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Distanze in cosmologia Emilio Novati 4 aprile 2014 R1 . Quando la luce di una lampada a incandescenza (una normale lampadina a filamento) viene scomposta da un prisma per ottenerne lo spettro, risulta costituita da una successio- ne continua di colori, dal rosso, corrispondente alla lunghezza d’onda maggiore, al violetto, corrispondente alla lunghezza d’onda minore. Diversa è la situazione quando si esamina lo spettro della luce emessa dagli atomi di un particolare elemento chimico, eccitati ad emettere da un qualche meccanismo fisico; in tal caso, lo spettro risulta composto da una serie di sottili righe, ciascuna centrata attorno a una ben definita lunghezza d’onda. La disposizione di queste righe è caratteristica di ogni specie atomica, e costituisce una sorta di impronta digitale, dalla quale si può risalire all’elemento che ha emesso quella luce. Il più importante risultato osservativo dal punto di vista cosmologico è la constatazione che, nella luce proveniente dalle galassie lontane, queste righe spettrali appaiono a lunghezze d’onda diverse da quelle ben note, misurate negli esperimenti condotti nei nostri laboratori: tutte sono spostate sistematicamente (benché in misura diversa da un caso all’altro) ver- so lunghezze d’onda maggiori, cioè verso l’estremità rossa dello spettro, da cui il termine inglese redshift. Per esempio, può succedere che in una galassia la riga H-alfa dell’idro- geno, che normalmente ha lunghezza d’onda di 6563 Å, compaia a 6800 Å o anche più. Quantitativamente, il redshift (che si indica con la lettera z ) è definito come il rapporto tra l’allungamento della lunghezza d’onda (cioè la differenza tra la lunghezza d’onda osservata λ 0 e quella emessa dalla sorgente) e la lunghezza d’onda all’emissione (λ M ), cioè: 1+ z = λ 0 - λ E λ E = λ 0 λ E - 1 (1) Intuitivamente, il valore di z misura lo spostamento relativo della riga spettrale osserva- ta: per fare un esempio, un valore z =0, 1 corrisponde a un allungamento della lunghezza d’onda del 10%, e così via. Nell’esempio fatto sopra,z = (6800 - 6563)/6563 = 0, 036. L’interpretazione più immediata che si può dare di questo spostamento è quella dell’effetto Doppler, causato da un moto relativo tra la sorgente e l’osservatore. Quando la sorgente di un qualunque fenomeno ondulatorio si sta allontanando dall’osservatore, questi osserva una lunghezza d’onda maggiore rispetto a quella emessa (redshift), mentre il contrario succede 1

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Distanze in cosmologia

Emilio Novati

4 aprile 2014

R1.Quando la luce di una lampada a incandescenza (una normale lampadina a filamento)

viene scomposta da un prisma per ottenerne lo spettro, risulta costituita da una successio-ne continua di colori, dal rosso, corrispondente alla lunghezza d’onda maggiore, al violetto,corrispondente alla lunghezza d’onda minore. Diversa è la situazione quando si esaminalo spettro della luce emessa dagli atomi di un particolare elemento chimico, eccitati ademettere da un qualche meccanismo fisico; in tal caso, lo spettro risulta composto da unaserie di sottili righe, ciascuna centrata attorno a una ben definita lunghezza d’onda. Ladisposizione di queste righe è caratteristica di ogni specie atomica, e costituisce una sortadi impronta digitale, dalla quale si può risalire all’elemento che ha emesso quella luce. Ilpiù importante risultato osservativo dal punto di vista cosmologico è la constatazione che,nella luce proveniente dalle galassie lontane, queste righe spettrali appaiono a lunghezzed’onda diverse da quelle ben note, misurate negli esperimenti condotti nei nostri laboratori:tutte sono spostate sistematicamente (benché in misura diversa da un caso all’altro) ver-so lunghezze d’onda maggiori, cioè verso l’estremità rossa dello spettro, da cui il termineinglese redshift. Per esempio, può succedere che in una galassia la riga H-alfa dell’idro-geno, che normalmente ha lunghezza d’onda di 6563 Å, compaia a 6800 Å o anche più.Quantitativamente, il redshift (che si indica con la lettera z) è definito come il rapporto tral’allungamento della lunghezza d’onda (cioè la differenza tra la lunghezza d’onda osservataλ0 e quella emessa dalla sorgente) e la lunghezza d’onda all’emissione (λM ), cioè:

1 + z =λ0 − λEλE

=λ0

λE− 1 (1)

Intuitivamente, il valore di z misura lo spostamento relativo della riga spettrale osserva-ta: per fare un esempio, un valore z = 0, 1 corrisponde a un allungamento della lunghezzad’onda del 10%, e così via. Nell’esempio fatto sopra,z = (6800 − 6563)/6563 = 0, 036.L’interpretazione più immediata che si può dare di questo spostamento è quella dell’effettoDoppler, causato da un moto relativo tra la sorgente e l’osservatore. Quando la sorgente diun qualunque fenomeno ondulatorio si sta allontanando dall’osservatore, questi osserva unalunghezza d’onda maggiore rispetto a quella emessa (redshift), mentre il contrario succede

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quando la sorgente si sta avvicinando all’osservatore (blushift). Nel caso di onde luminose,se la velocità (v) della sorgente è molto piccola rispetto alla velocità della luce (c), allora sipuò facilmente dimostrare che il valore del redshift osservato è pari a:

z = v/c (2)

cioè al rapporto tra le due velocità. Ma quando la velocità della sorgente diventaconfrontabile con quella della luce, è necessario ricorrere a una formula un po’ più complessa,che si ricava nell’ambito della teoria della relatività ristretta:

1 + z =

√1 + v

c

1− vc

(3)

Si noti che mentre l’espressione (2) darebbe una velocità v maggiore di quella della luceper valori di z maggiori di 1, la (3) porta sempre a velocità della sorgente minori di c perqualunque valore di z. Basta un semplice calcolo per ricavare:

v =c(z2 + 2z)

z2 + 2z + 2(4)

da cui si vede che, anche per z molto grandi, v tende ad avvicinarsi alla velocità dellaluce, ma senza mai né uguagliarla né superarla. Nell’effetto Doppler, la causa dello sposta-mento della lunghezza d’onda è puramente cinematica, dovuta cioè al moto relativo dellasorgente e dell’osservatore; ma i fisici conoscono anche un redshift gravitazionale, cioè unospostamento verso il rosso della lunghezza d’onda che si registra quando la luce sfugge da unintenso campo gravitazionale. Questo effetto è previsto dalla Relatività Generale ed è statoeffettivamente osservato nella luce che proviene da astri collassati, come le nane bianche ele stelle di neutroni, dove il campo gravitazionale superficiale è particolarmente intenso..

Nei prossimi appuntamenti parleremo della legge di Hubble, che i lettori certo conosco-no già, e che viene spesso formulata dicendo che la velocità di recessione delle galassie èproporzionale alla loro distanza. Vedremo allora che quella velocità di recessione non è lastessa che possiamo ricavare dalle formule dell’effetto Doppler su riportate, e che coincidecon essa solo per valori di redshift molto piccoli. Lasciamo per ora aperto questo proble-ma, limitandoci a citare una frase di Steven Weinberg: La lunghezza d’onda della luce èinfluenzata anche dal campo gravitazionale dell’Universo e non è utile e nemmeno stretta-mente corretto interpretare il redshift della luce proveniente da sorgenti molto lontane soloin termini di effetto Doppler nella Relatività Ristretta..

R2.

Poco dopo aver pubblicato la teoria della relatività generale (RG), nel 1917, Einsteinla utilizzò per costruire un modello di universo, e per riuscire a maneggiarne le equazio-ni, altrimenti troppo complesse, fece l’ipotesi semplificativa che l’Universo fosse isotropo

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e omogeneo. Da allora questa ipotesi è nota come Principio Cosmologico ed è alla basedel Modello Cosmologico Standard, le cui linee essenziali furono tracciate negli anni dal1918 al 1923 da W. De Sitter e A.A. Friedman. Naturalmente l’Universo non è perfetta-mente omogeneo, visto che siamo circondati da stelle e galassie separate da spazi vuoti,ma quel che conta dal punto di vista cosmologico sono le sue proprietà su grande scala, ele osservazioni astronomiche confermano effettivamente l’uniformità della distribuzione nelcielo degli ammassi di galassie, almeno se osserviamo regioni che si estendono per qualchedecina di gradi. La presenza di regioni dove gli ammassi si addensano e di vuoti che le se-parano, è certo una caratteristica importante per comprendere la formazione delle galassie,ma almeno fin quando dobbiamo descrivere le proprietà complessive dell’Universo potràessere trascurata. L’isotropia sembra dunque confermata dalle osservazioni, e l’omogeneitàdiscende da tale isotropia se ipotizziamo che questa non sia dovuta alla nostra particola-re posizione nell’Universo, ma sia rilevata da ogni osservatore simile a noi, su qualunquegalassia si trovi. Quest’ultima richiesta è un’estensione del Principio Copernicano, ormairadicato nella mentalità scientifica, tanto che, una volta tolta la Terra dal centro dell’U-niverso, nessuno sembra disposto a metterci il Sole o la nostra Galassia. Per quanto leequazioni della RG risultino semplificate dall’adozione del Principio Cosmologico, la lorosoluzione resta comunque non elementare, e quindi non potremo trattarla in questa sede.Per utilizzare i risultati che ci interessano faremo ricorsa a un’analogia ormai ampiamen-te usata, quella del palloncino che si gonfia. Nel modello standard infatti l’Universo è inespansione (o eventualmente in contrazione), e si tratta di una espansione dello spazio stes-so, non di un movimento delle galassie attraverso lo spazio. Nell’analogia del palloncino,lo spazio è rappresentato dalla superficie, che si dilata mentre il palloncino stesso si gonfia.La forma sferica di questa superficie è indicativa del fatto che anche lo spazio, nel ModelloStandard, può essere curvo, può essere cioè uno spazio in cui non vale la normale geometriaeuclidea. Per poter trarre qualche indicazione quantitativa da questa semplice analogiaabbiamo bisogno di un sistema di coordinate sulla superficie del palloncino (analogo di unsistema di coordinate nello spazio), e possiamo pensare a una rete di meridiani e parallelitracciati sulla superficie sferica.

