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DONNE CHIESA MONDO MENSILE DELLOSSERVATORE ROMANO NUMERO 67 APRILE 2018 CITTÀ DEL VATICANO Amiche

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D ONNE CHIESA MOND OMENSILE DELL’OSSERVATORE ROMANO NUMERO 67 APRILE 2018 CITTÀ DEL VAT I C A N O

Amiche

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numero 67aprile 2018

CHIARA LUBICH E LE SUE AMICHE

Tra noi scorre sangue di casa, ma celesteFLORENCE GILLET A PA G I N A 3

CHIARA D’ASSISI E AGNESE DI PRAGA

La lingua dello spiritoGABRIELLA ZARRI A PA G I N A 8

UN’AMICIZIA IN UN CAMPO DI CONCENTRAMENTO

Vera ragione di vita nell’o r ro reANNA FOA A PA G I N A 16

UN’ARTE AL MASCHILE

Amiche nel cinemaEMILIO RA N Z AT O A PA G I N A 22

LA S A N TA DEL MESE

Catalina Tomás GallardMARIA GRAZIA CALANDRONE A PA G I N A 26

PAOLO E LE D ONNE

Lidia: guidadella prima Chiesa domestica a Filippi

MARIA PASCUZZI A PA G I N A 29

ARTISTE

L’energia spirituale di un’amicizia puraANNA MARIA TAMBURINI A PA G I N A 36

ME D I TA Z I O N E

Rinascere dall’alto per una vita nuovaA CURA DELLE SORELLE DI BOSE A PA G I N A 39

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CHIARA LUBICH E LE SUE AMICHE

Tra noi scorre sanguedi casa, ma celeste

Umberto Boccioni«Tre donne» (1909-1910)

Per molti secoli l’amicizia è stata considerata un fatto soltanto ma-schile, un sentimento “alto”, catartico, che elevava lo spirito: Achillee Patroclo, Eurialo e Niso, ma anche Davide e Gionata, la letteraturae lo stesso testo biblico ce ne offrono esempi famosi. Le donne ne re-stavano rigorosamente escluse, la loro amicizia non era degna di no-ta, né di essere raccontata, sublimata nei poemi e nei canti. Anchequando il cristianesimo introdusse una concezione più egualitaria delrapporto tra i generi, filosofi e letterati continuavano a dipenderedalla grande tradizione classica in cui, soprattutto nel mondo greco,erano solo gli uomini a nobilitare nelle scuole e nei simposi i loro af-fetti rigorosamente maschili. Uno spazio alle amicizie femminili siapriva però nei conventi, sia nella sorellanza delle monache sia in ca-si eccezionali di legami tra donne fuori dall’ordinario, che restano af-fidati alla loro corrispondenza, come quello di Chiara d’Assisi eAgnese di Praga qui analizzato da Gabriella Zarri.

La rivalutazione delle amicizie femminili, al di là degli stereotipisulla superficialità delle donne, e l’interpretazione dei loro legami intermini di “affinità elettive”, di innalzamento spirituale e culturale,non datano da molto e non sono forse ancora del tutto compiute.Questo numero cerca di cogliere alcuni momenti di questo riconosci-mento: oltre a Chiara d’Assisi, le amicizie spirituali di Chiara Lubichcon le sue compagne; il legame nell’orrore del lager fra due donneeccezionali, Grete Buber-Neumann e Milena Jesenska, la Milena diKafka; le amicizie femminili attraverso l’immagine cinematografica,una finestra straordinaria che ne svela non direi tanto le ombre quan-to le ambiguità con cui sono tuttora percepite dallo sguardo maschi-le. Nell’insieme, un’immagine delle amicizie tra donne che nulla hada invidiare alla forza creatrice delle amicizie maschili: una forza irre-sistibile, capace di reggere il mondo e di cambiarlo. (anna foa)

L’EDITORIALE

D ONNE CHIESA MOND O

Mensile dell’Osservatore Romanodiretto da

LU C E T TA SCARAFFIA

In redazioneGIULIA GALEOTTI

SI LV I N A PÉREZ

Comitato di redazioneCAT H E R I N E AUBIN

MARIELLA BALDUZZI

ELENA BUIA RUTT

ANNA FOA

MARIE-LUCILE KUBACKI

RI TA MBOSHU KONGO

MA R G H E R I TA PELAJA

Progetto graficoPIERO DI DOMENICANTONIO

w w w. o s s e r v a t o re ro m a n o .v ad c m @ o s s ro m .v a

per abbonamenti:d o n n e c h i e s a m o n d o @ o s s ro m .v a

di FLORENCE GILLET

«N on saremo mai capaci di valutare l’aiuto che ifratelli ci danno anche se non ce ne accorgia-mo. Quanto coraggio infonde in noi la loro fe-de, quanto calore il loro amore, come ci trasci-na il loro esempio!».

Chiara Lubich (1920-2008), l’autrice diqueste righe, è mondialmente conosciuta co-me colei che ha saputo trascinare dietro a Cri-sto — perché animata da un potente carismadello Spirito santo — centinaia di migliaia dip ersone;

colei che parla alle folle, intesse rapporti con buddisti, musulmani, èseguita da persone senza convinzioni religiose e ridà, su scala ridottama reale, un soffio di vita alla politica, all’economia.

Come valutare allora l’aiuto che ha ricevuto da molti fratelli e so-relle? Sulla bilancia degli apporti di ogni tipo che hanno reso SilviaLubich, semplicemente “Chiara”, pesa non poco l’amicizia con le sueprime compagne.

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Un giorno, mentre Chiara si ferma a guardarle una a una, le vienein mente una frase del libro dei P ro v e r b i : «La sapienza si è costruitala sua casa, ha intagliato le sue sette colonne» (Proverbi 9, 1). Vedesette giovani donne, ognuna con un suo talento, con una sua geniali-tà, unite tra loro e radicate in Dio. Ecco le sette colonne della sa-pienza sulla quale costruire la casa, ecco i sette colori dell’a rc o b a l e n oche scaturiscono da un’unica luce, l’amore. Sette aspetti dell’a m o reinterdipendenti tra loro, fluenti l’uno dall’altro e l’uno nell’a l t ro .

A Giosi Chiara affida la gestione della comunione dei beni e deglistipendi, nonché la cura dei poveri. È la comunione dei santi in cie-lo, la comunione dei beni sulla terra: il ro s s o dell’a m o re .

A Graziella, affida «la testimonianza e l’irradiazione», l’arancio.Graziella porterà questo spirito negli ambienti più vari, senza mai di-menticare che l’apostolato inizia dal «saper dare la vita per l’a m o rescambievole».

Natalia, chiamata Anzolon, “angiolone”, era stata la prima compa-gna: a lei impersonare il cuore di quest’ideale, il grido di Gesù ab-bandonato da amare per vivere da persone che sanno donare, con illoro solo essere, amore. Porterà questo segreto tra i membri del mo-vimento e oltre la Cortina di ferro. Era la spiritualità e la vita di pre-ghiera, il giallo dell’a rc o b a l e n o .

Tutto è incominciato con una scelta intima e personale: la scelta diDio, e con la consacrazione nella verginità nel 1943 a Trento durantela seconda guerra mondiale. Ma ben presto non è un “io”, ma unsoggetto collettivo che si muove, agisce, comprende, prega e ama:Chiara e le sue prime compagne.

Si chiamano Giosi, Natalia, Valeria, Palmira, Silvana. Avrebberopotuto diventare persone qualunque, invece sono state dei fari neicinque continenti, pescatrici di uomini duemila anni dopo Pietro. Etutto ciò a causa dell’amicizia indefettibile con Chiara Lubich.

Questa storia ha dell’incredibile, eppure è molto semplice. Si capi-sce se si apre il vangelo al capitolo 13 di Giovanni e si legge: «Vi doun comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io hoamato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Giovanni, 13, 34).

Un comandamento praticabile solo insieme, nessuno può viverloin solitudine. Quando, nei rifugi per ripararsi dalle bombe, ascoltanoquesto brano si scambiano uno sguardo d’intesa profonda, mentremisurano l’impegno richiesto dal «come io ho amato voi». Non esi-tano a dichiararsi reciprocamente: «Io sono pronta ad amarti fino adare la vita per te». È un patto che ognuna suggella con le altre. Èla volontà di spazzare via alla radice ogni invidia o competitività, co-sì facili tra donne. Chiara lo considererà l’evento fondamentale dacui tutto è fluito, l’inizio di un nuovo stile di vita, il fondamento, lapietra angolare sulla quale poggerà l’edificio del movimento dei Fo-colari.

Non è certo una cosa inedita nella storia della Chiesa: Agostino,Benedetto, Francesco hanno inserito nelle loro regole di vita l’a m o refraterno. Ma c’è forse qualcosa di nuovo.

Chiara ha il talento della comunicazione, per lei è impossibile chenon circoli tutto tra loro, perciò trasmette alle compagne che tantoama ciò che vive e tutto quanto lo Spirito santo le spira. Così, sullabase del patto vissuto in una fedeltà a volte eroica, il gruppo di ami-che cammina insieme. Sono un’anima sola.

Si può parlare di amicizia? Sono amiche o sorelle? Tra loro c’è unlegame solido come la roccia, e vorrei illustrare con due esempi laqualità di questo rapporto unico di amicizia che valorizza, libera lepotenzialità, sostiene, fa crescere la persona ed edifica un’opera diD io.

