di mano in mano

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Primo capitolo del libro "Di mano in mano" , un diario di viaggio nel mondo dell'adozione internazionale.

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«I want my son! I want my son!» A bordo dell’aereo che mi porta a Kathmandu il grido disperato di Angelina Jolie, interprete del film Changeling risuona forte, anche grazie all’auricolare, forte

e diritto nel cervello. Non posso non considerarla una coincidenza signi-ficativa. Una sincronicità, come si dice in termini junghiani. I termini junghiani, le teorie, gli apriorismi e i pregiudizi positivi e negativi, le visioni del mondo conosciuto applicate a un mondo sconosciuto, rapprentano l’over-weight del mio bagaglio: scoprirò che in Nepal tutto ciò serve a poco, meglio arrivare nudi e crudi, perché nudi e crudi, spesso, si presentano i fatti. È più facile dialogare con i fatti abbandonando sul nastro dell’aeroporto i pre-concetti, un turista premuroso in tenuta da trekking potrà sempre rincorrerci cercando di riparare alla dimenticanza, meglio rispondere: «No grazie, questo bagaglio se lo prenda lei, a me non serve.» Io, adesso, ho bisogno di non sapere.

Changeling è un film che parla del dolore di una madre per la scomparsa del figlio, è la storia dei soprusi che le vengono inflitti dalle autorità a fronte della sua disperata richiesta di aiuto e di giustizia, è il racconto di come il legittimo desiderio di essere madri possa scontrarsi con ombre e interessi che poco hanno a che fare con i sentimenti. Il film si chiude, in ogni caso, con parole di speranza. Per me, per noi, si apre l’esperienza Nepal, atterro a Tribhuvan Inter-national Airport senza sapere a cosa andrò incontro, all’uscita vedo solo il sorriso della guida pronta ad accoglierci, un ragazzo paziente e premuroso che ci accompagnerà per tutto il viaggio. Yam ci farà da Cicerone, da traduttore, da segretario, vicino e lontano, partecipe e discreto, sarà per noi di grande aiuto, sarà e diventerà un amico, la nostra

1. I WANT MY SON

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mascotte, 26 anni. Yam ci sembra giovane ma per certi versi credo sia ben più vecchio di noi, se è vero che le difficoltà fanno crescere più in fretta.L’impatto con Kathmandu non può lasciare indifferenti nemmeno i viag-giatori più allenati: un immaginario datato forse anni settanta si scontra con una realtà che si rivela sin dall’inizio abbastanza dura. Kathmandu come Samarcanda, Baghdad, Trebisonda o Timbouctù. Luoghi remoti che chissà come, attraverso la magia dei loro nomi e fa-vole e racconti, hanno colonizzato un angolo della mente, luoghi che molto velocemente impongono un’altrettanto rapida ridefinizione del concetto di esotismo, sfidando diritto negli occhi il nostro sguardo ancora vagamente romantico. Kathmandu, comprese Pattan, Latitpur e Baktha-pur, tre cittadine limitrofe conglobate attualmente in un’unica incessan-te periferia, è una metropoli di quasi due milioni di abitanti, frutto di un’urbanizzazione imposta dalla povertà, ingigantita dalla transumanza di migliaia di persone dai villaggi che nelle luci della città intravedono un barlume di futuro.Poi, però, nemmeno a Kathmandu la luce c’è, salvo alcune ore al giorno:la domenica e il lunedì, per esempio, da mezzanotte alle 4 del mattino e durante il giorno dalle 12 alle 16 e durante la settimana, il razionamento varia in base ai giorni, ad esempio per tutta la notte e di giorno tra le 16 e le 20, ora più ora meno.La nostra vita di primomondisti elettrici ruoterà intorno alle oreluce, se non altro per caricare batterie di registratori, macchine fotografiche e vi-deocamere senza parlare degli accessi a Internet e alla posta elettronica, ai quali dovremo spesso rinunciare, sentendoci ciechi e monchi e dolo-ranti per l’amputazione quotidiana del nostro arto, con tutti i fantasmi della nostra impossibilitata abituale connettività.Ciononostante Kathmandu sembra rappresantare la Mecca per centinaia di migliaia di Nepalesi. Il traffico, di automobili, motociclette, carretti, mucche, cani sovrasta una fiumana umana altrettanto brulicante che poi si infratta nel dedalo di vicoli tra case mezze diroccate o mai finite o si accuccia sulle sponde di fiumiciattoli dall’acqua marcita e colerica. Le diarree e rispettive complicanze dovute alla contaminazione dell’acqua sono la principale causa di mortalità infantile in Nepal. Per fortuna, come si suol dire, noi siamo adulti e vaccinati e, soprattutto, possiamo comprarci l’acqua minerale, anche per lavarci i denti. Io per stanchezza e automatismo me ne dimenticherò spesso, o meglio,

