Download - Era una notte buia e tempestosa
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Writers:Edoardo Del Nobile Marcel lo Di Candia Luca Ferri
Marika Fortunato Francesco Marcolongo – Fabio Palmieri Giuliano Petrangelo – Liberiana Prencipe
Federico Ristori Chiara Triventi Giacomo Trotta
Liceo Scientif ico G. Galile i ’ Manfredonia‛
Corso PON di Scrittura Creativa a.s .201011
Era una notte buia e tempestosa. . .Docente: Prof.ssa Maria Mondell i
Tutor: Prof.ssa Loredana Catalano
Indice
Prefazione di Maria Mondelli 3
Il raggio verde di Giacomo Trotta 5
Leonida, un traditore della patria di Giuliano Petrangelo 9
Nemmeno la morte di Edoardo Del Nobile 12
Restart di Luca Ferri 17
Il mio sogno eretico di Fabio Palmieri 20
La casa maledetta di Marika Fortunato 23
Storia di un cucciolo di Fabio Palmieri 26
Avventura al pc di Liberiana Prencipe 30
Il bunker di Giacomo Trotta 32
Elena e Simon di Chiara Triventi 35
Anestesia, vattene via! Di Francesco Marcolongo 38
The Truth di Federico Ristori 40
Libertà di scelta di Marcello di Candia 45
Sentivo la vita scivolarmi addosso di Fabio Palmieri 54
Quelli che... 56
… e quelli se... 59
Haiku 61
Limeriks 64
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Prefazione
L'idea di tenere un corso di scrittura creativa - per chi come
me si è sempre dichiarata priva di fantasia e che per
esemplificare i costrutti latini continua a propinare il solito
Caesar che strapazza i suoi milites in base alla regola
grammaticale del momento - mi sembrava inizialmente un
controsenso.
La convinzione che solo andando contro-senso (il senso comune,
il senso vietato, il senso di marcia, il senso di sé) si possono
seguire 'virtute e canoscenza' ha trasformato l'iniziale titubanza
in una sfida.
Memore di antichi versi, ho preso quindi a percorrere un
sentiero da me mai prima battuto e vi ho trovato ricchezze
inimmaginabili e straordinarie: i miei compagni di viaggio.
A noi insegnanti capita sempre di intuire, spesso di
constatare, talora di far timidamente affiorare gli orizzonti
infiniti ed affascinanti che si celano dentro quegli adolescenti
inquieti e problematici con cui condividiamo parte della nostra
vita, quegli spiriti ancora informi che, affabulatori di storie
strampalate ed inverosimili per giustificare un'impreparazione,
ammutoliscono stendhalianamente dinanzi alla bellezza di un
distico o di un quadro; ma il vincolo dei programmi, l'ossessione
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dei quadrimestri in fuga, lo spauracchio del registro semivuoto di
frequente ci impediscono di calarci in quegli abissi e di
ammirarne la vastità.
Ecco, a me questo corso ha dato la possibilità di stupirmi
ancora una volta dinanzi ai miei studenti, di imparare da loro, di
farmi avvolgere e coinvolgere dalla loro creatività e profondità,
di provare ‛la limpida meraviglia / di un delirante fermento’,
direbbe il poeta.
Ho cercato di fare la mia parte dando loro degli strumenti
tecnici che li aiutassero a far emergere ciò che, verborum
egestate, molte volte rimane celato, ho dato un nome ad attitudini
espressive che essi, forse ignorandole, già possedevano, ho
suggerito metodi pratici per superare la sindrome del foglio
bianco o per elaborare incipit un po' più originali del trito
snoopyiano 'Era una notte buia e tempestosa...' (ma non è proprio
'la rima fiore amore / la più antica difficile del mondo'?). Nulla
di più. Nell'annosa querelle se valga più la techne o la physis
ancora una volta – credo - ha prevalso quest'ultima.
Il risultato sono i lavori contenuti in questo e-book: forse
essi non saranno più duraturi del bronzo come i carmi oraziani, di
certo ne condividono l'essenza: la sacralità della parola e di chi
se ne fa interprete.
Maria Mondelli
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Il raggio verdedi Giacomo Trotta
ancava poco al tramonto. I raggi del sole, bassi
all’orizzonte, sembravano non volersene andare più,
aggrappati con un riflesso ai mille spruzzi d’acqua che il mare
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innalzava sbattendo contro gli scogli. Tra un po’ quel disco
luminoso che aveva accompagnato l’intera giornata di Jack e Rose
avrebbe abbandonato la proiezione del loro film d’amore e avrebbe
fatto da sfondo per la storia d’amore di qualche altra coppia che
a lui affidava le sue speranze.
Jack, rosso in viso per il sole dell’intera mattinata e per la
timidezza, con un bastone di legno giocherellava con il suo cane,
mentre avanzava sul bagnasciuga della spiaggia deserta con Rose,
la ragazza che da qualche giorno lo faceva andare su di giri.
Jack e Rose si erano conosciuti solo qualche giorno prima, per
caso; entrambi si erano ritrovati sulla stessa panchina ad
aspettare un autobus che sembrava non arrivare più. Rose, seduta
in disparte e rannicchiata su se stessa, aveva gli occhi lucidi,
bagnati dalle lacrime che scendendo sulle sue gote le rigavano il
viso quasi come sfregi. Racchiusa in se stessa suscitava un senso
di compassione che non lasciava indifferente chi si trovava
intorno. Una cappa di malinconia la circondava e sembrava
ingrigire il cielo terso che invece rendeva quegli alberi intorno
alla pensilina molto più colorati, anche grazie alla primavera che
ormai era alle porte e iniziava a far germogliare i primi fiori.
Jack aveva appena terminato di lavorare e, seduto con un
giornale in mano, ammazzava il tempo facendo il sudoku dell'ultima
pagina. Immerso in quei numeri, ripensava alla storia appena
conclusa con colei che era stata il suo primo e unico amore. Si
era rotto tutto a causa della nuova segretaria di Jack, una
avvenente signora sulla quarantina, molto procace e seducente.
”Chissà cosa è successo a questa povera ragazza, chi mai ha potuto
far del male a una ragazza così bella, semplice e indifesa?”
Jack abbassò il giornale e tentò di rivolgere un sorriso alla
ragazza seduta dall’altra parte della panchina, nella speranza che
un sorriso potesse rompere quella cappa di tristezza.
La ragazza sembrò captare quel sorriso volante e ricambiò con
uno sguardo che magicamente sembrò infrangere la tristezza che la
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circondava; Jack allora si fece coraggio e iniziò a parlarle di
come girasse il mondo, della sua brillante carriera nel campo
economico, della sua storia d’amore appena conclusa.
Anche Rose aveva appena posto fine ad una storia d’amore, un amore
a distanza però, che l’aveva presa con tutti i sensi. Era stato
traumatico dover terminare una relazione del genere, ma la
lontananza anziché rafforzarla le aveva creato una grandissima
malinconia e una angoscia che giorno dopo giorno l’avevano resa
sempre più sola al mondo.
Era il primo passo per la storia che stava nascendo, in fondo
tutte le storie iniziano con un passo. E ora eccoli là, mano nella
mano, impacciati come due innamorati alle prime armi che per la
prima volta si affacciano all’amore.
Jack aspettava che il sole tramontasse definitivamente per
poter scorgere il misterioso raggio di luce verde che si diceva
riuscisse a far vedere nel cuore dell’altro. Jack sperava che con
questo misterioso raggio avrebbe potuto rivelare tutto alla sua
Rose, senza temere di sbagliare le parole o di essere tradito
dall'l’emozione. Mancavano pochi minuti ormai al tramonto: Jack
rifletté ancora una volta sulla bontà della relazione che stava
intraprendendo con quella ragazza di venti anni più piccola di
lui.
Mentre continuavano a camminare, si ritrovarono nei pressi di
un chioschetto ai bordi della spiaggia. Era una piccola baracca
con il cartone dei gelati ingiallito dal sole battente e le
persiane screpolate dalle continue raffiche di brezza marina;
nonostante non ci fossero clienti degli altoparlanti trasmettevano
una tenue musica di sottofondo.
Jack era impaziente, tra pochi secondi si sarebbe verificato
l’evento che lui stava aspettando da tutto il pomeriggio: Il
raggio verde. Proprio quando stava per arrivare agli occhi di Jack
quel fascio luminoso, quasi leggendario, dalla baracca iniziarono
a vibrare nell’aria le dolci melodie del film 'Ufficiale
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Gentiluomo'. Era il film preferito di Jack, quello che più lO
aveva fatto sognare da piccolo. Ora era diventato lui il pilota di
aerei che conquistava la sua donna. Jack lanciò il bastone per il
cane lontano per non essere disturbati, prese Rose in braccio, la
baciò e chiudendo gli occhi si fece avvolgere dalle dolci note e
della luce: un'alchimia d’amore che mai nessuno avrebbe potuto
sconfiggere.
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Leonida, un traditore della patriadi Giuliano Petrangelo
ra l’aurora, una tiepida aurora, per terra i cadaveri
persiani, uno sull’altro a formare una scala, emanavano un
odore insopportabile, quasi simile a quello di un bisonte
sgozzato. Leonida era seduto sul comandante della truppa inviata
dal grande re dio Serse e brindava fiero con i suoi compagni per
la vittoria appena ottenuta sugli incapaci fanti persiani.
Pertanto decise di voler parlare direttamente con Serse per
convincerlo a partire dalla Grecia e ad abbandonare i suoi loschi
piani di distruzione e di traffico di prostituzione. Così,
lasciati dietro a sé i suoi compagni, s’incamminò verso la collina
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che vedeva in lontananza percorrendo la lunga spiaggia di fronte
al passo delle Termopili.
A questo punto giunse il re persiano su un carro dorato,
seduto su un trono ricoperto di mimose, vicino a lui servi che
pulivano i suoi orridi piedi e donne dal corpo divino che
porgevano nella sua bocca una dolce ciliegia. Fermato il carro,
Serse si alzò in piedi colpito da un’accecante bagliore che lo
costrinse a spostarsi di un passo avanti, e cominciò a dire:
“Leonida, sei un forte guerriero, scaltro e coraggioso e ti ammiro
per questo! Ma come osi schierarti contro il grande re dio
Serse!”. Dicendo questo accennò un forte colpo di tosse causato da
un’improvvisa folata di vento che gli aveva gettato polvere in
faccia. “Io posso renderti comandante delle truppe persiane,
questo mio vasto esercito, ti ricoprirò di donne e di oro, avrai
una tua spiaggia personale nell’isola di Creta appena la conquisto
e potrai alloggiare in uno dei palazzi più sfarzosi dell’Oriente.
Se rifiuterai tale offerta, sarai davvero sciocco e ne pagherai le
conseguenze con la vita: è un’offerta che non puoi rifiutare”.