Siamo nel 1954. Da quando si erano conosciute a Trento è passatauna decina di anni tra conquiste, luci, amore e gioia, a volte lacrime.A Roma vivono con Chiara Giosi, Graziella, Natalia, Vittoria (chia-mata Aletta), Marilen, Bruna, Giulia (chiamata Eli).

Alcune tra le primecompagne di Chiara Lubich(© Centro santa Chiara

audiovisivi, 2018)

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Aletta sarà ricordata come colei che infuse tra i membri del movi-mento l’impegno del prendersi cura della salute fisica, mentale, spiri-tuale, per essere in grado di formare una comunità unita nell’amore enella pace: lo fece nel Medio oriente in guerra. Chiara le affidò lanatura e la vita fisica, il v e rd e .

A Marilen, che visse quindici anni nella foresta del Camerun inmezzo a una tribù che praticava la religione tradizionale e testimoniòun rispetto incondizionato per la loro cultura, Chiara affidò l’azzur-ro : l’armonia e la casa.

Bruna era un’intellettuale e Chiara la vide come colei che dovevasviluppare l’aspetto degli studi come corredo alla sapienza: l’indaco.A Eli, che stava sempre a fianco a Chiara, curandosi che tutti i mem-bri nel mondo vivessero all’unisono come un solo corpo, fu affidatol’aspetto dell’«unità e mezzi di comunicazione», il violetto.

Ricordiamo poi altre compagne che avranno successivamente deicompiti particolari o andranno nei cinque continenti: sono Dori, Gi-netta, Gis, Valeria, Lia, Silvana, Palmira.

Quasi vent’anni dopo, quando il movimento era ben consolidatoin molte nazioni grazie al lavoro delle sue prime compagne e — nondobbiamo dimenticarlo — dei suoi primi compagni, Chiara stessa vol-le spiegare il rapporto che la legava alle sue compagne nell’intimodella sua casa, del suo focolare:

«La filadelfia (amore fraterno) nel mio focolare è più che una real-tà. È qui che io prendo forza per affrontare le croci di ogni giornata,dopo l’unione diretta con Gesù. Qui l’una si preoccupa dell’altra aseconda del bisogno. Qui si va dalla sapienza comunicata con spon-taneità [...] ai consigli pratici sulla salute, sul vestito, sulla casa, sulmangiare, ad aiuti continui, quotidiani, con sacrifici che spesso nonsi contano. Qui, insomma, sei convinto che non sarai mai giudicatodal fratello, ma amato, scusato, aiutato. Qui il tradimento pur mini-mo non è pensabile. Qui scorre sangue di casa, ma celeste. [...]

Quando poi voglio verificare se la mia è un’ispirazione, se unaconversazione che devo fare a chicchessia, un articolo, è da corregge-re in un punto o in un altro, glielo leggo chiedendo solo il vuoto as-soluto di giudizio. Esse lo fanno ed io sento ingrandita la voce diGesù dentro che mi dice: “Qui bene, qui a capo, qui è lungo, quispiega meglio”. Rileggo con loro il testo e lo troviamo come deside-rato, con gioia di tutte».

Non sorprende allora che, come testamento, Chiara abbia lasciatoai suoi questa semplice frase, pregna però di una lunga esperienza esavoir-faire: «Siate sempre una famiglia».

Chiara Lubichin una fotografia degli anniq u a ra n t a(© Centro santa Chiaraaudiovisivi, 2018)

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CHIARA D’ASSISI E AGNESE DI PRAGA

La linguadello spirito

di GABRIELLA ZARRI

Chiara e Agnese non si sono mai incontrate. Vivevano in paesi lontanie appartenevano a ceti sociali diversi, ma la loro amicizia non può es-sere messa in dubbio. Lo testimoniano quattro lettere superstiti di uncarteggio prolungato nel tempo. Si trattò certo di una amicizia spiri-tuale, di quelle che possono sbocciare e attecchire soltanto tra chi haaspirazioni, ideali, modelli di vita comuni, tra chi ama profondamen-te Dio e lo vede in un altro con cui condivide la tensione a unirsi euniformarsi a lui. Si genera allora una disposizione interiore e unamozione sentimentale che induce uno scambio reciproco di confermanella fede e di sostegno nel dubbio, di condivisione di affetti e diaiuto reciproco nelle eventuali difficoltà. Tutto questo e molto di piùemerge dalle parole di Chiara che saluta con slancio l’amica lontanache ha intrapreso una vita in tutto simile alla sua per poter attuarenel modo più consono il proposito della sequela Christi: seguire Gesùnella povertà e nella rinuncia al matrimonio in vista di una unionepiù alta e più profonda.

Chiara, nata nel 1193, apparteneva a una famiglia nobile di unapiccola città italiana, dotata di una ragguardevole ricchezza. Il desti-

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nuova dimora di San Damiano: un rifugio ancora provvisorio in vistadi preparare la forma di vita da condividere con altre amiche e sorel-le.

Agnese invece giunge più gradualmente alla completa dedizione aCristo. Ha udito dai primi frati minori giunti a Praga il messaggio diFrancesco, da poco morto e subito canonizzato (1226-1228); ha im-piegato parte dei suoi beni nella fondazione di un ospedale per gliammalati e di un convento dedicato a san Francesco per le suore chelo servono; matura poi il proposito di vivere in completa povertà, sulmodello di quanto ha già realizzato Chiara. Riuscirà nel suo intentonon con la fuga ma con una difficile trattativa con la famiglia, inter-mediario il papa stesso, Gregorio IX . Con l’approvazione pontificiaAgnese chiamò a dirigere il convento cinque suore di Trento che se-guivano la forma di vita di San Damiano (1233-1234), altre giovaniboeme si aggregarono a loro e dopo pochi mesi anche la nobile prin-cipessa vi si unì. Provvide allora a spogliarsi di tutti i suoi beni tra-sferendone il possesso alla Santa Sede e ricevendo in cambio il privi-

legium paupertatis che già aveva conseguito Chiara, cioè il consensopapale a non essere costretta ad accettare beni e a vivere soltanto con

no tracciato per lei dal padre Favarone prevedeva le nozze con ungiovane altolocato che potesse consentirle il tenore di vita fino alloragoduto o anche più alto. Certo nulla al confronto dell’amica Agnese,nata a Praga nel 1211, principessa di sangue, figlia del sovrano diBoemia e destinata in sposa al figlio dell’imperatore Federico II diSvevia. La disparità di rango e la lontananza spaziale tra le due gio-vani donne non preclude però un sentire comune. Entrambe educatealla religione cristiana e alla misericordia verso i poveri e i malati,praticano l’elemosina e l’assistenza come innato dovere dei più ricchi,ma questa concezione della carità assimilata in famiglia non rispondepiù al sentire della generazione del loro tempo che vede nei poveriun alter Christus. Seguire Cristo significa allora farsi volontariamentepoveri. Tanto Chiara che Agnese hanno compreso la nuova chiamatadel Signore e hanno visto o conosciuto l’esempio di Francesco. Laloro via è dunque illuminata e tracciata. Prima Chiara fugge di casa,rinuncia alla sua dote per distribuirla a chi ha bisogno, sottolineacon un gesto radicale la sua conversione facendosi tagliare i capellida Francesco. I tentativi del padre di ricondurla a casa sono vani.Anzi di lì a poco anche la sorella di Chiara la raggiungerà nella sua

Ugolino Verino«Vita di Santa Chiaravergine» (miniatura, 1496)

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paupertatis, si pone come saluto alla nobile dama che con la rinunciaai beni terreni e la scelta della verginità è diventata figlia e sorelladella povera suora di San Damiano. L’incipit richiama l’alto rangodella destinataria e la sua condizione attuale di «sorella e sposa delsommo re dei cieli»; a lei si rivolge l’umile e indegna «ancella di Cri-sto e serva delle povere signore».

In questo primo incontro epistolare con Agnese, Chiara mette inluce la disparità di origine tra le due interlocutrici, a cui subentral’espressa ammirazione per la radicale scelta di povertà di Agnese e ilcompiacimento per la comune forma di vita, che consente di supera-re distanze e formalismi. Agnese e Chiara sono ora sorelle e la primaseguace di Francesco assume un ruolo di guida spirituale nei con-fronti di colei che vuole seguirne le orme:

«Allora, sorella carissima, anzi signora degna d’ogni omaggio, per-ché siete sposa e madre e sorella del signore mio Gesù Cristo, fregia-ta del vessillo smagliante della verginità inviolabile e della santissimapovertà, rafforzatevi nel santo servizio, già intrapreso con desiderioardente, verso il povero crocifisso».

Chiara indica ad Agnese il primo e solo modello da seguire: il Cri-sto povero e crocifisso. Francesco di Assisi non è mai nominato né inquesta né nelle altre lettere, anche se l’elogio della povertà che la ba-dessa di San Damiano include nella prima epistola indirizzata adAgnese richiama certo, anche nell’afflato poetico, l’amore del frateminore per la sposa povertà:

«O beata povertà, che procura ricchezze eterne a chi l’ama e l’ab-braccia.

O santa povertà, in quanto il regno dei cieli è senza dubbio riser-vato da Dio a chi desidera averla, insieme a gloria eterna e vitab eata.

O pia povertà, che il Signore Gesù Cristo, lui che reggeva e reggesu terra e cielo, lui che pronunciò una parola e tutto fu fatto, si de-gnò di abbracciare al di sopra di ogni altra cosa».

