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«Italia contemporanea», giugno 1981, fase. 143 Donna, famiglia, amore: questioni di metodo nella recente storiografia Qualche anno fa Marzio Barbagli introducendo l’ampia rassegna di saggi Famiglia e mutamento sociale formulava un incisivo e sintetico bilancio degli studi sulla microstruttura familiare: « 11 crescente interesse degli storici per la famiglia non ha infatti solo prodotto una redistribuzione di quel territorio che era un tempo riserva di caccia di antropologi, sociologi, psicologi e demografi, ma ha fatto sì che i primi riprendessero criticamente categorie e schemi concettuali delle scienze sociali e sta rendendo i secondi sempre più sensibili alla dimensione storica ». Ciò implicava il definitivo superamento delia concezione evoluzionistica della fa- miglia e della presunta funzionalità del modello nucleare allo sviluppo industriale. Il dibattito diventava, invece, assai acceso sull’ipotesi avanzata da P. Laslett e sviluppata dal Cambridge Group for thè Study of Population and Social Structure, per cui nell’Europa nord-occidentale avrebbe prevalso, a partire dal XVI secolo, il modello di famiglia nucleare, ipotesi che veniva dimostrata attraverso una mole poderosa di indagini demografiche, utilizzando come fonti principalmente le liste nominative. La polemica era condotta su più versanti. In particolare in questa sede interessa ricordare le numerose ricerche (M. Anderson, T. Hareven, D.A. Sweetser) che con- futavano la consueta lettura del rapporto tra famiglia nucleare e processo di indu- strializzazione, ma sostenevano la « permanenza » e I'« adattamento » di preesi- stenti modelli di organizzazione familiare in una formazione economico-sociale che mutava. La famiglia era quindi analizzata nelle sue implicazioni demografche, economiche e sociali. L’utilizzazione di sofisticati strumenti d’indagine quantitativa permetteva di ricostruire cicli statistici su variabili significative come il tasso di nuzialità, l’an- damento della fecondità ed ancora, i livelli di mortalità adulta e infantile. Si approfondiva la funzione della famiglia come luogo di produzione e di consumo, nonché di erogatrice e regolatrice del flusso di manodopera per il nascente sistema industriale e, non a caso, la maggior parte delle ricerche ne analizzavano la dina- mica nella fase di transizione dal feudalesimo al capitalismo e nella prima indu- strializzazione. In verità A. Manoukian in Famiglia e matrimonio nel capitalismo europeo, edita precedentemente alla rassegna curata da Barbagli, aveva tentato di allargare il discorso anche alle implicazioni antropologiche, sociologiche e psico- logiche della struttura familiare, intesa come luogo in cui si costruiscono i processi d'identità soggettiva, s'introiettano le norme di comportamento, si strutturano i meccanismi di repressione e divieto e gli atteggiamenti verso l’esterno.

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«Italia contemporanea», giugno 1981, fase. 143

Donna, famiglia, amore: questioni di metodo nella recente storiografia

Qualche anno fa Marzio Barbagli introducendo l’ampia rassegna di saggi Famiglia e mutamento sociale formulava un incisivo e sintetico bilancio degli studi sulla microstruttura familiare: « 11 crescente interesse degli storici per la famiglia non ha infatti solo prodotto una redistribuzione di quel territorio che era un tempo riserva di caccia di antropologi, sociologi, psicologi e demografi, ma ha fatto sì che i primi riprendessero criticamente categorie e schemi concettuali delle scienze sociali e sta rendendo i secondi sempre più sensibili alla dimensione storica ».Ciò implicava il definitivo superamento delia concezione evoluzionistica della fa­miglia e della presunta funzionalità del modello nucleare allo sviluppo industriale. Il dibattito diventava, invece, assai acceso sull’ipotesi avanzata da P. Laslett e sviluppata dal Cambridge Group for thè Study of Population and Social Structure, per cui nell’Europa nord-occidentale avrebbe prevalso, a partire dal XVI secolo, il modello di famiglia nucleare, ipotesi che veniva dimostrata attraverso una mole poderosa di indagini demografiche, utilizzando come fonti principalmente le liste nominative.La polemica era condotta su più versanti. In particolare in questa sede interessa ricordare le numerose ricerche (M. Anderson, T. Hareven, D.A. Sweetser) che con­futavano la consueta lettura del rapporto tra famiglia nucleare e processo di indu­strializzazione, ma sostenevano la « permanenza » e I'« adattamento » di preesi­stenti modelli di organizzazione familiare in una formazione economico-sociale che mutava.La famiglia era quindi analizzata nelle sue implicazioni demografche, economiche e sociali. L’utilizzazione di sofisticati strumenti d’indagine quantitativa permetteva di ricostruire cicli statistici su variabili significative come il tasso di nuzialità, l’an­damento della fecondità ed ancora, i livelli di mortalità adulta e infantile.

Si approfondiva la funzione della famiglia come luogo di produzione e di consumo, nonché di erogatrice e regolatrice del flusso di manodopera per il nascente sistema industriale e, non a caso, la maggior parte delle ricerche ne analizzavano la dina­mica nella fase di transizione dal feudalesimo al capitalismo e nella prima indu­strializzazione. In verità A. Manoukian in Famiglia e matrimonio nel capitalismo europeo, edita precedentemente alla rassegna curata da Barbagli, aveva tentato di allargare il discorso anche alle implicazioni antropologiche, sociologiche e psico­logiche della struttura familiare, intesa come luogo in cui si costruiscono i processi d'identità soggettiva, s'introiettano le norme di comportamento, si strutturano i meccanismi di repressione e divieto e gli atteggiamenti verso l’esterno.