Leonida, a quel punto, per qualche secondo rimase fermo a
meditare su questa generosa offerta di Serse, che, nel frattempo,
si ammirava allo specchio tentando di spremersi un brufolo non
gradito sul mento, finché prese una decisione degna di un re
spartano: “Sei un mio nemico Serse, sei venuto ad invadere le
nostre terre, a schiavizzare le nostre famiglie, a bruciare i
nostri campi, ad utilizzare le nostre donne come prostitute per i
tuoi mercanti. Ad essere sincero sono stanco di combattere per
questi poveri perdenti spartani. Inoltre mia moglie mi dà fastidio
ogni giorno, dice sempre 'sposta i mobili, porta questo, porta
quello, accompagna i ragazzi a scuola...'; ma andasse al diavolo!
Questa vita mi annoia, voglio divertirmi e la tua offerta, mio
caro Serse, è allettante, quindi accetto volentieri. Difendessero
i miei soldati le terre, mi ritiro dal campo, ho voglia di
divertimento!”. Lo stesso Serse, esterrefatto e con la bocca
aperta per una simile risposta replicò: “Non potevi fare migliore
scelta!”.
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I due se ne andarono passeggiando a braccetto e ammirando il
mare di fronte a loro finché Leonida disse: “Solo una cosa,
Serse!” - “Dimmi!” - “Pulisciti quegli orridi piedi”. E i due
risero a crepapelle immaginando il divertimento in una calda
piscina.
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Nemmeno la mortedi Edoardo del Nobile
hristopher è un
simpatico ultra
sessantenne, malato
terminale per un tumore
al polmone destro. Non ci
stava a restare in
ospedale, quindi, dopo la
notizia, decise di
trascorrere l’ultimo anno
di vita nella sua casa di
periferia. Era un po’
lontana dal centro, dove
si trovava il parco in
cui Chris adorava
trascorrere le mattinate
all’ombra dei faggi
leggendo un giallo. Ogni giorno prendeva il treno delle 13:21 per
tornare nel suo “rifugio”.
C
Ormai credeva che non ci potessero essere più motivi per
andare avanti, per lottare, per contrastare quella bestia che da
dentro gli stava strappando via la vita morso dopo morso. Chris
era così, preferiva restare da solo, nel suo dolore, per evitare
di recarne a chi gli era accanto. Da quando aveva avuto la
notizia, iniziò a troncare ogni legame ed ora evitava di crearne
di nuovi. Sua sorella lo chiamava spesso. Quasi ogni giorno, ma da
un po’ di tempo a questa parte aveva smesso di farlo. Era
insopportabile per lui dire “si va tutto bene” senza pensare che
la sua vita ormai avesse una sorta di data di scadenza.
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I giorni passavano, tutti uguali, uno dopo l’altro. La solita
routine. I soliti volti. Il solito treno. Ecco diciamo che non era
proprio il solito treno quel giorno. 3 marzo, ora 13:03. Come al
solito Chris arrivava sempre in anticipo in stazione, ma quel
giorno, nsomma quel giorno aveva deciso che non sarebbe stato il
solito giorno. La voce annuncia un ritardo del treno. Niente di
particolare. Sarebbe arrivato alle 13:30. Eccola. Sì, insomma in
qualità di narratore so come vanno le cose della storia che
racconto. Sì. Eccola. Azzurra. Chris non era un tipo da “ti amo” o
meglio, non ha mai trovato nessuno che meritasse di sentire certe
parole dette da lui. Okay. Torniamo alla parte che ancora non
conoscete. Azzurra. Mai nome più giusto. Aveva degli occhi
fantastici. Azzurri, come il mare, con una corona nera che cingeva
l’iride e una corona castana che circondava le pupille. È la donna
che farà perdere la testa al nostro fortunato. Insomma, aveva buon
gusto in nostro anziano.
Nonostante i suoi sessanta anni, Azzurra conservava ancora il
fisico di una donna giovane e nel pieno della sua bellezza. Sarà
stato il suo non usare troppo trucco o il suo non esagerare con
l’esercizio fisico. Odia le palestre. Come Chris c’era una cosa
che non aveva trovato. Una persona che la rendesse felice. Eccola.
E il nostro caro anziano non riesce toglierle gli occhi di dosso.
Ora sono nel treno. Lei è seduta. Lui è appena entrato. Si è detto
tra sé “oggi ti siedi accanto a lei e le dici “salve”. Fa spesso
questo tragitto in treno?’ ”Sì”. I due non era la prima volta che
s’incrociavano su quel treno. Solo che lui non aveva mai avuto il
coraggio di parlarle.
-Salve.-
-Salve.-
-Fa spesso questo tragitto in treno?- bravo Chris.
-Si, quasi ogni giorno. Svantaggi di abitare in periferia.-
-Svantaggi? Insomma. Abito anche io in periferia.- disse
sorridendo.
-Ah, sì? L’avevo notata già altre volte.- sorridendo.
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-Beh. Diciamo che vale lo stesso per me.- la guardò e sorridendo
le porse la mano –Mi chiamo Christopher. Chris per gli amici.
Molto lieto.-
-Azzurra. Piacere mio.- .
Così inizio la storia di Chris ed Azzurra, ma vi avviso. Non
andrà a finire bene. Avanti. I tumori, a quanto ne so, non
spariscono da un giorno all’altro come il raffreddore. I due
iniziarono a frequentarsi. Sempre più spesso uscivano insieme, per
parlare di come la vita fosse stata ingiusta con loro. Di come
dopo tanto tempo, due persone potessero ancora comportarsi come se
fossero degli adolescenti. Adoravano le stelle e la pioggia. La
musica e sapere che si sarebbero sempre voluti bene. Già sempre.
Dicono che non esista “per sempre” e che chi crede che una cosa
possa durare per sempre sia un idiota. Erano passati già cinque
mesi dal 3 marzo. Chris sapeva che tutto sarebbe finito. Non aveva
mai detto ad Azzurra che era un malato terminale, ma voleva farlo.
Si erano seduti sulla panchina che Chris adorava.
-Ho un tumore.- disse.
-Cosa hai detto?-
-È terminale.-
-Da quando lo sai?-
-Da prima che ti conoscessi.-
-Quindi mi hai sempre tenuto all’oscuro di tutto?-
-Sì.-
-Perché?-
-Non lo so. Sapevo solo che dicendolo non mi avresti mai
conosciuto.-
-Vai via.- disse Azzurra. La sua voce era rotta, come se facesse
fatica a parlare. I suoi splendidi occhi erano lucidi.
-Davvero lo vuoi?- disse Chris.
Fissava Azzurra coma se le volesse dire “ti prego dimmi che non
vuoi davvero che vada via”.
-Davvero vuoi che vada via?-
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Azzurra si alzò. Le lacrime rigavano il suo volto. Chris la fermò
e la strinse forte a sé, per non lasciare che andasse via. La
donna all’inizio tentò di allontanarlo, e dopo lo strinse a lei.
-Prima di te credevo che la mia vita meritasse solo di finire in
fretta. Da quel giorno. Da quel giorno ho desiderato essere una
persona come le altre. Avevo finalmente trovato un motivo per
vivere.-
Azzurra si asciugò le lacrime.
-Vai via.-
-Ti prego Azzurra.-
-Ho detto vai via!-
E qui le strade si divisero. Ma non a lungo. I due continuavano a
parlarsi. Anche se non era come prima.
-Ciao.-
-Ciao.-
-Domani mi operano. Dicono che sarà rischioso. E forse non
sopravviverò.-
-Ah. Okay. Perché me lo stai dicendo?-
-Non lo so. Forse spero. Sì. Spero di sopravvivere per poterti
dimostrare che tengo a te più di quanto tenga a me.-
-Così dimostri solo di essere un’idiota. Non puoi tenere più a me
che a te.-
-Si che posso. La vita è la mia in fondo.-
-Tutto qui?-
-Si.-
-In bocca al lupo.-
-Tu. Non. Tu non verrai a vedere come starò vero?-
-Vero.-
Ormai è arrivato il grande giorno. Vi avviso non abbiate
speranze. Il nostro amico è spacciato. Sì. Non si salverà. Eccolo
li. In sala operatoria. I medici che hanno asportato il tumore.
E’ ora. Ecco l’arresto cardiaco. Già, non sarebbe
sopravvissuto. Un momento. Che ci fa qui? Perché è qui? Non
dovrebbe essere qui. Non ha senso. Okay. Adesso non so più che
dire. Cioè. Vado a braccio. È arrivata Azzurra. Le stanno dicendo
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che non c’è più niente da fare. Vuole entrare in sala operatoria.
Il cardiogramma non indica presenza di battito. È morto. Perché ti
stai avvicinando a lui? Andiamo. Non lo fare. Che cosa vorresti
dirgli? Su è morto.
-Ascoltami idiota. Tu devi tornare. Devi venire qui. E devi farlo
ora. Ricordi quel giorno sotto la pioggia o quando mi hai fatto
vedere la luna? Beh. Ero felice. Sì. Felice. Tu devi tornare,
perché c’è ancora molto da fare. Parole che non sono state dette.
Momenti che non abbiamo ancora vissuto. Devi tornare indietro. Hai
detto che tieni più a me che a te. Dimostramelo ora. Svegliati. Ti
prego.-
-Sei sul mio braccio.
-Cavolo eri morto non puoi farmi questo.
-Tu.-
-Sì, a quanto pare ti ho preso alla lettera quando mi hai detto
vai via.- Sìi sta parlando.
-Tu sei pazzo!- certo che dare uno schiaffo ad una persona in
quelle condizioni.
-Ehi. Mi hai fatto male. Sai, ti ho sentito prima. Hai ragione ci
sono tante cose che non sono state ancora dette. Io. Io sono
tornato per rimediare. Prima non te l’ho detto. Ricordi quando mi
hai detto di andare? Beh. Quando eri vicina a me. Volevo dire una
cosa. In fondo la pensavo da un po’, ma non ho ami avuto il
coraggio di dirlo.-
-Promettimi che non andrai mai più via.-
-Non ho deciso io di andare. Me l’hai detto tu. E poi non vuoi
sapere cosa voglio dire?-
-Non m’importa sai?-
-Sul serio?-
-Si. In fondo so cosa vuoi dire.-
Okay. Faccio schifo come narratore. Però, dopo tutto, ho
imparato anche io una lezione importante. Non importa quello che
si dice, se due persone si vogliono bene nemmeno la morte può
mettersi di mezzo.
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Restart di Luca Ferri
mezzogiorno e il sole splende sulla città già sconvolta
dalla confusione che regna sovrana in questo arco della
giornata. Al frastuono assordante dei clacson si contrappone
quello piacevole delle decine di campanelle che scandiscono in
tutte le scuole la fine delle lezioni. Da una di queste esce Luca,
che, dopo aver salutato i compagni con le ultime battute, si
dirige verso casa contento per la fine di un’altra giornata di
scuola. Mentre sale le scale, Luca riflette sul lungo programma
pomeridiano che lo attende; non ha un momento da perdere e così,
dopo aver mangiato un po' di pasta e di frutta che la mamma gli ha
preparato, va in camera sua per cominciare a studiare.
