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Gli indicatori di allerta:
osservazioni e criticità
Maggio 2019
COMMISSIONE DI STUDIO “PROCEDURE CONCORSUALI E GIUDIZIARIE"
ANNI 2016 - 2019
UNIONE GIOVANI DOTTORI COMMERCIALISTI
ED ESPERTI CONTABILI DI SALERNO
COMMISSIONE “PROCEDURE CONCORSUALI E GIUDIZIARIE”
Hanno collaborato:
Antonella BENEDETTO
Liliana BONADIES
Daniele CARRANO
Salvatore DE FRANCISCIS
Antonio DE LUCIA
Francesco DIANA
Andromeda DI FILIPPO
Paola D'URSO
Alessia D'UVA
Enrico FASANO
Vincenzina LAUDISIO
Ornella OROPALLO
Rosaria VICIDOMINI
UNIONE GIOVANI DOTTORI COMMERCIALISTI
ED ESPERTI CONTABILI DI SALERNO
CONSIGLIO DIRETTIVO
Pierluigi CHIARITO Presidente
Alfonso Maria GAETA Vice Presidente
Carlo DE LUCA Segretario
Carmine NOSCHESE Tesoriere
Giuseppe ARLEO Consigliere
Alessia D’UVA Consigliere
Rosanna MARISEI Consigliere
Giuseppe CRISCITO Rappresentante dei praticanti
COLLEGIO DEI PROBIVIRI
Antonio DE LUCIA Presidente
Maurizio CENNAMO
Salvatore DE FRANCISCIS
Americo RINALDI
Gabriele VIGILANTE
Introduzione
Il Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, pubblicato in GU il 14.02.2019 n. 38 (in attuazione della
L. 19 ottobre 2017, n. 155, D.Lgs. del 12 gennaio 2019, n. 14), è il risultato della riforma organica della Legge
Fallimentare affidata nel 2015 alla Commissione presieduta da Renato Rordorf ed ha l’obiettivo di riordinare
ed innovare in modo organico la disciplina delle procedure concorsuali, con l'intento di consentire una diagnosi
precoce dello stato di difficoltà delle imprese e salvaguardare la capacità imprenditoriale di coloro che vanno
incontro a un fallimento di impresa.
Il Regio Decreto n. 267 del 16 marzo 1942 va in pensione definitivamente e con esso il termine
“fallimento”, che identificava un irreversibile stato di insolvenza.
Tra le novità più rilevanti della legge fallimentare, l’introduzione di un regime di allerta (cd. red flags) per
individuare precocemente situazioni di potenziale crisi e per prevenire casi di default, attraverso una maggiore
responsabilizzazione del debitore e degli organi di governance.
Di fronte ad una rivoluzione normativa di così ampia portata, nella prima fase attuativa, è fisiologico che
sorgano dei dubbi interpretativi; in questo contesto il presente lavoro trae spunto dal confronto e dalla
discussione tra i componenti della commissione di studio “procedure concorsuali e giudiziarie” dell’UGDCEC
di Salerno.
In attesa che il CNDCEC elabori appositi indici (per ogni tipologia di attività economica secondo le
classificazioni ISTAT), che diano evidenza della sostenibilità dei debiti e delle prospettive di continuità
aziendale, la commissione – senza presunzione di esaustività e completezza – ha posto la sua attenzione sugli
strumenti a disposizione dell’imprenditore-debitore, dell’organo di controllo e del consulente che possano
consentire di individuare preventivamente i segnali di criticità in modo da consentire tempestivi interventi
correttivi.
La prima parte del lavoro è stata dedicata all’analisi della “crisi” sotto un profilo prevalentemente
aziendalistico che evidenzia, partendo dalla sua definizione, le possibili cause, le fasi e gli ostacoli che si
frappongono all’emersione tempestiva della stessa, cercando, tuttavia, di mantenere un parallelismo con le
recenti disposizioni normative e con l’intento di riforma del legislatore. La seconda parte del documento è stata
riservata all’analisi degli effetti delle procedure di composizione della crisi e dei sistemi di allerta sull’organo
di controllo, evidenziandone il ruolo, le procedure adottare ed i profili di responsabilità. La terza parte si
focalizza poi sugli strumenti a disposizione dell'imprenditore e del professionista per l’individuazione delle
criticità e degli eventuali segnali della crisi con una focalizzazione su sistemi predittivi collaudati quali,
principalmente, il modello di Altman. Infine, attraverso l'analisi di cinque casi reali di società fallite, si è tentato
di evidenziare se, attraverso differenti monitoraggi dell’azienda, si sarebbero potuti cogliere tempestivamente
dei segnali di squilibrio tali da rendere possibile l’adozione di opportune strategie di risanamento.
Alessia D'Uva – Salvatore De Franciscis – Antonio De Lucia Consigliere e Probiviri Delegati UGDCEC Salerno
Commissione “Procedure concorsuali e giudiziarie”
INDICE
1. Dalla crisi d’impresa allo “stato di insolvenza” 5
1.1 La crisi d’impresa nell’ordinamento giuridico italiano 10
1.2 L’allerta “tempestiva” della situazione di crisi 13
1.3 Gli ostacoli all’emersione dello stato di crisi: il ruolo della governance 16
2. L’emersione anticipata della crisi: il ruolo degli attori coinvolti 20
2.1 Gli obblighi per revisori e sindaci 22
2.2 Profili di responsabilità per revisori e sindaci 24
3. I sistemi di allerta: riflessioni sulle possibili metodologie di indagine 28
3.1 Gli indicatori della crisi nella Legge 155/2017 28
3.2 Analisi di bilancio per indici e per flussi 29
3.2.1 La riclassifica dello stato patrimoniale 30
3.2.2 La riclassifica del conto economico 31
3.2.3 Gli indici di bilancio 32
3.2.4 L’analisi sistematica dei risultati ottenuti 34
3.3 Strumenti di analisi della crisi d’azienda: rating e tecniche di scoring 36
3.3.1 Lo Z-Score di Altman 39
3.3.2 Il modello di Alberici, Ohlson, Zmijewski e l’indice M 44
3.4 I possibili scenari delineati dal CNDCEC 49
3.5 I case studies: applicazione delle metodologie di indagine 50
3.5.1 Azienda Alfa 52
3.5.2 Azienda Beta 55
3.5.3 Azienda Gamma 58
3.5.4 Azienda Delta 61
3.5.5 Azienda Epsilon 64
3.6 Considerazioni conclusive 67
Bibliografia 68
5
1. Dalla crisi d’impresa allo “stato di insolvenza”
Nel corso degli ultimi decenni, le forti trasformazioni che hanno caratterizzato i sistemi economici, i
cambiamenti dei processi produttivi, delle abitudini e dei gusti dei consumatori, nonché il vivace processo di
globalizzazione che ha investito i mercati produttivi e finanziari, hanno messo a dura prova le realtà
imprenditoriali che hanno dovuto affrontare repentini mutamenti senza esserne adeguatamente preparate1. Se
a questi cambiamenti si aggiunge la perdurante stagnazione della realtà economica circostante che ha
caratterizzato gli ultimi anni, risulta evidente come la necessaria evoluzione di molte realtà imprenditoriali
volga verso un consolidato e crescente stato di peggioramento delle condizioni aziendali che, se non contrastate
prontamente, sono ineluttabilmente destinate ad evolversi in una futura incapacità dell’impresa stessa di
sopravvivere.
La storia delle imprese è sempre costellata da una serie di successi e di insuccessi2 e, d’altronde, non
potrebbe essere diverso visto che essa opera in condizioni di rischio che talvolta possono trasformarsi in eventi
negativi e creare disfunzioni patologiche; ecco perché si è ormai definito il carattere di non eccezionalità della
crisi bensì di problema quotidiano della vita aziendale3.
Partendo da quanto asserito da Guatri e Vicari (1994), ossia che “la finalità che possiamo attribuire
all’impresa, l’unica finalità che abbia senso, è la continuazione dell’esistenza attraverso la capacità di auto-
1 Osservatorio sui fallimenti, procedure e chiusure di imprese, Rapporto Cerved, n. 36, dicembre 2018: nel terzo trimestre del 2018 si è ridotto il numero di imprese uscite dal mercato a seguito di fallimenti e di altre procedure concorsuali, proseguendo un trend in atto dalla fine del 2014. In discesa anche il numero di imprenditori che hanno avviato una liquidazione volontaria, un dato che nella prima metà dell’anno aveva evidenziato un andamento altalenante. Le statistiche tratte dagli archivi Cerved indicano che tra luglio e settembre sono fallite 2.170 imprese, in netto calo rispetto allo stesso periodo del 2017 (-10,8%). Con questo dato, il numero di fallimenti registrati nei primi nove mesi dell’anno si è attestato a 8.137, in diminuzione del 6,9% rispetto alle 8.737 imprese fallite nello stesso periodo del 2017. Si tratta del valore più basso osservato nei primi tre trimestri dell’anno dal 2011. Il calo ha riguardato tutti i settori ma non tutta la Penisola: tra gennaio e settembre i fallimenti evidenziano incrementi su base annua dell’8,5% in Calabria, del 3% in Sicilia e dello 0,6% in Abruzzo. Prosegue a ritmi intensi anche il calo delle procedure concorsuali non fallimentari: nei primi nove mesi del 2018 ne sono state aperte 982, il 20,6% in meno rispetto alle 1.237 dello stesso periodo del 2017. È una dinamica trascinata dall’andamento del concordato preventivo, uno strumento sempre meno utilizzato per risolvere casi di crisi di impresa. Dati di dettaglio mostrano un andamento in contro-tendenza in Toscana, a causa di un forte incremento di procedure di liquidazione coatta amministrativa che hanno riguardato cooperative della regione. Tra gennaio e settembre hanno avviato una liquidazione volontaria 42mila società in bonis, in calo del 2% su base annua. La riduzione non ha però riguardato il Nord-Ovest, in cui il numero di chiusure volontarie è tornato leggermente a crescere nei primi nove mesi dell’anno. 2 Cfr. Guatri L., “Crisi e risanamento delle imprese”, Giuffrè, Milano 1986: a partire dagli anni ’70, e con un ritmo crescente, le crisi d’impresa hanno cessato di essere fenomeni episodici, legati all’incapacità di imprenditori e di managers, o addirittura a loro comportamenti delittuosi o colposi, e sono divenute fenomeni ricorrenti, segnalati ogni giorno dalle cronache. Le crisi di impresa appaiono in tal modo una componente del sistema industriale, della quale occorre tenere conto come di un data permanente. La crisi di impresa è oggi un fenomeno diffuso, collegato al dinamismo e all’instabilità dell’ambiente”. 3 Cfr. Tedeschi Toschi A., “Crisi di impresa tra sistema e management. Per un approccio allo studio delle crisi aziendali, Egea, Milano, 1993: gli studi strategico-manageriali e in particolare in quel filone di studi di origine nord americana che ha focalizzato la propria attenzione sullo issue management termine utilizzato per indicare l’inadeguatezza della struttura e della organizzazione delle risorse aziendali di fronte alla continua evoluzione ambientale. Cosi definita la crisi appare un evento che quotidianamente sollecita l’impresa a cercare nuove modalità gestionali e competitive. In tale ottica, gli interventi di risanamento si configurano come interventi di natura ordinaria, non diversi da quelli normalmente utilizzati per correggere o implementare le strategie già perseguite dall’impresa.
6
generazione nel tempo, che avviene mediante la continua creazione di valore economico”, è possibile definire
la crisi d’impresa come l’incapacità dell’impresa di generare valore partendo dal capitale di cui essa stessa
dispone.
La crisi d’impresa, pertanto, si concretizza in una constante perdita di valore economico degli assets
aziendali ed in un perdurante stato di crisi finanziaria, alimentato dalla perdita di fiducia degli stakeholders e
da un sempre crescente stato di insolvenza4.
Più volte la dottrina ha affrontato il tema della crisi d’impresa evidenziando come lo stesso non sia una
condizione statica e univocamente identificabile, bensì “una perturbazione o improvvisa modificazione di
un’attività economica organizzata, prodotta da molteplici cause ora interne al singolo organismo, ora esterne,
ma comunque capaci di minarne l’esistenza o la continuità5”.
Deve osservarsi che la crisi, che può condurre alla cessazione dell’istituto aziendale se non vi si interviene
prontamente, non è un fenomeno che si manifesta o, per meglio dire, esplode all’improvviso, ma che pone le
proprie basi in un tempo più o meno lontano ma comunque antecedente, in cui si manifestano primi squilibri
ed inefficienze.
Diverse sono le cause che possono determinare la crisi e comunque contribuirvi. La prima delle cause a cui
la quasi totalità della dottrina fa risalire lo stato di crisi è rappresentata dall’incapacità del management di
riconoscere i suoi segnali e di porvi immediato riparo, incapacità derivante dalla mancanza di una cultura della
crisi6; tale cultura deve intendersi, innanzitutto, come consapevolezza che il rischio che, fisiologicamente,
caratterizza l’impresa, può trasformarsi in una scelta errata o semplicemente in un evento negativo, e come
capacità di riconoscerne i segnali, individuarne le aree e singoli elementi da cui derivano ed elaborare opportuni
interventi correttivi volti a ripristinare la finalità propria dell’istituto aziendale7.
4 Cfr. AA.VV., “Sistemi di allerta interna. Il monitoraggio continuativo del presupposto di continuità aziendale e la
segnalazione tempestiva dello stato di crisi da parte degli organi di vigilanza e controllo societario. Guida in materia di
sistemi di allerta preventiva”, Quaderno n. 71, Commissione Controllo Societario, SAF, 2017: sul piano economico – finanziario, lo stato di crisi di impresa può definirsi la situazione, chiaramente individuata sul piano temporale, di incapacità, tendenziale e temporanea, dell’impresa, misurabile ex ante in termini di probabilità, di generare, in via continuativa e non episodica, un adeguato flusso di cassa operativo. La capacità di generare liquidità deve essere tale da garantire un tempestivo e regolare servizio del debito contratto verso enti finanziari ed erariali. 5In tal senso, Pacchi s., Crisi di impresa e procedure concorsuali alternative, in Riv. dir. fallim., 1998, 996 e ss.. Si veda anche: Financial reporting council, An Update for Directors of Listed Companies: Going Concern and Liquidity Risk,
Novembre 2008; IAASB, Audit Considerations in Respect of Going Concern in the Current Economic Environment, 20 gennaio 2009; CONSOB, Comunicazione n. DEM/9012559 - Procedure di revisione e relazione di revisione in presenza di
problematiche connesse alla continuità aziendale, 6 febbraio 2009. 6 Cfr. Lizza P., “La cultura della crisi”, in Rivista dei Dottori Commercialisti, n. 3, 1998. Sul punto si veda anche cfr. Vergara C., “Disfunzioni e crisi di impresa”, Giuffrè, Milano, 1988: le crisi nascono da un processo di sviluppo delle disfunzioni al quale non ci si è saputo, o potuto, opporre, o delle quali, più semplicemente, non ci si è accorti tempestivamente. È proprio in questa incapacità di generare una reazione efficace e, quindi, nel consentire, più o meno supinamente, lo sviluppo delle disfunzioni che risiede il nucleo della patologia insita nelle crisi aziendali. Si veda ancora cfr. Guatri L. “Turnaround. Declino, crisi e ritorno al valore”, Egea, Milano, 1995: la cattiva direzione e comunque sempre in prima linea tra le cause del declino. 7 Cfr. Guatri L. “op. cit.”, 1995: imprenditori e manager non hanno ancora imparato a convivere con il rischio del declino e della crisi. Sia per fenomeni esterni, sia per il non tempestivo od errato adattamento all’ambiente, sia per il graduale deterioramento dovuto all’inerzia o all’insufficienza di fantasia o di creatività, sia per altre ragioni, il declino è sempre incombente, cosi ad intervalli regolari di tempo, situazioni che parevano forti e destinate a perdurare con buoni risultati gradualmente decadono: è con questa condizione che bisogna saper convivere; è con questa condizione che bisogna
7
Al di là di questa, lo stato di crisi può affondare le proprie radici nell’inefficienza dell’impresa stessa, nella
quale il rapporto ricavi/costi è inferiore rispetto a quello dei suoi competitors. Detta inefficienza, non solo
colpisce la funzione strettamente produttiva, ma può investire anche altre funzioni aziendali altrettanto
fondamentali. Lo stato di crisi può inoltre trovare fondamento in una eccessiva capacità produttiva non
affiancata da una rapida riduzione dei costi fissi od anche in un incremento repentino e significativo della
produzione non accompagnato da una adeguata capacità di autofinanziamento - la cd. «crisi di crescita» -
oppure può trarre origine dall’incapacità dell’impresa di governare il cambiamento: carenze nella
pianificazione strategica possono rivelarsi fatali nel medio/lungo termine. Infine, possono presentarsi crisi
generate da squilibri finanziari i quali possono risiedere in un alto indebitamento o in una sproporzione tra
debiti a breve e mezzi liquidi8.
Accanto a queste cause c.d. di origine aziendale possono poi affiancarsi sia cause di origine ambientale,
ossia derivanti dal mutamento delle condizioni che connotano l’ambiente economico, politico e sociale e che
si ripercuotono non solo sulla singola impresa ma sull’intero sistema produttivo, sia cause di origine settoriale
che interessano lo specifico settore in cui l’impresa ha deciso di operare e dei trend evolutivi e competitivi.
È evidente che ciascuna delle inefficienze e/o squilibri indicati costituisce causa e concausa dello stato di
crisi che, in un tipico processo circolare, tende a coinvolgere ciascun ambito aziendale che al tempo stesso
contribuisce a determinare e ad essere determinato dallo scompenso.
La crisi, pertanto, può originarsi da situazioni nelle quali l’impresa non riesce a difendere,
contemporaneamente, un soddisfacente equilibrio economico e un altrettanto soddisfacente equilibrio
finanziario, ovvero non riesce a conservare né un equilibrio economico né un equilibrio finanziario al punto
da minare il valore del proprio patrimonio9 benché, autorevole dottrina ritenga come l’aspetto economico tenda
ad assumere importanza preponderante ove, infatti, “le crisi sono sempre dovute a squilibri tra costi e ricavi,
ossia a fatti economici che successivamente, con intervalli variabili a seconda dei casi, si traducono in fatti
finanziari”10.
Quale che sia il fattore di crisi, i suoi effetti si produrranno principalmente sulla dinamica economica,
finanziaria e patrimoniale. Una volta che l’impresa ha individuato la causa o le cause da cui deriva la
disfunzione dovrà, innanzitutto, procedere a stabilire il tipo e l’entità dello squilibrio, per poi proseguire ad
indagarne sia le componenti economiche che quelle finanziario – patrimoniale. Sotto il primo aspetto si
procederà ad indagare, ad esempio, l’intensità della perdita attraverso l’ausilio di una serie di indicatori di
saper convivere; è con essa che bisogna sapersi misurare, per superare situazioni divenute negative o precarie e per farlo tempestivamente. Nonostante questa evidenza, la cultura della crisi è profondamente carente. Esiste addirittura un rigetto di questa pur essenziale preoccupazione, spesso una sostanziale difficoltà ad ammettere il declino anche da parte di chi ne è già coinvolto, almeno fin tanto che esso assume dimensione accentuate e di palese patologia. Ad esempio, quando si evidenziano perdite rilevanti mentre le perdite precedenti, di lieve dimensione, come accade nel declino strisciante che ha lunghi periodi di incubazione, non erano state interpretate come sintomi significativi. 8In merito si veda cfr. Brodi E.,“Tempestiva emersione e gestione della crisi d’impresa. Riflessioni sul disegno di un
efficiente sistema di allerta e composizione”, Banca d’Italia, Questioni di Economia e Finanza, Occasional Papers, 2018. 9 Per una disamina dei diversi filoni di studio sul fenomeno della crisi e delle sue possibili cause si veda cfr. Falini A., “La
crisi di impresa e le sue cause: un modello interpretativo”, Paper n. 125, 2011. 10Sciarelli S., “La crisi d’impresa, il percorso gestionale di risanamento nelle piccole e medie imprese”, Cedam, 1995.
8
reddittività; l’andamento storico e la tendenza della perdita attraverso l’analisi dei risultati realizzati nei 3-5
anni precedenti e con lo scopo di accertare la natura episodica o patologica della perdita stessa; la struttura
della perdita attraverso l’analisi del conto economico, con lo scopo di individuare il contributo di ciascun area
e quelle da cui si promano risultati negativi e delimitare l’area di intervento; le conseguenze finanziarie della
perdita, ossia gli effetti che ha avuto o che avrà sulla dinamica finanziaria dell’impresa in termini di definizione
dei componenti reddituali che hanno avuto contropartita monetaria, di capacità di indebitarsi, etc.
Sotto il secondo aspetto si procederà invece con l’indagine, ad esempio, dell’andamento della liquidità con
lo scopo di individuare i periodi in cui si sono verificate tensioni; l’indagine del ciclo di cassa al fine di definire
l’ammontare del fabbisogno finanziario per effetto del continuo replicarsi delle operazioni di gestione;
l’indagine della correlazione tra fonti e impieghi valutando in tal modo la capacità dell’impresa di ricercare
una omogeneità temporale; l’indagine delle conseguenze economiche della carenza di liquidità ovvero degli
influssi negativi sul conto economico, soprattutto, in termini di maggiori oneri finanziari connessi al maggior
debito contratto, derivanti dall’insufficienza di risorse liquide.
Quale che sia la causa, nell’evoluzione di una crisi possono essere individuati ben cinque differenti
momenti:
1) stadio dell’incubazione, nel quale si manifestano iniziali fenomeni di inefficienza;
2) stadio della maturazione della crisi, nel quale si cominciano ad intaccare le risorse aziendali (cassa e
patrimonio) con un contestuale incremento dei livelli di indebitamento;
3) stadio della crisi conclamata ma ancora reversibile, nel quale vengono intaccati gli equilibri di natura
finanziaria con conseguenti e significative ripercussioni sulla fiducia delle diverse categorie di stakeholder;
4) stadio di insolvenza reversibile, nella quale permane ancora il presupposto della continuità aziendale e
rilevabile solo attraverso l’accesso ad informazioni di dettaglio disponibili alla sola impresa e agli organi
di vigilanza;
5) l’ultimo stadio, quello dell’insolvenza conclamata irreversibile cui si giunge solo in assenza di tempestive
manovre di risanamento attuate nel corso delle precedenti fasi e consiste, appunto, nell’insolvenza e nella
condizione di dissesto manifesta ai terzi.
Allo stesso modo il percorso evolutivo della crisi può essere sintetizzato in un ulteriore modello nel quale sono
individuate tre fasi11:
- crisi potenziale;
- crisi governabile o reversibile;
- crisi irreversibile.
Tale schema analizza le relazioni fra flussi di cassa operativi, valore di funzionamento, debito e valore
di liquidazione del capitale dell’azienda nel corso del tempo.
11Buttignon F., “Il governo delle imprese in crisi”, in Rivista dei dottori commercialisti, 2008.
9
Figura n. 1: Percorso evolutivo della crisi d’impresa
La prima fase, quella di crisi potenziale, presenta anzitutto prospettive negative in merito ai flussi di cassa
operativi attesi che, se combinati con un elevato livello di debito, a parità di altre condizioni possono spingere
sempre più velocemente verso il punto critico della crisi.
Per fronteggiare uno stadio di crisi potenziale è fondamentale che i vertici aziendali siano in grado di
identificare le cause strutturali del declino dei flussi monetari operativi, di attuare tempestivamente azioni
correttive attraverso operazioni di gestione interna, quali ad esempio piani di ristrutturazione, nonché
attraverso operazioni esterne, quali ad esempio la ricerca di possibili alleanze industriali o l’ingesso di nuovi
soci nella compagine azionaria, cessione del controllo ecc.; infine è fondamentale che i vertici aziendali
intervengano sulla struttura finanziaria con l’obiettivo di acquisire nuova finanza e ristrutturare il debito
esistente.
L’infruttifero contrasto di tale primo stadio del processo evolutivo, porterà lo stato di crisi aziendale al
secondo stadio, quello della crisi governabile, nel quale sarà sempre più rilevante il declino del valore
operativo dell’azienda. L’ultimo stadio della crisi, quello della crisi irreversibile, si raggiunge quando il valore
di liquidazione risulta essere superiore al valore di funzionamento. In tale stadio, essendo venuta meno la
capacità dell’impresa di creare un valore economico tale da garantire la continuazione dell’esistenza aziendale,
il ricorso ad una procedura strettamente liquidatoria si rivela quanto mai ineluttabile, palesando così
l’inefficacia delle azioni messe in campo dai vertici aziendali nelle fasi precedenti12. Appare dunque evidente
come la crisi si ponga quale processo sistemico che affonda le proprie radici in un passato aziendale, più o
meno recente, al quale non si è dato ascolto ovvero non si è prestata la dovuta attenzione con l’adozione di
opportune strategie di ripristino dei canoni di efficacia ed efficienza.
12 In tal senso si veda Cfr. Falini A., “op. cit.”, 2011: la perdita economica, affinché si determini una vera e propria crisi, deve essere tuttavia sistematica e irreversibile senza interventi sanatori di ristrutturazione, escludendosi quindi le perdite dovute a componenti straordinarie o cicliche”.
10
1.1 La crisi d’impresa nell’ordinamento giuridico italiano
Sebbene la crisi d’impresa rappresenti un argomento ben conosciuto sia dalla dottrina aziendalistica che da
quella giurisprudenziale, prima dell’ultima riforma essa non godeva di alcuna definizione giuridica nel nostro
ordinamento. A guisa di esempio, l’art. 5 della legge fallimentare (R.D. 16 marzo 1942 n. 267) disciplinava
esclusivamente il concetto di “stato di insolvenza” individuando in esso il presupposto oggettivo per la
dichiarazione di fallimento degli imprenditori commerciali, definendolo come quello stato che “si manifesta
con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare
regolarmente le proprie obbligazioni”. Solo in tempi relativamente recenti il legislatore fallimentare si è
preoccupato di introdurre l’opportuno distinguo tra insolvenza e crisi, sebbene senza fornire una definizione
di quest’ultima ma limitandosi a disporre che alle imprese «in crisi» fosse concesso attivare determinate
procedure, come il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione, al fine di perseguire il superamento
del particolare stato tutelando il patrimonio aziendale e garantendo la prosecuzione dell’attività.
La riforma, finalmente, affronta anzitutto la mancata enucleazione del perimetro della crisi d’impresa
delegando al Governo l’onere di «introdurre una definizione dello stato di crisi, intesa come probabilità di
futura insolvenza, anche tenendo conto delle elaborazioni della scienza aziendalistica», superando così
l’erronea sovrapposizione che ha interessato per troppo tempo le procedure concorsuali tra il concetto di
“insolvenza” e il concetto di “crisi d’impresa”, inteso come una situazione di difficoltà “temporanea”
potenzialmente reversibile.
Sul punto il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili, da qualche anno e con
diversi ed autorevoli lavori13ha dato il proprio contributo alla definizione dello stato di crisi rappresentato come
l’«incapacità corrente dell’azienda di generare flussi di cassa, presenti e prospettici, sufficienti a garantire
l’adempimento delle obbligazioni già assunte e di quelle pianificate».
A tal fine, secondo le linee guida fornite, nella valutazione della crisi è necessario che si faccia riferimento
non solo al bilancio ma anche alla dimensione finanziaria, sia attuale che futura, attraverso il riferimento al
cash flow, anche atteso, facendo riferimento anche alle obbligazioni non ancora assunte, ma rientranti nella
normale attività dell’impresa unitamente ad informazioni di natura qualitativa, (p.e. andamento di mercato,
perdita di fattori chiave, dirigenti, fornitori, clienti, concessioni, quote di mercato, etc.), che possono consentire
l’espressione di un “giudizio integrato”.
Le Linee guida elaborate dal Consiglio Nazionale si spingono anche a fornire una indicazione degli elementi
economico-aziendali qualificanti l’informativa e la valutazione della crisi d’impresa, delineando per lo stesso
una serie di fasi, come indicato nella tabella che segue14.
13 Sul punto si veda cfr. CNDCEC – SIDREA, “Linee guida per la valutazione di aziende in crisi”, 2016. 14CNDCEC, Linee guida per l’informativa e la valutazione nella crisi d’impresa, 2015.