I vertici di questo reticolo di coordinate sono individuati da due numeri (latitudine elongitudine) il cui valore dipende dalla posizione scelta per l’origine del sistema di coordina-te e dal suo orientamento (nello spazio i numeri saranno evidentemente tre). Immaginiamoora che le galassie siano ancorate ai vertici di questo reticolo; mentre il palloncino si gonfia(lo spazio si espande) anche il reticolo di coordinate si dilata, e le galassie, pur continuandoa restare ancorate allo stesso vertice del reticolo, si allontanano l’una dall’altra. Nel lin-guaggio dei cosmologi il sistema di coordinate così definito si chiama coordinate comoventi,ed è il più naturale per descrivere la posizione delle galassie in uno spazio in espansione.La progressiva dilatazione dello spazio, e quindi del sistema di coordinate che vi abbiamotracciato, può essere descritta quantitativamente da un fattore di scala, vale a dire da unagrandezza variabile nel tempo, che rappresenta il rapporto delle distanze tra due verticidel reticolo in due istanti diversi. Nel caso del palloncino (analogo al caso di uno spazio

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AB

A

BA

B

Figura 1: Espansione dell’Universo

con curvatura positiva) questo fattore di scala è semplicemente il raggio del palloncino(raggio dell’universo) ma è meglio pensare più in generale a un fattore di scala che misurala dilatazione, visto che l’Universo potrebbe anche essere piatto o a curvatura negativa.Abbiamo detto che questo fattore di scala dipende dal tempo, e qui interviene l’altra gran-dezza di cui abbiamo bisogni per poter effettuare delle misure. Esiste un tempo che scorreallo stesso modo per tutti gli osservatori, in qualunque punto del reticolo di coordinatespaziali comoventi si trovino? Ancora una volta l’analogia del palloncino ci viene in aiuto.Il tempo comune a tutti gli osservatori, che chiameremo tempo cosmico, è evidentementequello che segna il gonfiarsi del palloncino stesso (la dilatazione dell’Universo). Abbiamoquindi un sistema di coordinate spaziali comoventi e un tempo cosmico che ci permettonodi descrivere quantitativamente il moto di espansione dell’Universo e l’allontanamento dellegalassie. Indicheremo il fattore di scala al tempo t con la notazione a(t), e il suo valoreattuale con a0; il rapporto a0/a(t) indicherà quindi la variazione delle distanze tra oggetticomoventi misurate ora e all’istante t. Se due galassie si trovano attualmente alla distanzaD0, all’istante t (di tempo cosmico) si trovavano alla distanza D(t), data da:

D(t) = D0a(t)

a0(5)

Dall’analogia del palloncino possiamo anche ricavare facilmente una spiegazione cosmo-logica del red shift. Immaginiamo che da un vertice del reticolo (una galassia) venga emessaal tempo t un’onda, che possiamo rappresentare come una serie di circonferenze concen-triche sulla superficie del palloncino, in cui la distanza tra due circonferenza successiverappresenta la lunghezza d’onda. Man mano che quest’onda si propaga nello spazio lospazio stesso si dilata e quindi la distanza tra i le circonferenze che abbiamo tracciato (lalunghezza d’onda) aumenta. Quando l’onda arriverà nel punto in cui siamo noi (la nostraGalassia), la lunghezza d’onda sarà aumentata di un fattore esattamente uguale al rapporto

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tra il fattore di scala al momento dell’emissione e il suo valore attuale. Possiamo esprimerequesto fatto con la semplice formula:

λ(t)/λ0 = a(t)/a0

doveλ(t) è la lunghezza d’onda al momento dell’emissione, e λ0 è la lunghezza d’ondaattualmente misurata. Ricordando la definizione di red shif z = λ0

λE− 1 , otteniamo:

1 + z =a0

a(t)(6)

In questa interpretazione il red shift è quindi spiegato dalla dilatazione dello spazio incui l’onda si sta propagando, una dilatazione che, come vedremo, è regolata dal contenutocomplessivo di materia e energia dell’Universo (ed eventualmente dal valore della costan-te cosmologica). Il valore di 1+ z ci dà quindi una informazione cosmologica di grandeimportanza, poiché esprime il rapporto tra il fattore di scala dell’universo al momento del-l’emissione della luce e quello attuale. Ciò significa, ad esempio, che osserviamo un red shiftz = 1 nella luce che proviene da una lontana galassia, il nostro modello ci dice che quellaluce è stata emessa quando le dimensioni dell’universo erano la metà di quelle attuali. Mala nostra analogia ha ancora qualcosa da darci. Ogni vertice del reticolo di coordinate (ognigalassia) vede gli altri allontanarsi a una velocità che è tanto maggiore quanto maggiore èla loro distanza, e l’unica legge di allontanamento compatibile con un’espansione isotropae omogenea del palloncino (l’Universo) è:

V = HD

Dove V è la velocità radiale di allontanamento, misurata rispetto al tempo cosmico t e Dè la distanza tra i due vertici (le due galassie) nello stesso tempo t. Sappiamo che la distanzaD è proporzionale al fattore di scala, mentre la velocità V è ovviamente proporzionaleal tasso di variazione dello stesso fattore, quindi se consideriamo un piccolo intervallo ditempo ∆t, e indichiamo con ∆a la variazione del fattore di scala in tale intervallo, possiamoscrivere:

∆a

∆t= Ha

Questa semplice legge descrive l’espansione del palloncino (dell’Universo), e molti let-tori noteranno la sua somiglianza con la legge di Hubble, che naturalmente non è casuale,e infatti viene spesso indicata anche questa con lo stesso nome. Ma per evitare confusioniconcettuali è bene sottolineare subito alcune importanti differenze: innanzitutto questa leg-ge è ricavata dalla teoria della RG e dal Principio Cosmologico, ed è quindi una previsioneteorica del nostro modello, mentre la legge trovata da Hubble è una legge sperimentale; insecondo luogo in questa legge la velocità e la distanza sono espresse relativamente al siste-ma di coordinate spazio temporale che abbiamo introdotto (coordinate spaziali comoventi

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e tempo cosmico) che non è un sistema lorentziano, del tipo cioè utilizzato nella teoriadella relatività ristretta. La velocità che compare qui quindi non è la stessa che si puòricavare dall’applicazione delle leggi relativistiche dell’effetto Doppler , come dicevamo giànella puntata precedente. In linea di principio la velocità che compare in questa formulapuò essere anche superiore alla velocità della luce e inoltre il fattore H che vi compare èuna costante solo nel senso che ha lo stesso valore per tutti i punti del reticolo di coordinatespaziali comoventi (in tutto l’Universo) in un dato istante di tempo cosmico t, ma il suovalore cambia con t, a causa dell’espansione dell’Universo..

R3.

Le prime misure sistematiche del red shift delle nebulose spirali, furono intraprese at-torno al 1910 da V.M. Slipher, che utilizzava per le sue ricerche il rifrattore da 24 pollicidel Lowell Observatory. In quegli anni la natura di queste nebulose spirali era ancora mi-steriosa, e la maggior parte degli astronomi pensavano comunque che si trattasse di oggettiappartenenti alla nostra Galassia. Quando Slipher, nel 1914, presentò i risultati delle suericerche al meeting della American Astronomical Society, poteva disporre d misure relativea 15 nebulose spirali, e le velocità ricavate dallo spostamento misurato nelle righe spettrali,indicavano che questi oggetti si muovevano con velocità da 10 a 100 volte superiori a quelledelle stelle che formano la nostra galassia. I risultati di Slipher erano la prima prova asostegno dell’ipotesi che le nebulose spirali fossero oggetti esterni alla Galassia, ma furononecessari ancora dieci anni per convincere tutta la comunità scientifica. Dieci anni di di-battito, a volte anche aspro, concluso dalla scoperta delle variabili cefeidei nella galassia diAndromeda da parte di H. Hubble, e quindi dalla determinazione della sua distanza, chefinì per convincere tutti sulla natura extragalattica delle nebulose spirali. In quei dieci annigli strumenti a disposizione degli astronomi avevano fatto grandi passi avanti e altri spettridi spirali si erano aggiunti ai 15 di Slipher, quasi tutti con notevoli spostamenti delle righe.Dapprima si pensò che tale spostamento fosse dovuto all’effetto Doppler causato dal motodella nostra Galassia, e quindi che si sarebbero rilevati, più o meno, uno stesso numero dispostamenti verso il rosso e di spostamenti verso il blu, ma ben presto ci si rese conto che,man mano che il campione cresceva, vi era un netto eccesso di spostamenti verso il rosso(red shift). Nel frattempo Einstein, De Sitter e Friedman avevano sviluppato le basi delmodello cosmologico di Universo in espansione, e nel 1924 l’astronomo tedesco Carl Wirtzdenunciò il legame tra questa previsione teorica e la preponderanza dei red shift negli spettridelle galassie, pubblicando un articolo intitolato La cosmologia di De Sitter e il moto dellenebulose spirali. H. Hubble conosceva bene i risultati di Wirtz e grazie alla disponibilitàdel telescopio da 2,5 m da poco installato a Monte Wilson, cercò di verificare in che modoil red shift fosse legato alla distanza delle galassie. Il compito più difficile era misurarequeste distanze, perché le stelle cefeidi, anche con il maggior telescopio dell’epoca, eranoindividuabili solo nelle galassie più vicine. Per stimare la distanza di quelle più lontane

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Hubble adottò un metodo poi diventato usuale: individuò nelle galassie più vicine le stellepiù luminose ( fino a 100 volte più brillanti delle cefeidi) e quindi cercò questo stesso tipodi stelle nelle galassie più distanti, utilizzando la loro luminosità apparente per stimarne ladistanza. Finalmente nel 1929 Hubble poté pubblicare i risultati delle sue ricerche. Utiliz-zando un campione di 24 galassie che presentavano velocità fino a circa 1000km/s, e la cuidistanza, secondo le sue stime, arrivava fino a circa 6 milioni di anni luce, Hubble mostròche la velocità di recessione era direttamente proporzionale alla distanza. Trattandosi divelocità piccole rispetto a quella della luce, sappiamo che la relazione con il red shift mi-surato può essere espressa semplicemente dalla relazione v = zc, e quindi la legge propostada Hubble può essere scritta nella forma:

v = zc = H0d

Dove H0 è una costante sperimentale, che in onore dello scopritore è chiamata costante diHubble. Per quanto i risultati di Hubble riguardassero solo galassie relativamente vicine,la sua scoperta fu una prova decisiva a favore del modello di Universo in espansione, e lapossibilità di misurare il valore di H0 permise per la prima volta di sottoporre a verifica leprevisioni della teoria. Dalla relazione di Hubble si vede che H0 ha le dimensioni di unavelocità divisa per una distanza e solitamente il suo valore viene espresso in km

sMpc , perché levelocità di recessione delle galassie sono misurate in chilometri al secondo e la loro distanzain Megaparsec. Ma le dimensioni fisiche della costante di Hubble sono quelle dell’inversodi un tempo e quindi l’inverso di H0 è un tempo, che rappresenta un limite massimo perl’età dell’Universo e che chiameremo tempo di Hubble: TH = 1

H0. La scoperta di Hubble

permetteva di confrontare questo tempo con l’età dei corpi presenti nell’Universo (la Terra,il Sole e le stelle) per verificarne la compatibilità. E’ importante notare che quella trovatada Hubble è una legge sperimentale, valida per galassie che presentano un red shift moltominore di 1, e quindi hanno una velocità di recessione molto minore di quella della luce.Un’altra osservazione importante è che in questa relazione compare una sola grandezza che,almeno in linea di principio, è misurabile direttamente: il red shift z. Anche se può esseredifficile ottenere buoni spettri delle galassie più deboli e lontane, basterebbe disporre ditelescopi sempre più potenti per riuscirci, ed effettuare quindi la misura del red shift chesi riduce al confronto della posizione di una riga nello spettro ottenuto con uno spettrodi riferimento. Ben più complessa è la situazione per quanto riguarda l’altra grandezzache compare nella relazione di Hubble: la distanza d. La misura delle distanze, comeaccennavamo, fu il problema più difficile per Hubble, e continua ad essere il problemacentrale della ricerca cosmologica. E’ un problema che presenta due aspetti distinti, uno dicarattere osservativo e l’altro di tipo teorico. Dal punto di vista osservativo la distanza dioggetti lontani non può essere determinata in modo diretto e il metodo solitamente usatoè quello di confrontare la luminosità apparente di un astro con la sua luminosità assoluta,cioè quella che avrebbe se si trovasse alla distanza convenzionale di 10 parsec. L’ipotesi sicui si basa questo metodo è che la luminosità diminuisce con il quadrato della distanza percui se una stella alla distanza di 10 pc ci appare di luminosità L, a distanza d (in parsec)