E'
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D’un tratto entra la mamma: Luca pensa che gli voglia chiedere
come sia andata a scuola ed è già pronto a rispondere “bene”, che
era ciò che diceva sempre; invece lei gli si siede accanto ed
inizia a parlare con un tono serio, tanto serio che l’ultima volta
che Luca aveva sentito sua madre parlargli così era stata quando
lo aveva incoraggiato ad essere forte dopo che il padre li aveva
lasciati e se ne era andato. Luca capisce subito che riguarda il
lavoro della mamma, la quale infatti, dopo vari giri di parole,
arriva al punto: è stata trasferita, trasferita lontano, molto
lontano. Luca è disorientato e non sa che dire: in un istante
tutto perde valore e il suo piccolo mondo crolla sotto quella
odiata parola, “trasferimento”.
Sa che sarà dura ricominciare tutto d’accapo, ma ancora più
dura sarà lasciare i suoi amici e abbandonare tutto. Così, dopo
essersi fatto forza, annulla il programma che aveva da fare e
aiuta la madre a sistemare le valigie. L’indomani a scuola saluta
gli amici, increduli e rattristati, e nel pomeriggio passa dai
nonni, dagli zii e dai cugini che spera di rivedere a breve.
In stazione, mentre raggiunge il suo binario, si guarda
intorno e respira ancora per poco il sapore di casa sua, poi, in
treno, si gode le ultime immagini del suo paese, che si fa via via
più piccolo, finché, dopo essersi offuscato nella nebbia del
tramonto, si dissolve all’orizzonte.
Arrivati in paese, vengono accolti da uno scrosciante
temporale che li accompagna fino al loro nuovo appartamento,
dall’altra parte della città. Inzuppati fradici, giungono
esasperati alla loro nuova casa, che con loro grande sorpresa ha
la stessa pianta di quella vecchia. Luca subito si sistema in
cameretta, come se si trovasse a casa sua e non avesse viaggiato
affatto. Il giorno dopo a scuola, conosce i suoi nuovi compagnie e
viene a sapere che alcuni di loro sono originari del suo paese; ma
soprattutto trova un bidello, che scopre essere suo compaesano e
che lo saluta nel loro dialetto.
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Mentre esce da scuola, Luca pensa ai suoi nuovi programmi per
il pomeriggio e si lascia scappare un sorriso ironico: in fondo è
come se non fosse mai partito.
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Il mio sogno eretico di Fabio Palmieri
amminavo lungo il viale che portava dritto a casa, ascoltando
l'ultimo pezzo del mio cantautore preferito e, proprio quando
stavo per intonare l'amato ritornello, fui destato improvvisamente
da un auto, accostatasi bruscamente al mio fianco. Dal finestrino
spuntò il viso di una donna, che, con accento straniero, mi chiese
indicazioni per il supermercato più vicino.
C
Scrutando bene il suo viso vi notai i tratti tipici dell'est
europeo ; i suoi capelli erano alquanto sporchi e grassi, il suo
sorriso riprovevole con tutti quei denti gialli e storti e la sua
pelle sembrava essere piena di croste e macchie. Notai che era
accompagnata da un uomo robusto con degli occhi infossati e scuri
e da dei bambini, che giocavano spintonandosi e gridando l'uno
contro l'altro; l'auto poteva considerarsi di terza o quarta mano
se non addirittura un ferro vecchio appena rubato da qualche
sfasciacarrozze; il motore inoltre faceva un rumore terribile che
con irruenza sconquassava la quiete della strada. Erano così
rumorosi e fuori contesto che apparivano come una fastidiosa
macchia nel quadro del tranquillo, fresco e soleggiato primo
pomeriggio.
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Tuttavia rimasi basito da tanta grettezza e un senso di
compassione mi colse per quei poveri a loro; così molto
gentilmente indicai alla donna la direzione per il supermarket; ma
mentre quelli, nel loro clangore, si allontanavano una voce nella
mia testa incominciò a prender vita.
'Vengono qui solo per rubare, portare paura, terrore e
sporcizia nelle nostre città; molti di loro si buttano lì ad un
angolo della strada senza far niente, troppo impegnati a
barboneggiare e a commiserarsi addosso, e poi sono così luridi,
angoscianti, tanto lordi che il loro cattivo odore si può sentire
a centinaia di metri di distanza'. Questo quella sinuosa voce
continuava a ripetere nella mia testa; ma d’improvviso, come per
inerzia, un senso di rammarico e di tristezza mi assalì: 'Perché
penso queste cose così orrende? Perché faccio ragionamenti degni
di un gerarca nazista? Sono malato? Del resto cosa mai avranno
fatto di male quelle persone che così tanta poca fortuna hanno
avuto?'.
Proseguii nel mio cammino solitario cercando di soffocare quei
pensieri con la musica del mio mp3, ma , nell’intervallo fra una
canzone e l’altra, il mio pensiero ritornava sempre a quella
famigliastra e la rabbia e l’indignazione - seguiti subito da un
feroce senso di colpa - ritornavano.
Il giorno seguente invece mi imbattei in un anziano barbone,
che, oscenamente stravaccato sul marciapiede, delirava parole
insensate, forse il testo di una canzone; aveva accanto una
bottiglietta di plastica vuota, con ogni probabilità la causa
della sua sbornia, e un giornale vecchio e strappato sotto le
natiche, la cui funzione non mi risultava chiara. Una persona
normale lo avrebbe utilizzato per non sporcarsi, ma lui era un
barbone cosa vuoi che si dovesse sporcare. Anzi forse una sua
utilità quel giornale ce l’aveva: non permetteva al barbone di
imbrattare il pavimento con il suo sudiciume. 'Ecco ci risiamo con
il mio humour nazista' e in quel momento avrei voluto mordermi la
lingua, benché non avessi pronunciato neppure una parola. 'Ma se
mi pento e mi vergogno di questi miei pensieri perché continuo a
farli? Perché mi vengono così spontanei e inizialmente mi sembrano
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anche divertenti? Bah! Eppure i miei parenti non discendono dalle
SS e non credo fossero mai stati fascisti sfegatati'.
Col passare dei giorni questo mio particolare humour continuò
a perseguitarmi e in non poche occasioni mi sfuggirono battute
poco felici sulla differenza razziale e sull’inutilità dei
barboni, degli zingari, ecc.ecc. Fondamentalmente non credevo a
quello che dicevo, ma poi capii che lo dicevo perché mi faceva
sentire forte, perché mi dava un aria di superiorità, perché mi
piaceva vedere la faccia sconvolta di quei perbenisti ben pensanti
la cui unica preoccupazione a sentirli parlare sembra essere la
pace nel mondo, insomma per sentirmi fuori dal coro delle solite
cantilene buoniste ripetute dalla televisione nelle pubblicità
progresso.
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La casa maledettadi Marika Fortunato
a sera del 28 marzo Paolo per la prima volta si trovava nella
sua nuova casa e accanto al camino leggeva un libro di Ken
Follet. Dopo aver finito di leggere e guardato un po’ di
televisione, si sentì stanco e decise di andare a dormire. Indossò
il pigiama, si lavò i denti e si infilò sotto le coperte chiudendo
gli occhi. A mezzanotte iniziò un terribile temporale. Paolo si
svegliò di colpo a causa di passi rumorosi che provenivano dalla
sala da pranzo. Spaventatissimo, all’inizio pensò di rimanere a
letto ed aspettare, chiunque fosse se ne sarebbe andato; poi ci
ripensò e decise di tirare fuori quel suo po’ di coraggio per
vedere chi fosse.
L
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Mentre lentamente scendeva le scale, sentì altri passi che
provenivano dalla cucina. Arrivato nella sala senza fare rumore,
si diresse verso l’interruttore della luce, ma quando la accese
non vide nessuno e tutti quei rumori che prima aveva sentito si
erano calmati. Si calmò e pensò che forse era solo la sua
immaginazione. Salì le scale e si rimise a letto, ma non riuscì a
dormire, perché continuava a pensare a quei passi. Dopo qualche
minuto ne sentì altri che provenivano dalle scale. Li sentiva
sempre più vicini e, impaurito, pensò a come difendersi. Si alzò
velocemente e, agitato, si mise alla ricerca di qualcosa con cui
potesse difendersi. Aprì l’armadio e trovò un bastone. Si domandò
di chi fosse l’intruso, ma non ci pensò tanto e scese di nuovo le
scale. Tenne alzato il bastone pronto per colpire, ma, quando
accese la luce, non vide di nuovo nessuno. Non volle più tornare
nel suo letto e si sedette sul divano per aspettare i prossimi
passi.
Abbassò la testa e guardando il bastone che aveva tra le mani
notò che era inciso un nome, Tom Lane. Per saperne di più su,
Paolo si diresse verso il computer e fece delle ricerche. Scoprì
che c’era una storia legata a questa persona e alla casa in cui si
lui trovava. Iniziò a leggere: “Tom Lane, un signore di
cinquant’anni, stava cercando casa nella città di Cambridge. Dopo
qualche giorno ricevette una telefonata anonima che gli disse di
visitare una casa che si trovava a pochi chilometri distante da
Cambridge. Tom il mattino dopo si diresse verso questa casa, la
visitò e decise di comprarla”.
Paolo si accorse che era la sua nuova casa e fece un sospiro
profondo prima di continuare a leggere, poi proseguì: “La mattina
del 29 marzo 2009 il corpo di Tom fu trovato nella sala da pranzo
pieno di sangue e la polizia dedusse che l’uomo era stato ucciso
con cinque colpi di coltello”. Paolo rimase colpito da quella
storia e avendo paura non sapeva cosa fare, se scappare o chiamare
qualcuno. Infine decise di chiamare subito la polizia e, mentre
correva in cucina per prendere il telefono, sentì di nuovo quei
passi, ma questa volta più vicini. Lentamente si girò e vide
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qualcuno nel buio. Paolo gridò: “Chi sei?“. Quella persona non
rispondeva, ma rimaneva immobile. Paolo, con il telefono nella
mano sinistra, digitò il numero della polizia. Un poliziotto
rispose alla chiamata e disse: “Pronto polizia chi parla?”, ma
Paolo rimase fermo alla vista di quella persona sconosciuta e non
rispose. Il poliziotto insistette nel speranza che qualcuno
rispondesse. Paolo si mise il telefono vicino all’orecchio e
disse: “Aiutatemi”, ma il poliziotto non fece in tempo per
chiedere spiegazioni che sentì un grido e il telefono fu
riattaccato.
Il giorno dopo Paolo fu trovato morto con cinque colpi di
coltello nella sua nuova casa. Essa fu chiamata da tutti “La Casa
Maledetta”.
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Storia di un cucciolo di Fabio Palmieri
ommy, un lattonzolo di cane. Si era appena svegliato e, fatta
la poppata, osservò per la prima volta nella sua breve vita il
blu del cielo dorarsi all’orizzonte quando nasce il sole. Fu
talmente colpito dalla bellezza dell’evento che rimase per lungo
tempo quasi come incantato a fissarlo, finché non venne distratto
dall’aprirsi della porta e dall’entrata dell’anziano custode e di
altri due signori dall’aria contrita e spaesata, riluttanti nel
trovarsi in uno sporco canile di periferia. Non era la prima volta
che il custode faceva visita ai cuccioli, già qualche giorno prima
si era presentato con altri due umani, che ne avevano portato via
uno. Tommy era rimasto spaventato dall’accaduto e non riusciva a
capire che fine facessero i cuccioli scelti; cosi, nel dubbio e
nella paura di cosa ci fosse al di là di quella porta, cercò di
nascondersi.