11
Tabella – Le fasi della crisi d’impresa
Stadio della crisi Rilevanza ai fini di eventuali
procedure di composizione della crisi
Elementi per l’informativa e la valutazione
1
Incubazione declino-crisi (fase ordinaria fisiologica)
Irrilevante ai fini delle procedure di concordato preventivo liquidatorio e rilevante per altri istituti o concordato preventivo con continuità
Rilevabile solo internamente e con strumenti prognostici di determinazione degli equilibri economici e finanziari in ottica di continuità (es. business plan). Idonea verifica tenuta continuità aziendale secondo Principio revisione (ISA Italia) 570.
2
Maturazione declino-crisi (fase straordinaria fisiologica)
Irrilevante ai fini delle procedure di concordato preventivo liquidatorio e rilevante su richiesta del solo imprenditore per altri istituti o concordato preventivo con continuità
Rilevabile solo internamente e con strumenti prognostici di determinazione degli equilibri economici e finanziari in ottica di continuità (es. business plan). Idonea verifica tenuta continuità aziendale secondo Principio revisione (ISA Italia) 570.
3
Crisi conclamata- reversibile (fase straordinaria)
Rilevante ai fini del concordato preventivo con continuità e dell’amministrazione straordinaria Coincide con questa fase anche la difficoltà finanziaria conclamata
Rilevabile solo internamente e con strumenti prognostici di determinazione degli equilibri economici e finanziari in ottica di continuità (es. business plan) in caso di valutazione da parte di terzi occorre potere accedere a informazioni di dettaglio disponibili alla sola impresa. Idonea verifica tenuta continuità aziendale secondo Principio revisione (ISA Italia) 570.
4 Insolvenza reversibile (fase straordinaria)
Rilevante ai fini del concordato preventivo sia liquidatorio sia con continuità e dell’amministrazione straordinaria
Rilevabile lo stato di insolvenza con valutazioni di dettaglio preliminari sul bilancio ma con approfondimenti su dati aggiornati e prospettici economico, finanziari e patrimoniali. In caso di valutazione da parte di terzi della reversibilità dell’insolvenza occorre potere accedere a informazioni di dettaglio disponibili alla sola impresa. Idonea verifica tenuta continuità aziendale secondo Principio revisione (ISA Italia) 570 con adozione strumento previsto dall’ordinamento per superamento crisi e recupero continuità aziendale.
5 Insolvenza (irreversibile)
Rilevante ai fini del concordato preventivo liquidatorio, dell’amministrazione straordinaria e del fallimento
Rilevabile lo stato di insolvenza con valutazioni su dati di bilancio per evidenza degli equilibri patrimoniali. Per manifestazione esteriore l’inadempimento delle obbligazioni occorre ricorrere a informazioni presso terzi.
12
Appare evidente come lo stato di crisi si vada dunque ad identificare con la probabilità concreta che
l’impresa possa non essere in grado di adempiere, con i flussi attuali e futuri, non solo a quelle obbligazioni
già assunte ma anche a quelle future che intende porre in essere per raggiungere i propri obiettivi e, per questa
strada, creare valore.
Sul punto, appare opportuno porre preliminarmente un distinguo tra detta definizione e quella contenuta
all’articolo 2 del Codice della Crisi in raccordo con l’articolo 13 dello stesso, di cui si dirà di qui appresso,
benché possano apparire simili ad una prima lettura. La definizione sopraindicata infatti muove da un
approccio di natura aziendalistica al problema della crisi estendendo – flussi di cassa prospettici e obbligazioni
pianificate – il perimetro della stessa ben oltre l’immediato status quo ad un periodo di medio termine ove già
nell’immediatezza, attraverso una accurata analisi delle strategie e degli investimenti pianificati, possono
rintracciarsi i primi germi di una condizione di inefficacia e/o inefficienza e, quindi, di crisi.
Diversamente, la recente novella all’art 2, Co. 1, lett. a) definisce lo stato di crisi come “lo stato di difficoltà
economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come
inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate”.
Occorre innanzitutto osservare come il citato art. 2, Co. 1, lett. a) appaia particolarmente innovativo rispetto
alla disciplina previgente: esso introduce, per la prima volta, nel nostro ordinamento i criteri per individuare
la sussistenza di una situazione di crisi15. Tale circostanza è individuata, in termini generali, con lo stato di
difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore che, in linea con la previgente
normativa, continua ad essere definito ai sensi dell’attuale art. 2, Co.1, lett. b) come quello “stato del debitore
che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado
di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”.
Ritornando sulla definizione di crisi, sulla scorta della nuova novella, occorre definire meglio il perimetro
di efficacia in una lettura combinata con l’articolo 13, Co. 1 ove, nell’affrontare il tema degli indicatori della
crisi, il legislatore richiede che sia data “evidenza della sostenibilità dei debiti per almeno i sei mesi successivi
e delle prospettive di continuità aziendale per l’esercizio in corso o, quando la durata residua dell’esercizio
al momento della valutazione è inferiore a sei mesi, per i sei mesi successivi”. Appare evidente quindi come
da una lettura combinata il perimetro della crisi finisca per circoscriversi a quelle imprese i cui flussi di cassa
non consentano di far fronte regolarmente non a tutte le obbligazioni programmate (si pensi ad esempio alle
obbligazioni che possono discendere da programmi di investimento solo strategicamente definiti sebbene
eventualmente budgettizzati e che richiederanno esborsi solo nel medio lungo termine) ma a quelle assunte e
prossime alla scadenza – per almeno i sei mesi successivi. La precisazione non è immune da risvolti pratici
15 Cfr. Ambrosini S., “Crisi e insolvenza: distinzione teorica e incertezze applicative”, in Italia Oggi, Speciale n. 2, Anno 29, 2019: del tutto nuova è invece la nozione di crisi, che nella vecchia disciplina, a livello di individuazione del requisito oggettivo per l’accesso al concordato preventivo, rappresentava il genus – per l’appunto non definito – cui apparteneva la species insolvenza e che oggi acquista, di contro, una sua precisa autonomia concettuale e precettiva. La norma contiene dunque un elemento propriamente definitorio (la probabilità di insolvenza derivante dallo stato di difficoltà economico-finanziaria) e uno, limitatamente alle imprese, di natura sintomatica (l’inadeguatezza, in prospettiva, dei flussi di cassa ai fini del rispetto del piano dei pagamenti). Il precetto appare coerente con il corrispondente principio di delega, che richiedeva di introdurre una definizione di crisi “intesa come probabilità di futura insolvenza”.
13
visto che l’analisi condotta sulle obbligazioni prossime alla scadenza piuttosto che su quelle genericamente
“programmate” significa estendere ovvero restringere il perimetro del presupposto oggettivo di accesso alle
procedure di allerta e di composizione assistita. Del resto cosi intesa, la crisi di impresa può essere
tempestivamente colta sulla scorta di segnali importanti – la prospettica inadeguatezza dei flussi di cassa di far
fronte alle obbligazioni in scadenza almeno nei sei mesi successivi – in modo da consentire l’adozione di quelle
opzioni di risanamento necessarie ad evitare il dissesto e senza che la stessa procedura di allerta possa
indiscriminatamente applicarsi ad un numero cospicuo di imprese che “semplicemente” presentano sintomi di
una inefficienza che può essere superata con una attenta riprogrammazione delle proprie linee di azione16.
Definita la portata del perimetro della crisi alla luce del dettato normativo appare opportuno porre anche un
elemento di discrimine tra crisi ed insolvenza visto che il confine sembra essere legata propria alla probabilità
dell’imminente verificarsi dell’inadempimento, probabile, nel primo caso, certa, nel secondo caso17.
La crisi, dunque, finisce con l’anticipare l’insolvenza che ne costituisce un possibile sviluppo benché non
necessariamente lo stato di crisi, se tempestivamente rilevato ed affrontato conduce all’insolvenza.
1.2 L’allerta “tempestiva” della situazione di crisi
Una volta delineato il concetto di “crisi” o, quanto meno, forniti gli elementi idonei per la sua
individuazione, diventa fondamentale che la stessa “emerga tempestivamente” in modo che si possano adottare
tutte le azioni necessarie a ripristinare le condizioni di equilibrio.
L’attenzione del legislatore all’emersione tempestiva della crisi permea l’intero assetto normativo ove già
all’articolo 4, Co. 2, lett. b) si pone come “dovere” a carico del debitore di “assumere tempestivamente le
iniziative idonee alla rapida definizione della procedura, anche al fine di non pregiudicare i diritti dei
creditori”; una attenzione che diventa maggiormente pregnante, in tema di sistemi di allerta e di composizione
assistita della crisi ove agli artt. 24 e 25 il legislatore è attento a definire il confine della tempestività
dell’iniziativa e la conseguente misura premiale per quel debitore accorto e diligente che ha inteso attivare la
procedura.
In linea, infatti, con la prospettiva, da tempo perseguita dal legislatore, di realizzare un processo di recupero
delle aziende in “difficoltà”, in luogo di un sistema punitivo finalizzato alla mera “estromissione” della “bad
company”, la riforma si è posta due principali finalità:
a) consentire una diagnosi precoce dello stato di difficoltà delle imprese;
16 Cfr. Ambrosini S., “op. cit.”, 2019: la scelta del legislatore, limitativa dal punto di vista del presupposto oggettivo, è stata immediatamente criticata da chi preconizza, a tale stregua, un’applicazione troppo circoscritta degli strumenti di allerta, anche in base all’esperienza maturata in materia di concordato preventivo, al quale nel passato, hanno chiesto di accedere per lo più imprese già insolventi. 17 Per un approfondimento si veda cfr. Messina A.C., “I nuovi presupposti: la crisi, l’insolvenza e il sovraindebitamento”, in Italia Oggi, Speciale n. 2, Anno 29, 2019: se la crisi è una raffigurazione predittiva, l’insolvenza è la fotografia di uno stato di fatto.
14
b) salvaguardare la capacità imprenditoriale di coloro che vanno incontro ad un fallimento di impresa
dovuto a particolari contingenze.
D’altra parte, la stessa raccomandazione n. 2014/135/UE pone tra i propri obiettivi quello di “consentire
alle imprese sane in difficoltà finanziaria di ristrutturarsi in una fase precoce, per evitare l’insolvenza e
proseguire l’attività”. Ecco come, in un assetto del genere, assuma un ruolo cruciale la “tempestività”: quanto
più tempestivi sono gli interventi di risanamento, tanto più vi sono possibilità di risanamento e recupero;
viceversa, il ritardo nel percepire i segnali di crisi possono portare a situazioni di irreversibilità e comunque
difficili da recuperare.
Proprio allo scopo di evitare di giungere a situazioni di crisi irreversibili, la riforma ha voluto introdurre
una fase preventiva di allerta con lo scopo di anticipare l’emersione della crisi, in modo da poter adottare
misure adeguate per un superamento della stessa (quali potrebbero essere, ad esempio, il raggiungimento di
accordi con i creditori o anche solo con i creditori “strategici”)18.
In altri termini si è compreso come la ricerca di soluzioni alternative alle procedure fallimentari, risponda
alle esigenze non solo dei debitori, ma anche dei creditori e, in generale, di tutti gli stakeholders dell’azienda
stessa.
In effetti, un’azione tempestiva genera una serie di benefici per i diversi interlocutori coinvolti, quali:
1) l’impresa, in tal modo, ha la possibilità di attuare le misure necessarie per recuperare l’equilibrio
economico-finanziario ovvero di limitare la perdita di capitale;
2) gli stakeholders: procedure di allerta tempestiva possono favorire sia gli interlocutori esterni all’impresa
(ad esempio fornitori), sia interlocutori interni ad essa (si pensi ai dipendenti che potrebbero evitare il
rischio della perdita di occupazione);
3) l’intero sistema economico: un miglioramento dei tassi di recupero si riflette, ad esempio, in maggiori
possibilità di accesso al credito, maggiori investimenti e, in generale, in una situazione maggiormente
performante per le imprese dell’intero sistema economico.
L’azione tempestiva limita, inoltre, il rischio di compromettere le cd. «risorse invisibili», ossia tutti quei
beni immateriali che, pur avendo un indiscutibile valore economico, difettano delle caratteristiche necessarie
per l’iscrizione in bilancio, perché estremamente complesse da valutare e quantificare. Si pensi alle conoscenze
delle risorse umane o a processi organizzativi, che creano ricchezza solo nell’ambito dell’unità produttiva nella
quale sono calati.
Fronteggiare per tempo la crisi permette di salvaguardare tali risorse, evitando che vengano disperse a causa
del disgregamento di complessi aziendali ancora vitali.
Un’azione tempestiva, infine, permetterebbe di conseguire la c.d. efficienza allocativa, ossia una migliore
allocazione dei fattori produttivi presso le stesse imprese in crisi, qualora queste siano viable but distressed e
abbiano posto in essere le operazioni necessarie, o con differenti operatori, nel caso di difficoltà irreversibili.
18Relazione illustrativa allo “Schema di decreto legislativo recante Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155”, 2 ottobre 2018
15
Il rinnovato spirito di salvaguardia socio-economica delle diverse realtà imprenditoriali in momento di
perdurante difficoltà economica, unitamente alla necessità di allertare tempestivamente il sistema in modo da
poter cogliere quei segnali di crisi e porvi rimedio, ha guidato i lavori di riforma e, in particolar modo, la
stesura delle procedure di allerta ove i principali intenti sono stati quelli di19:
1) definire degli indizi o indicatori della crisi, il cui ricorso consentirebbe di far scattare l’allarme
attivando l’adozione delle iniziative del caso;
2) individuare degli strumenti di rilevazione dei predetti indizi;
3) individuare dei meccanismi o procedure attraverso cui tradurre (per via di congegni di mero incentivo
o invece di innesco più o meno forzoso, nel che è un nodo nevralgico della materia) tale rilevazione
in iniziative dirette a fronteggiare la crisi, da parte del debitore e/o degli altri portatori degli interessi
coinvolti e/o legittimati alla loro tutela, una volta resi destinatari e perciò edotti dei segnali anzidetti
(ciò che nel Codice della Crisi viene denominata “procedura di allerta e composizione assistita della
crisi”);
4) definire delle misure in cui tali iniziative possano o debbano consistere, con riferimento alle procedure
di regolazione della crisi già note oppure con l’introduzione di ulteriori procedure (ciò che la legge n.
155/2017 e le bozze dei suoi decreti legislativi di attuazione chiamano “procedimento di composizione
assistita della crisi”).
Proprio con riferimento ai meccanismi di allerta, si rende opportuno osservare come il legislatore
prendendo spunto dalle procédures d’alerte francesi, attribuisce iniziativa a tre soggetti quali il debitore e
l’organo di controllo – emersione c.d. interna dello stato di crisi – e ad alcuni creditori qualificati – emersione
c.d. esterna dello stato di crisi.
Sul punto infatti la Francia già da tempo ha attivato una serie di strumenti idonei ad “allertare” in maniera
tempestiva tutti i soggetti coinvolti/interessati (stakeholders) circa la sussistenza di uno stato di crisi con una
evidenza empirica che ha mostrato negli anni come tali strumenti di prevenzione e di allerta siano stati non
solo efficaci ma abbiano anche contribuito in maniera significativa a creare una cultura della prevenzione
condivisa tra le imprese stesse.
In particolare, le procedure di allerta francesi prevedono20:
a) le procédures d’alerte su iniziativa dei soci (artt. L. 221-8, L. 225-232, L. 223-36 Code de Commerce;
art. 1855 Code Civil): i soci possano chiedere agli amministratori informazioni circa la gestione della
società e, in particolare, informazioni in merito alla continuità o meno dell’attività di impresa e sono
tenuti a ricevere risposta entro un breve termine.
b) le procédures d’alerte su iniziativa del revisore dei conti (art. L. 234-1 Code de Commerce): nelle
società dove è prevista la presenza di un revisore dei conti, questi è tenuto ad informare gli
19Perrino M. “Crisi d’impresa e allerta: indici, strumenti e procedure”, disponibile su www.osservatorio-oci.org, ottobre 2018. 20Pellegatta A., “Prevenzione della crisi d’impresa e procedure di allerta”, in rivista Jiudicium, 2013
16
amministratori prontamente nel caso in cui ravvisi elementi che possano compromettere la continuità
dell’attività di impresa;
c) le procédures d’alerte su iniziativa dei delegati del personale (art. L. 234-1 Code de Commerce)
che possono chiedere chiarimenti circa la situazione economica della società;
d) le procédures d’alerte su iniziativa diretta del Presidente del Tribunale di Commercio (art. L. 611-
2 Code de Commerce): a questi è riconosciuto il potere di convocare gli amministratori della società
nel caso in cui questa mostri segni di difficoltà in grado di far temere che sia compromessa la continuità
dell’attività d’impresa (anche il mancato deposito del bilancio è considerato un indicatore “negativo”).
Come si evince dalle procedure di allerta sopra illustrate, spesso le misure di prevenzione in Francia sono
attivate su impulso non dell’imprenditore, quanto piuttosto di soggetti esterni (revisori dei conti, Presidente
del Tribunale del Commercio, delegati del personale) che, in quanto tali, non di rado riescono a guardare la
situazione con maggiore oggettività e a cogliere segnali di crisi non ravvisabili da soggetti, quali gli
imprenditori, direttamente coinvolti nell’attività d’impresa21.
In ogni caso l’allerta ha essenzialmente lo scopo di creare un dialogo tra gli organi di controllo e i dirigenti, in
modo da garantire un intervento comune quando ancora sia possibile far fronte a tali difficoltà e con il precipuo
intento di informare tempestivamente i dirigenti delle società sulle difficoltà delle imprese, garantire
l’individuazione dei fattori di crisi dell’impresa e adottare le misure necessarie per fronteggiarli22.
1.3 Gli ostacoli all’emersione dello stato di crisi: il ruolo della governance
La letteratura in materia è tradizionalmente orientata ad identificare la crisi come una discontinuità che, se
colta tempestivamente e proattivamente, può trasformarsi in una opportunità capace di rilanciare il business e,
in tal modo, favorire la creazione di valore.
La stessa letteratura, inoltre, è pacifica nel ricondurre alla governance il ruolo di player determinante
nell’affrontare tale discontinuità e nell’individuare tempestivamente la migliore “exit strategy” divenendo,
soprattutto in periodi di crisi, protagonista di una risposta in chiave di crescita, d'innovazione e di sviluppo23.
Di contro, lì dove questo stesso player non voglia o non sia capace di riconoscere innanzitutto la
discontinuità e, immediatamente, di affrontarla e porvi rimedio risulta segnato il destino dell’azienda che quasi
inevitabilmente sarà destinata al dissesto.
L’importanza e anche la natura controversa di questo attore principale emerge con forza nel panorama
imprenditoriale italiano dove, in un contesto dominato da imprese di piccole-medie dimensioni di stampo
familiare, la governance si identifica con la figura dell’imprenditore-proprietario ossia della famiglia
21Pellegatta A. “La riforma della normativa sulla crisi d’impresa e dell’insolvenza: le procedure di allerta e di composizione
assistita”, in Crisi d’impresa e Fallimento, 8 marzo 2017. 22Campana M-J., “L’impresa in crisi. L’esperienza del diritto francese”, in Atti del Convegno, Cosenza 21-22 settembre 2001, pp. 96 e ss. 23 Cfr. Carboni C., “La solitudine dell’imprenditore”, in Commenti & Inchieste, Il Sole 24 Ore, 2011.
17
imprenditoriale con ripercussioni di non poco rilievo sul processo di emersione e risoluzione di eventuali
situazioni di crisi.
Del resto l’ampia letteratura in materia di family business dimostra come la componente familiare possa
costituire un “bivalent attributes” ossia un fattore capace di incidere tanto positivamente che negativamente
sul destino dell’impresa a seconda del diverso ambito di esercizio della sua influenza.
L’aspetto principale da considerare è che per l’imprenditore “familiare” l’azienda si identifica come una
estensione del proprio io che se da un lato può favorire la creazione di vantaggi competitivi propri solo delle
imprese familiari dall’altro lato, sotto il profilo della crisi, rappresenta un ostacolo di non poco conto alla presa
di coscienza, prima, e alla risoluzione, poi, della particolare discontinuità affrontata.
L’aspetto psicologico produce due immediate conseguenze: da un lato la conseguente sottovalutazione del
problema ascrivendolo a fattori endogeni da cui proteggersi ma di cui attenderne anche la fine, valutato
transitoriamente; dall’altro lato, il conseguente silenzio finalizzato a non far trapelare all’esterno nessuna
notizia circa il precario stato di salute dell’azienda.
Entrambe, hanno l’effetto di impedire la tempestiva emersione della crisi e, peggio, favorire un aggravio
della stessa sottovalutandone le cause e/o i possibili rimedi.
Sotto il primo aspetto, infatti, l’imprenditore è psicologicamente indotto ad addossare al contesto
economico e competitivo di riferimento i primi segnali di allerta (p.e. un calo delle vendite, una minore
redditività, una minore dilazione concessa dai propri fornitori, etc.) per cui non pone in essere alcuno screening
interno finalizzato a rintracciare eventuali aree di criticità in cui si evidenzino eventuali cali dei canoni di
efficacia e di efficienza o primi segnali di squilibrio. La conseguenza è che quando il segnale si sarà trasformato
in sintomo non si disporrà di sufficienti informazioni che consentano di delimitare l’area di intervento né di
scenari sulla possibile sua evoluzione né, conseguentemente, di opportuni piani di azione ponendo l’azienda
di fronte a ben poche vie di uscita. E proprio in questo contesto, dove il segnale è divenuto sintomo che può
nascondere l’esistenza di una patologia, l’aspetto psicologico può giocare ancora un ruolo fondamentale,
benché negativo, spingendo l’imprenditore ad ulteriori errori di valutazione nel distinguere, ad esempio, un
miglioramento del trend da un semplice evento episodico (p.e. un episodico incremento delle vendite) piuttosto
che, sulla scorta del tradizionale motto “del saper fare impresa” ritenga di avere tutte le capacità manageriali
necessarie a fronteggiare il mutato contesto sociale, economico e finanziario senza ricorso alcuno ad esperti
del settore né tantomeno ad un management esterno che non soffra della profonda autoreferenzialità24. Ciò
può, evidentemente, rallentare ulteriormente il processo di emersione della crisi o, peggio ancora, produrre un
danno al patrimonio sociale, minando nel contempo la continuità aziendale, lì dove lo stesso imprenditore
24 Cfr. Rinaldi P., “Strumenti di allerta: nozione, effetti e ambito di applicazione”, in Crisi di impresa. Procedure di allerta e di composizione assistita della crisi, Fascicolo 2, Il Sole 24 Ore, 03/2019: L’autoreferenzialità dell’imprenditore, infatti, ha avuto come conseguenza diretta un insufficiente investimento in prime linee manageriali autonome peraltro a propria volta poco attratte da strutture dalla modesta contendibilità sul mercato in relazione alle quali il ruolo esuberante dell’imprenditore e le problematiche di successione generazionale hanno troppo spesso allontanato prospettive di managerializzazione. I consulenti esterni all’imprenditore, in presenza di un elevato grado di autoreferenzialità di quest’ultimo, sono sovente selezionati in funzione della loro accondiscendenza e della loro fedeltà nel tempo piuttosto che in base alle competenze, richieste dalle mutate circostanze aziendali.
18
senza alcuna approfondita analisi ma solo sulla scorta del proprio “polso” imprenditoriale si lanci
nell’individuazione di soluzioni non preordinate né coordinate (che spesso si traducono in meri palliativi) e/o
in operazioni ad elevato rischio capaci, lì dove fossero finalizzate, di risollevare le sorti aziendali ovvero, di
contro, peggiorare lo stato di crisi.
Ma l’aspetto psicologico, come si è detto, gioca un ruolo importante anche sotto l’aspetto comunicativo
ove l’imprenditore risulta particolarmente riluttante a lanciare segnali di difficoltà all’esterno per questioni sia
di ordine socio-culturale, in quanto l’avvio di una procedura è tuttora visto come «evento dequalificante» o
«disfatta imprenditoriale», originato da un severo retaggio culturale25 sia di ordine prettamente economico e
gestorio legato al forte timore di perdere il controllo sulla propria azienda che induce a non comunicare
correttamente con i propri stakeholder; a fronte del silenzio imposto al primo segnale di difficoltà il terzo
potrebbe attribuire a questi un contenuto peggiore del dato reale nel timore che proprio quel silenzio nasconda
già una patologia: cosi, ad esempio, i finanziatori esterni potrebbero richiedere un rientro immediato o una
copertura adeguata di una porzione dei finanziamenti concessi, i fornitori potrebbero imporre pagamenti per
cassa e ridurre drasticamente le politiche di dilazione praticate, i clienti strategici ritenere maggiormente
conveniente rivolgersi ad imprese che possano garantire una stabilità e una continuità nelle forniture con
l’evidente conseguenza, in uno scenario del genere, che l’asimmetria informativa conduca, in un classico
dilemma del prigioniero, ciascuna parte in gioco a tentare di massimizzare la propria funzione utilitaristica ma
contribuendo, in tal modo, paradossalmente, a distruggere valore, ivi compreso il proprio, aggravando lo stato
di crisi e riducendo le opzioni di risanamento.
Ben consapevole di ciò appare il legislatore nella formulazione dell’articolo 4 del Codice della Crisi nonché
nelle modifiche apportate all’articolo 2086, Co. 2, c.c. e delle misure premiali in caso di emersione tempestiva
della crisi, il cui l’intento è proprio quello di incentivare l’imprenditore a superare sia l’aspetto psicologico che
la conseguente asimmetria informativa attraverso un’analisi critica della propria azienda che si fondi su assetti
adeguati e scientifici e si traduca in una informativa chiara e trasparente.
Ciò risulta evidente sulla scorta del dettato normativo contenuto all’articolo 4, Co. 2, ove è sancito che “il
debitore ha il dovere di:
a) illustrare la propria situazione in modo completo, veritiero e trasparente, fornendo ai creditori tutte le
informazioni necessarie ed appropriate allo strumento di regolazione della crisi o dell'insolvenza prescelto;
b) assumere tempestivamente le iniziative idonee alla rapida definizione della procedura, anche al fine di
non pregiudicare i diritti dei creditori;
c) gestire il patrimonio o l'impresa durante la procedura di regolazione della crisi o dell'insolvenza
nell'interesse prioritario dei creditori”.
In questo modo l’imprenditore, dotatosi di un assetto adeguato, all’emergere del “sintomo” di crisi, dovrà
agire tempestivamente innescando lo strumento protettivo offerto senza lanciarsi in operazioni rischiose o
25D’Avack (1940): sino alla metà del secolo scorso la dottrina sosteneva che il fallito è un «male infettivo da circoscrivere (...) e distruggere secondo un interesse supremo e statuale alla tutela dell’economia e del credito»
19
comunque dannose per la continuità aziendale e dandone opportuna notizia ai propri stakeholders che, di
contro, saranno chiamati a collaborarvi lealmente.
20
2. L’emersione anticipata della crisi: il ruolo degli attori coinvolti
Come si è detto, la riforma pone una particolare attenzione sulla tempestiva emersione anticipata
dell’eventuale stato di crisi con la precipua consapevolezza che “le possibilità di salvaguardare il valori di
una impresa in difficoltà sono direttamente proporzionali alla tempestività dell’intervento risanatore e,
viceversa, il ritardo nel percepire i prodromi di una crisi fa sì che, nella maggior parte dei casi, questa
degeneri in una vera e propria insolvenza sino a divenire irreversibile e a rendere perciò velleitari – e non di
rado addirittura ulteriormente dannosi – i postumi tentativi di risanamento26”.
Risulta evidente che la tempestività è strettamente connessa ai metodi di indagine e al grado di
consapevolezza della fase di squilibrio che l’impresa sta attraversando il ché spinge ad una lettura combinata
delle modifiche introdotte all’art. 2086, Co. 2, c.c. e degli articoli contenuti al Capo I – Strumenti di allerta –
e al Capo IV – Misure premiali – del Titolo II – Procedure di allerta e di composizione assistita della crisi –
del Codice della Crisi.