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ci apparirà di luminosità :

l = Ld2

100

Per usare questo metodo bisogna ovviamente conoscere la luminosità assoluta L dellestelle da usare come indicatori di distanza; è un problema difficile, da cui sono nate le vivacicontroversie sul valore della costane di Hubble e le sue numerose revisioni . Quando Hubblepropose la sua legge, il valore che ottenne per H0 fu di circa 500 km/sMpc, quasi dieci voltepiù grande del valore attualmente accettato. E l’errore era dovuto proprio a una scorrettavalutazione della distanza delle galassie del campione. Ma anche questo tipo di difficoltàpotrebbe in linea di principio essere superato, se si potesse determinare con precisione laluminosità assoluta delle stelle campione, ed infatti questo è uno dei settori di ricerca in cuisono attualmente impegnati molti ricercatori che utilizzano i migliori telescopi disponibili.Fino a pochi anni fa si discuteva vivacemente se il valore della costante di Hubble fosse50 km/sMpc o 100 km/sMpc, una differenza non da poco visto che comporta una stimadel Tempo di Hubble che varia da 10 a 20 miliardi di anni e ambedue le fazioni avevanoottimi argomenti da portare a sostegno della loro tesi. Un importante contributo a risolverequesta diatriba è venuto dal Telescopio Spaziale Hubble, che è riuscito a identificare stellecefeidi in galassie appartenenti all’ammasso della Vergine, permettendo di determinarne ladistanza con notevole precisione. Sono ricerche tuttora in corso, da cui sembra emergere unvalore della costante di Hubble di circa 70 km/sMpc, ma ancora con un margine di erroredi oltre 10 Km/sMpc. A queste difficoltà se aggiunge poi un’altra che, come dicevamo è dicarattere teorico: la legge di diminuzione della luminosità con il quadrato della distanza èvalida solo in uno spazio Euclideo e in un Universo statico, mentre non è più applicabile inun Universo in espansione in cui , per di più, lo spazio potrebbe essere curvo. Sappiamo chela struttura su vasta scala dell’universo è descritta dalla RG e quando si cerca di definirein questo ambito il concetto di distanza, si incontrano non poche difficoltà, tanto che sonodefinibili diverse distanze, che coincidono tra loro solo per le galassie di basso red shift,come quelle usate da Hubble nel ricavare la sua legge, ma sono notevolmente diverse pergalassie di red shift prossimo o superiore a 1. Quando si confronta la luminosità apparentedi oggetti molto lontani con la loro luminosità assoluta, si deve quindi tenere conto dell’e-spansione dell’Universo e utilizzare la giusta espressione della distanza..

R4.

Nel Modello Cosmologico Standard, la forza che modella la struttura dell’Universo ene determina l’evoluzione è la gravità. Per questo l’ambito in cui tale modello è costrui-to è quello della Relatività Generale che è la miglior teoria della gravitazione di cui oggidisponiamo. In questa teoria il moto dei corpi soggetti alla gravità non è descritto dall’in-terazione con un campo di forze, come nella teoria newtoniana, ma dalla geometria dello

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spazio-tempo in cui si muovono, che a sua volta è determinata dal contenuto di materia,energia e pressione dello spazio stesso. Le previsioni della RG si discostano da quelle dellateoria newtoniana quando entrano in gioco campi gravitazionali molto intensi , o quando lapresenza di radiazione elettromagnetica o gli effetti della pressione non sono trascurabili, inqueste situazioni la curvatura dello spazio diventa importante e la geometra euclidea nonè più applicabile. Quando le condizioni fisiche non sono così estreme la teoria newtonianadella gravitazione costituisce un’ottima approssimazione della RG e i risultati che ci forni-sce sono, almeno in prima approssimazione, gli stessi. Possiamo quindi utilizzare la teorianewtoniana per studiare l’Universo in espansione, purché ci limitiamo a queste situazioninon estreme. Nella parte di Universo che possiamo osservare con i mezzi attualmente adisposizione, la densità dell’energia elettromagnetica diffusa nello spazio è molto più pic-cola della densità della materia e quindi i suoi effetti possono essere trascurati, anche glieffetti della pressione sono del tutto trascurabili, e la distribuzione della materia può esseredescritta come una polvere di galassie che, nel nostro modello isotropo e omogeneo, è distri-buita uniformemente nello spazio. In epoche remote le condizioni erano certamente diverse.Pochi istanti dopo il big bang la densità della radiazione superava quella della materia egli effetti della pressione erano tutt’altro che trascurabili, ma noi non ci interesseremo, perora, di quest’epoca remota. Gli effetti della radiazione e della pressione sono di fatto tra-scurabili fino all’epoca che corrisponde a un red shift pari a circa 1000, e siccome le nostreosservazioni di galassie lontane non arrivano nemmeno a red shift 10, possiamo stare tran-quilli. Sappiamo che il moto delle galassie nell’Universo in espansione è descritto dalla leggeV = HD, dove V è la velocità radiale di allontanamento, D è la distanza e H è una funzionedel tempo che esprime il valore della costante di Hubble in ogni istante. Il nostro obiettivo èdi trovare un’espressione che ci permetta di calcolare il valore di H, e per farlo cercheremodi descrivere quantitativamente il moto delle galassie lontane. I calcoli sono abbastanzasemplici e richiedono solo qualche conoscenza di algebra e di fisica elementare, e sono ri-portati nel riquadro a parte VEDI RUBRICA 4 FILE; qui riassumiamo i risultati essenziali.

RIQUADRO CALCOLI

Poniamoci al centro di un sistema di coordinate e, per semplificare un poco i calcoli,immaginiamo di osservare un corpo di massa unitaria posto a una distanza D da noi.Tenendo conto che la massa del corpo vale 1, possiamo esprimere la sua energia cineticacome:

Ecin =1

2V 2

Se il corpo è soggetto alle sole forze gravitazionali (è in caduta libera) la sua velocitàe data semplicemente dalla legge di espansione dell’Universo V = HD e quindi l’energiacinetica si può esprimere come:

Ecin =1

2H2D2

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L’energia potenziale posseduta da questo corpo è dovuta solo alla materia contenutanella sfera centrata su di noi e di raggio pari alla sua distanza D, perché gli effetti dellamateria che si trova all’esterno sono nel complesso nulli, e quindi è espressa da:

Epot = −GMD

dove G è la costante di gravitazione universale, e M è appunto la massa contenutanella sfera di raggio D; indicando con ρ la densità della materia in questa sfera, possiamoesprimere la massa M come:

M =4

3πD3ρ

e quindi l’energia totale del corpo sarà:

Etot =1

2H2D2 − 4

3πGρD2

Se ammettiamo che non vi sia materia che esce o entra dalla sfera che stiamo conside-rando, per il principio di conservazione dell’energia il valore di questa energia totale noncambia ed è quindi in ogni istante di tempo uguale a quello attuale. Se indichiamo conD0, H0 e ρ0 i valori che le variabili hanno attualmente, possiamo allora scrivere:

(R1)1

2H2D2 − 4

3πGρD2 =

1

2H2

0D20 −

4

3πGρ0D

20

da cui si ottiene :

1

2H2D2 − 4

3πGρD2 =

4

3πGD2

0

(3

8

H20

πG− ρ0

)= Etot

da questa espressione si vede che l’energia totale dipende dal segno dell’espressione traparentesi al secondo membro e quindi dal valore della quantità:

(R2)3

8

H20

πG= ρC

che viene chiamata densità critica. Se ρ0 > ρC , allora l’energia totale è negativa e questosignifica che l’energia potenziale gravitazionale prevale sull’energia cinetica e quindi il corpoè destinato prima o poi a ricadere verso l’interno della sfera che stiamo considerando. Poichéle nostre considerazioni valgono per qualunque corpo sulla superficie di tale sfera, e per ilPrincipio Cosmologico la nostra posizione di osservatori è equivalente a qualunque altra,ciò significa che l’intero Universo è destinato a collassare su se stesso. Se invece ρ0 < ρC ,allora l’energia totale è positiva e l’energia cinetica prevale, quindi l’universo è destinatoad espandersi per sempre. Dall’espressione (R1), possiamo ora ricavare l’evoluzione delparametro H, otteniamo infatti:

H2 =8

3πGρ+

8

3πG

D20

D2(ρC − ρ0)

10

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dalla (R2) si vede che 83πG =

H20

ρCe ricordando che D0

D = 1 + z si ottiene:

H2 = H20

ρ

ρC+H2

0

D20

D2

ρC − ρ0

ρC

Siccome nella nostra sfera la materia si conserva, la densità deve variare in modoinversamente proporzionale al cubo del raggio, per cui:

(R3) ρ =ρ0D

30

D3

e quindi si ha:

H2 = H20

ρ0D30

ρCD3+

(1− ρ0

ρC

)D2

0

D2

introducendo il parametro di densità ΩM = ρoρC

e usando ancora la relazione tra distanzae red shift si ottiene:

(R4) H2 = H20 [ΩM (1 + z)3 + (1− ΩM )(1 + z)2]

che è la relazione cercata che esprime H in funzione di z.

Si trova innanzi tutto che il destino dell’Universo dipende dl suo contenuto di materia.Se la densità attuale di materia ρ0 è maggiore della densità critica

ρC =3

8

H20

πG

allora l’Universo è destinato a collassare prima o poi su se stesso, se inveceρ0 è minore diρC , allora l’Universo è destinato ad espandersi per sempre. Il caso ρ0 = ρC rappresentauna situazione limite di energia totale nulla, in cui l’Universo continuerà ad espandersi, macon velocità via via decrescente. Introdotto il parametro di densità, che esprime il rapportotra la densità attuale effettiva della materia nell’universo e la densità critica:ΩM = ρ0/ρC, si ricava la dipendenza di H dal red shift z, data dalla funzione:

H = H0

√ΩM (1 + z)3 + (1− ΩM )(1 + z)2 (7)

Questa espressione ci conferma ancora una volta che H non è una costante, sappiamoinfatti che il suo valore varia nel tempo, ma in questa espressione il tempo non compareesplicitamente. La variazione di H è invece espressa in funzione del red shift z, e questoè molto utile, perché z, come sappiamo, è una grandezza fisica direttamente osservabile.H0 è la costante di Hubble, cioè il valore attuale di H, e l’espressione trovata ci dice insostanza che in epoche passate, corrispondenti al red shift z, la costante di Hubble avevaun valore diverso che dipende dalla densità dell’Universo. Siccome l’universo si espande,

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anche la densità di materia varia nel tempo e la sua dipendenza dal red shift z si ricavafacilmente dalla formula 3) del riquadro, ottenendo:

rho = ρ0(1 + z)3

Come ci aspettavamo, andando indietro nel tempo, e quindi all’aumentare di z, ladensità aumenta , perché il volume comovente di ogni regione dell’Universo diminuisce, macontemporaneamente varia anche la densità critica che all’epoca corrispondente al red shiftz vale:

ρC(z) =3

8

H2

πG

con H che dipende da z come indicato dalla funzione che abbiamo trovato.Non è difficile dimostrare (lo lasciamo come esercizio ai più volenterosi) che se ρ0 < ρC

all’epoca attuale, allora anche nel passato, a qualunque red shift z, la densità resta sem-pre minore della densità critica corrispondente, avvicinandosi indefinitamente a tale valore.Ciò significa che se l’Universo attuale è aperto e in espansione, lo è sempre stato anche nelpassato, e viceversa, ma che in epoche remote la sua densità era comunque molto vocinaalla densità critica. Naturalmente le approssimazioni fatte non ci permettono di spingercitroppo indietro nel tempo, ma questo particolare risultato resta valido comunque, a menoche l’evoluzione dell’Universo non sia determinata anche da qualche altra grandezza che siaggiunge alla densità di materia di energia e di pressione..