T
D’un tratto annusò un’essenza che per un istante cancellò quel
fetore di feci a cui si era abituato; così, incuriosito, si sporse
dalla gabbietta per
osservare meglio i due
umani e si accorse che
non erano soli, ma erano
accompagnati da un
essere più piccolo e
grazioso .'A.' - la
chiamò l’uomo alla
destra del custode e
subito la bambina gli
rivolse lo sguardo -
'Sbrigati dobbiamo
andarcene. Incomincio ad
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avere la nausea di questo posto'. A. squadrò velocemente con il
suo occhio attento tutti i cuccioli presenti senza molta
soddisfazione e, proprio quando stava per rassegnarsi, vide in
alto, raggomitolato come una palla di peluche, Tommy. Il piccolo
cucciolo si sentì scoperto e un senso di paura gli rizzò il pelo,
ma quando risentì il suo candido odore, tutti quei sinistri
pensieri svanirono e fu contento d’esser stato scelto. Ben presto
però fu riportarono alla realtà dalle grosse e ruvide mani del
custode che lo afferrarono e lo misero in una fredda e buia gabbia
di plastica.
ANNI DOPO…
Marco si è appena svegliato. Ha passato un’altra notte
insonne, la luce a stento penetra dalla finestra e lei non è
ancora tornata; spesso la cerca, ma ogni tentativo fallisce; è già
stato in parecchi posti dove l’ispirazione di un artista può
essere sollecitata, ma nulla di fatto; ogni volta si trova a
rielaborare le solite banalità. Un tempo sì che era un artista,
uno di quegli stimati, apprezzati, uno di quegli il cui nome è
diventato ormai un marchio di fabbrica. Ma ora questa crisi lo ha
fatto dimenticare, lo ha portato a spingersi in luoghi lontani in
completa solitudine per trovarvi una qualsiasi musa, un qualsiasi
elemento che potesse nuovamente illuminarlo. Oggi però si è
svegliato speranzoso e con un intrigante interrogativo. E se la
soluzione al problema fosse più vicina di quanto pensasse?
Il piccolo Tommy e la piccola A. sono cresciuti, hanno
trascorso insieme momenti indimenticabili, ma qualcosa negli anni
è cambiato. A. non è più la dolce bambina, ora è una donna, una
donna troppo impegnata a diventare qualcuno, a guardare avanti e
ad affermarsi nella società adulta , che non ha più tempo di
pensare a Tommy. Così ora A. va sempre di fretta e la sue uniche
preoccupazione sembrano essere solo lo studio e Frank, il suo
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nuovo fidanzato. Il cane anno dopo anno si era accorto che più la
bambina cresceva più quella sua innocenza e quell’odore candido
che lo avevano conquistato svanivano; sembrava che qualcosa o
qualcuno ogni giorno che passava la corrompesse e le togliesse la
sua capacità di stupirsi.
Ormai si era abituato a essere trattato con indifferenza e
rimase contrariato quando un giorno A. lo portò con sé in macchina
a fare un giro per le campagne. Trascorsero diverse ore insieme a
correre e a giocare per i prati estesi e quando l’ora si fece
tarda e il sole era ormai quasi del tutto tramontato A. incominciò
ad avviarsi verso l’auto senza richiamare Tommy con il solito
fischio e senza nemmeno mai voltarsi a guardarlo. Il cane,
impietrito, presto capì che non l’avrebbe mai più rivista,
d'altronde doveva immaginarselo, ormai era diventato un peso per
la famiglia e i pesi vanno eliminati. Quando A. salì in macchina
incrociò per l’ultima volta il suo sguardo con quello della
bestia: in quell’istante Tommy si risentì un cucciolo e rivide in
quell'ultimo fugace sguardo gli occhi della bambina che lo aveva
allevato e amato come una mamma, quella mamma che non aveva mai
conosciuto.
Rimase lungamente a fissare l’auto allontanarsi e svanire
all’orizzonte mentre il rombo veniva pian piano sovrastato dal
fruscio delle foglie. Si ritrovò così a vagabondare per le
desolate campagne; vagò per giorni senza una meta finché un dì non
avvertì un profumo diverso da quello del grano e del terriccio
umido, un odore che gli ricordava la città, un odore umano. Notò
che poco distante da lui era appollaiato sotto un albero un tale
con lo sguardo perso tra le spighe in cerca di qualcosa.
Improvvisamente l’uomo, accortosi della presenza del cane, si
volse di scatto; prima lo guardò attentamente come per studiarlo,
poi, entusiasta, gli si avvicinò e lo accarezzò.
Contento per aver trovato un nuovo compagno, Marco decise di
portarlo con sé, magari di lavarlo, sistemarlo ed accudirlo; così
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si avviò all’auto dove aveva una coperta vecchia che poteva
utilizzare per riscaldarlo, ma al suo ritorno si accorse che Tommy
era accasciato sfinito sul prato e che i suoi occhi, ancora
aperti, miravano il cielo dorato all’orizzonte.
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Avventura al pc
di Liberiana Prencipe
na bella
navigata al
pc. Così iniziò la
tranquilla
giornata di
Elizabeth. Lo
accese, inserendo
l’apposita
password, controllò
che i suoi documenti
d’ufficio fossero
ancora al loro posto ed aprì il
browser web per effettuare ricerche utili al suo articolo. Ma,
anziché connettersi alla homepage del The Reporter, il suo
computer iniziò a dare strani segnali, quasi fosse sul punto di
spegnersi… E invece comparve sullo schermo un sito che sarebbe
stato riduttivo definire inquietante: ‘Sei stato selezionato come
amante del pericolo e dell’avventura segreta. Sei pronto a correre
questo rischio?’
U
Non era una delle solite pagine pubblicitarie, pensò la
ragazza. E così, incuriosita da questa frase e allo stesso tempo
desiderosa di riuscire finalmente a scrivere una storia originale
per il suo giornale, vi cliccò. Sgranò gli occhi, intimorita da
ciò che aveva visto: era la pagina di un’organizzazione criminale
finalizzata a scegliere tra la gente comune nuovi proseliti i
quali, dopo l’adesione, non sarebbero più potuti tornare indietro.
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Incredula per ciò che aveva letto, si fermò un attimo a
pensare alla prossima azione da fare. Si convinse che prima era
stata troppo impulsiva e ingenua e che doveva cambiare
atteggiamento. Sarebbe stato troppo semplice chiudere la pagina
oppure spegnere il pc. E infatti non fu così.
Il computer restava acceso, davanti ai suoi occhi, con queste
parole terribili. Si domandò che cosa potesse fare. Chiamare il
suo collega Andrew per informarlo di tutto? Mmm, no, non poteva
perché lì era scritto che questa società criminale virtuale doveva
restare segreta o lei avrebbe passato dei guai, almeno fino a
quando non vi avesse aderito.
Ed ora, che cosa poteva fare? Per Elizabeth cominciò
un’interminabile ed avventurosa giornata. Dopo quel momento di
riflessione, decisa, ricontrollò nuovamente il sito e si accorse
di una piccolissima scritta posta in basso a destra, proprio come
le minuscole diciture contenenti le controindicazioni delle
pubblicità commerciali.
“Postato da Facebook ©”.
Facebook? Cosa c’entrava quel social network in questa storia?
Elizabeth non aveva mai voluto iscriversi, non era per lei di
grande utilità, anzi, lo riteneva ‘una malattia potenzialmente
contagiosa’. D’improvviso ricevette una chiamata: era il suo
collega Andrew. Le chiese se avesse ricevuto la richiesta di
iscrizione a face book… Elizabeth capì tutto, rifiutò la richiesta
e spense il pc.
Sì, Elizabeth non era un’appassionata di questi social
network; e ne era fiera, perché era cosciente che l’eccessivo
utilizzo del fenomeno maniacale facebookiano porterebbe solo a una
degenerazione della mentalità universale. Almeno lei, invece,
voleva restare sana di mente.
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Il bunkerdi Giacomo Trotta
he caldo!!!
Non ce la
faccio più a stare
qui! Sta diventando
estenuante questa
vita in cui ogni
giorno devo essere
in balia del vento
che non fa altro
che costringermi a
cambiare posizione
e del terreno sotto
di me che non sta
un attimo fermo:
un’area a elevato
rischio sismico.
C
Dall’alto della
montagna sotto di
me riesco a
scorgere con molte
difficoltà il campo nemico che si staglia davanti: un luogo tetro
con quattro pareti di gesso bianco con vistosi buchi frutto di
antichi combattimenti, la luce che lo inonda da ovest non fa altro
che accecare la mia vista abituata a numerosi mesi di buio prima
di venire al mondo; per fortuna riesco a trovare ristoro per i
miei occhi nella parte di montagna che vedo proprio davanti a me:
nel bel mezzo della parete di gesso c’è una zona con materiale
diverso, dalle informazioni che abbiamo essa si è rivelata essere
ardesia nera, spesso è ricoperta da polvere di gesso che è
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disposta in maniera molto geometrica e matematica e ogni segno
sulla lavagna sembra suscitare terrore nei nostri nemici: stiamo
cercando di capire anche noi come funziona questa scrittura per
assoggettarli definitivamente. A volte il teatro della nostra
battaglia è invaso da sconosciuti che non siamo ancora riusciti a
identificare, loro entrano da un albero sottilissimo che divide le
montagne intorno a noi, stanno qualche secondo portando dispacci
dal capo supremo della caserma e subito scappano via.
Questo è un luogo teatro di tantissime battaglie, spesso dai
contorni grotteschi e ridicoli contemporaneamente: una volta nel
bel mezzo della notte una ragazza chiamata a rapporto dal suo
sergente sbagliò a decifrare i simboli matematici sull’ardesia e
il comandante del reggimento iniziò a sbraitare, mentre la povera
come una fontana iniziava a far fuoriuscire dai suoi occhi acqua.
La nostra intelligence ci aveva informato, prima di partire per
questa missione, che questa strettoia è un luogo fondamentale per
l’evoluzione dei futuri soldati: qui si deve rimanere in ferma per
5 anni prima di specializzarsi. Racchiusi da queste montagne di
gesso, i nostri nemici devono rimanere ad allenarsi e addestrarsi
alla battaglia che è la vita di tutti giorni; i loro ritmi e le
loro giornate sono molto serrati e scanditi a intervalli regolari
da una vecchia campanella dal rumore metallico che in questo
bunker giunge sempre molto attenuata – sicuramente, dopo anni e
anni di attività ininterrotta, sarà stanca anche di dare ordini a
tutti. Sembra che lei sia il codice a cui tutti nella caserma
devono sottostare, altri studiosi di teologia invece suppongono
che sia il Dio che richiama tutti per ricordare che il tempo passa
e non ritorna più; per ora si stanno ancora facendo le opportune
ricerche per spiegare meglio cosa sia.