Innanzitutto è necessario che i sintomi prodromici della crisi siano opportunamente individuati ponendo in
allerta i soggetti coinvolti circa il ricorrere di un imminente stato di crisi; ciò è quanto richiesto dal legislatore
che, con le modifiche all’art. 2086, Co. 2, c.c. statuisce che “l’imprenditore, che operi in forma societaria o
collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e
alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della
perdita della continuità aziendale, nonché' di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli
strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.
Analoga attenzione proattiva è richiesta all’organo amministrativo ove per effetto delle modifiche apportate
all’articolo 2476 c.c. è stabilito che “gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l'inosservanza
degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale”.
Appare evidente come la tutela del patrimonio sociale e della continuità aziendale sia posta al centro della
riforma con il preciso intento, come già ampiamente detto, di favorire il ripristino delle condizioni di equilibrio
e, per tale strada, il mantenimento del ruolo sociale ed economico della realtà aziendale sebbene, a seguito
delle procedure di risanamento adottate, anche in forme eventualmente diverse rispetto al passato: in una logica
non più punitiva l’attenzione si sposta dal creditore sociale all’azienda nella piena consapevolezza che proprio
attraverso il recupero di quest’ultima passa il maggior e miglior soddisfacimento di tutti gli stakeholders27.
26 Cfr. Guidotti R., “Emersione della crisi e opportunità di risanamento”, in Il Caso.it, novembre 2016. Si veda anche cfr. D’Alessandro F., “La crisi tra diagnosi precoci e “accanimenti terapeutici”: se la crisi è affrontata sul nascere crescono le probabilità di successo di eventuali tentativi di risanamento e di recupero per i creditori e diminuisce così il danno sociale prodotto dal dissesto. 27 Cfr. Pollio M., “Cosa cambierà per le imprese e professionisti”, in Italia Oggi, Speciale n. 2, Anno 29, 2019: gli imprenditori collettivi che esercitano in forma di società di capitali non potranno più ragionare secondo il vecchio sinallagma: (1) patrimonio netto positivo uguale esistenza (o meglio probabilità) di continuità aziendale, (2) patrimonio netto negativo obbligo di ricapitalizzazione o alternativa della liquidazione. Con il nuovo Codice della Crisi l’imprenditore e l’amministratore di società si trova nella necessità, ogni volta che il rischio della continuità aziendale sussiste, a prescindere dall’entità effettiva del capitale sociale (che resta un elemento necessario alla gestione dell’impresa in funzionamento per non assumere responsabilità solidali), di dover scegliere, prima di liquidare l’impresa, di
21
Il richiamo alla necessità di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato che
consenta l’individuazione dei sintomi premonitori della crisi, impone ad un ripensamento dell’intero sistema
aziendale che vede nella possibile nomina dell’organo di controllo o del revisore solo il suo aspetto esteriore
di maggiore evidenza28.
Per effetto delle diverse modifiche e nel pieno intento di operare una prevenzione di situazioni critiche che
possano poi sfociare nella patologia, l’organo di controllo assume, infatti, ruolo di primo piano.
Come è noto, il collegio sindacale ai sensi dell’art. 2403 c.c. vigila sul rispetto dei principi di corretta
amministrazione e sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile in base alla natura
e alle dimensioni dell’impresa, e verifica che gli assetti organizzativi scelti risultino validi sotto un profilo
informativo e procedurale.
Occorre innanzitutto osservare come per effetto delle modifiche apportate al secondo e terzo comma
dell’art. 2477 c.c., si ampliano i casi di nomina obbligatoria dell’organo di controllo o del revisore, al fine di
favorire l’emersione e la gestione tempestiva della crisi, nomina che diventa obbligatoria per le società a
responsabilità limitata che hanno superato, per due esercizi consecutivi, almeno una delle seguenti soglie:
• 2 milioni di euro di totale dell’attivo patrimoniale;
• 2 milioni di euro di ricavi delle vendite e delle prestazioni;
• 10 dipendenti occupati in media durante l’esercizio29.
intraprendere un percorso obbligato di risanamento attraverso l’utilizzo appropriato e tempestivo di uno strumento di composizione e superamento della crisi, ovvero il pano attestato di risanamento, un accordo di ristrutturazione dei debiti o un concordato preventivo. 28 Sul punto diverse critiche sono emerse circa il reale contenuto della norma e il conseguente obbligo per quelle realtà di piccole e piccolissime dimensioni per le quali appare difficile individuare correttamente i confini dell’adeguato assetto. In merito si veda cfr. Guidotti R., “La governance delle società nel Codice della Crisi di Impresa”, reperibile su www.ilcaso.it, 09 marzo 2019. 29 Cfr. Brodi E., Orlando T., “Nomina dell’organo di controllo nelle srl: un esercizio di quantificazione alla luce dei nuovi
parametri dimensionali”, reperibile su www.ilcaso.it, 25 febbraio 2019: la popolazione di riferimento è costituita dalle s.r.l. per le quali sono riportate nella base dati Cerved le informazioni di bilancio per gli anni 2015 e 2016 e alle quali sono stati associati dati di fonte INPS sul personale impiegato. Si tratta complessivamente, di circa 491.000 società. Dalle informazioni a nostra disposizione, risulta che, nel quadro previgente, circa 14.300 s.r.l. (pari a poco meno del 3 per cento del totale delle imprese analizzate) fossero obbligate alla costituzione dell’organo di controllo, in base ai criteri quantitativi di cui alla lett. c). Poco più della metà di queste (circa 7.300, pari all’1,5 per cento del totale delle imprese analizzate) era incluso in tale insieme in virtù dei soli criteri relativi all’attivo e ai ricavi, non eccedendo la soglia prevista per i dipendenti. Per contro, in base ai nuovi parametri, sarebbero circa 140.000 le s.r.l. del campione soggette all’obbligo (pari al 28,5 per cento del totale di quelle considerate)]. Poco meno della metà, vi rientra in virtù del superamento di una sola delle tre soglie previste, mentre nei restanti casi sono contestualmente verificate due o più condizioni. In particolare, circa 32.000 imprese (pari al 23 per cento di quelle soggette all’obbligo e al 6,5 per cento del totale delle imprese analizzate) risultano tenute alla costituzione dell’organo in ragione del solo requisito dei dipendenti, il cui superamento rappresenta l’occorrenza più comune nei casi di s.r.l. soggette all’obbligo in virtù di un unico criterio.
22
Dispositivo dell'art. 2477 del codice civile
previgente
Dispositivo dell'art. 2477 del codice civile
previgente per effetto delle modifiche apportate
dal Codice della Crisi
la società è tenuta alla redazione del bilancio consolidato
la società è tenuta alla redazione del bilancio consolidato
la società controlla una società obbligata alla revisione legale de conti
la società controlla una società obbligata alla revisione legale de conti
limiti quantitativi: 1) totale dell'attivo dello stato patrimoniale:
4.400.000 euro; 2) ricavi delle vendite e delle prestazioni:
8.800.000 euro; 3) dipendenti occupati in media durante
l'esercizio: 50 unità.
limiti quantitativi: 1) totale dell'attivo dello stato patrimoniale:
2.000.000 euro; 2) ricavi delle vendite e delle prestazioni: 2.000.000
euro; 3) dipendenti occupati in media durante l'esercizio:
10 unità.
Detto obbligo di designazione dell’organo di controllo cessa quando, per tre esercizi consecutivi (non più
due come nella formulazione precedente), non è superato nessuno di tali limiti.
Attraverso una lettura coordinata con l’art. 3 della Direttiva 2013/34/UE che fornisce una definizione
quantitativa di piccole imprese quali quelle che alla data di chiusura del bilancio non abbiano superato due dei
tre limiti dimensionali individuati in (i) un totale dell’attivo di 4 milioni di euro e/o (ii) ricavi netti delle vendite
e delle prestazioni di 8 milioni di euro e/o un (iii) numero medio di dipendenti occupati durante l’esercizio pari
a 50 unità, ci si rende conto che le novità introdotte finiscono per interessare un bacino di potenziali imprese
abbastanza cospicuo che si stima in circa 150.000 unità a regime per il 2020 con una possibilità di nomina già
in occasione dell’approvazione del bilancio chiuso al 31 dicembre 2018, per quelle società che presentano uno
statuto già compatibile con le nuove disposizioni di cui all’art. 2477 c.c. e, con un obbligo differito ai termini
di approvazione del bilancio chiuso al 31 dicembre 2019, per quelle società che dovranno provvedere agli
adeguamenti30.
2.1 Gli obblighi per revisori e sindaci
In tale nuovo contesto normativo, si colloca l’art. 14 comma 1 che affida “agli organi di controllo societari,
il revisore contabile e la società di revisione, ciascuno nell'ambito delle proprie funzioni, hanno l'obbligo di
verificare che l'organo amministrativo valuti costantemente, assumendo le conseguenti idonee iniziative, se
30 Cfr. De Angelis L., “Tutte le novità per i sindaci revisori nelle srl”, in Italia Oggi, Speciale n. 2, Anno 29, 2019: nella pratica operativa tali tempistiche creano notevoli perplessità. Infatti, non viene fissato un termine specifico per la nomina dell’organo di controllo o del revisore ma solo per la modifica dell’atto costitutivo o statuto a cui legare la nomina del controllore facendo presumere che la data della modifica del contratto sociale possa costituire anche il termine ultimo per la nomina dell’organo di controllo o del revisore. Ora, fermo restando la possibilità di nominare l’organo di controllo anche a seguito dell’approvazione del bilancio 2018, in considerazione della circostanza che le modifiche statutarie potrebbero essere effettuate a dicembre 2019, parrebbe a riguardo ragionevole consentire che tale nomina possa avvenire non in tale mese, in cui non vi sarebbero neppure i tempi tecnici per il sindaco/revisore di avere congrua conoscenza dell’azienda e della sua attività ed effettuare la pianificazione dei lavori sul bilancio 2019, ma con le assemblee che approvano detto bilancio e quindi nell’aprile/giugno 2020.
23
l'assetto organizzativo dell'impresa è adeguato, se sussiste l'equilibrio economico finanziario e quale è il
prevedibile andamento della gestione, nonché' di segnalare immediatamente allo stesso organo
amministrativo l'esistenza di fondati indizi della crisi”.
La norma in commento, evidentemente, si propone di valorizzare significativamente l’attività dell’organo
di controllo al fine di un tempestivo rilevamento dei primi segnali di crisi per evitare che tali criticità sfocino
in uno stato patologico. A tal fine all’organo di controllo sono affidati maggiori poteri – doveri che lo collocano
in un ruolo centrale nella tutela degli interessi protetti.
Per cui, revisori e sindaci, dovranno innanzitutto vigilare sull’adeguatezza dell’organizzazione interna ad
intercettare tempestivamente tutti quegli indizi che possano segnalare una difficoltà nel perseguire la continuità
aziendale. L’aspetto non è di scarso rilievo visto che, per effetto del novero di imprese coinvolte, è prevedibile
che ci si imbatta con sistemi organizzati di piccole imprese che, proprio in ragione delle minori dimensioni,
saranno dotate di assetti meno complessi ed automatizzati rispetto ai quali potrebbe porsi anche la
necessità/opportunità di procedere in tal senso31.
Il controllo del collegio sindacale sarà incentrato sulla legittimità degli atti compiuti sotto un profilo sia
formale che sostanziale. I sindaci, infatti, sono tenuti a verificare l’osservanza delle regole che costituiscono
diretta applicazione dell’ex art. 2392 codice civile adeguandole, anche in considerazione delle dimensioni e
dell’oggetto, alla singola realtà societaria.
Ad ogni modo la vigilanza dei sindaci sulla gestione deve essere attuata secondo criteri di ragionevolezza
economica in quanto mirata a tutelare non solo l’interesse dei soci, ma anche quello concorrente dei creditori
sociali. Pertanto il sindaco non dovrà limitarsi ad un mero controllo formale della documentazione messa a
disposizione dagli amministratori, ma, ai sensi dell’art. 2403 bis, c.c., dovrà andare oltre, informandosi
sull’andamento generale, ma anche su specifiche operazioni, intervenendo attivamente qualora riscontri
condotte non conformi alle disposizioni normative vigenti. I sindaci hanno dunque un preciso obbligo di
reazione ad operazioni imprudenti o antieconomiche poste in essere sai dagli amministratori che da tutti gli
altri soggetti che operano all’interno della società (es. direttori, alti dirigenti, liquidatori)32.
L’ampliamento delle ipotesi di nomina obbligatoria di sindaci e revisori si accompagna ad un’altra rilevante
modifica normativa, desumibile dal combinato disposto degli artt. 3 comma 2 e 374 comma 2 del codice della
crisi, che prevede che l’imprenditore, operante in forma societaria o collettiva, dovrà attivarsi senza indugio
per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e
il recupero della continuità aziendale.
Appare quindi evidente che gli organi di controllo, oltre a valutare essi stessi il rispetto dei criteri di
adeguatezza e di equilibrio, dovranno svolgere un’attività di esortazione per gli amministratori, affinché questi
31 Cfr. De Angelis L., “op. cit”, 2019: un sistema contabile adeguato a una piccolissima impresa dovrebbe almeno garantire l’identificazione del tipo di transazione da registrare, il corretto importo oggetto di registrazione e la corretta individuazione dell’esercizio di competenza. 32 Cfr. Tomasi T., “Impresa in crisi e creditore bancario” in Quaderni di giurisprudenza commerciale, Milano 2017
24
agiscano nella valutazione periodica e nel monitoraggio di quegli aspetti che il decreto ha ritenuto fondamentali
per la prevenzione delle crisi di impresa.
Sul punto la norma 3.1 delle norme di comportamento del collegio sindacale emanate dal Consiglio
Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili chiarisce che “laddove l’attività di vigilanza
dovesse evidenziare significativi rischi di possibili violazioni di legge o di statuto, di inesatta applicazione dei
principi di corretta amministrazione, di inadeguatezza dell’assetto organizzativo o del sistema
amministrativo-contabile, il collegio sindacale richiede all’organo amministrativo l’adozione di azioni
correttive e ne monitora la realizzazione nel corso dell’incarico”; a ciò si aggiunge che“nel caso in cui le
azioni correttive non vengano poste in essere, ovvero siano ritenute dal collegio non sufficienti, ovvero in casi
di urgenza, di particolare gravità o di avvenuto riscontro di violazioni, il collegio adotta le iniziative previste
dalla legge per la rimozione delle violazioni riscontrate”.
La norma di comportamento ha diffusamente trattato il tema della vigilanza dei sindaci sull’operato degli
amministratori e offre un sistema di regole che compensa, in parte, il silenzio del legislatore circa lo specifico
comportamento dell’organo di controllo nelle situazioni “critiche”.
In sintesi, i poteri – doveri del collegio sindacale possono sintetizzarsi nelle seguenti fasi33:
- prevenzione dello stato di squilibrio economico-finanziario e patrimoniale, mediante l’adozione di
strumenti organizzativi che siano capaci di rilevare ex ante il rischio a seconda delle dimensioni e
della tipologia dell’attività di impresa;
- rilevazione tempestiva dei segnali di criticità;
- individuazione di idonei rimedi da adottare per fronteggiare la crisi;
- vigilanza sulla corretta esecuzione materiale del programma ideato per superare le criticità ed
evitare l’insolvenza.
Evidentemente, il sindaco dovendosi oggi confrontare anche con realtà economiche di minori dimensioni
si pone di fronte ad una serie di problematiche che lo investono sin dalle prime fasi di accettazione dell’incarico
ove, data l’incisiva presenza dell’imprenditore – fondatore, dovrà accuratamente valutare la propria
indipendenza, i rischi che comporta l’accettazione e lo svolgimento dell’incarico e, non ultimo, l’operare in un
contesto meno strutturato sotto il profilo operativo ed organizzativo.
2.2 Profili di responsabilità per revisori e sindaci
Agli obblighi posti in capo all’organo di controllo corrisponde un altrettanto importante profilo di
responsabilità che ovviamente inerisce non solo la mancata effettuazione dei controlli ma, soprattutto, come
confermato anche da una recente pronuncia della Corte di Cassazione, n. 21662/2018, l’assenza di reazione
agli atti di mala gestio, che integra l’azione di responsabilità per non aver assolto al dovere di vigilanza.
L’elemento della colpa rileva quindi sotto due profili: colpa della conoscenza e colpa nell’attivazione. La
33 Cfr. Solidoro A., Rosmino M., “Il sistema dei controlli societari: funzioni e profili di responsabilità del collegio sindacale
alla luce della riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza”, in Crisi E risanamento n. 25, 2017.
25
reazione dell’organo di controllo alla rilevazione di atti potenzialmente dannosi deve essere fattiva con la
segnalazione all’assemblea dei soci, ove ne riscontri gli estremi all’autorità giudiziaria fino a pretendere
dall’organo amministrativo azioni correttive. In mancanza di tali azioni qualora dall’amministratore siano state
poste in essere operazioni illecite l’organo di controllo concorre nell’illecito civile per omesso esercizio del
potere-dovere di controllo.
Sotto il profilo della responsabilità i sindaci sono soggetti alla responsabilità (cd. esclusiva) civile prevista
dall’art. 2407, comma 1, c.c. con una previsione di responsabilità che si estende anche ai fatti e alle omissioni
degli amministratori (in tale evenienza si parla di “responsabilità concorrente”) se tali fatti o omissioni hanno
generato un danno che sarebbe potuto essere evitato se avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro
carica.
Li dove poi il collegio sindacale sia incaricato anche della revisione legale dei conti, aumentano i doveri e,
conseguentemente, si allarga il campo delle responsabilità verso la società, i soci e i terzi danneggiati per i
danni derivanti dall’inadempimento dei loro doveri attinenti la specifica attività di revisione.
Un’ulteriore responsabilità posta a carico dei sindaci è quella penale nelle specifiche ipotesi di false
comunicazioni sociali e impedito controllo (artt. 2621, 2622 e 2625 c.c.).
Nel nuovo contesto normativo, sicuramente assume particolare rilievo l’obbligo e le responsabilità
conseguenti per la segnalazione circa l’esistenza di fondati indizi della crisi che deve essere immediatamente
comunicata all’organo amministrativo che, quest’ultimo, a sua volta, entro il termine fissato non superiore a
30 giorni, dovrà riferire in ordine alle soluzioni individuate e alle iniziative intraprese.
In caso di omessa oppure inadeguata risposta, ovvero di mancata adozione nei successivi 60 giorni, delle
misure ritenute necessarie a superare lo stato di crisi, i sindaci o i revisori devono informare, senza indugio,
l’Organismo di Composizione della Crisi (c.d. OCRI) istituito presso ciascuna Camera di Commercio, con
conseguente esonero, a seguito della tempestiva segnalazione, come precisato dall’art. 14, Co. 3, dalla
responsabilità solidale per le conseguenze pregiudizievoli delle omissioni o azioni successivamente poste in
essere dal predetto organo, che non siano conseguenza diretta di decisioni assunte prima della segnalazione.
Sulla scorta di quanto sin qui detto appare evidente la portata innovativa della riforma che determina la
centralità del sistema di controllo che si snoda essenzialmente attraverso:
- riconoscimento in capo all’organo di controllo e al revisore legale, in base all’articolo 4, lettera c), L.
155/2017 della legittimazione ad agire nell’ambito della procedura di allerta, che si sostanzia
nell’obbligo di avvisare immediatamente e in via preliminare l’organo amministrativo dell’esistenza di
fondati indizi di crisi e in subordine, ossia in caso di inerzia o di inadeguata risposta di quest’ultimo,
consegue l’obbligo di informare tempestivamente l’organismo di composizione assistita della crisi
istituito presso la CCIAA territorialmente competente, di cui all’articolo 4, lettera b), L. 155/2017;
- ridefinizione del perimetro di responsabilità del collegio sindacale, in base alla previsione contenuta
nell’articolo 4, lettera f), L. 155/2017 che richiede ai decreti attuativi della riforma la determinazione di
criteri che escludano il regime di responsabilità solidale dei sindaci con gli amministratori per le
26
conseguenze pregiudizievoli dei fatti o delle omissioni da questi commessi successivamente alla
segnalazione di cui all’articolo 4, lettera c), L. 155/2017;
- estensione, sancita dall’articolo 14, lettera g), L. 155/2017 dell’obbligo di nomina dell’organo di
controllo.
Ovviamente la nuova disciplina (e relativi obblighi) non è immune da criticità benché vista in un’ottica
positiva sia di completamento delle competenze, in cui l’imprenditore ha la possibilità di confrontarsi
periodicamente con professionisti qualificati che lo aiutino nella gestione della sua impresa (anche attraverso
l’analisi dell’andamento aziendale), sia di miglioramento di immagine e reputazione per chi ha ambizioni di
crescita e sviluppo anche internazionale.
Il controllo interno ideato dal legislatore, dunque, fa perno su un sistema che abbandona il concetto di
verifica ex post e che privilegia, al contrario, l’adozione di strumenti organizzativi che siano capaci di rilevare
tempestivamente il rischio a seconda delle dimensioni e della tipologia dell’attività di impresa e che siano in
grado di riconoscere l’imminenza della crisi. L’adeguatezza delle procedure per rilevare segnali di crisi rientra,
infatti, tra le caratteristiche di un assetto organizzativo adeguato34.
Si è più volte detto che l’obiettivo del Legislatore è incentivare l’emersione anticipata della crisi, attraverso
due procedure di allerta, una interna attraverso la quale il revisore legale, rilevata l'esistenza di fondati indizi
della crisi, è tenuto ad avviare una procedura d’allerta interna e, in caso di inadeguata risposta da parte della
società, ad informare tempestivamente l’autorità giudiziaria; un’altra esterna, attivata dai c.d. creditori
qualificati (Agenzia delle Entrate, Agenti della riscossione, Enti Previdenziali).
Ma occorre osservare come la scelta di porre un “dovere dell’imprenditore e degli organi sociali di istituire
assetti organizzativi adeguati per la rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità
aziendale, nonché di attivarsi per l’adozione tempestiva di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per
il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale” sembra assumere natura meramente
interpretativa: il risultato verso il quale tale scelta tende è già conseguibile attraverso l’applicazione del diritto
vigente35.
Le disposizioni previste dal codice della crisi rappresentano “una mera specificazione” dell’art. 2381 c.c.
che dispone già in capo al consiglio di amministrazione i doveri di valutare l’adeguatezza dell’assetto
organizzativo, amministrativo e contabile della società e di curare che l’assetto organizzativo, amministrativo
e contabile sia adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa.
Il punto cruciale è il momento di apertura della procedura di allerta. Se il collegio sindacale deve
evidenziare “fondati indizi” della probabilità di futura insolvenza, la tempestività o meno dell’attivazione della
procedura dipende dall’interpretazione della locuzione “rischio di insolvenza” dove un’eccessiva prudenza e
34Commento della norma 11.1 “Prevenzione ed emersione della crisi” tratta da “Norme di comportamento del collegio
sindacale” del CNDCEC Settembre 2015. 35Cfr. Russo R., “Il diritto commerciale verso il 2020: i grandi dibattiti in corso, i grandi cantieri aperti” Roma 17-18
febbraio 2017 in occasione del VIII convegno annuale dell’associazione italiana dei professori universitari di diritto
commerciale “Orizzonti del Diritto Commerciale”
27
tempestività di segnalazione da parte del collegio sindacale, potrebbero danneggiare la continuità della
gestione finanziaria e produttiva e generare allarmi impropri.
28
3. I sistemi di allerta: riflessioni sulle possibili metodologie di indagine
3.1 Gli indicatori della crisi nella Legge 155/2017
La crisi d’azienda invero, quale che sia l’esito finale in cui questa sfocerà, che sia il tracollo dell’iniziativa
imprenditoriale ovvero la sua rinascita, rappresenta ad ogni modo una discontinuità che l’azienda
fisiologicamente si trova ad affrontare durante la propria esistenza e che, al tempo stesso, costituisce un segnale
del suo stato di salute da cogliere ed affrontare con tempestività36 e proattività nella definizione delle strategie
e delle azioni ritenute maggiormente opportune.
Lì dove, infatti, la stessa non sia colta sin dai suoi segnali premonitori37 o peggio ancora i segnali vengano
ignorati da una governance poco attenta e/o da una proprietà impreparata, anche sotto un profilo psicologico,
a gestire la discontinuità, questa costituirà elemento endemico di una patologia che, con buona probabilità,
potrà condurre all’estinzione della “business idea” e con essa del sistema imprenditoriale.
Con il preciso intento di introdurre una prospettiva di tipo forward looking, il legislatore con la legge n.
155/2017 ha introdotto una procedura di allerta finalizzata a favorire l’emersione tempestiva di sintomi
premonitori di uno stato di crisi attraverso la duplice e consequenziale fase di monitoraggio e segnalazione38.
Rinviando per la disamina a quanto già detto nei capitoli precedenti, qui si fa richiamo a quanto sancito
all’articolo 13 – Indicatori di crisi – e all’articolo 24 – Tempestività dell’iniziativa – della già richiamata legge
n. 155/2017 che, pur demandando al Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di
individuare, distinguendo per attività economica e per start-up innovative, PMI innovative e società in
liquidazione l’elaborazione degli indicatori meglio rispondenti all’emersione dell’eventuale stato di crisi,
tuttavia procede all’indicazione di taluni indici ritenuti significativi quali il rapporto tra patrimonio netto e
36 Cfr. Cestari G., “La diagnosi precoce della crisi aziendale. Analisi del processo patologico e dei modelli predittivi”, Giuffrè Editore, 2009: il tempo gioca un duplice ruolo in termini di tempestività di accertamento, che misura l’intervallo intercorrente tra il momento di inizio dell’involuzione del moto aziendale e quello in cui il fenomeno degenerativo viene avvertito ed in termini di precocità di intervento, vale a dire il periodo di tempo che passa tra il momento in cui il fenomeno viene avvertito e quello in cui vengono prese le decisioni di azione di recupero o inazione” 37 Cfr. UNGDCEC, “Il principio della continuità aziendale”, in Il Commercialista Veneto, n. 194, Marzo – Aprile 2010: “l’individuazione della mancanza del presupposto della continuità aziendale o la presenza di incertezze significative, in un ipotetico percorso di crisi aziendale, è spesso rinvenibile in eventi o condizioni maturate e divenute irreversibili ben prima dell’effettivo manifestarsi del “default”. 38 Cfr. Giacomelli A., “La procedura di allerta nella Legge 155/2017: produzione e monitoraggio di indicatori premonitori
dello stato di crisi”, in Il Commercialista Veneto, n. 241, 2018: per tutelare il sistema, la nuova legislazione ha adottato il principio generale di cercare di anticipare ai suoi stati iniziali la gestione proattiva delle crisi aziendali, quando ci sono ancora attivi consistenti e leve d’intervento efficaci. Questo principio è richiamato a livello di direttiva europea (2016/0359, Strasbourg 22.11.2016, 723 final) ed è già stato recepito in molti ordinamenti nazionali, tra cui Francia e Germania. Adottare il principio di anticipare ai suoi stati iniziali la gestione delle crisi risulta particolarmente necessario nel nostro Paese, in quanto numerose evidenze empiriche confermano una significativa incapacità delle imprese italiane di promuovere autonomamente processi di ristrutturazione precoce. Per soddisfare tali esigenze non risulta sufficiente limitarsi a considerare la tradizionale informazione a consuntivo (su come le cose sono andate o stanno andando fino ad oggi); la nuova regolamentazione introduce pertanto la necessità di adottare l’informazione prospettica. L’informazione prospettica è riferita agli obiettivi che le imprese stanno perseguendo e all’incertezza sul loro effettivo raggiungimento (entità dei possibili scostamenti dagli obiettivi). L’adozione di tale informazione pone una serie rilevante di interrogativi e di significative problematiche, sia di natura logica che applicativa; in particolare, essendo informazione riferita al futuro, comporta la necessità di individuare i diversi possibili eventi alternativi che si possono realizzare e di adottare decisioni che considerino in modo consapevole gli effetti di tali possibili alternative.
29
passivo, tra oneri finanziari e ricavi (Art. 13, Co. 1) nonché l’esistenza di debiti per retribuzioni scaduti da
almeno sessanta giorni per un ammontare pari ad oltre la metà dell’ammontare complessivo mensile delle
retribuzioni oppure l’esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno centoventi giorni per un ammontare
superiore a quello dei debiti non scaduti (Art. 24, Co. 1, lett a) e b)).
