dfll.1 norma. · «È difficile questo con una mam-ma che...», e mima uno sguardo ri-volto al...

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1 / 4 Data Pagina Foglio 28-02-2020 90/93 ~ CARTA D'IDENTITÀ CITI L Nato a Buenos Aires nel 1953, Miguel Benasayag è filosofo e psicanalista. Ha studiato medicina e nello stesso tempo militato nella guerriglia guevarista. Arrestato tre volte, venne torturato e imprigionato. Grazie alla sua doppia nazionalità francese (come la madre) e argentina, approdò infine a Parigi GLI INCONTRI Benasayag è protagonista di cinque lezioni sulla complessità messe a punto dai ricercatori della Fondazione Feltrinelli di Milano nell'ambito della Stagione Alternativa. Questa sera, 28 febbraio, alle 18.30 in via Pasubio 5, il secondo appuntamento, centrato su governance, big data e democrazia In dialogo con Benasayag c'è Marco Rasetti, professore di fisica teorica e premio Majorana «VIVIAMO NELLA DITTATURA DFLL.1 NORMA. SIAMo MARIONETTE I\ \1.\\O .0 CO1CII E AGLI SMARTPHONE» Ritaglio stampa ad uso esclusivo del destinatario, non riproducibile. Vita e Pensiero 071084 Settimanale

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CARTA

D'IDENTITÀ

CITI LNato a Buenos

Aires nel 1953,

Miguel Benasayag

è filosofo e

psicanalista. Ha

studiato medicina

e nello stesso

tempo militato

nella guerriglia

guevarista.

Arrestato tre volte,

venne torturato

e imprigionato.

Grazie alla sua

doppia nazionalità

francese (come

la madre) e

argentina,

approdò infine a

Parigi

GLIINCONTRIBenasayag è

protagonista di

cinque lezioni

sulla complessità

messe a punto

dai ricercatori

della Fondazione

Feltrinelli di

Milano nell'ambito

della Stagione

Alternativa.

Questa sera,

28 febbraio,

alle 18.30 in

via Pasubio

5, il secondo

appuntamento,

centrato su

governance, big

data e democrazia

In dialogo con

Benasayag c'è

Marco Rasetti,

professore di fisica

teorica e premio

Majorana

«VIVIAMO NELLA DITTATURADFLL.1 NORMA.SIAMo MARIONETTEI\ \1.\\O .0 CO1CIIE AGLI SMARTPHONE»

Ritaglio stampa ad uso esclusivo del destinatario, non riproducibile.

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Alla fine glielo chiederò. Avevodeciso che non ne avrei parlato,una domanda che gli avranno fattomilioni di volte. Poi nella conver-sazione menziona una donna, luiaveva curato il suo bambino anniprima. La donna parla del propriopadre, fa una rivelazione. A quelpunto so che la domanda che ave-vo deciso di tenere per me è inevi-

tabile.All'inizio non sapevo cosa aspet-

tarmi dall'incontro con Miguel

Benasayag. Ho letto i suoi libri cer-cando di capire dove collocarmi:ero tra gli oggetti delle sue critiche,pronto quindi a ribellarmi? O unospirito affine? Oscillavo. Quandopropone una visione dell'uomocome necessariamente molteplice,conflittuale per natura, lo sento vi-cino. Forse siamo entrambi disce-poli di Pirandello e Pessoa, illumi-nati dal Cappellaio Matto che dicead Alice: «Eri molto più moltosa,hai perso la tua moltezza».Quando invece critica la psicolo-

gia occidentale o le terapie cogni-tive comportamentali, io appar-tengo a questa famiglia, mi trovooppositore. In Elogio del conflittoscrive: «L'incredibile armada de-gli psicologi» vuole portare «lamolteplicità all'unità», mentre perla psicoanalisi il conflitto «è unadimensione consustanziale allasoggettività umana». Vorrei dirgli

che no, che noi psicologi occiden-

tali siamo eredi di William Jamese Pierre Janet, sostenitori dellamolteplicità del sé. L'unità del séè per noi praticanti della psicolo-gia scientifica un mito e una fati-ca di Sisifo. Che per noi l'opera dicostruzione dell'identità alla fineproduce, al meglio, un vaso di cuisi vedono crepe unite con un buonadesivo. Eppure quel vaso lo consi-deriamo bello.Quando in Oltre le passioni tristi