Anche i capitani di reggimento sembrano temerla: poco prima
che stia per ricordare a tutti la sua presenza loro si affrettano
nella spiegazione e iniziano a dare numeri agli studenti che
diligentemente appuntano sui loro diari di bordo; alcuni capitani
invece sembrano ignorare completamente la sacralità di quel suono,
molto probabilmente sono menti deviate che credono di essere essi
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stessi degli dei. Non siamo ancora riusciti a spiegare come mai i
giovani discepoli siano così fedeli nei confronti della
campanella: ogni volta che squilla esultano come dei forsennati e
iniziano a innalzare strane litanie come “Evviva! Finalmente è
finita”.
Con una cadenza di 365 anni si avvicendano nuove popolazioni
che sono costrette a ripetere le avventure e le esercitazioni
delle generazioni precedenti.
Per fortuna io sono sopra ai miei compagni di battaglia e
riesco a vedere ed esplorare questo mondo stranissimo; gli altri
commilitoni sono più in basso di me e rimangono tutto il giorno
intrecciati e inviluppati tra di loro con un caldo asfissiante che
proviene dalla base operativa a cui noi tutti siamo legati. Spesso
andando in palla i meccanismi che la regolano va in ebollizione ed
emana un caldo asfissiante.
Di certo questa missione che stiamo portando avanti in questa
base di addestramento non è la più pericolosa, anzi forse si può
considerare una missione di pace. I più sfortunati sono i miei
colleghi connessi ad altre basi operative che sono costretti ogni
mese all’incirca a resistere agli attacchi di altri umanoidi in
saloni molto ampi con specchi e riviste da quattro soldi.
Questi umanoidi sono gli addetti al pettine e alle forbici!
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Elena e Simondi Chiara Triventi
ra una calda giornata di luglio quando Elena e Simon si
incontrarono per la prima volta, da soli in una bella spiaggia
deserta delle Hawaii. Era il tramonto e il cielo e il mare avevano
dolci sfumature rosse e arancione. Il mare era calmo e i delfini
nuotavano illuminati dal sole. C’era solo un pescatore in mare e
un bar era deserto. Simon era un uomo di mezza età, Elena una
ragazza trentenne. Simon quel giorno decise di dichiararsi a
Elena. Appena Elena arrivò, i due iniziarono la loro passeggiata
lungo la riva. Lei indossava un vestito bianco con un cappello
lilla, lui la guardò e pensò: ”Com’è bella sotto la luce del
tramonto”. Lei si girò verso il mare e disse: ”Simon, vedi come
sono belli quei due
delfini che nuotano
felici insieme.”
E
Simon annuì mentre
pensava che era il
momento giusto per
dichiararsi. Doveva
prenderle la mano e dirle
ciò che sentiva. “Elena
lo so che questa è la
prima volta che usciamo
da soli insieme e che la
mia dichiarazione ti
sembrerà affrettata, ma
ciò che sento non posso
più tenermelo dentro,
perciò ti prego di
ascoltarmi. Io so di
essere più grande di te,
35
ma con te sono tornato ad essere bambino. Ho girato il mondo con
il mio lavoro ho fatto un po’ di tutto, potrei essermi innamorato,
ma proprio non lo so, tesoro; una cosa è certa, qualunque cosa tu
faccia sta funzionando Tutte le altre ragazze non mi interessano,
non possono fare quello che fai tu Ci sono milioni di ragazze in
giro, ma io non vedo nessun'altra a parte te. Potremmo avere un
futuro insieme e io spero che questo accada”. Allo specchio era
tutto semplice e questo Simon lo sapeva, tuttavia non credeva che
sarebbe stata una missione quasi impossibile.
Lei girò la testa verso di lui. “Che stai pensando?” - gli
chiese. Lui la guardò e divenne rosso. Le prese delicatamente la
mano, la guardò e iniziò a parlarle. - ”Io ti devo dire una cosa
importante. Beh, ecco, si tratta di noi due. Sì, cioè,
praticamente...”. Le parole non gli uscivano dalla bocca, tutto il
discorso che aveva provato per ore intere davanti allo specchio,
tanto che dopo un po’ si sentiva uno stupido adolescente che
doveva dichiararsi per la prima volta, si era volatilizzato. Elena
lo fissava con quei suoi grandi occhi celeste che ti
ipnotizzavano. Notando il suo imbarazzo lei gli prese la mano gli
fece un sorriso e lo invitò a continuare la loro passeggiata. D’un
tratto si sentì una canzone proveniente dal bar. Il caso o il
destino vennero in aiuto a Simon: era una canzone d'amore, Your
Song. In quel momento Simon capì che doveva parlare adesso o
tacere per sempre perché non ci sarebbero state altre occasioni
simili. La prese per i fianchi e iniziò a ballare sulle note della
canzone. Elena non se l’aspettava e rimase sbalordita, ma in quel
momento si sentì una principessa ad gran ballo tra le braccia del
suo principe. Simon iniziò a parlarle dei suoi sentimenti
concludendo con la frase della canzone: Come è bella la vita ora
che il mondo mi ha dato te. Elena si fermò, lo guardò e
tristemente gli disse: ”Non sono pronta per avere un’altra storia.
Quella precedente è finita male e non voglio farti soffrire. Sei
una bella persona, ma...”. Elena non fece in tempo a finire la
frase che Simon replicò: ”Preferisco soffrire e aver provato,
piuttosto che non aver mai provato”. Elena lo guardò e capi che
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poteva anche funzionare, se non fosse andata per il verso giusto,
almeno avrebbe vissuto una bella storia d’amore.
Dopo qualche anno Elena e Simon stavano ancora insieme, si
amavano sempre di più e avevano di coronare il loro amore
sposandosi proprio su quella spiaggia dove era iniziata la loro
bellissima storia.
37
Anestesia, vattene via!Di Francesco Marcolongo
dai spegnete questa luce mannaggia dà un fastidio tremendo un
momento cosa succede non capisco nulla sono morto noooo no per
favore no ecco lo sapevo che doveva succedere e poi dicono che non
capita mai poi mi sente il dottore ah no è vero non posso più
dirgli nulla però non è giusto sono così buoni i biscotti con il
latte bianco tutto bianco vedo ma vedo ah forse non sono morto
evviva sìììì o no aspetta ahh non capisco più niente che male la
ferita fa già male buongiorno mondo meno male sembra tutto ok però
che male ecco pure il sangue ci mancava hihi che forte sembra una
scena di quel film no telefilm aspetta come si chiama dottor
dottor vabbè non me lo ricordo si è svegliato dottore ma va non me
E
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ne ero accorto infermiera dei miei stivali perchè guardi e non ti
dai una mossa muoviti aiutami e forza non vedi come sto male ahi!
che nausea adesso mi alzo e vedi brutto cattivo di un cane che
sonno ma mi sono di nuovo addormentato mamma mia che anestesia
terribile ma scusa cinque minuti fa stavo aspettando fuori alla
sala per essere operato e ora già qui i misteri della vita ma che
fai ho detto il bisturi non la chiave inglese ma cosa ci fanno con
la chiave inglese quanta luce mi saluti l'idraulico che idraulico
e idraulico volevo dire notte ci vediamo domani aspetta sveglia
francesco dai è tutto a posto ciao mamma ciao papà non posso
parlare nooo è terribile se sorrido è uguale ahia che dolore come
sono scomodo c'è la tv in camera non ricordo vabbè arrivederci
sarà per la prossima volta zun zun zun ehiiiiiiiiiii zun zun zun
zun anche io voglio quella macchina della pubblicità naa fa pietà
ma per favore pensa un po' alle cose importanti un bel gelato ci
vorrebbe carina quella infermiera avrà vent'anni sì e no scusa
come ti chiami ah già non posso parlare che pizza vabbè rimandiamo
ahiaaaa che dolore speriamo che in poco tempo passa tutto io
voglio fare la pasquetta non è giusto uffa uffa uffa sembro un
bambino sto pensando cose senza senso ma no dai ehi ma non ricordo
niente aspetta che è successo che stavo dicendo boh come è duro il
letto ah ma è tre fiammelle tre solo tre e perchè dammi tre parole
sole cuore amore dammi un bacio che non fa parlare che non fa un
attimo che non fa operare naa non mi ricordo buongiorno
professoressa chissà quando torno come faccio a recuperare
marcolongo interrogato e vai a posto ma non ho ancora parlato due
no due no ciao roberto ma non rompere non ti ho fatto niente
perchè dobbiamo sempre litigare ma proprio lì dovevano operarmi si
farà sentire qualcuno amici del cavolo è impossibile mi sono
addormentato di nuovo o forse no boh ecco i miei tutto ok zan zan.
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The Truthdi Federico Ristori
I
A New York, durante il periodo natalizio, la gente avrebbe
dovuto essere contenta e allegra, ma da quando il killer delle commesse, come ormai lo chiamavano i mass media, si aggirava per la città, il clima era cambiato, ormai tutti avevano paura di uscire di casa e non c'era più nessun luogo sicuro.
Il telefono di Harry squillò. "Ispettore Clark, c'è qualche novità?". "Sì, ispettore, siamo della Guardia Forestale. E' stato trovato un cadavere a circa 10 km dalla città, venga con la sua squadra".
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Harry uscì dal suo studio e andò nella sala dove tutta la squadra si riuniva. "James, Lisa, John - disse Harry - dovete venire con me, hanno trovato un altro corpo a 10 km da qui". "Andiamo". Ordinò John a tutta la squadra.
Arrivarono sul posto dopo circa 10 minuti. Le macchine della polizia erano ferme, più avanti vi era l'ambulanza. Un uomo con una coperta sulle spalle parlava con dei poliziotti. Harry scese dalla macchina e disse: "Vado a parlare con il capo della polizia. Tu, James, va’ dall'uomo che ha ritrovato il cadavere. Lisa, vai a fare delle foto al corpo, con te verrà anche John".
James arrivò vicino al testimone e, mostrando il caffè che aveva in mano, disse: "Ne vuole un po'? Lo abbiamo preso prima di venire qui". L'uomo alzò il viso, sul quale si poteva riconoscere lo sguardo della paura. Tremante prese il caffè e ne bevve un sorso, poi disse: "Lei chi è? Io mi chiamo Fred Wright"."Sono James Smith e lavoro per la squadra anti crimine qui a New York. Posso farle qualche domanda?"."Certo". Disse."Perchè si trovava qui e come ha trovato il cadavere?"."Io lavoro a New York, ma non abito in città e, come ogni mattina, mi stavo recando al lavoro, quando ho forato. Allora mi sono fermato e ho cambiato la gomma, ma quando mi sono avvicinato a quel cespuglio ho visto una mano. Ho chiamato subito la polizia e la Guardia Forestale."."Conosceva la vittima?"."No, assolutamente, non l'avevo mai vista prima d'ora"."Ok, Fred, i nostri amici della polizia hanno il suo numero, la chiameremo appena avremo bisogno di lei. Resti in città"."Va bene". Disse Fred. James si allontanò e raggiunse Harry. "Cosa ti ha detto ?". Gli chiese."Era qui di passaggio, si era forato un pneumatico e, mentre lo sostituiva, ha trovato il cadavere. Non mi sembra uno che mente e non sembra essere un serial killer, considerando che questa è già la quarta vittima in un mese"."James, fai questo lavoro da dieci anni, avresti dovuto imparare che chiunque può commettere degli omicidi, quindi non fidarti mai di nessuno. Comunque se il killer è lo stesso, lo vedremo da come è avvenuta la morte".
