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1 Quattro incontri di lettura e riflessione tenuti presso il Circolo Politico Culturale Don Luigi Sturzo Via Reich,14 Torre Boldone Ottobre/Novembre 2016 ACLI Bergamo Circoli di R-Esistenza Anno 2016 Riflessioni sul Testo: DONO e PERDONO” di Enzo Bianchi “..Le famiglie, i gruppi, gli Stati, la stessa Comunità internazionale, hanno bisogno di aprirsi al perdono per ritessere legami interrotti, per superare situazioni di sterile condanna mutua, per vincere la tentazione di escludere gli altri non concedendo loro possibilità di appello. La capacità di perdono sta alla base di ogni progetto di società futura più giusta e solidale.” (Giovanni Paolo II)

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Quattro incontri di lettura e riflessione

tenuti presso il

Circolo Politico Culturale Don Luigi Sturzo

Via Reich,14 – Torre Boldone

Ottobre/Novembre 2016

ACLI Bergamo

Circoli di R-Esistenza

Anno 2016

Riflessioni sul Testo:

“DONO e PERDONO”

di

Enzo Bianchi

“..Le famiglie, i gruppi, gli Stati, la stessa Comunità

internazionale, hanno bisogno di aprirsi al perdono per ritessere

legami interrotti, per superare situazioni di sterile condanna

mutua, per vincere la tentazione di escludere gli altri non

concedendo loro possibilità di appello.

La capacità di perdono sta alla base di ogni progetto di società

futura più giusta e solidale.”

(Giovanni Paolo II)

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PERDONO

“Dio perdona tante cose per un’opera di misericordia!”

“….A un tal dubbio, a un tal rischio, gli venne addosso la disperazione più nera, più grave,

dalla quale non si poteva fuggire, neppure con la morte. Lasciò cader l’arme, e stava con le mani

ne’ capelli, battendo i denti, tremando. Tutt’a un tratto, gli tornarono in mente parole che aveva

sentite e risentite, poche ore prima:

“Dio perdona tante cose, per un’opera di misericordia!”

E non gli tornavan già con quell’accento d’umile preghiera, con cui erano state proferite; ma con

un suono pieno di autorità, e che insieme induceva una lontana speranza. Fu quello un momento di

sollievo: levò le mani dalle tempie e, in un’attitudine più composta, fissò gli occhi della mente in

colei da cui aveva sentito quelle parole; e la vedeva, non come la sua prigioniera, non come una

supplichevole, ma in atto di chi dispensa grazie e consolazione”.

( Alessandro Manzoni – I Promessi sposi – Cap. XXI- Conversione dell’Innominato)

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Il nostro gruppo, ormai consolidato e alla terza esperienza di questa bellissima opportunità di

lettura, si ritrova con l’entusiasmo di sempre e, dopo il momento di accoglienza, ci salutiamo e ci

contiamo…

Anna Zenoni, Anna Maffioletti, Mietta Surini, Litty Baido, Luisa Guizzardi, Antonella Festa,

Dolores Gambirasio, Delia Pirola, Valeria Sala, Carla Pievani, Luigi Pievani e, presente con il

cuore e il pensiero, Annalisa Colleoni.

Con il primo incontro iniziano così le nostre riflessioni sul testo

di ENZO BIANCHI:

“DONO e PERDONO”

Primo incontro: 20 Ottobre 2016

Secondo incontro: 27 Ottobre 2016

(dalle 16,00 alle 18,00) ENZO BIANCHI DONO E PERDONO

Due frasi illustri ne scandiscono subito la dimensione umana e insieme quella relazionale: “Il dono

non è sufficiente se non è presente anche il donatore” (M.Lutero) e “C’è una sorta di legge sociale

che fa sì che ciò che non circola muore” (T.Godbout).

Di fronte allo sguardo disincantato dell’autore su molte valenze negative della società odierna –

dominio del mercato, individualismo accentuato, narcisismo, egoismo, egolatria – viene spontaneo

chiedersi, con lui, se oggi è ancora vitale, se ha senso l’arte del donare, e del donare inteso come

costruzione di tessuto sociale. Si può parlare anche oggi di “arte del cuore” a proposito del dono?

Di quest’arte sono evidenti i rischi e le valenze negative: a cominciare dalla constatazione unanime

che è più facile donare ai lontani che non ai vicini. Questo tipo di gesto preserva da coinvolgimenti

relazionali troppo stretti, dal “peso” del mettersi in gioco, dal rischio della durata di una relazione;

può forse tacitare la coscienza, ma trasforma il dono in un atto dovuto che lo snatura della sua

carica primariamente umana: do soldi, ma non do cuore, sguardo, tempo.

Invece il bene – perché tale è il dono – dev’essere fatto bene, con rispetto ed empatia per colui al

quale è rivolto. Ecco allora la constatazione: la capacità di donare è limitata nell’uomo, ma si

apre a dimensioni grandi e autentiche solo se è supportata dalla grazia di Dio, che dilata il

cuore umano e lo rende sensibile e aperto; capace di fare un’offerta di sé e non solo di cose. Perché

donare se stessi è vedere l’altro come indispensabile alla propria pienezza di vita.

Donare, e non semplicemente dare, in un gesto che è unilaterale, non richiede scambio, nasce da

spontaneità e libertà; diventa il “debito buono” dell’amore reciproco (S.Paolo). Il dono è utile, perché ha senso e produce senso: porta a volere il bene dell’altro, genera logiche

diverse di comportamento.

Il dono primariamente passa attraverso la parola, intrisa di fiducia; è dono della presenza, del volto,

dello sguardo, del proprio tempo, come constata, ad esempio, chi segue anziani o ammalati.

