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DOCUMENTO 4 Il trattamento conservativo delle LMin e delle LMd

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Introduzione

Da un punto di vista epidemiologico le LM sono accresciute negli ultimi anni, nonostante il fatto che i fattori di rischio siano divenuti mano a mano più chiari e che si siano sempre maggiormente adottati dei protocolli preventivi. Le LMin rappresentano infatti dal 31 al 41% di tutte le football injuries (FI) , mentre al confronto le LMd e lesioni legamentose rappresentano rispettivamente il 16 ed il 18% della totalità delle FI (Ekstrand et al., 2011). Nel calcio l’incidenza delle LMin (lesioni / 1000 ore) è pari a 2.8. (Ekstrand et al., 2011). Nonostante ciò, ad oggi, non esiste un consensus sul trattamento ottimale delle LMin e delle LMd a causa della sostanziale mancanza di evidenza dei trattamenti normalmente proposti (Reurink et al., 2012; Vassallo et al., 2016). Esiste però quantomeno l’esigenza di tracciare delle linee guida che, in mancanza di una chiara evidenza, si basino sul “consiglio di esperti” discusso ed emerso attraverso una Consensus Conference.

Come già precedentemente discusso i processi di riparazione muscolare, per una lesione “tipo”, classificabile come grado II secondo la classificazione AMA, si completano in un periodo di circa tre settimane, durante il quale si susseguono delle tappe biologiche ben precise. Riproponiamo in questo documento le suddette tappe biologiche di riparazione, correlandole ai mezzi terapeutici da adottarsi in conformità al periodo biologico considerato.

Il trattamento del DOMS, DMIF e LMin 0°

Non esistendo in letterature evidenze per ciò che concerne il trattamento conservativo del DOMS, del DMIF e delle LMin 0° si possono proporre solamente delle linee di trattamento basate su consiglio di esperti (livello di evidenza IV). Sinteticamente possiamo riassumere i punti su cui basare un programma riabilitativo come segue:

i. Sospensione o riduzione del carico funzionale sino a remissione totale o parziale della sintomatologia;

ii. Terapia a contrasto;

iii. Idrokinesiterapia;

iv. Termoterapia endogena

v. Massaggio

Proposta di trattamento conforme alle tappe di riparazione biologica tissutale per lesioni da LMin I° in poi.

Come già precedentemente discusso i processi di riparazione muscolare, per una lesione “tipo” classificabile in grado II secondo la classificazione AMA, si completano in un periodo di circa tre settimane durante il quale si susseguono delle ben definite tappe biologiche (prima fase di distruzione, seconda fase di riparazione/rigenerazione e terza fase di rimodellamento)

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Riproponiamo in questo documento le suddette tappe biologiche di riparazione, correlandole ai mezzi terapeutici da adottarsi in conformità al periodo biologico considerato.

Di norma il trattamento di una LMin dovrebbe essere suddiviso in 3 fasi, ognuna delle quali è contraddistinta da un ben specifico quadro di riparazione biologica che, a sua volta, richiede una tipologia di contrazione muscolare ed una tipologia di trattamento altrettanto definite.

Prima fase riabilitativa (compresa tra il 2° ed il 5°-7° giorno post-lesionale)

In questa fase all’interno della zona lesionata si verificano i seguenti cambiamenti biologici (Järvinen et al., 2005; 2014):

Secondo giorno post-lesionale (Figura 1) : le parti necrotizzate delle fibre muscolari sono state rimosse dai macrofagi mentre, nel contempo, è cominciata la formazione, da parte dei fibroblasti, del tessuto connettivo di cicatrizzazione all’interno della zona centrale (CZ).

Terzo giorno (Figura 2) : le cellule satellite (SC) hanno già dato inizio alla loro attivazione che ha luogo all’interno dei cilindri della lamina basale nella zona di riparazione (RZ).

Quinto giorno (Figura 3): i mioblasti si aggregano all’interno dei miotubi della RZ ed il tessuto connettivo della CZ comincia a diventare più denso.

Settimo giorno (Figura 4) : i processi riparativi delle cellule muscolari si estendono al di fuori dei vecchi cilindri della lamina basale sin nella zona CZ ed iniziano a penetrare attraverso la zona cicatriziale.

Considerando che i primi 5-7 giorni post-lesionali sono caratterizzati dal fatto che la CZ (i.e. il gap lesionale) non ha ancora svluppato un tessuto connettivo di cicatrizzazione sufficientemente denso e compatto, il maggior rischio in cui si possa incorrere in questo periodo è che una contrazione muscolare eccessiva, soprattutto di tipo eccentrico, aumenti la già esistente diastasi tra i monconi delle fibre lesionate. Il trattamento dei primi 5-7 giorni post-lesionali dovrebbe quindi prevedere il rispetto dei seguenti punti:

i) Nell’immediato post traumatico è consigliato l’utilizzo del trattamento Rest, Ice, Compression, Elevation, conosciuto con l’acronimo RICE. Sebbene non esista in letteratura un solo randomized clinical trial (RCT) che ne provi l’efficacia (Bleakley et al. 2004; Järvinen et al., 2014), vi sono numerosissime testimonianze scientifiche che avvallano l’appropriatezza delle sue distinte componenti d’intervento, nello specifico per ciò che concerne il principio del riposo (rest) (Bleakley e coll., 2004; Järvinen e coll., 2005), della crioterapia (ice) (Hurme e coll., 1993; Deal e coll., 2002; Schaser e col., 2007), della compressione (compression) (Thorsson e coll., 1997) e dell’elevazione (elevation) (Järvinen e coll., 2014). Per tutta questa serie di motivi, l’utilizzo del trattamento RICE è consigliato nelle prime 48-72 ore post-lesionali (Järvinen e coll., 2014). In casi di LMin particolarmente severi il trattamento RICE può essere integrato con il cosiddetto

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trattamento PRICE1, acronimo nel quale la lettera “P”, significa “protezione” (protection) (Bleakley e coll., 2012). Con il termine di protezione s’intende un breve periodo di immobilizzazione ( di un periodo massimo compreso tra i 4 ed i 6 giorni ) dell’arto leso il cui scopo è quello di favorire la formazione di tessuto connettivo di granulazione all’interno del gap lesionale (Järvinen, 1975; 1976a; 1976b; Järvinen e coll., 2005; 2014). In casi di LMin di particolare severità questo breve iniziale periodo di immobilizzazione premette di prevenire la formazione di eccessivo tessuto fibrotico cicatriziale, nonché di prevenire le recidive lesionali (Järvinen, 1975; 1976a; 1976b; Järvinen e coll., 2005; 2014). Una menzione a parte merita la cosiddetta “crioterapia compressiva” (CC), ossia l’associazione tra il trattamento crioterapico e quello compressivo. La durata della CC dovrebbe essere di circa 15-20 minuti e ripetuta ad intervalli di circa 30-60 minuti per una durata totale di circa 6 ore, questo al fine di ottenere una sostanziale limitazione sia dell’emorragia che della necrosi miofibrillare a livello del sito lesionale (Schaser e coll., 2007). Per quello che riguarda l’entità della compressione occorre tenere presenti i seguenti punti:

1) Una compressione di tipo massimale, ossia dell’ordine di 85 ± 8 mmHg, provoca un immediata cessazione del flusso sanguigno al di sotto dell’area interessata (Smith e coll., 2006).

2) Una compressione di tipo moderato ossia dell’ordine di 40 ± 5 mmHg, riduce il flusso sanguigno di circa il 50% (Smith e coll., 2006).

Si consiglia pertanto di effettuare il bendaggio compressivo e/o la crioterapia compressiva mantenendosi in un range compreso tra i 40 ed i 50 mmHg.

ii) L’utilizzo di farmaci antinfiammatori non steroidei mesenchimali (FANS) è suffragato da alcuni RCT. L’utilizzo di FANS aumenterebbe infatti l’attivazione delle SC durante la fase precoce di rigenerazione del muscolo su modello umano (Mackey e coll., 2016) . O'Grady e coll. (2000) hanno dimostrato come la pre-somministrazione di FANS ( Diclofenac sodium, Voltaren) riduca significativamente i danni muscolari (DOMS) indotti dall’esercizio fisico strenuo. Altri Autori hanno dimostrato come una breve assunzione di FANS nella fase post-traumatica precoce sia in grado di diminuire la reazione cellulare infiammatoria (Järvinen e coll.,1992; Rahusen e coll., 2001) senza comportare complicazioni a riguardo del processo di guarigione, sulle capacità di espressione di forza, sui meccanismi di contrazione muscolare (Järvinen e coll., 1992) e senza ritardare il processo di rigenerazione delle miofibrille (Järvinen e coll., 1992; Thorsson e coll., 1998). Pertanto, l’assunzione di FANS nei primi giorni post-lesionali, soprattutto se in presenza di una LMin di grado medio/severo, può essere considerato come un trattamento medico del tutto giustificato (Järvinen e coll., 1992; Beiner e coll., 1999; Mackey e coll., 2016). Tuttavia, mancano ancora evidenze sui diversi benefici e sui diversi effetti avversi che l’assunzione di FANS non selettivi, di COX 2 o di paracetamolo possano comportare (Jones et al., 2015).

iii) L’uso di corticosteroidi va assolutamente evitato, in quanto comporterebbero un ritardato assorbimento dell’ematoma, un aumento della necrosi delle miofibrille lesionate, un ritardo nei processi di rigenerazione del tessuto muscolare ed una perdita di forza muscolare (Järvinen e coll., 1992; Beiner e coll., 1999).