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II problema veniva risolto affiancando contributi disparati: M. Horkheimer, W. Reich, P. Sleiter, F. Ortigues, F. Alberoni e l’immancabile M. Foucault, ma la diversità degli approcci metodologici rendeva di difficile comprensione la interazione tra analisi storiografica ed apporto delle scienze sociali.11 quesito comunque era posto: si trattava di indagare i modi e le forme attraverso cui la formazione economico-sociale contribuiva alla costruzione dell’identità emo­tiva degli individui, come osserva con chiarezza C. Rosemberg nell'introduzione al saggio La famiglia nella storia, che costituisce un primo tentativo di analisi storica su tale problematica. Ed è ancora Rosemberg a precisare: « Noi possiamo, cioè, tentare di definire le particolari scelte che gli individui nei vari stadi della vita si trovavano dinanzi quando cercavano di interiorizzare ruoli di diverso genere per imporre un ordine particolare sul proprio mondo, per esprimere e dar for­ma alle necessità umane fondamentali » Un’ipotesi di storia dei sentimenti sem­bra configurarsi come probabile esito di tale percorso, ma lo studioso scarta tale approdo privilegiando, invece, come campo d’analisi, l’arco di comportamenti possibili in una determinata fase storica all’interno delle diverse classi sociali. L’in­dagine quindi s’incentra non sulle ragioni dell’emotività individuale ma sull’indivi­duazione delle scelte che possono sussistere nell’ambito di comportamenti rigida­mente strutturati, anche perché lo studioso appare perplesso di fronte ai risultati conseguiti dalla psicostoria: « L’ordine in cui queste speculazioni psicogenetiche si succedono è inevitabilmente arbitrario e in ogni caso stenta ad adattarsi ai dati dello storico » 1 2L’analisi della microstruttura familiare acquista, quindi, nuovi significati attraverso una proposta di ricerca che contempera diversi livelli d’indagine: la connotazione socio-economica, le norme che definiscono i ruoli familiari, le differenze di modelli comportamentali nelle varie fasce sociali, i livelli di adesione o di trasgressione possibili sul piano individuale. Una proposta di ricerca ambiziosa per la quale i precedenti approcci di storia della famiglia in chiave economica o quantitativa appaiono insufficienti, anche se utili: « Dove lo storico abbia a disposizione dati quantitativi d’insieme essi divengono una fondamentale condizione per ogni siste­matico tentativo di comprendere le realtà emotive che ne sono alla base » 3.A queste domande tentano di rispondere i diversi saggi che costituiscono l’anto­logia. Il contributo di L. Stone La nascita della famiglia nucleare agli albori del­l’Inghilterra moderna: lo stadio patriarcale continua un discorso già iniziato in altre sedi4 sul processo di sviluppo della famiglia nucleare dal XVI al XVIII se­colo, che comporta un enorme rafforzamento dell’autorità della figura paterna. Le ragioni economiche del mutamento della struttura familiare sono ricercate nella transizione della società inglese dal feudalesimo al capitalismo, che favorì il de­clino della famiglia parentale. Non minore importanza assunse l’influenza culturale del protestantesimo per cui il padre tendeva ad acquisire ruoli e funzioni svolti in precedenza dalla parrocchia; decisivo, infine, il ruolo dello stato che assunse funzioni che erano state proprie dell’organizzazione familiare. I comportamenti erano quindi rigidamente strutturati e il padre decideva su tutte le scelte che inve­stivano la vita dei figli: matrimonio, carriera e istruzione, il che avveniva con an­cora maggiore rigidità nella famiglia aristocratica. Tale modello di relazioni familiari

1 Cfr. c.E. rosemberg, Introduzione storia ed esperienza, in La famiglia nella storia. Compor­tamenti sociali ed ideali domestici, Torino, Einaudi, 1979, p. 6.2 Ibidem, p. 7.3 Ibidem, p. 9.4 Cfr. l . stone, La crisi dell’aristocrazia, Torino, Einaudi, 1972, riportato anche in a. ma- noukian, Famiglia e matrimonio nel capitalismo europeo, Bologna, Il Mulino, 1974, pp. 163-187.

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accentuava la subalternità al marito della donna, a cui veniva meno il sostegno e l’aiuto della famiglia d’origine. Anche su tale aspetto esercitò enorme influenza 1’« etica protestante » che, esaltando il legame coniugale, in realtà formulava un modello di comportamento femminile del tutto subalterno all’autorità del marito. Stone quindi definisce un sistema di relazioni e comportamenti familiari propri delle fasce borghesi ed aristocratiche dell’Inghilterra moderna e difficilmente generaliz­zabili a tutta l’Europa, laddove appare valida l’osservazione di L.K. Berkner, che nota come lo sviluppo della famiglia nucleare inglese sia stato reso possibile dal fatto che « il distacco da una società contadina si era già verificato in Inghilterra alla fine del secolo XVII » s.La possibilità di comportamenti diversificati è, invece, esaminata da D. Owen Hughes in Ideali domestici nella Genova medioevale, che propone un’analisi com­parata dell’organizzazione familiare in due gruppi sociali contemporanei: l’aristo­crazia mercantile e gli artigiani, attraverso l’utilizzazione della documentazione esistente presso gli archivi notarili. Diversa l’organizzazione familiare in quanto tra i mercanti aristocratici era diffuso il modello di famiglia congiunta, tra gli artigiani quello nucleare; diversi anche l’organizzazione della casa, il ruolo della moglie, l’educazione dei figli. Le madri artigiane allattavano i figli a differenza delle donne aristocratiche che li mandavano a balia, i giovani artigiani non erano educati in famiglia, ma inviati presso altre botteghe in qualità di apprendisti, mentre i figli delle famiglie aristocratiche crescevano in casa ed, ancora, la donna artigiana di solito aiutava il marito nel lavoro e perciò godeva in famiglia di credito ed auto­revolezza, mentre un infelice destino toccava alla moglie aristocratica.Le scelte familiari quindi si presentavano diverse a seconda dei gruppi sociali e siregistrava la compresenza di aggregati domestici estesi e semplici. L’analisi della stu­diosa appare efficace nel dimostrare come nell’indagine sulla microstruttura fami­liare siano improponibili generalizzazioni e schematismi e diventa assai puntuale allorché pone in correlazione l’affermazione delle qualità individuali con alcuni eventi del ciclo familiare. Osserva, ad esempio, a proposito dei giovani mercanti aristocratici: « Sia l’eredità piuttosto cospicua che la libertà dal controllo patriarcale, che la morte del padre poteva comportare, incoraggiavano talvolta quell’indipen- dente temerarietà commerciale per la quale i mercanti aristocratici di Genova •— grazie ad alcuni personaggi — sono diventati tanto noti » 5 6.La Owen Hughes pone in sintesi il problema della contemporaneità di scelte e strategie familiari radicalmente diverse nel medesimo contesto storico, mentreL. Stone si era limitato ad osservare i comportamenti familiari all’interno di unospecifico gruppo sociale. Il saggio di J.W. Scott e L.A. Tilly Lavoro femminile efamiglia nell’Europa del X IX secolo costruisce un’ulteriore tessera del discorso, in quanto affronta il problema del rapporto tra mutamento della formazione econo­mica e permanenza di valori e comportamenti tradizionali7. L’analisi s’incentra sul lavoro femminile durante la prima industrializzazione ed, attraverso un con­fronto tra realtà inglese, lombarda e francese, le studiose dimostrano che l’occupa­zione delle donne era indirizzata presso i settori del servizio domestico, del lavoro a domicilio, delle confezioni e delle manifatture tessili.

5 Cfr. l .k . berkner, La famiglia ceppo e il ciclo di sviluppo della famiglia contadina, in m . barbagli (a cura di), Famiglia e mutamento sociale, Bologna, Il Mulino, 1977, p. 129.6 Cfr. D. owen Hu g h es , Ideali domestici, cit., p. 172.7 l .a. tilly e j.w . scott hanno ulteriormente approfondito ed esteso l’indagine sul lavoro femminile nel saggio recentemente edito in Italia Donna, lavoro e famiglia, Bari, De Donato, 1981.