L'INCONTRO

di GIANCARLO DIMAGGIO

sostiene che le terapie cognitive- §

comportamentali vorrebbero can-cellare nell'uomo ogni «interioritàsospetta... per meglio plasmarsinell'esoscheletro che obbediscealle leggi del mercato» vorrei dirgliche il neoliberismo non ci riguar- `da e questa critica non ha campo.Poi ci colleghiamo su Skype, nellasua casa di Parigi c'è il dominio del klegno e della luce, finiremo perparlare soprattutto di altro. Iniziochiedendogli del suo rapporto con

la psicoanalisi: le appartiene e lacritica.«Sono stato formato nella psico-

analisi classica, ma ho sempre avu-to un fondo fenomelogico. La miacritica riprende quella di Deleuzenell'Anti-Edipo. La psicoanalisi haindividualizzato i problemi umani,tutto diventa il tuo ombelico, tuttodiventa mamà, papà (in france-se)».Come si colloca rispetto allapsicoanalisi lacaniana? Io l'hoattraversata e sono critico.«Ho lavorato con i lacaniani in

un consultorio, mi sono forma-to con Françoise Dolto. Ma vengodall'antipsichiatria. La mia criticaè all'imbuto individualizzante, allaloro paura dì considerare il cervel-lo. Io ho studiato il cervello per 25anni e non sono riduzionista».Da quel momento in poi mi chie-

de di chiamarlo Miguel «no medice più professore» e passiamoal tu. Continua: «Davanti a questotsunami economicista e tecnofilo,l'individuo non è una buona inter-faccia per resistere. Non dico che ilcollettivo è meglio, non contrap-pongo collettivo e individuo. È unaltro tipo di incrocio con l'ecosi-stema. Nella clinica vediamo comeavanza l'artefattualizzazione dellavita».Passiamo a parlare della con-

cezione della cura dell'anima. Io:

In alto, GillesDeleuze, il filosofofrancese mortosuicida nel 1995,che a un primoperiodo dedicatoagli studio filosoficifece seguire unsecondo periododedicato allostudio della follia edella schizofrenia;sotto FrançoiseDolto, la psichiatrae psicanalistafrancesescomparsa nel1988 con cuisi è formatoBenasayag

«Per me uno dei fattori che por-tano la persona a soffrire è la ten-denza a prevedere che alcuni biso-gni di base verranno frustrati. Lepersone desiderano che gli altri siprendano cura di loro, avere unostatus, sentirsi inclusi nel gruppo eimmaginano che gli altri li respin-geranno, li trascureranno, lì sot-tometteranno, li escluderanno».MB: «La realtà è che siamo in unadittatura della norma. Tutti voglio-no essere normali. Non esiste piùuna marginalità gioiosa, creativa.Questo è molto pericoloso per lasocietà. Quando i limiti della le-galità sono chiusi, saturati, e nonpermettono un interscambio chesia legittimo, non essere nella nor-ma significa esserlo solo per patire.La gente vuole essere passivamen-te dentro la norma. Per qualcunoè ansiolitico entrare in una normadisciplinare esterna. La nostra eti-ca però è nell'interno, si crea per-ciò una normopatia. Il problemaè nei normali, dovremmo liberareloro. Essere normale significa es-sere passivo, funzionare il menopossibile. Questa dislocazione delsoggetto desiderante è gravissima.Le persone funzionano incrociatecon le macchine. Desiderano spari-re dietro la norma. Come sostieneLacan, il soggetto in questo modosoffre, ma gode. I lacaniani diconocose interessanti, ma dal punto divisto di un dispositivo di potere tre-mendo».Iniziamo a dibattere.Io: «Quando studio un collega

entro in dialogo. Io vedo la psico-terapia come volta a due aspetti. Ilprimo per me è un valore in sé: lariduzione della sofferenza. Se unapersona si lava le mani ioo volteal giorno e io riesco a fargliele la-vare prima 4o e poi 20, questo perme è bene. Poi che quella personaviva per andare al Grande Fratello

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è poco importante, perché gli hogià tolto dolore. L'altra componen-te, che mi sembra risuoni con latua, è la promozione della libertàdi espressione, del desiderio in-dividuale, della realizzazione delpotenziale e qui riesco facilmentea volere uno slancio rivoluziona-rio, realizzare quello che si crede aldi là di ciò che la norma impone.Chi si concentra sulla riduzione deldolore, non è un servo del capita-lismo».MB: «Non è una critica che fac-

cio. Noi siamo un po' come un po-dologo. Tu hai male, io voglio daresollievo al male. Il 709 del nostrolavoro è da podologo, permettereall'altro di ricominciare a cammi-nare. Il problema non è il cogniti-vismo, la psicoanalisi, ma la visio-ne modulare dell'essere umano. Ilpodologo non si pone il problemadell'essere umano. Il riduzionismosi preoccupa solo del funzionaree non dell'esistere. Dobbiamo fareattenzione. Da quando mi sonoformato in psichiatria ho assistitoalla perdita dell'attenzione al sensoe una visione modulare dell'essereumano può fare dei disastri».Io: «In questa ricerca del senso,

tu proponi una psicoterapia chedefinisci situazionale. Ho letto conattenzione le vignette cliniche diOltre le passioni tristi e cerchi di