1Un altro acronimo recentemente introdotto è quello di POLICE il quale significato è P: protection, OL: optimum loading, I: ice, C: compression, E: elevation.

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iv) L’utilizzo di farmaci miorilassanti. Anche se in letteratura, a nostra conoscenza, non esistono studi a favore dell’utilizzo di farmaci miorilassanti nell’ambito della cura delle LMin, il loro utilizzo per ciò che concerne le LM di grado severo - dove la fase di calcium overload e conseguentemente la condizione di contrazione muscolare riflessa siano particolarmente evidenti- apparirebbe giustificato. Infatti, in questi quadri di particolare severità l’utilizzo di farmaci miorilassanti per un periodo di assunzione limitato, potrebbe ridurre, o quantomeno contenere , la fase di auto-aggravamento della lesione stessa. Occorre tuttavia considerare che i farmaci miorilassanti possono presentare alcuni effetti collaterali quali, sedazione ed ipotonia e quindi interferire negativamente con le fasi avanzate del programma riabilitativo. Il loro uso deve essere quindi limitato alle prime fasi del processo ripartivo (Järvinen e coll., 2005).

v) Il riposo e la relativa immobilizzazione per i primi giorni post-lesionali favorisce, ottimizzandola, la formazione da parte dei fibroblasti del tessuto connettivo di cicatrizzazione all’interno della CZ, diminuendo in tal modo il rischio di esacerbazioni lesionali o recidive (Järvinen e coll., 2005; 2007; 2014). Il riposo e la relativa immobilizzazione (i.e il limitare la contrazione muscolare), debbono essere comunque ridotti allo stretto tempo necessario a produrre un tessuto cicatriziale di granulazione sufficientemente compatto per resistere alle prime sollecitazioni meccaniche indotte dalla successiva fase di re-mobilizzazione (Järvinen e coll., 2005; 2007; 2014).

vi) Nelle prime 72 ore post-lesionali vanno evitate le terapie fisiche che inducano endotermia al fine di evitare il possibile aumento di stravaso ematico.

vii) Va altresì evitata ogni forma di massaggio sulla zona interessata dalla lesione. La pratica del massaggio è consentita non prima del competamanto dei processi di guarigione tissutali.

viii) Se presente un eccessivo versamento ematico all’interno della zona lesionata, come mostrato in figura 5, è consigliabile procedere ad un’aspirazione ecoguidata prima dell’organizzazione solida dell’ematoma (Smith e coll., 2006: Järvinen e coll., 2007)

ix) I successivi giorni dovrebbero prevedere solamente delle caute contrazioni isometriche sub-massimali (Järvinen e coll., 2005; 2014). La scelta della contrazione isometrica è giustificata dal fatto che durante la contrazione isometrica non si verifica scivolamento dei miofilamenti e, pertanto, non si produce un macro-cambiamento della lunghezza muscolare, per questo motivo il gap lesionale della CZ non viene strutturalmente sollecitato (Dias da Silva e Gonçalves, 2006). L’intensità delle contrazioni isometriche richieste deve comunque rimanere al di sotto della soglia del dolore (Järvinen e coll., 2005). x) Nei primi giorni post-lesionali è di estrema importanza favorire l’impianto di cellule staminali muscolo residenti (SCMR) all’interno della zona lesionata (Ljubicic e coll., 2005; Efthimiadou e coll., 2006; Bellafiore e coll., 2007). Il processo di impianto SCMR è fortemente dipendente dal processo di angiogenesi del muscolo lesionato, tale processo viene stimolato sia dall’esercizio volontario, che dall’elettrostimolazione neuro-muscolare (NMES) (Ljubicic e coll., 2005; Efthimiadou e coll., 2006; Bellafiore e coll., 2007). Sebbene manchino le evidenze che la NMES

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possa indurre un’accresciuta mobilizzazione delle SCMR, vi è concordanza nel riconoscere che quest’ultima promuova l’angiogenesi, anche se l’esatto meccanismo attraverso il quale il fenomeno si produca resta ancora da delucidarsi definitivamente (Hudlicka e cool., 2002). Per questo motivo l’utilizzo della NMES, promuovendo una precoce angiogenesi nella fase di rigenerazione post-traumatica potrebbe aumentare sia la presenza di SCMR nonché quella di post-natal Muscle Derived Stem Cells (MDSCs) derivanti dall’endotelio vascolare. Alcuni autori infatti hanno avanzato l’ipotesi l’ipotesi che le MDSCs abbiano origine dai vasi sanguigni (Hudlicka e coll., 2002; Asakura, 2003; Peng e Huard, 2004). Per tutta questa serie di motivi l’utilizzo della NMES a scopo vascolarizzante deve essere incoraggiato sino alla fine della fase di rigenerazione, ossia sino a circa la terza settimana post-lesionale (Pomeranz e Heidt, 1993; Quintero e coll., 2009).

Figura 1: secondo giorno post-lesionale

Figura 2: terzo giorno post-lesionale.

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Figura 3 : quinto giorno post-lesionale

Figura 4 settimo giorno post-lesionale

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A

B

Figura 5: importante raccolta ematica a livello del muscolo gemello mediale a seguito di LMin (100x20x15mm; rispettivamente per diametri longitudinale antero-posteriore e latero-laterale) (riquadro A) La stessa zona dopo aspirazione ecoguidata della quota fluida, pari a 15 cc di liquido siero-ematico (riquadro B).

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Seconda fase riabilitativa (compresa tra l’8 ed il 14° giorno post-lesionale)

I criteri di passaggio tra la prima e la seconda fase riabilitativa sono di ordine clinico e di imaging :

Criteri di ordine clinico-funzionale:

i. Risoluzione del gonfiore se pre-esistente

ii. Assenza di sintomatologia algica alla contrazione isometrica massimale

iii. Assenza di dolore ai test di stretching effettuati in modalità passiva iv. Assenza di dolore ai test di stretching effettuati in modalità attiva v. ROM completo delle articolazioni coinvolte

Criteri di imaging:

i. Diminuzione del gap lesionale all’esame US

ii. Presenza di tessuto riparativo di granulazione all’interno della CZ all’esame US.

In questa fase (Figura 6) la zona cicatriziale nella CZ si è ulteriormente condensata e ridotta di dimensioni e le miofibre riparate colmano il gap residuo della CZ stessa (Järvinen e coll., 2005; 2014). Durante questa fase la sintesi delle proteine e dei proteoglicani dell’ECM da inizio al ripristino dell’intergrità del tessuto connettivo di sostegno (Goetsch e coll., 2003). Tra le prime glicoproteine sintetizzate dalla ECM figurano la tenascina-C (TN-C) 2 e la fibronectina3, due glicoproteine con proprietà adesive ed elastiche, che rapidamente si trasformano in super-fibronectina (Qu-Petersen e coll., 2003), una glicoproteina che mostra proprietà adesive ancor maggiori (Wierzbicka-Patynowski e Schwarzbauer, 2003). L’espressione della superfibronectina è rapidamente seguita, in una fase iniziale, da quella di collagene di tipo III ed in seguito da quella del collagene di tipo I, che rimarrà elevata per numerosi giorni (Best e coll., 2001; Yan e coll., 2003). In tal modo, il tessuto riparativo di granulazione all’interno della CZ si condensa in modo altamante efficace in un tessuto composto principalmente da collagene di tipo I (Järvinen e coll., 1993). In questa fase il tessuto di granulazione guadagna quindi in compattezza ed elasticità

2La tenascina-c (TN-C) è una glicoproteina adesiva, costituente della matrice extracellulare. La TN-C è abbondante nella matrice extracellulare degli embrioni dei vertebrati durante il loro sviluppo e riappare nelle ferite in guarigione e nello stroma di alcuni tumori, oltre che in alcuni tipi di tessuto cartilagineo.

3La fibronectina è una glicoproteina dimerica prodotta da molte cellule e tessuti, presente nel tessuto connettivo lasso e in quello denso.

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(Järvinen e coll., 2003a; 2003b). Nonostante ciò, in questa fase, come ancora peraltro nella successiva, i “weak points” della lesione sono rapprentati da (Mueller-Wohlfahrt e coll., 2013):

1) I tessuto cicatriziale immaturo all’interno della CZ.