Nel frattempo Lisa e John avevano raggiunto il cadavere, che non era molto distante dalla strada. La donna era distesa con le braccia allargate, era stata strangolata, il collo era ricoperto da numerosi lividi e i vestiti erano alquanto malconci."Siamo a cinque vittime - disse Lisa - è sempre lui, il metodo di esecuzione è sempre lo stesso. Sembra che non sia stata uccisa qui, probabilmente è stata trasportata qui dopo l'omicidio".
John si mise i guanti e misurò la temperatura corporea del cadavere. "Molto bassa, deve essere qui da almeno dodici ore. Sappiamo nome e cognome della vittima?". "Sì, Emma Young, i genitori sono stati già avvisati".
41
II
Nella centrale fa il suo ingresso un uomo."Lei è il sig.Young?" disse Harry"Sì" rispose il padre della giovane vittima in lacrime."Mi dispiace per la morte di sua figlia, so che è un brutto momento, ma dovrei farle qualche domanda. Prego, si sieda"."Che tipo di gente frequentava sua figlia?"."Mia figlia era una brava ragazza, lavorava in un negozio nel centro come commessa e di solito alla chiusura tornava a casa. Quando ieri non è rientrata, ho subito capito che era successo qualcosa e stamattina la chiamata della polizia me lo ha confermato. La mia povera bambina! Chi può essere stato?"."Non abbiamo sospettati ancora, analizzeremo il corpo e cercheremo di trovar più indizi possibili, non appena sapremo qualcosa la chiameremo".
Il signor Young si alzò dalla sedia e andò via. Harry con il fascicolo e le foto delle vittime andò nella sala e richiamò tutta la squadra, James specializzato nel riconoscere la psicologia dell'assassino pose su una lavagna le foto delle cinque vittime e disse: "Tutte erano donne, l'età compresa dai 22 ai 26 anni, quindi abbastanza giovani, nella vita lavoravano tutte presso dei negozi. Ho indicato le zone di ritrovamento dei corpi e non mi danno nessun indizio, poiché ogni corpo sembra essere stato portato in zone differenti; chiaramente non vuole che riusciamo a trovare le sue tracce. Probabilmente l'assassino è un trentenne, riesce a convincerle ad andare con lui e poi le uccide. Anche su questa vittima non vi sono tracce di alcun tipo di rapporto con l'assassino, il suo scopo principale è ucciderle".
III
Era notte e pioveva. Il serial killer uscì dalla sua auto, individuò la sua prossima vittima e la raggiunse."Sta chiudendo?" le chiese."Sì, adesso è orario di chiusura e devo andar via" rispose la ragazza."Oh no! Mio figlio ci teneva così tanto a quel diavolo di giocattolo, ma ho fatto tardi a lavoro! Dannazione!".
La ragazza si girò verso l uomo e disse: "Va bene, mi dispiace per suo figlio; un minuto, riapro".
Mise le chiavi nella serratura, aprì il negozio e invitò l'uomo ad entrare."Sa dirmi il nome del giocattolo che vuole suo figlio?"."Sì, quello". E ne indicò uno alle spalle della commessa.
Non appena la ragazza si girò, egli le afferrò il collo e iniziò a stringere più forte che poteva. La donna non riusciva a respirare, prese un vaso che aveva vicino a lei e colpì l’uomo sulla fronte. Il seria killer lasciò la presa e il sangue iniziò a
42
colare dalla sua testa. La ragazza tentò di fuggire, ma lui le prese una gamba, la fece cadere e le assestò un colpo sul volto che la lasciò senza sensi, dopo iniziò ad accoltellarla così violentemente che la sua giacca si riempì di sangue."Muori!". Continuava ad urlare. Dopo lasciò cadere il coltello, ma respirando in maniera affannosa lo riprese e fuggì.
IV
Harry venne chiamato il giorno dopo e si recò sulla scena del crimine. "L'hanno trovata qui stamattina presto, il negozio era aperto e lei era stesa sul pavimento ricoperta da una pozza di sangue" gli disse James."E' molto strano, il nostro serial killer non agisce in questo modo, qualcosa sarà andato storto, fate controllare il sangue, potrebbe non essere solo della vittima"."Certo signore - disse James - Lisa ha detto che ci sono evidenti segni di colluttazione e sotto le unghie della vittima vi erano cellule epiteliali, le ha portate nel laboratorio per vedere se vi è un riscontro nel database".
Harry salutò James e andò nel laboratorio di analisi. "Lisa, hai trovato qualcosa?". Sul suo viso apparve un grandissimo sorriso ed euforica si diresse verso il capo. "Sì, le cellule appartengono a Luiz Romero. E' stato in carcere già due volte, una per aggressione a pubblico ufficiale, l'altra per rapina a mano armata, ma di omicidi non c'è traccia, ho mandato una pattuglia a prelevarlo".
John e altri uomini entrarono nella casa di Luiz Romero e lo trovarono disteso sul suo divano con una vistosa fascia sulla fronte. Egli si alzò e tentò la fuga, ma era bloccato."Ti dichiaro in arresto per l'omicidio di Sarah Jones, Amanda Williams, Nicole Jackson, Rose Scott, Emma Young e Julia Samuels"."Io non ho fatto niente vi dico! Sono innocente!"."Questo lo vedremo...".
V
Luiz venne portato in centrale, nella stanza dell'interrogatorio. Harry lo fissò negli occhi e disse: "Dov'eri ieri sera verso le nove?"."Ero al club con i miei amici a bere una birra, è forse un reato?""Smettila di fare lo spiritoso - disse James - l'hai mai vista questa ragazza?" e gli mostrò la foto dell'ultima vittima."No"."Cosa ti sei fatto sulla testa?""Mi sono fatto male mentre lavoravo, posso andare?""No, te lo dico io come è successo, hai tentato di ucciderla, lei si è opposta e per difendersi ha usato il vaso, che noi abbiamo
43
trovato sulla scena del crimine. Stiamo perquisendo la tua casa per trovare il coltello che l'ha uccisa, così, oltre a ciò che abbiamo, potremo incastrarti!"."Io non ho fato niente. Lasciatemi andare!".James sorrise, poi lo prese per la camicia e lo fece sbattere contro il muro: "Confessa subito,perchè sappiamo che sei stato tu!".
Il cellulare di Harry squillò, parlò con Lisa, dopo si rivolse al sospettato e disse: "Luiz abbiamo trovato il coltello a casa tua, era ancora sporco di sangue e sono quasi sicuro che, se lo confronteremo, vedremo che è quello di Julia Samuels. Confessa, stai solo peggiorando la situazione".Luiz perse la pazienza e urlò: "Sì, sono stato io! Le ho uccise tutte io! Loro con quella vita perfetta avevano un lavoro, una casa, una famiglia che le aspettava a braccia aperte ogni giorno!!! Mi rendeva felice l'idea che la pace e la serenità delle famiglie era stata rotta da me, ero felice nel sentire al notiziario le mie imprese o sentire i familiari sconvolti!".
Si calmò e dopo pochi secondi iniziò a ridere nervosamente e a sbattere le mani sulla parete, poi si lasciò cadere e inizio a piangere."Portate via questo pazzo!" disse Harry.
Nel corridoio erano fermi molti familiari che avevano saputo della sua cattura, il signor Young tentò di aggredirlo: "Bastardo! Vai all'inferno! Hai ucciso mia figlia!!!".
Le guardie lo bloccarono ed Harry gli si avvicinò: "Nessuno sa mai il motivo per cui uccidono, spesso per vendetta,spesso perchè vengono pagati per farlo, spesso solo perché ne hanno voglia".
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Libertà di scelta
di Marcello Di Candia
tazione dei treni di F*** una mattina presto di novembre. Un
po' di foschia.S'Andata per M*** sull'intercity delle 8 e 30, per favore’.
'Fumatori o non fumatori?'.
'Non fumatori, grazie'.
'Ecco a lei’.
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Il signor Pini si allontana dallo sportello. Un'occhiata
all'orologio. Le 7 e 20. Ci vuole ancora tempo. Il signor Pini,
sulla mezza eta', commercialista, sposato, due figlie, entrambe
sistemate. Moglie casalinga, ex insegnante nelle scuole private.
Entrambi si recano a messa tutte le domeniche. La signora Pini fa
i dolci per le feste parrocchiali. Il signor Pini versa soldi in
beneficenza su ben tre conti: uno per la ricerca contro il cancro,
uno per la Chiesa, uno per l'Unicef.
Compiaciuto d'essersi tolto il pensiero del biglietto, il
signor Pini si guarda intorno. In fondo a destra c'è il
giornalaio. Il bar è sulla sinistra, attrezzato di tavolini. Si
dirige verso il giornalaio. Un uomo con cappotto nero lungo e
cappello, sulla quarantina, aspetto curato, sta studiando i libri
esposti senza apparente voglia di comprare.
'La Repubblica per favore'.
'Ecco a lei, due euro'.
'A lei, grazie'.
Con la ventiquattr'ore a destra e il giornale a sinistra, il
signor Pini si incammina al bar.
'Un caffè ristretto per favore’.
Un tavolino si è appena liberato. Il signor Pinii siede a bere
il caffè e a sfogliare il giornale. L'uomo dal lungo cappotto nero
è ora al bancone e chiede pure lui un caffè. Guarda il signor Pini
e lo saluta con un cenno del capo. Il signor Pini ricambia
spontaneamente mentre, tra le righe delle pagine finanziarie,
cerca il flash di un ricordo. 'Dov’è che l'ho già visto? Mah!'.
Torna assorto nella sua lettura.
Ai binari. La foschia comincia a diradarsi. Non c'è molta
gente su questo treno. Non è periodo di punta.
'Intercity 999 per M*** è in arrivo al binario nove'. Risuona
l'annuncio.
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Il treno arriva, rumoroso e semi-minaccioso da lontano,
approda in stazione sfinito come un grosso animale sedato. Senza
fretta il signor Pini attende che la carrozza giusta si fermi
davanti a lui. Poi raggiunge la porta più vicina e sale. Controlla
i numeri dei posti fuori ad ogni scompartimento e finalmente
prende posto nel terzo scompartimento. Appoggia la ventiquattr'ore
sul posto vicino al finestrino nel senso di marcia del treno,
controlla che sia una carrozza per non-fumatori, esce sul
corridoio e apre il finestrino. Fuori c'è solo una famiglia che
sta ancora caricando i bagagli. Il capostazione sta chiudendo le
porte. Fischia. Si parte. Il treno comincia a muoversi lentamente.