3.2 Analisi di bilancio per indici e per flussi
È evidente, dunque, che, in questo scenario, la sfida per imprese e professionisti si giocherà non tanto sulla
definizione di una strumenti di monitoraggio maggiormente adeguati rispetto al passato visto che, tra l’altro,
la ricerca scientifica ad oggi disponibile ha mostrato tutta la propria utilità nel supportare i processi di check-
up aziendali, bensì di ripensare ad un loro diverso impiego che risulti costante nel corso del singolo esercizio
amministrativo in un processo che favorisca la diffusione della cultura della crisi e che veda all’azienda quale
organismo dinamico i cui segnali di una insorgente patologia possono manifestarsi anche nel lasso temporale
di un trimestre di riferimento.
Il tutto ripensato e rivisto sia in un’ottica di “proiezione dei risultati storici” ossia di analisi del trend storico
degli ultimi 3 – 5 anni sia in un’ottica forward looking che si serva del supporto di budget e piani programmatici
di azione39.
Se l’assunto di base è che gli strumenti oggi elaborati dalla dottrina e dalla prassi costituiscono ancora
valido supporto per il monitoraggio dello stato di salute dell’azienda allora risulta altrettanto evidente che
l’analisi di bilancio per indici rappresenta il necessario punto di partenza quando si è intenti ad affrontare il
tema della continuità aziendale, della creazione di valore e, ovviamente, del monitoraggio costante dello stato
di salute dell’azienda.
Risulta dunque evidente come l’analisi di bilancio per indici rappresenti ancora oggi quello strumento di
prima valutazione che consente di avere prime informazioni sullo stato di salute dell’azienda40.
È noto infatti che l’analisi di bilancio per indici sia una tecnica di indagine che, attraverso l’opportuna
riclassificazione dello stato patrimoniale e del conto economico, con l’ausilio della nota integrativa e ove
esistente della relazione sulla gestione, consente di valutare, nel tempo e nello spazio41, la situazione di
equilibrio aziendale attraverso la determinazione di margini e quozienti capaci di evidenziare la capacità
39 Per un approfondimento sugli approcci finalizzati all’accertamento della crisi si veda cfr. Quagli A., “Il percorso
dell’allerta: l’approccio esterno e interno”, in Crisi di impresa. Procedure di allerta e di composizione assistita della crisi, Fascicolo 2, Il Sole 24 Ore, 03/2019. 40 Cfr. Caramiello C., Di Lazzaro F., Fiori G., “Indici di bilancio: strumenti per l’analisi della gestione aziendale”, Giuffrè,2003: per quanto concerne le finalità dell’analisi di bilancio mediante indici, esse sono riassumibili in un concetto che, di per sé, è piuttosto semplice: lo scopo dell’analisi, infatti consiste nel diagnosticare, in tempi ragionevolmente contenuti, lo stato di salute di un’impresa. 41 Cfr. Metallo G., “Finanza sistemica per l’impresa”, Giappichelli Editore, 2007: tale metodica consente di effettuare un confronto nel tempo dei dati economici, patrimoniali e monetari che un’azienda ha manifestato, cogliendo, dunque, la loro evoluzione; confrontare, utilmente, tali valori con quelli di imprese simili, o con le migliori appartenenti allo stesso settore (best in class), operanti nelle medesime condizioni (benchmarking), al fine di valutare i punti di forza e di debolezza nei confronti della concorrenza
30
dell’impresa di garantire un’adeguata omogeneità tra fonti ed impieghi, di essere solvente e di remunerare
adeguatamente i capitali investiti.
Il raggiungimento di questi obiettivi passa attraverso quattro fasi consequenziali42:
a) “riclassifica dei documenti di bilancio anche alla luce delle informazioni contenute nella nota
integrativa e delle ulteriori informazioni disponibili;
b) determinazione degli indici di bilancio;
c) creazione di un sistema di coordinamento degli indici di bilancio e loro raffronto temporale e spaziale;
d) lettura ed analisi interpretativa delle condizioni di equilibrio”.
Per gli scopi conosciti del presente lavoro si è ritenuto di non trattare l’analisi per flussi rimandando per
ogni ulteriore approfondimento operativo al principio contabile italiano OIC 10 – Rendiconto finanziario e
limitandoci, in questa sede, a rimarcare la sua importanza ai fini dell’indagine delle variazioni che hanno
interessato le consistenze liquide dell’azienda in certo arco temporale e, conseguentemente, ugualmente
fondamentale per comprendere lo stato di salute dell’azienda.
3.2.1 La riclassifica dello stato patrimoniale
Risulta evidente che la bontà dell’analisi di bilancio muove dunque da due presupposti di base:
a) la veridicità e l’attendibilità delle informazioni sintetizzate nei documenti di bilancio;
b) la bontà della riclassifica dello stato patrimoniale e del conto economico operata dall’analista che è
chiamato a svolgere un ruolo rilevante ed intriso di un certo grado di soggettività43.
La garanzia della combinata coesistenza di questi due presupposti di base è imprescindibile ed
indispensabile affinché l’output derivante dall’analisi dia una rappresentazione fedele dello stato di salute
dell’azienda e, in questo modo, orienti verso l’adozione delle azioni maggiormente aderenti alla particolare
fase vissuta dall’azienda.
Ciò premesso, con riferimento alla fase di riclassifica dello stato patrimoniale, benché esistano diversi
approcci, è prassi comune fare riferimento al c.d. criterio finanziario secondo il quale, le attività e le passività,
sono riclassificate in base alla loro attitudine a trasformarsi in entrate o uscite di denaro.
In particolare, con riferimento alle attività queste sono riclassificate secondo il criterio della liquidità
decrescente, ossia in base al tempo occorrente affinché gli impieghi si trasformino in flussi monetari,
evidenziando dapprima quelle poste già liquide o prontamente liquidabili e comunque non oltre i 12 mesi (c.d.
attivo circolante) e, successivamente, quelle poste che ritorneranno in forma liquida solo oltre i 12 mesi (c.d.
attivo fisso).
42 Cfr. Metallo G., op. cit., 2007. 43 Cfr. Cestari G., op. cit., 2009: il processo di riclassificazione è un processo gravato da una certa complessità. Non sempre, infatti, il riposizionamento delle poste di bilancio avviene in modo diretto: più spesso tale processo richiede un notevole sforzo di elaborazione personale da parte dell’analista. Si tratta, quindi, di un momento particolarmente delicato per l’apprezzamento della gestione aziendale. Invero, errori commessi in questa fase si ripercuotono necessariamente sui valori degli indicatori calcolati e, di conseguenza, sul giudizio espresso al termine dell’analisi
31
Viceversa, con riferimento alle passività queste sono riclassificate secondo il criterio della esigibilità
decrescente ossia in base al tempo entro il quale le obbligazioni dovranno essere estinte, evidenziando
dapprima quelle fonti con scadenza entro i 12 mesi (c.d. passività correnti), poi le fonti con scadenza oltre i 12
mesi (c.d. passività consolidate) ed infine quelle fonti pazienti il cui rimborso non è predeterminabile (c.d.
patrimonio netto).
Di seguito è riportato uno schema di stato patrimoniale riclassificato secondo il criterio finanziario e sulla
scorta di quanto sopra indicato.
Tabella – Riclassifica dello stato patrimoniale secondo il criterio finanziario
3.2.2 La riclassifica del conto economico
Con riferimento alla riclassifica del conto economico, in relazione alle finalità conoscitive perseguite, si
distingue tra tre diverse configurazioni:
• valore della produzione e valore aggiunto;
• costo del venduto;
32
• margine di contribuzione.
Le tre configurazioni differiscono tra loro per la sola riclassifica dei costi e ricavi afferenti all’area
caratteristica e, dunque, per la diversa modalità di composizione del reddito operativo; viceversa, l’area
finanziaria e l’area tributaria mantengono l’impostazione già prevista dal legislatore civilistico.
Una menzione particolare merita l’area afferente alle componenti straordinarie in ragione delle modifiche
che hanno interessato il bilancio di esercizio con l’introduzione del D.lgs. n. 139/2015 e che hanno comportato,
tra l’altro, l’assorbimento delle componenti extra-tipiche, positive e negative, rispettivamente, nella voce A5)
Altri ricavi e proventi e B14) Oneri diversi di gestione. Ai fini della riclassifica, dette componenti, tenuto conto
delle indicazioni contenute in nota integrativa, dovranno essere elise dall’area caratteristica e ricondotte
all’area straordinaria che, per effetto di ciò, diversamente dal dettato codicistico, verrà a ricrearsi.
Circa la riclassifica dell’area caratteristica, questa si caratterizzerà diversamente a seconda della diversa
configurazione adottata, attribuendo una maggiore preminenza a:
• Valore
• Costo
• Margine
Di seguito è riportato uno schema di Conto Economico riclassificato secondo i criteri suesposti.
Tabella – Riclassifica del Conto Economico.
3.2.3 Gli indici di bilancio
Alla riclassifica dello stato patrimoniale e del conto economico fa seguito la fase di determinazione degli
indici di bilancio ossia di margini e quozienti capaci di fornire, in maniera sintetica, utili indicazioni in merito
alla capacità dell’impresa di raggiungere e/o mantenere posizioni di equilibrio44 in termini di:
44 Cfr. Sartori E., “Bilancio IAS/IFRS e analisi per indici”, Franco Angeli, 2012: occorre rilevare che a prescindere dalle finalità perseguite dall’azienda (di profitto o non) si ritiene che il sistema degli equilibri, costituisce un presupposto indispensabile per la sopravvivenza del complesso aziendale quale entità autonoma. L’equilibrio è pertanto la
33
• equilibrio finanziario – patrimoniale, inteso come la capacità dell’azienda di essere solida ossia di
favorire l’omogeneità temporale tra gli impieghi programmati e le fonti di finanziamento individuate
a copertura di detti investimenti;
• equilibrio monetario, inteso come la capacità dell’azienda di essere solvibile ossia di far fronte con
le entrate a breve, derivanti dal realizzo degli elementi dell’attivo circolante, alle passività a breve,
espresse da quelle obbligazioni da estinguersi entro i 12 mesi;
• equilibrio economico, inteso come la capacità dell’azienda di essere redditizia, ossia di remunerare
adeguatamente, attraverso i ricavi, oltre ai fattori della produzione anche i capitali investiti
nell’iniziativa imprenditoriale a titolo sia di capitale di terzi sia di capitale di rischio.
Evidentemente ciascun equilibrio risulta strettamente interconnesso e interdipendente agli altri visto che
senza solidità non potrà esservi solvibilità né capacità di remunerare adeguatamente i fattori della produzione.
Analogamente una gestione poco remunerativa potrebbe indurre ad un uso intensivo della leva finanziaria con
ripercussioni sulla solidità e solvibilità dell’azienda.
Ciascun equilibrio è indagato attraverso un appropriato set di indicatori che nel tempo dottrina e prassi
hanno elaborato e che possono essere sintetizzati nel prospetto che segue:
condizione imprescindibile per il perseguimento di qualsiasi altro fine assegnato al complesso aziendale dai soggetti che lo hanno istituito.
Tipologia di equilibrio Descrizione Principali indicatori
Margine di Struttura (MS) = capitale netto - immobilizzi netti
Capitale Circolante Netto (CCN) = Attivo corrente - Passivo corrente
Margine di Tesoreria (MT) = (Liquidità Immediate + Liquidità differite) - Passivo corrente
Indice di indebitamento = Capitale di terzi/Attivo totale netto
Leverage Ratio = Capitale Investito/Capitale proprio
Indice di copertura globale = (Capitale proprio + Passività Consolidate)/Immobilizzi netti
Grado di copertura degli oneri finaziari = (Utile Netto + Risparmio fiscale per maggiore
indebitamento + Oneri finanziari)/Oneri finanziari
Current Ratio = Attivo corrente/Passivo corrente
Quick Ratio = (Liquidità Immediate + Liquidità differite)/Passivo corrente
Durata media dei crediti = (Crediti v/clienti+Effetti attivi-Anticipi da clienti)/Ricavi di vendita
Durata media dei debiti = (Debiti v/fornitori+Effetti passivi-Anticipi a fornitori)/Acquisti di
beni e servizi
Giorni medi di magazzino = §[(Esistenze iniziali+Rimanenze finali)/2]/[Esistenze
iniziali+Acquisti-Rimanenze finali]§*360
R.O.E. (Return on Equity) = Reddito netto/Capitale netto
R.O.I. (Return on investment) = Reddito Operativo/Capitale Investito
R.O.S. (Return on sales) = Reddito Operativo/Ricavi netti di vendita
R.O.A. (Return on assets) = Reddito Operativo/Totale Attivo
R.O.D. (Return on debts) = Oneri finanziari/Debiti onerosi
Pay Out Ratio = Dividendi/Reddito netto
Tasso di autofinanziamento = 1- Pay Out Ratio
Tasso di incidenza della gestione extra-caratteristica = Reddito Netto/Reddito Operativo
Equilibrio monetario
Giudizio sulla solidità e sull’elasticità
finanziaria: si valuta l'attitudine
dell'impresa a finanziare gli investimenti a
lungo termine, e a lento recupero, con
capitali disponibili durevolmente
Equilibrio finanziario -
patrimoniale
Giudizio sulla liquidità: si valuta
l’attitudine dell’impresa a far fronte, in
condizioni di normalità operativa, agli
impegni finanziari a breve termine con
risorse a breve termine.
Giudizio sulla redditività e
sull'economicità: si valuta l'attitudine
dell'impresa di remunerare adeguatamente
i fattori della produzione e i capitali
investiti
Equilibrio economico
34
Ciascun indicatore, singolarmente considerato, consente di focalizzare l’attenzione sul singolo aspetto
segnalando eventuali criticità che, tuttavia, potranno essere effettivamente comprese nel loro reale grado di
allerta solo attraverso il loro coordinamento in quadro sintomatologico rappresentativo dell’intero sistema
azienda e della sua capacità di creare valore attraverso il raggiungimento e il mantenimento di una situazione
di equilibrio.
3.2.4 L’analisi sistematica dei risultati ottenuti
Delineati i principali indicatori di indagine degli equilibri aziendali, tenuto conto anche delle specificità
della singola realtà osservata, si aprono le fasi più delicate finalizzate alla creazione di un sistema coordinato
degli stessi che consenta di carpire informazioni sullo stato di salute dell’azienda in quel preciso istante
fotografato nonché in un raffronto temporale e spaziale con i valori della medesima azienda e delle aziende
operanti nello stesso settore di riferimento.
In altri termini, determinati margini e quozienti, occorre procedere ad una loro analisi in modo da verificare,
da un lato, la possibile esistenza di fattori di allerta e/o crisi di tipo endogeno, cioè derivanti da specifici
elementi attinenti alla singola realtà aziendale e, dall’altro, di fattori di tipo esogeno, cioè derivanti
dall’andamento delle imprese operanti nello stesso settore di riferimento e dalla cui capacità di creare certi
canoni di efficacia ed efficienza potrebbe emergere una difficoltà propria dell’azienda di fare meglio e/o di
essere maggiormente esposta a fenomeni congiunturali.
Ciò detto appare dunque opportuno, in questa sede, delineare, con riferimento agli indicatori principali,
quelli che possono essere i range di riferimento entro i quali si segnali una situazione di equilibrio, di difficoltà
o di disequilibrio.
Cosi, ad esempio, con riferimento all’equilibrio finanziario – patrimoniale e, in particolare, all’indice di
copertura netta delle immobilizzazioni e al leverage ratio si riterranno standard i seguenti valori45:
- per l’indice di copertura netta delle immobilizzazioni:
- per l’indice di indebitamento:
45Cfr. Mella P., Colombo C.M., Navarroni M., “Un nuovo framework per le analisi di bilancio. Un check-up veloce con
l’Indice-M”, 2011, consultabile su https://www.researchgate.net
Indice > 1,5 Carenza di investimenti, capitale inattivo
Indice > 1 Situazione ottimale
Indice > 0,7 Buona solidità
Indice tra 0,5 e 0,7 Scarsa solidità
Indice < 0,33 Situazione di pericolo
Indice di copertura netta delle immobilizzazioni = Capitale netto (Cn)/Immobilizzi netti (In)
Indice = 0 Assenza di indebitamento
Indice tra 0 e 0,5 Struttura finanziaria positiva e favorevole allo sviluppo
Indice tra 0,5 e 0,8 Struttura finanziaria favorevole ma al limite
Indice tra 0,8 e 2 Struttura finanziaria con squilibri da contenere
Indice > 2 Struttura finanziaria squilibrata
Indice di indebitamento = Capitale Investito (Ci)/Capitale netto (Cn)
35
Allo stesso modo con riferimento all’equilibrio monetario e, in particolare, al current ratio e al quick ratio
si riterranno standard i seguenti valori:
- per il current ratio:
- per il quick ratio46:
Menzione particolare va destinata all’indagine dell’equilibrio economico rispetto alla quale si rileva la
presenza di taluni studi che tendono ad indicare range di valori entro i quali la redditività possa considerarsi
sufficiente o meno.
Tuttavia è da ritenere che, soprattutto nell’analisi delle performance di redditività e di economicità
dell’azienda, il raffronto temporale e spaziale esplichi tutta la sua importanza e strategicità poiché è solo
attraverso il raffronto con quelle che sono le medie di settore che l’analista potrà giudicare la capacità
dell’azienda di remunerare adeguatamente i fattori della produzione e i portatori di capitale. Sarà sempre
l’analista, sulla base della propria professionalità ed esperienza a dover fissare livelli di guardia al
raggiungimento dei quali attivare le azioni e i correttivi ritenuti più opportuni.
Un utile elemento di riferimento potrebbe essere rappresentato dalle analisi di settore. In un recente studio47
che analizza il trend, per il periodo 2015-2017, delle S.r.l. italiane emergono importanti indicazioni di carattere
generale sulla redditività (Roe, Roi) media di taluni settori. In particolare, si evidenzia quanto segue:
46 Cfr. Metallo G., op. cit., 2007: 47 Cfr. Di Nardo T., De Luca R., Lucido N., Scardocci G., “Osservatorio sui bilanci delle srl. Trend 2015-2017”, Fondazione Nazionale Commercialisti, 2018.
Indice > 2 Situazione ottimale
Indice tra 1,5 e 2 Situazione soddisfacente
Indice > 1,25 Situazione da controllare
Indice < 1 Situazione di squilibrio finanziario
Current Ratio = Attivo circolante (Ac)/Passivo corrente (Pc)
Indice > 1,5 Situazione di (presunta) eccessiva liquidità
Indice > 1 Situazione di tranquillità finanziaria
Indice tra 0,5 e 1 Situazione non soddisfacente
Indice < 0,5 Situazione di crisi di liquidità
Quick Ratio = Liquidità immediate (Li) + Liquidità differite (Ld)/Passivo corrente (Pc)
36
- il ROE medio di settore per le S.r.l., suddivise per classe di fatturato, risulta:
- il ROI medio di settore per S.r.l., suddivise per classe di fatturato, risulta:
Sin da questa prima analisi appare evidente come non sia possibile predeterminare soglie di “accettabilità”
visto che queste variano, anche in misura sostanziale da settore a settore, cosi, ad esempio, un Roe del 10%
potrebbe segnalare una buona redditività per un’azienda operante nel settore della ristorazione mentre, per
un’azienda operante nel settore dell’industria o del commercio, attestarsi su livelli di allerta afferenti a periodi
di crisi economica come il 2015.
Sin da queste prime indicazioni appare evidente può riscontrarsi come non esistano valori generalmente ed
incondizionatamente accettabili ma solo best practices che posso guidare l’analista nel delineare il quadro
sintomatologico della specifica azienda e, in tal modo, individuare quei segnali di allerta e quei sintomi
premonitori di un possibile stato di crisi da fronteggiare con il dovuto tempismo e coraggio.
3.3 Strumenti di analisi della crisi d’azienda: rating e tecniche di scoring
Con l’intento iniziale di supportare l’attività degli istituti di credito nella stima del rischio e della
meritevolezza creditizia dei soggetti finanziati, sin dagli anni sessanta è andata sviluppandosi una cospicua
CLASSI DI
FATTURATO
SETTORI
Da 0 a 350
Da 350 a 2.000
Da 2.000 a 10.000
Più di 10.000
Tutte le società
2017 2016 2015 2017 2016 2015 2017 2016 2015 2017 2016 2015 2017 2016 2015
Industria 9,8% 4,9% 4,3% 13,1% 10,2% 9,1% 14,2% 12,1% 10,4% 14,3% 12,5% 11,2% 14,0% 12,0% 10,6%
Costruzioni 8,4% 2,8% 2,4% 9,4% 7,4% 6,7% 12,4% 10,1% 9,2% 15,1% 11,1% 9,1% 10,9% 7,8% 7,0%
Commercio 8,6% 5,8% 6,4% 13,2% 11,2% 10,4% 14,1% 12,2% 11,3% 15,4% 13,4% 11,6% 14,2% 12,1% 11,0%
Trasporti 11,7% 7,4% 6,4% 14,1% 12,2% 12,3% 16,0% 14,4% 13,5% 10,8% 9,5% 8,6% 12,8% 11,2% 10,4%
Ristoranti e Alberghi 8,7% 4,2% 1,4% 9,4% 5,4% 5,2% 6,3% 8,3% 5,9% 18,7% 8,5% 6,6% 8,9% 7,5% 5,3%
Servizi professionali, finanziari e assicurativi
9,5% 5,3% 6,1% 9,7% 6,4% 5,8% 12,7% 10,1% 7,8% 16,5% 11,2% 9,4% 11,2% 7,3% 6,8%
TOTALE 4,7% 2,6% 2,8% 9,2% 6,9% 6,2% 12,4% 10,2% 8,6% 13,1% 10,4% 9,3% 10,0% 7,6% 6,8%
CLASSI DI
FATTURATO
SETTORI
Da 0 a 350
Da 350 a 2.000
Da 2.000 a 10.000
Più di 10.000
Tutte le società
2017 2016 2015 2017 2016 2015 2017 2016 2015 2017 2016 2015 2017 2016 2015
Industria 9,6% 7,0% 3,3% 13,9% 12,8% 11,2% 14,7% 13,7% 12,0% 14,1% 14,1% 12,3% 14,2% 13,7% 11,9%
Costruzioni 7,0% 4,3% 2,9% 9,9% 9,0% 7,9% 11,9% 10,7% 9,4% 13,5% 10,9% 9,9% 10,6% 8,9% 7,4%
Commercio 7,5% 6,0% 6,0% 14,6% 13,6% 12,4% 14,9% 14,1% 13,1% 14,8% 14,1% 13,1% 14,4% 13,6% 12,7%
Trasporti 10,9% 9,1% 5,8% 14,1% 13,1% 12,3% 15,8% 15,4% 14,0% 11,6% 11,3% 10,7% 13,3% 12,8% 11,7%
Ristoranti e Alberghi 9,0% 6,0% 2,3% 9,4% 7,1% 6,6% 7,4% 8,8% 7,9% 9,6% 8,1% 7,3% 8,4% 8,2% 6,7%
Servizi professionali, finanziari e assicurativi
3,0% 2,2% 1,6% 7,1% 6,0% 5,4% 10,7% 11,1% 8,4% 10,8% 10,1% 9,2% 6,8% 6,1% 4,8%
TOTALE 2,1% 1,4% 1,3% 8,3% 7,1% 7,1% 12,2% 10,8% 9,9% 12,6% 10,9% 10,4% 9,1% 7,6% 7,3%
37
ricerca scientifica finalizzata all’individuazione dei cc. dd. “indicatori di previsione delle insolvenze” ossia
indicatori che, pur affondando le proprie radici nel bilancio e negli indici delineati nel precedente paragrafo,
fossero in grado di prevedere, attraverso la formulazione di uno score (di qui modelli di scoring)48, il livello di
rischio e il possibile default dell’impresa attraverso l’ausilio di opportune tecniche econometriche.
I modelli di scoring, in particolare, attraverso la sintesi di un numero limitato di variabili esplicative (spesso
indici di bilancio) ritenute di peculiare significatività per l’espressione dello stato di crisi e di metodologie
econometriche, consentono una valutazione prospettica della continuità aziendale e, di converso, la probabilità
di default49. In questo modo, come evidenziato da taluni studi50, i vantaggi che ne conseguirebbero sono
principalmente legati alla sostanziale semplificazione delle fasi di elaborazione ed interpretazione delle
informazioni e dal maggior grado di attendibilità nell’apprezzamento sul futuro evolversi dello status dell’unità
produttiva”.
Appare evidente quindi come la tradizionale analisi di bilancio per indici mantenga tuttavia la propria
validità per l’individuazione di eventuali situazioni di allerta e/o crisi dell’azienda oggetto di analisi sebbene
affetta, tra l’altro51, dall’importante difficoltà di predire possibili insolvenze52 attraverso l’espressione di un
giudizio sintetico che tenga simultaneamente conto dei diversi equilibri indagati.
Il passo successivo infatti è stato quello di passare da un approccio c.d. univariato53 ad un approccio c.d.
multivariato giungendo cioè alla definizione di uno strumento che consentisse l’espressione di un giudizio
48 Per ulteriori approfondimenti si veda anche cfr. Sironi A., Resti A., “Rischio e valore nelle banche. Risk management e
capital allocation”, Egea, 2008. 49 Di particolare interesse gli studi che si sono spinti ad introdurre anche variabili qualitative come il “territorio di insediamento e la relazione territorio-impresa. In merito si veda cfr. Ciampi F., Gordini N., “Relazione impresa-territorio
e modelli predittivi del default d’impresa. Primi risultati di una analisi statistica sulle piccole imprese italiane”, in Sinergie, n. 90, 2013. 50 In merito si veda cfr. Danovi A., Quagli A., “Crisi aziendali e processi di risanamento”, Ipsoa, Milano 2012. 51 Cfr. Coronella S., “I modelli di previsione delle crisi aziendali: alcune riflessioni”, 2009, consultabile su https://www.researchgate.net: Attraverso questa metodologia di indagine la decisione in merito all’affidamento viene presa dopo aver operato un confronto fra i risultati ottenuti e quelli ideali, indicativi o medi. In questo modo, si è in grado di giudicare se la situazione patrimoniale, finanziaria ed economica dell’azienda da affidare può essere ritenuta o meno confortante. Il significato di tali indagini, tuttavia, è spesso relativo, per almeno due motivi. In primo luogo, il calcolo degli indici si fonda sui dati di bilancio il quale, notoriamente, non sempre rappresenta fedelmente la situazione aziendale. Inoltre, affinché tali indicatori forniscano informazioni attendibili è necessario che siano legati a sistema, ovvero vengano interpretati in maniera congiunta, meglio ancora se con l’attribuzione di “pesi” ad ognuno di essi. In effetti, ogni analista di bilancio nelle proprie indagini attribuisce, magari inconsciamente, una diversa importanza a ciascuna di queste variabili. 52 Cfr. Altman E., Danovi A., Falini A., “La previsione dell’insolvenza: l’applicazione dello Z Score alle imprese in
amministrazione straordinaria”, in Bancaria, n.4/2013: è normale che un’impresa, durante il proprio ciclo di vita, alterni fasi positive e fasi negative, ovvero periodi di successo e di insuccesso. Quando la fase di insuccesso da evento casuale assume la connotazione di evento strutturale (e dunque si protrae nel tempo) l’impresa è destinata a uscire dal mercato e non sarà più in grado di adempiere alle proprie obbligazioni divenendo insolvente. L’incertezza sul momento in cui si verificherà l’evento ha portato a sviluppare numerosi modelli statistici quantitativi e qualitativi con la finalità di predire l’insolvenza. 53 L’analisi di bilancio come definita nel paragrafo 1) si presta ad analisi del rischio di insolvenza secondo l’approccio c.d. univariato ossia basato sui singoli indicatori, anche eventualmente messi a sistema, ma senza alcun tentativo di combinarli in modo da ottenere una misura quantitativa di sintesi. Uno dei principali studi in merito è ascrivibile a Beaver e risalente al 1966 nel quale si esamina la capacità predittiva di alcuni indicatori rispetto al fenomeno dell’insolvenza. Sul tema si veda cfr. Szego G., Varetto F., “Il rischio creditizio: misura e controllo”, UTET, 1999: Beaver ha utilizzato un campione di 79 imprese anomale; la definizione di anomalia comprende il fallimento, l’insolvenza nei confronti dei
38
quantitativo di sintesi che tenesse conto proprio dei diversi segnali derivanti dalle diverse aree di equilibrio
indagate54. In questo filone di studi si inseriscono gli importanti contributi scientifici riconducibili ad Altman,
Alberici, Ohlson, Zmijewski, tanto per citarne solo alcuni.