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Scegliere il paese da dove verrà nostro figlio

Il Nepal non fa differenza da altri paesi dove comincia il viaggio dei genito-ri adottivi, l’Est europeo ad esempio, il Sud America o il Vietnam o la Cambo-gia, ultimamente tra i paesi più gettonati, ma balzata tristemente agli onori della cronaca al tempo in cui il libro andava in stampa. Molti di noi hanno im-parato a conoscerli dalle canzoni, dal cinema, dai racconti di viaggiatori più il-lustri e ne hanno un’immagine datata o forse mediata appunto da emozioni prese in prestito. E si trovano spesso di colpo, senza grande preavviso, a misu-rarsi con realtà che non conoscevano e che credevano diverse, non sempre facili.Chi ha preso una volta nella vita quell’aereo che lo ha portato a incontrare quel-lo che sarebbe diventato il proprio figlio, sa cosa significa. Non tutti poi sono viaggiatori abituali. Io personalmente ho deciso di salire su quell’aereo con uno sforzo di volontà. Odio volare. E la prima volta l’ho fatto mettendo la fotogra-fia di mio figlio nella tasca del sedile davanti. L’ho guardata per tutto il viag-gio, per circa 13 ore, se si esclude lo stop all’aeroporto di Doha in Qatar, e mi sono convinto che era per lui che lo stavo facendo, che superavo le mie paure.L’ho preso, quell’aereo, con un libro di Terzani sotto il braccio e come molti, mi aspettavo un paese che avevo idealizzato, senza conoscerlo veramente. Certo, amo l’Oriente e la sua cultura, e sono partito con grande rispetto, con grandi attese verso quei posti, quella gente. Ma cosa ne capivo veramente? Molte fami-glie scelgono, se possono, un’area del mondo in base ad una passione, a qual-che affinità che cercano in qualche modo quando, conferito il mandato a un’as-sociazione, ci si deve orientare verso un paese. Molti ad esempio, scelgono l’Est europeo per i suoi bambini biondissimi. A Bergamo mi diceva un amico che ci esprimeva senza pudore le sue emozioni: «Nel posto in cui vivo un bambino di co-lore sarebbe stato poco tollerato.» Altri prediligono il Vietnam perché lì i bam-bini li danno piccolissimi, e vogliono vivere l’emozione di quella fase della vita insieme, o in altri casi perché, a quell’età non hanno ancora il ricordo di una storia passata, con cui saranno costretti inevitabilmente a misurarsi nel futuro.

