in-tegrazione progressiva dei mercati, al rapporto cangiante nello spazio e nel tempo tra popolazione e risorse; all' apprezzamento del tenore di vita.

Su tutti questi piani si sono realizzati enormi passi avanti anche attra-verso l'uso di nuovo materiale documentario e innovative maniere di ana-lizzarlo. Gli esempi portati all'inizio mi sembra che mostrino incontro-vertibilmente come, su un piano meramente quantitativo, c'è crescita e in due sensi: crescita del prodotto lordo complessivo e crescita del prodotto pro capite. La crescita del prodotto complessivo è peraltro legata alla crescita della popolazione. La crescita del prodotto pro capite è indotta anche da una diffusione delle innovazioni e del loro uso (basti ricordare come le indagini piü recenti siano valse a sfatare un mito storiografico che ha dominato gli studi medievistici, oltre che quell antichistici: ii mito, vale a dire, di una diffusione del mulino ad acqua nelle regioni europee solo a partire dall'Alto Medioevo) 23 . C'è diffusione dei rapporti mercantili a spese deli' autoconsumo e diffusione della moneta e di stru-menti creditizi sofisticati e di conseguenza drastica riduzione dei costi di transazione, che porta peraltro a una sempre pià accentuata integrazio-ne dei mercati 24 . C'è crescita dell'urbanizzazione e crescita dunque del settore secondario e di quello terziario. C'è crescita del living standard, anche se permangono i limiti posti a una qualsiasi economia "vegetale" od "organica": ciO che rende una considerazione dell'evoluzione demo-grafica essenziale per comprendere 1' evoluzione anche economica e del living standard. L'evoluzione demografica anzi Si pUô considerare che sia quella che condiziona maggiormente l'evoluzione economica sul lun-go periodo nel senso della "crescita".

Ma i'evoluzione demografica condiziona l'evoluzione economica an-che nel senso del "declino" (sul ruolo che giocano in questa direzione le grandi epidemie a partire dalla pestilenza di eta antonina - un ruolo sul quale vado insistendo da mold anni 25 , ml sembra che si Stia realizzando un consenso di massima). Ii fatto è tuttavia che ci sono persino maggiori resistenze ad accettare i'idea di Un mondo romano che conosce una cri-si, una decadenza, un declino. E caratteristico di questi ultimi anni un dibattito vivace, che investe proprio la stessa legittimità del ricorso aila nozione e al termine di crisi e non solo per ciô che riguarda pili specifi-

23 BRUN 2006, e riferimenti ivi; si vd. ora Lo CAscIo & MALANIMA 2008. 24 Lo CAscIo 2005a, e riferimenti ivi; HARRIS 2006.

Infra, II 3; Lo CAscIo 1991b; Lo CAscso 1997c.

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camente l'evoluzione economica del mondo romano. Mi basti rinviare alle sofisticate e acute analisi effettuate in piü sedi di recente da Andrea Giardina sulia valenza con la quale termini quali appunto "crisi", "tra-sformazione", "transizione" sono adoperati, spesso con scarso rigore, in mold degli studi pill recenti sul terzo secolo d.C. e sulia tarda antichità26. Osserverô soltanto, seguendo anche qui Giardina, che queste prospettive revisioniste non sembrano spesso essere sollecitate dalla scoperta e dalla pubblicazione di una nuova documentazione o da un nuovo approccio alla documentazione già nota, che valgano a faisificare la visione tradi-zionale, ma piuttosto da un' opzione ideologica evidente. Non si vuole vedere la "crisi" o, peggio, la "decadenza" o il "declino", anche per l'an-sia di offrire una rappresentazione che Si vuole avalutativa deli' evoluzio-ne del mondo antico: una rappresentazione che di fatto tuttavia esciude la stessa possibilità di qualsiasi evoluzione. Viene negata qualsiasi radi-cale discontinuità, e vengono dunque non tanto considerate arbitrarie le periodizzazioni tradizionali, quanto illegittima una qualunque periodiz-zazione. Pill ancora che per altri aspetti le prospettive revisionistiche tra-discono nel caso deli' evoluzione economica e soôiale ii loro fondamento ideologico. In qualche misura si nega la crisi o ii declino economico per-ché si nega sinanco la possibilità di una crescita, perché si pensa, ancora una volta, a un mondo antico statico, secondo il paradigma finleyano. Ma se il mondo preindustriale è un mondo non immobile e se la "growth" puô essere "recurring" vorrà parimenti dire che si dànno logicamente anche periodi nei quail non solo tale crescita viene meno, ma si innesca-no meccanismi recessivi, che è legittimo definire come indicativi di una "crisi", e in uitima analisi che si avvii un declino.

26 A GIARDINA, L'Italia, it modo di produzione schiavistico e i tempi di una crisi, in GIARDINA 1997, 233-64; GIARDINA 1999.