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11 lavoro femminile nell’industria si sviluppò in continuità con l’attività lavorativa che le donne svolgevano nella famiglia contadina nella società preindustriale: « I poveri, gli ignoranti, i più sprovveduti economicamente e politicamente operavano nel passato secondo valori che giustificavano pienamente l’impiego extradomestico delle donne [...]. I valori preindustriali e non una nuova ideologia individualistica giustificavano il lavoro delle proletarie del XIX secolo » 8. Il luogo dove avviene ora la commistione tra permanenza e mutamento è, appunto, la famiglia, dove le donne giovani e nubili erano inviate a lavorare fuori dall’ambiente domestico, anche se continuavano a mantenere molteplici vincoli con la famiglia d’origine. La con­suetudine delle lavoratrici di inviare a casa l’intero salario s’inscrive in tale discorso di continuità e, così anche, può essere intesa la diffusione del servizio domestico in città che offriva maggiori rassicurazioni per la famiglia di provenienza della ragazza-domestica.Medesimo discorso nell’analisi dell’aumento del tasso di illegittimità, che si deter­minò a partire dalla metà del XVIII secolo. Le studiose polemizzano con le inter­pretazioni « ottimistiche » che hanno letto in tale linea di tendenza la nascita del sentimento amoroso contemporaneo e una forte volontà d’emancipazione delle lavo­ratrici, tesi sostenuta, ad esempio, da E. Shorter 9. La permanenza di comportamenti contadini della società preindustriale sarebbe stata, invece, all’origine delle frequenti unioni consensuali da cui nascevano figli illegittimi, che erano molto diffuse tra gli operai per i quali il matrimonio veniva ad essere troppo costoso. Il mutamento si verificò, ma contro le donne, in quanto esse, prive dell'aiuto e del sostegno della famiglia d’origine, erano maggiormente esposte alla possibilità di seduzioni e di abbandoni. Il saggio di L.A. Tilly e J.W. Scott si colloca quindi nel dibattito sulle forme di « adattamento » al processo di industrializzazione della micro-struttura familiare, che viene analizzata attraverso i codici di comportamento, piuttosto che nella sua funzione di erogatrice e disciplinatrice di forza-lavoro l0.La famiglia è ancora al centro del contributo di D. Landes / Bleichröder e i Roth­schild: il problema della continuità nell’azienda familiare; questa volta sono analiz­zati due esempi di grandi famiglie con un ruolo di primo piano nel campo economico e finanziario. Lo studioso indaga sul rapporto tra compattezza dell’organizzazione familiare, elevato senso d’identità e prosperità dell’attività economica. Ancora una volta quindi il problema è di esaminare in che modo un elemento extraeconomico — la solidità del legame familiare — agisca sui processi economici, come, appunto, lo sviluppo o la crisi di iniziative finanziarie o imprenditoriali.L’antologia curata da Rosemberg include inoltre un saggio di W. Eberard La fami­glia di classe elevata nella Cina tradizionale, che prende in esame la permanenza nel lunghissimo periodo della famiglia patriarcale e patrilineare. Il confronto con organizzazioni familiari assai diverse da modelli europei si configura come conferma di una scelta non esclusivamente eurocentrica.

8 l.a. tilly , j .w . scott, Lavoro femminile, cit.. p. 193.9 Cfr. e. shorter, Famiglia e civiltà, Milano, Rizzoli, 1978, in particolare il cap. « L’amore romantico ». Per una puntuale disamina delle implicazioni teoriche dell’analisi di Shorter cfr. la nota di M. d’amelia, Famiglia e mutamento sociale in età industriale, in « Movimento Operaio e Socialista », 1979, n. 2, pp. 255-270.10 Cfr. N.J. sm elser , La rivoluzione industriale e la famiglia operaia inglese, in Economia e società (l. cavalli a cura di). Bologna, Il Mulino, 1972, pp. 308-313; M. anderson, Famiglia e rivoluzione industriale, in m . barbagli (a cura di). Famiglia e mutamento sociale, cit., pp. 13-30; F. ramella. Famiglia e classe operaia: in margine a un convegno, in « Quaderni Storici », 1979, n. 41, pp. 739-745.

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In sintesi tutti i diversi saggi della rassegna hanno come filo conduttore la ricerca di codici di comportamento familiare in specifici contesti socio-economici e l’analisi delle possibilità di scelta esistenti nell’ambito delle diverse classi con la rinuncia, metodologicamente motivata, ad indagare le ragioni dell’emotività individuale. È invece proprio in questo territorio che si addentra J.L. Flandrin con il libro Amori contadini.L’indagine è indirizzata ai comportamenti sessuali ed affettivi del mondo contadino francese in età preindustriale, un mondo, peraltro, « muto », il cui linguaggio è esaminato dallo studioso attraverso l’uso combinato di strumenti d’analisi storici e antropologici. Anche Flandrin ritiene insufficiente un’impostazione prettamente de­mografica: « L’analisi demografica è uno strumento tanto perfetto, tanto conforme al gusto del misurabile tipico delle scienze moderne che rischia di far dimenticare i propri limiti, ma anche 1’esistenza di altre vie d’accesso al comportamento e alle mentalità rurali » Importante, perciò, il discorso sulla molteplicità di fonti adoperate, che rientrano sia nella tradizione orale che in quella scritta. In primo luogo, gli archivi giudiziari e le testimonianze di letterati, ecclesiastici, medici, poi l’ampio repertorio di proverbi e canzoni contadine ed, ancora, l’insieme di rituali folklorici con i connessi, complessi problemi d’interpretazione e d’autenticità. Ne viene fuori un quadro completo ed organico, che tende a sottolineare la diversità delle norme e dei comportamenti contadini rispetto ad altri settori sociali (in parti­colare gli aristocratici), diversità che non viene risolta nell’abusato cliché di una poco probabile « civiltà contadina », ma è ricondotta alla peculiare collocazione di tali settori nei rapporti produttivi e sociali. La famiglia contadina, cioè, condivide con quella aristocratica il rigido principio dell’endogamia nelle strategie matrimoniali ma, a differenza della prima, ha un insieme di interstizi in cui è possibile lo sviluppo di rapporti affettivi tra uomo e donna, che Flandrin indaga, puntualizzando a priori che si tratta, in ogni caso, di forme di sensibilità del tutto diverse da quelle roman­tiche o contemporanee. L’amore esisteva fra gli « umili », e quindi una prima importante conclusione a cui perviene lo studioso, diversa, ad esempio, da quanto ha sostenuto E. Shorter che contesta nella società contadina la possibilità di qual­siasi forma di emotività e su tale base formula uno schema dicotomico con la società capitalistico-industriale, dove invece si avrebbe la libera manifestazione del sentimento 12.Flandrin va a ricercare le tracce degli amours paysannes nelle sentenze degli ar­chivi giudiziari vescovili, da cui risulta che « una buona metà delle coppie del popolo che hanno ottenuto una dispensa si sono realmente amate e frequentate, più0 meno liberamente prima del matrimonio cosa che non si verificava mai con le coppie nobili o borghesi » 13, indaga nei proverbi popolari, che denotano una visione pessimistica ed ironica del sentimento amoroso, lasciando intravedere una saggezza da adulti o da vecchi », nelle canzoni e riesce a definire il modello di donna che1 contadini avrebbero voluto sposare: la futura moglie doveva essere gran lavora­trice, ricca, bella e soprattutto residente nel villaggio.Un sentimento amoroso, si diceva, assai differente da quello romantico e la diver­sità è individuata nell’intenso controllo che la comunità esercitava attraverso le norme e i rituali che regolavano i rapporti tra i due sessi e le forme del corteg­giamento e del matrimonio. Le organizzazioni giovanili maschili, a cui il contadino

n j.l. flandrin, Amori contadini, Milano, Mondadori, 1980, p. 3.12 e. shorter, Famiglia e civiltà, cit-, cap. « Uomo e donna nella società tradizionale ».15 j.l . flandrin, Amori contadini, cit., p. 86.