2) Il tessuto muscolare sano adiacente alla CZ in quanto passibile di sovra-tensionamanto.

Il trattamento della seconda settimana post-lesionale dovrebbe quindi prevedere il rispetto dei seguenti punti:

i. Inserimento di esercitazioni basate sulla contrazione concentrica di tipo isotonico d’intensità progressivamente crescente. Durante una contrazione concentrica di tipo isotonico il ventre muscolare si accorcia in virtù del mioscivolamanto dei filamenti con un espressione di forza relativamante costante e proporzionale al carico esterno. In tal modo la CZ non viene sollecitata in trazione evitando un meccanismo di diastasi dei monconi in fase ri rimaneggiamento/riparazione (Järvinen e coll., 2007).

ii. La contrazione concentrica può essere proposta dapprima con resistenza manuale da parte dell’operatore ed in seguito con apparecchiature isotoniche.

iii. In ogni caso, la fase eccentrica (i.e. negativa) del movimento deve essere ridotta alla minima intensità.

iv. Dal momento che esistono evidenze (Sherry e Best, 2004) sul fatto che un protocollo riabilitativo a seguito di LMin che preveda l’inserimento di esercitazioni mirate al rinforzo della muscolatura del tronco (in particola modo muscoli addominali, quadrato dei lombi e paravertebrali) ed alla stabilizzazione del “core”, ottenga un miglior out-come (in termini di diminuzione di recidive e di un più veloce ritorno all’attività sportiva) rispetto ad un programma incentrato solamente sul rinforzo e lo stretching della muscolatura lesionata, si raccomanda di inserire in questa seconda fase un programma di “core stability” d’intensità e difficoltà progressivamente crescenti.

Figura 6: quattordicesimo giorno post-lesionale.

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Terza fase riabilitativa (compresa tra il 14° ed il 21° giorno post-lesionale)

I criteri di passaggio tra la seconda e la terza fase riabilitativa sono di ordine clinico e di imaging :

Criteri di ordine clinico-funzionale:

vi. Assenza di sintomatologia algica alla contrazione concentrica massimale

vii. Assenza di dolore alla contrazione eccentrica sub-massimale

Criteri di imaging:

iii. Sostanziale scomparsa del gap lesionale all’esame US o di RM

iv. Presenza di tessuto riparativo di granulazione compatto all’interno della CZ all’esame US o di RM.

In questa fase (Figura 7) l’intreccio delle miofibre è virtualmente completato con l’interposizione di una piccola quantità di tessuto cicatriziale. La quantità di tessuto cicatriziale è comunque inversamente correlata alla qualità dei processi riparativi/rigenerativi stessi. La fase di rimodellamanto dell’area lesa si può protrarre comunque per un periodo di oltre 60 giorni, in funzione dell’entità anatomica e funzionale del danno stesso. È interessante notare a questo proposito che alcuni Autori hanno mostrato che, nel caso in cui la lesione muscolare si estenda per più del 50% della superficie di sezione anatomica del musclo, la riparazione tissutale completa avviene in un periodo non inferiore alle cinque settimane (Pomeranz e Heidt, 1993 ).

Il trattamento della terza settimana post-lesionale dovrebbe quindi prevedere il rispetto dei seguenti punti:

i) Inserimento di esercitazioni isocinetiche (Järvinen e coll., 2007) seguito da:

ii) Inserimento di esercitazioni a resistenza elastica nella quali la richiesta d’intensità della fase eccentrica sia progressivamente crescente, seguite da:

iii) Esercitazioni prevalentemente basate sulla contrazione eccentrica ad intensità progressivamente crescente.

Dal momento che all’interno della CZ il tessuto cicatriziale ha raggiunto una certa compattezza, diviene di fondamentale importanza cercare di indurre un corretto riallineamento delle neo-fibre in fase di formazione, al fine di evitare che le neo-fibre stesse proliferino con una riallineamento “anarchico” (i.e. ossia totalmente casuale e comunque diverso dall’allineamento delle restanti fibre

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muscolari non interessate dall’evento lesivo), che potrebbe comportare una diminuzione della forza contrattile del muscolo, nonché una difficoltà nello scorrimento mio-fasciale (Järvinen e coll., 2005; 2007; 2014; Bisciotti, 2015).

iv) Il modellamento ed il rinforzo della CZ (che mostra in questa fase delle capacità plastiche ottimali), si ottiene sia attraverso le esercitazioni eccentriche (vedi punto precedente), che grazie all’introduzione, sempre in questa stessa fase, dello stretching (Petersen e Hölmich, 2005). L’introduzione dello stretching deve essere graduale e le esercitazioni non debbono comportare l’insorgenza di dolore. Il tempo di allungamento deve essere inizialmente di 10-15 secondi per poi essere portato ad 1 minuto, al fine di indurre una deformazione plastica durevole e non unicamente transitoria all’interno dell’area in rimaneggiamento strutturale (Bisciotti, 2005; Petersen e Hölmich, 2005).

v) In questa fase si può iniziare l’inserimento della corsa in linea, a patto che la valutazine dinamometrica del gruppo muscolare leso sia ritornata ad almeno il 70% dei valori pre-lesionali o dell’arto controlaterale (Bisciotti, 2015).

vi) Alla fine della terza fase possono essere cautamente introdotte le esercitazioni sport-specifiche (Bisciotti, 2015).

Figura 7: ventunesimo giorno post-lesionale

La durata temporale di ogni fase

Ogni fase ha una durata temporale conforme alla progressione dei processi di guarigione del tessuto muscolare interessato dalla lesione , per questo motivo la durata di ognuna delle tre fasi è direttamente proporzionale alla gravità della lesione. In altre parole, per ogni grado di lesione4 la

4Le lesioni muscolari indirette (LMin) vengono classificate - conformemente a quanto enunciato dalla Ia Italian Consensus Conference sulle linee guida per il trattamento conservativo delle lesioni dell’arto inferiore nello sportivo

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durata di ognuna delle tra fasi sarà variabile. Tale durata temporale deve essere giudicata ad personam conformemente ai criteri clinici, di imaging e funzionali enunciati per il passaggio di fase stesso. Per cui, sia la riabilitazione di una LMin di I°, che quella di una LMin di III° saranno entrambe suddivise in tre fasi, differirà quindi solamente la durata temporale di queste ultime.

Key points reminder

i. Nella fase precoce è consigliato l’uso del principio del RICE o del PRICE. ii. L’uso di FANS può essere giustificato in casi selezionati.

iii. L’uso dei corticosteroidi è sconsigliato. iv. L’uso di farmaci miorilassanti potrebbe avere un suo razionali i utlizzo in casi selezionati. v. L’uso dei farmaci miorilassanti può avere un suo razionale di utilizzo.

vi. L’uso della NMES è consigliato sino alla fine della fase di rigenerazione (terza settimana post-lesionale).

vii. Ogni fase del processo riabilitativo deve essere correlata alla situazione biologica del periodo considerato.

viii. La contrazione eccentrica deve essere introdotta solamente quando la compattezza del tessuto cicatriziale all’interno della CZ ha raggiunto un livello tale da poter resistere alle forza elongative alle quali, durante una contrazione eccentrica, viene sottoposta.

Le terapie strumentali

Di prassi, il percorso fisiochinesiterapico viene complementato da una serie di terapie strumentali, che godono di validazioni tra loro molto eterogenee. Fermo restando che tali terapie debbano essere considerate come adiuvanti al percorso terapeutico inteso nella sua interezza ed assolutamente non come, di per sé, esaustive, di seguito riportiamo ciò che il letteratura è, ad oggi ed a nostra conoscenza, ritrovabile a riguardo delle principali terapie attualmente in uso.

(Bisciotti e Volpi, 2017) - in: dolore muscolare tardivo (DOMS), disordine muscolare indotto da fatica (DMIF), LMin di grado I, IIa; IIb, IIc, III. Le lesioni muscolari dirette (LMd) vengono invece classificate in: LMd di grado lieve (LMd GL), di grado moderato (LMd GM) e di grado severo (LMd GS).

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TECAR terapia. Per ciò che riguarda la terapia di Trasferimento Energetico Capacitivo-Resistivo (TECAR), una diatermia5 (i.e. termoterapia endogena) il cui meccanismo terapeutico si basa sui cambiamenti biologici indotti dall’aumento del flusso sanguigno all’interno del distretto trattato, in letteratura non esistono, a nostra conoscenza, evidenze. Si segnala solamente un case report su modello animale (Lideo e Milan, 2013) che ne riporta l’efficacia e che si baserebbe sui seguenti tre punti:

i. Incremento del microcircolo.

ii. Vasodilatazione.

iii. Incremento della temperature interna.