La seconda lettera inviata da Chiara ad Agnese è di poco posterio-re alla prima ed è scritta in una circostanza specifica, determinata da-gli interventi messi in atto da persone autorevoli per indurla a miti-gare la povertà assoluta che aveva abbracciato. Chiara allora esorta lasorella a non recedere dal primo proposito, «come una seconda Ra-chele, con lo sguardo sempre rivolto al punto di partenza». Patendocon Cristo, la nobile Agnese regnerà con lui e acquisterà per l’eterni-tà la gloria del regno celeste al posto di cose terrene e transitorie.

i proventi del lavoro delle sorelle e con le elemosine. Dopo questieventi Chiara d’Assisi riconosce Agnese di Praga come sorella e figliae le indirizza quelle lettere che costituiscono un monumento di spiri-tualità e di amicizia che ha pochi paragoni nel suo secolo e oltre.

Le lettere di Chiara sono anche un modello di scrittura alta fem-minile. Seguono le regole delle arti nel saluto iniziale e nello stile,superano tuttavia l’impianto formale con contenuti ed espressionidettati da sincerità e affetto. La prima lettera, la cui datazione oscillatra il 1234 e il 1238, anno della concessione a Praga del privilegium

Maestro di santa Chiara(XIII secolo)A pagina 14: Maestroboemo di Praga«Sant’Agnese assistegli ammalati» (1482)

Le spose bambinedella FloridaCredevamo fosseappannaggio deipaesi in via disviluppo, inveceanche in Floridaesistono le sposebambine. Tra il 2012e il 2016 sono infattistate concesse 1828licenze matrimonialiper coppie conalmeno unminorenne, tra cuiuna tredicenne, settequattordicenni e 29quindicenni. E unuomo di oltre 90anni è riuscito asposare unaragazzina di 16. Sedunque fino a metàmarzo non esistevaun’età minima per lenozze laddove vifosse una gravidanzain corso el’approvazione delgiudice, orafinalmente è statoapprovato il divietoper i matrimoni trapersone sotto i 17anni, stabilendocomunque che seminorenne la coppianon debba avere piùdi due anni didifferenza di età, eche vi sia il consenso

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stesso Dio e sostegno delle membra vacillanti del suo corpo ineffabi-le», e la incita a posare il suo cuore davanti alla figura della sostanzadivina per contemplarla e trasformarsi tutta «nell’immagine della suadivinità» che la accoglie nella sua amicizia «così che anche tu sentaciò che sentono gli amici gustando la dolcezza nascosta che Dio findal principio ha riservato a chi lo ama». La deificazione è lo scopodella vita delle sorelle, la scelta della povertà è il primo passo per ac-costarsi a Cristo.

Molto distanziata nel tempo si colloca invece la quarta e ultimalettera inviata ad Agnese. È una lettera di congedo e ha quasi il valo-re di testamento. Chiara è molto malata e morirà di lì a poco assistitadalla sorella. Siamo dunque nel 1253. All’esordio la madre si scusaper il lungo silenzio, causato anche dalla lontananza e dalla mancan-za di latori, ma entra subito nel nucleo essenziale dei suoi pensieri edelle sue esortazioni che si svolgono intorno a due temi: il binomioAgnese-Agnello e il motivo dello specchio senza macchia.

Il primo tema rinvia alle nozze con Cristo che Agnese di Praga,«come l’altra santissima vergine santa Agnese», ha contratto disprez-zando le vanità del mondo e sposando l’Agnello. Il secondo tema èquello dello specchio in cui Agnese deve guardarsi per ornarsi e farsibella «con fiori e stoffe di ogni virtù, come conviene a figlia e sposadilettissima del sommo re». In questo specchio brillano «la beata po-vertà, la santa umiltà e l’ineffabile carità». Queste sono le virtù cheriflettono la vita dello sposo Gesù Cristo: al principio la povertà con-traddistingue la sua nascita, poi l’umiltà si manifesta nelle fatiche epene da lui sostenute per la redenzione, infine la carità è la forza chelo spinge a patire sulla croce e ad affrontare la morte più vergognosa.Agnese guardi quello specchio, si accenda d’amore e implori di esse-re introdotta nella «cella del vino». Segue poi una serie di citazionidel Cantico dei cantici che evocano le nozze mistiche, figura dell’unio-ne mistica con Dio.

La lettera si conclude poi con poche, icastiche parole che riassu-mono il senso, mai prima esplicitato, del lungo rapporto epistolaredelle sorelle e amiche: «Taccia nell’amore per te la lingua della carnee parli la lingua di spirito».

Affetto e condivisione di vita e di aspirazioni contrassegnano l’es-senza di una amicizia spirituale senza tempo.

[le citazioni delle lettere sono tratte dall’edizione a cura di Gio-vanni Pozzi e Beatrice Rima: Chiara d’Assisi, Lettere ad Agnese. La vi-

sione dello specchio, Milano, Adelphi Edizioni, 1999]

dei genitori.P re c i s a z i o n equest’ultima che inrealtà non lasciaaffatto tranquillidato che il più dellevolte sono proprioloro a volere lenozze, specie quandodovrebbero essereriparatrici. Non acaso tra i più accesifautoridell’emanazione diquesto divieto vi èSherry Johnson,afroamericana di 58anni nata in Florida,costretta — app enaundicenne e con unafiglia di un anno — asposare il suostupratore perevitargli il carcere.

Un thrillersenza stuprio donne squartate?«Dato che laviolenza contro ledonne nella narrativaha ormai raggiuntovette ridicole, loStaunch Book Prizeinvita gli autori e leautrici di thriller afarci saltare sullesedie senzarispolverare gli stessivecchi cliché, inparticolare senzausare i personaggifemminili chesubiscono abusisessuali o sono fattifuori (per quantoingegnosamente)»:così si legge sul sitoufficiale del nuovopremio letterario

Anche la terza lettera di Chiara è in risposta a una questione spe-cifica relativa al digiuno, originata da prescrizioni papali che inaspri-vano le usanze stesse in vigore tra le damianite. Agnese si chiese allo-ra quale fossero gli ordini di Francesco. L’epistola è databile intornoal 1237 e la frequenza dei contatti tra le due damianite in questo pe-riodo è comprensibile alla luce della volontà di Agnese di uniformaree dirigere i passi della fondazione di Praga sulle orme di quella diAssisi. Chiara risponde al quesito, ma ben presto le sue parole si ri-volgono al fulcro tematico della sua esortazione amicale. Come ma-dre gioisce per la sapienza e la virtù di Agnese, «coadiutrice dello

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di ANNA FOA

«C i incontrammo nel campo di concentramento fem-minile di Ravensbrück. Milena era venuta a cono-scenza delle mie tribolazioni da una donna tede-sca che era arrivata al campo viaggiando nel suostesso convoglio. (...) Mi venne incontro durantela passeggiata delle “nuove arrivate”, lungo lastretta via tra il retro delle baracche e l’alto murodel campo sormontato da un filo spinato ad altatensione, il muro che ci divideva dalla libertà. Perpresentarsi disse: “Milena di Praga”». Cominciava

così, in un campo di concentramento, l’amicizia tra due donne ecce-zionali, Margarete Buber-Neumann e Milena Jesenska, un’amiciziadestinata a durare, nel campo, fino alla morte di Milena, nel 1944.Margarete Buber-Neumann (Grete) sarebbe invece sopravvissuta eper ricordarla avrebbe scritto una biografia dell’amica, uscita nel 1977.Perché Milena Jesenska era colei a cui Kafka aveva dedicato le letterea Milena. E Milena aveva, in morte di Kafka, scritto un ricordo bel-lissimo di lui.

Vera ragione di vitanell’o r ro re

UN’AMICIZIA IN UN CAMPO DI CONCENTRAMENTO

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zione dal 1939 al 1945 a un centinaio di chilometri a nord di Berlino,che inizialmente conteneva duemila donne, tutte prigioniere politichetedesche e austriache, ma arrivò alla fine a contenerne oltre quaranta-cinquemila. Tranne che in alcuni momenti, in particolare nel periodofinale, le detenute erano in prevalenza politiche, asociali, zingare,donne accusate di avere avuto rapporti con ebrei inquinando la raz-za. Le ebree non superavano il 10 per cento. Il numero delle donneche vi perirono oscilla, a seconda degli storici, tra trenta e novanta-mila. Il numero delle donne che vi furono detenute complessivamen-te supera centomila. A partire dall’autunno 1944, quando le camere agas di Auschwitz smisero di funzionare, il campo fu dotato di una,forse due, camere a gas e funzionò come campo di sterminio.Ravensbrück fu liberato dall’Armata rossa il 30 aprile 1945.

Come capoblocco della baracca delle Testimoni di Geova, Greteportava al braccio una fascia verde che le consentiva una certa libertàdi movimento. Milena, arrivata da poco e posta nel blocco dellenuove arrivate poteva fare una breve passeggiata al giorno, ed è gra-zie a questa circostanza che le due prigioniere cominciarono a vedersiogni giorno, lungo la via stretta che divideva le baracche delle nuovearrivate dal muro del campo, alto e percorso dall’alta tensione, unavia che Milena aveva soprannominato «il muro del pianto». Milenainterrogò a lungo Grete sulla sua storia nella Russia di Stalin, suisuoi rapporti con il comunismo. Era una storia che la interessavamolto come giornalista, ma anche personalmente perché anche lei,come Grete, era passata attraverso l’ideologia comunista e veniva oraboicottata dalle detenute politiche comuniste e considerata una tradi-trice. È questa, del permanere degli odi e delle scomuniche anche neicampi di concentramento, nelle prigioni, al confino, una storia tragi-ca che riguarda tutto l’universo comunista dell’epoca, nei tempi tre-mendi delle purghe di Stalin e dell’accordo tra Unione Sovietica eGermania, ma anche dopo. Non dimentichiamo che Stalin fece de-portare nel gulag la maggior parte dei soldati e degli ufficiali dell’Ar-mata rossa sopravvissuti ai lager perché “sosp etti” di tradimento.