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verso i venti anni si iscriveva pagando una regolare tassa, regolavano le occasioni d'incontro ed i fidanzamenti nel villaggio ed obbedivano ad un rigido criterio di endogamia. Il controllo della comunità si pone come filo conduttore per compren­dere l’intero arco delle manifestazioni affettive e sessuali del mondo contadino. Lo studioso si addentra in ambiti che a lungo sono state zone oscure della ricerca storica. Ne scaturisce, ad esempio, un quadro della sessualità adolescenziale in gran parte inedito, tutto basato sull’esistenza di livelli di tolleranza da parte della comunità verso forme di sessualità giovanile che non comportassero la possibilità di procreazione. Sullo sfondo una chiesa che, dopo il Concilio di Trento, penetrava sempre maggiormente nelle pieghe del tessuto sociale, apportando mutamenti nei comportamenti e nel sistema di relazione contadini. Indicativo in tal senso il cre­scente controllo dell’autorità ecclesiastica su fidanzamento e matrimonio. Anche il patto di fidanzamento doveva avere la benedizione religiosa, sicché prese ad es­sere contrastata l’abitudine, molto diffusa, di concluderli in osteria.Il controllo della comunità si ripropone sul piano della maternità illegittima, questa volta con una funzione di protezione verso la donna. Molto importante era, in ogni caso, il giudizio che si aveva delle madri, in quanto si registravano livelli diversissimi di solidarietà o di condanna a seconda che esse fossero ritenute donne « oneste » o « pubbliche ». Le donne tendevano a dichiarare molto tardi la mater­nità illegittima quando era impossibile evitarlo, o anche se non si era potuto o voluto ricorrere all’aborto o all’infanticidio. Questi infatti costituivano le uniche possibilità di evitare la procreazione, in quanto, come hanno osservato K. Davis e J. Blake, nella società contadina preindustriale l’elevato tasso di mortalità infan­tile ed il basso livello scientifico impedivano e scoraggiavano qualsiasi diffusione di pratiche contraccettive, per cui si poteva intervenire soltanto durante o dopo la procreazione con l’aborto o l’infanticidio, adoperato per lo più contro i nati donna o deformi 14. La donna che dichiarava la propria maternità illegittima, essen­do vigente la ricerca della paternità, aveva diritto a ricevere le spese di manteni­mento del figlio dall’uomo riconosciuto quale padre: « Fino alla Rivoluzione le ragazze ingravidate con promesse di matrimonio hanno potuto trascinare i loro seduttori davanti ai tribunali [...] se non ottenevano il matrimonio, le ragazze ave­vano legalmente diritto ad un aiuto finanziario immediato » 15.Le trasformazioni che si registravano sulla vicenda delle madri illegittime introdu­cono l’ultima parte del saggio, tutta incentrata sull’analisi dei mutamenti che scon­volsero « il complesso gioco delle costrizioni e delle solidarietà contadine ». La proibizione della ricerca della paternità, sancita dal Codice napoleonico, avrebbe moltiplicato le responsabilità femminili sul piano della maternità ed avrebbe con­tribuito all’aumento delle nascite illegittime. Lo studioso concorda con le conclu­sioni suggerite da L.A. Scott e J.W. Tilly quando osserva che tale tendenza scaturiva da due processi complementari: il progressivo declino del ruolo « protet­tivo » della famiglia d’origine verso la donna giovane e nubile che veniva a lavorare

14 Cfr. K. davis e i. blake, Struttura sociale e fecondità, in Famiglia e mutamento sociale, cit., pp. 235-267. Gli studiosi osservano che tali pratiche erano diffuse anche perché potevano essere effettuate senza alcun contributo da parte dell’uomo. E. Shorter, analizzando le ragioni della diffusione del coito interrotto, nota che esso scaturì anche da una profonda trasformazione della mentalità, conseguente alla nascita del sentimento amoroso, per cui l’uomo partecipava al problema della contraccezione. Cfr. e. shorter. Famiglia e civiltà, cit., cap. « L’amore roman­tico ».15 j.l. flandrin, Amori contadini, cit., p. 198.

in città, ed inoltre la permanenza nei ceti operai di unioni consensuali in cui nascevano figli illegittimi.Flandrin vi aggiunge alcune notazioni più specifiche sul mutamento dei codici di comportamento interpersonali. Due osservazioni sembrano particolarmente acute. In primo luogo le modifiche indotte nel lungo periodo dell’egemonia dell’ideologia cattolica nella società, che comportò, ad esempio, la repressione di forme di sessua­lità non genitale, che, come si è visto, venivano tollerate dalla comunità contadina.I giovani s’indirizzavano sempre più frequentemente verso comportamenti sessuali non codificati dalle tradizioni contadine, che contribuivano all’incremento della natalità illegittima. Questo elemento culturale si combina con il motivo demografico. La diminuzione della mortalità è messa in relazione con l’affermazione di nuovi comportamenti dei figli verso i padri e quindi collegata con resistenza di un conflitto intergenerazionale; « i giovani sono sottomessi ai genitori molto meno che in passato ». Flandrin pone infatti una correlazione tra la tendenza degli adulti a morire in età più avanzata e il ritardo dell’età matrimoniale dei figli primogeniti, tra la diminuita mortalità infantile e l’accresciuto numero dei figli cadetti. Per i giovani il matrimonio diventava così più complicato, di qui lo sviluppo di rapporti sessuali prematrimoniali che favorivano le nascite illegittime.Nell’insieme il saggio dello storico francese costruisce un modello d’analisi che riesce a cogliere i molteplici nessi tra trasformazioni economiche e sociali, anda­mento demografico e comportamenti culturali. Si evita, così, pure il rischio di una storia « tutta interna » del mondo contadino, anche perché costante è il con­fronto tra le consuetudini contadine e le leggi e le norme che regolavano sul piano istituzionale i vincoli matrimoniali e la diversità degli amours payscmnes, vai forse la pena di ribadirlo, è letta in termini di « adattamento », mai di « autonoma ». Comune sia al saggio di Flandrin che all’antologia di Rosemberg è l’attenzione rivolta alla condizione storica delle donne, che si configura non come soggetto privilegiato ma come tessera della microstruttura familiare. La donna, quindi, sullo sfondo della famiglia, dei suoi mutamenti e del suo insieme di relazioni. Questo approccio permette di cogliere un insieme di differenziazioni nella condizione femminile e di superare i limiti di un discorso generico o prettamente ideologico in merito alla subalternità della donna.