Nei paragrafi successivi, senza alcuna pretesa di esaustività, si intende offrire una panoramica dei modelli
di previsione delle insolvenze, secondo un approccio multivariato, ponendo una particolare attenzione sul
modello elaborato da Altman e alle sue successive modifiche, ritenendo che questi mantenga oggi, dopo circa
un quarantennio, tutta la sua validità scientifica e possa, nel contempo, rappresentare un valido, immediato e
semplice strumento di ausilio nel rapporto consulenziale che si va ad instaurare con la propria azienda cliente55
i cui sintomi di una possibile crisi rivestono, oggi più che mai, aspetti imprescindibili da cogliere ed affrontare
con tempestività.
propri prestiti obbligazionari, l’esistenza di scoperti sui conti bancari o sconfinamenti, il mancato pagamento di dividendi sulle azioni privilegiate. Il campione delle società sane, da confrontare con quelle anomale, è stato scelto estraendo casualmente un’impresa, per ogni società anomala, appartenente allo stesso settore ed alla stessa classe dimensionale in termini di attivo netto totale: il campione delle società sane ha svolto una funzione di confronto omogeneo con quello delle società anomale, per facilitare l’individuazione delle caratteristiche distintive tra i due gruppi, neutralizzando, o riducendo, l’effetto di variabili quali l’appartenenza settoriale o la scala dimensionale. Per ciascuna impresa Beaver ha calcolato una trentina di indicatori scelti tra quelli più citati e studiati nella letteratura, o dimostratisi più efficaci in studi precedenti; tali indicatori sono stati raggruppati in sei famiglie omogenee rispetto al significato economico. Il confronto tra le medie degli indicatori dei due campioni ha confermato il risultato di studi precedenti risalenti agli anni '30 e '40, mettendo in luce una sistematica differenza di livello e di andamento degli indicatori delle società anomale rispetto a quelli delle società sane. Il paragone dei soli valori medi, tuttavia, è troppo limitativo e concentra l’intera distribuzione dei valori degli indicatori in un solo punto. Per ottenere una migliore valutazione delle capacità diagnostiche degli indicatori, Beaver ne ha esaminato la sovrapposizione delle distribuzioni calcolate separatamente sulle società sane e su quelle anomale, pervenendo sulla base di un test di classificazione dicotomica ad individuare un punto ottimale di separazione (cut-off) per gli indicatori, in grado di ridurre al minimo gli errori di attribuzione delle società ai due insiemi (sane-anomale).Sulla base di tali elaborazioni, Beaver ha trovato che il migliore indicatore per la previsione delle insolvenze è il rapporto tra cash flow ed i debiti totali che, nell’anno immediatamente precedente al momento dell’insolvenza o del fallimento (t-1), ha correttamente individuato l’87% delle società; negli anni precedenti al t-1 la performance, pur riducendosi, si mantiene su livelli molto buoni: 5anni prima dell’insolvenza questo indicatore ha correttamente classificato il 78% delle società. Gli altri indicatori hanno messo in luce risultati inferiori, con percentuali di classificazione fortemente degradanti col procedere a ritroso dell’anno di osservazione delle variabili di bilancio. Gli indicatori con la minore capacità diagnostica sono risultati quelli connessi al circolante ed alla liquidità, che tradizionalmente erano in quell’epoca considerati dalla letteratura tra i più efficaci nella valutazione della capacità di credito delle imprese. 54 Cfr. Szego G., Varetto F., op. cit., 1999: “l’obiettivo finale non è ovviamente la concentrazione in un’unica informazione della pluralità disegnali che arrivano dai diversi indicatori, quanto quello di gestire in modo coordinato i trade-off che si instaurano tra le varie componenti del sistema-impresa. Una società ad esempio può essere migliore di un’altra in termini di redditività, ma molto peggiore per quanto riguarda la struttura finanziaria e lievemente peggiore in termini di liquidità: nel complesso, la prima è preferibile alla seconda o le è inferiore, oppure sono considerate equivalenti. La risposta può non essere facile, né evidenti possono essere le argomentazioni a sostegno. Un indicatore composito, sulla base di specifici rapporti di trade-off, combina i tre aspetti dell’esempio precedente e consente di ottenere un’unica misura di sintesi in cui i fattori di superiorità e di inferiorità siano tra loro compensati nello stesso modo (con gli stessi criteri) per le due società. Imprese profondamente differenti possono sotto questo aspetto essere giudicate complessivamente equivalenti. Il punto cruciale ovviamente risiede nel modo con il quale ricavare i pesi relativi (i fattori di scambio per così dire) con i quali ponderare i diversi indicatori. 55 Cfr. Bottani P., Cipriani L., Serao F., “Il modello di analisi Z-Score applicato alle PMI”, in Amministrazione & Finanza, n. 1/2004: il motivo di tale successo risiede nella facilità di comprensione ed utilizzo del modello per qualsiasi soggetto, anche se non in possesso di specifiche conoscenze sull’analisi del rischio di insolvenza delle società’. Tale analisi viene infatti effettuata sul bilancio di esercizio e richiede un semplice calcolo matematico.
39
Ovviamente va fatta menzione che nel corso degli anni le tecniche si sono sempre più evolute e, in tal modo,
agli approcci univariato e multivariato lineare si sono aggiunti i modelli non parametrici fino a modelli basati
sulla Artificial Intelligence (p.e. sistemi esperti, alberi decisionali, reti neurali, etc.) che, per le dichiarate
finalità divulgative che ci si è posti nel presente studio, non saranno presi in considerazione.
3.3.1 Lo Z-Score di Altman
Nell’ambito dei modelli di scoring, elaborati con la tecnica dell’analisi discriminante multivariata lineare,
si individua il modello Z-Score di Altman quale strumento, più che di predizione, di warning dello stato di
salute dell’azienda e della sua probability of default56.
In particolare, nella prima configurazione del 196857, Altman analizzando un campione di 66 imprese
industriali americane quotate e sulla base di un pool di 22 financial ratio ritenuti maggiormente capaci di
influenzare il default, individua cinque variabili per ciascun soggetto del campione, che opportunamente
ponderate per dei coefficienti, danno luogo a un punteggio che consente di constatare la vicinanza dell’azienda
oggetto di osservazione al gruppo di imprese c.d. sane ovvero di imprese c.d. anomale. Le variabili individuate
sono cinque indici di bilancio rappresentativi della liquidità, redditività, indebitamento e solvenza delle
imprese.
Nello specifico, il modello iniziale dello Z score è definito attraverso le seguenti variabili e i seguenti
coefficienti:
Z-score58 = 1.21(X1) + 1.41 (X2) + 3.3 (X3) + 0.6 (X4) + 0.999 (X5)
Dove:
X1 = Capitale Circolante/Attivo netto
X2 = Riserve da utili/Attivo netto
X3 = Utile ante interessi e tasse / Attivo netto
X4 = Valore di mercato del Patrimonio netto/ Debiti Totali
X5 = Ricavi /Attivo netto
56 Cfr. Altman E., Danovi A., Falini A., “op. cit.”, 2013: Al di là delle osservazioni è indubbia l’utilità dello studio se ne riconosce esplicitamente il campo d’azione, ovvero l’applicabilità, più che come strumento di predizione, quale metodo di warning poiché il risultato indica la maggiore vicinanza a un gruppo piuttosto che a un altro (Teodori, 1989). D’altro canto è lo stesso autore a sottolineare che il modello sviluppato non ha natura probabilistica, ma descrittivo-comparativa (Altman,1970), poiché la finalità del modello è l’individuazione di un andamento che accomuni i trend degli indici contabili negli anni antecedenti all’insolvenza, rispettivamente per le aziende sane e per quelle in crisi. 57Altman E., “Financial Ratios, Discriminant Analysis and the Prediction of Corporate Bankruptcy”, in Journal of Finance, 1968. 58 Cfr. Szego G., Varetto F., op. cit., 1999: “la funzione include diverse componenti del sistema economico-finanziario dell’impresa: la redditività corrente, la redditività cumulata, la liquidità e l’equilibrio a breve termine, la struttura finanziaria e l’efficienza complessiva. La seconda variabile, oltre che incorporare prevalentemente l’effetto cumulato della redditività nel tempo e della politica dei dividendi, sembra catturare implicitamente anche l’età dell’impresa: l’evidenza empirica mette in luce che il fallimento è significativamente più probabile nei primi annidi vita dell’impresa. Tutti i coefficienti hanno il segno atteso. Si osservi che la quarta variabile rappresenta un indicatore di struttura finanziaria in cui la grandezza del patrimonio netto è valutata a valori di mercato: se il mercato azionario esprime correttamente le prospettive dell’impresa, i prezzi di borsa incorporano l’aspettativa dell’insolvenza ed il modello di Altman include implicitamente anche tale previsione”.
40
Sostituendo le variabili con i corrispondenti valori di bilancio, l’equazione può essere risolta e, per tale via,
ottenere un corrispondente score da confrontare con il parametro soglia definito dallo stesso Altman, c.d. “Z’
cut off” fissato ad un punteggio pari a 2,675: l’azienda che presenterà uno Z- Score maggiore del Z’cut off sarà
classificata come potenzialmente sana; viceversa l’azienda che presenterà uno Z- Score minore del Z’cut off
sarà classificata come potenzialmente anomala ad elevato rischio di default.
Oltre al punto di Z’ cut off viene identificata una c.d. “gray area” ossia una zona di incertezza per la quale
non è possibile esprimere un giudizio immediato sulla condizione dell’azienda. Questa area risulta compresa
per punteggi compresi tra 1,81 e 2,99 delineando le seguenti situazioni:
1) Imprese con un valore dello Z Score inferiore a 1,81 presentano un elevato rischio di insolvenza;
2) imprese con un valore dello Z-score superiore a 1,81 ma inferiore a 3 sono nella c.d. area grigia, ossia
sono società mediamente performanti che presentano dei rischi ancora elevati da indagare
ulteriormente;
3) imprese con un valore dello Z-score superiore a 3 sono imprese solide.
Detto modello, evidentemente non esente da errori, è stato dimostrato avere un indice di accuratezza delle
previsioni di circa il 94% per il primo anno e dell’72%59 entro due anni con la conseguenza che, nella sostanza,
l’errore campionario si verifica circa una volta su dieci in un anno e due volte su dieci in due anni.
La facilità di impiego e la notevole diffusione tra gli addetti ai lavori favoriscono, nel corso degli anni,
diversi aggiornamenti del modello da parte del suo stesso creatore a partire dal 197760 quando lo Z-Score
subisce una rivisitazione e un ampliamento delle variabili impiegate che diventano sette senza però alcuna
esplicitazione da parte degli autori dei parametri di riferimento61.
Il modello, inizialmente elaborato per le società quotate, nel 1993 subisce ulteriori modifiche finalizzate a
poterne favorire l’impiego nell’ambito delle imprese non quotate. Lo Z-Score risulta così definito dalle
seguenti variabili e i seguenti coefficienti:
Z-Score’ = 0.717(X1) + 0.847(X2) + 3.107 (X3) + 0.42 (X4) + 0.998 (X5)
Dove:
X1 = Capitale Circolante/Attivo netto
X2 = Riserve da utili/Attivo netto
59Cfr. Altman E., Hotchkiss E., “Corporate Financial Distress and Bankruptcy. Predict and Avoid Backruptcy, Analyze and
Invest in Distressed Debt”, John Wiley & Sons, Inc., 2006. 60 Cfr.Altman E., Hadelman R., Narayanan P. “Zeta analysis”, in Journal of Banking and Finance n. 1,1977. 61 Per ulteriori approfondimenti si veda anche cfr. Altman, E., “Predicting Financial Distress of Companies: Revisiting the
ZScore and Zeta Models”, Working paper, Department of Finance, NewYork University, July 2000
41
X3 = Utile ante interessi e tasse / Attivo netto
X4 = Valore contabile del Patrimonio netto/ Debiti Totali
X5 = Ricavi /Attivo netto
Diversamente dal modello del 1968, lo Z’ si basa su coefficienti diversi ma sulle medesime variabili osservate
dove solo la X4 vede il mutamento del numeratore con il valore contabile del patrimonio netto anziché il suo
valore di mercato.
Resta invariato, inoltre, il punto di cut-off già fissato ad un punteggio pari a 2,675; viceversa subisce una
variazione la c.d. “gray area” ricompresa tra i nuovi valori pari ad 1,23 e 2,90, delineando le seguenti
situazioni:
1) imprese con un valore dello Z Score inferiore a 1,23 presentano un elevato rischio di insolvenza;
2) imprese con un valore dello Z-score superiore a 1,23 ma inferiore a 2,91 sono nella c.d. area grigia,
ossia sono società mediamente performanti che presentano dei rischi ancora elevati da indagare
ulteriormente;
3) imprese con un valore dello Z-score superiore a 2,91 sono imprese solide.
Nel 199562 l’ulteriore rielaborazione: il modello viene esteso a imprese operanti in paese emergenti o non
operanti nel settore manufatturiero in modo da superare la critica, mossa al precedente modello, di essere
troppo industry sensitive.
Il nuovo Z-Score’’ noto anche come EM-Score, che vede il modificarsi dei coefficienti impiegati e il venir
meno della variabile X5 espressiva del rapporto vendite/attività totali al fine di depurare la funzione dalla
possibile distorsione dovuta all’industria di riferimento, risulta così determinato:
Z’’ o EM-Score = 3,2563+ 6.56 (X1) + 3.26 (X2) + 6.72 (X3) + 1.05(X4).
Dove:
X1 = Capitale Circolante/Attivo netto
X2 = Riserve da utili/Attivo netto
62Altman E.I., Hartzell J., Peck M., “Emerging Markets Corporate Bonds: A Scoring System”, Salomon BrothersInc.New York, 1995 e in Levich R., Mei J.P. , The Future of Emerging Market Flaws, Kluwer Publishing, revisited in Altman E.I., HotchkissE. (2006), Corporate Financial Distress & Bankruptcy, J. Wiley & Sons, New York. 63 Cfr. Altman E., Danovi A., Falini A., “op. cit.”, 2013: nel calcolare lo Z’’ Score secondo questa nuova formulazione per le imprese operanti nei paesi emergenti gli autori propongono l’aggiunta di una costante (+3,25) al fine di standardizzare i risultati pari a 0 che equivarrebbero alla situazione di default.
42
X3 = Utile ante interessi e tasse / Attivo netto
X4 = Valore contabile del Patrimonio netto/ Debiti Totali
Successivamente, nel 2005, lo stesso Altman in collaborazione con Hotchkiss64, con riferimento allo Z’’ ne
individuano una corrispondenza tra i punteggi ottenuti e i rating assegnati dall’agenzia internazionale Standard
& Poor’s alle obbligazioni65.
Negli stessi anni, tre autori italiani66, partendo dal modello EM – Score si prefiggono l’intento di
“applicare il modello dello Z-score alle piccole e medie imprese italiane, cercando di definire in maniera
specifica per la realtà analizzata, le variabili discriminanti che meglio si adattano allo scopo”. Sulla base di
un campione pareggiato di 33 aziende fallite nel 2002 e di 33 aziende non fallite giungono alla definizione
della seguente funzione discriminante:
Z = 1,982(X1) + 9,841 (X2) + 1,951 (X3) + 3,207(X4) + 4,038(X5)
Dove:
X1 = (Attività correnti – Passività Correnti) / (Immobilizzazioni materiali ed immateriali + Rimanenze finali
+ attività correnti + disponibilità liquide);
X2 = (Riserva legale + Riserva Straordinaria) / Totale Attività
64 Cfr. Altman E., Hotchkiss E.,“Corporate Financial Distress & Bankruptcy”, 3rd edition, J. Wiley & Sons, Hoboken, 2005. 65 Lo stesso Altman, insieme ad altri autori, in uno studio del 2013 applica il modello EM score ad un campione di imprese italiane sottoposte ad amministrazione straordinaria tra il 2000 ed il 2010 giungendo alla conclusione che l’applicazione
dello Z’ Score e dello Z’’ Score al contesto italiano può rivelarsi complicata non per la bontà del modello ma per le tipicità
che caratterizzano il nostro Paese. In termini generali per le grandi imprese sarebbe opportuna una rielaborazione dei
parametri che introduca anche almeno un indicatore in grado di evidenziare la sostenibilità del debito, quale ad esempio
il leverage, il rapporto tra Ebitda e oneri finanziari e l’indicatore debt service cover ratio. Per le altre imprese, ovvero per
il 90% dell’industria manifatturiera italiana, è auspicabile l’elaborazione di un modello ad hoc che preveda quindi il
ricalcolo dei coefficienti di ponderazione della formula adottata per il calcolo dello Z Score. In merito si veda cfr. Cfr. Altman E., Danovi A., Falini A., “op. cit.”, 2013. 66 Cfr. Bottani P., Cipriani L., Serao F., “op.cit., 2004.
Rating Soglie Rating Soglie
AAA > 8,15 BBB- 5,85
AA+ 8,15 BB+ 5,65
AA 7,60 BB 5,25
AA- 7,30 BB- 4,95
A+ 7,00 B+ 4,75
A 6,85 B 4,50
A- 6,65 B- 4,15
BBB+ 6,40 CCC+ 3,75
BBB 6,25 CCC 3,20
CCC- 2,50
D <1,75
Gre
y zon
eD
istress Zo
ne
Safe
Zo
ne
Corrispondenza tra il punteggio Z'' e il rating Standard & Poor's
43
X3 = Utile Operativo Netto / Totale Passività
X4 = Patrimonio netto/ Totale Passività
X5 = Ricavi di vendita / (Immobilizzazioni materiali ed immateriali + Rimanenze finali + attività correnti +
disponibilità liquide)
Sostituendo le variabili con i corrispondenti valori di bilancio, l’equazione può essere risolta e, per tale via,
ottenere un corrispondente score che delineerà tre possibili scenari:
1) imprese con un valore dello Z Score inferiore a 4,846 presentano un elevato rischio di insolvenza;
2) imprese con un valore dello Z-score superiore a 4,846 ma fino a 8,105 sono nella c.d. area grigia, ossia
sono società mediamente performanti che presentano dei rischi ancora elevati da indagare
ulteriormente;
3) imprese con un valore dello Z-score superiore a 8,105 sono imprese solide.
Infine si evidenzia la recente rielaborazione, ancora italiana, del modello di Altman in modo da poter essere
“più efficace e funzionale nel settore geografico e merceologico di riferimento67”. Sulla scorta di un campione
di 10.085 società, gli autori hanno ridotto gli indicatori significativi da cinque a tre in una funzione
discriminante che risulta essere la seguente:
P = �
��,�����,���
�����, ��
��
����,���
�����
��
�� ���,�����,���
�����, ��
��
����,���
�����
��
Dove:
WC = Capitale Circolante
TA= Totale Attivo netto
OP = Reddito operativo
SALES = Ricavi di vendita
In particolare, il modello considera come significative le seguenti tre variabili: a) tasso di rotazione del
capitale circolante sul totale delle attività (WC/TA); b) reddito operativo sul totale delle attività (OP/TA); c)
fatturato netto sul totale delle attività (SALES/TA). Viceversa il modello considera poco significative le
variabili: d) gli utili non distribuiti sul totale delle attività e e) il totale delle passività sul totale delle attività.
Il modello, diversamente dai precedenti, esprimerà la probabilità di fallimento dell’azienda che sarà utile
confrontare con quello di una azienda affine appartenente allo stesso contesto geografico oppure allo stesso
mercato e/o settore merceologico di riferimento.
Sulla scorta del modello Z-Score nella sua originaria formulazione e dei successivi aggiornamenti si
propone uno schema di sintesi che indichi la funzione discriminante e le aree di probabile insolvenza e solidità.
67 Cfr. Pozzoli M., Paolone F., “Modelli di previsione della crisi aziendale: una rielaborazione”, in Guida alla Contabilità & Bilancio, Il Sole 24 Ore, n. 3/2018.
44
Indipendentemente dalla configurazione proposta, è pacifico che lo Z-Score mantenga ancora oggi tutta la
sua validità quale strumento di warning ossia, attraverso l’espressione di uno score sintetico, di segnalare
l’esistenza di criticità che richiedano se non impongano la tempestiva individuazione degli “stress” in atto e
degli interventi correttivi da adottare. È dunque evidente che lo stesso vada ricondotto alla sua reale funzione
ossia quella di supporto all’attività di indagine sullo stato di salute dell’azienda, alla scoperta dell’eventuale
patologia in essere e alla definizione della possibile cura da adottare e non, viceversa, quale perimetro
invalicabile di giudizio entro il quale sentenziare senza appello l’insolvenza o la solidità della stessa.
Del resto, come qualunque modello, anche lo Z-Score non è immune da limiti legati anche al trascurare
fattori importanti come gli intangible assets e le diverse fasi di congiuntura economica.
3.3.2 Il modello di Alberici, Ohlson, Zmijewski e l’indice M
Spinti dalla medesima finalità di giungere all’individuazione di alcuni indicatori in grado di prevedere,
attraverso l’espressione di uno score sintetico, il livello di rischio e il possibile default dell’impresa attraverso
l’ausilio di appropriate tecniche econometriche, diversi sono stati gli autori che nel corso degli anni hanno
proposto un proprio modello contribuendo ad una letteratura scientifica notevolmente ampia.
Come già anticipato, per le finalità perseguite, studi avanzati che si basino su modelli non parametrici o
sulla intelligenza artificiale qui non sono trattati, mantenendo il campo di indagine alle metodologie
multivariate senza alcuna pretesa di esaustività e con l’intento dichiarato di voler focalizzare l’attenzione sul
modello Altman.
Ciò detto, si ritiene opportuno fare menzione di altri quattro modelli sviluppati nel corso del tempo ma la
cui conoscenza risulta ugualmente importante anche per comprendere le ragioni dell’affermarsi del modello
di Altman grazie, soprattutto, alla sua facilità di utilizzo ed economicità nella raccolta delle informazioni.
Il primo modello, in ordine cronologico, è il modello di Alberici68, elaborato nel 1975, che estende
l’indagine sulla probability of default ad un arco temporale di 5 anni per ognuno dei quali definisce una diversa
funzione discriminante caratterizzata dalle stesse variabili ma da coefficienti e punti di cut off diversi. In
particolare le funzioni discriminanti sono le seguenti:
68Cfr. Alberici A, “Analisi di bilanci e previsione delle insolvenze”, Isedi, Milano, 1975.
Modello Funzione discriminante Distress Zone Grey zone Safe Zone
Altman (1968)Z-score = 1.21(X1) + 1.41 (X2) + 3.3 (X3) +
0.6 (X4) + 0.999 (X5)x<1,81 1,81≤x≤2,99 x>2,99
Altman (1993)Z-Score’ = 0.717(X1) + 0.84 (X2) + 3.107 (X3)
+ 0.42 (X4) + 0.998 (X5)x<1,23 1,23≤x≤2,90 x>2,90
Altman, Hartzell
and Peck (1995)
Z’’ o EM-Score = 3,25 + 6.56 (X1) + 3.26 (X2)
+ 6.72 (X3) + 1.05 (X4)1,75<x≤4,50 4,75≥x≤5,85 6,25≥x>8,15
Bottani, Cipriani
and Serao (2004)
Z = 1,981 (X1) + 9,841 (X2) + 1,951 (X3) +
3,206 (X4) + 4,037 (X5)x<4,846 4,846≤x≤8,105 x>8,105
45
Z-5 = – 0,00401(X1) + 0,00203(X2) + 0,00346(X3) – 0,02201(X4) + 0,01374(X5) + 0,00108(X6) –
0,00417(X7)
Z-4 = 0,00164(X1) + 0,00350(X2) – 0,01659(X3) – 0,04353 (X4) + 0,04026(X5) + 0,00013(X6) + 0,00013(X7)
Z-3= – 0,00213 (X1) + 0,00319(X2) + 0,00421(X3) - 0,02482(X4) + 0,01613(X5) + 0,00055(X6) +
0,00319(X7)
Z-2 = 0,00004(X1) + 0,01528(X2) + 0,03013(X3) – 0,07389(X4) + 0,07658(X5) – 0,000446(X6) +
0,004828(X7)
Z-1 = 0,00182(X1) – 0,02579 (X2) + 0,00489(X3) – 0,05184(X4) + 0,00295(X5) – 0,03831(X6) + 0,01538(X7)
Dove:
X1 = Reddito Netto / Attività Totali
X2 = Debiti Totali / Attività Totali
X3 = Capitale Netto / Immobilizzazioni Nette
X4 = (Capitale Netto + Debiti Consolidati) / Immobilizzazioni Nette
X5 = Attività Correnti / Passività Correnti
X6 = Attività Liquide / Passività Correnti
X7 = Passività Correnti / Attività Totali
A ciascuna funzione discriminante corrisponde un diverso punto di cut off pari a 5,494 per il quinto anno,
pari a 34,229 per il quarto anno, pari a 120,22 per il terzo anno, pari a 7.192,602 per il secondo anno e, in
ultimo, pari a 92,708 per il primo anno.
L’idea di base dell’autore è che i modelli predittivi debbano essere adattati non solo alla particolare
tipologia di azienda ma anche al periodo temporale di indagine.
Il secondo modello, sempre per ordinamento cronologico, è il modello di Ohlson, elaborato nel 1980, che
a differenza dei precedenti si basa su di un modello di tipo logit con l’introduzione di ben nove variabili di cui
due dicotomiche (qualitative). In particolare, la funzione che descrive il modello O – Score è così
rappresentata:
O–Score = - 1.32 – 0.407 (X1) + 6.03 (X2) - 1.43 (X3) + 0.076 (X4) – 2.37 (X5) – 1.83 (X6) + 0.285 (X7) –
1.72 (X8) – 0.521 (X9)
Dove:
X1=Logaritmo (totale attività/prodotto nazionale lordo corretto per l’inflazione) utilizzata come proxy della
dimensione;
X2=Debiti totali/totale attività;
X3=Capitale circolante netto/totale attività;
X4=Debiti di breve periodo/attività correnti;
X5=1 se il totale dei debiti è superiore al totale delle attività, 0 altrimenti;
46
X6=Utile netto/totale attività;
X7= Fondi forniti da operazioni/totale delle passività (il numeratore equivale a una sorta di cash flow operativo
e pertanto può essere approssimato all'EBITDA);
X8=1 se l’utile netto degli ultimi due anni è stato negativo, 0 altrimenti;
X9= (Utile al tempo t – Utile al tempo t-1) /Utile al tempo t + Utile al tempo t-1.
Terzo modello, sempre per ordinamento cronologico, è il modello di Zmijewski, elaborato nel 1984, che
a differenza dei precedenti si basa su di un modello di tipo probit basato sulla probabilità dell’evento. Il
modello si basa su di una funzione cosi definita:
Zmijewski = – 4.336 – 4.531 (X1) + 5.679 (X2) + 0.004 (X3)
Dove:
X1=Utile netto/totale attività;
X2=Debiti totali/totale attività;
X3= Debiti di breve periodo/attività correnti.
I tre modelli, come sopra descritti, risultano poco impiegati nella prassi a causa proprio della maggiore
complessità che li contraddistingue rendendoli di difficile impiego tra gli addetti ai lavori come strumenti a
supporto delle proprie analisi ed indagini sullo stato di salute dell’azienda.
