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CULTURA www.patrimonidarte.com Ulisse e l’ardore della conoscenza

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CULTURA

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Ulisse e l’ardore della conoscenza

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Editoriale

L’Ulisse di Omero

L’Odissea è il poema che il grande cantore Omero de-dicò al personaggio di Odisseo, nome greco di Ulisse. Nato ad Itaca da Anticlea e Laerte, sposò Penelope da

cui ebbe il figlio Telemaco. Nonostante tenti di passare per pazzo, fingendo di arare la spiaggia spargendo sale, è costretto a partire per partecipare alla guerra di Troia. La sua avversione per la partenza è dovuta al fatto di aver consultato un oraco-lo che gli ha predetto che sarebbe tornato a casa solo dopo vent’anni dalla partenza dopo lunghe peripezie. È Ulisse a con-vincere, con Diomede, il Pelide Achille a partire per la Guerra di Troia abbandonando la sua sposa che morì di crepacuore. È sempre lui ad ideare il Cavallo di Troia, ingannando i ne-mici e riuscendo così ad entrare in città e a darla alle fiamme.

“L’uomo ricco di astuzie raccontami, o Musa, che a lungo errò dopo ch’ebbe distrutto la rocca sacra di Troia”.

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L’OdisseaSe nell’Iliade Ulisse è

un personaggio impor-tante, ma non principale,

l’Odissea è invece il suo poema, dove sono narrate peripezie ed accadimenti che si susseguono nei vent’anni di viaggio di ri-torno, pellegrinaggio scandito da ben dodici soste. Dopo esser scappato da Troia,

Ulisse incontra diversi perso-naggi, tra i più famosi sicura-mente vi è il ciclope Polifemo, abitante dell’omonima isola, che imprigiona il navigatore greco e i suoi compagni, che troveranno la libertà solo gra-zie ad uno degli inganni del protagonista. Successivamente avviene l’incontro con il dio

Eolo che dona ad Ulisse un otre da non aprire assoluta-mente. Purtroppo, i suoi com-pagni di viaggio non ascoltano il consiglio ed aprono il con-tenitore facendo uscire tutti i venti e spingendo alla deriva la nave che era ormai prossima ad Itaca.

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First StepSuccess Business

Altro personaggio noto dell’epo-pea è Circe, la maga che tra-sforma i compagni di Ulisse in animali per poi essere smasche-rata dallo stesso protagonista che aveva ricevuto consiglio dal dio Hermes su come sconfiggerla. I due intessono una relazione che

dura circa un anno, ma poi il desiderio dei compagni di Ulisse di ripartire per tornare in patria spinge l’uomo a riprendere il mare, ma solo dopo esser sce-so agli inferi ed aver incontrato l’indovino Tiresia.

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Partito dall’isola di Eea, Ulisse si ritrova ad affrontare il canto insidioso delle sirene. Grazie al consiglio di Circe, che gli aveva suggerito di indossare tappi di cera per sfuggire alla loro ingan-nevole voce, si fa legare all’al-bero della nave ed esce indenne dall’incontro. Dopo è la volta di Scilla e Cariddi, ed infine Ogi-

gia, residenza della ninfa Calip-so che si innamora di Ulisse e riesce a tenerlo legato a sé per ben sette anni. Ulisse è dispera-to ed è solo grazie all’intervento della dea Atena, che intercede presso Zeus per inviare Ermes a convincere Calipso a lasciar partire l’uomo, che egli prende di nuovo la via del mare.

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Arriva così all’isola dei Feaci, dove viene rifocillato e salvato da Nausicaa figlia di Alcinoo. Ulisse si reca alla corte del re e racconta le sue avventure per poi far finalmente ritorno ad Itaca grazie ad una nave donata proprio dal sovrano.

Arrivato ad Itaca Ulisse non ri-vela subito le sue sembianze, ma si traveste da mendicante e solo in seguito smaschera la sua identità al figlio Telemaco. Sempre sotto le mentite spo-glie del mendicante, Ulisse en-tra nella sua reggia e si trova circondato dai Proci che im-portunano costantemente la

moglie Penelope per usurparne il trono. Partecipa così alla gara con l’arco organizzata proprio da Penelope per scegliere il suo prossimo sposo, e la vince riu-scendo a tendere l’arco che era suo e far passare la freccia fra dodici scure allineate. Così ha luogo la sconfitta dei Proci per mano di Ulisse e il successivo ricongiungimento con la mo-glie Penelope, non prima però di aver passato la prova del ta-lamo nuziale, che la donna gli chiese di spostare: Ulisse rispose che quanto richiesto non pote-va avvenire in quanto il letto era stato intagliato direttamente in una pianta di ulivo.

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DopoItacache ne fu diUlisse?