Da questi lunghi discorsi dell’inizio della loro amicizia nasce unprogetto, quello di scrivere un libro insieme una volta liberate dal la-ger, un libro sulle due esperienze di concentramento, il gulag e il la-ger. Lo avrebbero chiamato «L’era dei campi di concentramento».Doveva passare mezzo secolo perché questa prospettiva, da loro divi-nata, divenisse possibile. Inizia così la loro amicizia, destinata a du-rare fino alla morte di Milena, e divenuta per le due detenute unavera e propria ragione di vita nell’orrore del campo. «Quando erava-mo insieme — scrive Grete — Milena e io riuscivamo a tollerare l’in-sopportabile presente. Ma per la sua forza e la sua esclusività, la no-

Era, Milena, una giornalista e scrittrice praghese, nata nel 1896.Quando morì a Ravensbrück aveva quarantasette anni. Margarete eradi tre anni più giovane, era un’ebrea tedesca, comunista. Aveva spo-sato il figlio di Martin Buber (di qui il cognome Buber) da cui avevaavuto due figlie e da cui aveva divorziato nel 1929. Margarete era inquesta fase della sua vita una comunista di ferro, anche le ragioni delsuo distacco da Buber erano nell’allontanamento di lui dal partitocomunista, e in nome della sua ideologia aveva perso le figlie, cheerano state affidate alla suocera e che nel 1938 erano emigrate in Pa-lestina.

Dopo il divorzio da Buber, Margarete aveva sposato un politicocomunista, Heinz Neumann. Nel 1933 fuggirono in Spagna, poi inSvizzera, e infine in Unione Sovietica. Vivevano a Mosca nell’HotelLux, il luogo dove vivevano i comunisti stranieri. Qui nel 1937, nelclima ormai delle grandi purghe, Neumann fu arrestato dalla poliziae fucilato. L’anno successivo anche Margarete fu arrestata e condan-nata a cinque anni di gulag. Fu inviata in Kazakhstan, nel campo diKaraganda. Due anni dopo l’Unione sovietica, ormai stretta alla Ger-mania dal patto Ribbentrop-Molotov, consegnò ai nazisti tutti i tede-schi rifugiati, ebrei o comunisti che fossero. «Ci fermammo tenendolo sguardo puntato sulla sponda opposta del ponte ferroviario chedelimitava la frontiera tra la zona polacca occupata dai tedeschi equella presidiata dai russi. Dall’altra parte un militare stava dirigen-dosi a passi lenti verso di noi. Quando si fece più vicino riconobbi ilberretto delle SS» racconta Margarete Buber-Neumann. Fu così chesul ponte di Brest Litovsk fu consegnata ai nazisti che la spedirono aRavensbrück, campo femminile aperto nel 1939.

Milena Jesenska era una delle figure più note dell’intelligentziapraghese, una sorta di folletto pieno di vita, corteggiata e amata damolti, non solo da Kafka, con cui ebbe una storia infelice e appassio-nata. Entrò anche lei, come tanti altri intellettuali, nel Partito comu-nista, ma se ne distaccò presto e ne fu espulsa nel 1936. Fu una gior-nalista di successo, scriveva per la più prestigiosa rivista di politica ecultura, «Pritomnost». I suoi articoli del 1938-1939 ci offrono unosguardo lucido sulle vicende della Cecoslovacchia, sul tradimentodelle democrazie a Monaco, sull’invasione. Aveva una figlia, JanaHonza. Con l’invasione, Milena si buttò nella resistenza. Ma fu arre-stata nel novembre 1939. Un anno dopo fu inviata a Ravensbrück,dove entrò quindi come prigioniera politica. Ci sarebbe rimasta quat-tro anni, fino alla morte.

Ed è quindi nel lager di Ravensbrück che queste due donne si in-contrarono. Era un campo di concentramento per sole donne in fun-

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inglese, che ammettein gara solo thrillerin cui noncompaiano donne«picchiate, molestate,sessualmentesfruttate, violentate ouccise». Della giuriadel premio, fondatodalla scrittrice esceneggiatriceBridget Lawless,farà parte anchel’attrice e scrittriceDoon Mackichan,che ha realizzatoper la Bbc undo cumentariosull’i n c re m e n t odi violenza sulledonne in tv. Ilromanzo vincitoresarà proclamato ilprossimo 25novembre, inconcomitanza con lagiornatainternazionale perl’eliminazione dellaviolenza sulle donne.«Sicuramente nonsono la sola — hadichiarato Lawless —a essere sempre piùdisgustata da questerappresentazioni diviolenza. Sonorappresentazioni cheampliano, esageranoe normalizzano ciòche accade alledonne nel mondore a l e » .

Istruzione controla tratta in NepalM i g l i o r a rel’istruzione el’occupazione diragazze e donne è la

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Milena Jesenskae Margarete

Buber-Neumannin un fotomontaggio sulle

fotografie delle donneinternate a Ravensbrück

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Anche nel campo, dove era una delle cose più vietate, Milena scri-veva: poesie, lettere a Grete, che poi doveva con suo grande doloredistruggere per evitare che fossero scoperte. Milena scriveva facil-mente, scrisse anche una paginetta di introduzione al libro che pro-gettavano di scrivere insieme. Niente è sopravvissuto di quanto hascritto a Ravensbrück. Nell’inverno del 1943-1944 Milena si ammalògravemente. Grete riusciva a vederla per pochi minuti ogni giorno,di nascosto, e portarle a volte qualcosa da mangiare. Morì il 17 mag-gio 1944 e non fece quindi in tempo a vedere la trasformazione,nell’autunno del 1944, del campo in un campo di sterminio, con lacostruzione della camera a gas dove, come malata, sarebbe certamen-te finita.

Grete sopravvisse e nel 1949 raccontò la sua detenzione nel gulagtestimoniando a favore di Viktor Kravenko nel processo che a Parigioppose lo scrittore russo, autore del libro Ho scelto la libertà, alla rivi-sta comunista «Les lettres françaises». Molti anni dopo, scrisse il li-bro su Milena, uno straordinario omaggio all’amica perduta. Morìnel 1989, nell’anno della caduta del muro di Berlino.

stra amicizia diventò molto di più, si trasformò in aperta protestacontro l’avvilimento. Le SS potevano vietarci qualsiasi cosa, degradar-ci a numeri, minacciarci di morte, ridurci in schiavitù, ma nei senti-menti che provavamo l’una per l’altra Milena ed io eravamo libere,into ccabili».

Approfittando della posizione di maggior libertà di Grete, le duedonne si incontrano quasi ogni giorno, si parlano, si raccontano.Grete aiuta Milena tutta protesa a sostenere il più possibile le più de-boli, le più bisognose, un tratto questo molto forte del suo carattereche non l’abbandonò neanche nel lager. La loro amicizia diventasempre più stretta, mentre intorno a loro il campo diventa semprepiù duro, con l’aumento enorme delle detenute, gli esperimenti medi-ci, e infine, a partire dal 1944, la costruzione di una camera a gas. Leamicizie femminili erano nel campo importantissime, ci racconta Gre-te. Fra le politiche, i rapporti d’amicizia, per quanto intensi, restava-no generalmente sul piano platonico, fra le asociali e le criminali as-sumevano un carattere lesbico, represso con violenza dalle S S.

via maestra pertentare di contrastareefficacemente ilfenomeno della trattain Nepal: lo dicechiaramente suorMarissa Vayalil dellaCongregazione diGesù, da anniimpegnata per lapromozione socialedelle donne nepalesi.«Accrescere laconsapevolezza tra lefamiglie; lavorare pergarantire l’i s t ru z i o n ee perl’emancipazionesociale delle ragazze;promuovere una piùrigida applicazionedelle leggi: in talmodo si può faremolto per prevenireil traffico di esseriumani in Nepal». Lareligiosa è insegnantee amministratore aKathmandu della St.Mary’s SecondarySchool, fondata nel1955 e aperta a tuttele ragazze, aprescindere da statussociale, etnia ereligione. Il trafficodi esseri umani esoprattutto la trattadelle ragazze restauna grande sfida peril paese. I gruppidella società civile ela Chiesa sono moltoimpegnati perarginare il fenomenoacuito da «unaspirale di problemi esociali e politici,come povertà,indigenza einstabilità politica,che complicano laquestione» spiega lare l i g i o s a .

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Il campo di Ravensbrückin una illustrazione

di Olena Wityk Wojtowycz(1988)

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Amichenel cinema

di EMILIO RA N Z AT O

Èil 1986 quando una regista neozelandese fa il suo esordio nel mondo

del cinema: Jane Campion diverrà poi un nome noto e apprezzatodal grande pubblico, ma di quella sua prima pellicola si è persa com-pletamente traccia. Forse anche perché Le due amiche, film bello emalinconico, affronta — per di più raccontato da una donna, rappre-sentando un unicum pressoché assoluto — un tema poco trattato daHollywood, e cioè l’amicizia al femminile.

Non c’è forma d’arte più maschile del cinema: e se soprattutto inpassato la figura della regista donna era poco più di una chimera,ancora oggi resta che il numero delle sceneggiatrici è sorprendente-mente basso. Questa assenza femminile può forse spiegare perché lafilmografia dedicata all’amicizia tra donne sia decisamente esigua?Seppure rari, comunque, e firmati da uomini, i buoni film non sonomancati.