Nasce allora la prossimità, che mi fa scoprire me stesso negli altri ed è ancora più autentica se

negli altri si scopre il volto di Cristo. Allora si origina una logica transitiva: l’essenza, la qual ità di

questo dono è così forte e vera che inarrestabilmente si espande, creando maturazione in sé e negli

altri e suscitando il desiderio di imitazione.

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Certo è necessario esercitarsi in quest’arte, è necessaria una continua opera di formazione di sé.

Così come è necessario prendersi dello spazio, riflettere sui propri comportamenti, su ciò che si

poteva fare o dire, e non si è fatto o detto: sulle proprie omissioni.

Ugualmente è necessario uscire da sé, saper mettere da parte, all’emergenza, schemi e programmi

personali per venire incontro all’altro. In tal modo si arriva alla metanoia, alla conversione, e questo

evolvere non deve finire mai.

Questa poesia di Elli Michler, poetessa tedesca recentemente scomparsa, ci aiuta ad apprezzare il

DONO del TEMPO:

TI AUGURO TEMPO (Ich wünsche dir Zeit)

di Elli Michler

"Non ti auguro un dono qualsiasi,

ti auguro soltanto quello che i più non hanno.

ti auguro tempo, per divertirti e per ridere;

se lo impiegherai bene, potrai ricavarne qualcosa.

Ti auguro tempo, per il tuo fare e il tuo pensare, non

solo per te stesso, ma anche per donarlo agli altri.

ti auguro tempo, non per affrettarti a correre,

ma tempo per essere contento.

Ti auguro tempo, non soltanto per trascorrerlo,

ti auguro tempo perché te ne resti:

tempo per stupirti e tempo per fidarti

e non soltanto per guardarlo sull'orologio.

Ti auguro tempo per toccare le stelle

e tempo per crescere, per maturare.

Ti auguro tempo per sperare nuovamente e per amare.

Non ha più senso rimandare.

Ti auguro tempo per trovare te stesso,

per vivere ogni tuo giorno , ogni tua ora come un dono.

Ti auguro tempo anche per perdonare.

Ti auguro di avere tempo,

tempo per la vita".

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“La Madonna della tenerezza”

( Roberto Ferruzzi 1853/1934)

Il DONO di uno sguardo amorevole.

Le riproduzioni di questo olio su tela

vennero collocate nel secolo scorso,

senza conoscerne l’autore, in tantissime

camere da letto, forse anche dei nostri

genitori o nonni. In origine l’autore lo

intitolò: ”La zingarella”, ma venne di

seguito denominato in vari modi. Una

ricerca sulla storia di questo dipinto

risulta molto interessante…

Dono e giustizia. La giustizia non dev’essere distributiva e compensativa, ma primariamente

finalizzata alla persona, alla costruzione di una buona società umana. Il dono e la gratuità non solo

vanno indirizzati verso il singolo, ma estesi a livello di popoli: quest’ultima operazione risulta non

facile e quasi utopistica. Ma l’uomo “o aiuta l’altro o diventa egoista all’estremo” (S.Petrosino).

Anche in questo orizzonte non facile, nonostante tutto bisogna saper scoprire i segni positivi dei

tempi, nell’evolvere del tempo stesso: con la pazienza e la speranza capiremo che qualcosa potrà

cambiare. Un riferimento possibile è quello ai legami di amore, alle relazioni: spesso si

interrompono perché il legame non è stato vissuto come dono.

E’ importante anche avere una consapevole presa di coscienza dei doni ricevuti: quando un dono si

accoglie, va rimesso in circolo, perché si moltiplichi e si espanda.

Il dono è gratuità, con logica transitiva. Imparare a ricevere genera gratitudine.

La salvezza è gratuita , ma questa affermazione recuperata dalla Chiesa di oggi suscita domande su

qualche catechesi storica: la salvezza è dono in cambio di un merito dell’uomo? ( fai questa novena,

compi questo impegno liturgico, elargisci un’elemosina e vedrai avvicinarsi il Paradiso…).

E se non è così, allora hanno ragione i protestanti per i quali conta solo la fede, non le opere?

La questione è molto più complessa. Provando a rispondere, scopriamo che anche il dono, e non

solo il donare, trova il suo senso e la sua dignità nella libertà. Non quando “subisco” un dono (Dio

salva tutti, non impegniamoci oltre), ma quando mi muovo verso di lui, lo scelgo nella libertà e

nell’amore, il dono diventa vitale.

Non è giusto essere soffocati, cancellati da un dono: è giusto incontrarlo, rispondergli, amarlo,

contemplarlo. La contemplazione del dono è fondamentale sia per chi dà, sia per chi riceve: può

suscitare i movimenti dell’anima migliori (gratitudine, stupore, affetto, prossimità, consapevolezza,

dinamismo relazionale…) ed è un incrociarsi, per uno scambio di accettazione profonda, di umanità

buona.

“Il valore di una persona risiede in ciò che è capace di

dare e non in ciò che è capace di prendere”

(Albert Einstein)

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“L’annuncio della nascita di Gesù”

(Giovanni da Fiesole detto il Beato Angelico-

1395/1455)

“Cristo velato: particolare del volto”

(Giuseppe Sanmartino 1720/1793)

Il “DONO” per tutti i Cristiani: la nascita e la morte di Gesù

DONO “Non è tanto quello che facciamo ma quanto amore mettiamo nel farlo. Non è tanto quello che diamo ma quanto amore mettiamo nel dare.”