II diverso rapporto con l’esperienza lavorativa tra donne contadine, artigiane e aristocratiche, lo sviluppo del sistema familiare nucleare, che accresceva l’autorità dell’uomo-marito e ridimensionava la funzione « protettiva » della famiglia d’ori­gine della sposa, ed, ancora, l’emergere di un’antica tradizione lavorativa negli strati femminili popolari sono tutte tessere di un medesimo discorso che mette in crisi l’ipotesi di un percorso lineare ed evoluzionistico dell’emancipazione femmi­nile, suggerendo una lettura assai più problematica e meno « ottimista » del rapporto donna-lavoro.Gli storici si sono perciò trovati ad affrontare nodi e tematiche di ben più vasto respiro, ponendo al centro dell’indagine non più soltanto il rapporto donna-lavoro o i processi di trasformazione della famiglia, ma l’insieme dei modelli e dei ruoli femminili proposti ed imposti dai sistemi culturali nelle diverse conformazioni sto­riche, nonché i livelli di consenso, interiorizzazione e dissenso che le donne hanno espresso attraverso la totalità dei loro comportamenti e non soltanto nell’ambito dei momenti di ribellione e di lotta.La donna emerge come soggetto storico e la sua storia non si configura come « aggiuntiva », ma tende ad indagare l’intero percorso del rapporto donna-società attraverso la lettura attenta delle forme del potere maschile che si riflettono su

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tutti i livelli, istituzionali e non, dell’organizzazione sociale. Luisa Accati definisce con estrema precisione le implicazioni di tale discorso: « La storia tarda a far sua la distinzione uomini-donne perché è stata ed è, forse dovunque, certo in Italia,la scienza che celebra il potere nel senso più vasto del termine: potere al poteree potere all’opposizione [...]. 11 problema per la storia non è quello d’integrare le conoscenze esistenti con informazioni mancanti sulle donne, quanto, piuttosto,di riconsiderare i fenomeni analizzando le implicazioni ed i significati del ruolosvolto dalle donne » l6 17.È quindi indagato il processo di costruzione dell’identità femminile, non per costruire una storia « intimistica », che lascerebbe insoluto il nesso donna-società, ma per riformulare le ragioni storiche della sua subalternità, proprio a partire dagli ambiti e dai sentimenti ritenuti specifici della condizione femminile, fino a postularne una presunta naturalità astorica. A tali problematiche inizia a rispon­dere il numero 44 (1980) di « Quaderni Storici » dedicato a Parto e maternità: momenti della biografia femminile, che include contributi di studiose italiane e straniere, con impostazioni e metodologie profondamente diverse, ma che sugge­riscono una comune lettura dell’identità femminile a partire da due motivi ricor­renti: il controllo esercitato sulle donne e la pericolosità loro attribuita. Le impli­cazioni più significative di tale approccio ci sembrano due. In primo luogo, le ragioni del controllo e della subalternità femminile sono indagate alla luce di un'egemonia culturale maschile che attraversa tutti gli ambiti istituzionali: leggi, sapere scientifico o dottrina ecclesiastica, che si combina, si incrocia ed in defi­nitiva arricchisce un’analisi dell’oppressione femminile soltanto in chiave struttu­rale socio-economica. Su tale terreno — ed è questo un nodo particolarmente significativo — s’infrange il mito di un’indifferenziata solidarietà femminile, in quanto il sistema di relazioni tra donne non si configura più lineare, ma spezzato e contraddittorio, sia perché le donne stesse possono essere agenti del controllo maschile, sia perché la stessa solidarietà femminile può riempirsi di valenze ed istanze profondamente conservatrici ,7.Le singole ricerche si muovono in spazi temporali assai ampi, andando oltre le consuete cesure tra storia moderna e contemporanea, mettono a confronto la condizione femminile di differenti ambiti regionali con realtà africane ed asiatiche, non per individuare analogie, ma per ricercare, di volta in volta, le forme specifiche dell’oppressione della donna, si avvalgono, infine, di molteplici strumenti di ricerca, storici e antropologici, anche se la scissione tra metodologie e fonti assai diverse non sempre viene superata.Alla condizione femminile neXYancien régime sono dedicati numerosi contributi. 11 mutamento delle forme di controllo dell’onore femminile costituisce il tema del saggio iniziale Onore femminile e controllo sociale della riproduzione in Piemonte tra Sei e Settecento di Sandra Cavallo e Simona Cerutti, in cui sono riproposti motivi e tematiche che già Flandrin aveva esaminato nella società francese.

16 Cfr. L. accati, Introduzione a Parto e maternità: momenti della autobiografia femminile, « Quaderni storici », 1980, n. 44, p. 335.17 Sulle tematiche della solidarietà femminile cfr. il saggio di m . d’amelia, Indefinito Omega. Riflessioni sulla solidarietà e anche i contributi di p. di cori, Storia, sentimenti, solidarietà nelle organizzazioni femminili cattoliche dall’età giolittiana al fascismo e di M. de Giorgio, Metodi e tempi di un’educazione sentimentale: la Gioventù Femminile Cattolica Italiana negli anni venti, in «Nuova dwf. Donnawomanfemme », genn.-giugno 1979, nn. 10-11, in cui sono esaminati i mo­delli di comportamento proposti dalle organizzazioni cattoliche femminili e le ragioni dell’ampio consenso che riscossero tra le donne.