Nel 1939 il regista George Cukor firma Donne, pellicola che ha unaparticolarità più unica che rara: la totale assenza di personaggi ma-schili. Ma Cukor — che pure è passato alla storia come il women’s di-

re c t o r per eccellenza — in realtà in questo caso gira un film neanche

UN’ARTE AL MASCHILE

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spetto da una società dalle vedute ristrette. Anche se poi le protago-niste, tanto nel film quanto nella vita reale, sceglieranno la stradapeggiore per liberarsi da certi vincoli.

Nel 1998 Érick Zonca firma invece La vita sognata degli angeli che,con sensibilità, racconta l’amicizia fra due ragazze che si sostengonoa vicenda a Parigi, in una vita di solitudine e lavori precari. L’arrivodi un uomo completamente diverso da loro, figlio di papà arroganteed egoista, del quale una delle due si innamora perdutamente, svele-rà la fragilità del loro legame.

Un cast completamente al femminile ritorna in Ragazze interrotte

(1999) di James Mangold, ambientato in un istituto psichiatrico peradolescenti. Come sguardo sulla malattia mentale il film è a dir pocosuperficiale, ma come storia sull’amicizia ha momenti toccanti. Ed èinteressante il rapporto che si crea fra la protagonista introversa euna compagna aggressiva, capace però di far emergere nell’altra unasana consapevolezza di sé.

Sfocia nella criminalità anche l’amicizia femminile più nota dellastoria del cinema, ovvero Thelma & Louise (1991) di Ridley Scott.Nella pellicola il rapporto fra le protagoniste è cementato anche daesperienze di violenza subite da parte degli uomini. In particolare, iltentativo di stupro ai danni dell’una risveglia nell’altra il ricordo diuna violenza subita in passato, innescando un desiderio di vendetta.A Scott interessa soprattutto il lato thriller della vicenda, e cercaspesso pretestuosamente le emozioni forti. Ciò non toglie però che ilfilm abbia qualche intenso e persino poetico momento di verità. Esia entrato nell’immaginario di più di una generazione.

troppo velatamente maschilista. Nel racconto di una moglie traditache viene aiutata dalle amiche a riconquistare il marito — secondo loschema del re m a r r i a g e tipico della commedia di quegli anni — colpi-sce l’indulgenza d’altri tempi con cui si invitava a chiudere un occhiodi fronte ai peggiori vizi maschili. Un’immagine retrograda soprattut-to se si considerano le figure di donne pienamente emancipate cheproprio la sophisticated comedy aveva saputo sviluppare durante tuttoquel decennio. Al di là di questi indubbi limiti, rimane comunque unfilm piuttosto divertente e soprattutto capace di rappresentare inmodo convincente, e a tratti anche commovente, la solidarietà fem-minile. Lo stesso Cukor farà decisamente meglio quasi vent’anni do-po quando con Les girls (1957) firmerà un musical meno edulcoratodella media su tre ballerine che, dopo aver condiviso anni di aspira-zioni, delusioni e speranze, vengono divise dal successo.

Trama simile in Palcoscenico che Gregory La Cava aveva realizzatonel 1937: la protagonista, proveniente da una ricca famiglia, intra-prende la carriera teatrale per non vivere di rendita e per assaporarelo stile bohémien in un pensionato dove alloggiano aspiranti attrici.Fra rivalità e drammi, Palcoscenico è anche una storia d’amicizia fem-minile convincente e a tratti struggente. Forse la più bella in assolutomai raccontata sullo schermo.

Anni dopo, saranno ancora due registi uomini a mettere in scenastorie di amicizie femminili complesse, e comunque affascinanti: ci ri-feriamo a P e rs o n a (1966) di Ingmar Bergman e a Tre donne (1977) diRobert Altman, film accomunati dal tema dell’osmosi emotiva e delrischio di plagio della personalità più debole da parte di quella piùforte. Entrambi i grandi registi, però, hanno offerto anche un’altraversione, più positiva, dell’amicizia fra donne. Altman con il malin-conico e crepuscolare Jimmy Dean, Jimmy Dean (1982), Bergman conAlle soglie della vita (1958), storia di tre gravidanze dagli esiti moltodiversi fra loro, e delle donne che le portano a termine supportando-si a vicenda.

Affronta l’amicizia femminile anche il film che, più vicino a noi,farà conoscere al grande pubblico Peter Jackson, il futuro regista deIl signore degli anelli: nel 1994, infatti, con Le creature del cielo, Jackson— guarda caso anche lui neozelandese — racconta la storia vera didue ragazze australiane dall’infanzia difficile, per le quali l’amiciziadiventa un modo per fuggire dalla realtà. La rappresentazionedall’immaginario quasi magico che le adolescenti hanno in comune èun po’ grossolana, e tradisce i trascorsi del regista nel genere horror,ma la trama resta emblematica: dimostra come una forte amicizia fradonne poteva in passato essere vista con fastidio e addirittura con so-

A pagina 22 la locandinadel film «Donne»

di George Cukor (1939)Nella pagina a fianco

Geena Davise Susan Sarandon

protagoniste di «Thelma &Louise» di Ridley Scott

(1991)

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LA S A N TA DEL MESE

di MARIA GRAZIA CALANDRONE

Le parole della mia vita sonodieci.

1. IsolaMaiorca, nell’arcip elago

spagnolo delle Baleari. So-no nata sotto il segno deltoro, solida e ferma comel’animale, il primo maggio

del 1531, a Valdemossa, un comune a nord-ovestdell’isola, nella Sierra de Tramontana. Un cer-chietto di terra fatto di pietra e ulivi. Ancorapiù in alto della mia testa, oltre colline di quer-ce, ulivi e mandorli, dicono ci sia il mare, un’ac-qua immensa che ha il colore del cielo. In certesere mi sembra di sentirne l’odore. Seguo congli occhi la bellissima linea del campanile verdedella Cartuja fino alla cima e scendo giù dal la-to opposto, immagino…

2. OrfanaDi padre a quattro anni e di madre a dieci.

Penultima di sette fratelli. Neanche il privilegiodi essere l’ultima.

CatalinaTomás Gallard

me, collima con la solitudine. Lascio solo il miocorp o.

4. PadreUn giorno incontro un uomo, padre Antonio

Castañeda, un ex soldato dell’esercito di Carlo V

che, scampato per miracolo a un naufragio, hascelto di vivere da eremita nel collegio di Mira-mar. Ha venticinque anni più di me. Ci incon-triamo durante una sua visita alla fattoria e su-bito la sua anima legge nella mia anima: insiemea lui decifro il mio desiderio, decido che il miodesiderio diventerà il mio destino, dunque, conil suo appoggio, trovo il coraggio di dire agli ziiche voglio entrare in monastero.

Gli zii si oppongono, per ragioni economi-che: non sono che una pastorella ignorante e aloro sono utile così, non hanno intenzione diinvestire denaro per farmi studiare. Inoltre, nonhanno una dote da offrire al convento per me.

Il padre della mia anima non mi abbandona,pensa a tutto lui: mi mette a servizio a Palma di

Maiorca, presso gli Zaforteza, una famiglia no-bile. Imparo a leggere e scrivere e posso final-mente attingere da sola alla bellezza e bontàdelle Scritture. Mi impongo di nutrirmi di solipane e acqua e adopero una pelle di porcospinocome cilicio. Sono convinta che la mortificazio-ne del corpo apra scenari invisibili. Aspetto.Aspetto di capire e di vedere.

Come è ovvio, mi ammalo.

Padre Antonio è sempre al mio fianco, la suafiducia mi sostiene, riesce a convincere le cano-nichesse regolari di Sant’Agostino a prendermicome corista nel monastero di Santa Magdalenade Palma, anche senza dote. Dice che sono co-munque un buon investimento, che sono ferven-te e sincera. È il 1553. Ho 22 anni.

5. NoviziatoIl mio noviziato è straordinariamente lungo,

due anni e sette mesi.

Dicono che sono pallidissima, le privazionialle quali mi sottopongo depauperano il miocorpo fisico. Credono che io abbia la tubercolo-si. Ma io sono sanissima. Io, dentro, mi sentofortissima. Comincio a comprendere. Tutto que-sto dolore non è per niente. Sono determinata acontinuare. Mastico il pepe per farmi salire unp o’ di sangue alle guance, così la smettono dipreo ccuparsi.

Prego e prego, lotto contro tentazioni, dubbi,contraddizioni e contrasti. Il demonio mi mettea dura prova. Lui è astuto, intelligente, mi co-nosce, sa dove colpire.

Ma la mia volontà è più ferma della sua.Toro contro caprone. Sono più feroce e piùgrande.

6. VotiE finalmente, a ventiquattro anni, prendo i

voti. Indosso una veste smessa da una consorel-la e non voglio regali. Il regalo più grande è fi-nalmente essere tua sposa, Gesù. Essere pur in-

3. UlivoCome orfana, vengo presa in custodia dagli

zii materni di Son Gallard, Joan e Maria. Incambio del mantenimento, gli zii mi mandano apascolare il bestiame, andiamo in chiesa solo didomenica. Costruisco la chiesa dove mi trovo.Mi trovo sotto i rami di un ulivo contorto egrande come un padre. Costruisco un altare dipietre piccole, quelle che riesco a trasportare.M’inginocchio. Dicono che al Signore basti ilc u o re .