R5Nel 1917 Albert Einstein utilizzò la teoria della Relatività Generale, che aveva appena sco-perto, per costruire un modello di Universo, e quando si accorse che le equazioni della teoriaportavano necessariamente a un universo in espansione, ne rimase stupito. In quegli anni lericerche sul red shift delle galassie erano solo agli inizi, e Einstein non ne era a conoscenza;l’Universo era allora concepito come un’entità statica e probabilmente eterna, quindi l’e-spansione, che comportava in qualche modo un’evoluzione, sembrava un risultato assurdo.Einstein si pose dunque il problema di modificare le sue equazioni in modo da ottenere unasoluzione stazionaria, ma senza stravolgerne le proprietà generali di simmetria, e introdussecosì un nuovo termine che chiamò costante cosmologica, indicato solitamente con il simboloΛ e che ha le dimensioni fisiche di un inverso di un quadrato di una lunghezza. Il significatofisico di questo termine era poco chiaro, ma il suo effetto era di produrre una sorta di forzadi repulsione cosmica proporzionale alla distanza. L’effetto di questa repulsione è trascu-rabile su distanze piccole, ma diventa importante quando si considerano oggetti a grandedistanza tra loro e quindi è determinante per l’evoluzione dell’Universo. Qualche anno do-po, quando Hubble dimostrò definitivamente il moto di recessione delle galassie, Einsteindichiarò che l’introduzione di quella costante era stato l’errore scientifico più grande dellasua carriera e che andava eliminata. Ma molti cosmologi non erano d’accordo con lui: come

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un genio evocato dalla sua bottiglia la costante cosmologica era ormai difficile da ignora-re, anche perché si rivelava utile per risolvere diversi problemi. Gli effetti che la costantecosmologica può produrre sull’evoluzione dell’Universo sono piuttosto complessi. Abbiamovisto che, quando Λ = 0, il destino dell’Universo è determinato dalla densità della materiache contiene: seΩM > 1 allora a una fase di espansione seguirà una contrazione (Universochiuso), se ΩM < 1 l’espansione continuerà per sempre (Universo aperto), mentre il casoΩM = 1 è un caso limite, di espansione continua ma rallentata (Universo critico). Quandoperò Λ è diversa da zero, questo semplice quadro si complica: la soluzione stazionaria tro-vata da Einstein corrisponde a un particolare valore critico di Λ, per il quale l’attrazionegravitazionale dovuta alla materia è esattamente bilanciata dalla repulsione dovuta allacostante cosmologica. Questo universo statico di Einstein è instabile, nel senso che unaminima variazione di densità, rompe l’equilibrio, dando inizio o a una contrazione, se ladensità aumenta e quindi l’attrazione gravitazionale supera la repulsione cosmologica, o auna espansione in caso contrario. Se la costante cosmologica è maggiore di questo valorecritico allora l’Universo è destinato a espandersi comunque, qualunque sia la sua densità dimateria, ma per valori di Λ di poco superiori al valore critico è possibile ottenere modellidi Universo che, dopo una prima fase di espansione, attraversano una periodo di quasi sta-zionarietà , in cui l’espansione rallenta fin quasi a fermarsi e che può durare molto a lungo,dopo il quale l’espansione riprende. Si possono costruire anche universi con Λ negativo,destinati ad espandersi qualunque sia la densità di materia, o con Λ molto grande, chenon hanno un bing bang nel passato, ma le osservazioni sembrano escludere decisamentequeste possibilità per cui non ne parleremo. Gli universi quasi stazionari furono studiatida Lemaitre, quando si pensava che il valore della costante di Hubble fosse dell’ordine di500 km/sMpc, un valore a cui corrisponde un tempo di Hubble di circa due miliardi dianni, decisamente inferiore all’età della Terra, e quindi incompatibile con le osservazioni.La possibilità di costruire un modello cosmologico con un lungo periodo quasi stazionario,serviva a conciliare la teoria cosmologica con le osservazioni, ma quando la revisione delledistanze cosmiche portò la costante di Hubble a valori più bassi, fino ad arrivare a circa50 km/sMpc, il problema dell’incompatibilità del tempo di Hubble con le osservazioni furitenuto superato, o comunque marginale, e l’interesse per la costante cosmologica andòscemando. Nel frattempo anche le osservazioni astronomiche dimostrarono che la costantecosmologica non produce effetti osservabili almeno fin alla scala di distanza degli ammassidi galassie, e ciò pone un limite massimo per il suo valore di circa 10−52 m−2, un valoretanto piccolo che è lecito chiedersi se questa costante non sia in effetti nulla. Per quantopiccolo, però, questo valore resta significativo. L’effetto della costante gravitazionale infattisi somma a quello della densità di materia nel determinare la geometria dell’Universo, e ilsuo contributo è esprimibile con un termine, dato da

ρΛ =Λc2

8πG

Pur accettando il limite massimo di Λ dato dalle osservazioni, questo termine risulta pa-

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ragonabile al valore della densità critica attuale dell’Universo e quindi il contributo dellacostante cosmologica potrebbe risultare significativo. Il termine ρΛ ha le dimensioni diuna densità e viene solitamente chiamato densità del vuoto, un termine suggerito per laprima volta da Zeldovich che, nel 1968, evidenziò lo stretto legame esistente tra la costantecosmologica e le proprietà che allo spazio vuoto vengono attribuite dai campi introdottidalla teoria quantistica delle particelle elementari. L’argomento è piuttosto complesso erichiederebbe ben altro spazio per essere trattato, ma semplificando molto possiamo direche tutte le particelle che costituiscono la materia sono descritte da campi, presenti anchenello spazio vuoto e, in conseguenza del principio di indeterminazione, questi campi comu-nicano al vuoto stesso una energia, i cui effetti sono del tutto identici a quelli prodotti dallacostante cosmologica. Questa energia del vuoto può essere calcolata in base alle equazionidi campo che descrivono le particelle elementari, e il risultato sorprendente che si trova èche questa energia corrisponde a un valore della costante cosmologica che risulta 120 ordinidi grandezza più grande di quanto suggerito dalle osservazioni cui accennavamo. Zeldovichtentò di risolvere il problema con una proposta che precorreva di parecchi anni le moderneteorie supersimmetriche delle particelle elementari, ma è una soluzione che non funziona etuttora questa incredibile discrepanza tra il valore previsto della costante cosmologica e ilsuo valore reale (molto vicino a zero) è uno dei problemi più ostici della fisica. Il lavorodi Zeldovich contribuì a lanciare quel ponte tra cosmologi e fisici delle particelle che si èallargato enormemente in questi ultimi anni, e la soluzione del paradosso della costantecosmologica non potrà venire che da questa collaborazione. Nel frattempo ad aumentarel’interesse per questa costante sono giunti anche diversi risultati di osservazioni astrono-miche, che sembrano indicare che il suo valore non può essere nullo. Le più importantitra queste osservazioni riguardano la luminosità di supernove di tipo I scoperte in galassieche presentano red shift prossimi o superiori a 1, che sembrano indicare una espansioneaccelerata dell’Universo, possibile solo se la costante cosmologica è maggiore di zero. Altreindicazioni a favore della costante cosmologica vengono da osservazioni sulle dimensioniangolari di lontane radiogalassie e dalla distribuzione statistica delle lenti gravitazionali.Su tutti questi risultati avremo occasione di ritornare in maniera più approfondita, e perpoter comprenderne appieno il significato abbiamo bisogno di introdurre anche la costantecosmologica nei nostri calcoli. Potremmo procedere in modo analogo a quanto fatto nellaprecedente rubrica, introducendo nell’espressione dell’energia totale che utilizzammo alloraanche un termine proporzionale al quadrato della distanza (che corrisponde a una forzarepulsiva proporzionale alla distanza), ma visto che è difficile interpretare fisicamente untale termine nell’ambito della meccanica newtoniana, ci limiteremo a dare i risultati essen-ziali che si ottengono dalla teoria della RG, una vota introdotta la costante gravitazionaleΛ. Il contributo della costante gravitazionale all’espansione dell’Universo viene solitamenteespresso introducendo un parametro adimensionale, analogo al parametro di densità ΩM ,che risulta definito da:

ΩΛ =ρΛ

ρC=

Λc2

3H20

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E la dipendenza del parametro di Hubble H in funzione del red shift z risulta allora datada:

H = H0E(z)

dove la funzione E(z) è:

E(z) =√

ΩM (1 + z)3 + ΩK(1 + z)2 + ΩΛ ΩK = 1− ΩM − ΩΛ (8)

Per finire notiamo che la costante cosmologica così introdotta è in effetti una costanteuniversale, con lo stesso status della costante di gravitazione universale o della velocità dellaluce, ma alcuni autori hanno proposto, a partire dagli anni ’80, che anche Λ potrebbe esserevariabile nel tempo, e legata all’evoluzione di un qualche campo cosmico. Su questa ipotesisi stanno attualmente svolgendo molte ricerche, che potrebbero forse contribuire a risolverela grave discrepanza con le previsioni delle teorie delle particelle. Alcuni hanno propostodi chiamare questo campo quintessenza, e la riscoperta di un nome che ha una così nobilestoria metafisica, evoca le molte difficoltà legate alla interpretazione fisica di questo campo..

R6

Nelle rubriche precedenti abbiamo predisposto gli strumenti necessari per affrontare ilcalcolo delle distanze cosmologiche, e ora possiamo cominciare ad utilizzarli. Più volte ab-biamo ripetuto che nel Modello Standard il concetto di distanza non è definibile in manierasemplice, e che anzi esistono diverse distanze. La ragione di questa difficoltà sta nel fattoche mentre cerchiamo di determinare la distanza tra due punti dell’Universo, L’Universostesso si espande, dilatando lo spazio che stiamo cercando di misurare. Per di più questadilatazione non avviene a ritmo costante, ma secondo una legge dinamica che, nel nostromodello, dipende da due parametri (la densità e la costante cosmologica) e dal valore dellacostante di Hubble H0. Cominceremo ad affrontare queste difficoltà calcolando una distan-za particolare, che in realtà è un intervallo di tempo: l’intervallo di tempo cosmico trascorsoda quando la luce fu emessa da una lontana galassia fino al momento in cui la riceviamo(chiamato look back time). Quando si vuole misurare un intervallo di tempo è fondamen-tale scegliere l’orologio giusto, e l’unico orologio che misura il tempo cosmico è l’Universo,con la sua espansione. Per misurare l’intervallo di tempo che ci interessa dovremo quindiutilizzare il ritmo di questa espansione, che è scandito dalla legge:

∆a

∆t= Ha

Naturalmente vogliamo esprimere questo intervallo di tempo in funzione di una gran-dezza misurabile, in modo da poterlo calcolare a partire dalla sua misura, e tale grandezza

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misurabile non può essere altro che il red shift. Nell’espressione precedente esprimeremoquindi H in funzione del red shift, utilizzando la funzione di evoluzione che abbiamo trovatoin precedenza, ottenendo:

∆t =∆a

aH0E(z)

Alla variazione del fattore di scala ∆a, corrisponde una variazione del red shift ∆z, eil legame tra queste due variazioni si può calcolare facilmente utilizzando la formula cheesprime il red shift cosmologico (i calcoli sono nel riquadro), ottenendo:

∆t =∆z

(1 + z)H0E(z)

RIQUADRO—————————————————————————–Sappiamo che il red shift cosmologico è dato da :