(M. Teresa di Calcutta)

DONO “La storia della mia anima è la storia del grano. In primavera ero erba al vento, ero fiore, ero gioco e gioia. Allora, mio Dio, vi amai. In estate il mio grano è maturato, e vi ho dato qualche opera. In autunno l’ho perso! Non ho più niente da darvi. Non ho più fiore né grano. Non sono più io né niente che mi rassomigli. Di rottura in rottura, eccomi ridotta in polvere; eccomi grano battuto, farina macinata, eccomi pane impastato, cotto, morso, masticato, distrutto. Non è rimasto niente di me. O mio Dio, non ho più niente da darvi, né fiore, né frutto, né cuore, né opere; più altro che un povero boccone di pane secco. Il vostro pane, come voi siete il mio.”

(Marie Noel (1883/1967), poetessa francese)

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IL PERDONO

Il perdono è un movimento del cuore, della mente, dell’anima e della capacità di relazione in grado

di trasformare radicalmente l’esistenza; per questo non va mai banalizzato, evitando soprattutto due

estremi: il concederlo precipitosamente per superficialità o peggio per ricerca di consenso

gratificante, o invece scartarlo a priori per irrigidimento interiore.

Esso nasce dalle profondità di una memoria non offuscabile, germina attraverso un cuore aperto alla

grazia, matura in un contatto aperto e generoso con l’altro. Analizziamo brevemente questi tre

momenti.

La memoria: è incancellabile – solo Dio può dimenticare – e deve esprimersi non come

risentimento o addirittura come desiderio di vendetta, ma dev’essere lucida e insieme distaccata

presa di visione di quanto è successo, perché poi sia più facile muoversi nel ricomporre le relazioni.

Nella seconda fase la grazia, se ad essa si fa ricorso, sostiene il proposito di non radicalizzare

l’atteggiamento negativo verso l’altro, anzi, accompagna lo sforzo di comprendere le sue ragioni e

quindi di accorciare, se non annullare, le distanze createsi.

Questo lavoro onesto e generoso su se stessi porta, in terza fase, a cambiare il proprio atteggiamento

verso l’altro. Spinge cioè a cercare nuovamente il dialogo o a ricomporre i fili di un tessuto sociale

che si è logorato: nella necessaria, umile consapevolezza che il perdono è un cammino comune, che

riunisce offeso ed offensore sullo stesso piano, pur con responsabilità diverse.

Il guadagno è la serenità ritrovata, l’approfondirsi di un’esperienza che arricchisce in umanità e può

evitare futuri errori simili.

Perdonare con questa consapevolezza non è facile, anzi, è difficile.

Lo è, ad esempio, nella vita quotidiana dei coniugi e nelle relazioni con i figli. Negli scontri in

famiglia forse è opportuno non cercare la soluzione nell’immediato, ma valutare il momento più

adatto a ricomporre armonia e fiducia. Le parole chiarificatrici possono essere anche precedute da

piccoli e semplici gesti eloquenti di riappacificazione, che facciano intuire la non volontà di rottura.

Perdonare è difficile. E’ difficile soprattutto arrivare a benedire e ad amare chi ci ha offeso. Però, se

non esiste la pretesa di arrivarci subito , se vi è l’umiltà di riconoscere che benedire ed amare sono

un percorso e un traguardo che si sviluppano nel tempo, allora benedire ed amare possono essere

soltanto, all’inizio, una piccola preghiera perché il Signore ci aiuti ad arrivare dove a noi sembra

impossibile e troppo duro. Perché nulla è impossibile a Dio, che può far fiorire i piccoli moti e

anche le fragilità del nostro cuore, se a Lui affidati, in una sorprendente primavera.

Perdonare è difficile. La saggezza popolare dice che torto e ragione vanno sempre divisi a metà;

bisogna però obiettare che talvolta il comportamento negativo ha origine da una sola parte e che

quindi perdonare non è semplicemente riconciliarsi, ma trasformarsi profondamente.

Il lavoro fatto su di sé ha potenza rigenerante, perché questa “dinamica” può contagiare anche

l’altro, innescando un processo di vita buona.

Nasce una domanda: perché il sacramento della Penitenza viene detto anche della Riconciliazione,

se il perdono è un’operazione unilaterale non reciproca? Occorrerà però riflettere: in questo caso il

perdono viene da Dio, ma anche l’uomo, nella sua libertà, chiede di essere perdonato. Offeso e

offensore si incontrano così in uno scambio amoroso che vede in Dio la volontà assoluta di

perdonare sempre, senza che l’uomo sia ridotto a marionetta,, ma cooperi nella libertà a questo

scambio.

Perdonare è difficile. Ma sempre possibile. E vitale.

“Liberaci, Signore, dall’illusione di essere cristiani senza fatica” (dalla bacheca parrocchiale).

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Terzo incontro: 3 Novembre 2016

(dalle 16,00 alle 18,00)

ENZO BIANCHI. DONO E PERDONO (2’ parte)

Il perdono è l’ultima tappa del cammino di umanizzazione. L’uomo deve essere cosciente della

gratuità del perdono di Dio, che lo ama anche quando fa il male e precede il suo pentimento con la

grazia. Questa consapevolezza deve renderlo pronto a perdonare a sua volta, addirittura ad avere

empatia per chi è nel male, per chi lo offende. La sequela di Gesù richiede un perdono senza se e

senza ma: “Amate i vostri nemici”, “Pregate per i vostri persecutori”.

E’ un perdono che deve tendere alla ripresa della relazione, a svolte che portino a progetti di bene e

a sguardi di apertura: solo così giustizia e perdono si coniugano, includendosi a vicenda.