Mentre guardo le bestie, i loro occhi pieni disaggezza e di pazienza, conto le avemaria delrosario sulle foglie di un ramoscello d’ulivo.Cammino a piedi nudi tra cardi e rovi. Diconoche la sofferenza aiuta a comprendere.

Ho sempre avuto bisogno di un altro mondo.Senza io.

La purezza del cuore, che m’interessa, diven-ta presto un bisogno di purezza del corpo. Nonsento desiderio di un amore umano. Non sentodesiderio verso un altro corpo. La purezza, per

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degnamente degna di te. Umile, serva, tuttequelle cose e quelle consuetudini. Ma ho lottatoforte, per meritarmi questa vestina usata.

È il 24 agosto 1555. La data della mia veranascita.

7. EstasiEd ecco, infine, quello che volevo. Essere

morta in vita. Essere altrove.

8. FamaObbedisco anche quando sono in estasi.

Monsignor Giovanbattista Campeggio, vescovodi Maiorca, viene a chiedermi consiglio. E poi ilsuo successore, Diego de Arnedo. Sono unasemplice suora. Sono un’autodidatta. Non ungranché di donna. Non sono che un tuo trami-

te, l’infimo altoparlante della voce di Dio. Ob-bedisco sempre. Vado alla grata anche se nonvoglio. Non volevo la fama, volevo Dio. Cos’èmai la fama presso gli uomini, per chi vuole co-lui che è tutto?

Ma gli uomini hanno bisogno delle sue paro-le, che lui ha la bontà di spendere attraversoquesto mio corpo inutile, utile solo a essere por-tatore dell’acqua benedetta della sua voce. Poi-ché lui parla nel silenzio — e ci vuole silenzio,per ascoltarlo.

Noi consorelle, qui, abbiamo il privilegio delsilenzio, il lusso del silenzio. Non c’è quasi piùil corpo. C’è l’infinito dell’amore. Punto.

9. MiracoliSommando tempo a silenzio, divento mio

malgrado miracolosa. Non voglio che si sappia,ma si viene a sapere: le estasi durano tanto chenon posso più nasconderle. Giorni interi, poigiorni e giorni. Vedo gli angeli e faccio profezie.Quando combatto contro la legione infernale ri-porto ferite. I santi mi guariscono. Potrebberonon farlo.

Guardo il mondo, Gesù, e non vedo il mon-do, vedo te ovunque. Come un’innamorata se-parata dallo sposo si circonda dell’immagine dilui, getta la faccia negli abiti di lui, per respirareancora il suo profumo, così perdutamente gettola faccia in me, cerco il profumo dell’infinitoamore, cerco dentro di me quello che non fini-sce: nel buio profondo, nel silenzio assoluto, nelnulla a capofitto che è in un essere umano. Chem’importa del mondo.

Desidero che tutte le creature abbiano fiducianelle proprie risorse, desidero che affidino lapropria salvezza alle proprie stesse mani.

Perché so, io lo so, che tu sai farti piccolo co-me le nostre mani.

10. FinalmenteMuoio. Me ne vado da questa prigione.

L’autriceMaria Grazia Calandrone è poetessa,scrittrice, drammaturga, autrice econduttrice Rai, scrive per il «Corrieredella Sera» ed è regista de «I volontari»,documentario sull’accoglienza ai migrantiper «Corriere T V». Tiene laboratori dipoesia in scuole, carceri. Tra gli ultimilibri: Serie fossile (Crocetti, 2015; premiMarazza e Tassoni, rosa Viareggio), Gli

Scomparsi. Storie da “Chi l’ha visto?”

(Pordenonelegge, 2016; premio Dessì), Il

bene morale (Crocetti, 2017) e Per voce sola,raccolta di monologhi teatrali, disegni efotografie, con cd di Sonia Bergamasco edEstTrio (ChiPiùNeArt, 2016).Sue sillogi compaiono in antologiee riviste di numerosi paesi( w w w. m a r i a g r a z i a c a l a n d ro n e . i t ) .

PAOLO E LE D ONNE

Lidia: guidadella prima Chiesa domestica

a Filippidi MARIA PASCUZZI

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Intorno all’anno 49, Paolo partì da Troade, in Asiaminore e, attraversando il mare Egeo, giunse fino alporto di Neapolis, in Grecia, da dove proseguì ver-so l’entroterra per iniziare ad annunciare il Vangelodi Gesù Cristo sul suolo europeo. Evangelizzò tuttala provincia romana di Macedonia, cominciando daFilippi, per poi proseguire verso sud-est fino a rag-giungere Corinto, capitale della provincia romanadi Acaia. Luca, autore degli Atti degli apostoli, rac-conta che mentre Paolo attraversava le città della

Macedonia, le donne, in particolare quelle della nobiltà, erano parti-colarmente ricettive alla sua predicazione (cfr. Atti degli apostoli 17, 4.12). Una di queste macedoni fu Lidia, prima convertita da Paolo inEuropa, che collaborò con lui per assicurare il successo della missio-ne in quel nuovo territorio.

Fino a poco tempo fa, si presumeva che le donne fossero attrattedal cristianesimo dei primordi perché offriva una gradita via di fugadai mondi sociali misogini e oppressivi in cui abitavano e dava l’op-portunità di esercitare ruoli guida che fino ad allora erano stati loropreclusi. Anche se questa opinione è diffusa e continua a essere so-stenuta da alcuni, è però in contraddizione con una vasta serie di te-stimonianze letterarie ed epigrafiche, nonché di reperti, che dimostra-no come le donne del I secolo, che fossero greco-romane o ebree,sposate o vedove, godevano di una buona dose di autonomia e diautorità sia all’interno sia al di fuori della propria famiglia; alcunepossedevano e gestivano attività commerciali, erano influenti nellasfera pubblica, nonché mecenati e benefattrici civiche, e svolgevanodiversi ruoli guida, anche legati al culto. Ma soprattutto tale assuntonon rende giustizia a donne come Lidia. Quest’ultima era una riccacommerciante ma anche una cercatrice dal punto di vista spiritualeche non fuggiva da nulla, ma piuttosto aveva tanto da offrire al cri-stianesimo dei primordi, dopo che la sua fede era stata risvegliata aCristo dalla predicazione di Paolo.

Lidia viene citata solo negli Atti degli apostoli (cfr. 16, 11-15. 40) do-ve Luca riferisce che era originaria di Tiatira, città situata nella parteoccidentale della provincia romana d’Asia, nell’attuale Turchia occi-dentale, al crocevia delle principali rotte commerciali, prospero mer-cato e centro industriale. La città era nota per le sue corporazionicommerciali. Molti si dedicavano alla produzione e alla tintura ditessuti, specialmente di prodotti tinti con la porpora, per i quali lacittà era famosa nell’antichità. La tinta color porpora, che veniva pro-dotta con tonalità e qualità diverse, a seconda se estratta da mollu-schi o piante, era un bene prezioso. Prodotti e indumenti porpora di

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iscrizioni risalenti al III o IV secolo — egli si mise alla ricerca di unap ro s e u c h è , o luogo di preghiera, al di fuori della città, presso il fiume.Ciò che trovò fu un incontro di preghiera di donne, presumibilmentemembri della casa di Lidia, la quale viene identificata come una «cre-dente in Dio». Il termine p ro s e u c h è potrebbe riferirsi a qualsiasi luogoin cui si svolgeva un’attività rituale religiosa o, in modo specifico, aun luogo di preghiera a Gesù. Poiché qui questo termine appare incollegamento con «credente in Dio», espressione usata dagli ebreiper i pagani simpatizzanti del giudaismo, spesso si presume che Li-dia fosse una proselita ebrea. Tuttavia, ciò non è per nulla certo. Inpiù, è molto probabile che, pur riconoscendo il Dio d’Israele, Lidiacontinuasse a pregare una o più divinità pagane. La devozione a piùdi una divinità non era certo insolita nel mondo mediterraneo del I

secolo, dove culti paralleli, qualcuno locale, altri invece importati,esistevano fianco a fianco. Alcuni di essi, per esempio quelli di Dianae di Iside, erano particolarmente attraenti per le donne, che serviva-no come sacerdotesse e assumevano altri ruoli guida. Sulla base delle

Maria Pascuzzi, è unasuora di San Giuseppedi Brentwood, NewYork. Ha conseguito lalicenza in Sacra scrit-tura presso il Pontifi-cio istituto biblico aRoma e il dottorato inSacra teologia pressol’università Gregorianaa Roma. Ha insegnatoin seminari e universitàe attualmente è Asso-ciate Dean for Under-graduate Studies pres-

prima qualità erano beni di lusso che solo l’élite della società impe-riale poteva permettersi. Luca ci narra che Lidia era una p o rp h y r ò p o l i s ,ovvero una commerciante di porpora. L’accorto senso degli affaripuò spiegare il trasferimento di Lidia a Filippi, ricca colonia romanageograficamente ben situata per il commercio sia via terra sia via ma-re. Luca la presenta come comodamente stabilita a Filippi quandoincontra Paolo. Non solo aveva una casa propria, ma addirittura unacasa abbastanza grande da accogliere una comunità di credenti inCristo composta, si stima, da circa trentacinque persone. In più ave-va abbastanza domestici per prendersi cura sia della sua proprietà siadei suoi affari. È inoltre ragionevole supporre che frequentasseambienti benestanti. Dato che commerciava porpora, è probabile chela sua clientela appartenesse agli strati più alti della società di Filippie includesse magari anche funzionari romani e membri del loro se-guito.