In ultimo, si ritiene di dare menzione all’Indice M69, cosi definito dai suoi autori, e che in estrema sintesi,
attraverso la definizione ex ante di una serie di postulati attinenti una “buona gestione” dell’azienda e
l’attribuzione di un diverso punteggio al ricorrere o meno del postulato stesso, giunge alla determinazione di
uno score e, in tal modo, all’espressione di un primo giudizio in merito allo stato di salute dell’azienda. In
particolare, con riferimento alle imprese manufatturiere, si delineano cinque ambiti di indagine nei quali
formulare dei postulati di buona gestione:
1. postulati fondamentali di stato patrimoniale:
1.1. il margine di tesoreria deve essere positivo;
1.2. il capitale circolante netto deve essere almeno pari alle passività correnti;
1.3. il margine di struttura deve essere positivo;
1.4. l’indebitamento rispetto all’attivo non deve aumentare nel tempo;
1.5. la dinamica del capitale circolante netto deve essere congrua con quella del valore della produzione;
1.6. il rapporto tra debiti e fatturato non deve aumentare nel tempo;
2. postulati fondamentali per le analisi del conto economico:
2.1. il risultato netto d’esercizio deve essere positivo;
2.2. il risultato operativo deve essere maggiore degli interessi passivi (e degli altri oneri finanziari)
2.3. il saldo tra gli eventuali proventi e oneri non tipici deve avere segno dare;
69 Cfr. Mella P., Colombo C.M., Navarroni M., “op. cit.”, 2011
47
2.4. i costi variabili non devono aumentare più del valore della produzione;
2.5. il cash flow operativo lordo non deve ridursi nel tempo rispetto al fatturato;
2.6. il rapporto tra oneri finanziari e fatturato non deve aumentare nel tempo;
3. postulati fondamentali di redditività:
3.1. il valore della produzione deve aumentare nel tempo;
3.2. la produttività, intesa come fatturato o valore aggiunto per dipendente, deve aumentare nel tempo;
3.3. il Return on costs non deve ridursi;
3.4. è conveniente utilizzare la leva finanziaria se lo spread è positivo;
3.5. la redditività del capitale netto deve superare il costo del capitale di prestito;
3.6. la leva finanziaria deve ridursi se ROE<ROD.
L’indice M, per il cui calcolo si richiede la disponibilità dei bilanci di almeno due anni consecutivi, viene
definito attribuendo un diverso punteggio a ciascun postulato, a seconda del valore che questi assume, e che
sono esplicitati dagli autori come nella tabella che segue:
48
A seconda del punteggio realizzato si otterranno informazioni sullo stato di salute dell’azienda e in
particolare:
a) per valori dell’indice Þ superiori a 140, l’impresa sarà definita eccezionale;
b) per valori dell’indice Þ superiori a 120 ma inferiori a 140, l’impresa sarà definita ottima;
Indici assunti come significativiPunteggio
n
Punteggio
n+1
Punteggio
n+2
PN/AF = indice cop. immob > 1 (+5 se >1,5) 10
PN/AF = indice cop. immob » 0,8 5
PN/AF = indice cop. immob < 0,5 0
se cresce da anno precedente 10 5 0
se decresce da anno precedente -5 -5 -5
QTR = LT/PC > 1 (+5 se >1,5) 10
QTR = LT/PC » 0,8 5
QTR = LT/PC < 0,5 0
se cresce da anno precedente 10 5 0
se decresce da anno precedente -5 -5 -5
CTR = AC/PC > 2 (+5 se >2,2) 10
CTR = AC/PC»1,5 5
CTR = AC/PC » 1 0
se cresce da anno precedente 10 5 0
se decresce da anno precedente -5 -5 -5
ROI >0 e (ROI-ROD) > 0 e DER >1 (aggiungere
+5 se DER<1)10
ROI >0 e (ROI-ROD) < 0 e DER <1 - oppure 0
se DER >15
RO < 0 -5
se (ROI - ROD)>0 migliora da anno
precedente10 5 0
se (IP/VDP) si riduce da anno precedente 10 5 0
se (IP/VDP) aumenta da anno precedente -5 -5 -5
se (D/VDP) migliora da anno precedente
oppure 0 o -5 se non migliora10 5 0
se VDP aumenta da anno precedente oppure
0 o -5 se non aumenta10 5 0
se MOL aumenta da anno precedente 10 5 0
se MOL si riduce da anno precedente -5 -5 -5
RN > 0 e PONT < 0 (ONT>PNT) 10
RN > 0 e PONT > 0 ma PONT < RN 5
RN > 0 e PONT > 0 ma RN < PONT < RN+IT
ovvero (-5 se PONT > RN+IT)0
RN < 0 e PONT <0 (-5 se PONT>0) 0
se PONT migliora da anno precedente 10 5 0
se PONT peggiora da anno precedente -5 -5 -5
se KFO/VDP non peggiora altrimenti 0 10 5 0
se durata media del processo non peggiora 10 5 0
punteggio totale dell’indice Þ 160 80 0
Indice M
49
c) per valori dell’indice Þ superiori a 90 ma inferiori a 140, l’impresa sarà definita buona;
d) per valori dell’indice Þ superiori a 50 ma inferiori a 90, l’impresa sarà definita normale;
e) per valori dell’indice Þ superiori a 30 ma inferiori a 50, l’impresa sarà definita in pericolo;
f) per valori dell’indice Þ compresi tra 0 e 30, l’impresa sarà definita da ristrutturare;
g) per valori dell’indice Þ negativi, l’impresa sarà definita decotta.
Il punteggio attribuito a ciascun postulato, come dichiarato dagli stessi autori, è soggettivo tanto da poter
essere accettati anche valori differenti da quelli proposti.
3.4 I possibili scenari delineati dal CNDCEC
Di recente il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili ha licenziato un
documento contenente propone una serie di raccomandazioni a valere per le società c.d. a controllo pubblico
ove non mancano importanti richiami alle previsioni contenute all’articolo 13 – Indicatori della crisi – del
Codice della Crisi70.
Richiamando quando già detto sin qui, si rammenta che l’articolo 13, Co. 2, del Codice della Crisi
attribuisce al Consiglio Nazionale “tenuto conto delle migliori prassi nazionali ed internazionali, il compito
di elaborare con cadenza almeno triennale, in riferimento ad ogni tipologia di attività economica secondo le
classificazioni I.S.T.A.T., gli indici di cui al comma 1 che, valutati unitariamente, fanno ragionevolmente
presumere la sussistenza di uno stato di crisi dell'impresa”.
Si tratta a ben evidenza di un compito arduo ed estremamente delicato rispetto al quale, come già
evidenziato sopra, si porranno non poche criticità sia in relazione alla definizione degli indicatori, alla
specificazione per settore e dimensione e, non ultimo, sia per quanto attiene alla definizione delle soglie al di
sotto delle quali far scattare l’allerta.
Ciò premesso e nell’attesa che il Consiglio sostanzi il dettato normativo contenuto al soprarichiamato
articolo 13, Co. 2, emergono spunti interessanti dal documento sulle società a controllo pubblico che, per alcuni
versi, tracciano la possibile strada che lo stesso ragionevolmente potrà seguire in futuro.
Il punto centrale sembra risiedere nella ferma volontà di giungere alla formulazione di un giudizio integrato
sullo stato di salute dell’impresa che certamente affermi il primato di una prospettiva forward looking ma che
non trascuri anche una prospettiva backward lookingbasata su dati a consuntivo capaci di segnalare il trend
evolutivo e, in tal modo, supportare le analisi previsionali71.In questa mutata prospettiva un ruolo di rilievo è
riservato al business plan72.
70 Cfr. CNDCEC, “op.cit.”, marzo 2019. 71 Cfr. CNDCEC, “op. cit.”, marzo 2019: occorre dunque un approccio sistematico in grado di sintetizzare i dati disponibili e di esaminarli in una logica unitaria tipicamente aziendalistica; e in tale prospettiva, occorre partire dai dati storici, anche attraverso indici, per poi inquadrarli e collegarli con la pianificazione aziendale per verificarne tanto la coerenza quanto la capacità delle future scelte aziendali di superare eventuali deficienze già individuate e/previste. 72 Cfr. Quagli A., “op. cit.”, 2019: perplessità derivano dal fatto che la pianificazione finanziaria non è ancora una prassi manageriale diffusa capillarmente. Molte imprese, anche non necessariamente di minore dimensione, sviluppano dei budget solo economici e con orizzonte temporale raramente superiore al termine dell’esercizio successivo. In questo
50
Accanto alla necessità di dotarsi di un assetto adeguato in prospettiva forward looking, nel documento in
esame il Consiglio individua alcuni strumenti prioritari di indagine prospettica, quali:
• il Debt Service Coverage Ratio (c.d. DSCR) che misura il rapporto tra i flussi di cassa della gestione
corrente e il c.d. servizio del debito rappresentato dalla quota interessi e quota capitale in scadenza
nello stesso orizzonte temporale di riferimento73;
• il rapporto tra la Posizione Finanziaria Netta e l'EBITDA che consente il confronto in via sintetica
tra il debito finanziario e una grandezza che è espressione (pur se molto grossolana) dei flussi
annuali al servizio dello stesso, con la finalità di dare una prima indicazione di quanti anni
potrebbero occorrere a rimborsare il debito;
• il rapporto tra la Posizione Finanziaria Netta e il NOPAT che è espressione di una grandezza
economica più prossima al Free Cash Flow from Operation (FCFO) che misura i flussi liberi al
servizio del debito (per capitale ed interessi);
• il rapporto tra debito ed equity (D/E), nel quale per debito si deve intendere il debito finanziario
netto nell’accezione di cui sopra. Si tratta di un indicatore volto ad individuare il limite massimo
di leva finanziaria ammissibile;
• il rapporto tra gli Oneri Finanziari e il Margine Operativo lordo, che misura la capacità economica
di sostenimento del costo dell’indebitamento;
• lo scaduto nei confronti dei dipendenti, fornitori, erario ed enti previdenziali che costituisce un
evidente indizio di difficoltà finanziaria.
Al di là degli indicatori proposti, ciò che rileva è la particolare attenzione ad un assetto organizzativo che
guardi al futuro ma che non trascuri il passato ma, soprattutto, che consenta di elaborare una serie di indicatori
che, in una lettura integrata, consentano di cogliere sintomi premonitori a valere su di un arco temporale di
breve ma anche di medio termine.
3.5 I case studies: applicazione delle metodologie di indagine
Conclusa la sintetica e non esaustiva panoramica sugli strumenti di cui l’imprenditore e il professionista
possono disporre al fine di identificare eventuali sintomi premonitori della crisi, l’intento successivo è quello
di verificare la loro bontà attraverso la metodologia del case study.
In particolare, l’obiettivo comunicativo è quello di verificare se attraverso l’impiego sistematico di una
toolbox costituita da strumenti già noti alla prassi e alla dottrina sia possibile individuare segnali di criticità
(alert) a cui porre tempestivo rimedio.
senso ci piace pensare che definire la crisi nei termini suddetti e attribuire conseguentemente agli organi di controllo la responsabilità in chiave di attivazione dell’allerta imponga alle imprese un maggior ricorso di tale strumentazione previsionale. 73Il DSCR reca al numeratore i flussi liberi al servizio del debito che si rendono disponibili nell’orizzonte temporale di riferimento (1 anno) ed al denominatore il debito finanziario (comprensivo di eventuali scaduti patologici) che scade nello stesso orizzonte temporale di riferimento. Il valore soglia di equilibrio è 1. Grandezze inferiori a 1 danno evidenza della non sostenibilità finanziaria del debito nel predetto orizzonte temporale.
51
A tal fine si è deciso, come anticipato, di procedere con la metodologia del case study rivolgendo
l’osservazione al bacino delle società fallite con una declinazione geografica ristretta all’ambito locale della
provincia di Salerno.
Sono state individuate cinque società, rappresentative del contesto sociale campano, per le quali è
sopraggiunta la dichiarazione di fallimento che ha avuto profonde ricadute in ambito sociale ed economico. Le
realtà scelte, cassate dei dati identificativi, sono società operanti nel commercio all’ingrosso o nella produzione
di conserve e prodotti alimentari, di media dimensione (hanno tutte una media di 150 dipendenti), quindi non
solo rappresentano un campione omogeneo, ma soprattutto identificano un settore preponderante del territorio
locale.
Per ciascuna società, da Alfa a Epsilon, sono stati analizzati i bilanci relativi agli ultimi 10 anni antecedenti
la data di dichiarazione di fallimento procedendo, in sequenza, con le seguenti fasi: a) acquisizione dei dati di
bilancio; b) riclassifica dello stato patrimoniale secondo il criterio della liquidità/esigibilità; b-bis) riclassifica
del conto economico secondo il criterio del valore della produzione e del valore aggiunto; c) applicazione delle
metodologie di indagine.
Con riferimento al punto sub c) si è ritenuto opportuno partire dall’analisi per indici poi integrata con le
tecniche di scoring senza trascurare un riferimento agli indicatori delineati dall’articolo 13 del Codice della
Crisi e dell’Insolvenza e di quelli definiti dal CNDCEC nel documento sopra richiamato.
In particolare, con riferimento agli strumenti di indagine impiegati occorre procedere con le seguenti
precisazioni:
- con riferimento all’analisi per indici si è ritenuto opportuno dare evidenza ai principali indicatori
afferenti:
o l’equilibrio patrimoniale – finanziario, indagato attraverso il margine di struttura, il capitale
circolante netto, il margine di tesoreria, l’indice di incidenza dei debiti a breve termine,
l’indice di incidenza dei debiti a medio – lungo termine e l’indice di dipendenza finanziaria;
o l’equilibrio monetario, indagato attraverso il current ratio e il quick ratio;
o l’equilibrio economico, indagato attraverso gli indicatori di redditività del ROI, ROE, ROS
e ROD;
- con riferimento alle tecniche di scoring si è ritenuto opportuno dare evidenza al modello Z-Score
di Altman nella sua declinazione del 1993 e del 2004 e al modello EM-Score;
- con riferimento agli indicatori delineati dal CNDCEC si è posta l’esigenza, per ragioni evidenti
ragioni di carenza informativa, di non tener conto del DSCR.
Alla luce di quanto sopra, nei successivi paragrafi, fatta una breve premessa sul settore di appartenenza e
sui principali dati economici e patrimoniali della società si illustrano le risultanze ottenute a seguito
dell’applicazione degli strumenti sopra delineati, trascendendo da ogni considerazione ulteriore sulla
intervenuta dichiarazione di fallimento. Appare fin da subito evidente come tali strumenti sono un valido
supporto al monitoraggio dello stato di salute aziendale.
52
3.5.1 Azienda Alfa
L’Azienda Alfa è una società di capitali che opera nel settore del commercio all’ingrosso di prodotti
alimentari. La governance è affidata ad un consiglio di amministrazione ed è presente il collegio sindacale.
Nel corso del decennio analizzato la società presenta una media dei ricavi di circa 63.236.934 Euro, una
media degli impieghi di circa 83.428.129 Euro.
Al termine del periodo osservato è intervenuta la dichiarazione di fallimento.
Sulla scorta della documentazione analizzata si propongono di seguito le risultanze ottenute.
Con riferimento all’indagine sulle condizioni di equilibrio aziendale si riportano di seguito, distinti per
ciascuno specifico equilibrio, le risultanze dei principali indicatori considerati:
Descrizione/Periodo 31/12/2001 31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010
Patrimonio Netto € 37.116.628 € 37.611.832 € 31.044.801 € 31.093.411 € 29.308.141 € 29.950.257 € 25.996.539 € 48.751.122 € 54.605.107 -€ 49.890.406
Immobilizzazioni nette € 33.715.788 € 35.075.245 € 32.465.955 € 35.959.481 € 44.383.527 € 40.265.661 € 44.522.847 € 71.508.436 € 77.509.517 € 34.749.949
Margine di struttura € 3.400.840 € 2.536.587 -€ 1.421.154 -€ 4.866.070 -€ 15.075.386 -€ 10.315.404 -€ 18.526.308 -€ 22.757.314 -€ 22.904.410 -€ 84.640.355
Descrizione/Periodo 31/12/2001 31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010
Attivo corrente € 25.043.803 € 27.242.019 € 34.961.745 € 33.278.622 € 35.996.827 € 50.490.561 € 43.991.994 € 49.985.809 € 58.759.612 € 24.185.042
Passività correnti € 16.687.768 € 20.026.917 € 31.372.363 € 33.164.581 € 31.396.469 € 55.881.976 € 45.151.760 € 58.760.479 € 55.423.599 € 100.374.874
Capitale Circolante Netto € 8.356.035 € 7.215.102 € 3.589.382 € 114.041 € 4.600.358 -€ 5.391.415 -€ 1.159.766 -€ 8.774.670 € 3.336.013 -€ 76.189.832
Descrizione/Periodo 31/12/2001 31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010
Liquidità immediate € 2.596.461 € 2.663.210 € 3.557.893 € 928.824 € 1.121.363 € 741.625 € 2.609.668 € 883.002 € 1.135.446 € 621.791
Liquidità differite € 17.510.555 € 19.245.272 € 22.199.496 € 24.648.284 € 26.871.810 € 43.500.606 € 32.806.336 € 36.371.587 € 44.916.087 € 22.577.288
Passività correnti € 16.687.768 € 20.026.917 € 31.372.363 € 33.164.581 € 31.396.469 € 55.881.976 € 45.151.760 € 58.760.479 € 55.423.599 € 100.374.874
Margine di tesoreria € 3.419.248 € 1.881.565 -€ 5.614.974 -€ 7.587.473 -€ 3.403.296 -€ 11.639.745 -€ 9.735.756 -€ 21.505.890 -€ 9.372.066 -€ 77.175.795
Descrizione/Periodo 31/12/2001 31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010
Passività correnti € 16.687.768 € 20.026.917 € 31.372.363 € 33.164.581 € 31.396.469 € 55.881.976 € 45.151.760 € 58.760.479 € 55.423.599 € 100.374.874
Totale Fonti € 58.759.591 € 62.317.264 € 67.427.700 € 69.238.103 € 80.380.354 € 90.756.222 € 88.514.841 € 121.683.104 € 136.269.129 € 58.934.991
Incidenza debiti a breve termine 28,40% 32,14% 46,53% 47,90% 39,06% 61,57% 51,01% 48,29% 40,67% 170,31%
Descrizione/Periodo 31/12/2001 31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010
Passività consolidate € 4.955.195 € 4.678.515 € 5.010.536 € 4.980.111 € 19.675.744 € 4.923.989 € 17.366.542 € 14.171.503 € 26.240.423 € 8.450.523
Totale Fonti € 58.759.591 € 62.317.264 € 67.427.700 € 69.238.103 € 80.380.354 € 90.756.222 € 88.514.841 € 121.683.104 € 136.269.129 € 58.934.991
Incidenza debiti a medio - lungo termine 8,43% 7,51% 7,43% 7,19% 24,48% 5,43% 19,62% 11,65% 19,26% 14,34%
Descrizione/Periodo 31/12/2001 31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010
Capitale di debito € 21.642.963 € 24.705.432 € 36.382.899 € 38.144.692 € 51.072.213 € 60.805.965 € 62.518.302 € 72.931.982 € 81.664.022 € 108.825.397
Totale Fonti € 58.759.591 € 62.317.264 € 67.427.700 € 69.238.103 € 80.380.354 € 90.756.222 € 88.514.841 € 121.683.104 € 136.269.129 € 58.934.991
Indice di dipendenza finanziaria 36,83% 39,64% 53,96% 55,09% 63,54% 67,00% 70,63% 59,94% 59,93% 184,65%
TABELLA 1 - EQUILIBRIO PATRIMONIALE - FINANZIARIO
Descrizione/Periodo 31/12/2001 31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010
Attivo corrente € 25.043.803 € 27.242.019 € 34.961.745 € 33.278.622 € 35.996.827 € 50.490.561 € 43.991.994 € 49.985.809 € 58.759.612 € 24.185.042
Passività correnti € 16.687.768 € 20.026.917 € 31.372.363 € 33.164.581 € 31.396.469 € 55.881.976 € 45.151.760 € 58.760.479 € 55.423.599 € 100.374.874
Current Ratio 1,50 1,36 1,11 1,00 1,15 0,90 0,97 0,85 1,06 0,24
Descrizione/Periodo 31/12/2001 31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010
Liquidità immediate € 2.596.461 € 2.663.210 € 3.557.893 € 928.824 € 1.121.363 € 741.625 € 2.609.668 € 883.002 € 1.135.446 € 621.791
Liquidità differite € 17.510.555 € 19.245.272 € 22.199.496 € 24.648.284 € 26.871.810 € 43.500.606 € 32.806.336 € 36.371.587 € 44.916.087 € 22.577.288
Passività correnti € 16.687.768 € 20.026.917 € 31.372.363 € 33.164.581 € 31.396.469 € 55.881.976 € 45.151.760 € 58.760.479 € 55.423.599 € 100.374.874
Quick Ratio 1,20 1,09 0,82 0,77 0,89 0,79 0,78 0,63 0,83 0,23
TABELLA 2 - EQUILIBRIO MONETARIO
53
Si forniscono, ulteriormente, i risultati ottenuti con l’applicazione dello Z-Score di Altman e dell’EM-
Score.
Da una lettura integrata dei dati sopra riportati emerge come segnali di criticità siano già riscontrabili nei
primi anni di analisi soprattutto sotto un profilo di redditività con una gestione che mostra di essere poco
competitiva e addirittura negativa. Sotto l’aspetto patrimoniale ben presto emerge una difficile situazione di
equilibrio con un capitale circolante netto che si mantiene positivo sino al 2005 ma con un margine di struttura
e un margine di tesoreria che assume una consistente negatività in un trend peggiorativo.
Le criticità sono confermate anche dal modello di Altman che nella versione del 1993 evidenzia una
permanenza nella “grey zone” diversamente dalla versione del 2004 che, benché non segnali criticità, vede una
discesa dello score come, del resto, l’EM- Score con un rating in sostanziale discesa.
È utile osservare come sin da questi primi anni di analisi appaia opportuna la definizione, da parte della
governance, di un’attenta ridefinizione strategica dell’area operativa con la determinazione di piani di azione
capaci di incidere in maniera sostanziale sulla redditività e, conseguentemente, sulla creazione di valore.
Forte è il segnale che proviene dal capitale circolante netto registrato nel 2004 che, benché positivo, risulta
in significativo calo rispetto agli anni precedenti con un margine di tesoreria e un margine di struttura
fortemente negativi che, unitamente ad una redditività non soddisfacente e ad una dipendenza finanziaria in
crescita segnalano una complessiva situazione di squilibrio.
Descrizione/Periodo 31/12/2001 31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010
Utile netto -€ 2.449.856 € 495.206 -€ 6.567.031 -€ 23.489 -€ 9.848.470 € 101.576 -€ 3.953.718 € 1.254.583 € 532.987 -€ 89.493.000
Patrimonio netto € 37.116.628 € 37.611.832 € 31.044.801 € 31.093.411 € 29.308.141 € 29.950.257 € 25.996.539 € 48.751.122 € 54.605.107 -€ 49.890.406
Return On Equity (R.O.E.) -6,60% 1,32% -21,15% -0,08% -33,60% 0,34% -15,21% 2,57% 0,98% 179,38%
Descrizione/Periodo 31/12/2001 31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010
Reddito Operativo -€ 1.993.468 -€ 667.272 -€ 3.794.537 € 913.067 -€ 8.711.839 -€ 10.138.851 -€ 2.481.548 € 4.130.863 € 3.629.256 -€ 42.491.266
Totale Impieghi € 58.759.591 € 62.317.264 € 67.427.700 € 69.238.103 € 80.380.354 € 90.756.222 € 88.514.841 € 121.494.245 € 136.269.129 € 58.934.991
Return On Investment (R.O.I.) -3,39% -1,07% -5,63% 1,32% -10,84% -11,17% -2,80% 3,40% 2,66% -72,10%
Descrizione/Periodo 31/12/2001 31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010
Reddito Operativo -€ 1.993.468 -€ 667.272 -€ 3.794.537 € 913.067 -€ 8.711.839 -€ 10.138.851 -€ 2.481.548 € 4.130.863 € 3.629.256 -€ 42.491.266
Ricavi di vendita € 49.160.581 € 53.929.295 € 56.325.792 € 57.234.135 € 54.083.137 € 55.465.781 € 71.343.382 € 107.734.166 € 82.132.553 € 44.960.520
Return On Sales (R.O.S.) -4,06% -1,24% -6,74% 1,60% -16,11% -18,28% -3,48% 3,83% 4,42% -94,51%
Descrizione/Periodo 31/12/2001 31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010
Oneri finanziari € 561.598 € 604.262 € 1.070.350 € 1.317.987 € 1.482.135 € 2.248.042 € 2.405.084 € 3.197.551 € 3.449.559 € 3.677.248
Capitale di debito € 10.413.043 € 12.666.224 € 23.106.078 € 25.141.887 € 35.021.476 € 40.454.939 € 36.063.986 € 43.516.443 € 51.095.548 € 53.637.996
Return On Debts (R.O.D.) 5,39% 4,77% 4,63% 5,24% 4,23% 5,56% 6,67% 7,35% 6,75% 6,86%
TABELLA 3 - EQUILIBRIO ECONOMICO
31/12/2001 31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010
2,067 2,049 1,440 1,500 0,851 0,536 0,989 1,279 1,077 -2,762
31/12/2001 31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010
15,129 13,751 10,340 9,152 7,068 4,898 5,694 6,260 5,702 -4,191
31/12/2001 31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010
6,910 7,243 5,518 5,254 4,363 3,019 3,805 3,909 4,630 -11,164
Rating S&P A A+ BB+ BB B- CCC- CCC+ CCC+ B D
Z-Score (1993)
Z-Score (2004)
EM -Score
54
Ne consegue che, analizzato già il trend dei primi anni, alla governance si imponeva l’opportunità e la
necessità di ripensare al proprio business attraverso la formulazione di un piano programmatico che consentisse
di superare le significative criticità già in atto.
A partire dal 2005 la società entra in uno stato di crisi testimoniato da un sistematico squilibrio patrimoniale,
una dipendenza finanziaria in crescita, una pessima redditività e un rating con continui outlook negativi fino
all’insolvenza dichiarata nel solo 2011 e preceduta, solo di qualche mese nella decisione dei soci di proporre
ricorso per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo ex art. 160 L.F.
Alla luce di quanto sopra risulta evidente come un monitoraggio costante e sistematico attraverso l’impiego
di strumenti ben consolidati nella prassi e in dottrina avrebbe ben segnalato l’esistenza di criticità in atto e,
conseguentemente, la necessità di formulare una strategia di risanamento interna ovvero aderendo, con un
maggior anticipo, a soluzioni di risanamento giudiziarie e/o extra-giudiziali.
Sulla scorta delle novità introdotte dal Codice della Crisi e dell’Insolvenza e, in particolare, di quanto
contenuto all’articolo 13 nonché delle novità emerse dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed
Esperti Contabili, si è ritenuto opportuno procedere ad una prima applicazione degli indicatori esplicitati in
modo da coglierne delle prime indicazioni.
In particolare, si evidenzia quanto segue:
Descrizione/Periodo 31/12/2001 31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010
Patrimonio netto € 37.116.628 € 37.611.832 € 31.044.801 € 31.093.411 € 29.308.141 € 29.950.257 € 25.996.539 € 48.751.122 € 54.605.107 -€ 49.890.406
Totale Passivo € 58.759.591 € 62.317.264 € 67.427.700 € 69.238.103 € 80.380.354 € 90.756.222 € 88.514.841 € 121.683.104 € 136.269.129 € 58.934.991
Indicatore Alfa 63,17% 60,36% 46,04% 44,91% 36,46% 33,00% 29,37% 40,06% 40,07% -84,65%
Descrizione/Periodo 31/12/2001 31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010
Oneri finanziari € 561.598 € 604.262 € 1.070.350 € 1.317.987 € 1.482.135 € 2.248.042 € 2.405.084 € 3.197.551 € 3.449.559 € 3.677.248
Ricavi di vendita € 49.160.581 € 53.929.295 € 56.325.792 € 57.234.135 € 54.083.137 € 55.465.781 € 71.343.382 € 107.734.166 € 82.132.553 € 44.960.520
Indicatore Beta 1,14% 1,12% 1,90% 2,30% 2,74% 4,05% 3,37% 2,97% 4,20% 8,18%
Indici significativi ex art. 13 - CCI
55
Sul punto, in premessa, va osservato che stante l’attuale assenza di valori determinanti la “soglia della
criticità” non è possibile stabilire, puntualmente, quando sarebbe potuta scattare l’allerta tuttavia, alla luce
anche delle considerazioni fatte nei paragrafi precedenti, confrontando i risultati ottenuti con gli indicatori del
CNDCEC con la dottrina prevalente e con le medie di settore, è possibile evidenziare come, presumibilmente,
l’allerta stessa si manifesti marcatamente già dal 2003 con un PFN/EBITDA e un PFN/NOPAT negativo a
testimonianza di una difficile capacità dell’impresa di ripagare il debito contratto, un crescente livello di
indebitamento e un netto peggioramento del tasso di copertura degli oneri finanziari che, per lo stesso anno,
risulta altrettanto negativo. Allo stato attuale minori indicazioni provengono dagli indici ex art. 13 CCI che in
assenza di soglie ben definite non consentono l’espressione di un giudizio univoco; tuttavia, sulla base dei cut
– off definiti nello studio Cerved dello scorso ottobre 2018, commissionato dal Ministero della Giustizia, solo
nel 2010 l’indicatore Alfa, assumendo valori negativi, avrebbe segnalato una probability of default del 90%
non rilevata negli anni precedenti viceversa, l’indicatore Beta già dal 2003 avrebbe segnalato una probability
of default del 70%.