Il perdono implica il problema del male. Il male ha una sua sussistenza e nasce sempre dal cuore

dell’uomo, dalla sua capacità di essere responsabile. Il male può avere un’origine primaria: ad

esempio quando di fronte a circostanze neutre, come situazioni di lavoro, di famiglia e altre, scelgo

la via meno retta per affrontarle, spinto da motivazioni varie: ambizione, cupidigia, fragilità,

egocentrismo…Può avere poi un’origine, diciamo così, reattiva: sono provocato e reagisco con

aggressività, sono offeso e desidero, pianifico la vendetta, voglio ripagare con la stessa moneta.

In queste situazioni il comportamento dovrebbe ispirarsi invece alla prudenza, ad una pacata

riflessione che non escluda l’altro; ad un discernimento che possa distinguere, come così

autorevolmente è stato detto da Giovanni XXIII, l’errore dall’errante. Lucida consapevolezza verso

l’errore, non interruzione anzi, ripresa della relazione con l’altro.

Viene spontaneo soffermarsi su una considerazione, però. Oggi i parametri del bene e del male non

sono più scontati né universalmente condivisi. Se da una parte questo può generare anche

dinamiche positive, come il movimento verso il continuo confronto, dall’altra il relativismo etico e

culturale oggi ampiamente diffuso ha modificato molti criteri valutativi della società umana,

generando confusione da una parte e arroganza dall’altra. Ha stravolto, in conseguenza, la qualità di

molti comportamenti. Esemplificando: nel campo del lavoro raggiungere un obiettivo alto con

strategie discutibili, spregiudicate, potrebbe collocarsi nella sfera dell’eticamente non corretto; per

molti invece ciò sarebbe solo espressione di intelligenza vivace, di abilità da riconoscere e da

prendere a modello, senza agganci etici. Se nelle relazioni sociali e familiari non si presta attenzione

a chi è più fragile, ad una valutazione etica si potrebbe passare per egocentrici o indifferenti;

secondo altri punti di vista invece lo stesso atteggiamento potrebbe evidenziare abile capacità di

togliersi da situazioni che comprometterebbero la propria autoaffermazione. Per alcuni la guerra è

da evitare sempre, per altri è il mezzo migliore come soluzione a problemi diversi.

Ecco quindi la confusione etica dilagante. Quale dovrebbe essere, in questa situazione,

l’atteggiamento del cristiano?

Implorando dallo Spirito la grande virtù del discernimento, egli dovrebbe porsi sulla strada della

ricerca della verità, per quanto sia concesso all’uomo di conoscerla, con umile impegno, con

continua, non intransigente disposizione a confrontarsi con le opinioni altrui, ma sempre con il

cuore rivolto alla fondamentale luce della parola evangelica. Sempre in ascolto della propria

coscienza. Perciò possiamo ritenere che il problema del male, in relazione all’atto del perdono, non

possa prescindere dalla ricerca della verità.

Altra domanda: perché il male esiste sempre, nonostante le lezioni della storia? Superarlo,

perdonarlo, serve o non serve alla società umana ad evitare errori futuri?

Realisticamente infatti si può constatare che nella storia umana i grandi errori si ripetono e le

riconciliazioni sembrano non aver avuto valore esemplare o peso determinante. Vi è quindi la

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tentazione del pessimismo, del rinunciare a lottare per una partita che sembra perduta fin dall’inizio.

Che valore rigenerante può avere il perdono fra i popoli, se poi le guerre scoppiano ancora?

La risposta può solo agganciarsi, ci sembra, alla fede religiosa e alla speranza umana. Il cristiano sa

che la storia è sempre percorsa e guidata dallo Spirito, anche se l’evidenza del riaffermarsi di grandi

contrasti potrebbe suggerire il contrario. Perciò deve cercare con occhio più fiducioso i segni dei

tempi: i segni positivi. E’ vero, le guerre scoppiano ancora, ma spesso non nei paesi che ne hanno

fatto esperienza drammatica e che cercano vie diverse basate sulla riconciliazione. Sembra che nella

società l’odio e i contrasti imperversino, determinandone il volto fondamentale; ma poi si scoprono

in essa semi di bene, come, per esempio, l’anima pulsante di un volontariato sempre crescente,

rivolto anche a chi l’ha ferita. Le carceri hanno sempre avuto il compito di far espiare una pena, ma

oggi, fortunatamente, va prevalendo il concetto di una società che offre a chi l’ha ferita occasioni

buone di riabilitarsi.

Sono solo pochi esempi, fra molti, che dovrebbero aiutarci, di fronte al problema del perdono

sociale, a non perdere la speranza e ad impegnarci a essere operatori di perdono e di pacificazione

pur in contesti negativi o violenti.

Una domanda collaterale: oggi, tempo in cui sono vive le discussioni sul gender, le differenze fra i

sessi risaltano ancora con evidenza. Perché, infatti, il contrasto fra i due sessi si esprime in larga

maggioranza con violenza da parte dell’uomo sulla donna? Qual è la strada alternativa della

riconciliazione?

Ancora. Abbiamo letto e parlato, condividendo, di misericordia e di perdono da parte di Dio che

precedono anche i gesti dell’uomo. Allora, come si possono leggere, a questa luce, alcuni passi

forti del Vangelo in cui si fa una netta distinzione fra “pecore e capri”, fra chi avrà operato bene e

chi invece sarà allontanato dal Signore? Lo stretto legame fra giustizia e misericordia ci interpella

e, se non suscita dubbi sulla infinita bontà di Dio, ci fa pensare insieme che qui è fondamentale il

problema della libertà dell’uomo. Dato che l’amore di Dio precede il pentimento, è sempre

necessaria la relazione del perdono con il pentimento? E se non lo è, quale posto, in questo

processo, occupa la libertà dell’uomo?