1 + z =a0

a

quindi possiamo esprimere il fattore di scala all’epoca del red shift z con:

a =a0

(1 + z)

quando questo fattore di scala aumenta di una piccola quantità ∆a, il red shift diminuiscedi una quantità corrispondete ∆z, e la variazione ∆a può essere espressa come la differenzatra i valori di a all’epoca del red shift z + ∆z e all’epoca z:

∆a =a0

1 + z + ∆z− a0

1 + z

da cui si ottiene immediatamente:

∆a = a0∆z

1 + 2z + z2 + ∆z + z∆z

In questa espressione ∆z è piccolo rispetto a z e quindi al denominatore possiamo trascurarei termini in cui compare (per chi sa qualcosa di analisi matematica diciamo che stiamocalcolando il limite per ∆z tendente a zero, e cioè una derivata), otteniamo così:

∆a = a0∆z

(1 + z)2

sostituendo questo risultato nell’espressione di ∆t, otteniamo infine:

∆t =∆a

aH0E(z)=

a0∆z

(1 + z)2

a0

1 + zH0E(z)

=∆z

(1 + z)H0E(z)

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—————————————————————————–

Questa è la relazione che scandisce lo scorrere del tempo cosmico in funzione del red shifte ci dice che, in corrispondenza della stessa piccola variazione di red shift, l’orologio cosmicoscandisce intervalli di tempo sempre più piccoli man mano che ci spostiamo nel passato, cioèman mano che aumenta z, il che significa che il ritmo di espansione dell’Universo era piùveloce nel passato rispetto alla nostra epoca. Possiamo ora calcolare finalmente il tempocosmico che ci separa dall’epoca corrispondete a un qualunque red shift z. Quello che ciserve è una catena di osservatori, muniti ciascuno del proprio orologio cosmico, disposti apartire dalla nostra epoca (z = 0) e separati l’uno dall’altro dal piccolo intervallo di tempot corrispondente a una piccola variazione di redshift ∆z, fino ad arrivare al redshift z1 che ciinteressa; sommando tutti gli intervalli ∆t misurati da questi osservatori, otterremo il lookback time. Il modo in cui questa somma viene di fatto calcolata è spiegato nel riquadrodedicato al foglio elettronico, in simboli tale somma è indicata dall’espressione:

t =1

H0

z1∑z=0

∆z

(1 + z)E(z)=

z1∑z=0

∆z

(1 + z)√

ΩM (1 + z)3 + ΩK(1 + z)2 + ΩΛ

Il risultato ottenuto sarà tanto più preciso quanto minore è l’intervallo di red shift ∆z chesi considera e il valore esatto si ottiene quando tale intervallo tende a zero. Chi si intendedi analisi matematica non avrà difficoltà a riconoscere in questo procedimento il calcolo diun integrale, la formula esatta per il calcolo del look back time è infatti:

T =1

H0

∫ z1

0

dz

(1 + z)E(z)

Notiamo che questo intervallo di tempo non è una quantità osservabile, perché la catenadi osservatori di cui avremmo bisogno per misuralo non è in pratica realizzabile. Il lookback time è quindi una previsione teorica del modello che stiamo adottando, che dipendedal valori dei parametri che adottiamo per calcolarlo.

Nel Modello Standard è possibile calcolare anche l’età corrispondente al red shift z, cioèil tempo trascorso dall’inizio dell’espansione (tempo cosmico t = 0 e red shift infinito) finoall’epoca corrispondente a tale red shift, ma per ottenere una approssimazione accettabilecon il nostro foglio elettronico dovremmo estendere i calcoli fino a occupare diverse migliaiadi caselle. Per ora non lo facciamo per non allungare troppo i tempi di calcolo..

R7Le difficoltà che si incontrano quando si vuole calcolare la distanza di galassie lontane deri-vano dalle proprietà dinamiche che il Modello Cosmologico Standard attribuisce allo spaziotempo: da una parte lo spazio non è una entità statica ma si espande col trascorrere deltempo cosmico, e dall’altra lo spazio può avere una geometria non euclidea, può cioè essere

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curvo. Affronteremo queste due difficoltà separatamente, e per ora ci concentreremo sui pro-blemi che derivano dall’espansione, limitandoci a considerare il caso di uno spazio euclideo.Ciò significa che le nostre considerazioni saranno valide per un Universo privo di curvatura,in cui cioè il parametro di curvatura è nullo: ΩK = 1− ΩM − ΩΛ = 0. Per poter calcolarela distanza a cui si trova una lontana galassia, dobbiamo capire come si propaga la luce cheproviene da essa, tenendo conto che, mentre i fotoni sono in viaggio, lo spazio attraverso cuisi muovono si sta espandendo. Una rappresentazione intuitiva del fenomeno si può avere conun diagramma spazio tempo, in cui in ascissa viene rappresentata la distanza e in ordinatail tempo. I “punti” individuati da una coppia di valori (r; t) rappresentano la collocazionenello spazio e nel tempo di un evento. Per la precisione si osservi che sull’asse delle ascisseè riportata la distanza da noi, senza specificare la direzione nello spazio lungo la quale taledistanza viene misurata (per farlo dovremmo disegnare un grafico a quattro dimensioni),questo comporta che ogni punto del diagramma rappresenta tutti gli eventi situati su unasuperficie sferica di raggio r, centrata nella posizione dell’osservatore al tempo t. Siccomei nostri ragionamenti si riferiscono sempre a un universo isotropo, questa rappresentazioneche unifica le direzioni non comporta nessuna perdita di generalità, e noi chiameremo sem-plicemente i punti di coordinate (r; t) eventi, come si usa fare abitualmente. Mettiamocinei panni dell’osservatore cui il diagramma si riferisce e rispetto al quale sono misuratele distanze, così gli eventi che ci riguardano sono quelli collocati lungo l’asse verticale deitempi, che rappresenta così la nostra linea di Universo. Nella figura (1) è tracciato un dia-gramma di questo tipo per un universo statico. Il reticolo delle coordinate spazio temporalié formato da linee parallele all’asse dei tempi, che ci dicono che le distanza da noi restanosempre le stesse, e da linee perpendicolari all’asse dei tempi, sulle quali si trovano, in undato istante di tempo, eventi che accadono a distanze diverse. Con una opportuna sceltadelle unità di misura, per esempio misurando le distanze in anni luce e il tempo in anni, lelinee diagonali che passano per i vertici del reticolo rappresenteranno il moto di un fotone,che percorre appunto un anno luce in un anno. Nella figura è rappresentato ad esempioil percorso di un fotone emesso in A1 al tempo t1 che arriva a noi in B0 al tempo attualet0 . La posizione attuale della sorgente nel diagramma spazio tempo è rappresentata dalpunto A0, e siccome lo spazio è statico, la distanza dalla sorgente da noi è rimasta la stessa:A1B1 = A0B0. Se però lo spazio si espande la situazione si complica. Le distanze dallanostra linea di Universo aumentano nel tempo, seguendo il ritmo di espansione dettatodalla variazione del fattore di scala, e quindi il reticolo di coordinate spazio temporali nonsarà più a maglie quadrate, ma avrà dei lati curvilinei, che sostituiscono le linee verticalidello spazio statico. La situazione è illustrata intuitivamente nella figura (2). Qui le lineeorizzontali rappresentano ancora i punti dello spazio a tempi diversi, mentre le curve chepartono dall’origine rappresentano le coordinate spaziali in espansione, le cosiddette coor-dinate comoventi. Un fotone emesso in A1 nella nostra direzione, si muove nello spaziosempre con la velocità della luce c, ma nel frattempo lo spazio stesso lo trascina nel suomoto di espansione e quindi la sua linea di universo non sarà più una retta, ma una curvasimile a quella rappresentata in colore nel grafico, che attraversa ancora le maglie del reti-

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colo, le quali però si stanno dilatando, trascinate dall’espansione. Quando il fotone arriveràa noi, in B0, il punto da cui è stato emesso si troverà in A0, a una distanza da noi A0B0,maggiore di quella A1B1 a cui si trovava al momento dell’emissione. La distanza A1B1

al momento dell’emissione del fotone, viene chiamata distanza di diametro angolare (perun motivo che approfondiremo nella prossima puntata di questa rubrica) e la indicheremocon il simbolo DA. La distanza A0B0 nel momento in cui il fotone arriva a noi, è indicatada diversi autori con nomi diversi, creando qualche confusione: noi la chiameremo distanzaradiale comovente e la indicheremo con il simbolo DC . Nella figura (2) abbiamo prolungatola linea di universo del fotone emesso in A1 verso il passato, per mostrare che la distan-za di diametro angolare non aumenta indefinitamente all’aumentare del tempo impiegatodalla luce per giungere a noi. In conseguenza dell’espansione dell’Universo questa distanzaraggiunge un valore massimo, e poi diminuisce, perché in epoche remote l’Universo era piùpiccolo e quindi tutte le galassie erano più vicine tra loro. Le due distanze sono legate dauna semplice relazione, infatti il loro rapporto è determinato dall’espansione dell’universointercorsa tra il tempo t1 in cui il fotone è stato emesso e il tempo t0 in cui è arrivato a noi:quindi utilizzando il fattore di scala possiamo scrivere:

A0B0

A1B1=a0

a

e ricordando la relazione tra fattore di espansione e red shift: 1 + z = a0/a , troviamo cheche:

DC = DA(1 + z)

Per calcolare esplicitamente queste distanze, bisogna partire da una grandezza osservabilesperimentalmente, che come al solito sarà il red shift della lontana galassia che ci ha inviatoil suo messaggio luminoso. Come punto di partenza utilizziamo ancora il caso semplicedell’Universo statico della relatività ristretta, e osserviamo che in questo caso la distanza∆r percorsa da un fotone nell’intervallo di tempo ∆t e semplicemente data da ∆r = c∆t.In un universo in espansione alla distanza ∆r si dovrà sostituire l’espressione a∆r/a0 ,introducendo il rapporto tra il fattore di scala al tempo t e quello attuale, per tenere contodella dilatazione del reticolo di coordinate comoventi. Siccome la grandezza significativa èil rapporto tra i fattori di scala, solitamente si assegna ad a0 un valore unitario (a0 = 1) equindi si ottiene:

∆r =c∆t

a

A questo punto ci basta ricordare l’espressione di t in funzione di z, trovata nella ................

∆t =∆z

(1 + z)H0E(z)

per ottenere:

∆r =c∆z

a(1 + z)H0E(z)

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possiamo sostituire a ricavandolo dalla relazione che lega il fattore di scala al red shift :1 + z = a0/a, dove poniamo ancora a0 = 1, ottenendo a = 1/(1 + z), e alla fine troviamo:

∆r =c∆z

H0E(z)

Questa espressione rappresenta il percorso fatto da un fotone nel tempo corrispondente alpiccolo intervallo di red shift ∆z, e tiene conto della contemporanea espansione dell’universo,quindi sommando tutti valori compresi tra l’epoca corrispondente a un particolare valoredi red shift z = z1, e l’epoca attuale (z = 0) otterremo la distanza comovente a cui si trovala galassia di red shift z1. In simboli:

DC =c

H0

z1∑0

∆z

E(z)

Dove la somma è estesa dal red shift 0 (l’epoca attuale) al red schift z1 della sorgente. Comeal solito il valore trovato è tanto più corretto quanto più il valore di z è piccolo e quandotende a zero si ottiene un integrale:

DC =c

H0

∫ z1

0

dz

E(z)

Il fattore costante c/H0 che compare in questa formula viene chiamato distanza di Hubble. La procedura di calcolo è analoga a quella usata per determinare il look back time, edè riportata nel riquadro del foglio elettronico. Una volta calcolata la distanza comoventeDC , è immediato determinare la distanza di diametro angolare:

DA =DC

1 + z

e si possono utilizzare i valori trovati nel foglio elettronico per comporre il grafico che mo-stra l’andamento di questa distanza in funzione del red shift osservando che, per valori delparametro di densità ΩM compresi tra 0 e 1, il suo massimo si trova attorno al valore z = 1..