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me ne ricorderò sempre troppo tardi, dopo aver già messo lo spazzolino sotto al rubinetto e poi in bocca, pregherò ogni volta che Dio, o qual-che divinità del pantheon induista o buddista, me la mandi buona. Le montagne, con tutto il loro contenuto di sacralità, vegliano, su di noi eppure il tetto del mondo non sembra offrire un rifugio sicuro, forse an-che per questo lo splendido anfiteatro dell’Himalaya non si palesa mai, probabilmente ci guarda dall’alto in basso nascosto dietro una coltre di nuvole e di smog. Anche noi ci scambiamo occhiate perplesse, senza dire nulla, però. Forse perché siamo senza parole o forse perché è il destreggiarsi del nostro autista nella traffic jam nepalese a toglierci il fiato. In Nepal l’assicurazione sulla responsabilità civile non è obbligatoria, ognuno di noi cerca di ricordare quale clausola scritta in corpo 5 in calce ai nostri contratti assicurativi (mai letti con la dovuta attenzione), possa garantirci un recupero o almeno ricovero in caso d’emergenza.Altrimenti potremmo finire in un ospedale di Kathmandu ad aspettare l’indennizzo diretto da parte di chi ci ha investito. All’ospedale di Kathmandu pare sia necessario arrivare con i propri ferri per le operazioni, con le proprie scorte di sangue per le trasfusioni, con i propri parenti e amici per un po’ di assistenza infermieristica. Ci facciamo sballottare in silenzio, un po’ stanchi e frastornati per il fa-ticoso viaggio. Avevamo ancora negli occhi la Aston Martin sfavillante parcheggiata nell’altrettanto luccicante aeroporto di Doha, Qatar, dove abbiamo fatto scalo, e ora siamo qui in un paese dove il basso numero di ottani fa arrancare le automobili quanto il basso tenore di vita: 2000 dollari all’anno pro capite, 20 volte meno dell’India, 200 volte meno dell’Italia. Ci metteremo un’ora a raggiungere il nostro albergo alle porte di Bakthapur, 7,2 chilometri circa da Kathmandu, una media che non riu-sciremo mai a superare. Lungo la strada lavori in corso, buche, baracche, negozi, negozietti, clacson e sorpassi azzardati, frontali sfiorati, incidenti sventati: il nostro futuro tran tran quotidiano è già tutto qui, ci rassicura il sorriso pacifico dell’autista che a noi sembra un autentico eroe della resistenza. Nonostante il traffico di Kathmandu sia tale da poter far dire di primo acchito: cosa c’è a Kathmandu? Traffico! Scopriremo che nes-suno si scompone, nessuno si insulta, nonostante un inferno che farebbe perdere la pazienza a un santo, scopriremo, che oltre alla guida a sini-stra, i nepalesi mantengono nei confronti delle infrazioni e scorrettezze

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L’arrivo all’aereoporto internazionale KTM. Se non c’è nebbia, una vista che toglie il fiato.

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Per i bambini una difficile situazione sanitaria

La situazione sanitaria, sia per le condizioni igieniche che per l’assenza di struttu-re locali in grado di prestare soccorso, è estremamente precaria in tutto il Paese.Nella valle di Kathmandu l’inquinamento dell’aria e dell’acqua è un proble-ma serio, dovuto in parte alla crescita incontrollata della popolazione nella valle e in parte alla conformazione della valle stessa, chiusa e simile a un cati-no; l’inversione termica invernale, inoltre, trattiene gli agenti inquinanti. Nel-la stagione secca il sacro fiume Bagnati è poco più di un putrido ruscello nero punteggiato di liquami galleggianti (fonte: Lonely Planet Edt. 6°ediz. ITA). I bambini sono i più colpiti da questa situazione. Sono recenti le drammatiche notizie di una crisi di diarrea mortale a causa della contaminazione dell’acqua.

Nepal: diarrea, colpiti i bambini(Fonte: AsiaNews.it - Agosto 2009)L’epidemia si è diffusa a maggio, la causa acqua contaminata.Sono 750.000 le persone colpite da un’epidemia di diarrea in Nepal, il 40% delle quali bambini. Afferma Save the children. Oltre 300 persone sono già morte - scrive l’organizzazione umanitaria in un comunicato - da quan-do l’epidemia si è diffusa a maggio. La causa presunta è l’acqua contamina-ta. Save the Children si dice preoccupata da come il governo sta affrontan-do l’emergenza: le autorità si occupano solo di curare le persone già infette. Annullata festa indù: epidemia di dissenteria uccide centinaia di persone di Kalpit Parajuli(Fonte: AsiaNews.it - Agosto 2009) I morti sarebbero oltre 240 per lo Stato, almeno 500 per altre fonti. Nelle zone infette mancano persino cibi sicuri. È annullata la tradizionale festa del Ra-kshya Bandhan (“Sacro Filo”), che caccia il male e assicura la longevità. I nepalesi indù delle regioni occidentali non hanno potuto celebrare l’annuale grande festa del Rakshya Bandhan (“Sacro Filo”), per un’epidemia di dissente-ria che ha già causato centinaia di morti. Il governo parla di oltre 240 morti, ma i gruppi di volontari dicono che sono almeno 500 e che l’epidemia non si ferma.Il dottor Bal Krishna Subedi, direttore del Dipartimento di Sanità, spie-ga che i distretti di Jajarkot e di Rukum sono i più colpiti. Ora il gover-no ha stabilito 89 campi sanitari nelle zone contagiate con 298 medici.La dottoressa Suddha Sharma spiega che “il governo ha contenuto l’epidemia in altri distretti” e che non ci sono finora decessi in chi è seguito dai campi sanitari.Hari Khatri del distretto di Jajarkot (nell’ovest del Paese) spie-ga ad AsiaNews che ci sono troppe vittime per poter celebrare la festa.Saina Magar, 66 anni, ha perso 3 figli in questa epidemia e dice che han-no un grande bisogno di aiuti medici e persino alimentari, per soprav-