3.5.2 Azienda Beta
L’Azienda Beta è una società di capitali che opera nel settore del commercio all’ingrosso di prodotti
alimentari. La governance è affidata ad un consiglio di amministrazione ed è presente il collegio sindacale.
Nel corso del decennio analizzato la società presenta una media dei ricavi di circa 21.852.000 Euro, una
media degli impieghi di circa 24.270.000 Euro.
Al termine del periodo osservato è intervenuta la dichiarazione di fallimento.
Con riferimento all’indagine sulle condizioni di equilibrio aziendale si riportano di seguito, distinti per
ciascuno specifico equilibrio, le risultanze dei principali indicatori considerati:
Descrizione/Periodo 31/12/2001 31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010
Posizione finanzairia netta € 7.309.019 € 9.381.039 € 18.714.183 € 22.973.398 € 32.034.145 € 38.986.613 € 32.016.971 € 41.101.356 € 47.194.381 € 45.612.269
Ebitda (MOL) € 454.110 € 2.370.969 -€ 30.943 € 4.687.134 -€ 2.292.872 -€ 4.864.087 € 1.345.766 € 8.596.194 € 9.215.096 -€ 24.804.022
PFN/EBITDA 16,10 3,96 -604,80 4,90 -13,97 -8,02 23,79 4,78 5,12 -1,84
Descrizione/Periodo 31/12/2001 31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010
Posizione finanziaria netta € 7.309.019 € 9.381.039 € 18.714.183 € 22.973.398 € 32.034.145 € 38.986.613 € 32.016.971 € 41.101.356 € 47.194.381 € 45.612.269
NOPAT= EBIT (MON) - TASSE -€ 1.993.468 -€ 667.272 -€ 3.794.537 € 440.351 -€ 6.024.039 -€ 12.565.168 -€ 1.952.477 € 3.756.614 € 3.479.256 -€ 42.491.266
PFN/NOPAT -3,67 -14,06 -4,93 52,17 -5,32 -3,10 -16,40 10,94 13,56 -1,07
Descrizione/Periodo 31/12/2001 31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008
Posizione finanziaria netta € 7.309.019 € 9.381.039 € 18.714.183 € 22.973.398 € 32.034.145 € 38.986.613 € 32.016.971 € 41.101.356 € 47.194.381 € 45.612.269
Patrimonio netto € 37.116.628 € 37.611.832 € 31.044.801 € 31.093.411 € 29.308.141 € 29.950.257 € 25.996.539 € 48.751.122 € 54.605.107 -€ 49.890.406
D/E 0,20 0,25 0,60 0,74 1,09 1,30 1,23 0,84 0,86 -0,91
Descrizione/Periodo 31/12/2001 31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010
Oneri finanziari € 464.542 € 564.589 € 1.051.765 € 1.311.761 € 1.476.985 € 2.244.592 € 2.376.069 € 3.179.175 € 3.423.008 € 3.676.210
Ebitda (MOL) € 454.110 € 2.370.969 -€ 30.943 € 4.687.134 -€ 2.292.872 -€ 4.864.087 € 1.345.766 € 8.596.194 € 9.215.096 -€ 24.804.022
O.F/EBITDA 1,02 0,24 -33,99 0,28 -0,64 -0,46 1,77 0,37 0,37 -0,15
CNDCEC
56
Descrizione/Periodo 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2013
Patrimonio Netto 6.224.637 6.365.669 6.267.538 6.251.921 10.673.666 10.819.213 10.485.990 7.913.774 -5.443.368 -8.706.841
Immobilizzazioni nette 9.202.379 9.064.255 7.891.187 6.418.593 10.273.188 9.872.230 9.459.759 8.987.666 8.603.590 13.483.025
Margine di struttura -2.977.742 -2.698.586 -1.623.649 -166.672 400.478 946.983 1.026.231 -1.073.892 -14.046.958 -22.189.866
Descrizione/Periodo 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2013
Attivo corrente 9.170.951 10.723.030 14.709.393 18.826.956 18.113.234 17.091.624 17.224.307 18.823.382 20.563.138 4.202.396
Passività correnti 9.098.545 10.262.503 10.186.748 16.496.610 16.030.188 14.630.766 10.072.593 14.336.356 18.334.242 21.615.010
Capitale Circolante Netto 72.406 460.527 4.522.645 2.330.346 2.083.046 2.460.858 7.151.714 4.487.026 2.228.896 -17.412.614
Descrizione/Periodo 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2013
Liquidità immediate 6.085 7.845 31.875 696.524 40.803 45.487 724.088 76.089 14.134 134.100
Liquidità differite 7.187.396 7.645.365 12.037.235 12.367.151 14.936.109 14.218.067 14.114.591 16.787.801 19.817.059 3.252.970
Passività correnti 9.098.545 10.262.503 10.186.748 16.496.610 16.030.188 14.630.766 10.072.593 14.336.356 18.334.242 21.615.010
Margine di tesoreria -1.905.064 -2.609.293 1.882.362 -3.432.935 -1.053.276 -367.212 4.766.086 2.527.534 1.496.951 -18.227.940
Descrizione/Periodo 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2013
Passività correnti 9.098.545 10.262.503 10.186.748 16.496.610 16.030.188 14.630.766 10.072.593 14.336.356 18.334.242 21.615.010
Totale Fonti 18.373.330 19.787.285 22.600.580 25.245.549 28.386.422 26.963.854 26.684.066 27.811.048 28.149.287 17.685.421
Incidenza debiti a breve termine 50% 52% 45% 65% 56% 54% 38% 52% 65% 122%
Descrizione/Periodo 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2013
Passività consolidate 3.050.148 3.159.113 6.146.294 2.497.018 1.682.568 1.513.875 6.125.483 5.560.918 15.258.413 4.777.252
Totale Fonti 18.373.330 19.787.285 22.600.580 25.245.549 28.386.422 26.963.854 26.684.066 27.811.048 28.149.287 17.685.421
Incidenza debiti a medio - lungo termine 17% 16% 27% 10% 6% 6% 23% 20% 54% 27%
Descrizione/Periodo 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2013
Patrimonio netto 6.224.637 6.365.669 6.267.538 6.251.921 10.673.666 10.819.213 10.485.990 7.913.774 -5.443.368 -8.706.841
Totale Fonti 18.373.330 19.787.285 22.600.580 25.245.549 28.386.422 26.963.854 26.684.066 27.811.048 28.149.287 17.685.421
Incidenza del capitale proprio 34% 32% 28% 25% 38% 40% 39% 28% -19% -49%
Descrizione/Periodo 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2013
Capitale di debito 12.148.693 13.421.616 16.333.042 18.993.628 17.712.756 16.144.641 16.198.076 19.897.274 33.592.655 26.392.262
Totale Fonti 18.373.330 19.787.285 22.600.580 25.245.549 28.386.422 26.963.854 26.684.066 27.811.048 28.149.287 17.685.421
Indice di dipendenza finanziaria 66% 68% 72% 75% 62% 60% 61% 72% 119% 149%
Descrizione/Periodo 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2013
Capitale di debito 12.148.693 13.421.616 16.333.042 18.993.628 17.712.756 16.144.641 16.198.076 19.897.274 33.592.655 26.392.262
Capitale Proprio 6.224.637 6.365.669 6.267.538 6.251.921 10.673.666 10.819.213 10.485.990 7.913.774 -5.443.368 -8.706.841
Indice di ricorso al capitale di debito 195% 211% 261% 304% 166% 149% 154% 251% -617% -303%
TABELLA 1 EQUILIBRIO PATRIMONIALE-FINANZIARIO
Descrizione/Periodo 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2013
Attivo corrente 9.170.951 10.723.030 14.709.393 18.826.956 18.113.234 17.091.624 17.224.307 18.823.382 20.563.138 4.202.396
Passività correnti 9.098.545 10.262.503 10.186.748 16.496.610 16.030.188 14.630.766 10.072.593 14.336.356 18.334.242 21.615.010
Current Ratio 1,01 1,04 1,44 1,14 1,13 1,17 1,71 1,31 1,12 0,19
Descrizione/Periodo 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2013
Liquidità immediate 6.085 7.845 31.875 696.524 40.803 45.487 724.088 76.089 14.134 134.100
Liquidità differite 7.187.396 7.645.365 12.037.235 12.367.151 14.936.109 14.218.067 14.114.591 16.787.801 19.817.059 3.252.970
Passività correnti 9.098.545 10.262.503 10.186.748 16.496.610 16.030.188 14.630.766 10.072.593 14.336.356 18.334.242 21.615.010
Quick Ratio 0,79 0,75 1,18 0,79 0,93 0,97 1,47 1,18 1,08 0,16
TABELLA 2 EQUILIBRIO MONETARIO
Descrizione/Periodo 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2013
Utile netto -815.290 265.480 -79.628 20.129 202.245 145.550 -333.225 -2.572.216 -13.357.143 -8.316.376
Patrimonio netto 6.224.637 6.365.669 6.267.538 6.251.921 10.673.666 10.819.213 10.485.990 7.913.774 -5.443.368 -8.706.841
Return On Equity (R.O.E.) -13,10% 4,17% -1,27% 0,32% 1,89% 1,35% -3,18% -32,50% 245,38% 95,52%
Descrizione/Periodo 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2013
Reddito Operativo -1.163.136 885.981 421.098 459.328 1.124.169 892.439 265.804 -2.182.675 -12.625.992 -7.891.244
Totale Impieghi 18.373.330 19.787.285 22.600.580 25.245.549 28.386.422 26.963.854 26.684.066 27.811.048 29.166.728 17.685.421
Return On Investment (R.O.I.) -6,33% 4,48% 1,86% 1,82% 3,96% 3,31% 1,00% -7,85% -43,29% -44,62%
Descrizione/Periodo 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2013
Reddito Operativo -1.163.136 885.981 421.098 459.328 1.124.169 892.439 265.804 -2.182.675 -12.625.992 -7.891.244
Ricavi di vendita 17.829.599 23.593.790 24.938.335 26.477.050 23.020.211 21.837.523 23.197.863 24.905.985 19.760.150 4.908.984
Return On Sales (R.O.S.) -6,52% 3,76% 1,69% 1,73% 4,88% 4,09% 1,15% -8,76% -63,90% -160,75%
Descrizione/Periodo 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2013
Oneri finanziari 290.982,00 440.555,00 489.813,00 857.152,00 781.228,00 589.630,00 476.779,00 567.746,00 664.708,00 468.876,00
Capitale di debito 4.114.981,00 5.305.806,00 7.768.304,00 7.623.130,00 8.483.474,00 5.449.416,00 9.268.146,00 10.913.081,00 12.230.639,00 13.043.800,00
Return On Debts (R.O.D.) 7,07% 8,30% 6,31% 11,24% 9,21% 10,82% 5,14% 5,20% 5,43% 3,59%
TABELLA 3 EQUILIBRIO ECONOMICO
57
Si forniscono, ulteriormente, i risultati ottenuti con l’applicazione dello Z-Score di Altman e dell’EM-
Score.
Da una lettura integrata dei dati sopra riportati emerge come segnali di criticità siano già riscontrabili nei
primi anni di analisi soprattutto sotto un profilo di redditività con una gestione che mostra di essere poco
competitiva e addirittura negativa in diversi casi. Sotto l’aspetto patrimoniale sin dal primo anno di
osservazione emerge una difficile situazione di equilibrio con un margine di tesoreria e di struttura quasi
costantemente negativi.
Le criticità sono confermate anche dal modello di Altman che, salvo episodici casi, mostra una costante
permanenza nella “grey zone” a testimonianza dell’esistenza di forti criticità.
È utile osservare anche in questo caso come sin da questi primi anni di analisi appaia opportuna la
definizione, da parte della governance, di un’attenta ridefinizione strategica dell’area operativa con la
determinazione di piani di azione capaci di incidere in maniera sostanziale sulla redditività e,
conseguentemente, sulla creazione di valore e, nel contempo, la definizione di azioni capaci di favorire una
corretta omogeneità tra fonti ed impieghi.
Nel caso di specie è utile osservare come sotto un profilo di equilibrio aziendale, segnali di criticità sono
rinvenibili solo a partire dal 2012 mentre da una lettura integrata con il modello di Altman i segnali di crisi
sono riscontrabili già dal 2010/2011 con la possibilità di intervenire prima e incisivamente per fronteggiare la
discontinuità ed evitare il dissesto.
Sulla scorta delle novità introdotte dal Codice della Crisi e dell’Insolvenza e, in particolare, di quanto
contenuto all’articolo 13 nonché delle novità emerse dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed
Esperti Contabili, si è ritenuto opportuno procedere ad una prima applicazione degli indicatori esplicitati in
modo da coglierne delle prime indicazioni.
In particolare, si evidenzia quanto segue:
31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2013
1,213 1,705 1,613 1,437 1,371 1,402 1,510 1,050 -0,690 -2,311
31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2013
7,939 8,264 7,795 6,958 6,860 7,230 7,747 6,378 1,570 -6,893
31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2013
4,213 4,796 5,646 4,803 5,103 5,292 6,287 4,635 0,689 -7,923
RATING S&P B BB- BB+ BB BB BB+ BBB+ B+ D D
Z-Score 93
Z-score 04
EM SCORE
Descrizione/Periodo 31/12/2001 31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010
Patrimonio netto € 37.116.628 € 37.611.832 € 31.044.801 € 31.093.411 € 29.308.141 € 29.950.257 € 25.996.539 € 48.751.122 € 54.605.107 -€ 49.890.406
Totale Passivo € 58.759.591 € 62.317.264 € 67.427.700 € 69.238.103 € 80.380.354 € 90.756.222 € 88.514.841 € 121.683.104 € 136.269.129 € 58.934.991
Indicatore Alfa 63,17% 60,36% 46,04% 44,91% 36,46% 33,00% 29,37% 40,06% 40,07% -84,65%
Descrizione/Periodo 31/12/2001 31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010
Oneri finanziari € 561.598 € 604.262 € 1.070.350 € 1.317.987 € 1.482.135 € 2.248.042 € 2.405.084 € 3.197.551 € 3.449.559 € 3.677.248
Ricavi di vendita € 49.160.581 € 53.929.295 € 56.325.792 € 57.234.135 € 54.083.137 € 55.465.781 € 71.343.382 € 107.734.166 € 82.132.553 € 44.960.520
Indicatore Beta 1,14% 1,12% 1,90% 2,30% 2,74% 4,05% 3,37% 2,97% 4,20% 8,18%
Indici significativi ex art. 13 - CCI
58
Sul punto, in premessa, va osservato che stante l’attuale assenza di valori determinanti la “soglia della
criticità” non è possibile stabilire, puntualmente, quando sarebbe potuta scattare l’allerta tuttavia, alla luce
anche delle considerazioni fatte nei paragrafi precedenti, confrontando i risultati ottenuti con gli indicatori del
CNDCEC con la dottrina prevalente e con le medie di settore, è possibile evidenziare come, presumibilmente,
segnali consistenti di allerta si manifestino marcatamente già dal 2001 con un PFN/EBITDA e un PFN/NOPAT
particolarmente elevato che nel 2003 assume valori addirittura negativi a testimonianza di una difficile capacità
dell’impresa di ripagare il debito contratto, un crescente livello di indebitamento e un netto peggioramento del
tasso di copertura degli oneri finanziari che, per lo stesso anno, risulta altrettanto negativo. Analoghe
considerazioni valgono per il triennio 2005 – 2007 ove il peggioramento è consistente.
Allo stato attuale minori indicazioni provengono dagli indici ex art. 13 CCI che in assenza di soglie ben
definite non consentono l’espressione di un giudizio univoco; tuttavia, sulla base dei cut – off definiti nello
studio Cerved dello scorso ottobre 2018, commissionato dal Ministero della Giustizia, solo nel 2012
l’indicatore Alfa, assumendo valori negativi, avrebbe segnalato una probability of default del 90% non rilevata
negli anni precedenti viceversa, l’indicatore Beta già dal 2004 avrebbe segnalato una probability of default del
70%.
3.5.3 Azienda Gamma
L’Azienda Gamma è una società di capitali che opera nel settore del commercio all’ingrosso di conserve
alimentari. La governance è affidata ad un consiglio di amministrazione ed è presente il collegio sindacale.
Nel corso del decennio analizzato la società presenta una media dei ricavi di circa 28.736.000 Euro, una
media degli impieghi di circa 43.708.000 Euro.
Al termine del periodo osservato è intervenuta la dichiarazione di fallimento.
Con riferimento all’indagine sulle condizioni di equilibrio aziendale si riportano di seguito, distinti per
ciascuno specifico equilibrio, le risultanze dei principali indicatori considerati:
Descrizione/Periodo 31/12/2001 31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010
Posizione finanzairia netta € 7.309.019 € 9.381.039 € 18.714.183 € 22.973.398 € 32.034.145 € 38.986.613 € 32.016.971 € 41.101.356 € 47.194.381 € 45.612.269
Ebitda (MOL) € 454.110 € 2.370.969 -€ 30.943 € 4.687.134 -€ 2.292.872 -€ 4.864.087 € 1.345.766 € 8.596.194 € 9.215.096 -€ 24.804.022
PFN/EBITDA 16,10 3,96 -604,80 4,90 -13,97 -8,02 23,79 4,78 5,12 -1,84
Descrizione/Periodo 31/12/2001 31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010
Posizione finanziaria netta € 7.309.019 € 9.381.039 € 18.714.183 € 22.973.398 € 32.034.145 € 38.986.613 € 32.016.971 € 41.101.356 € 47.194.381 € 45.612.269
NOPAT= EBIT (MON) - TASSE -€ 1.993.468 -€ 667.272 -€ 3.794.537 € 440.351 -€ 6.024.039 -€ 12.565.168 -€ 1.952.477 € 3.756.614 € 3.479.256 -€ 42.491.266
PFN/NOPAT -3,67 -14,06 -4,93 52,17 -5,32 -3,10 -16,40 10,94 13,56 -1,07
Descrizione/Periodo 31/12/2001 31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008
Posizione finanziaria netta € 7.309.019 € 9.381.039 € 18.714.183 € 22.973.398 € 32.034.145 € 38.986.613 € 32.016.971 € 41.101.356 € 47.194.381 € 45.612.269
Patrimonio netto € 37.116.628 € 37.611.832 € 31.044.801 € 31.093.411 € 29.308.141 € 29.950.257 € 25.996.539 € 48.751.122 € 54.605.107 -€ 49.890.406
D/E 0,20 0,25 0,60 0,74 1,09 1,30 1,23 0,84 0,86 -0,91
Descrizione/Periodo 31/12/2001 31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010
Oneri finanziari € 464.542 € 564.589 € 1.051.765 € 1.311.761 € 1.476.985 € 2.244.592 € 2.376.069 € 3.179.175 € 3.423.008 € 3.676.210
Ebitda (MOL) € 454.110 € 2.370.969 -€ 30.943 € 4.687.134 -€ 2.292.872 -€ 4.864.087 € 1.345.766 € 8.596.194 € 9.215.096 -€ 24.804.022
O.F/EBITDA 1,02 0,24 -33,99 0,28 -0,64 -0,46 1,77 0,37 0,37 -0,15
CNDCEC
59
Tabella 1 – Equilibrio Patrimoniale – Finanziario
Tabella 2 – Equilibrio monetario
Descrizione/Periodo 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2013 31/12/2014 31/12/2015 31/12/2016
Patrimonio Netto 7.685.090,00 11.048.319,00 13.183.162,00 13.492.714,00 13.568.384,00 8.723.990,00 6.471.745,00 -2.051.756,00 -8.139.296,00 -12.940.360,00
Immobilizzazioni nette 20.475.824,00 21.249.900,00 19.655.860,00 18.952.897,00 18.349.116,00 20.049.104,00 22.595.896,00 19.650.913,00 20.909.740,00 19.924.627,00
Margine di struttura -12.790.734,00 -10.201.581,00 -6.472.698,00 -5.460.183,00 -4.780.732,00 -11.325.114,00 -16.124.151,00 -21.702.669,00 -29.049.036,00 -32.864.987,00
Descrizione/Periodo 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2013 31/12/2014 31/12/2015 31/12/2016
Attivo corrente 30.029.041,00 34.129.531,00 35.655.936,00 35.678.683,00 39.593.823,00 30.208.934,00 16.644.541,00 7.307.586,00 4.117.984,00 1.899.311,00
Passività correnti 33.143.985,00 31.082.940,00 26.151.180,00 23.976.892,00 30.705.565,00 9.878.786,00 17.737.359,00 17.349.430,00 17.966.258,00 18.723.700,00
Capitale Circolante Netto -3.114.944,00 3.046.591,00 9.504.756,00 11.701.791,00 8.888.258,00 20.330.148,00 -1.092.818,00 -10.041.844,00 -13.848.274,00 -16.824.389,00
Descrizione/Periodo 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2013 31/12/2014 31/12/2015 31/12/2016
Liquidità immediate 33.400,00 135.082,00 312.040,00 66.383,00 9.850,00 6.439,00 8.207,00 3.902,00 370.947,00 68.183,00
Liquidità differite 13.010.580,00 15.560.781,00 14.480.434,00 13.668.075,00 13.246.543,00 10.567.864,00 7.262.429,00 4.228.625,00 2.642.648,00 1.380.180,00
Passività correnti 33.143.985,00 31.082.940,00 26.151.180,00 23.976.892,00 30.705.565,00 9.878.786,00 17.737.359,00 17.349.430,00 17.966.258,00 18.723.700,00
Margine di tesoreria -20.100.005,00 -15.387.077,00 -11.358.706,00 -10.242.434,00 -17.449.172,00 695.517,00 -10.466.723,00 -13.116.903,00 -14.952.663,00 -17.275.337,00
Descrizione/Periodo 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2013 31/12/2014 31/12/2015 31/12/2016
Passività correnti € 33.143.985,00 € 31.082.940,00 € 26.151.180,00 € 23.976.892,00 € 30.705.565,00 € 9.878.786,00 € 17.737.359,00 € 17.349.430,00 € 17.966.258,00 € 18.723.700,00
Totale Fonti € 50.504.865,00 € 55.379.431,00 € 55.311.796,00 € 54.631.580,00 € 57.942.939,00 € 50.258.038,00 € 39.240.439,00 € 26.958.499,00 € 25.027.724,00 € 21.823.938,00
Incidenza debiti a breve termine 65,63% 56,13% 47,28% 43,89% 52,99% 19,66% 45,20% 64,36% 71,79% 85,79%
Descrizione/Periodo 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2013 31/12/2014 31/12/2015 31/12/2016
Capitale di debito € 42.819.775,00 € 44.331.112,00 € 42.128.634,00 € 41.138.866,00 € 44.374.555,00 € 41.534.048,00 € 32.768.694,00 € 29.010.255,00 € 33.167.020,00 € 34.764.298,00
Totale Fonti € 50.504.865,00 € 55.379.431,00 € 55.311.796,00 € 54.631.580,00 € 57.942.939,00 € 50.258.038,00 € 39.240.439,00 € 26.958.499,00 € 25.027.724,00 € 21.823.938,00
Indice di dipendenza finanziaria 84,78% 80,05% 76,17% 75,30% 76,58% 82,64% 83,51% 107,61% 132,52% 159,29%
Descrizione/Periodo 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2013 31/12/2014 31/12/2015 31/12/2016
Passività consolidate € 9.675.790,00 € 13.248.172,00 € 15.977.454,00 € 17.161.974,00 € 13.668.990,00 € 31.655.262,00 € 15.031.335,00 € 11.660.825,00 € 15.200.762,00 € 16.040.598,00
Totale Fonti € 50.504.865,00 € 55.379.431,00 € 55.311.796,00 € 54.631.580,00 € 57.942.939,00 € 50.258.038,00 € 39.240.439,00 € 26.958.499,00 € 25.027.724,00 € 21.823.938,00
Incidenza debiti a medio - lungo termine 19,16% 23,92% 28,89% 31,41% 23,59% 62,99% 38,31% 43,25% 60,74% 73,50%
Descrizione/Periodo 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2013 31/12/2014 31/12/2015 31/12/2016
Attivo corrente 30.029.041,00 34.129.531,00 35.655.936,00 35.678.683,00 39.593.823,00 30.208.934,00 16.644.541,00 7.307.586,00 4.117.984,00 1.899.311,00
Passività correnti 33.143.985,00 31.082.940,00 26.151.180,00 23.976.892,00 30.705.565,00 9.878.786,00 17.737.359,00 17.349.430,00 17.966.258,00 18.723.700,00
Current Ratio 0,91 1,10 1,36 1,49 1,29 3,06 0,94 0,42 0,23 0,10
Descrizione/Periodo 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2013 31/12/2014 31/12/2015 31/12/2016
Liquidità immediate 33.400,00 135.082,00 312.040,00 66.383,00 9.850,00 6.439,00 8.207,00 3.902,00 370.947,00 68.183,00
Liquidità differite 13.010.580,00 15.560.781,00 14.480.434,00 13.668.075,00 13.246.543,00 10.567.864,00 7.262.429,00 4.228.625,00 2.642.648,00 1.380.180,00
Passività correnti 33.143.985,00 31.082.940,00 26.151.180,00 23.976.892,00 30.705.565,00 9.878.786,00 17.737.359,00 17.349.430,00 17.966.258,00 18.723.700,00
Quick Ratio 0,39 0,50 0,57 0,57 0,43 1,07 0,41 0,24 0,17 0,08
60
Tabella 3 – Equilibrio economico
Si forniscono, ulteriormente, i risultati ottenuti con l’applicazione dello Z-Score di Altman e dell’EM-
Score.
Da una lettura integrata dei dati sopra riportati emerge come i segnali di criticità siano già molto evidenti
fin dai primi anni di analisi fino ad arrivare nel 2014 ad avere un Patrimonio Netto negativo.
Sotto l’aspetto patrimoniale emerge una iniziale situazione di squilibrio accompagnata da una forte tensione
monetaria, unitamente ad un profilo di redditività che si dimostra poco competitivo e, in alcuni casi, addirittura
negativo.
Le criticità sono confermate anche dal modello di Altman che nella versione del 1993 evidenzia una
permanenza nella “grey zone” dopo i primi due periodi osservazione negativo, per arrivare nella zona
“distress” nel periodo 2011 “.Anche l’EM- Score mostra una sostanziale criticità pur riportando un andamento
crescente subisce una forte e marcata inversione nell’anno 2013.
È utile osservare come sin dai primi anni di analisi appaia necessaria la definizione, da parte della
governance, di un’attenta ridefinizione strategica per assicurare la continuità aziendale già sostanzialmente
compromessa.
Sulla scorta delle novità introdotte dal Codice della Crisi e dell’Insolvenza e, in particolare, di quanto
contenuto all’articolo 13 nonché delle novità emerse dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed
Esperti Contabili, si è ritenuto opportuno procedere ad una prima applicazione degli indicatori esplicitati in
modo da coglierne delle prime indicazioni.
