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GLI ACCORDI DELLA CRISI CONIUGALE IN BILICO TRA LE ISTANZE DI CONSERVAZIONE E LA
TUTELA DELL'AUTONOMIA DEI CONIUGI
Diritto di Famiglia e delle Persone (Il), fasc.1, 2014, pag. 476
Maria Giliberti
Classificazioni: SEPARAZIONE DEI CONIUGI - In genere
Il termine accordi prematrimoniali è l'espressione mutuata dal linguaggio anglosassone “prenuptial
agreement” (1), che individua il fenomeno giuridico volto a disciplinare gli accordi che i futuri sposi
concludono per regolare alcuni aspetti della vita familiare e matrimoniale e la gestione di un'eventuale
crisi coniugale (2).
Con l'istituto dei patti prematrimoniali si assiste ad una gamma infinita di tipologie di accordi che i coniugi
possono prevedere e disciplinare astrattamente. Il contenuto di tali patti prematrimoniali, dunque, può
essere definito solo in via generale, considerate le innumerevoli fattispecie concrete, e non può essere
predeterminato a priori dall'operatore giuridico. Il nostro ordinamento, infatti, è ancorato alle ideologie
cristiane-cattoliche, ed appare ancora restìo al riconoscimento in toto di tale fattispecie giuridica,
nonostante le recenti tendenze giurisprudenziali siano orientate, ad esempio, verso il riconoscimento della
liceità degli accordi in vista del divorzio.
A parere della scrivente, negare tale possibilità in un momento di divenire storico-giuridico che appare
orientato verso parametri di autonomia contrattuale sarebbe troppo “tranchant” e produrrebbe un effetto
discriminatorio in un campo, quale quello familiare, che, oggi più che mai, necessità senz'altro di tutela
preventiva e di ampia libertà tra i coniugi stessi anche in vista di una sistemazione patrimoniale
dell'assetto familiare conseguente alla crisi (basti pensare alle molteplici applicazioni pratiche di istituti
tipici per finalità atipiche, quale, ad esempio, il trust o il vincolo di destinazione ai sensi e per gli effetti di
cui all'art. 2645 ter c.c., utilizzati quali strumenti di segregazione patrimoniale in vista della crisi
familiare, e contemplati a livello operativo anche negli accordi di separazione omologati innanzi
all'autorità giudiziaria competente). L'interesse dei patti prematrimoniali, pertanto, si innesta nel più
ampio dibattito sul rilievo dell'autonomia privata nei rapporti tra coniugi con riflessi particolarmente
evidenti in riferimento all'aspetto patrimoniale derivante dalla crisi coniugale.
Non sono mancati, invero, tentativi, a livello legislativo, tesi a positivizzare tali strumenti, frutto della
pratica giuridica: difatti, ad esempio, con la proposta di legge n. 4563/2203 e con la successiva relazione,
veniva evidenziata l'assenza di una specifica regolamentazione ex ante dell'istituto in modo vincolante per
il futuro per l'ipotesi di fine del matrimonio, sulla scia dell'esperienza positivizzata di alcuni Paesi oltre
Oceano.
Orbene, la ratio sottesa al riconoscimento della legittimità di tale istituto sarebbe quella di giungere ad
una soluzione più serena e veloce della controversia, con vantaggi tali da garantire la tutela di superiori
interessi ed, in particolare, di quelli della prole coinvolti nella crisi coniugale. Invero, dal punto di vista
della liceità, l'oggetto di tali accordi dovrebbe riguardare soltanto la sfera patrimoniale, ma non quella
personale, sia nella fase fisiologica che nella fase patologica, come, del resto, è già dimostrato dalle
numerose pronunce di merito e di legittimità. Tali pronunce hanno ribadito, non sempre con convinzione,
la contrarietà ai principi dell'ordinamento giuridico nel nostro apparato normativo di tali accordi, fondando
tale illiceità sull'asserita lesione dei principi costituzionali concernenti il diritto di difesa ex art. 24 Cost., la
libertà e la dignità della persona o il superiore interesse dei figli ed, in alcuni casi, sull'equiparazione di
tali accordi a convenzioni lato sensu matrimoniali, seppure atipiche e di quantomeno dubbia ammissibilità
nel nostro ordinamento.