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vivere. Infatti l’epidemia è stata causata e potenziata dalla scarsi-tà di cibo, che ha portato molti a mangiare alimenti infetti e non igienici.Il rituale del Rakshya Bandhan prevede che un prete metta il filo sa-cro intorno al polso destro degli uomini e delle donne nubili e a quel-la sinistra delle donne sposate. Così avvinti, i fedeli recitano poi insie-me le preghiere per implorare l’aiuto divino a tenere lontano il male. È diffusa la convinzione che questo rituale aiuti ad avere una vita longeva.

Tasso di mortalità infantileTotale: 47.46 morti/1,000 nati viviMaschi: 47.4 morti/1,000 nati viviFemmine: 47.52 morti/1,000 nati vivi (2009)

Aspettativa di vita alla nascitaPopolazione totale: 65.46 anniMaschi: 64.3 anniFemmine: 66.67 anni (2009)

HIV/AIDS persone che vivono con HIV/AIDS: 70,000 (2007)

HIV/AIDS morti: 5,000 (2007)

Malattie infettive principaliGrado di rischio: alto

Malattie trasmesse mediante cibo o acqua: diarrea batterica, epatite A e febbre tifoidea

Malattie trasmesse mediante agenti: encefalite giapponese, malaria e febbre dengue (2009)

Medici per 100.000 persone: 5 (in Italia 606)(Fonte: Lonely Planet Edt. 6°ediz. ITA)

(Fonte: https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/geos/p.html)

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automobilistiche, motociclistiche e carrettistiche, pedonali e animali un atteggiamento assolutamente british. Per arrivare a Bhaktapur bisogna attraversare due ponti su due piccoli affluenti del Bagmati, il fiume sacro della città. Lungo i due piccoli affluenti scorrono sacchetti di plastica, bottiglie, ogni genere di rifiuto urbano compreso qualche non ben iden-tificato animale morto, gonfio e putrido. Sulle rive cani e bambini si go-dono lo spettacolo. Poco dopo il secondo ponte, poco prima della svolta che porta in direzione dell’albergo, sulla sinistra una bizzarra costruzio-ne colpisce la nostra attenzione riportandoci allo scopo del viaggio: una specie di portale con le facce di Minnie e Topolino, l’entrata di un par-co giochi, un prato spelacchiato con uno scivolo sgangherato e qualche bambino intento a fare il suo mestiere di bambino: giocare.Già, i bambini. Siamo qui per renderci conto di persona di come stanno i bambini in Nepal, di come stanno i bambini nelle scuole, negli orfanotro-fi, o nelle children home, come più eufemisticamente vengono chiamati i centri di accoglienza per bambini di strada. Siamo qui per parlare con le persone e le organizzazioni che si occupano di bambini, siamo qui per renderci conto di che cosa voglia dire essere bambini in Nepal. È molto difficile uscire dalla retorica molto umana ma tutta occidentale che vede in ogni bambino povero di un paese povero un cucciolo da sal-vare da una probabile esistenza di stenti. È molto difficile resistere alla tentazione di immaginare quanto ogni bambino malconcio potrebbe esse-re felice, ben nutrito, ben educato e ben vestito a casa nostra. Sarà molto difficile a volte soffocare la commozione di fronte agli occhi sgranati e sorridenti dei bambini che incontreremo e ancora più al cospetto di quelli il cui sguardo già lascia trapelare un’ombra, una malinconica serietà trop-po seria rispetto all’età. E poi la commozione lascerà il posto alla rabbia per quell’enorme ingiustizia che si palesa in tutta la sua potenza ogni qualvolta viene calpestato il diritto all’infanzia. Ci domanderemo: cosa si può fare? Cosa si può fare affinché i bambini possano mangiare, giocare, andare a scuola, essere curati, in una parola, crescere?