R8

Abbiamo visto nella puntata precedente come è possibile calcolare, nell’ambito del Mo-dello Cosmologico Standard, la distanza radiale comovente DC di una lontana galassiaconoscendo il suo red shift. Naturalmente il valore di distanza così calcolato dipende dalvalore dei parametri che inseriamo nel modello, che sono la costante di Hubble, e il parame-tro di densità visto che i calcoli finora sviluppati si applicano solo a un Universo di densitàcritica. Per diversi valori dei parametri si ottengono distanze diverse, quindi se riusciamo a

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confrontare tali distanze con una misura indipendente della distanza della galassia, potre-mo stabilire quali sono i valori corretti dei parametri. E’ questo il problema fondamentaledella cosmologia osservativa, e gli astronomi hanno escogitato diversi metodi per venirne acapo, ma solo negli ultimi anni si cominciano ad ottenere risultati significativi, grazie alladisponibilità di telescopi sempre più potenti. I due metodi più classici, proposti fin daglianni ’30, si basano sulla misura della luminosità e sulla misura del diametro angolare diuna sorgente. Vediamo quali sono le basi teoriche di questi due metodi, ricordando che leconsiderazioni che faremo sono valide in uno spazio privo di curvatura.

La distanza di diametro angolareImmaginiamo di osservare una sorgente estesa, che per semplicità possiamo supporre diforma circolare, e posta esattamente ortogonale alla direzione di vista, come illustrato nellafigura (1). L’angolo θ sotto cui vediamo il disco è determinato dalla distanza a cui lasorgente si trova. Le relazione rigorosa tra tale angolo, la distanza DA e il diametro ddella sorgente è: tan(θ/2) = d/2DA , ma quando la distanza DA è molto grande, l’angoloè piccolo e il valore della tangente trigonometrica si può ben approssimare con il valoredell’angolo stesso misurato in radianti, ottenendo una relazione più semplice: θ = d/DA.

Se conosciamo il diametro reale d di una lontana galassia e misuriamo l’angolo θ chesottende quando la osserviamo, possiamo quindi determinare la sua distanza DA. Nelcaso di un Universo in espansione questa distanza è quella che la galassia aveva da noial momento dell’emissione della luce che ora riceviamo, perché l’ampiezza dell’angolo θ èdeterminata all’istante in cui i raggi di luce partono dal disco della galassia. Questo è ilmotivo per cui, la volta scorsa, abbiamo chiamato la distanza DA , con il nome di distanzadi diametro angolare. Se si conoscono le dimensioni reali d di una lontana galassia e simisura il suo diametro apparente θ è quindi possibile ricavare la distanza DA = d/θ econfrontare il valore così trovato con quello previsto dal Modello Cosmologico Standard,DA = DC/(1 + z), calcolato a partire dal red shift come abbiamo visto nella precedentepuntata .La distanza di luminosità

La luminosità apparente di una sorgente è definita come la quantità di energia ricevutadall’osservatore per unità di tempo, per unità di area e nell’intervallo di frequenze cui lostrumento che stiamo utilizzando è sensibile. Questa energia ricevuta dipende ovviamentedall’energia emessa dalla sorgente e dalla distanza a cui si trova, ma anche da altri fattori,come le caratteristiche dello strumento che stiamo usando o la presenza di gas e polverinello spazio che la luce ha attraversato. Per il momento trascuriamo questi ultimi fattori eimmaginiamo anche di utilizzare uno strumento ideale, capace di ricevere tutte le frequenzedello spettro elettromagnetico, e in grado quindi di misurare quella che viene chiamata laluminosità bolometrica apparente della sorgente osservata, che indicheremo con il simbololB. In uno spazio statico, se indichiamo con P1 la potenza emessa da una sorgente posta adistanza DL da noi, cioè l’energia emessa nell’unità di tempo in tutte le direzioni, allora la

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luminosità osservata sarà data da :

lB =P1

4πD2L

dove il denominatore della frazione è l’area della superficie sferica centrata nella sorgentee di raggio pari alla sua distanza da noi , sulla quale viene “spalmata” l’energia che essaemette. Questa relazione esprime il fatto, ben noto, che la luminosità diminuisce con ilquadrato della distanza, e se sono note la potenza emessa dalla sorgente e la sua luminositàapparente, e immediato ricavare la distanza:

DL =

√P1

4πlB

La distanza così trovata si chiama distanza di luminosità e nel caso di un Universo statico èsemplicemente la distanza a cui si trova la sorgente da noi. Ma in un Universo in espansione,la situazione è diversa e dobbiamo capire come tale distanza è legata al red shift e quindi allealtre distanze che già abbiamo introdotto. Possiamo notare innanzi tutto che la distanzapercorsa da un fotone che è partito dalla sorgente al tempo t1 e che arriva a noi al tempot0, è uguale alla distanza a cui ora si trova la sorgente da noi, cioè quella che abbiamochiamato distanza radiale comovente e che, nella precedente ........., abbiamo indicato con ilsimbolo DC . Inoltre l’energia emessa dalla sorgente, viaggia sotto forma di una sequenza difotoni, e la dilatazione dello spazio comporta sia un diradamento dei fotoni in tale sequenzache un allungamento della loro lunghezza d’onda, e in conseguenza di questi due fenomenila potenza che arriva a noi, trasportata una sequenza di fotoni, è minore rispetto a quellaemessa dalla sorgente. L’effetto prodotto è una diminuzione della luminosità apparenterispetto al caso di un Universo statico. I calcoli relativi sono riportati nel riquadro, e ilrisultato che si ottiene è:

lB =P1

4πDC2(1 + z)2

e quindi la distanza di luminosità sarà data da:

DL =

√P1

4πlB= DC(1 + z)

.

RIQUADRO—————————————————————————–Immaginiamo una sorgente che, al tempo t1, emette fotoni di frequenza ν1 nella nostradirezione, in una sequenza a intervalli di tempo regolari δt1, che quindi lasciano la sorgentestessa intervallati da uno spazio δs1 = c δt1. L’energia trasportata da ogni fotone è data

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da E1 = h ν1 , e un treno di N fotoni verrà emesso in un tempo ∆ t1 = Nδt1, quindi lapotenza rilasciata dalla sorgente con tale emissione sarà:

P1 =NE1

∆t1=N hν1

Nδt1=hν1

δt1

Prima che i fotoni arrivino a noi al tempo t0 , lo spazio si espande di un rapporto: a0/a1 =(1 + z) e questo comporta due effetti. Il primo è che la lunghezza d’onda dei fotoni si dilatadello stesso rapporto:

λ0

λ1= (1 + z)

e quindi la loro frequenza al momento in cui li osserviamo è diventata:

ν0 =c

λ0=

c

[(1 + z)λ1=

ν1

(1 + z)

così che l’energia che trasportano si è ridotta dello stesso fattore:

E0 =E1

1 + z

Il secondo è che la separazione tra i fotoni è aumentata:

δs0 = δs1(1 + z)

e quindi è aumentato dello stesso rapporto anche l’intervallo di tempo che passa tra l’arrivodi uno di essi e l’arrivo del successivo:

δt0 = δt1(1 + z)

Se tutti gli N fotoni emessi arrivano all’osservatore, la potenza osservata sarà:

P0 =NE0

∆t0=N hν0

Nδt0=hν0

δt0

Che sostituendo diventa:P0 =

hν1

δt1(1 + z)2=

P1

(1 + z)2

Naturalmente gli stessi effetti si producono per tutti i fotoni emessi dalla sorgente, a qualun-que frequenza, riducendo la sua luminosità bolometrica dello stesso fattore (1 + z)2 Inoltre,siccome in realtà la sorgente emette in tutte le direzioni, la sua potenza si distribuisce suuna superficie sferica di area crescente man mano che i fotoni si allontanano da essa. Quan-do arriva all’osservatore il raggio della sfera è DC (la distanza radiale comovente a cui sitrova la sorgente) e quindi la luminosità bolometrica osservata è:

lB =P0

4πD=

P1

4πD2C(1 + z)2

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Anche DL si può quindi ricavare dalla conoscenza della luminosità assoluta della sorgen-te e dalla misura della sua luminosità apparente, confrontando poi il risultato con il valorecalcolato dal Modello Standard. Notiamo ancora una volta che questi risultati sono correttiin un Universo privo di curvatura. In tal caso infatti la geometria dello spazio è euclidea sianel sistema di riferimento cosmologico in cui è descritta l’espansione dell’Universo, che inquello locale dell’osservatore, e quindi le relazioni geometriche tra distanza e luminosità etra distanza e diametro angolare sono le stesse nei due sistemi. Se l’Universo è curvo allorala sua geometria globale è diversa da quella del riferimento locale dell’osservatore e, comevedremo nella prossima puntata, la distanza da usare nelle relazioni tra enti geometrici,non può più essere la distanza radiale comovente DC ..

R9La teoria della relatività generale descrive gli effetti gravitazionali della materia come unacurvatura dello spazio-tempo, anche nel Modello Cosmologico Standard quindi l’Universopuò essere curvo, e a determinare la sua curvatura è il suo contenuto complessivo di materiae energia e l’eventuale presenza di una costante cosmologica. La curvatura è una proprietàdello spazio-tempo, inteso come un’entità unica, ma una conseguenza importante del Prin-cipio Cosmologico è la possibilità di separare le proprietà geometriche del tempo da quelledello spazio, attribuendo solo a questo gli effetti della curvatura. Ciò significa che è semprepossibile scrivere l’intervallo spazio-temporale che separa due eventi come la somma di unaparte puramente spaziale e di una puramente temporale, del tipo:

∆s2 = c2 ∆t2 − ∆l2

dove ∆s è l’intervallo che separa due eventi che accadono a breve distanza di tempo ∆t l’unodall’altro, in due punti dello spazio separati da una piccola distanza ∆l. Per uno spazioeuclideo la distanza ∆l può viene espressa per mezzo delle classiche coordinate cartesianeortogonali con la relazione:

∆l2 = ∆x2 + ∆y2 + ∆z2

ma quando lo spazio ha una geometria curva questa espressione cambia, descrivendo comevaria localmente, cioè per brevi spostamenti ∆l, la distanza tra due punti rispetto al casoeuclideo. L’espressione di ∆s ha un ruolo fondamentale nella teoria della relatività, poichécontiene in sé tutte le informazioni relative alla geometria dello spazio-tempo e viene chia-mata metrica . Nel modello cosmologico standard la forma della metrica è una conseguenzadiretta del Principio Cosmologico, e nel 1935 H.P. Robertson e A. G. Walker dimostraronoche vi sono solo tre tipi di metrica possibili, che descrivono rispettivamente un universo acurvatura costante positiva, uno a curvatura nulla, e uno a curvatura costante negativa.I tre casi sono determinati dal valore del parametro di curvatura ΩK = 1 − ΩM − ΩΛ:

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se ΩK è negativo allora lo spazio ha una curvatura positiva, se ?K è nullo la curvatura ènulla e se ΩK è positivo la curvatura è negativa. Si noti che se la costante cosmologica ènulla allora i tre casi corrispondono rispettivamente a quello di un Universo con densitàdi materia maggiore del valore critico, cioè un Universo chiuso se ΩK < 0; un Universocritico se ΩK = 1; un Universo aperto, in cui la densità di materia è inferiore al valorecritico se ΩK > 0. Se però la costante cosmologica è diversa da zero, allora l’Universo puòavere curvatura nulla o positiva anche se la densità di materia è inferiore al valore critico,basta che il valore diΩΛ sia abbastanza grande. Per ora non ci interessa scrivere esplici-tamente la forma della metrica in questi tre casi, siamo invece interessati a capire qualiconseguenza ha la curvatura dello spazio nel calcolo delle distanze di oggetti lontani, vistoche le formule che abbiamo introdotto nelle precedenti puntate valgono solo in un Universopiatto. Le maggiori difficoltà nel trattare la curvatura dello spazio derivano naturalmentedall’impossibilità di avere una visione geometrica intuitiva di questa inconsueta proprietà.Tutto quello che possiamo fare è cercare di sfruttare l’analogia con delle superfici curve,dove abbiamo a che fare con una dimensione in meno. L’analogo bidimensionale di unospazio a curvatura costante positiva è una superficie sferica, e abbiamo già sfruttato questaanalogia per descrivere l’espansione dell’Universo, ora immaginiamo di congelare l’espan-sione al tempo attuale t0 e di trovarci in un punto A della superficie. La distanza da unaltro punto B (una galassia) è semplicemente la lunghezza dell’arco AB che misuriamosulla superficie. Nello spazio curvo della cosmologia l’arco AB è una linea nella direzionedella galassia la cui lunghezza si potrebbe misurare se disponessimo di una sequenza diosservatori, posti a breve distanza l’uno dall’altro, ciascuno dei quali rileva la distanza dalsuccessivo misurando il tempo che un segnale di luce impiega a raggiungerlo: sommandotutte queste misure avremmo la distanza AB al tempo t0. Naturalmente una simile misuraè impossibile da realizzare praticamente, ma ci fa capire che questa distanza AB non è altroche la distanza radiale comovente, che abbiamo introdotto in precedenza, e che abbiamocalcolato proprio con un procedimento di questo tipo. Nella figura (1) è rappresentata lasuperficie sferica analoga allo spazio curvo. Quando l’osservatore che sta in A effettua dellemisure, lo fa utilizzando un sistema di riferimento di laboratorio, che è un sistema loren-tziano, in cui lo spazio è piatto. Nella nostra analogia possiamo rappresentare questo spaziocon un piano tangente alla sfera in A sul quale si proiettano ortogonalmente i punti dellasfera. Questo significa che se stiamo misurando una grandezza relativa a una galassia che sitrova in B, ad esempio il suo diametro angolare, la distanza DA che lega il diametro realedella galassia e il suo diametro angolare apparente nella semplice relazione DA = d/θ , nonè la lunghezza dell’arco AB, ma la sua proiezione sul piano tangente AB′ (nella puntataprecedente abbiamo visto che bisogna tenere conto anche dell’espansione dell’Universo, chein questo esempio è “congelata”). La figura (2) rappresenta una sezione della sfera nel pianoche passa per l’arco AB, e permette di ricavare la relazione che intercorre tra la lunghezzadell’arco e la sua proiezione. Basta ricordare che la misura di un arco in radianti è datasemplicemente dal rapporto tra la sua lunghezza e il raggio della circonferenza per ottene-re: AB′ = R sin(AB/R), dove R è il raggio della sfera. Ogni volta che l’osservatore in A

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utilizza delle relazioni geometriche tra grandezze osservate nel suo sistema di riferimentoe grandezze relative alla sorgente in B, per misurare la distanza da A a B, otterrà quindiquesta distanza AB′. Nella realtà di uno spazio curvo (a curvatura positiva) la situazione èesattamente la stessa, e anche la formula che lega le due distanze rimane valida . L’analogotridimensionale della distanza AB′ viene chiama solitamente distanza di moto proprio, per-ché è la distanza che si potrebbe ottenere se fosse nota la velocità di spostamento trasversaledi una galassia e si misurasse la sua velocità di spostamento angolare apparente, e noi laindicheremo con il simbolo DM . Siccome l’arco AB non è altro che la distanza comoventeDC, si ha : DM = R sin(DC/R) Il raggio di curvatura dell’Universo è una grandezza cheviene definita rispetto all’epoca attuale, e che dipende dal coefficiente di curvatura. Non èpossibile ricavarla in maniera semplice e quindi ci limitiamo a darne l’espressione, che nellanotazione da noi adottata è: R = c/(H0

√|ΩK | Dove sotto la radice figura il modulo di ΩK

perché questo parametro, nel caso di un universo a curvatura positiva è negativo. Per unUniverso a curvatura positiva si ha quindi:

DM =c

H0

√|ΩK |

sin

(H0DC

√|ΩK |

c

)

Non è possibile rappresentare con una analogia bidimensionale intuitiva il caso di uno spazioa curvatura negativa, ma i risultati che si ottengono per via analitica sono analoghi, l’unicadifferenza è che la funzione seno viene sostituita da una funzione un po’ meno nota, dettaseno iperbolico, ottenendo quindi la relazione:

DM =c

H0

√|ΩK |

sinh

(H0DC

√|ΩK |

c

)

nfine nel caso di un Universo a curvatura nulla le due distanze naturalmente coincidono

DM = DC

Le espressioni per la distanza di diametro angolare e per la distanza di luminosità che ab-biamo ottenuto nelle puntate precedenti, restano quindi valide per un Universo a curvaturanulla, mentre nei casi di curvatura positiva o negativa, la distanza radiale comovente dovràessere sostituita dalla distanza di moto proprio, ottenendo:

DL = (1 + z)DM

DA =DM

1 + z

Notiamo che queste tre distanze sono legate tra loro da una semplice relazione:

DL = (1 + z)DM = (1 + z)2DA

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Quindi la misura della distanza di luminosità DL o la distanza di moto proprio DM peruna sorgente di cui si conosca già la distanza di diametro angolare DA (e viceversa) non cipuò dare informazioni aggiuntive che ci permettano di restringere la scelta dei parametrinel Modello Standard..

R10La legge di Hubble ha un ruolo centrale nella nostra attuale comprensione dell’evoluzionedell’universo, ed è stata il punto di partenza di queste rubriche. Fin dall’inizio abbiamosottolineato la sua doppia natura: da una parte è una legge sperimentale che lega l’attualevelocità di recessione delle galassie, dedotta dalla misura del red shift, alla loro distanzaattuale da noi; dall’altra è una previsione teorica del modello cosmologico di Friedman eLemaitre valida per ogni epoca cosmica e conseguenza della generale espansione dell’Uni-verso. Sappiamo che la semplice interpretazione sperimentale proposta da Hubble è validasolo per piccoli valori di red shift, quando la velocità di allontanamento può essere calcolatacon la formula approssimata

V = cz

Per grandi valori di z questa formula non è più applicabile (per z >1 darebbe velocità diallontanamento superiori a quella della luce), d’altra parte anche la formula che si ottienedalla teoria della relatività ristretta

v =c(z2 + 2z)

z2 + 2z + 2

non è adatta a descrivere la situazione di una galassia lontana, trascinata dalla generaleespansione dell’Universo, perché il suo non è un moto nello spazio, ma un moto di espan-sione dello spazio stesso. Quindi la legge di Hubble può essere applicata direttamente perricavare la distanza delle galassie solo per piccoli valori di red shift, ricavando la velocitàcon la (1) e usando il valore della costante di Hubble attuale H0 per dedurre la distanza,mentre per alti valori di red shift possiamo ricavare la distanza della galassia solo con ilprocedimento più complesso che abbiamo messo a punto nelle precedenti puntate di questarubrica. Dalla conoscenza di tale distanza è ora possibile dedurre la velocità di allonta-namento della galassia, procedendo in pratica in senso inverso rispetto a quanto si fa perpiccoli valori di red shift. Il punto di partenza è naturalmente la legge di Hubble, riscrittanella sua forma di previsione teorica del modello cosmologico standard:

v(t) = H(t)D(t)

dove tutti i termini che vi compaiono dipendono dal tempo cosmico t in cui si intendeapplicarla. Poiché il tempo cosmico non è una grandezza direttamente osservabile, dovremo,come al solito sostituirlo con il corrispondente valore di red shift, riscrivendo la legge nellaforma:

v(z) = H(z)D(z)

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per evidenziare la dipendenza dal red shift. Introducendo in questa formula gli appropriativalori della distanza e della costante di Hubble, otterremo quindi la corrispondente velocitàdella galassia. La distanza D che dobbiamo usare è naturalmente la distanza della galassiada noi, misurata lungo le geodetiche dello spazio, cioè quella che abbiamo chiamato distanzaradiale. Se usiamo il valore di questa distanza all’epoca attuale (che abbiamo indicato conDR) e il valore attuale della costante di Hubble H0, otterremo quindi la velocità dellagalassia all’epoca attuale:

v0 = H0DR

Nel foglio elettronico che abbiamo costruito la distanza DR è calcolata per diversi valoridi red shift e quindi possiamo facilmente costruire un grafico che mette a confronto leprevisioni delle tre formule (1), (2) e (4), come nel [GRAFICO 1]. Si vede che le tre velocitàsono praticamente coincidenti per piccoli valori di red shift, come ci aspettavamo, mentredivergono notevolmente per valori alti. La formula (1) dà una velocità di allontanamentomaggiore della velocità della luce c per z > 1, mentre la formula relativistica (2) ci daràsempre valori di velocità minori di c. La formula corretta (3) prevede invece velocità diallentamento maggiori di quella della luce per valori di red shift che dipendono dalla velocitàdi espansione dell’Universo, e quindi dal valore dei parametri cosmologici introdotti nelmodello. Se vogliamo ottenere la velocità che aveva la galassia all’epoca in cui partironoda essa i fotoni che ora riceviamo, dobbiamo sostituire nella formula (3) la distanza dellagalassia da noi all’epoca in cui ha emesso la luce che è data da:

D(zemis.) =DR

1 + zemis.

perché 1+z è per definizione i rapporto tra le distanza misurate all’epoca attuale e all’epocaz. Naturalmente dovremo anche usare nel calcolo il valore della costante di Hubble all’epocacorrispondente, che è già calcolato nel nostro foglio elettronico. In modo analogo potremousare la formula (3) per calcolare la velocità di allontanamento di una galassia che ha emessola luce che ora riceviamo al red shift z1, a qualunque epoca caratterizzata da un red shiftz (indicheremo tale velocità con il simbolo vz1(z)); sostituendo gli opportuni valori si ha:

vz1(z) = H(Z)DR

1 + z

Un esempio numerico servirà a fissare le idee. Consideriamo una galassia con un redshift z1 = 3, e poniamo H0 = 70,ΩM = 0, 3,ΩΛ = 0, adottando quindi il modello diUniverso aperto, senza costante cosmologica. Se introduciamo questi valori nel nostro fogliotroviamo che la distanza radiale della galassia è pari a 5177 Mpc. Sappiamo che questa è lasua distanza attuale, e quindi moltiplicandola per il valore attuale della costante di Hubbleotteniamo la sua velocità attuale:

v0 = H0D0 = 362390km/s = 1, 21c

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La galassia si sta cioè allontanando con una velocità maggiore di quella della luce,mentre la sua velocità all’epoca dell’emissione dei fotoni che ora riceviamo era:

v(z1) = H(z1)D(z1) = 499520km/s = 1, 67c

Un valore maggiore del precedente, come c’era da aspettarsi visto che in epoche remo-te un universo dominato dalla sola materia si espandeva più rapidamente di adesso. Nelgrafico [2] si vede che la velocità della galassia, dall’epoca di emissione dei fotoni a oggi,diminuisce sempre, in accordo con l’ipotesi che la materia presente nell’Universo ne frenal’espansione, ma è comunque sempre maggiore della velocità della luce c. Se nel modellointroduciamo un contributo della costante cosmologica, ponendo ad esempio ΩΛ = 0, 7 eipotizzando quindi uno spazio di geometria euclidea, allora il rallentamento dell’espansioneverrà contrastato. Il grafico [3] rappresenta l’andamento della velocità della galassia in que-sto caso, che raggiunge un valore minimo per un red shift pari a circa 0,68. Ciò significa cheda quell’epoca l’effetto repulsivo della costante cosmologica è diventato dominate, per que-sta galassia, rispetto a quello attrattivo della materia. Notiamo infine che anche in questocaso però la velocità della galassia si mantiene sempre superiore alla velocità della luce, edè facile verificare che lo stesso succede per tutti i valori dei parametri ritenuti ragionevoli,cioè compresi negli intervalli: 0, 1 < ΩM < 1; 0 < ΩΛ < 1; 50 < H0 < 100. Questo fattosembra in contraddizione con le prescrizioni della teoria della relatività ristretta, secondocui nessun corpo e nessun segnale può viaggiare a una velocità maggiore della luce. Ma lacontraddizione è solo apparente perché, come sappiamo la galassia è in effetti ferma nellospazio, mentre è lo spazio stesso che si dilata con quella velocità, e la Relatività Ristrettanon vieta affatto questa possibilità (semplicemente non la prevede). Resta da spiegare comefa un fotone emesso dalla galassia a raggiungerci, vincendo questa espansione. La rispostanon è difficile, ma la rimandiamo alla prossima puntata della rubrica..