SCENAR terapia La Terapia Scenar (Self Controlling Energy Neuro Adaptive Regulator) o Neuro-stimolazione Interattiva, è una elettroterapia basata appunto sul principio della neuro-stimolazione interattiva. In altre parole, i produttori dell’apparecchiatura dichiarano che la stimolazione prodotta sia in grado di adattarsi, variando i suoi parametri di funzionamento (intensità, frequenza e lunghezza d’onda), in tempo reale ed automaticamente, in base alle reazioni elettrofisiologiche della parte trattata. In letteratura non esistono, a nostra conoscenza, evidenze sulla sua efficacia nell’ambito dei processi di riparazione/rigenerazione del tessuto muscolare. Da segnalare solamente 4 lavori che ne comprovano l’efficacia nell’ambito della terapia post-chirurgica a seguito di appendicectomia acuta suppurativa (Varakanov et al., 2009), nel trattamento della neuralgia post-erpetica (Ing, 2007) nell’ambito del trattamento dell’ulcera duodenale (Tsimmerman et al., 2006) e nel trattamento delle disfunzioni vescicali neurogene (Lebedev, 1995). In conclusione la SCENAR terapia non trova un suo razionale di applicazione nell’ambito del trattamento conservativo delle LM.

Transcutaneous electrical nerve stimulation (TENS)

La TENS si basa sul controllo e la riduzione del dolore tramite un meccanismo di tipo centrale che riduce l’eccitabilità attivando dei pathway inibitori di tipo centrale. Alcuni studi mostrerebbero la sua efficacia nel ridurre l’iperalgesia indotta dai processi infiammatori a livello muscolare (Ainsworth e coll., 2006; De Santana e coll., 2008). Tuttavia, occorre ricordare che la TENS è solamente in grado di controllare/ridurre la sintomatologia algica e non di migliorare la funzionalità muscolare o di accelerare processi riparativi e rigenerativi del muscolo scheletrico.

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L’elettrostimolazione neuro-muscolare (NMES) La giustificazione dell’utilizzo della NMES nell’ambito dei processi di riparazione /rigenerazione del tessuto muscolare (Ljubicic et al., 2005; Efthimiadou et al., 2006; Bellafiore et al., 2007) è già stata trattata precedentemente. L’ultrasuono terapia (UST).

L’UST grazie al suo effetto termico è teoricamente in grado di ridurre la sintomatologia algica (Draper et al., 1993), aumentare la perfusione tissutale (Lehmann et al., 1966; Minor, 1980), accrescere l’estensibilità del collagene (Rigby, 1964), diminuire lo spasmo muscolare (Fountain et al., 1960), ridurre la rigidità articolare (Chan et al., 1998) e favorire il processo di guarigione tissutale (Dyson e Suckling, 1978). Nell’ambito specifico dei processi di riparazione / rigenerazione del tessuto muscolare vi sono limitate evidenze sul fatto che l’UST sia in grado di aumentare i livelli di basic fibroblasic growth factor (bFGF) e di vascular endothelian growth factor (VEGF) (Reher et al., 1999). Occorre però anche sottolineare il fatto che alcuni studi ne mettono francamente in discussione l’efficacia nel trattamento delle lesioni muscolari (Markert e coll., 2005; Delgado-Diaz e coll., 2011). In ogni caso, l’utilizzo della UST nell’ambito delle lesioni muscolari appare giustificato, se non altro per il fatto che il micro-massaggio tissutale indotto dalle altre frequenze generate dalla UST può generare un effetto antalgico (McBrier et al., 2007). Tuttavia, è importante notare che la UST può inibire l’espressione del mechano-growth factor messenger ribonucleic acid (MGF mRNA ) (McBrier et al., 2007). Il MGF mRNA entra in gioco nel meccanismo di up-regulation dell’ IGF-1. Pertanto, è sconsigliabile la somministrazione di UST nelle prime 24 ore post-lesionali (McBrier et al., 2007). In conclusione, l’UST può essere consigliata, al di là delle prime 24 ore post-traumatiche, nell’ambito del trattamento conservativo delle LM.

Laser terapia

Numerosi studi attestano il fatto che la laser terapia (LT) sia in grado di ridurre il processo infiammatorio a carico del tessuto muscolare lesionato (Cressoni e coll., 2008), di accelerare i processi di rigenerazione / riparazione tissutale stimolando i processi miogenici (Alves e coll., 2014), di ottimizzare il metabolismo ossidativo incrementando la sintesi di ATP (Grossman e coll., 1998; Karu, 1999; Pastore e coll., 2000) e di stimolare la sintesi di RNA e di cicli proteine regolatrici la proliferazione cellulare (Dortbudak e coll., 2000; Renno e coll., 2007). Infine, la LT si mostrerebbe in grado di aumentare l’espressione di VEGF (Silveira e coll., 2013; Martignago e coll.,2014). L’utilizzo della LT nell’ambito della cura delle LM appare quindi giustificato da sufficiente evidenza (De Freitas e coll., 2015).

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L’ipertermia (termoterapia endogena)

La terapia di ipertermia (IT) (diatermia a microonde), aumenta la temperatura dei tessuti profondi sino a raggiungere dai 41 ° ai 45 ° C, grazie all’utilizzo di energia elettromagnetica. L’IT si è dimostrata in grado di stimolare i processi di riparazione tissutale, diminuire la sintomatologia algica, aumentare l’estensibilità tissutale e ridurre la rigidità muscolare ed articolare (Giombini e coll., 2007). Alcuni studi ne indicano l’efficacia anche nel campo specifico dei processi di riparazione / rigenerazione del muscolo scheletrico (Sorrenti e coll., 2000; Giombini e coll, 2001). L’utilizzo della IT nell’ambito della cura delle LM appare quindi giustificato da sufficiente evidenza (Giombini e coll., 2007).

L’ossigenoterapia iperbarica

Alcuni autori hanno proposto nell’ambito della terapia conservativa delle LM l’ossigenoterapia iperbarica (HOT). Best e coll., (1998) mostrarono come la HOT fosse in grado di migliorare ed accelerare i processi di riparazione rigenerazione del muscolo scheletrico, soprattutto se effettuata nella fase precoce del trattamento. Tuttavia, una successiva metanalisi della letteratura non ha comprovato l’esistenza di evidenze a favore dell’efficacia della HOT (Bennett e coll., 2005). Attualmente in letteratura, a nostra conoscenza, vi è una totale mancanza di evidenze sull’efficacia della HOT nel trattamento conservativo delle LM, sia dirette che indirette . Pertanto l’HOT necessita di ulteriori evidenze che ne attestino l’efficacia nel campo della cura delle LM.

Le onde d’urto extracorporee Le onde d’urto extracorporee, ormai superata la cosiddetta “fase pioneristica”, hanno acquisito negli ultimi anni crescente dignità terapeutica in ambito ortopedico e riabilitativo, per la cura di molte patologie dell’osso e dei tendini. Piu’ di recente, il campo di applicazione si è esteso anche a patologie del muscolo di varia origine, pur essendo già applicate con successo sin dalla fine degli anni novanta, per la riduzione dell’ipertono spastico di varia origine (d’Agostino e coll., 2015; Romeo e coll. ,2014). Le onde d’urto extracorporee sono stimolazioni meccaniche (energia acustica), in grado di indurre reazioni biochimiche cellulari, responsabili, in ultima analisi, degli effetti biologici ad oggi noti: modulazione/riduzione dei processi infiammatori, azione antiedemigena, effetto analgesico, stimolo alla produzione di fattori di crescita (angiogenetici, osteogenetici e di altra natura), nonché induzione alla proliferazione, migrazione e differenziazione di cellule staminali, con azione tessuto – specifica (d’Agostino e coll., 2015; Holfeld e coll., 2014; Mittermayr e coll., 2011, Tepekoylu e coll. 2013; Vigano’ e coll., 2016; Mariotto e coll., 2009). E’ possibile affermare che il cosiddetto “modello meccanico” è da considerarsi superato: l’azione delle onde d’urto è spiegabile sulla base di un modello “biologico”, e finalizzata alla “rigenerazione” dei tessuti, verosimilmente con il coinvolgimento del sistema dell’immunità innata, che riconosce nei macrofagi le cellule – chiave per influenzare l’esito di un processo infiammatorio (risoluzione/rigenerazione vs. cronicizzazione/degenerazione). Inoltre, l’effetto “trofico – rigenerativo” indotto dall’applicazione delle onde d’urto extracorporee, non si limita alla rigenerazione di alcuni tessuti (per esempio la pelle, ma non solo), bensì si esplica anche come rimodellamento di fibrosi già esistenti, quindi su tessuto integro o “riparato” (D’Agostino e coll.,