In cima alle scale compare un uomo di corsa, che si ferma a
guardare il treno partire. Il signor Pini riconosce l'uomo che era
dal giornalaio. Deve aver perso il treno. Il signor Pini chiude il
finestrino e va a sedersi. Prende il giornale e si immerge nella
lettura. Ogni tanto alza lo sguardo. Fuori dal finestrino i campi
corrono via assieme alle case contadine. Le immagini scorrono
veloci come le scene della vita quando, dicono, sei prossimo alla
fine. Veloci, sempre più veloci come carte da gioco mischiate da
un abile maitre. Così il tempo va e con esso la vita, senza che
l'uomo possa farci niente. Solo abbandonarsi alla corsa pazza,
arrendersi, lasciarsi andare. A volte è così bello semplicemente
lasciarsi andare.
'Scusi ha da accendere?'.
Il signor Pini si riscuote malvolentieri dal dormiveglia,
mentre mette a fuoco la figura che ha preso posto di fronte a lui.
Un uomo sulla mezza età, ben curato, cappotto lungo nero e
cappello. Riconosce l'uomo del giornalaio. Ha in mano un astuccio
elegante in argento colmo di sigarette lunghe e sottili.
'Mi spiace non fumo'.
'Fa niente'.
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Silenzio. Il signor Pini è perplesso. Gli sembrava d'aver
controllato che fosse una carrozza per non-fumatori. L'uomo, con
calma disinvoltura, rimette in tasca l'astuccio.
'Mi scusi, ma credevo che non si potesse fumare qui'. Il signor
Pini non riesce a contenere l'imbarazzo.
'Si figuri. A quanto pare si può.' Per niente interdetto, anzi
compiaciuto, l'uomo indica con lo sguardo sopra la porta dello
scompartimento. Ben visibile troneggia il permesso di fumare. Il
signor Pini è ancora più confuso mentre ricorda chiaramente di
aver visto l'uomo giù mentre il treno stava partendo. Questo se lo
ricordava bene.
'Abbiamo già superato la prima fermata?' chiede con tono che
attende una conferma.
'No, veramente no'. Risponde calmo e di nuovo stranamente
compiaciuto l'uomo.
'Posso?'. L'uomo indica il giornale appoggiato sulle gambe del
signor Pini.
'Prego, prego'. Risponde questi abbastanza infastidito. L'uomo ha
un contegno calmo e sicuro e nel contempo uno sguardo sottilmente
irrisorio, il tutto comunica al signor Pini invadenza e
sfrontatezza. Comincia a sfogliare il giornale con mal simulato
interesse. Il signor Pini ora si sente osservato e studiato. Il
disagio lo spinge ad alzarsi. Tira giù la valigetta, la apre e
prende il panino che sua moglie gli ha preparato. Cotoletta di
pollo e insalata. E maionese. Aveva dimenticato dire a sua moglie
che non voleva la maionese.
'Avrebbe dovuto ricordarglielo a sua moglie, lo sa che non le fa
bene, la maionese, signor Pini'.
Il signor Pini sgrana gli occhi addosso all'uomo tra il
sorpreso e lo spaventato.
'Ma lei chi è? E come fa a sapere il mio nome?'.
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L'uomo sorride compiaciuto e risponde con tono tranquillo,
mentre nei suoi occhi scuri guizza una luce di intelligenza e
orgoglio.
'Scusi la mia intromissione. Mi chiamo Augusto Bentivoglio'. Tende
la mano ben curata. Il signor Pini ricambia a fatica. S'insinua lo
scomodo pensiero che il tizio abbia potuto rovistare tra le sue
cose mentre si era appisolato.
'Non si preoccupi, non mi permetterei mai di mettere le mani tra
le cose altrui'.
Il signor Pini si sente paralizzato dal disagio, come un
animaletto su cui stanno compiendo un esperimento. L'uomo sembrava
aver letto nel suo pensiero ed era già la seconda volta.
'Non si tratta neanche di giochi di prestigio, sa, il suo nome
l'ho semplicemente letto sul suo biglietto da visita là in terra'.
Continua l'uomo quasi divertito ma sempre con solido contegno.
Il signor Pini si volta a guardare frastornato nella direzione
indicata dall'uomo. Là in terra, proprio davanti ai suoi piedi,
giace uno dei suoi biglietti da visita. Sente la ragione spingere
a gomitate tra la paura e l'incredulità, e il cervello distendersi
un po'. Gli doveva essere scivolato di tasca. Il signor Pini
scruta muto il suo interlocutore in un misto di diffidenza e
curiosità.
'Sa il mio è un talento naturale'.
Pausa.
Il signor Pini si aspetta di essere alla presenza di una specie di
detective.
Allungandosi verso di lui l'uomo continua quasi sussurrando:
'Posso leggere nel futuro'.
Silenzio.
Il signor Pini scoppia a ridere. 'Il mago no, per favore!'.
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L'uomo ride pure e riprende: 'So che suona bizzarro, eppure ne
avrà la conferma tangibile'.
Ancora silenzio.
L'uomo ha ora un'espressione profonda e grave, quasi
malinconica. Il signor Pini avverte un brivido gelido.
'Non importa se non mi crede adesso. Cerchi però di ascoltarmi
bene'. Avvicina il suo volto a quello del signor Pini.
'Tra mezz'ora circa questo treno sarà coinvolto in un incidente'.
Pausa. 'Un incidente mortale'. Continua quasi scandendo. 'Mortale
per tutti tranne per chiunque sarà seduto dove sono io adesso'.
Al signor Pini ronzano le orecchie e la vista quasi gli si
appanna.
'Alla prossima fermata salirà una signorina dai capelli rossi.
Verrà a sedersi qui al mio posto'.
Avvicina ancora di più il volto a quello del signor Pini, il quale
avverte un freddo incomprensibile.
Proprio in quel momento il treno imbuca una galleria e le luci
vengono meno.
'Oggi io le ho dato la possibilità di cambiare il suo destino. Mi
consideri il suo benefattore'.
Le luci tornano. Il treno esce dalla galleria. Nessuna ombra
dell'uomo. La sua voce si è persa nell'oscurità.
Il signor Pini rimane muto ed incredulo a fissare la poltrona
vuota. Gli sembra di essere nel mezzo di un brutto sogno, di
quelli che sembrano reali e che ti fanno svegliare tutto sudato.
Solo che è sicuro di non aver sognato. La sua razionalità scossa
lo tiene per i capelli sul margine del precipizio
dell'incomprensibile e del bizzarro. Un passo avanti e avrebbe
potuto caderci senza speranza di ritorno. Perciò cerca di fare un
punto per lo meno logico della situazione. L'intero incontro si
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poteva catalogare come inusuale, così come non chiaro era stato il
modo in cui l'uomo era riuscito a salire sul treno. E che dire
della carrozza che era 'diventata' per fumatori. Anche se in tal
caso, ragionava, poteva essersi sbagliato lui. Il signor Pini è
ancora così a pensare mentre il treno scivola verso la fermata
successiva e frena dolcemente. Il signor Pini guarda fuori dal
finestrino a scrutare i passeggeri. Come una pugnalata al cuore
vede la signorina dai capelli rossi che in quell'istante s'accinge
a salire. Al signor Pini manca il fiato e il cuore si mette a
battere così rumorosamente che lo sente forte nella testa.
Comincia a sudare. Quel precipizio ora lo vede da vicino, ma la
sua ragione resiste ancora. 'Non è detto che venga a sedersi qui,
e poi sarà una coincidenza'.
'Scusi è libero quello?'.
Si volta. E’ proprio lei, la signorina dai capelli rossi e il
posto che indica è quello dove era seduto il misterioso individuo
poco prima.
'Chiedo scusa, è libero?'.
'Certo, certo'. Il signor Pini si alza ed esce fuori con uno
scatto, mentre la ragazza sistema il bagaglio. Prende a
passeggiare su e giù per la carrozza cercando di calmare la sua
emotività mentre il treno riprende la sua corsa inarrestabile.
Inspira profondamente e osserva la gente seduta negli altri
scompartimenti, quasi a cerca intorno un appiglio di realtà per
non affogare nella paura. Nello scompartimento accanto c'è una
coppia sui quarant'anni che discorre a bassa voce. Più avanti una
mamma con un bimbo di forse tre anni e una bimba di una decina che
tira fuori da uno zaino panini e bibite. Di fronte un uomo
anziano: forse il nonno. Nel corridoio, appoggiato ad un
finestrino, un adolescente in jeans, maglietta firmata e occhiali
da sole, isolato dal mondo dal suo MP3 player. Tutto sembra
normale e scontato. Tutti sono lì, immersi nella loro banale e
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sacrosanta quotidianità. Come fare a credere che di lì a poco
sarebbe successa una tragedia? Eppure l'uomo misterioso era reale
e la signorina c'era davvero.
E se fosse tutto vero? Si chiede. E se, mettiamo come ipotesi,
questo treno fosse davvero destinato a schiantarsi? Se questa
piatta quotidianità fosse davvero sul punto d'infrangersi, così,
in modo repentino e senza preavviso? Eppure era così che la morte
deve arrivare. Senza avvertimento. Prova paura e gli viene da
piangere. Non vuole morire. Torna davanti al proprio
scompartimento. Attraverso il finestrino osserva la signorina: sta
leggendo un libro, i riccioli rossi risplendono al tramonto.
Poteva benissimo essere sua figlia. Prova dispiacere, poi il suo
istinto di sopravvivenza comincia a emergere. Si tratta solo di
prendere una precauzione. Inoltre è ancora tutto da vedere, può
benissimo trattarsi di una serie di bizzarre coincidenze.
Getta uno sguardo all'orologio: cinque minuti ancora. Sente
l'udito ronzare e un balzo del cuore che quasi arriva al soffitto
mentre con passo deciso e rigido torna a sedersi.
'Chiedo scusa per la richiesta, ma le dispiacerebbe se ci
scambiassimo posto? Mi dà fastidio andare nel senso del treno'.
La ragazza lo guarda dapprima con la fronte aggrottata e buia,
poi, quando capisce di cosa si tratta, un bel sorriso le illumina
il volto.
'Ma si figuri, prego'.
Il signor Pini finge di leggere il giornale mentre la
signorina riprende la propria lettura. E il treno continua la sua
corsa verso sera. Verso il destino.
Ospedale di San G. il giorno dopo. Un'equipe medica esce da
una sala operatoria spingendo un lettino. Il chirurgo si china sul
paziente, poi rivolto all'infermiere: 'Sta riprendendo conoscenza.
Potete riportarlo in camera'.
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Figure sfocate che si muovono con lui. Riconosce il corridoio
dell'ospedale. Una luce forte, fastidiosa, entra dalle finestre.