Dall'alto L'epocadette passionitristi (Feltrinelli),uscito in italianonel 2014, fra ilibri più celebri di

Benasayag. Quisopra, Funzionareo esistere? (Vita ePensiero), uscito loscorso anno

aiutare i pazienti a liberarsi dallesovrastrutture di una vita condi-zionata dal dovere, dalla norma,dall'adesione acritica alla società».MB: «E a liberarsi del sintomo».Io: «Certo. E a realizzare il pro-

prio potenziale. Lavori perché ilpaziente si apra all'universo dellepossibilità. Identifichi il blocco, lasovrastruttura e dici che la personasi apre alla sua presenza nel conte-sto. Sembra che accada, correggi-mi se sbaglio, senza un principiointerno che porti la persona a dire:voglio andare in quella direzione edanzo in modo nuovo col mondo.Sembra quasi un lasciarsi coinvol-gere in un flusso. Che ruolo ha lavolontà individuale del paziente?».MB: «Io penso che i tropismi (i

movimenti di un organismo de-terminati da uno stimolo esterno)sono ampi, non polarizzati. Pos-sono incarnarsi in modi diversi. Ionon penso che la paziente di cuiscrivo che prima era medico e poiha iniziato a danzare voleva per for-za fare la danza. La danza è quelloche la società intorno a lei mette-va a disposizione che più o menoandava nel senso dei suoi tropismi.Questo pone un altro problema,quello della volontà. Questo mitofallito che se tu desideri una cosa lafarai, che grazie all'interpretazionemagica dello psicoanalista eri pi-

«IL DESIDERIO NON È UN MOTORESUFFICIENTE, LA STORIA DELLIBERARLO NON HA MAI FUNZIONATO,IL PROBLEMA E COME SOSTENEREIL DESIDERIO. QUANDO LA MIAGENERAZIONE AVEVA 20 ANNI, LACARENZA DI DESIDERIO NON ESISTEVA»

gro e inizierai a lavorare, eri impo-tente e all'improvviso ecco un peneenorme, è stupido. ll desiderio nonè un motore sufficiente, la storiadel liberarlo non ha mai funziona-to, il problema è come sostenere ildesiderio. Oggi gli individui sonosempre più dislocati, impotenti,informati del disastro. E cercanouna miriade di coach di ogni tipo. Ilcoach è la possibilità immaginariache questa polenta che tu hai den-tro prenda forma, ma lui da fuori tifa marionetta. Piuttosto che svilup-pare il proprio potenziale metten-doci il corpo, l'individuo diventamarionetta anche dello smartpho-ne che gli dà ordini. Questa delegadi funzione oggi è peggio che mai.Nel modularizzare l'essere umano,lo si priva della potenza di agire. Igiovani non sono entusiasti, hannoperso potenza».Uno degli aspetti per me piùimportanti, uso il termine ingle-se, è il recupero dell'agency, lapossibilità di iniziare un'azioneaccesa dall'interno. La carenzadi agency appartiene alla societàcontemporanea?«La gente della mia generazio-

ne, quando aveva Zo anni, avevaun sacco di problemi, ma questacarenza del desiderio non esisteva.Magari inquietavano il genitore,come suonare la chitarra, o nel miocaso fare la guerriglia (Benasayag èstato guerrigliero rivoluzionario easpettate la fine dell'intervista persapere come gli è andata, ndr), mai giovani avevano desideri. Peròattenzione, come dice Deleuze ildesiderio è contestuale, ha un latoendogeno ma questo non suppli-sce al desiderio sociale».Mi fai pensare agli studi sull'in-terazione madre-bambino. IIbambino impara a sentire il mo-tore interno del desiderio graziealla relazione con un genitore

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che gli mostra che quel motoreè importante. Gli dà attenzione,prende il gioco in mano, giocainsieme al bambino.«È difficile questo con una mam-

ma che...», e mima uno sguardo ri-volto al telefoninoHo un ricordo di quando miafiglia aveva 2 anni. Eravamo insalotto e io scrivevo al compu-ter. Lei mi chiama e le dico sìamore ti ascolto, ma guardo ilpc. Lei viene, mi prende per ilmento e direziona i miei occhiverso di lei!Benasayag ride e a questo punto,