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2015; Sukubo e coll., 2015; Rinella e coll., 2016). Le patologie muscolari di origine post – traumatica, se “lesioni muscolari senza discontinuità”, vengono contemplate fra le “indicazioni relative” al trattamento con Onde d’Urto nelle raccomandazioni della Società Italiana Terapia Onde d’Urto (SITOD) ( www.sitod.it ). Parimenti, le lesioni muscolari del tipo “muscle sprain without discontinuity” sono inserite nelle raccomandazioni del “Consensus Statement on Extracorporeal Shock Waves Treatment” dell’International Society for Medical Shockwave Treatment (ISMST) (Napoli, 12 ottobre 2016) (www.shockwavetherapy.org), piu’ precisamente fra le “Common empirically-tested clinical uses”, nel paragrafo 2 come sotto riportato:

2.3. Muscle Pathologies 2.3.1. Myofascial Syndrome 2.3.2. Muscle sprain without discontinuità Nei testi SITOD ed ISMST di cui sopra non si fa riferimento ad un tipo particolare di lesione, ma, poiché è specificato chiaramente “in assenza di soluzione di continuità delle fibre muscolari”, è possibile deduttivamente includere: DOMS, FIMP ed LMIn 0°. Relativamente all’applicazione delle onde d’urto nelle patologie muscolari di origine post – traumatica, i dati di letteratura sono da considerarsi ancora in fase preliminare, anche se, ad oggi, i risultati sono sicuramente interessanti e promettenti, e giustificano l’interesse all’approfondimento. Fleckenstein e coll. (2017) hanno valutato molto di recente l’effetto di una singola applicazione di onde d’urto focali su DOMS indotto da esercizio fisico di tipo eccentrico, con uno studio randomizzato controllato (46 partecipanti in totale, suddivisi in 3 “bracci”). Anche in tal caso sembra emergere la potenziale azione benefica delle onde d’urto focali, nel ridurre il dolore, aumentare la forza e migliorare la funzionalità muscolare. Benché i risultati debbano essere considerati con cautela, stante il carattere “pilota” di questo studio, le onde d’urto sembrano rappresentare un’interessante opzione terapeutica nel recupero a medio termine (72 h) ed una valida strategia per un più rapido “rientro in campo” (Fleckenstein e coll., 2017). Inoltre, vi sono evidenze sperimentali preliminari sul possibile effetto di rigenerazione da parte delle onde d’urto sul muscolo striato, azione peraltro già nota e comprovata da numerosi studi in vitro ed in vivo (ivi compreso il modello umano) sul muscolo cardiaco affetto da ischemia (Lei e coll., 2013; Abe e coll., 201; Holfeld e coll., 2016). In dettaglio, Zissler and coll. (2017), con un esperimento nel ratto, avrebbero evidenziato come l’applicazione delle onde d’urto può accelerare i processi di rigenerazione del muscolo scheletrico leso, nonostante ulteriori studi siano necessari per codificare timing e protocolli di terapia. In particolare, la lesione muscolare è stata indotta nel quadricipite dei ratti con cardiotossina ed il giorno successivo è stata applicata una singola sessione di onde d’urto (gruppo “trattati” vs. “controlli”). Dalle analisi istologiche ed immunoistochimiche, gli autori descrivono un maggior contenuto nucleare nelle cellule dei muscoli trattati (versus controlli), a 4 e 7 giorni dal trauma; parimenti, viene riportata la presenza di un maggior numero di cellule satelliti attive dal punto di vista mitotico, così come una maggiore espressione di fattori in grado di regolare la mitosi stessa. Già al 4° giorno si è registrata un’attività mitotica delle cellule satelliti doppia rispetto ai controlli. Benché ulteriori studi siano necessari, gli autori sottolineano come le onde d’urto potrebbero essere un metodo efficace per accelerare ed ottimizzare la guarigione muscolare, con particolare riferimento alle lesioni correlate allo sport (Zissler e coll., 2017). Inoltre, già nel 2016, Kisch e coll., sempre nel ratto (26 animali in totale, suddivisi in due gruppi), dopo applicazione di onde

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d’urto focali (ad energia relativamente elevata) su muscolo integro, avevano registrato (mediante tecniche combinate di Laser – Doppler e spettrofotometria) un maggior flusso ematico, ancor più evidente in caso di applicazioni ripetute (tre sessioni ogni 10 minuti), ipotizzando così un ruolo di particolare importanza per questa terapia nelle lesioni muscolari (Kisch e coll. 2016). Le prime esperienze circa l’efficacia delle onde d’urto su patologie muscolari dolorose, non correlate alla spasticità, risalgono al 1999 quando Kraus, in uno studio (trattati vs. controlli), descrisse gli effetti benèfici di questa terapia, a bassa energia, sulla mielogelosi del massetere, correlata a patologie dell’articolazione temporo-mandibolare. In dettaglio, il 64% dei pazienti trattati (singola applicazione, focale, a bassa energia) aveva ottenuto riduzione del dolore e della “contrattura” muscolare, valutabile anche con esame ecografico; il 40 % di questi stessi aveva mostrato un effetto persistente fino a due settimane (Kraus e coll., 1999). Nonostante i risultati preliminari incoraggianti in ambito di onde d’urto e patologie muscolari, solo il trattamento della spasticità, dalle origini ad oggi ha riscontrato interesse crescente e validazione scientifica in progressivo aumento; ciononostante, il trattamento delle lesioni muscolari con onde d’urto, anche in considerazione dei meccanismi d’azione già noti e sopra riportati, si prefigura importante strategia, specie nell’atleta infortunato.Allo stato attuale delle conoscenze, anche per le lesioni muscolari, l’evidenza di efficacia delle onde d’urto è limitata ancora a relativamente pochi casi clinici, in assenza di trials clinici controllati; ciononostante, le onde d’urto si prefigurano come efficace risorsa terapeutica anche in questo ambito, sia per il potenziale biologico di effetto rigenerativo, sia in considerazione della non – invasività e sicurezza della metodica, oltre alla relativa rapidità d’azione.Gli effetti di “rigenerazione” e “rimodellamento” della fibrosi, per azione delle onde d’urto, possono essere poi anche presi in considerazione per la cura degli esiti di una lesione muscolare, in virtù del loro effetto “rigenerativo” anche sulla fibrosi, che ne risulta rimodellata, con regressione del dolore e ripresa della funzionalità. E’ verosimile che l’azione antiflogistica e di modulazione dell’immunità innata sia in grado di dirigere i fenomeni rigenerativi verso una guarigione più “fisiologica”, con ridotta componente fibrosa (D’Agostino e coll., 2015; Sukubo e coll., 2015). Il meccanismo d’azione delle onde d’urto anche per queste patologie (come per la miosite ossificante) è ancora oggetto di studio, anche se è ipotizzabile che l’azione antiinfiammatoria ed analgesica, così come anche un possibile effetto “trofico” sulle fibre muscolari contribuiscano sinergicamente a realizzare gli effetti terapeutici clinicamente evidenziabili. Poiché le esperienze sono da considerarsi ancora in una fase preliminare, anche per le lesioni muscolari post – traumatiche, se ne raccomanda l’applicazione solo dopo diagnosi certa e prescrizione medica, e dopo aver accertato l’assenza di componente liquida in sede di trattamento, nonché sulla base di comprovata esperienza nella pratica clinica delle onde d’urto, ed in associazione a programma riabilitativo.

L’esperienza Giapponese

Alla fine di questo breve excursus sulla validità e l’opportunità delle principali terapie strumentali ad oggi in uso nell’ambito della cura delle LM, vorremmo ricordare come il Giappone abbia, al fine di regolamentare l’utilizzo di tali presidi terapeutici, varato una riforma concernente la “regenerative medecine “ (medicina rigenerativa) e la “cell teraphy” (terapia cellulare) al fine di rendere questa importante ed attuale branca della medicina maggiormente regolamentata, affidabile, e sicura per il paziente. La riforma giapponese si sta attuando tramite l’applicazione del

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“Pharmaceuticals and Medical Devices Act” e del “ Safety of Regenerative Medicine Act”, il cui scopo precipuo è quello di ottimizzare la collaborazione, il dialogo ed il confronto con i partners internazionali (i.e settori di ricerca, industrie, reti commerciali etc) in funzione della massima regolamentazione, efficacia e sicurezza dei prodotti introdotti sul mercato giapponese. Una simile iniziativa sarebbe fortemente auspicabile anche in Italia.

Key points reminders

i. Vi è una sostanziale pochezza di evidenze a riguardo della terapia strumentale nell’ambito della cura delle LM;

ii. Le terapie che godono di una certa evidenza sono : US, LT, NMES, IT;

iii. Le terapie strumentali debbono, in ogni caso, essere considerate alla stregua di terapie adiuvanti, e non più di questo, nell’ambito dei processi di riparazione / rigenerazione delle LM.

iv. Anche in Italia sarebbe auspicabile l’implementazione di un’iniziativa simile alla “Pharmaceuticals and Medical Devices Act” ed al “ Safety of Regenerative Medicine Act” introdotti dal Giappone.