Il BENE e il MALE….

Il Paradiso

e L’Inferno…..

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Quarto incontro: 17 Novembre 2016

(dalle 16,00 alle 18,00)

ENZO BIANCHI. DONO E PERDONO. (3’ parte)

LA COMPASSIONE

La parte iniziale di questa terza sezione del testo definisce ancora una volta con grande sapienza il

sentimento e la virtù della compassione, così che dalla lettura scaturiscono nel gruppo non tanto

osservazioni integrative, quanto risonanze e sottolineature.

In particolare ci si sofferma sulla constatazione che la compassione non coincide esattamente con la

pietà, la quale non sempre crea legami; la compassione, al contrario, è in grado di porre in atto

relazioni reciproche, sia a livello personale sia, non di rado, a livello comunitario. Supera così la

pura dimensione del sentimento per acquisire la struttura forte, radicata nell’etica e prima di tutto

nell’empatia, della virtù.

In tal modo la sofferenza di una persona si apre alla comunicazione con un’altra, secondo una

logica transitiva particolare: la sofferenza condivisa perde, per così dire, il suo peso specifico, si

raddoppia e al tempo stesso si divide, in un processo simile a quello dei vasi comunicanti. La

sofferenza, insomma, diviene quasi sacramento, in cui la materia prettamente umana si arricchisce,

ed arricchisce, di dimensioni più alte , come la compassione, che sono segno e presenza della

grazia.

Nel concreto si osserva, ad esempio, l’importanza che può avere sull’origine della compassione lo

sguardo. Lo sguardo è veicolo immediato e insostituibile di compassione; è canale preferenziale

verso le regioni del cuore, dell’animo, nelle cui zolle i semi buoni deposti da tempo possono trovare

improvvisa fioritura; è la potenza che riesce a mettere a nudo i tesori di solidarietà e di prossimità

che ognuno può anche ignorare di possedere. Lo sguardo è una chiamata a rispondere e a non

barricarsi nel silenzio e nell’indifferenza.

La compassione è costitutiva dell’esistenza umana. Ma se lo è, essa si rivela in forme, in momenti e

in intensità diverse, che segnano singolarmente la vita di ogni uomo. Occorre l’incontro con l’altro,

perché essa venga alla luce e prenda corpo.

Quale ne è la fonte? La ragione, il sentimento, l’emotività, la pietà? Difficile stabilirlo con

esattezza. Perché ognuno di questi atteggiamenti interiori ne è una componente e forse sarebbe

azzardato assegnare priorità. Non è detto che una lacrima improvvisa valga meno di un pensiero

accorato e profondo per il bene dell’altro, o che un silenzio dolente abbia peso diverso da un gemito

che non si riesce a trattenere; o che una carezza sia più eloquente del semplice guardarsi negli occhi.

L’importante è che in tutte queste dimensioni ci sia l’autenticità del sentire e la verità del rapporto

con l’altro.

La capacità di compassione è dono. E’ dono solo costitutivo o conosce un cammino di maturazione,

di arricchimento, in cui entrano componenti diverse come l’età, le esperienze, gli incontri, la

formazione, la volontà? Ecco allora che la compassione può conoscere un suo percorso, una sua

evoluzione positiva (e negativa, a volte) cui si incontrano un contesto oggettivo di esperienze e la

libera, responsabile soggettività.

Infine, esiste la compassione per se stessi? Come riconoscerla e viverla, senza cadere in facili

pietismi o autoassoluzioni, nella macerazione o nella faciloneria dello sguardo sul proprio vissuto?

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Una sana, non ipocrita compassione di se stessi può favorire la crescita della persona: tenendola

lontana da eccessiva autostima, rinfrancando la sua capacità di perdonarsi quello che pesa troppo,

donando visione, luce ed equilibrio nel predisporsi alle relazioni con gli altri.

Pur se la compassione conosce meno il tempo dell’attesa e più quello dello slancio, essa ha bisogno

di maturazione e di presa di coscienza e soprattutto di vittorie: sull’autosufficienza, sul rifiuto,

sull’indifferenza, sul compromesso, sulla rigidità razionale; e solo l’accoglienza dell’altro può far

lievitare questi processi di trasformazione.

In tal modo avviene un processo di espropriazione di se stessi che non è impoverimento, ma,

sorprendentemente, ampliamento di ogni nostra dimensione. L’altro è origine, occasione, mezzo,

spazio, tempo per la nostra crescita, senza che l’io e il tu si confondano in modo scialbo, ma,

preservando ciascuno la propria peculiarità, diano origine a quel “noi” che procede dalla filiazione

dallo stesso Padre.

La capra (di U.Saba)

Ho parlato a una capra.

Era sola sul prato, era legata.

Sazia d’erba, bagnata

dalla pioggia, belava.

Quell’uguale belato era fraterno

al mio dolore. Ed io risposi, prima

per celia, poi perché il dolore è eterno,

ha una voce e non varia.

Quella voce sentiva

gemere in una capra solitaria.

In una capra dal viso semita

sentiva querelarsi ogni altro male,

ogni altra vita.

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DONO e PERDONO

Alcune nostre riflessioni personali

Noi cristiani crediamo che la vita abbia avuto inizio da un primo grande dono: “Il soffio divino”

e abbiamo la consapevolezza che nulla viene da noi. Vita, ragione, fede, abilità, amicizia, relazioni,

perdono, misericordia, grazia, santità … ci sono donati.

In piena libertà possiamo accogliere questi doni per ridistribuirli, metterli in circolo, farli fruttare

o rifiutarli.