Giova ricordare che, a differenza delle convenzioni matrimoniali exart. 162 c.c. che non sono sottoposte
al controllo giudiziale, nel nostro ordinamento gli accordi conclusi in sede di separazione e di divorzio
sono sottoposti al controllo giudiziale mediante il meccanismo omologatorio, indipendentemente dalla
portata reale o obbligatoria degli stessi.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha da tempo liberalizzato gli accordi di separaizone, in quanto
atipici ma meritevoli di tutela, aventi presupposti e finalità differenti rispetto alle convenzioni

matrimoniali ex art. 162 c.c. e agli atti di liberalità, nonché autonomi rispetto al contenuto tipico
regolamentato dai coniugi. Invero, l'accordo con il quale le parti pongono fine consensualmente alla loro
convivenza può avere contenuto regolamentativo, e contenere pattuizioni sia atipiche che tipiche.
La fattispecie da cui prende le mosse l'indagine in parola, pertanto, affonda le sue radici nel fenomeno
degli accordi prematrimoniali e della rilevanza attribuita all'autonomia privata.
Difatti, è frutto dell'atavica considerazione e tradizione degli studiosi in materia, ritenere che l'alveo di
esplicazione dell'autonomia privata nell'ambito del diritto di famiglia rappresenti, per così dire, un
presupposto ed un limite intrinseco ed estrinseco dei rapporti sia familiari che personali o patrimoniali,
essendo ancora, allo stato, ignoti i confini entro i quali può essere circoscritta tale autonomia privata.
Cosa si intende per presupposto? Il criterio dell'autonomia regolamentativa degli interessi familiari
rappresenta il prius dell'espressione della libertà di autodeterminazione dei singoli, intesi sia quali
individui, sia quali individui facenti parte della formazione sociale per eccellenza che è la famiglia, ai sensi
e per gli effetti degli artt. 2 e 29 Costituzione, sia quali individui facenti parte delle formazioni sociali che
non si esplicano in formazioni giuridiche tipizzate previamente dal legislatore.
Analogamente, la libertà di autodeterminazione costituisce un limite sia interno che esterno, perché
ormai, per quanto sia stata progressivamente abbandonata la concezione pubblicistica della famiglia per
lasciare spazio ad una visione prevalentemente privatistica, il nostro legislatore resta ancorato all'atavica,
seppure autorevolissima impostazione dello Jemolo, secondo la quale “il diritto di famiglia è quell'isola
che il diritto può solo lambire”.
Tale principio, seppure oggetto ormai di revisione dottrinaria e giurisprudenziale, non può passare
inosservato, ma, al contempo, non può non essere considerata la tendenza di matrice liberale diretta a
riconoscere alla società naturale per eccellenza e a tutte le formazioni sociali in cui si esplica la libertà
dell'individuo, l'applicazione concreta e dinamica, e non solo di principio, dell'art. 1322 c.c.
Invero, la tesi riconducibile ad autorevole dottrina, che si sostanzia nell'impossibilità di estendere il
contenuto della disposizione di cui all'art. 1322 c.c. anche all'ambito del diritto di famiglia, poggia le sue
basi sulla considerazione in virtù della quale gli strumenti negoziali atti a regolamentare e a definire i
rapporti familiari non possono essere qualificati quali contratti, pertanto sottoponibili alle regole
sostanziali degli stessi, ma riconducibili nell'alveo dei negozi, in quanto le prestazioni in oggetto hanno
natura, carattere, essenzialmente non patrimoniale. Tale tesi, autorevolmente sostenuta da Bianca, ha le
sue ragioni sostanziali di validità, in quanto, se è vero che la differenza tra contratto e negozio risiede
nell'assenza o nella presenza della patrimonialità della prestazione, è altrettanto vero che negli ultimi
anni, comunque, è stato sempre più avvalorato l'ampliamento della sfera di operatività dell'autonomia
privata anche nella fase patologica di sistemazione degli assetti patrimoniali conseguenti alla separazione
o al divorzio.