In particolare, si evidenzia quanto segue:
Tabella 3 -EQUILIBRIO ECONOMICO
Descrizione/Periodo 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2013 31/12/2014 31/12/2015 31/12/2016
Utile netto 254.031,00 321.327,00 412.063,00 179.097,00 75.670,00 -4.844.395,00 -5.966.806,00 -8.523.502,00 -6.087.540,00 -4.801.065,00
Patrimonio netto 7.685.090,00 11.048.319,00 13.183.162,00 13.492.714,00 13.568.384,00 8.723.990,00 6.471.745,00 -2.051.756,00 -8.139.296,00 -12.940.360,00
Return On Equity (R.O.E.) 3,31% 2,91% 3,13% 1,33% 0,56% -55,53% -92,20% 415,42% 74,79% 37,10%
Descrizione/Periodo 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2013 31/12/2014 31/12/2015 31/12/2016
Reddito Operativo 2.422.493,00 2.416.132,00 2.338.768,00 2.039.040,00 2.075.033,00 -4.171.065,00 -4.070.146,00 -7.639.657,00 -6.175.953,00 -3.429.731,00
Totale Impieghi 50.504.865,00 55.379.431,00 55.311.796,00 54.631.580,00 57.942.939,00 50.258.038,00 39.240.437,00 26.958.499,00 25.027.724,00 21.823.938,00
Return On Investment (R.O.I.) 4,80% 4,36% 4,23% 3,73% 3,58% -8,30% -10,37% -28,34% -24,68% -15,72%
Descrizione/Periodo 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2013 31/12/2014 31/12/2015 31/12/2016
Reddito Operativo 2.422.493,00 2.416.132,00 2.338.768,00 2.039.040,00 2.075.033,00 -4.171.065,00 -4.070.146,00 -7.639.657,00 -6.175.953,00 -3.429.731,00
Ricavi di vendita 33.494.530,00 43.209.838,00 45.749.776,00 42.291.266,00 37.622.260,00 36.225.101,00 30.163.839,00 14.968.334,00 3.793.224,00 141.234,00
Return On Sales (R.O.S.) 7,23% 5,59% 5,11% 4,82% 5,52% -11,51% -13,49% -51,04% -162,82% -2428,40%
Descrizione/Periodo 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2013 31/12/2014 31/12/2015 31/12/2016
Oneri finanziari 1.640.640,00 1.594.537,00 1.216.358,00 902.888,00 967.968,00 1.201.342,00 1.028.573,00 830.165,00 862.181,00 686.093,00
Capitale di debito 21.115.522,00 21.906.370,00 23.282.981,00 22.171.516,00 26.125.985,00 21.893.594,00 20.107.890,00 18.512.490,00 20.181.869,00 21.038.881,00
Return On Debts (R.O.D.) 7,77% 7,28% 5,22% 4,07% 3,71% 5,49% 5,12% 4,48% 4,27% 3,26%
31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2013 31/12/2014 31/12/2015 31/12/2016
0,925 1,155 1,340 1,317 1,127 0,988 0,635 -0,505 -1,283 -1,622
31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2013 31/12/2014 31/12/2015 31/12/2016
4,169 5,245 6,237 6,256 5,478 5,958 4,960 2,121 -3,666 -7,986
31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2013 31/12/2014 31/12/2015 31/12/2016
3,670 4,531 5,478 5,775 5,316 6,140 3,067 -0,713 -2,932 -4,907
RATING S&P CCC+ B+ BB+ BBB- BB+ BBB CCC D D D
Z-Score 93
Z-score 04
EM SCORE
61
Sul punto, in premessa, va osservato che stante l’attuale assenza di valori determinanti la “soglia della
criticità” non è possibile stabilire, puntualmente, quando sarebbe potuta scattare l’allerta tuttavia, alla luce
anche delle considerazioni fatte nei paragrafi precedenti, confrontando i risultati ottenuti con gli indicatori del
CNDCEC con la dottrina prevalente e con le medie di settore, è possibile evidenziare come, presumibilmente,
l’allerta stessa si manifesti già dal 2007 con un PFN/EBITDA e un PFN/NOPAT elevato a testimonianza di
una difficile capacità dell’impresa di ripagare il debito contratto, un consistente livello di indebitamento ed
oneri connessi. Allo stato attuale minori indicazioni provengono dagli indici ex art. 13 CCI che in assenza di
soglie ben definite non consentono l’espressione di un giudizio univoco; tuttavia, sulla base dei cut – off definiti
nello studio Cerved dello scorso ottobre 2018, commissionato dal Ministero della Giustizia, solo nel 2014
l’indicatore Beta, assumendo valori negativi, avrebbe segnalato una probability of default del 90% non rilevata
negli anni precedenti; viceversa, l’indicatore Gamma già dal 2007 avrebbe segnalato una probability of default
dell’80%.
3.5.4 Azienda Delta
L’Azienda Delta è una società di capitali che opera nel settore della produzione industriale alimentare. La
governance è affidata ad un amministratore unico ed è presente il collegio sindacale.
Indici significativi ex art. 13 - CCI
Descrizione/Periodo 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2013 31/12/2014 31/12/2015 31/12/2016
Patrimonio netto 7.685.090,00 11.048.319,00 13.183.162,00 13.492.714,00 13.568.384,00 8.723.990,00 6.471.745,00 -2.051.756,00 -8.139.296,00 -12.940.360,00
Totale Passivo 50.504.865,00 55.379.431,00 55.311.796,00 54.631.580,00 57.942.939,00 50.258.038,00 39.240.439,00 26.958.499,00 25.027.724,00 21.823.938,00
Indicatore Beta 15,22% 19,95% 23,83% 24,70% 23,42% 17,36% 16,49% -7,61% -32,52% -59,29%
Descrizione/Periodo 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2013 31/12/2014 31/12/2015 31/12/2016
Oneri finanziari 1.640.640,00 1.594.537,00 1.216.358,00 902.888,00 967.968,00 1.201.342,00 1.028.573,00 830.165,00 862.181,00 686.093,00
Ricavi di vendita 33.494.530,00 43.209.838,00 45.749.776,00 42.291.266,00 37.622.260,00 36.225.101,00 30.163.839,00 14.968.334,00 3.793.224,00 141.234,00
Indicatore Gamma 4,90% 3,69% 2,66% 2,13% 2,57% 3,32% 3,41% 5,55% 22,73% 485,78%
CNDCEC
Descrizione/Periodo 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2013 31/12/2014 31/12/2015 31/12/2016
Posizione finanzairia netta 17.903.312,00 19.946.163,00 20.232.485,00 18.639.608,00 23.474.989,00 20.625.038,00 16.950.193,00 15.435.320,00 14.928.923,00 15.362.414,00
Ebitda (MOL) 4.831.474,00 4.973.183,00 5.191.080,00 4.741.317,00 4.189.220,00 -2.420.358,00 -3.076.248,00 -3.606.201,00 -3.472.436,00 -2.323.453,00
PFN/EBITDA 3,71 4,01 3,90 3,93 5,60 -8,52 -5,51 -4,28 -4,30 -6,61
Descrizione/Periodo 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2013 31/12/2014 31/12/2015 31/12/2016
Posizione finanzairia netta 17.903.312,00 19.946.163,00 20.232.485,00 18.639.608,00 23.474.989,00 20.625.038,00 16.950.193,00 15.435.320,00 14.928.923,00 15.362.414,00
NOPAT= EBIT (MON) - TASSE 1.871.086,00 1.904.040,00 1.607.332,00 1.343.853,00 1.366.592,00 -3.231.282,00 -4.070.146,00 -7.639.657,00 -6.175.953,00 -3.678.124,00
PFN/NOPAT 9,57 10,48 12,59 13,87 17,18 -6,38 -4,16 -2,02 -2,42 -4,18
Descrizione/Periodo 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008
Posizione finanzairia netta 17.903.312,00 19.946.163,00 20.232.485,00 18.639.608,00 23.474.989,00 20.625.038,00 16.950.193,00 15.435.320,00 14.928.923,00 15.362.414,00
Patrimonio netto 7.685.090,00 11.048.319,00 13.183.162,00 13.492.714,00 13.568.384,00 8.723.990,00 6.471.745,00 -2.051.756,00 -8.139.296,00 -12.940.360,00
D/E 2,33 1,81 1,53 1,38 1,73 2,36 2,62 -7,52 -1,83 -1,19
Descrizione/Periodo 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2013 31/12/2014 31/12/2015 31/12/2016
Oneri finanziari 1.617.055,00 1.582.713,00 1.195.269,00 901.120,00 964.192,00 1.041.194,00 1.000.857,00 818.692,00 855.716,00 686.093,00
Ebitda (MON) 4.831.474,00 4.973.183,00 5.191.080,00 4.741.317,00 4.189.220,00 -2.420.358,00 -3.076.248,00 -3.606.201,00 -3.472.436,00 -2.323.453,00
O.F/EBITDA 33% 32% 23% 19% 23% -43% -33% -23% -25% -30%
62
Nel corso del decennio analizzato la società presenta una media dei ricavi di circa 10.022.000 Euro, una
media degli impieghi di circa 10.615.000 Euro.
Al termine del periodo osservato è intervenuta la dichiarazione di fallimento.
Con riferimento all’indagine sulle condizioni di equilibrio aziendale si riportano di seguito, distinti per
ciascuno specifico equilibrio, le risultanze dei principali indicatori considerati:
Si forniscono, ulteriormente, i risultati ottenuti con l’applicazione dello Z-Score di Altman e dell’EM-
Score.
63
Da una lettura integrata dei dati sopra riportati emerge come i segnali di criticità siano già molto evidenti
fin dai primi anni di analisi fino ad arrivare nel 2014 ad avere un Patrimonio Netto negativo di oltre 4 milioni.
Sotto l’aspetto patrimoniale emerge una situazione di squilibrio accompagnata da una forte tensione
monetaria, unitamente ad un profilo di redditività che si dimostra poco competitivo e, in alcuni casi, addirittura
negativo.
Le criticità sono confermate anche dal modello di Altman che nella versione del 1993 evidenzia una
permanenza nella “grey zone” dopo il primo periodo di periodo di osservazione negativo, per arrivare nella
zona “distress” nel periodo 2011 “. Anche l’EM- Score mostra una sostanziale criticità essendo costantemente
nella zona “distress”
È utile osservare come sin dai primi anni di analisi appaia necessaria la definizione, da parte della
governance, di un’attenta ridefinizione strategica per assicurare la continuità aziendale già sostanzialmente
compromessa.
Sulla scorta delle novità introdotte dal Codice della Crisi e dell’Insolvenza e, in particolare, di quanto
contenuto all’articolo 13 nonché delle novità emerse dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed
Esperti Contabili, si è ritenuto opportuno procedere ad una prima applicazione degli indicatori esplicitati in
modo da coglierne delle prime indicazioni.
In particolare, si evidenzia quanto segue:
31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2013 31/12/2014 31/12/2015
1,122 1,254 1,299 1,394 1,294 0,839 0,790 0,855 0,153 0,108
31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2013 31/12/2014 31/12/2015
4,648 5,394 5,931 6,624 6,487 5,456 3,866 3,422 2,507 -2,271
31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008 31/12/2009 31/12/2010 31/12/2011 31/12/2012 31/12/2013 31/12/2014 31/12/2015
1,596 1,935 2,175 2,616 2,657 1,724 1,785 2,093 0,443 0,367
RATING S&P CCC+ B+ BB+ BBB- BB+ BBB CCC D D D
Z-Score 93
Z-score 04
EM SCORE
64
Sul punto, in premessa, va osservato che stante l’attuale assenza di valori determinanti la “soglia della
criticità” non è possibile stabilire, puntualmente, quando sarebbe potuta scattare l’allerta tuttavia, alla luce
anche delle considerazioni fatte nei paragrafi precedenti, confrontando i risultati ottenuti con gli indicatori del
CNDCEC con la dottrina prevalente e con le medie di settore, è possibile evidenziare come, presumibilmente,
l’allerta stessa possa evidenziarsi a partire dal 2010. Allo stato attuale minori indicazioni provengono dagli
indici ex art. 13 CCI che in assenza di soglie ben definite non consentono l’espressione di un giudizio univoco;
tuttavia, sulla base dei cut – off definiti nello studio Cerved dello scorso ottobre 2018, commissionato dal
Ministero della Giustizia, solo nel 2012 l’indicatore Beta avrebbe segnalato una probability of default del 70%
non rilevata negli anni precedenti; viceversa, l’indicatore Gamma avrebbe segnalato una probability of default
del 70% sin dal 2006.
3.5.5 Azienda Epsilon
L’Azienda Epsilon è una società di capitali che opera nel settore della grande distribuzione organizzata. La
governance è affidata ad un amministratore unico ed è presente il collegio sindacale.
Per ragioni di disponibilità delle informazioni si è analizzato un periodo compreso tra il 2002 e il 2008
durante il quale la società presenta una media dei ricavi di circa 241.472.168 Euro, una media degli impieghi
di circa 185.671.146 Euro.
Al termine del periodo osservato è intervenuta la dichiarazione di fallimento.
Con riferimento all’indagine sulle condizioni di equilibrio aziendale si riportano di seguito, distinti per
ciascuno specifico equilibrio, le risultanze dei principali indicatori considerati:
Descrizione/Periodo 31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008
Patrimonio Netto € 8.520.505,00 € 7.786.650,00 € 9.225.841,00 € 9.750.946,00 € 10.160.592,00 € 10.880.858,00 € 39.468.854,00
Immobilizzazioni nette € 79.660.568,00 € 79.254.759,00 € 78.394.159,00 € 78.614.665,00 € 84.481.790,00 € 85.490.557,00 € 115.326.702,00
Margine di struttura -€ 71.140.063,00 -€ 71.468.109,00 -€ 69.168.318,00 -€ 68.863.719,00 -€ 74.321.198,00 -€ 74.609.699,00 -€ 75.857.848,00
Descrizione/Periodo 31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008
Attivo corrente € 90.170.344,00 € 84.040.215,00 € 85.407.886,00 € 98.322.405,00 € 96.048.554,00 € 122.535.078,00 € 121.950.344,00
Passività correnti € 113.666.993,00 € 132.274.552,00 € 140.708.035,00 € 152.884.935,00 € 145.085.929,00 € 156.962.621,00 € 158.497.960,00
Capitale Circolante Netto -€ 23.496.649,00 -€ 48.234.337,00 -€ 55.300.149,00 -€ 54.562.530,00 -€ 49.037.375,00 -€ 34.427.543,00 -€ 36.547.616,00
Descrizione/Periodo 31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008
Liquidità immediate € 3.169.063,00 € 3.048.192,00 € 392.023,00 € 647.185,00 € 537.488,00 € 824.240,00 € 673.589,00
Liquidità differite € 34.780.269,00 € 33.126.847,00 € 35.881.523,00 € 48.959.470,00 € 44.645.518,00 € 70.792.438,00 € 69.958.442,00
Passività correnti € 113.666.993,00 € 132.274.552,00 € 140.708.035,00 € 152.884.935,00 € 145.085.929,00 € 156.962.621,00 € 158.497.960,00
Margine di tesoreria -€ 75.717.661,00 -€ 96.099.513,00 -€ 104.434.489,00 -€ 103.278.280,00 -€ 99.902.923,00 -€ 85.345.943,00 -€ 87.865.929,00
Descrizione/Periodo 31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008
Passività correnti € 113.666.993,00 € 132.274.552,00 € 140.708.035,00 € 152.884.935,00 € 145.085.929,00 € 156.962.621,00 € 158.497.960,00
Totale Fonti € 163.294.974,00 € 169.830.912,00 € 163.802.045,00 € 176.937.070,00 € 180.530.344,00 € 198.025.635,00 € 227.277.046,00
Incidenza debiti a breve termine 69,61% 77,89% 85,90% 86,41% 80,37% 79,26% 69,74%
Descrizione/Periodo 31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008
Passività consolidate € 41.107.476,00 € 29.769.710,00 € 13.868.169,00 € 14.301.189,00 € 25.283.823,00 € 30.182.156,00 € 29.310.232,00
Totale Fonti € 163.294.974,00 € 169.830.912,00 € 163.802.045,00 € 176.937.070,00 € 180.530.344,00 € 198.025.635,00 € 227.277.046,00
Incidenza debiti a medio - lungo termine 25,17% 17,53% 8,47% 8,08% 14,01% 15,24% 12,90%
TABELLA 1 - EQUILIBRIO PATRIMONIALE - FINANZIARIO
65
Si forniscono, ulteriormente, i risultati ottenuti con l’applicazione dello Z-Score di Altman e dell’EM-
Score.
Da una lettura integrata dei dati sopra riportati emerge come segnali di criticità siano già riscontrabili nei
primi anni di analisi soprattutto sotto un profilo di redditività con una gestione che mostra di essere poco
competitiva e addirittura negativa. Analogamente sotto l’aspetto patrimoniale emerge una difficile situazione
di squilibrio patrimoniale – finanziario accompagnato una situazione di forte tensione monetaria.
Il trend negativo è confermato anche dal modello di Altman che nella versione del 1993 e del 2004
evidenzia una permanenza nella “grey zone” almeno fino al 2004 prima di segnalare una forte criticità
diversamente dal modello EM-Score che registra sin dal 2002 un rating da “distress zone”.
Descrizione/Periodo 31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008
Attivo corrente € 90.170.344,00 € 84.040.215,00 € 85.407.886,00 € 98.322.405,00 € 96.048.554,00 € 122.535.078,00 € 121.950.344,00
Passività correnti € 113.666.993,00 € 132.274.552,00 € 140.708.035,00 € 152.884.935,00 € 145.085.929,00 € 156.962.621,00 € 158.497.960,00
Current Ratio 0,79 0,64 0,61 0,64 0,66 0,78 0,77
Descrizione/Periodo 31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008
Liquidità immediate € 3.169.063,00 € 3.048.192,00 € 392.023,00 € 647.185,00 € 537.488,00 € 824.240,00 € 673.589,00
Liquidità differite € 34.780.269,00 € 33.126.847,00 € 35.881.523,00 € 48.959.470,00 € 44.645.518,00 € 70.792.438,00 € 69.958.442,00
Passività correnti € 113.666.993,00 € 132.274.552,00 € 140.708.035,00 € 152.884.935,00 € 145.085.929,00 € 156.962.621,00 € 158.497.960,00
Quick Ratio 0,33 0,27 0,26 0,32 0,31 0,46 0,45
TABELLA 2 - EQUILIBRIO MONETARIO
Descrizione/Periodo 31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008
Utile netto € 313.434,00 € 383.165,00 € 403.850,00 € 371.296,00 € 307.119,00 € 371.003,00 € 111.088,00
Patrimonio netto € 8.520.505,00 € 7.786.650,00 € 9.225.841,00 € 9.750.946,00 € 10.160.592,00 € 10.880.858,00 € 39.468.854,00
Return On Equity (R.O.E.) 3,68% 4,92% 4,38% 3,81% 3,02% 3,41% 0,28%
Descrizione/Periodo 31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008
Reddito Operativo € 6.493.696,00 € 5.805.061,00 € 5.290.019,00 € 4.557.200,00 € 5.787.665,00 € 5.381.696,00 € 6.676.586,00
Totale Impieghi € 169.830.912,00 € 163.294.974,00 € 163.802.045,00 € 176.937.070,00 € 180.530.344,00 € 208.025.635,00 € 237.277.046,00
Return On Investment (R.O.I.) 3,82% 3,55% 3,23% 2,58% 3,21% 2,59% 2,81%
Descrizione/Periodo 31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008
Reddito Operativo € 6.493.696,00 € 5.805.061,00 € 5.290.019,00 € 4.557.200,00 € 5.787.665,00 € 5.381.696,00 € 6.676.586,00
Ricavi di vendita € 283.765.012,00 € 254.961.018,00 € 237.961.526,00 € 230.521.099,00 € 215.943.802,00 € 221.833.573,00 € 245.319.146,00
Return On Sales (R.O.S.) 2,29% 2,28% 2,22% 1,98% 2,68% 2,43% 2,72%
Descrizione/Periodo 31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008
Oneri finanziari € 3.779.471,00 € 3.794.163,00 € 3.528.345,00 € 2.987.454,00 € 3.658.144,00 € 4.443.391,00 € 4.861.202,00
Capitale di debito € 40.429.344,00 € 39.671.044,00 € 36.771.035,00 € 30.559.894,00 € 46.939.369,00 € 46.417.049,00 € 45.082.597,00
Return On Debts (R.O.D.) 9,35% 9,56% 9,60% 9,78% 7,79% 9,57% 10,78%
TABELLA 3 - EQUILIBRIO ECONOMICO
31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008
1,717 1,481 1,344 1,198 1,139 1,066 1,112
31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008
6,804 5,985 5,576 5,042 4,722 4,398 4,759
31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008
2,684 1,616 1,356 1,513 1,805 2,460 2,702
Rating S&P CCC- D D D CCC- CCC- CCC-
Z-Score (1993)
Z-Score (2004)
EM-Score
66
Ne consegue che, analizzato già il trend dei primi anni, alla governance si imponeva l’opportunità e la
necessità di ripensare al proprio business attraverso la formulazione di un piano programmatico che consentisse
di superare le significative criticità in atto.
Sulla scorta delle novità introdotte dal Codice della Crisi e dell’Insolvenza e, in particolare, di quanto
contenuto all’articolo 13 nonché delle novità emerse dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed
Esperti Contabili, si è ritenuto opportuno procedere ad una prima applicazione degli indicatori esplicitati in
modo da coglierne delle prime indicazioni.
In particolare, si evidenzia quanto segue:
Sul punto, in premessa, va osservato che stante l’attuale assenza di valori determinanti la “soglia della
criticità” non è possibile stabilire, puntualmente, quando sarebbe potuta scattare l’allerta tuttavia, alla luce
anche delle considerazioni fatte nei paragrafi precedenti, confrontando i risultati ottenuti con gli indicatori del
CNDCEC con la dottrina prevalente e con le medie di settore, è possibile evidenziare come, presumibilmente,
l’allerta stessa si manifesti già dal 2002 con un PFN/EBITDA e un PFN/NOPAT elevato ed espressivo di una
difficile capacità dell’impresa di ripagare il debito contratto. Allo stato attuale minori indicazioni provengono
dagli indici ex art. 13 CCI che in assenza di soglie ben definite non consentono l’espressione di un giudizio
univoco; tuttavia, sulla base dei cut – off definiti nello studio Cerved dello scorso ottobre 2018, commissionato
dal Ministero della Giustizia, a partire dal 2002 l’indicatore Beta, assumendo valori compresi tra 1,5 e 6,0,
avrebbe segnalato una probability of default del 70% cosi come, analogamente, l’indicatore Gamma.
Descrizione/Periodo 31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008
Patrimonio netto € 8.520.505,00 € 7.786.650,00 € 9.225.841,00 € 9.750.946,00 € 10.160.592,00 € 10.880.858,00 € 39.468.854,00
Totale Passivo € 163.294.974,00 € 169.830.912,00 € 163.802.045,00 € 176.937.070,00 € 180.530.344,00 € 198.025.635,00 € 227.277.046,00
Indicatore Beta 5,22% 4,58% 5,63% 5,51% 5,63% 5,49% 17,37%
Descrizione/Periodo 31/12/2002 31/12/2003 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008
Oneri finanziari € 3.779.471,00 € 3.794.163,00 € 3.528.345,00 € 2.987.454,00 € 3.658.144,00 € 4.443.391,00 € 4.861.202,00
Ricavi di vendita € 283.765.012,00 € 254.961.018,00 € 237.961.526,00 € 230.521.099,00 € 215.943.802,00 € 221.833.573,00 € 245.319.146,00
Indicatore Gamma 1,33% 1,49% 1,48% 1,30% 1,69% 2,00% 1,98%
Indici significativi ex art. 13 CCI
Descrizione/Periodo 31/12/2003 31/12/2002 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008
Posizione finanzairia netta € 31.071.158,00 € 29.911.664,00 € 32.717.349,00 € 26.654.455,00 € 43.510.677,00 € 41.122.497,00 € 35.381.686,00
Ebitda (MOL) € 7.999.411,00 € 7.280.509,00 € 6.866.360,00 € 6.015.695,00 € 6.873.680,00 € 6.413.659,00 € 7.739.518,00
PFN/EBITDA 3,88 4,11 4,76 4,43 6,33 6,41 4,57
Descrizione/Periodo 31/12/2003 31/12/2002 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008
Posizione finanzairia netta € 31.071.158,00 € 29.911.664,00 € 32.717.349,00 € 26.654.455,00 € 43.510.677,00 € 41.122.497,00 € 35.381.686,00
NOPAT= EBIT (MON) - TASSE € 4.655.940,00 € 4.450.555,00 € 3.772.744,00 € 3.371.248,00 € 4.313.768,00 € 4.728.330,00 € 4.946.480,00
PFN/NOPAT 6,67 6,72 8,67 7,91 10,09 8,70 7,15
Descrizione/Periodo 31/12/2003 31/12/2002 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008
Posizione finanzairia netta € 31.071.158,00 € 29.911.664,00 € 32.717.349,00 € 26.654.455,00 € 43.510.677,00 € 41.122.497,00 € 35.381.686,00
Patrimonio netto € 8.520.505,00 € 7.786.650,00 € 9.225.841,00 € 9.750.946,00 € 10.160.592,00 € 10.880.858,00 € 39.468.854,00
D/E 3,65 3,84 3,55 2,73 4,28 3,78 0,90
Descrizione/Periodo 31/12/2003 31/12/2002 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2006 31/12/2007 31/12/2008
Oneri finanziari € 3.719.531,00 € 3.700.798,00 € 3.348.805,00 € 2.679.332,00 € 3.349.188,00 € 4.134.223,00 € 4.803.081,00
Ebitda (MON) € 7.999.411,00 € 7.280.509,00 € 6.866.360,00 € 6.015.695,00 € 6.873.680,00 € 6.413.659,00 € 7.739.518,00
O.F/EBITDA 0,46 0,51 0,49 0,45 0,49 0,64 0,62
CNDCEC
67
3.6 Considerazioni conclusive
La definizione di una semplice toolbox costituita da strumenti già ampiamente noti rappresenta, a ben
evidenza, un primo meccanismo capace di cogliere segnali di criticità a cui porre rimedio prima che questi si
trasformino in patologia. Tuttavia, occorre precisare che l’analisi condotta soffre di taluni limiti legati,
principalmente, alla base informativa di riferimento che rimane il bilancio di esercizio e che,
conseguentemente, non consente già un’analisi in prospettiva forward looking.
Sicuramente gli stessi strumenti applicati a documenti programmatici e previsionali possono meglio
rispondere a quella necessità di anticipare la crisi cogliendone tempestivamente i segnali.
L’utilizzo di casi studio ha consentito di verificare e di dimostrare come un monitoraggio costante
dell’azienda e un raffronto spaziale e temporale del suo andamento possa essere un valido approccio per
individuare segnali di discontinuità, delimitando le aree di intervento e, in tal modo, pianificare accuratamente
le azioni da intraprendere.
Tale analisi ci ha permesso, inoltre, senza alcun approfondimento circa le ragioni del fallimento delle
società individuate, di definire aree di criticità in tempi “non sospetti”, ben lontani dalla dichiarazione di
insolvenza stessa che, se opportunamente colti, avrebbero potuto favorire un esito diverso.
I suggerimenti e le metodologie qui indagate troveranno utilità anche per gli amministratori delle imprese
che dovranno dotare i propri sistemi organizzativi aziendali di procedure e strumenti di analisi e controllo per
rispondere alle previsioni normative del Codice della Crisi.
Alla luce di quanto sin qui detto appare evidente come il Codice della Crisi e dell’Insolvenza introduca,
come ampiamente detto, innanzitutto un cambiamento culturale il cui fine, attraverso un’attenta gestione e
verifica dello stato di salute dell’azienda, dovrebbe essere quello di salvaguardare il valore economico e sociale
della stessa.
Dalla lettura sistematica e integrata degli indicatori individuati nel presente paper, che sono considerati
dalla dottrina gli indicatori più predittivi e più significativi per la riforma della legge fallimentare, è facilmente
possibile individuare l’area di alert ma è evidente che sarà necessario valutare il rischio di impresa sulla base
di riflessioni ad hoc per cui il modello suggerito dovrà essere integrato da variabili indipendenti che solo il
professionista e l’imprenditore possono realmente conoscere.
68
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