Le terapie mediche

IL percorso fisiochinesiterapico viene complementato da una serie di terapie mediche che, come quelle di tipo strumentale, godono di validazioni tra loro molto eterogenee. Fermo restando che anche le terapie mediche , alla stessa stregua di quelle strumentali, debbano essere considerate come adiuvanti del percorso terapeutico inteso nella sua totalità, di seguito riportiamo ciò che il letteratura è, ad oggi ed a nostra conoscenza, ritrovabile a riguardo delle principali terapie attualmente in uso.

L’utilizzo di FANS

L’opportunità dell’utilizzo di FANS è stata già discussa all’inizio del documento. In ogni caso, l’assunzione di FANS nei primi giorni post-lesionali, soprattutto se nel caso di una LMin di grado medio/severo, può essere considerato come un trattamento medico del tutto giustificato (Järvinen e coll.,1992; Beiner e coll., 1999; Mackey e coll., 2016). Ricordiamo che, in ogni caso, mancano ancora evidenze sui diversi benefici e sui diversi effetti avversi che l’assunzione di FANS non selettivi, di COX 2 o di paracetamolo possano comportare (Jones e coll., 2015).

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L’utilizzo di farmaci analgesici

Il farmaco analgesico di maggior utilizzo è rappresentato dal paracetamolo. Il paracetamolo agisce a livello del sistema nervoso centrale, dove l'inibizione della ciclossigenasi (COX) rende ragione dell'effetto antipiretico del farmaco e, solo in parte, dell'effetto analgesico. L’effetto analgesico è infatti legato principalmente all'azione che il paracetamolo esplica su altri sistemi implicati nella modulazione del dolore, come ad esempio quello della serotonina. Non agendo a livello periferico, il paracetamolo non ha attività antinfiammatoria. Alcuni studi consigliano l’uso di analgesici per dolori di modesta intensità nell’ambito dei disordini neuro-muscolari nei primi giorni post lesionali (Oliva e Gallelli, 2010). In conclusione gli analgesici nell’ambito delle lesioni muscolari possono essere utilizzati in caso di dolore di una certa intensità nei primi giorni post lesionali. Tuttavia occorre fare estrema attenzione all’effetto “arma a doppio taglio”.

L’utilizzo dei chelanti del calcio

La chelazione è una reazione chimica in cui solitamente un atomo metallico comportandosi da acido di Lewis viene legato da un reagente detto chelante tramite più di un legame coordinativo (particolare tipo di legame covalente). La struttura del composto risultante vede l'atomo centrale essere circondato a tenaglia dal chelante, come se fosse stretto tra le chele di un granchio, da qui il nome di “chelazione”. La terapia chelante è una terapia farmacologica che sfrutta appunto la chelazione per curare alcune forme di intossicazione dovute a metalli pesanti (il calcio è un metallo alcalino terroso). Una volta chelato, il metallo perde la sua tossicità all'interno dell'organismo e può essere eliminato assieme al chelante. Il più utilizzato e noto dei chelanti è l’acido etil-endiammino-tetracetico (EDTA). L’EDTA sembrerebbe in grado di limitare le alterazioni istopatologiche presenti nel contesto delle lesioni muscolari (Willems e Stauber, 2005). Tuttavia, l’utilizzo dei chelanti del calcio necessita di ulteriori evidenze per poterne consigliare l’utilizzo nell’ambito della cura delle LM

L’utilizzo di corticosteroidi Anche l’uso di corticosteroidi è già stato discusso all’inizio del documento. Ricordiamo comunque che l’utilizzo di tali farmaci va assolutamente evitato in quanto comporta un ritardato assorbimento dell’ematoma, un aumento della necrosi delle miofibrille lesionate , un ritardo nei processi di rigenerazione del tessuto muscolare ed una perdita di forza muscolare (Järvinen e coll., 1992; Beiner e coll., 1999). L’utilizzo di farmaci miorilassanti L’utilizzo di farmaci miorilassanti è già stato discusso all’inizio del documento. In ogni caso, ricordiamo che il loro utilizzo, per ciò che concerne le LM di grado severo, apparirebbe giustificato. Occorre tuttavia considerare che i farmaci miorilassanti possono presentare alcuni effetti collaterali quali, sedazione ed ipotonia e quindi interferire negativamente con le fasi avanzate del programma riabilitativo. Il loro uso deve essere quindi limitato alle prime fasi del processo ripartivo (Järvinen et al., 2005).

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Actovegin© L’Actovegin è un derivato deproteinizzato - ultrafiltrato di siero di vitello proveniente da animali al di sotto gli 8 mesi di età, prodotto da Nycomed GmbH ( Linz, Austria). Il primo studio inerente l’utilizzo dell’Actovegin© nell’ambito della cura delle LM, risale al 1990 (Pfister e Koller, 1990), nel quale gli autori riportarono una riduzione nel tempo di guarigione nei pazienti trattati con Actovegin© rispetto al gruppo di controllo ( 103 casi). E’comunque importante sottolineare il fatto di come lo study design di questo lavoro non fosse molto accurato (mancanza di omogeneità del campione trattato, omissione dei dettagli del trattamento riabilitativo effettuato, diagnosi solamente clinica e non confortata da imaging). In seguito, un secondo studio di Wright-Carpenter e coll. (2004) non suffragò i risultai ottenuti da Pfister e Koller ( 1990), mentre un ulteriore studio di Lee e coll., (2011) ne riportò l’efficacia per ciò che concerneva la riduzione dei tempi di guarigione a seguito di LMin. E’ importante ricordare come l’utilizzo di Actovegin© possa comportare, seppur in rari casi, gravi effetti avversi (Maillo, 2008). Attualmente il farmaco non compare nella lista delle sostanze proibite promulgata dalla WADA (World Anti-Doping Agency’s ), pur tuttavia, in Italia l’Actovegin©, come tutti i farmaci che agiscono sull' ossigenazione del sangue, è vietato in virtù della normativa anti-doping (lo stesso dicasi in Spagna e negli Stati Uniti). Da una disamina dell’attuale letteratura emerge che l’Actovegin© necessiti comunque di ulteriori studi di buona evidenza che ne comprovino l’efficacia nell’ambito della cura delle LM (Orchard e coll., 2008; Lee e coll., 2011). Traumeel© Il Traumeel© è un medicinale omeopatico commercializzato in Italia con il nome di Arnica compositum© (più recentemente con il nome di Hell Traumeels© ), sotto forma di gel o soluzione per iniezione .

Il Traumeel© gel ha la seguente composizione: 10 g di crema contengono: principi attivi: Arnica montana Dil. D30 0,150 g, Calendula officinalis 0 0,045 g, Hamamelis virginiana 0 0,045 g, Echinacea 0 0,015g, Echinacea purpurea 0 0,015 g, Chamomilla recutita 0 0,015 g, Symphytum officinale e radice rec. Dil. D4 (HAB, prescrizione.3a) 0,010 g, Bellis perennis 0 0,010 g, Hypericum perforatum Dil. D6 0,009 g Achillea millefollium 0 0,009 g, Aconitum napellus Dil D1 0,005 g, Atropa bella-donna Dil. D1 0,005 g, Mercurius solubilis Hahnemanni Dil D6 0,004 g Hepar sulfuris Dil. D6 0,0025 g. Altre componenti emulsionante alcol cetilstearico (tipo A), paraffina densa, vaselina bianca, Etanolo 94%(m/m), acqua depurata. Il Traumeel© soluzione per iniezione ha la seguente composizione:

1 fiala da 2,2 ml (= 2,2 g) contiene: componenti attivi dal punto di vista medico – principi attivi –: Calendula Dil. D2 2,2 mg, Belladonna Dil. D2 2,2 mg, Aconitum Dil. D2 1,32 mg, Bellis perennis Dil. D2 1,1 mg, Hypericum Dil. D2 0,66 mg, Echinacea Dil. D2 0,55 mg, Echinacea purpurea Dil. D2 0,55 mg, Symphytum Dil. D6 2,2 mg, Chamomilla Dil. D3 2,2 mg, Millefolium Dil. D3 2,2 mg, Mercurius solubilis Hahnemanni Dil. D6 aquos. 1,1 mg, Hepar sulfuris Dil. D6 aquos. 2,2 mg, Hamamelis Dil. D1 0,22 mg, Arnica Dil. D2 2,2 mg. Le componenti 1-7 sono state nell’ultimo

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livello potenziate con acqua per rendere il composto iniettabile, le componenti 8-10 negli ultimi 2 livelli sempre con acqua per iniezione: Altre componenti: acqua per iniezione, cloruro di sodio.