La libertà è la manifestazione più alta della benevolenza di Dio che si china su di noi con infinita

misericordia che sempre accoglie e perdona.

In un’udienza generale Papa Francesco ci esorta a diventare testimoni della sua misericordia

esercitando dono e perdono, i due pilastri che Gesù ha indicato alla Chiesa. Ci sarà così una

catena di solidarietà, di compassione, di condivisione che si propaga come un’onda che lambisce

continuamente l’umanità.

Uno dei pensieri che mi ha colpito è quello di Giovanni Paolo Secondo in occasione della

giornata della pace del 1° gennaio 2002:

“Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono”.

Ognuno di noi ha provato che quando il dono è fatto con amore si prova più gioia nel dare che

nel ricevere. Il dono non è necessariamente materiale ma può essere più grande condividendo e

partecipando alla sofferenza dell’altro che corrisponde alla capacità di avere compassione

profonda.

Dono prezioso è il tempo e, in alcune circostanze, la parola.

È auspicabile che il dono riesca a provocare una catena e cioè che il ricevente non ricambi a chi

ha donato ma che a sua volta rimetta il dono in circolazione.

La parola “Dono”, ha un significato enorme e probabilmente non ne cogliamo appieno la

grandezza. Donare implica per prima cosa lo sforzo di guardare negli occhi un’altra persona,

accogliere, ascoltare, capire, mai banalizzare, entrare nei suoi panni e nella sua umanità cioè

farsi prossimo. Successivamente si passa ad agire e quindi a dare con generosità tempo,

vicinanza, sostegno e aiuto anche materiale.

Secondo me in questo momento storico e in questa nostra società il più grande dono è quello

dell’accoglienza.

Accogliere significa spalancare il cuore, mostrare sensibilità, essere solidali, intrecciare relazioni

fondate sulla fiducia reciproca, costruire ponti e non muri.

Troppe divisioni in questo mondo globalizzato!

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Troppa gente disperata approda nel nostro Paese e il problema degli sbarchi e dell’accoglienza

profughi è davvero enorme.

La soluzione non è facile e non è dietro l’angolo. I tempi saranno lunghi e chissà se mai si

giungerà a soluzioni adeguate.

Oggi tutti parliamo a riguardo e ognuno ha le proprie idee. Personalmente rispetto ma non

condivido il pensiero di chi dice “Io non sono razzista, però …” e tutti noi conosciamo benissimo

il discorso che ne segue. Sicuramente l’idea corrente è quella che bisogna fermare, negare,

salvaguardare quello che è nostro: atteggiamenti di rifiuto e chiusura, insomma.

Credo che proprio a questo punto la parola DONO trova la sua esatta collocazione con un

significato forte, totale, senza se e senza ma. E questo, perché, mi chiedo? Ma ho già chiara in

mente la risposta: perché davanti ai miei occhi c’è una persona che non conosco ma che con lo

sguardo, l’atteggiamento e una lingua che non riesco a tradurre ma che “capisco benissimo” mi

sta chiedendo aiuto e mi sta comunicando uno stato di povertà, di sofferenza, di paura, di

incertezza, di difficoltà e probabilmente di grande sfiducia nel proprio domani e nel proprio

futuro.

La prima forma di aiuto è il DONO incondizionato, è dire “Ti do una mano”.

Dare accoglienza vuol dire dare speranza e avere compassione per chi è sfortunato, soggiogato,

vittima di situazioni che forse noi non riusciamo ancora bene a capire o non vogliamo capire

perché troppo cruente e disumane.

Come si può restare insensibili, fare polemiche, esprimere giudizi di fronte a uomini e donne

stremati da viaggi al limite della sopravvivenza? Donne sfregiate, vittime di violenze, ferite nel

corpo e nello spirito, annientate nella propria dignità o bambini soli, abbandonati o salvati,

chissà, dai genitori che li spingono sui barconi probabilmente perché non vedono speranza per i

propri figli e non trovano altra soluzione se non quella di consegnarli ad un mondo che loro

immaginano migliore: il nostro, appunto.

Non si può essere insensibili e creare divisioni e barriere!

Tutti siamo coinvolti in queste vicende e le immagini degli sbarchi che quotidianamente

avvengono sulle coste italiane, non ci devono lasciare insensibili. Ognuno nel proprio ambito

deve dare segni di accoglienza e di generosità. Chi ha responsabilità a riguardo e deve prendere

decisioni importanti in merito le prenda, ma che siano quelle “giuste” e cioè dalla parte di

uomini e donne che soffrono. Quando si vuole le soluzioni si trovano: bisogna anche essere

creativi e non ancorati a pregiudizi.

Bisogna cercare nuovi modi e nuove forme di accoglienza per ridare dignità e speranza e il primo

modo per far questo, a mio avviso, è la parola: è chiarire a noi stessi che “l’altro è importante” e

che è necessario dare aiuto. Bisogna usare la parola in modo da trasmettere in famiglia, nella

nostra cerchia di conoscenze, sul posto di lavoro, nel nostro paese questo messaggio: “è doveroso

accogliere”. Ecco il senso del dono che si fa carità e compassione: bisogna saper guardare in

modo diverso, parlare in modo diverso e agire con generosità nella certezza che si può trovare il

modo e il tempo per dare dignità e futuro a tanti disperati dei quali non conosciamo neppure la

storia!

DONO è reciprocità

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La strada del “saper perdonare” è veramente lunga e faticosa.

Richiede di ripensare al male subìto e obbliga al discernimento cioè alla capacità di valutare i

fatti così da poter operare scelte non solo corrette ma costruttive, o meglio ri-costruttive.