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Le studiose individuano un sistema di relazioni in cui era l’uomo a definire l’iden­tità femminile di donna « onesta » ed « onorata » e tale peculiarità si prolungava nel caso di figli illegittimi, laddove sussistevano precisi doveri paterni anche se non si giungeva al matrimonio. La comunità interveniva nella costruzione di tale identità, principalmente con la funzione di « correggere comportamenti prima che a sancire devianze » 18. Il concetto dell’onore femminile subì lenti ma profondi mutamenti, che scaturivano dall’accresciuta egemonia della chiesa nel tessuto sociale, confermando, anche su tale versante, un processo sul quale appare con­corde l’intera storiografia del periodo. La promessa di matrimonio fu istituziona­lizzata, né furono più tollerati rapporti sessuali prematrimoniali, o convivenze. Tutto ciò contribuì all’affermazione di un sentimento di colpevolezza per e nella donna che procreava figli illegittimi, a cui progressivamente furono attribuiti tutti gli oneri deH’allevamento o la « vergogna » dell’esposizione. In definitiva il saggio delle due studiose appare interessante, piuttosto che per la novità dell’analisi, per la capacità di estendere alla società piemontese dei secoli XVII e XVIII spunti e suggestioni della storiografia straniera, utilizzando un’ampia documentazione tratta dalle « Cause matrimoniali » dell’archivio della Curia arcivescovile di Torino.Più stimolante appare il contributo di Anne Jacobson-Schutte « Trionfo delle don­ne »: tematiche di rovesciamento dei ruoli nella Firenze rinascimentale che ipotizza, attraverso la lettura delle decorazioni dei deschi rinascimentali toscani, la possi­bilità di un ribaltamento dei ruoli femminile e maschile in alcuni momenti della vita della donna. Interessante, si diceva, il percorso dell’indagine, che riesce, attra­verso l’uso di un linguaggio simbolico, quale, appunto, le rappresentazioni di una specifica produzione artistico-artigianale, a puntualizzare alcuni aspetti della condi­zione femminile nei ceti aristocratici. Nella Firenze rinascimentale le donne si sposavano giovanissime con uomini molto più anziani: di qui l’esistenza di miti e leggende sul « giogo d’amore » a cui le spose-fanciulle sottomettevano i maturi mariti, probabilmente espressione di una temporanea condizione di potere delle donne sugli uomini. Una situazione analoga veniva a crearsi quando la donna dopo il parto, che ne accresceva l’autorità e il prestigio nella struttura familiare, poteva usufruire per un po’ di tempo di una condizione di favore, anche perché il neonato era inviato a balia ed essa non era gravata dal peso deH’allattamento. Un ribalta­mento dei ruoli del tutto effimero, che ci restituisce, però, uno squarcio inedito nel quadro di una condizione femminile di generale subalternità.Ancora alla società fiorentina rinascimentale è dedicato il saggio di Christiane Klapisch-Zuber Genitori naturali e genitori di latte nella Firenze del Quattrocento, in cui il discorso si sposta alla figura della balia, il cui ruolo appare complemen­tare alla posizione marginale che occupava la donna nella famiglia aristocratica o, comunque, agiata. Sulla pratica del baliatico in età moderna esiste una vasta lette­ratura, sicché ciò che appare interessante in queste pagine non è tanto la descri­zione delle modalità con cui avveniva l’allevamento dei bambini precedentemente allo svezzamento, quanto alcune notazioni che puntualizzano aspetti non secondari del personaggio balia. La studiosa osserva: « Il baliatico appare proprio come un affare tra uomini » 19 ricordando che in genere le decisioni e gli accordi che riguar­davano tale pratica avvenivano tra il padre del neonato ed il balio, marito o amante

18 Cfr. s. cavallo-s. cerutti, Onore femminile e controllo sociale della produzione in Pie­monte tra Sei e Settecento, in Parto e maternità, cit., p. 360.19 Cfr. c. klapisch-zuber, Genitori naturali e genitori « di latte » nella Firenze del Quattro- cento, ibidem, p. 550.

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che fosse della donna, mentre invece alla madre « di latte » venivano attribuite tutte le responsabilità del bambino in affidamento. Soltanto la donna era ritenuta « colpevole » nel caso questi morisse o — circostanza assai più grave — fosse àllattato mentre la balia era incinta. La diffusione del baliatico è posta dalla Klapisch-Zuber in relazione con un dato statistico — la ravvicinata frequenza delle nascite nella Firenze rinascimentale —, ma soprattutto con l’organizzazione dei tempi di fecondità della famiglia aristocratica che veniva scandita dall’uomo-marito: « Consentendo a sacrifici finanziari importanti l’uomo organizzava così nella vita biologica della moglie degli spazi di riposo non trascurabili » M. Il ruolo della donna restava quindi marginale nell’organizzazione dei ritmi della procreazione, anche per l’ampia influenza che le ragioni e l’ideologia del lignaggio esercitavano tra i certi aristocratici fiorentini. La novità del saggio sembra, quindi, consistere in un’acuta indagine sulle forme della subalternità femminile nel rapporto uomo- donna in entrambi i casi presi in considerazione: genitori naturali e genitori « di latte ».Un primo filone di ricerca, che i saggi indicati delineano, investe in definitiva l’analisi dei ruoli e dei comportamenti femminili in alcuni segmenti della società italiana deU’ancien regime, alla luce dei processi di trasformazione che la attraver­sano. Un secondo motivo conduttore può invece essere ritrovato, come si è già osservato in precedenza, nel tentativo di indagare le forme e le contraddittorietà della solidarietà femminile in ambiti geografici e temporali assai diversificati.Più contributi si muovono in tale direzione, con esiti e soluzioni differenti. Una prima risposta è tratteggiata da Flaviana Zanolla in Suocere, nuore e cognate nel primo Novecento a P. nel Friuli, che si avvale dell’uso di fonti orali attraverso le interviste a cinquantacinque donne anziane di un paesino friulano. Ne viene fuori un quadro in cui nelle relazioni tra donne emergevano contrapposizioni e conflittualità che scaturivano dal ruolo di controllo svolto sull’intera comunità fami­liare da una specifica figura femminile: la « vecia ». Le ragioni- della sua forza nascevano sia dalla diminuzione dell’autorità dell’uomo-marito, a causa della vec­chiaia, sia dal ruolo materno verso i figli maschi. La funzione di madre era quindi lo strumento attraverso cui nella famiglia friulana d’inizio secolo la donna acquisiva prestigio ed autorevolezza. Di qui l’importanza della gravidanza nella vita delle giovani nuore, che soltanto mediante la procreazione riuscivano a definire un proprio ruolo nell’ambito familiare e nel rapporto con il marito. Di qui la mancanza di solidarietà, addirittura di comunicazione, tra donne, durante il mo­mento del parto, che la Zanolla descrive con efficacia attraverso il racconto in dialetto di una delle intervistate 20 21. La solidarietà femminile si frantuma, pertanto, alla luce dei ruoli diversi che le donne esercitano nella struttura familiare, lasciando intravedere un complesso problema di controllo femminile di cui diventavano agenti le donne medesime.Ad una conclusione assai diversa giunge il saggio di Carol MacCormack Parto e continuità del gruppo di parentela: un caso afro-occidentale che, con un taglio più prettamente antropologico, ci restituisce un quadro di una organizzazione socio-economica — l’area Sherbro sulle coste della Sierra Leone — in cui le donne sono compartecipi al sistema di potere attraverso la gestione della sfera della riproduzione. Di qui la presenza di organizzazioni femminili che intervengono in tutto il percorso sessuale e riproduttivo della donna. La studiosa indaga i rituali