In letteratura sono ritrovabili studi (RCTs) che ne riportano l’efficacia nell’ambito della riduzione del dolore e del gonfiore a seguito di LMin (Muders e coll., 2016), nella sindrome della cuffia dei rotatori (Vanden Bossche e coll., 2015) e nell’ambito dei traumi distorsivi della caviglia e del ginocchio (Zell e coll., 1989; Bohmer e Ambrus, 1992; Thiel, 1994; Orizola e Vargas, 2007). Il Traumeel© ha anche dimostrato un’efficacia equivalente ai FANS nell’ambito della diminuzione del dolore e nel miglioramento della mobilità articolare a seguito di trauma distorsivo (Birnesser e coll., 2005; Schneider e coll., 2005). Infine, il Traumeel© si è dimostrato un prodotto ben tollerato con scarsi effetti avversi (Arora e coll., 2000; Birnesser e coll., 2005; Schneider e coll., 2005). Tuttavia, essendo un prodotto omeopatico, questa CC esprime comunque una certa perplessità sulla sua efficacia ed auspica che in futuro ulteriori evidenze ne confermino la validità terapeutica.

Losartan©

Il Loosartan© è un farmaco antagonista dell'angiotensina II utilizzato trattamento dell'ipertensione essenziale. Alcuni studi dimostrerebbero che se utilizzato in un periodo tempo compreso tra i 3 ed i 7 giorni su modello murino (Kobayashi et al., 2013) ed in associazione a PRP therapy (Terada et al., 2013) dopo una LMin sia in grado di ridurre i processi fibrotici, favorire i processi di riparazione/rigenerazione tissutale e stimolare l’angiogenesi. Ulteriori e più approfonditi studi dovranno dimostrane l’efficacia e la sicurezza su modello umano.

L’utilizzo di cellule staminali mesenchimali

Le cellule staminali mesenchimali (MSCs) sono di cellule staminali adulte, immature ed indifferenziate e multipotenti, che hanno origine dal mesoderma, il foglietto embrionale della blastocisti tra ectoderma e endoderma e che possono essere estratte dal tessuto adiposo e sinoviale, dal sangue, dal muscolo scheletrico dal cordone ombelicale, dalla placenta e dal midollo osseo (Osborne et al., 2016). Le MSCs sono cellule multipotenti che hanno la capacità di differenziarsi in tipologie cellulari di tipo mesodermico od endodermico in funzione della matrice tissutale (Dimarino e coll., 2013). L’esistenza delle MSCs è stata comprovata a livello del muscolo scheletrico umano (Osborne e coll., 2016). Dobbiamo soprattutto ricordare che sono stati sollevati dubbi sulla possibile insorgenza di formazioni ossee eterotopiche nel contesto di gruppi muscolari trattati con MSCs (Steinert et al., 2012; Grange, 2012; Rothrauff e Tuan, 2014). Oltre a ciò l’Australasian College of Sport and Exercise Physicians, formulando un cambiamento (Osborne e Castricum, 2016) al position statement precedentemente prodotto sull’utilizzo delle MSCs (Osborne et al., 2016), consiglia fortemente di restringerne l’uso solamente all’ambito di rigorosi Clinical Research Trials. Tale raccomandazione nasce dal riscontro di gravi complicazioni insorte a fronte dell’utilizzo delle MSCs (Berkowitz e coll., 2016). Pertanto, l’uso delle MSCs nell’ambito della cura delle LM è attualmente sconsigliato, perlomeno sino a che la peer reviewed literature non ne confermi l’efficacia e la sicurezza terapeutica (Osborne e Castricum, 2016). L’utilizzo dei fattori di crescita piastrinici La metodologia utilizzante i fattori di crescita piastrinici (PRP), si basa sul razionale che i fattori di crescita (GF) contenuti nelle piastrine stimolano la proliferazione di progenitori cellulari del muscolo scheletrico, guidano la differenziazione cellulare e modificano la risposta infiammatoria locale (Hall e coll., 2009). Su questo razionale di applicazione si sono basate le ricerche che hanno

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indagato l’efficacia del PRP nell’ambito delle patologie tendinee (Andia e coll., 2010), cartilaginee (Kon e coll., 2011 ), ossee (Mazzocca e coll., 2012) e muscolari (A-Hamid e coll., 2014). Tuttavia, numerosi problemi, od oggi irrisolti, pongono altrettanti molteplici e consistenti dubbi sulla reale efficacia della PRP therapy (PRPt). Sinteticamente i vari campi di’indagine ancora aperti possono essere così riassunti: La nomenclatura e la classificazione La nomenclatura delle diverse metodologie di PRPt è notoriamente confusa e necessita di una profonda razionalizzazione (Dohan Ehrenfest e coll., 2014), questo nonostante il tentativo di alcuni autori di standardizzarne la classificazione (DeLong e coll., 2012, Dohan Ehrenfest e coll., 2012; Mishra e coll., 2012). Il fatto che ad oggi non esista un consensus classificativo a riguardo della PRPt (Laprade e coll., 2016), rende di fatto impossibile comparare i risultati conseguiti nei diversi studi ritrovabili in letteratura. Nell’ambito della presente CC si sottolinea l’impellente necessità di mettere a punto una classificazione universalmente condivisa concernente tutti i differenti preparati di sangue e plasma autologo facenti parte della PRPt. Standardizzazione e preparazione del prodotto La preparazione delle differenti PRPt soffrono di una eccessiva variabilità; la concentrazione delle piastrine, il loro contenuto in GF, in leucociti ed eritrociti mostrano infatti una variazione intersoggettiva dipendente da fattori intrinseci al paziente, peraltro non ancora ben delucidati (Mazzocca e coll., 2012). Tra questi possiamo ricordare: l’età, il genere, le commorbidità presenti, la concomitante assunzione di farmaci (inclusi i FANS) e lo stato nutrizionale. Nell’ambito di RCT experimental o clinical research vengono utilizzati molteplici combinazioni di storage, centrifugazione ed attivazione, ad oggi vengono utilizzati 17 diversi protocolli commerciali (Andia e Maffulli, 2013). Pertanto, gli effetti delle diverse preparazioni di PRP in funzione delle loro differenti formulazioni non sono ancora ben compresi, aspetto che, ovviamente, compromette fortemente la stesura di efficaci protocolli. Pertanto, nella presente CC si sottolinea la forte necessità di standardizzare la preparazione del prodotto. Le indicazioni specifiche della PRPt Un gran numero di GF e di citochine6 presenti nella PRPt mostrano un comportamento biologico molto eterogeneo, rivelando un effetto negativo in alcuni contesti biologici e positivo in altri. Ad esempio il TGFβ1 mostrerebbe degli effetti positivi di tipo pro-fibrotico nell’ambito della riparazione del tessuto tendineo e legamentoso, mentre mostrerebbe effetti diametralmente opposti nell’ambito dei processi riparativi/rigenerativi del muscolo scheletrico (Li e coll., 2005). Similmente, gli effetti pro-angiogenici del VEGF, che si rivelano fondamentali nell’ambito dei processi riparativi/rigenerativi muscolari, possono avere ripercussioni negative per ciò che concerne i processi di guarigione della cartilagine articolare (Murata e coll., 2008). Pertanto, la piena comprensione dei differenti ruoli che i vari GF e le diverse citochine rivestono nell’ambito dei differenti contesti biologici considerati, rappresenta un punto di fondamentale importanza senza il quale diviene praticamente impossibile stabilire le specifiche indicazioni delle diverse preparazioni di PRPt disponibili. Alcuni aspetti come, ad esempio, il ruolo dei leucociti, ed in particolar modo 6Le citochine sono mediatori polipeptidici, non antigene-specifici, che fungono da segnali di comunicazione fra le cellule del sistema immunitario e fra queste e diversi organi e tessuti.

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dei neutrofili, è ancora fortemente dibattuto (Moojen e coll., 2008; Dragoo e coll., 2012). Pertanto, nella presente CC si sottolinea la forte necessità di ulteriori studi di maggior evidenza atti a chiarire le indicazioni specifiche dei differenti tipi di GF e citochine presenti nelle diverse tipologie di PRPt oggi proposte. Il timing di somministrazione Il timing ottimale di somministrazione del PRP rimane un aspetto sostanzialmente sconosciuto. Alcuni studi suggeriscono di come l’espressione locale dei diversi GF sia unica e dipenda dal tessuto considerato, dalla patologia e dalla cronicità della lesione (Kobayashi e coll., 2006; Otis e coll., 2014). Ogni condizione patologica potrebbe presentare una finestra terapeutica all’interno della quale la PPPt sarebbe in grado di apportare i maggiori benefici, tale finestra potrebbe essere determinata dall’ambiente biomolecolare del sito lesionale (Oh e coll., 2015). Pertanto, nella presente CC si auspica che vengano implementati in futuro ulteriori studi che cerchino di delucidare la cinetica di rilascio ed attivazione delle citochine e dei GF e dei conseguenti metodi di attivazione di questi ultimi in funzione dei diversi tessuti e delle differenti indicazioni cliniche. Pertanto, nella presente CC si sottolinea la forte necessità di ulteriori studi di maggior evidenza atti a chiarire il timing di somministrazione in funzione delle indicazioni specifiche dei differenti tipi di GF e citochine presenti nelle diverse tipologie di PRPt oggi proposte. In tabella 1 sono schematicamente riassunte le diverse variabili teoricamente in grado di influenzare l’intervento e l’efficacia dei GF somministrati nella PRPt. VARIABILE DESCRIZIONE

Donatore Età

Genere Commorbidità Concomitante assunzione di farmaci (inclusi i FANS) Stato nutrizionale Cronicità della lesione

Processo di preparazione del prodotto Tipologia del prelievo Condizioni di conservazione Protocolli di attivazione

Somministrazione Protocolli di somministrazione Timing di somministrazione in relazione all’isolamento dei GFs Timing di somministrazione in relazione al protocollo di attivazione.