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Il primo impatto con Kathmandù è con il traffico.

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Notte all’ospedale dei bambini. Provare per credere

In un ospedale di Kathmandu, noi ci siamo stati.Una notte, per accompagnare degli amici e assisterli, trepidanti come loro, per una brutta avventura, per fortuna con il lieto fine.Eravamo al secondo viaggio. Dopo alcuni giorni quando dopo mesi di attesa ci era-vamo ricongiunti con il bimbo che avevamo conosciuto mesi prima e che adesso era a tutti i diritti nostro figlio (il Nepal richiede per legge due viaggi a distanza di circa 5 mesi - salvo complicazioni, in cui eventuali scampoli di famiglia biologica hanno il diritto di esercitare il rischio giuridico, cioè riprendersi il bambino dall’istituto). In albergo 5 stelle, per noi un modo tranquillizzante per non perdere il confortevole stile di vita, per loro, un drastico se pur temporaneo cambio di abitudini, che doveva apparire in qualche modo assurdo e, a ripensarci adesso, assai poco educativo.Non sappiamo se per il cambio della dieta a cui erano abituati (riso e broccoli in prevalenza), se per il forte stress subito, se per una particolare sensibilità, un bimbo di sette anni, cominciò verso sera ad accusare forti dolori all’addome.La rete di famiglie italiane si strinse intorno alla neomamma, che oltretutto stentava ancora a comunicare con suo figlio dopo i pochi giorni di vita insieme. Certo, si dirà, che a genitori e figli basta poco per capirsi. Un gesto affettuoso, un bacio, un gioco. E nella pratica è il linguaggio del corpo e del bisogno reciproco di amore a compensare le iniziali difficoltà. Ma in un frangente del genere la situazione si complica e amplifica le angosce.La fortuna o forse la benedizione della dea vivente di Kathmandu, che avevamo visitato il giorno prima, fece in modo che la nostra guida fosse ancora in giro. Dopo che i tentativi del medico con buon senso e alcuni farmaci tradizionali non diedero i risultati sperati, ci fu consigliato di portare il bambino all’ospedale spe-cializzato per fugare ogni dubbio di un blocco dell’intestino.Inoltrarsi in taxi nel buio della notte di Kathmandu, superando i posti di blocco, con scenari di possibili operazioni incombenti su un bimbo che è diventato nostro figlio da qualche giorno, non è facile da accettare. In particolare quando si è in balìa di se stessi. Perché non c’è assistenza organizzata prevista né dall’Italia, né tantomeno dall’istituto. Certo c’è la rete che si crea tra le famiglie e la gente di Kathmandu è gentile e disponibile. Ma l’angoscia rimane.Dopo un viaggio nella notte, persino quell’ospedale è tranquillizzante. Non è una clinica svizzera, ma di sicuro le persone sono più umane e si prendono cura, come possono, con i mezzi limitati di cui dispongono e con tutta la dedizione e lo scrupolo dei piccoli malati. Nell’ospedale c’è uno store, dove dopo una prima visita di pronto soccorso da parte del medico disponibile, si acquistano i medicinali e quanto neces-sita. L’esperienza, se riesci a salvare un po’ di lucidità, perché magari accompagni solamente, è illuminante. Vedi le donne di Kathmandu che accompagnano i loro bambini piccoli in preda a febbre a 40, a coliche e a complicazioni polmonari. E tut-ti ti sembrano in fin di vita. E ti prende lo sconforto. Una pena infinita. Un desiderio