Al signor Pini sembra di essere come sotto l'effetto di una droga,
non percepisce le proprie membra. Cerca di ripescare dal mare
mosso della sua coscienza l'ultimo momento di lucidità completa
che ricordava. L'incidente. Era successo davvero. Così in fretta e
così violento che l'istante in cui i due treni si erano scontrati
si era come compresso in un attimo; la ragione si era congelata
nell'incredulità ed era andata in panne nel tentativo di
analizzare in troppo poco tempo tutte le stimolazioni di
un'esperienza assolutamente nuova, mentre il corpo era in preda
all'impietose leggi della fisica e della meccanica. La ragazza dai
capelli rossi. Ricordava i suoi riccioli accanto alla mano
insanguinata mentre lo sollevavano sul lettino. Sentì i suoi occhi
riempirsi di lacrime brucianti.
Il chirurgo intanto si è fermato in sala d'attesa a parlare
con i familiari del paziente: un'elegante signora di mezz'età,
attorniata da una giovane coppia, rivolge uno sguardo
interrogativo e impaziente al medico.
'La signora Pini?'.
La donna annuisce con il viso buio. 'Suo marito è fuori pericolo,
l'operazione è andata bene’.
Sospiri di sollievo e lacrime di gioia.
'Però’ incalza il chirurgo 'voglio che vi rendiate conto che è
sopravvissuto ad un incidente catastrofico. Ci sono stati dei
gravissimi danni e noi abbiamo fatto tutto il possibile. Grazie a
Dio il cervello è rimasto intatto. Purtroppo però suo marito non
potrà mai più camminare.'
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Sentivo la vita scivolarmi addosso di Fabio Palmieri
Sentivo la vita scivolarmi addosso e i l tempo scavarmi i l fosso,
qualsiasi cosa facess i e pensassimi veniva di lanciare sassi .
Volevo andarmene da quel posto
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ma non avevo pensato al costo, scomparire improvvisamente, come chiunque sano di mente.
Mi sentivo inuti le e scemocome quegli ufo degl i emo.
Sconfortato, triste e pensoso mi r itrovo in uno stato penoso.
Vago frustrato e mi ri trovo a pensare ai tempi andati , sdraiato al mare .
Che ne sarà di me ora che tutto è f inito?‛
Diventerò un adulto sfinito?’Che ne sarà de l la mia compagnia ?‛
Avranno di me nostalgia?’Cosa farà Giacomino da grande?‛
Girerà per i l mondo locande?’E Giovanni?‛
Continuerà a fare danni?’E Libero?‛
Lo rivedrò come una mamma col biberon?’‛
Diventeranno importanti come i l caff è?‛
O si perderanno tutti e tre , ne i meandri di questa societ à
ormai passata la be l l ’età?’Cosi mentre penso assorto
i l mio caro fardel lo mi porto.Il tempo incurante passava
con le stagioni a passo di giava,e cos ì mi r itrovai solo e rugoso
seduto a guardar i l c ielo uggioso,tra c ie lo e mare lo sguardo alterno
ricordando lo sguardo maternoaspetto i l padre eterno.
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Quelli che...
Edoardo Del Nobile
Quelli che si fidano e rimangono fregati
quelli che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare solo per convenienza
quelli che si starebbe meglio senza
quelli che sì
quelli che no
quelli che forse
quelli che per niente danno tutto
quelli che non sanno
quelli che la vita è bella
quelli che si stava meglio quando si stava peggio
quelli che amano
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quelli che odiano
quelli che hanno paura
quelli che fanno male senza volerlo
quelli che fanno finta
quelli che non ci riescono
quelli che non sono né carne né pesce ma solo perché sono vegetariani
quelli che non leggeranno questa poesia
quelli che si chiedono ‛perché?’
Francesco Marcolongo
Quelli che hanno un amico permaloso, ma non vogliono dirglielo!
Quelli che non sanno quel che dicono, ma parlano lo stesso!
Quelli che imprecano il buon Dio e si recano tutte le domeniche in chiesa!
Quelli che in borsa investono tutti i loro risparmi, ma li perdono alla prima occasione!
Quelli che salutano una ragazza e lei non li considera affatto!
Quelli che arrossiscono al saluto della ragazza, ma scoprono di non essere gli interessati!
Quelli che pensano a studiare, ma non hanno una vita sociale!
Quelli che pensano solo alla vita sociale e non sanno cosa sia lo studio!
Quelli che credono di essere tutto, ma in realtà non sono niente!
Quelli che fatti sentire ogni tanto e non si fanno sentire mai!
Quelli che viva juve, ma non assistono ad una sola partita!
Quelli che brazil lalalalalalala e non sanno ballare!
Quelli che camminano a testa alta, ma non vedono il gradino!
Quelli che guido io e poi fanno l’incidente!
Quelli che non sai quel che dici ma sai quel che fai!
Quelli che chi la fa l’aspetti e aspettano in eterno!
Quelli che chi fa da sé fa per tre e poi non concludono nulla!
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Marika Fortunato
Quelli che ogni giorno sperano di trovare un padre che li svegli al mattino e sperano solo che non sia morto in guerra!
Quelli che credono di poter essere migliori degli altri e invece non lo sono!
Quelli che non riescono a fare delle buone scelte nella vita e alla fine si riducono a rovinarla!
Quelli che quando vedono un povero per strada, sanno solo disprezzarlo e non aiutarlo!
Quelli che fanno di tutto per vedere una persona soffrire!
Quelli che non ascoltano i genitori e prendono brutte strade!
Quelli che quando vedono una ragazza per strada e la fissano non guardano avanti e sbattono contro un palo!
Quelli che dicono di essere giornalisti e invece davanti alla tv dicono: ‛più meglio’!
Quelli che quando si ubriacano trattano male la gente!
Quelli che credono di poter cantare e ballare e invece fanno solo brutte figure davanti gli altri!
Quelli che si presentano con una laurea davanti al preside e alla fine non sanno nemmeno parlare davanti agli alunni!
Quelli che pensano di essere belli e quando si mostrano la donna dice: ‛oh mio DIO’!
Quelli che offendono la gente e non guardano se stessi!
Quelli che dicono di essere felici e invece non lo sono!
Quelli che pensano di salutare la persona giusta e invece si accorgono di essersi sbagliati!
Quelli che ridono quando guardano una persona che cade e si precipitano subito a raccontarlo agli amici!
Quelli che non sanno che la vita è un bene prezioso!
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... e quelli se...
Giacomo Trotta
Se fossi francese, difenderei l’onore di noi Uomini,
se fossi tedesco, scriverei un dolce romanzo d’amore,
se fossi cinese, starei tutto il giorno seduto su un’amaca ore e ore,
se fossi americano, mangerei solo prodotti naturali e genuini.
Se fossi arabo, scriverei nel verso giusto,
se fossi brasiliano, abbandonerei il pallone e mi darei al lavoro con passione,
se fossi svizzero, farei tutto senza precisione e con grande confusione,
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se fossi scandinavo, esternerei i miei sentimenti e non sarei mai esausto.
Se fossi scozzese, sarei con tutti i miei averi prodigo e liberale,
se fossi inglese, sarei uno qualsiasi gentile e cortese,
se fossi ebreo, andrei avanti con la mia vita senza pretese,
se fossi italiano, farei tutto senza gusto e in modo legale.
Liberiana Prencipe
Se non riuscissi a trovare un equilibrio, sconvolgerei il mondo.
Se non riuscissi a trovare la felicità, morirei giovane.
Se non riuscissi a trovare una fortuna, elemosinerei per le strade.
Se non riuscissi a trovare una via d’uscita, sarei in coma per droga.
Se non riuscissi a trovare un granello di sabbia, controllerei bene le scarpe.
Se non riuscissi a trovare amici veri, resterei sola col mio gatto nero.
Se non riuscissi a trovare me stessa, mi cercherei osservando gli occhi terra.
Se non riuscissi a trovare un senso alla vita...
beh, la vita non ha senso, va solo vissuta appieno.
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Edoardo Del Nobile
Fiamme brucianoNegli occhi cerulei
Di una ragazza
Luca Ferr i
Primo giorno d’estateInfuocato
Da un Concerto rock
L’arido si lenzio del la savanaScosso
Da un Raro tuono
La tribunaEsplode
Dopo il gol
Il piccolo fanciul loScende dal la giostra
E vomita
Il computerAcceso da una settimana
Si incendia
Il ragazzoSente una battuta
E ride
La bambinaGioca col fuoco
E si brucia
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Liberiana Prencipe
Un doci le cuoreIncontra un bambinoPiangente è fuggito.
Meravigl iosa festaPassata in famigl ia
Che scocciatura.
Fel ice da un viaggioTorno
Investendo un cavallo.
Chiara Triventi
Notte di luna Alberi di ci l iegio
I fior son divenuti frutti .
La neve si sc iogl ieI fiori germogliano
L’inverno è ormai lontano
Tramonto su acque limpideUccel l i in volo
L’amore è sul la spiaggia
Vento freddoGocce d’acqua congelate
Entra il fuoco
Tempo tranquil loSole cocente
Mare in tempesta
Fuori c ’e luceFuori c’e gioia
Dentro di me i l buio
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Edoardo Del Nobile
C’era un dolce signore
Che adorava passeggiare per ore
Ahimè un giorno finì
Poiché cadde e morì
Quel dolce instancabile signore
Giuliano Petrangelo
C’era una volta un vecchio maiale d’Oviedo
Che ben grasso era e cotto allo spiedo
I commensali colti da grande appetito
Non appena fu ben servito
Scomparve il vecchio maiale d’Oviedo
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C’era una volta un lunatico tipo di Foggia
Che perdeva il senno ad ogni scroscio di pioggia
Finché la luce del sole lo abbagliò
E per sua sfortuna lo accecò
Cosicché non fu più il lunatico tipo di Foggia
C’era una volta un barbaro di Germania
Il più temuto guerriero della Renania
Un giorno combatté valoroso
Sotto un albero frondoso
Ma morì il barbaro di Germania
C’era una volta un pigron di Forlì
Che non faceva niente notte e dì
Finché un giorno di casa cacciato
Decise molto mortificato
Di lavorare il pigron di Forlì
Liberiana Prencipe
C’era un vecchio in festa
Che se ne andava strascicando la sua testa
Ma un suono stridulo alle orecchie
Gli arrivò, colpendo anche le vecchie
Vicine del vecchio gioioso in festa
Federico Ristori
C’è un uomo di Abbiategrasso
Che sulla linea di porta va sempre a spasso
Per un tiro fallito
Dovette essere sostituito
Ora è triste in panchina quell’uomo di Abbiategrasso.
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C’è un ragazzo di Sao Vicente
Molto forte tecnicamente
Ha solo una piccola cosa storta
Sbaglia troppo sotto porta
Ora esulta per la rete il ragazzo di Sao Vicente.
C’è un ragazzino di Pato
Che proprio come la città viene chiamato
Il 2 aprile ci fece esultare
Quelli là a piagnucolare
Adesso è innamorato il ragazzino di Pato.
C’è per ultimo di Rio De Janeiro
Un ragazzo docile e serio
Grazie a lui sono ventitré
Perché della difesa lui è il re
Ora è felice e sereno l’ultimo di Rio de Janeiro.
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