senza che lo avessi pianificato, l'in-tervista vira verso una dimensionepersonale. «Una volta», racconta,«seguivo un bambino di 3 anni,Nicolas, che non dormiva, avevaun mostro nella testa. Gli chiedodi disegnarlo, vogliamo vedere lafaccia del mostro ma la faccia nonla disegnerà mai. Comunque Nico-las è migliorato. Dodici anni dopola madre viene da me, è distruttaperché è morto íl suo stesso padree non può piangerlo. Perché eraun uomo orribile. Ricorda che ungiorno il proprio fratello piangevadopo essere stato picchiato dal pa-dre e questi urlava: 'Tu non sarai ilprimo bambino che uccido". Quelpadre era stato nelle forze specialiin Algeria, aveva ucciso bambini. Ioquel giorno ho detto alla signora:"Abbiamo appena scoperto la fac-cia del mostro di Nicolas". La don-na ha risposto che era vero».È questo il momento in cui de-

cido che la domanda che non vo-

levo porre sarà la conclusione della

nostra intervista. Devo farla. Luicontinua. «Il bambino non sapevaniente del nonno. Mi ha colpito,io sono sul lato scientifico, il latomagico mi disturba, ma c'è unacomponente ereditaria, qui era evi-dente e senza trasmissione orale».

«UNA VOLTA SEGUIVO UN BAMBINO DI3 ANNI CHE NON DORMIVA, DICEVA DI

AVERE UN MOSTRO NELLA TESTA. MOLTOPIÙ TARDI HO CAPITO COSA INTENDESSE.COME HO RESISTITO ALLE TORTURE? NONLO SO, MA SONO RIUSCITO A PRENDERE

IN GIRO I MIEI TORTURATORI»

Alla fine dell'intervista mi torne-ranno ìn mente gli studi sui modiin cui i fantasmi si trasmettono dagenitore in figlio. Il genitore ha imostri nella testa, non li nominaal bambino, ma li svela attraversolo sguardo e lì il bambino vede lapaura e si spaventa a sua volta, l'im-maginazione infantile vede l'orroreche aleggia. È così che i mostri sal-tano attraverso le generazioni.Continuiamo a discutere sorri-

dendo insieme delle nostre diffi-coltà umane, e ora c'è la vicinanzaper chiederglielo.Hai avuto esperienze di vitaricche, coraggiose, terribili.Parlavi del nonno torturatoree tu sei stato torturato. Tu dici:ho resistito alla tortura ma finoa quel punto, non so se avreicontinuato a resistere. Io di mioso che non ce l'avrei fatta, cosaha permesso a te di resistere?Quale valore interno te lo haconsentito?La sua risposta mi sorprende,

scopro in lui una luce diversa.«Non lo so, nessuno lo può sape-

re. So che sono riuscito a prenderein giro i torturatori. Li ho convintiche io non ero io, mi hanno credu-to. Mi chiedevano dov'era il coman-dante Pablo Ruiz. Ero io in realtà.Mi chiedevano se ero io. Io non eroseduto, ero così (mima la posizio-ne della crocifissione) e risponde-vo che non so chi è il bastardo cheha detto che io sono Pablo Ruiz,che io ero il Piccolo Nero».Non lo interrompo, ma avrei vo-

GiancarloDimaggio,

psichiatra epsicoterapeuta,

socio fondatore delCentro di Terapia

MetacognitivaInterpersonale, èl'autore di questa

intervista

luto dirgli che è riuscito a convin-cere i torturatori di essere Calime-ro. Lui continua. «Si sono convinti.Li mandavo a cercare Pablo Ruiz,glielo descrivevo più o meno comegli altri torturati descrivevano me.A un certo punto mi portano trecompagni che avevano parlato. Ioero Iì bendato, non li vedevo. Glichiedono: è lui Pablo Ruiz, sì ono? Prima che rispondano, io urlo:"Voi l'avete trovato?". A quel puntoi torturatori hanno pensato che imiei compagni indicassero me perproteggere il vero Pablo Ruiz. Hofatto un tale bordello, un casinoassoluto e loro non ci hanno capitopiù niente. Nella confusione, nellaperdita di cognizione del tempoio stesso avevo perso il senso del-la realtà, ero arrivato a volere chetrovassero il vero Pablo Ruiz! Soloa un certo punto ho avuto terrore.Quando un torturatore mi ha detto:"Non capisco se sei troppo stupidoo troppo intelligente". A quel pun-to mi sono chiesto cosa avrebbe ri-sposto uno stupido. Non ho trovatouna risposta e questa è stata unabuona risposta».Ci salutiamo qui. Ma quando mi

ha raccontato di come ha convintoi torturatori di essere una specie diCalimero, io negli occhi gli ho vistoun guizzo di divertimento. Il gustodello sberleffo e del gioco fine a séstesso, una roba così te l'aspetti daWu Ming, Renzo Arbore e Totò. Inquello sguardo ci ho letto la mol-tezza.

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