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Degli ultimi viaggi di Ulisse purtroppo non ci è rimasto al-

cun racconto epico scritto in antichità, consentendo ad au-tori successivi di ipotizzare e speculare sulla morte dell’eroe. Plinio il Vecchio sostiene che Ulisse morì di vecchiaia; lo Pseudo-Apollodoro narra in-vece che Telemaco, preoccupa-to delle rivelazioni dell’oracolo che sosteneva che l’eroe sarebbe morto per mano del figlio, de-cise di recarsi in esilio sull’iso-la di Cefalonia. Purtroppo la profezia si avvererà comunque perché Ulisse verrà ucciso da

Telegono il figlio avuto dalla maga Circe, arrivato ad Itaca proprio in cerca del padre. L’al-tro grande che prova ad im-maginare una fine per Ulisse è Dante nella sua Divina Com-media: nel canto XXVI, traendo spunto dall’autore latino Ovi-dio, è narrato l’ultimo viaggio di Ulisse verso le Colonne d’Er-cole. Arrivati in prossimità della montagna del Purgatorio l’eroe e i suoi compagni vengono in-ghiottiti da un vortice marino che distrugge la nave non la-sciando spazio alla sopravviven-za.

DopoItacache ne fu diUlisse?

La morte di Ulisse

Sulla morte di Ulisse non ci sono notizie certe: Ome-ro ne parla nell’undice-

simo canto dell’Odissea quan-do fa predire il futuro dell’eroe greco dall’indovino Tiresia, il quale gli dice che la sua morte verrà “ex halos” ossia “dal mare” o “lontano dal mare”. Gli viene predetto inoltre che viaggerà

oltre le Colonne d’Ercole, arri-vando a scoprire una nuova ter-ra, tanto diversa dalle allora co-nosciute. Tornerà ad Itaca solo dopo aver piantato il suo remo e fatto sacrifici a Poseidone. In terra natia morirà dopo aver vissuto una tranquilla vecchiaia, con una lieta dipartita.

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ULISSEE LA DIVINA COMMEDIA

I FRAUDOLENTIInf. XXVI

Siamo nell’ottava bol-gia dell’ottavo cerchio dell’Inferno dove vengo-

no puniti i consiglieri di frode, ovvero gli uomini importanti a livello politico o militare che conseguirono le loro vittorie non in battaglia o per valore personale, ma grazie all’astu-zia usata senza scrupolo alcuno. Secondo Dante l’ingegno di cui erano dotati questi uomini era un dono di Dio che usarono, loro malgrado, con spregiudi-catezza per sete di conoscen-za, senza essere guidati nei loro giudizi dalla virtù cristiana e perciò giunsero alla perdizione.

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L’inizio del canto è de-dicato ad un’invettiva contro la città di Firen-

ze, riprendendo il canto pre-cedente dove Dante ha cono-sciuto cinque ladri fiorentini, vergognandosi che il nome del-la sua città fosse negativamente noto all’Inferno per colpa di al-cuni malfattori. Il Sommo Poe-ta predice però per Firenze un futuro dove essa subirà la giusta punizione per essere caduta nel-la perdizione e spera che essa ar-rivi presto poiché seppur giusta ne soffrirebbe maggiormente se accadesse quando già anziano.

DANTEcontro Firenze

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I consiglierifraudolenti

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Dante e Virgilio lasciano la settima bolgia inerpican-dosi sull’erto cammino aiutandosi anche con le mani per percorrere il periglioso percorso che li conduce al

ponte. Arrivato in cima, guarda in basso e comprende quanto la virtù sia necessaria al fine di calmierare gli impulsi dell’inge-gno e non farsi sopraffare da esso. Il Poeta si sporge dal ponte e vede una miriade di fiamme muoversi convulsamente sul fondo dell’ottava bolgia, non riuscendo a distinguere singolarmente i peccatori. Dante si sporge talmente che per poco non cade, aggrappandosi per salvarsi ad una sporgenza rocciosa. Virgi-lio gli spiega quindi che dentro ad ogni fiamma vi è l’anima di un peccatore, un fraudolento per ogni lingua di fuoco che per contrappasso ricorda le loro lingue portatrici di frode, nascosti dentro le fiamme per ricordare come in vita nascosero la verità con l’inganno.

I consiglierifraudolenti

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La fiamma a due punteUlisse e Diomede

Dante rimane particolarmente colpito da una fiamma che presenta due punte e chiede a Virgilio chi vi sia dentro a quel fuoco.

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Virgilio racconta perciò al Sommo Poeta che dietro ad essa si celano gli spiriti di Ulisse e Diomede che insieme furono ingannevoli

in vita ed ora dimorano insieme all’Inferno. Unita-mente portarono a compimento l’inganno del Ca-vallo di Troia, raggirarono Achille per convincerlo a partecipare alla guerra e rubarono la Statua del Pal-ladio da Troia.

Il Poeta è trepidante al pensiero di poter parlare con le anime dei due greci e chiede a Virgilio di far av-vicinare la fiamma. Il vate latino invita Dante a far silenzio e spiega che sarà lui a colloquiare con le a-nime che essendo di uomini greci sarebbero proba-bilmente state restie a parlare con Dante. Virgilio si rivolge così alla fiamma e prega uno dei due spiriti di raccontare le vicissitudini riguardanti la propria morte. La punta più alta si muove freneticamente ed emette suoni simili ad una lingua che discorre: è Ulisse, che racconta le sue avventure dopo es-ser partito da Gaeta dove risiedeva presso la Maga Circe. L’Ulisse dantesco non ritorna perciò a casa, ma prosegue nel suo viaggio di esplorazione spinto dal desiderio di conoscere così come era scritto nelle Metamorfosi di Ovidio. Dopo aver navigato per l’intero Mediterraneo giunge insieme ai compagni presso le Colonne d’Ercole, allo stretto di Gibilterra, dove nessun uomo si è spinto oltre.