R11Le galassie di alto red shift, si allontanano da noi, trascinate dall’espansione cosmica, aduna velocità maggiore di quella della luce. Questo è il risultato cui siamo arrivati nellascorsa puntata di questa rubrica e sappiamo che, per valori ragionevoli dei parametri da cuidipende il modello cosmologico (1 < ΩM < 1, 0 < ΩΛ < 1), questo è vero per ogni epoca:da quando fu emessa la luce che ora riceviamo fino ad oggi. Ma come ha fatto questaluce d arrivare fino a noi, vincendo un moto di espansione superluminale? Per rispondereintuitivamente a questa domanda possiamo servirci di una semplice analogia. Chiediamoa un amico (che impersona la galassia lontana), di tendere un elastico che tratteniamo peruna estremità, allontanandosi da noi, e di porre una formica sull’elastico stesso, facendolacorrere verso di noi. L’elastico rappresenta la distanza che ci separa dalla galassia lontana,che aumenta con l’espansione cosmica, mente la formica è il fotone che è partito dalla ga-lassia e viene verso di noi. Mentre l’elastico si tende (la distanza dalla galassia aumenta) la

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formica si sposta sempre nella nostra direzione, correndo sull’elastico a una certa velocitàche supponiamo costante (il fotone si muove nello spazio alla velocità della luce), e riusciràa raggiungerci solo se a un certo punto la sua velocità sarà maggiore del ritmo di allunga-mento dell’elastico. Ricavare la formula che descrive in modo preciso il moto del fotone èabbastanza semplice (vedi riquadro) e si trova che la distanza a cui si sposta il fotone dopoun piccolo intervallo di tempo ∆t dalla partenza è data semplicemente da:

Dfot.(t+ ∆t) = D(t) + (v − c)∆t

—————————————-RIQUADROVogliamo descrivere il moto di un fotone emesso nella nostra direzione da una galassia

che si trova, al tempo t dell’emissione, a una distanza D(t) da noi. Come al solito tra-scuriamo il moto proprio della galassia nello spazio e immaginiamo che sia ancorata allesue coordinate commoventi, immobile in uno spazio in espansione. Il fotone emesso invecesi muove in quello stesso spazio, allontanandosi dalla galassia e avvicinandosi a noi, e ilsuo moto in tale spazio avviene secondo le leggi della relatività ristretta, con una velocitàcostante pari a c (la velocità della luce). Se l’Universo non si espandesse la situazione sa-rebbe quindi molto semplice: la galassia rimarrebbe sempre alla distanza D = D(t) da noi,mentre il fotone si avvicinerebbe, e la sua distanza dopo un intervallo di tempo ∆t sarebbe:

Dfot(t+ ∆t) = D(t)− c∆t

Sappiamo però che l’universo si espande con una velocità determinata dalla legge di Hubble:e per un intervallo di tempo ∆t abbastanza piccolo possiamo supporre che la velocità diespansione dell’Universo sia costante, così che in questo intervallo di tempo la distanza D(t)aumenta diventando:

D(t+ ∆t) = D(t) + v∆t

nella formula di partenza dobbiamo quindi sostituire questa nuova distanza, per calcolarela distanza del fotone al tempo (t + ∆t), ottenendo esattamente la formula (1). Per po-ter utilizzare questa formula nei nostri calcoli dobbiamo riferire le grandezze al red shiftcorrispondete all’epoca t, ottenendo:

Dfot(z + ∆z) = D(z) + [v(z)− c ∗∆t

e ricordando che: v(z) = H(z)D(z) e che

∆t =∆z

H0E(z)(1 + z)

si ricava:Dfot(z + ∆z) = D(z) +

(D(z)− c

H0E(z)

)∆z

1 + z

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La formula (2) ci dice che il fotone si muove sempre nello spazio alla velocità della luce c,ma la sua velocità “apparente” rispetto a noi al tempo t è espressa dalla differenza

v − c = H(t)Dfot(t)− c = H0E(t)Dfot(t)− c

che, esprimendo le variabili all’epoca t per mezzo del red shift corrispondente, diventa

v − c = H0E(z)Dfot(z)− c

—————————————Sembra quindi è che il fotone, pur movendosi nello spazio sempre con la velocità della

luce c, percorra una distanza fisicamente minore in un universo in espansione rispetto al casostazionario, e la possibilità del fotone di superre la distanza che lo separa da noi, dipendedal segno della differenza (v − c): quando questa differenza è negativa il fotone si avvicinaeffettivamente a noi, quando è positiva si allontana. Sappiamo dalla legge di Hubble chela velocità di espansione è proporzionale alla distanza, dunque il fotone dovrà vincer unavelocità di espansione molto grande quanto è lontano, ma che diminuisce man mano che siavvicina a noi. Inoltre durante il suo viaggio il ritmo di espansione dell’Universo cambia(sappiamo che la costante di Hubble varia nel tempo), e se la velocità di espansione tendea diminuire sempre, come succede in un Universo in cui la costante cosmologica è nulla,allora il fotone sarà dapprima trascinato dall’espansione a distanze maggiori (finché v > c) ,ma prima o poi finirà per trovarsi in un punto dello spazio in cui la velocità di espansione èesattamente uguale alla velocità della luce e da quel momento in poi la sua distanza da noicomincerà a diminuire (quando v < c). La distanza a cui la velocità di espansione uguagliala velocità della luce definisce il raggio di una sfera centrata su di noi che viene chiamata“Sfera di Hubble”, il cui raggio varia nel tempo ed è dato semplicemente da

DH(t) =c

H(t)

Assumendo per la costante di Hubble all’epoca attuale il valore di 70 km/sMpc , si trovache il raggio di Hubble attuale è pari a circa 4286 Mpc, e tutte le galassie che si trovanoa una distanza maggiore di questa si stanno allontanando da noi a una velocità maggioredi quella della luce. Il grafico (G1) illustra il percorso di un fotone emesso da una lontanagalassia, calcolato con il nostro foglio elettronico.

———————INSERIRE FIGURE——————–I valori adottati per i parametri sono: ΩM = 0, 3,ΩΛ = 0, H0 = 70, e la galassia è posta a

red shift z = 5. Il grafico ha un aspetto diverso dal solito perché abbiamo riportato sull’assedelle ascisse il tempo, espresso in miliardi di anni nel passato a partire dall’epoca attuale(Look Back Time), invece del red shift come facevamo di solito. Si noti che la distanza dellagalassia (in giallo), aumenta man mano che l’epoca si avvicina a quella dell’osservazione,

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Page 32: Distanze in cosmologia · 2020. 1. 28. · Distanze in cosmologia Emilio Novati 4 aprile 2014 R1. Quandolalucediunalampadaaincandescenza(unanormalelampadinaafilamento

mentre la distanza del fotone (in blu) dapprima aumenta, fino a quando il fotone stessoattraversa la sfera di Hubble (il cui raggio è indicato in rosso), dopo di ché diminuisce e ilfotone ci raggiunge all’epoca attuale.

Possiamo anche confrontare la velocità di recessione della galassia (che abbiamo giàcalcolato nel nostro foglio elettronico) con quella di un fotone che è partito da essa, allediverse epoche. Il grafico (G3) mostra questo confronto per la stessa situazione illustratanel grafico precedente. Si vede che, mentre la galassia si allontana sempre con una velocitàmaggiore di quella della luce, il fotone ha una velocità positiva (si allontana da noi) finoa una certa epoca, e poi inverte la velocità e comincia ad avvicinarsi, e naturalmenteall’epoca attuale la sua velocità è esattamente uguale a c . L’effetto della costantecosmologica Se la costante cosmologica è diversa da zero la situazione si complica, perchéil suo effetto è di aumentare la velocità di espansione dell’Universo. Così può succedere cheun fotone partito da una lontana galassia non riuscirà mai ad arrivare fino a noi perchédurante il suo percorso non riesce a ridurre la sua distanza fino a incontrare una velocitàdi espansione minore della velocità della luce, oppure perché, anche se riesce dapprimaa penetrare all’interno della sfera di Hubble, ne viene poi risospinto fuori dall’espansioneaccelerata dell’Universo. Queste due situazioni sono illustrate nei grafici (3) e (4).

————–FIGURE————Nel modello usato per costruire (G3) i parametri sono: ΩM = 0, 1,ΩΛ = 0, 9, H0 = 70.

Il grafico rappresenta il percorso di fotoni che partono alla stessa epoca (corrispondente aun red shift z = 5), da galassie che si trovano a diverse distanze (a partire da circa 1300Mpc, con intervalli di 500 Mpc). Il fotone 2 rappresentato dalla linea viola (che al momen-to della partenza si trovava a una distanza di circa 1800 Mpc), arriva a noi esattamenteall’epoca attuale, quello partito dalla galassia più vicina (fotone 1 in blu) è arrivato circa7,4 miliardi di anni fa; gli altri non sono ancora arrivati, ma il fotone 3 (giallo) è entra-to nella sfera di Hubble (il cui raggio è rappresentato in rosso) mentre il 4, partito dallagalassia più lontana ne è ancora ben al di fuori e non arriverà mai, e anzi ha già comin-ciato ad allontanarsi da noi spinto dall’accelerazione dall’espansione dovuta alla costantecosmologica. l grafico (G4) è costruito assumendo un valore ancora più alto della costantecosmologica (ΩM = 0, 1,ΩΛ = 1, 2, H0 = 70). Il fotone che arriva a noi adesso (fotone 2 inviola) è partito da una galassia a red shift z=8, che in questo modello corrisponde a unadistanza radiale di circa 2000 Mpc al momento dell’emissione; il fotone 3 (giallo) partitoda una distanza maggiore (di 500 Mpc), è entrato nella sfera di Hubble, ma ne è uscitocirca 3 miliardi di anni fa perché il raggio di Hubble è diminuito in seguito all’espansioneaccelerata dell’Universo. L’effetto dell’accelerazione è ben visibile sulla posizione del fotone4 (azzurro), partito dalla gaalssia più lontana.

AGGIUNGERE DISTANZA TRA DUE PUNTI

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