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di aiutare. E ti senti inutile. Pensi alla realtà a cui sei abituato e capisci tutto d’un colpo cosa vuol dire primo e terzo mondo. E ti viene vergogna. Intanto la coppia di amici si sottopone alle cure del personale paramedico. Con un bambino che si sente sempre più male. Che dice mamma aiutami in una lingua universale inequivocabile. Mentre la mamma e il papà non possono fare altro che cullarlo, stringersi a se stessi e attendere, uguali a tutte le altre famiglie del mondo, che qualcuno li aiuti e spieghi loro cosa succede e ne allievi almeno la sofferenza, la pena. La pena, si mischia a un po’ di burlesque, se non fosse per la situazione, quando viene fatta la radiografia. La stanza è in legno, che dovrebbe proteggere chi è all’esterno. Ma noi rimaniamo dentro. Il tecnico indossa una specie di pantofola d’ordinanza, con sciarpa per ri-pararsi dal freddo della notte. I corridoi dell’ospedale non hanno sempre le finestre e non sono riscaldati ovviamente. La lastra viene osservata attentamente in traspa-renza contro una lampadina-lampadario che pende dal soffitto. Non è venuta bene e va rifatta. Al secondo tentativo anche il medico, amabile e scrupoloso, non è sicuro di cosa si tratti al 100 per 100. I mezzi sono quelli che sono. Si decide per un ricovero in una delle stanze migliori e di attendere gli sviluppi. Una tre per due, letto per il degente, sedie per i parenti, oltre a qualche coperta, con tivù che non manca mai e scaldino elettrico. Peccato che la luce vada via ad intervalli regolari da sembrare programmati. Aumentando il senso di panico della famiglia italiana. Il bambino piange e continua a lamentarsi, non si capisce bene se dovrà essere operato e per il momento gli viene somministrato via endovena un robusto buscopan. Si attendono consulti con altri medici che arriveranno al mattino. Il me-dico e il personale però non lasceranno mai da solo il bambino, nè i neo genitori affranti da soli ad affrontare le loro paure.Più tardi nella notte fredda, un miracolo. Il bambino si libererà di quella che pro-babilmente era solo una grave congestione, liberando di colpo anche noi da quella sensazione di angoscia e di impotenza che ci aveva oppresso fino a quel momento.Insieme agli altri amici, si decide di ritornare in albergo, risalendo sui taxi che ci avevano aspettato tutta la notte fuori dall’ospedale. Il taxi si perde nelle stradine tortuose e buie della capitale per evitare i posti di blocco alternativamente della polizia e dei maoisti, nelle arterie principali e io mi sento un po’ James Bond e un po’ un medico senza frontiere. Il mio amico Paolo più realisticamente mi sussura: «… Se questo si ferma e ci molla qui, siamo fritti. Non si torna più a casa. Se ci chiedesse anche 1.000,00 euro di riscatto….»

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La rush hour nepalese.

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Il singolare trasporto pubblico di Kathmandu.

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“Di mano in mano”Questo libro è la storia di un viaggio, un’avventura umana che vi consentirà di tuffarvi in un oceano di speranze, lunghe attese, lacrime e sorrisi. Il mondo dell’adozione internazionale si presenta infatti così, caratterizzato da sogni realizzati, certezze ve-nute meno senza un perché, e continue lotte contro ingiustizie all’ordine del giorno. L’Associazione Famiglie Adottive Online, nata con l’intento di promuovere una cultura dell’adozione, ispirata ai criteri della trasparenza e dei servizi alle famiglie, ha voluto puntare i riflettori su una realtà dai contorni indefiniti, illuminando il Nepal, in tutte le sue sfaccettature. Il Nepal, infatti, è un paese che l’associazione conosce molto bene, per esperienze dirette di alcuni dei suoi associati. Parlarne può essere uno spunto per conoscere quanto grandi siano il cuore e l’anima di un popolo dalle mille virtù e affascinante il paese, ma anche per sottolineare con forza tutto quello che non va nel mondo dell’adozione internazionale. La volontà di Famiglie Adottive Online è sta-ta proprio quella di annullare le distanze, per conoscere e comprendere un pò di più, permettendo alle famiglie coinvolte ed a quanti intenderanno unirsi alla nostra Associazione, di non restare indifferenti di fronte alle difficoltà che giorno dopo giorno, questi bambini, e le famiglie che li adottano, sono costretti ad affrontare.

Questo libro è il primo di una serie di viaggi nei paesi dell’adozione internazionale. Fa parte della collana

Edizioni Famiglie Adottive Online, sede sociale Via Paoli 2, 20144 Milanowww.famiglieadottiveonline.org