Ulisse convince i compagni a spingersi oltre le co-lonne, ad affrontare il viaggio alla scoperta dell’emis-fero australe, spronandoli con le celebri parole: “Con-siderate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza”. Passati cinque mesi di navigazione appare loro una montagna più alta di tutte quelle a loro conosciute, la montagna del Purgatorio. Una tempesta proveniente proprio da quel monte fa turbinare la nave fino ad inabissarla portando con sé tutto l’equipaggio compreso l’eroe greco.

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Il Canto XXVI dell’Inferno vede Ulisse come protago-nista indiscusso, il suo per-

sonaggio è il tramite attraverso cui Dante introduce il discorso sulla conoscenza.

La colpa dei dannati di ques-ta bolgia è quella di aver in-gannato grazie all’uso della parola, peccando dunque in-tellettualmente, perdendo il controllo sul loro ingegno, senza mediazione della virtù.

Dante si sente subito molto vi-cino a questi dannati, all’inizio del canto ammonisce se st-esso affinchè tenga sempre il controllo sul suo ingegno, non abbandonando mai la via dell’essere virtuoso. Ulisse è tra i dannati per aver quindi compiuto un peccato di super-bia intellettuale che probabil-mente richiama quello che ha portato Dante a ritrovarsi nella Selva Oscura.

Dante disegna un Ulisse che è molto simile a quello della classicità, abile nel linguag-gio ed estremamente curioso. Ingannevole anche quando, spronando i suoi compagni ad intraprendere il viaggio oltre le Colonne d’Ercole, parla di virtù e conoscenza e di ricerca di valori ben sapendo però che sono parole vane perché spese per una terra disa-bitata. L’eroe greco è spinto dall’egoistico desiderio di sapere trascinando l’intero equi-paggio alla morte per aver infranto i divieti divini. Ulisse rappresenta negativamente chi utilizza la retorica e l’astuzia per scopi illeci-ti, per compiere imprese folli che superano e travalicano la conoscenza sottoposta alle leggi di Dio, l’eroe ha voluto giungere alla conoscenza senza essere sostenuto dalla gra-zia, ma solo con la guida della ragione.

L’Ulisse di Dante

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Questo peccato dal si-gnificato intellettuale è forse lo stesso che ha dato adito allo smarrimento di Dante nella Selva, prob-abilmente causato da un allontanamento dagli ide-ali teologici da parte del Poeta dopo la dipartita di Beatrice, allontanamen-to che lo aveva portato ad avvicinarsi allo studio del-la filosofia.

Il viaggio intrapreso da Ulisse è allora metafora e specchio dello sconside-rato viaggio di Dante negli studi filosofici che hanno rischiato di portare anche lui sulla rotta sbagli-ata, smarrendosi infine nella Selva Oscura. L’uo-mo medievale considera la conoscenza umana come delimitata da precise ed invalicabili leggi divine e chi pensa alla ragione come unica arma per co-noscere è destinato al pec-cato e alla dannazione.

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Il viaggio intrapreso da Ulisse è allora metafora e specchio dello sconsiderato viaggio di Dante negli studi filosofici che hanno rischiato di portare anche lui sulla rotta sbagliata, smarrendosi infine nella Sel-va Oscura. L’uomo medievale

considera la conoscenza uma-na come delimitata da precise ed invalicabili leggi divine e chi pensa alla ragione come unica arma per conoscere è destinato al peccato e alla dan-nazione.

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Ulisse può essere con-siderato il negativo di Dante, simile ma

dall’opposto destino. Sono en-trambi spinti dalla sete di cono-scenza, sono degli esploratori, ma Dante a differenza di Ulisse è guidato in ciò dalla grazia divina, mentre l’eroe greco sfida il vo-lere degli dei anteponendo la sua persona e il suo ingegno. Ulisse è folle perché ha la presunzione di poter cambiare l’ordine costi-tuito del mondo, portando la sua impresa al fallimento, rappresenta così tutti gli uomini che vollero intraprendere il cammino della conoscenza senza considerare i limiti imposti dalla fede religio-sa. Dante si rispecchia perciò in Ulisse, ma in modo negativo, per tutti quei comportamenti che in passato ha tenuto, avvicinando-si alla filosofia, ma che adesso ha abbandonato nel suo percorso per ritrovare la Fede.

In chiusura del canto Dante pone quello che è un avvertimento ai suoi contemporanei affinché non tentino mai di superare i limiti che Dio ha imposto all’uomo, poiché diversamente rischierebbe di perdere qualsiasi possibilità di salvezza e finirebbe irrimediabil-mente dannato come Ulisse.

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