Pur essendo una commerciante di successo, Lidia, a quanto sem-bra, cercava qualcosa di più delle comodità e del successo. Secondogli Atti degli apostoli, Paolo, quando giungeva in una nuova città, erasolito entrare nella sinagoga locale e parlare agli altri ebrei. Poiché, aquanto pare, ai tempi di Paolo Filippi non aveva una sinagoga —l’esistenza di una sinagoga viene menzionata per la prima volta in

L’autrice

La cappella all’apertoche ricorda

il luogo del battesimodi Lidia

so la Seton Hall Uni-versity School ofTheology. I libri e gliarticoli da lei pubbli-cati sono incentratiprincipalmente sullelettere, la teologia e ilmondo sociale di Pao-lo. È membro attivodella Catholic BiblicalAssociation of Americae della Society of Bi-blical Literature.

informazioni contenute negli Atti degli apostoli, si puòaffermare con una qualche certezza che Lidia era unadonna pia, il cui cuore era aperto al fermento dell’uni-co vero Dio, che la rese ricettiva alla predicazione diPaolo. Luca ci dice che, dopo che Lidia e la sua fami-glia furono battezzate, lei offrì ospitalità a Paolo. Ilverbo usato da Luca, che di solito viene tradotto con“c o s t r i n g e re ” o “i n d u r re ”, alla lettera significa “u s a rela forza”. Le parole scelte da Luca suggeriscono cheLidia possedeva un carattere forte e che non era il ti-po di donna che accetta un no come risposta. Questadescrizione, insieme ad alcuni altri aspetti della storiadi Lidia, esigono un commento più approfondito.

Il ritratto che Luca presenta di Lidia, senza menzionare un maritoo un’altra autorità maschile dalla quale lei dipenda, capace di decide-re da sola di aprire la propria casa a Paolo e ai suoi compagni, si di-scosta dalle solite descrizioni di donne del I secolo, la cui vita era de-finita dal patriarcato. Il patriarcato era un sistema gerarchico in cuitutti i membri di una famiglia sottostavano all’autorità della figuramaschile più anziana in vita, o pater familias. Attraverso il matrimo-nio la donna solitamente passava dall’autorità del suo parente ma-schio più anziano all’autorità del marito. Tuttavia, accanto a questosistema sociale gerarchico, esistevano alcune disposizioni giuridicheche concedevano alle donne un certo grado di indipendenza. Peresempio, il matrimonio della donna poteva essere contratto sine ma-

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riconosciuta della nascente comunità cristiana a Filippi, sulla quale,come capo della casa, lei probabilmente esercitò un ruolo guida.

Il primato della sua casa, e quindi il suo ruolo guida nella crescitadella Chiesa a Filippi, risulta evidente leggendo la fine del capitolo16 degli Atti degli apostoli. Dopo la loro miracolosa liberazione dalcarcere, Paolo e Sila furono invitati a casa del loro carceriere, cheaveva assistito a tutto. Catechizzarono e battezzarono lui e tutta lasua famiglia, formando una nuova cellula di credenti in Cristo.Quando i magistrati locali li dichiararono liberi, scusandosi per l’in-giusta detenzione, invece di rimanere nella casa del carceriere ritorna-rono subito nella casa di Lidia. È lì, nella sua casa, che la famigliaappena costituita di fratelli e sorelle in Cristo era riunita ed è lì chePaolo ha rivolto la sua esortazione finale alla comunità cristiana diFilippi prima di partire (cfr. Atti degli apostoli 16, 40).

Un ultimo aspetto da non trascurare di questo racconto è che laChiesa a Filippi è nata tra le donne, ed è a Lidia e alla sua famigliache Paolo ha affidato la vita e la crescita della comunità di credentiin Cristo che stava nascendo. Senz’altro alla comunità si unirono de-gli uomini, che assunsero anche ruoli guida (cfr. Lettera ai Filippesi 1,1). Tuttavia, le donne continuarono a svolgere ruoli importanti nellacomunità. Nella sua lettera a questa comunità, Paolo ne menzionadue, Evodia e Sintiche, citate tra i suoi più stretti collaboratori nellavoro per il Vangelo (cfr. Lettera ai Filippesi 4, 2). Pur se limitate,esistono iscrizioni che testimoniano in modo chiaro che le donnecontinuarono a svolgere ruoli preminenti almeno fino al VI secolo.

Oggi gli studiosi si chiedono se Lidia fosse una persona storicaconcreta o semplicemente una figura inventata da Luca per rappre-sentare la donna ideale, ricca e indipendente, della quale, nella suanarrativa, desiderava sottolineare l’attrazione verso il cristianesimo.Che sia esistita o meno, donne indipendenti e ricche, come Lidia, fu-rono attratte dal cristianesimo dei primordi e influenzarono la cresci-ta e lo sviluppo delle prime cellule di credenti cristiani. Il fatto chein tutto il Nuovo Testamento Lidia sia menzionata solo qui, unita-mente alla disattenzione generale verso le donne che ha caratterizza-to gli studi biblici del passato, probabilmente spiega perché è statatrattata come personaggio minore nella storia iniziale del cristianesi-mo. Tuttavia, non è esagerato affermare che senza la collaborazione ele risorse di Lidia, o di una donna come lei, è probabile che gli sforzievangelizzatori iniziali di Paolo non avrebbero mai dato vita a quellafiorente comunità di credenti in Cristo a Filippi, per lui fonte di in-coraggiamento e di sostegno durante tutto il suo ministero.

nu, che significava che lei e i suoi beni rimanevano sotto la potestas, ol’autorità, del padre, alla cui morte lei poteva ereditare le proprietà erimanerne l’unica titolare a nome proprio. Nei matrimoni sine manu ilmarito non acquisiva alcuna autorità legale sulla moglie o sui suoibeni. Inoltre, in base alla legislazione augustea, alle donne che parto-rivano un certo numero di figli maschi — numero che dipendeva dal-lo status sociale — era concesso di gestire le proprie finanze e le pro-prie attività commerciali. Pertanto, anche se Lidia fosse stata sposata,avrebbe potuto beneficiare di queste o altre forme di legislazione, ilche spiegherebbe perché viene presentata come donna che agisce inmodo indipendente.

Dichiarando che Lidia convinse Paolo a essere suo ospite, Luca lapone nel ruolo di patrona di Paolo. Ai tempi di Paolo, il patronatoera un’istituzione sociale diffusa. Quanti avevano i mezzi e una posi-zione sociale (patroni) cercavano di accrescere la propria reputazionee posizione concedendo aiuti finanziari e di altro genere alle personein situazioni inferiori (clienti). I clienti restavano indebitati con i loropatroni e, in cambio della loro generosità, promettevano lealtà e assi-curavano loro elogi e obbedienza. Sebbene alle donne del I secolofosse vietato rivestire un incarico pubblico, esistono abbondanti testi-monianze di donne, specialmente ma non esclusivamente dell’élite,coinvolte nel patronato. Come i loro omologhi maschili, usavano ilproprio denaro e il proprio status per influenzare gli affari sociali epolitici, per sostenere le arti, i progetti e le cause civiche di vario ge-nere, le corporazioni di lavoratori e per promuovere i culti religiosipreferiti. Per le loro opere benefiche di solito venivano omaggiatecon statue commemorative, monumenti e iscrizioni. Sebbene non esi-sta nessuna testimonianza esterna che confermi le loro attività di pa-tronato, è possibile che Lidia e altre donne citate nel Nuovo Testa-mento, come Febe (cfr. Lettera ai Romani 16, 2), siano state benefat-trici e patrone di altri prima di dedicare il loro sostegno a Paolo e al-la sua missione.

Dalle lettere di Paolo ai Corinzi appare evidente che egli era atten-to a evitare quegli aspetti del sistema del patronato che avrebberopotuto compromettere la sua libertà di predicare il Vangelo come luiriteneva opportuno o la sua mobilità. Tuttavia, egli dipendeva dal so-stegno finanziario di patroni come Lidia, che gli fornivano aiuto ma-teriale e un tetto. Cosa ancor più importante, i patroni con buonicontatti sociali come Lidia, con reti di soci d’affari e clienti, potevanopermettere a Paolo di raggiungere persone e luoghi, a Filippi e altro-ve, che erano essenziali per portare avanti la sua missione. Per di più,la generosità di Lidia si estese ben oltre l’offerta di cibo e di alloggioper Paolo e i suoi compagni missionari. La sua casa divenne la sede

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Per usare un aggettivo caro alla vita quantoinviso alla critica, le Lettere a Mita di CristinaCampo (Adelphi, 1999), all’anagrafe Vittoria

Natività di Maria, 1970

Cara,Dio sia ringraziato ancora e ancora per quelle due ore perfette che ciha donato. Le ricordo — in quel piccolo inferno della stazione di Ro-ma — come l’aprirsi totalmente puro del fiore della presenza. Strano:ci siamo viste in luoghi stupendi, con ricchezza di tempo, spazio e si-lenzio. Ma questo incontro alla stazione mi sembra in qualche modoil più benedetto. Non meno intenso di quella passeggiata oltrarnonella quale trovammo la tavoletta di cipresso e la facemmo tagliare indue triangoli — per sempre, per la vita; ma questa volta con l’a ro m aineffabile della conferma: uno di quegli attimi in cui il rovescio ine-splicabile del Tappeto mostra qualcosa del suo fulgente diritto... [...]Con amore particolare conservo in cuore ciò che Lei mi ha detto delsuo paese, della tradizione, della morte e dei suoi terrori. Anch’io nesoffro molto da quando ho perduto i miei genitori. Mi desto talvoltala notte come perduta in un deserto, nulla più ricordando, soffocatadall’angoscia. Ho parlato di ciò con un monaco molto mistico. Mi