20 Ibidem, p. 556.21 Cfr. F. zanolla, Suocere, nuore e cognate nel primo '900, cit., ibidem, p. 438.

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che accompagnano tale iter e si sofferma in particolare sulla pratica della clitoridec- tomia che segna l’iniziazione della fanciulla alla sua identità di donna. Lo schema proposto induce qualche perplessità, confermate da alcune notazioni della stessa introduzione, che investono la riduzione del piacere sessuale femminile implicito in tali rituali. In ogni caso la conclusione suggerita dalla studiosa è che la solida­rietà sussiste e si esplica attraverso la funzione protettiva delle associazioni fem­minili, che sono espressione di un sistema culturale lontano dagli schemi eurocen­trici, nel quale, perciò, l’identità femminile non può essere letta con le consuete categorie di subalternità/oppressione.Problematica infine la risposta della Ros Morpeth in Mortalità delle madri e mortalità delle bambine nel Punjab indiano: un paradosso di una società patriarcale, in cui si pone in relazione un dato demografico — l’alta mortalità femminile sia adulta che infantile — con una condizione di elevata oppressione della donna nel quadro di un’organizzazione familiare segnatamente patrilineare, resa ancor più rigida dalla presenza della suddivisione sociale in caste. In questo contesto sono mortificate tutte le forme di solidarietà; al contrario tra le donne vi sono conflit­tualità che scaturiscono dal ruolo di agente di controllo svolto da alcune peculiari figure femminili: esemplificativo, anche in questo caso, il ruolo della suocera. Il controllo sulle donne si esplica, quindi, anche mediante la frantumazione dei livelli di solidarietà, pur quando questi si limitano ad un ambito meramente pro­tettivo senza esprimere alcuna istanza di ribellione.L’interazione tra controllo sociale delle donne e rottura della solidarietà femminile è pertanto una prima conclusione su cui sembrano concordare i diversi saggi. Complementare a tale livello d’indagine appare un ulteriore nodo tematico che investe l’analisi delle convinzioni scientifiche che influenzano e generano norme di comportamento su cui tendono a plasmarsi i modelli femminili. La rivisitazione dei presupposti ideologico-morali impliciti nella scienza medica e la loro utilizza­zione antifemminile costituisce una problematica tra le più suggestve, anche perché il confronto tra condizione della donna e modelli culturali egemoni elimina ogni ambiguità di storia dell’oppressione femminile intesa come « separata » o « intimi­stica ». Un primo contributo in tale direzione è offerto dal saggio di Ottavia Niccoli Menstruum quasi monstruum, che indaga le ragioni per cui nella seconda metà del ’500, in relazione con l’irrigidimento della morale religiosa, si strutturava e si diffondeva la convinzione sostenuta da argomentazioni pseudomediche per cui la donna che aveva rapporti sessuali durante la mestruazione generava mostri. Interessante è il percorso successivo di tale convinzione che, resa improponibile dal successivo sviluppo della ricerca scientifica, s’incuneava e si sedimentava nella cultura popolare.La medesima tematica è riproposta nel saggio di Giovanna Pomata Madri illegit­time tra Ottocento e Novecento: storie cliniche e storie di vita che costituisce un contributo assai denso di suggestioni22. La figura della madre illegittima viene posta al centro di un’indagine tesa ad esplicitare tutte le forme attraverso cui il sapere medico costruisce un modello di colpevolizzazione e di emarginazione della donna che procrea al di fuori del matrimonio. La realtà dei brefotrofi è il terreno di verifica di tale ipotesi, che trova il suo filo conduttore nel discorso del contagio, in cui si combinavano argomentazioni mediche e condanna morale. La madre illegittima, che nei brefotrofi coincideva con la figura della balia mercenaria, era

22 La studiosa continua un discorso già iniziato in In scienza e coscienza. Donne e potere nella società borghese, Firenze, La Nuova Italia, 1979.

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additata, perciò, quale responsabile del contagio di numerose malattie, in particolare della sifilide, uno spettro che ne confermava l’immagine di prostituta assegnatale dal « senso comune » del tempo.La donna veniva quindi ritenuta colpevole ma, per evitare che interrompesse l’allattamento, non era messa a conoscenza della sua condizione di malata. Colpe- volizzazione ed assoluta carenza di reali strumenti di coscienza sanitaria costitui­vano i due elementi su cui si basava una cultura medica molto solida ed autorevole, bhe tendeva a presentare la maternità illegittima come una forma di devianza, un Sapere medico tanto più forte quanto più debole e precaria era la collocazione di classe delle balie « mercenarie », di cui la Pomata ci offre squarci bellissimi, ricchi di una intensa partecipazione emotiva. La studiosa prosegue un discorso, iniziato già alcuni anni fa da A. Davin per la società inglese23, sul rapporto tra organizzazione statale, scienza medica e controllo sociale delle donne, che costi­tuisce il fulcro di un’analisi lucida, tesa a privilegiare i settori femminili emarginati e, nel medesimo tempo, ritenuti socialmente pericolosi, perché portatori di com­portamenti « devianti ».Nell’insieme i saggi inclusi in Parto e maternità risultano assai ricchi di suggestioni e di stimoli e si configurano come un importante contributo sia nell’ambito della storiografia della donna, che in Italia ha privilegiato l’analisi dei movimenti fem­minili, sia nel panorama della storia della famiglia, che tuttora ha uno sviluppo troppo esiguo24, anche perché l’intera ricerca, pur nella diversità degli indirizzi prescelti, lascia intravedere un robusto apporto delle metodologie di storia sociale. Infine, a conclusione di questa breve nota, è utile ricordare un contributo com­parso recentemente in Italia, che propone un ulteriore passaggio nell’analisi della condizione femminile. Si tratta del saggio di E. Badinter, L'amore in più. Storia dell’amore materno, che pone al centro dell’indagine la genesi e la trasformazione del sentimento di amore materno in un arco temporale molto vasto, ne confuta la presunta naturalità e dimostra, invece, come il rapporto madre-figli abbia avuto forme radicalmente diverse a seconda delle epoche storiche.L’interesse del saggio non è nella tematica che sicuramente, soprattutto nel pano­rama della storiografia francese, non è nuova, ma piuttosto nel tipo di approccio che la studiosa suggerisce. Il percorso si configura molto lineare. Il punto di partenza è l’analisi delle teorie filosofico-teologico-scientifiche sulla maternità nei diversi momenti storici presi in considerazione, per giungere ad indagare come esse abbiano influenzato il « senso comune », femminile e non, contribuendo alla definizione di precise norme di comportamento che disegnano un modello di nor­malità femminile cui le donne non possano trasgredire. Una storia delle idee, dunque, che si risolve in storia della mentalità, avvalendosi in tale percorso dei risultati e delle sollecitazioni della storiografia di segno più prettamente economico- sociale. La studiosa scandisce il discorso in tre fasi: assenza dell’amore materno, che permane per un lungo arco temporale manifestandosi con particolare vivezza nei secoli XVI e XVII; nascita e diffusione del sentimento di maternità, datate sul finire del ’700; identificazione della donna con il ruolo materno, a cui la propa­gazione di massa delle teorie freudiane contribuisce in misura decisiva.