Tabella 1 : le diverse variabili teoricamente in grado di influenzare l’intervento e l’efficacia di GF somministrati nella PRPt.

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Key point reminders

i) Da una disamina dell’attuale letteratura emerge che l’Actovegin© necessiti comunque di ulteriori studi di buona evidenza che ne comprovino l’efficacia nell’ambito della cura delle LM.

ii) Nonostante le modeste evidenze, essendo il Traumeel© un prodotto omeopatico, questa CC

esprime comunque una certa perplessità sulla sua efficacia ed auspica che in futuro ulteriori evidenze ne confermino la validità terapeutica.

iii) L’uso delle MSCs nell’ambito della cura delle LM è attualmente sconsigliato, perlomeno

sino a che la peer reviewed literature non ne confermi l’efficacia e la sicurezza terapeutica.

iv) Per ciò che riguarda la PRPt si richiedono ulteriori studi inerenti la nomenclatura e la classificazione, la standardizzazione e la preparazione del prodotto, le indicazioni specifiche della PRPt ed il timing di somministrazione.

Il trattamento degli ematomi conseguenti a LMd Le LMd sono di norma meno gravi rispetto alle LMin, nelle LMd infatti la lesione tissutale avviene a causa di un trauma contusivo con un corpo esterno smusso e non, come nel caso di LMin, attraverso un trauma elongativo che provoca una lacerazione in senso longitudinale delle fibre. Per questa ragione, lo stravaso ematico conseguente ad un trauma contusivo non è necessariamente correlato ad una lesione strutturale delle fibre ma può in gran parte dipendere da una semplice lesione dei vasi. (Mueller-Wohlfahrt e coll., 2013). Tuttavia, nell’ambito delle LMd occorre, distinguere tra ematomi intermuscolari, intramuscolari e misti. Gli ematomi intermuscolari (Einter): in tal caso la fascia del muscolo interessato appare lesionata, in tal modo lo stravaso ematico può fuoruscire dal ventre muscolare. Conseguentemente, appare a distanza di poche ore un più o meno evidente (in funzione dell’entità del trauma) ematoma che, a causa della forza di gravità, apparirà distalmente rispetto al zona interessata dalla lesione (Peterson e Renström, 2001). La sintomatologia algica sussiste generalmente per un periodo compreso tra le 24 e le 48 ore, per poi tendere alla risolvenza (Renström, 2003). Gli ematomi intramuscolari (Eintra): in questo caso la fascia muscolare rimane intatta e lo stravaso ematico rimane confinato all’interno del muscolo lesionato (Bird e coll., 1997). Questa situazione causa un aumento della pressione intramuscolare che contrasta il sanguinamento a causa della progressiva compressione che lo stravaso stesso esercita sul letto capillare. Nell’Eintra i segni ed i sintomi rimangono localizzati nel sito lesionale. Il gonfiore può persistere, od incrementare, al di là delle 48 ore post-lesionali, dal momento che la raccolta di sangue all’interno del muscolo produce un gradiente osmotico (Peterson e Renström, 2001). Altri sintomi tipici dell’Eintra sono l’aumento del dolore (soprattutto nei primi 3 giorni) e la perdita della funzionalità muscolare, soprattutto in termini di contrattilità ed estensibilità (Norris, 2000; Renström, 2003). Un cambiamento del colore dell’epidermide può divenire evidente dopo alcuni giorni (Klein, 1990).

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Infine, nell’ ematoma intramuscolare-intermuscolare misto si verifica un quadro anatomo-patologico che presenta caratteristiche proprie ad entrambi i casi descritti precedentemente. Nel caso di un ematoma misto, dopo una prima fase caratterizzata da un aumento temporaneo della pressione dovuto allo stravaso ematico, si può osservare una rapida diminuzione della pressione stessa. La tumefazione dovuta alla fuoruscita ematica compare in genere dopo 24-48 ore, ma non essendosi verificato un repentino aumento della pressione, la tumefazione è solitamente temporanea, il recupero funzionale è piuttosto rapido e la guarigione è di norma completa. Diagnosi Mentre la diagnosi di un ematoma superficiale non comporta particolari difficoltà, quella di un ematoma profondo comporta una complessità diagnostica indubbiamente maggiore. In questo caso l’imaging (US ed RM) si rivela fondamentale ai fini diagnostici. Tuttavia, dal momento che un Eintra continua a svilupparsi per almeno i primi 3 giorni post-lesionali, una diagnosi di certezza con l’ausilio dell’imaging può essere formulata non prima delle 72 ore post-traumatiche (Klein, 1990). Prognosi Gli indicatori di una prognosi favorevole (i.e nel caso di Einter) sono rappresentati da una diminuzione del gonfiore e del dolore, dall’inizio del ripristino della funzionalità muscolare e dall’apparizione di un visibile ematoma entro le prime 24 ore post-lesionali (Klein, 1990). Al contrario, gli indicatori una prognosi sfavorevole (i.e. nel caso di Eintra) sono costituiti da un aumento del gonfiore dopo 24 ore, da una persistenza di quest’ultimo al di là di 48-72 ore, da un aumento dell’intensità algica, da un estensione anatomica della zona dolorosa, da una marcata e progressiva diminuzione della funzionalità in termini di contrattilità ed estensibilità, dal palesarsi di una sensazione di intorpidimento e dalla diminuzione del polso distale (Smith e coll., 2006). Il ritorno all’attività sportiva dipende ovviamente dall’entità del trauma ma può essere compreso tra pochi giorni (nel caso di Einter) ad oltre 10 settimane nel caso di Eintra (Smith e coll., 2006). Il trattamento conservativo Il principio del RICE, eventualmente modificato (nelle Eintra occorre evitare la terapia compressiva onde evitare l’insorgenza di una sindrome compartimentale), trova ampia e giustificata applicazione nell’ambito del trattamento conservativo degli ematomi (Smith e coll., 2006). Non si ravvede invece la necessità di applicazione del principio della “Protezione” (protection) dell’arto leso, al contrario, negli Einter è infatti preferibile una mobilizzazione precoce (Prentice, 2004). Per ciò che riguarda i criteri da applicare per ciò che riguarda la terapia compressiva e quella crioterapia, valgono i parametri precedentemente illustrati nell’ambito delle LMin. Il trattamento conservativo dovrebbe in ogni caso attenersi ai seguenti punti:

i. Come nel caso precedentemente illustrato delle LMin, in presenza di un eccessivo versamento ematico è consigliabile procedere ad un’aspirazione ecoguidata prima dell’organizzazione solida dell’ematoma (Smith e coll., 2006: Järvinen et al., 2007)

ii. Già dal secondo giorno post-lesionale dovrebbero essere iniziate delle caute contrazioni

isometriche, seguite da esercitazioni basate sulla contrazione concentrica (Klein, 1990). Tuttavia, non esistono, a nostra conoscenza, in letteratura RCT che stabiliscano una ben precisa efficacia nei differenti programmi esercitativi proposti.

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iii. Le terapie a contrasto, ossia la somministrazione alternata di caldo e freddo allo scopo di

velocizzare il riassorbimento dell’ematoma (Bisciotti 2013), possono essere iniziate solamente alla fine della fase emorragica, quindi di norma non prima delle 72 ore. Anche in questo caso a nostra conoscenza, non vi sono in letteratura RCT che stabiliscano una ben precisa efficacia dei differenti protocolli.

iv. Il massaggio deve essere assolutamente evitato nei rimi giorni post-lesionali al fine di evitare una

possibile esacerbazione del processo emorragico (Klein, 1990).

v. L’USt non ha ancora in letteratura una sufficiente evidenza che dimostri la sua efficacia nell’ambito del trattamento conservativo degli ematomi.

Key points reminders

i. Le LMd sono di norma meno gravi rispetto alle Lmin.

ii. Einter ed Eintra presentano una netta differenza di prognosi.

iii. Nel trattamento conservativo degli ematomi occorre considerare l’opportunità ed il timing di alcuni interventi terapeutici.

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