ARTISTE

L’energia spiritualedi un’amicizia pura

Guerrini (Bologna 1923 - Roma 1977) rappresen-tano uno degli epistolari più belli della lettera-tura del Novecento, fondamentale per intender-

di ANNA MARIA TAMBURINI

Cara, la sua lettera mi ha resa triste. Avevo anch’io molto biso-gno di lei, di vederla e ascoltarla voglio dire, perché parlare misarebbe stato difficile [...] Non mi dispiace affatto che lei vadaa Belluno; lavorerà ma sarà a l t ro v e , libera, e vicino ci sono luo-ghi meravigliosi. Mi mandi il suo indirizzo e quello di Losan-na. Questa è una città simile a un letto di raso bianco (quelche c’è sotto il letto, vedrà da sola); ma ha un lago molto bel-lo, che di notte ha il colore del latte e della pietra lunare. Poi

le darò commissioni per Madame Weil [...]. Ho sempre pensato a leileggendo i mistici medievali (la mia sola lettura di questi ultimi mesi)e soprattutto Maestro Eckhard e Angela da Foligno [...]. La assolutalucidità della loro «follia d’amore», la sterminata libertà della lorosaggezza mi hanno reso insopportabile qualunque altra lettura [...]:sono letture all’infinito multiple, non c’è strato di altezza o di pro-fondità che non tocchino (1° luglio 1959).

ne il messaggio umano e la poesia, perché allettore offrono codici di decifrazione dei testi,insieme a una visione della realtà, una letturadegli accadimenti, lo scambio di notizie biobi-bliografiche, impressioni suscitate dall’i n c o n t rocon gli autori, uno spaccato della scena lettera-ria e culturale come da dietro le quinte.

Ma ciò che pulsa in quelle pagine rutilanti divita nonostante la precarietà dello stato di salutedi Vittoria, affetta da una malformazione cardia-ca a volte persino invalidante, contagiando inqualche modo il lettore, è quella energia spiri-tuale che sostanzia un’amicizia pura, una sorori-tà spirituale corroborata da affetto sincero e lea-le, imperituro oltre spazio e tempo.

Può sembrare una versione unilaterale di que-sta amicizia il fatto che da parte di MargheritaPieracci Harwell (nata a Vitolini nel 1930), de-stinataria e curatrice dell’epistolario, il lettoretrovi solo qualche nota autobiografica utile aspiegare passi altrimenti incomprensibili dellelettere. Non di meno potremmo ricostruire losplendido romanzo della vicenda umana di Mi-ta stessa, dalla sollecitudine con cui Vie (così si

firma, per lo più, Vittoria nel carteggio) la se-gue, come un angelo custode nel suo percorsoumano e letterario, sino all’ultimo.

A differenza di alcuni altri intimi a Cristinache non le obbedirono, Mita le restituì tutte lelettere ante 1955, per cui il carteggio inizia solodal 1956 e si chiude due anni prima della morte,ma l’amicizia che, come l’amore, appartiene alleregioni incorruttibili dello spirito, oltrepassa lasoglia del tempo e, da parte di Margherita, in-stancabile continua a dispiegarsi la cura amore-vole e fedele delle numerose pubblicazioniAdelphi: i saggi de Gli imperdonabili (1987); lepoesie e le traduzioni di La Tigre Assenza (1991);questo personale epistolario (1999); le lettere aLeone Traverso, Caro Bul (2007); quelle agliamici toscani, Il mio pensiero non vi lascia (2011).

Raramente si danno del tu, ma non per ladifferenza di età; si riconoscono così spiritual-mente vicine da sentire più volte il bisogno disuggellare l’amicizia, quasi nella forma del rito,o persino, di consacrarla a qualche data signifi-cativa del calendario liturgico:

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Per tale autentica spiritualità, per la rara per-fetta corrispondenza d’anima, del loro mondo edi questo affetto si squadernano al lettore (che

pure non abbia interessi squisitamente letterari)pagine uniche e indimenticabili, insieme a testi-monianze da custodire e tramandare.

GI O VA N N I 3, 1-21

La buona notizia che ci rag-giunge mediante questa pa-gina dell’Evangelo in que-sto tempo di Pasqua chestiamo vivendo, è l’annun-cio che in Gesù Cristomorto e risorto secondo leScritture (cfr. Luca 24, 46-

48), il Figlio amato che il Padre ha mandato adonare la vita agli uomini (cfr. Giovanni 3, 16-17), è possibile una nuova vita, una vita nuovaed eterna (cfr. Giovanni 3, 15), che diventa anchevita nuova qui e ora, in questa nostra esistenzasulla terra: è possibile cioè, come dice qui Gesùa Nicodemo, «nascere dall’alto» (Giovanni 3, 7).Sì, l’annuncio di una vita nuova per noi uominie donne è una vera buona notizia, poiché a vol-te può prevalere in noi la tristezza e la dispera-zione davanti al male che abita i nostri cuori eche lacera le nostre esistenze e le nostre relazio-ni. Di fronte al nostro cuore di pietra ci vieneda dire: chi mai ci donerà un cuore di carne(cfr. Ezechiele 36, 26)? Di fronte allo scacco chela nostra stessa vita, nel passato più recente o inquello remoto, ha in apparenza sancito in ma-

ME D I TA Z I O N E

Rinascere dall’altoper una vita nuova

a cura delle sorelle di Bose

«Gesù incontra Zaccheo», dettaglio del politticodi Notre-Dame des Neiges (Francia)

A pagina 40: miniatura fiamminga (1450)

ha detto che è naturale a tutti finché l’amore non produca nell’animaquella «brisure» (così ha detto) attraverso la quale si passa, sia pursolo per attimi, dal tempo all’eterno. «E allora la morte diviene undesiderio». / Vogliamo pregare ad invicem perché si manifesti in en-trambe quell’amore? [...] Un curioso particolare. Mi chiedevo a qualeSanto consacrare la nostra amicizia: è tempo di farlo, non è vero? Miè risuonato nella mente, di colpo, un versetto del Ma g n i f i c a t , e alloraho ricordato che fu un divino discorso tra due Amiche. Sarà la Visi-tazione, dunque, il nostro Mistero. (La convince?)

Cristina Campoin una illustrazionedi Rossella Grasso

(per gentile concessionedell’artista)

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niera definitiva, chi mai, contro l’evidenza diogni logica umana, ci darà la possibilità di pe-scare ancora, di trarre ancora frutti in modo ab-bondante quando tutto sembra testimoniarci ilcontrario (cfr. Luca 5, 11)?

Ma Gesù, in questa pagina dell’Evangelo, at-testa a Nicodemo proprio questa possibilità,possibilità reale non in forza della capacitàdell’uomo, ma in forza dell’efficacia del misteropasquale, che mediante le energie della resurre-zione di colui che il Padre ha inviato nel mondoperché gli uomini abbiano la vita (cfr. Giovanni

3, 16), può farci rinascere dall’alto, può rinnova-re le nostre vite, anche contro ogni evidenza,anche quando magari siamo avanzati negli anni,anche quando la sclerosi dei nostri vizi sembraattanagliare il nostro intimo e il nostro vivere.

Giovanni parla di «nascere dall’alto», mentrei tre sinottici parlano di «conversione», conver-sione sia nell’atteggiamento (e p i s t ro f è ), sianell’intimo, nella maniera stessa di amare e dipensare (metànoia). La conversione, ci diconotutti i vangeli, è possibile, al punto che Gesù la

pone anch’essa all’interno dell’annuncio del mi-stero pasquale, di cui i discepoli sono chiamatia essere testimoni. Il risorto, infatti disse loro:«Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà daimorti il terzo giorno, e nel suo nome sarannopredicati a tutti i popoli la conversione e il per-dono dei peccati (…) Di questo voi siete testi-moni» (Luca 24, 46-48). Testimoni del risorto,testimoni della vita che in lui ha vinto la morte,dell’amore che ha vinto l’odio, testimoni delperdono dei peccati, ma anche della parola del-la conversione, poiché la novità di vita ci è or-mai resa possibile e ci è dischiusa come possibi-lità che si apre davanti a ciascuno anche quandoormai l’orizzonte sembrava definitivamentechiuso.

E ciò al punto che Gesù rimprovera, in modobenevolo, Nicodemo, rivelandogli che essendoscettico di fronte a questa opportunità che gli èdata egli non solo si mostra incapace di cogliereil dono che gli viene incontro, ma viene anchemeno alla sua missione, al suo compito di guidadella comunità dei credenti nel Signore: «Tu seimaestro di Israele e non conosci queste cose?»(Giovanni 3, 10).

Ma noi credenti siamo disposti ad abbando-nare le nostre tenebre di fronte alla luce, ad ab-bandonare il peccato che ci abita e che distrug-ge, più o meno manifestamente, le nostre vite?Il Signore Gesù si pone di fronte a noi comecolui che è venuto non per prendere la nostravita per sé, ma per donare la sua a noi (cfr. Gio-

vanni 3, 14). E tuttavia tale dono non è magico,ma interpella la nostra libertà; esso, infatti, puòessere efficace solo se gli viene lasciato spazio,solo cioè se i destinatari di tale dono sono di-sposti e pronti a ricevere quel battesimo dellaconversione che è frutto della Pentecoste che av-viene sulla croce (cfr. Giovanni 19, 30), e che giàda oggi può rinnovare e riplasmare, far rifiorirela vita di quanti credono nel Figlio, come an-nuncia il brano che segue immediatamente que-sta pericope.

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