Certamente il percorso non è facile perché chi ha subìto un torto vorrebbe far prevalere le

proprie ragioni, ma il buon senso e una grande umiltà che è “segno di forza e non di debolezza”

indicano la strada da seguire che è quella del confronto, dei chiarimenti, del dialogo, del

riavvicinamento, con l’intento alla fine di “perdonare”.

Ho letto questa frase che mi ha fatto molto pensare e dice una grande verità:

“Arriva il momento nella vita in cui ti allontani da tutto il dramma delle persone che lo creano.

Dimentichi il male e ti concentri sul bene. Ami chi ti tratta bene e preghi per quelli che non lo

fanno. La vita è troppo breve per non essere altro che felice”.

È pur vero che chi subisce un torto non deve tacitamente sottomettersi. La discussione su questo

punto potrebbe continuare con molte argomentazioni anche contrastanti ma credo che alla fine,

per chi è cristiano e ha fede, la strada del perdonare chi ci ha offeso sia l’unica che offre uno

spiraglio di luce e di gioia. L’uomo proprio per la sua umanità è fragile e incapace di perdonare

ma chi ha fede sa per certo che è sostenuto dallo Spirito di Dio che dà consiglio, sostiene,

illumina, rende forti e aiuta ad avere “pietà”. Questa è la strada del perdono.

Nei momenti nei quali ci sentiamo offesi e pensiamo di aver subìto un torto, invochiamo quindi i

sette doni dello Spirito Santo: sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà, timor di Dio.

Perdonare gli altri per il male che ci hanno fatto è più facile che chiedere perdono per il male che

facciamo?!

Perdonare per trovare pace!

Perdono per noi o per gli altri?

“Chi è stato ferito deve sempre chiedersi : è giusto che riempia il mio cuore di odio e mi trascini un simile

peso lungo il cammino dell’esistenza?

Colui che rifiuta di trasportare quel fardello si affida a uno dei doni più grandi dell’Amore: il Perdono.

Non baderà alle offese proferite nel vivo della battaglia, giacché il tempo presto le cancellerà, proprio come

il vento si premura di far scomparire le orme sulla sabbia del deserto”.

Paolo Coelho

Manoscritto ritrovato ad Accra

nel 2012

Mi ha fatto riflettere il paragone tra lago di Tiberiade e Mar Morto: formati dallo stesso fiume Giordano.

Il primo dà acqua ad altri fiumi mentre il secondo la tiene tutta per sè.

Pure noi abbiamo ricevuto tanti doni e troppo poco o nulla diamo agli altri.

Purtroppo oggi il mercato toglie la possibilità di donare. Mancano però anche l’educazione, l’attenzione e

la sensibilità del cuore.

Importante è dare non solo ciò che si ha e si possiede ,ma dare ciò che si è.

In modo particolare nel bisogno avere qualcuno vicino che ci faccia dono della sua presenza, anche senza

parole ma semplicemente con il suo volto e il suo sguardo.

Quanti doni abbiamo ricevuto e li abbiamo dati per scontati!

Il dono della vita, della parola, della presenza, della fiducia, per non dire degli oggetti e dei beni.

Tutto abbiamo ricevuto! Tutte queste ricchezze di doni dovrebbe farci pensare e riflettere su come le

abbiamo usate.

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Riguardo al PERDONO ho solo una riflessione molto personale.

Riuscire a perdonare a chi ci ha fatto del male è bello.

In quanto a “benedirlo ed amarlo…”

NO

Il mio limite è di non fargli mai del male e cercare di mantenere con lui un buon rapporto.

Questo è quanto sarei capace di fare.

Donare è dare gratuitamente senza aspettare nulla in cambio: donare la tua presenza il tuo tempo; io do a

te perché tu dia agli altri.

Dono della parola è fiducia, è credere negli altri.

Dono della presenza è dare disponibilità, tempo, vicinanza a chi soffre.

La capacità del donare è limitata in noi ma diventa grande cercando l’aiuto di Dio che apre il cuore

all’amore.

E’ questo che chiedo a Dio.

Il perdono è un cammino faticoso, richiede forza d’animo e coraggio, costa sacrificio.

Perdonare fa bene al cuore, rende pace e fa bene all’altro: un cammino che va sempre riconfermato e

riconsiderato.

“Fammi conoscere Signore le tue vie, insegnami i tuoi sentieri.

Guidami nella tua verità ed istruiscimi, perché tu sei il Dio della mia salvezza e in te ho sempre sperato”.

Dono, Perdono, Compassione. Meditando ciò che ha scritto Enzo Bianchi su queste tre Parole, mi porta a

dire che l’esempio principe è stato dato da Dio e cioè: dono della vita e di tutto ciò che serve all’uomo per

vivere.

PERDONO (dopo la rottura di Adamo) di tutte le mancanze verso Dio e verso il prossimo (peccati).

COMPASSIONE espressa da Dio-Padre e coronata dall’atto di obbedienza del VERBO di farsi uomo e

morire in croce: sacrificio per la redenzione di tutta l’umanità.

Molti uomini e donne sull’esempio di Cristo hanno sacrificato e sacrificano la vita aiutando i poveri e i

bisognosi nel compiere realmente questi tre atti di umanizzazione.

Sono i Santi e tanti altri sconosciuti che sono vissuti e vivono tutt’ora nel nascondimento. Comunque sono

pochi nei confronti di tutta l’umanità anche dei cristiani stessi. Su questa terra purtroppo trionfa l’egoismo e

Dio ha pensato bene di creare un REGNO dove ci radunerà tutti e dove regnerà solo l’AMORE, senza

bisogno di altre virtù. E’ sott’inteso che per coloro che in questa Vita non sono riusciti ad amare come i

Santi, lo dovranno imparare al Purgatorio.