23 Cfr. A. davin, in Maternità e imperialismo, edito in italiano in « Nuova dwf. Donnawoman- femme », gennaio-giugno 1978, n. 6-7, in cui la studiosa affronta le implicazioni nei comporta­menti femminili dei ceti popolari conseguenti alla diffusione dei sistemi educativi eugenetici in­glesi promossi dall’organzzazione statale nel quadro della politica imperialistica.24 Per una panoramica dei principali contributi della storiografia sulla famiglia in Italia cfr. la voce « Famiglia », curata da a. manoukian, in 11 mondo conlemporneo. Storia d'Italia, voi. I, Firenze, La Nuova Italia, 1978, pp. 377-390.

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Come agevolmente si può constatare, sono scansioni un po’ diverse da quelle suggerite da alcuni storici della famiglia, in particolare da Stone per la società inglese e dallo stesso Ariès per la Francia. Esplicitamente la Badinter, analizzando le ragioni della mancanza di amore materno nella società preindustriale, prende le distanze dagli storici che considerano le tendenze demografiche ed, in partico­lare, l’elevata mortalità infantile, le cause più significative.La studiosa accentua il momento — e quindi le responsabilità — della sogget­tività femminile: « Non è perché i bambini morivano come mosche che le madri si disinteressavano di loro. Ma è soprattutto perché le madri si disinteressavano di loro che i bambini morivano come mosche » 25. Le ragioni dell’assenza del senti­mento materno sarebbero così diverse, a seconda della collocazione di classe delle donne. Le aristocratiche obbedivano a un non ben definito « principio del pia­cere », che si poneva in contraddizione con i doveri materni, mentre nelle famiglie dei ceti commerciali ed artigianali le donne partecipavano in più forme al lavoro del marito, che veniva ritenuto nella mentalità del tempo più importante dell’alle­vamento dei figli ed, infine, nei ceti popolari il problema della sussistenza assorbiva tutte le energie familiari rendendo indispensabile e prioritario il lavoro femminile. Il mutamento avveniva sul finire del ’700 nei settori femminili borghesi e si espli­citava nella progressiva diffusione deH’allattamento materno e nel conseguente declino della pratica del baliatico. La studiosa insiste a lungo sulla profonda influenza che esercitò in tal senso la pedagogia russoviana ed acutamente osserva che il sentimento materno definì un’identità ed un ruolo femminile, ritagliò uno spazio — il privato — entro il quale la donna poteva operare e contribuì ad una diversa configurazione dei ruoli familiari.Il mutamento non coinvolse i ceti aristocratici, che continuarono a ricorrere al baliatico, anche se progressivamente prevalse l’abitudine di non inviare il neonato lontano dalla residenza dei genitori, ma di prendere in casa la balia, che poteva, così, essere più agevolmente controllata. Poco convincenti, infine, le notazioni sulla carenza, anche nel lungo periodo, di amore materno tra le donne dei ceti popolari. 11 discorso non investe tanto il problema deH’allattamento materno, che, soprat­tutto nei settori operai, era diffuso, quanto i comportamenti femminili nei primi mesi di vita dei neonati. La scarsa cura delle madri, secondo la Badinter, avrebbe contribuito a determinare le elevate percentuali di abbandoni, gli alti tassi di mor­talità infantile e la diffusissima abitudine di affidare i piccoli ad estranei. La scelta di privilegiare il livello soggettivo dei comportamenti femminili ci porta molto lontano da alcuni nodi che, pure, sono stati indicati dalla storiografia della famiglia operaia, come, ad esempio, le possibilità di adattamento al nascente sistema industriale che permettevano alcune figure femminili della rete parentale, sostituendo la madre operaia nell’allevamento dei figli26. Siamo anche molto lon­tani dalle immagini di sofferenza morale, ma non di estraneità all’esperienza della maternità, che ci restituiscono alcune raccolte di lettere di lavoratrici d’inizio secolo 27.Infine la studiosa si sofferma sull’importanza delle teorie freudiane nella diffusione di un modello di comportamento che ha accresciuto ulteriormente le responsabilità della donna-madre, in quanto, come è noto, è stato posto come centrale il ruolo

25 e . badinter, L ’amore in più. Storia dell'amore materno, traduz. it., Milano, Longanesi, 1981, p. 57.2o M . ANDERSON, Famiglia e rivoluzione industriale, c i t .

27 La vita come non l ’abbiamo vissuta a cura di anna rossi doria, introduzione di V. Woolf,Roma, Savelli, 1980.

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materno nella formazione dell’inconscio infantile. Più che la disamina dell’analisi freudiana, per cui ci si richiama ad alcune sollecitazioni dell’elaborazione femmi­nista, sono stimolanti i riferimenti al ruolo dei mass-media, in particolare la televisione, i quali, con l’ausilio di un linguaggo scientifico, favoriscono la mas­siccia diffusione di uno stereotipo femminile, che, ancora una volta, trovava la propra identità nella maternità. L’analisi della Badinter si conclude in maniera molto problematica, ponendo in luce l’ambivalenza di alcuni comportamenti che sono propri, per Io più, delle donne dei ceti medi, tra cui un percorso individuale di emancipazione attraverso il lavoro si combina con il non-rifiuto del sentimento materno, anche se, sempre più frequentemente, non si esita a mettere in luce gli aspetti faticosi e negativi del rapporto madre-figlio. Un esito di tale processo sarebbe la nascita di un sentimento di amore paterno che riproporrebbe una diversa confi­gurazione dei ruoli maschile e femminile. Una conclusione quindi assai proble­matica, che, in qualche modo, scaturisce dalla ricchezza dell’approccio prescelto. La semplificazione dei processi storici e l’accentuazione della dimensione sogget­tiva dei comportamenti, che ritroviamo qui e là nel saggio, non bastano a can­cellare la fecondità di una proposta di ricerca tesa ad indagare le matrici storiche di un sentimento, quale, appunto l’amore materno, con cui nel lungo periodo si è voluto definire l’intera identità femminile. Rimane il dubbio che la Badinter abbia presente principalmente la realtà di settori femminili borghesi e ciò in misura 'crescente quanto più ci si avvicina al ’900 per cui, invece, l’enorme mole di fonti documentarie disponibili avrebbero permesso di allargare il discorso.Analisi dei mutamenti economico-sociali della famiglia, storia dei comportamenti, storia dei sentimenti28, sembrano essere questi i tre filoni entro cui convergono le recenti acquisizioni della storiografia della famiglia e delle donne. Sicuramente non è semplice cogliere ed esplicitare i nessi tra i diversi livelli d’indagine, ma tale percorso, d’altro canto, si configura come l’unico per non riproporre letture ridut­tive dei molteplici significati e funzioni della microstruttura familiare.

GLORIA CHIANESE

28 Alcune notazioni stimolanti sulla storiografia dei sentimenti si trovano in a. groppi, I sen­timenti e i loro storici, in « Memoria », 1981, n. 1, pp. 53-64.