Lo scorrere del TEMPO, durante la nostra Vita, è un DONO

da non sprecare….

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In un incontro è stata data questa definizione dei Circoli di R-Esistenza “Occasione vera

di fraternità” e il testo di Enzo Bianchi che stiamo approfondendo quest’anno è una riflessione

sulla fraternità e cura dell’altro, tema quanto mai necessario a chi ci sta a cuore e per una

relazione con chi ci è accanto.

Ascoltare, dialogare, condividere, farsi prossimi con parole buone è un DONO prezioso e

speciale; ciò è possibile quando si decide di dare all’altro ciò che si è.

Il nostro donare, in libertà e gratuitamente, può causare nell’altro la capacità di dare a sua

volta agli altri: una catena, un gesto di affetto dato con generosità per diventare capaci di

relazione e amore. Per star bene insieme e in modo fraterno e per aprirsi al bene comune, questo

donare dovrebbe trovare posto e pratica nell’economia e in politica al fine di cambiare

l’atteggiamento epocale di indifferenza e aggressività della società in cui viviamo.

Donare la propria presenza, mettersi nei panni dell’altro, sforzandoci di capirlo e lo

capiamo, è un atto di umiltà con possibilità di far rinascere un rapporto di reciproca fiducia.

Questo atteggiamento ci porta poi a questa riflessione: saremo noi capaci poi di perdonare e

accettare l’altro che ci ha fatto un torto, senza rispondere all’offesa con l’offesa?Anche il perdono

sta nella sfera dell’amore: indica bontà, benevolenza, amicizia, pietà.

Per un cammino di umanizzazione e per la convivenza nella società, mettere in pratica il

PERDONO è molto importante. E’ un duro lavoro nel proprio intimo; cercare di perdonare un

torto subìto, in libertà, ci aprirà all’altro e ci darà la possibilità di vedere con occhi nuovi

l’avversario che ha bisogno di qualcuno che lo aiuti a cambiare e come dice Papa Francesco: “è

una forza che risuscita a vita nuova e infonde il coraggio per guardare il futuro con speranza”.

Ascolto, attenzione, accoglienza, perdono sono atteggiamenti che ci permettono di capirci

reciprocamente e, se nel conflitto si è misericordiosi come il Padre, troveremo la pace con la

percezione della presenza di Dio nella nostra vita “l’abbraccio che ci sostiene”.

In un Convegno caritativo è stato detto che:”L’uomo giusto è retto. L’uomo misericordioso

è piegato all’altro, responsabile di una responsabilità rinnovata che genera gioia”

Misericordia e riconciliazione sono la base di una fraternità ritrovata e ricucita. Il tema

della misericordia è entrato nella giustizia e questo è un segno di speranza: chi sbaglia deve

certamente pagare, ma la pena deve essere punitiva e vendicativa o può essere curativa? Stare

vicino a chi soffre e si crede che ne valga la pena con il desiderio di alleviare le fatiche a chi ci è

prossimo, proviamo compassione, condividiamo le sofferenze dell’altro con sentimenti profondi,

senza giudizi. Questi sentimenti nascono dal cuore e con umiltà e tenerezza compiono un atto

d’amore verso noi stessi e verso gli altri. Dono, perdono, compassione, essere misericordiosi, vuol

dire assumersi la responsabilità di un impegno concreto a tutti i livelli: personale, comunitario e

politico per vivere in armonia e guardare il futuro con speranza e dovrebbe essere una dimensione

costante di chi crede.

“Come sembra difficile tante volte perdonare! Eppure, il perdono è lo strumento posto nelle fragili mani per raggiungere la serenità del cuore. Lasciare cadere il rancore, la rabbia,la violenza sono condizioni necessarie per vivere felici! (Papa Francesco)

“Quando la tua paura tocca il dolore di qualcuno, diventa pietà; quando è il tuo amore a toccare il dolore di qualcuno, diventa compassione!” (Stephen Levine)

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Siamo giunti al termine del nostro impegno di riflessione, sapientemente condivisa, aiutate

dalle parole, dai silenzi, dagli sguardi, dai nostri volti che hanno saputo anche quest’anno esprimere

il desiderio di dedicare tempo della nostra quotidianità a pensieri profondi. Questi momenti ci

hanno aiutato ad apprezzare la Vita, nonostante le sofferenze, le difficoltà che ognuno può vivere; ci

hanno fatto capire quanto il “DONO” sia la nostra stessa Vita e quella del nostro prossimo.

La vita di ogni uomo, come una vecchia quercia, prima o poi volge al termine, ma, come nella

poesia di Trilussa, nuovi germogli daranno continuità all’immortalità di questo DONO: la presenza

e la bellezza dell’umanità.

COMPASSIONE Trilussa (Carlo Alberto Salustri)

La Quercia è tutta nera. Una saetta

la fece secca, la lasciò stecchita

e da quer giorno nun s’è mossa più.

Ma la Natura, sempre generosa,

pe’ daje l’illusione de la vita

ogni tanto je copre la ferita co’ le foje de rosa…

Un grazie a Delia, Anna Z., Anna M., Mietta, Litty, Luisa, Antonella, Dolores, Valeria, Carla e

Gigi.

Insieme, hanno permesso la realizzazione di questo documento, che rimarrà come testimonianza

preziosa di partecipazione, condivisione, crescita, nel “segno” della Fede e della Speranza.

Con la mia gratitudine e affettuosa riconoscenza.

Annalisa