Tale asserito riconoscimento di spazio di operatività ha determinato l'applicazione a tali strumenti
negoziali della disposizione di cui all'art. 1322 c.c. sulla base della considerazione secondo la quale gli
stessi sono leciti e meritevoli di tutela da parte dell'ordinamento giuridico italiano, seppure rientranti
nell'ambito dell'atipicità, in quanto espressione di interessi sia di natura privatistica, sia di natura
pubblicistica rilevanti. Basti pensare che, nel nostro sistema giuridico, la meritevolezza degli interessi
rappresenta il baluardo moderno per il riconoscimento di nuove fattispecie giuridiche (il riferimento è alla
nuova fattispecie negoziale o norma sugli effetti, a seconda della diversa ricostruzione dottrinaria cui si
aderisce, disciplinata all'art. 2645 ter c.c., in tema di vincolo di destinazione, utilizzata sempre più
frequentemente anche al fine di sistemare l'assetto patrimoniale conseguente ad una crisi familiare).
Pertanto, ritenendo tali tipi di accordi connotati della matrice dell'atipicità, e dotati di una propria causa,
da intendersi quale causa familiae, appare necessario, oltre che opportuno, riconoscere che l'ambito di
esplicazione della libertà contrattuale dei privati non può esprimersiad limitum in tale settore, ma
obbligatoriamente deve coniugarsi con il sistema di disposizioni inderogabili di cui all'art. 143 c.c. e
seguenti. Tale apparato di norme inderogabili è, invero, necessario quanto all'applicazione,
indipendentemente dalla valorizzazione della natura privatistica o pubblicistica degli interessi familiari e
patrimoniali sottesi alla conclusione degli accordi de quibus. Attesa, pertanto, la natura negoziale degli
stessi, e rilevata la valenza dispositiva dell'intesa oggetto della disamina, appare opportuno riconoscere le
varie fasi di alternanza di posizioni susseguitesi in giurisprudenza circa la valenza e la dimensione

negoziale degli accordi familiari nella fase patologica o antecedente la stessa. A tal proposito, difatti,
appare sempre più consolidata l'impostazione in virtù della quale viene rivalutata la natura negoziale ed,
in quanto tale, dispositiva di tali accordi, considerati gli interessi sottesi da tutelare, sia di natura
familiare che di natura patrimoniale.
Altra impostazione, invero non prevalente, allo stato, ha riconosciuto e ravvisato l'insussistenza della
dimensione privatistica propria di tali accordi, con conseguente valorizzazione dell'aspetto pubblicistico,
negandone, come corollario, la natura negoziale.
Rilevata, pertanto, la diversità in ordine all'assetto privatistico e/o pubblicistico degli accordi in parola,
appare quantomeno necessario ravvisare nella struttura causale di tali accordi, compiuti nella fase della
separazione e/o del divorzio, il momento di solidarietà postconiugale, e pertanto riconoscere in essi la
prosecuzione dei doveri di solidarietà coniugale, di assistenza e di reciproca collaborazione ai sensi e per
gli effetti di cui all'art. 160 c.c. e seguenti. Invero, la causa di tali tipi di accordi tiene conto di istanze di
vario genere, e cioè di tipo solutorio, risarcitorio, compensativo, ed, in alcuni casi, di tipo transattivo, che
qualificano il valore delle attribuzioni patrimoniali de quibus.
La valutazione circa la legittimità degli accordi matrimoniali compiuti in sede di separazione, divorzio e
annullamento del matrimonio, deve pertanto tenere conto, come poc'anzi precisato, dell'elemento
volontaristico, nel senso che l'autonomia privata dei soggetti in tale ambito ha, a tutt'oggi, un'ampia
portata applicativa, andando ad incidere e a permeare i rapporti giuridici. Tale corollario, invero,
rappresenta il portato di un principio avente carattere generale, che si manifesta nel riconoscimento della
libertà fondamentale dell'individuo tutelata anche a livello comunitario. Tale regolamentazione, frutto
della manifestazione dell'autonomia privata, costituisce espressione non solo di una facoltà che lo Stato
concede ai cittadini, bensì anche di un diritto ineliminabile connesso con il principio della libertà
fondamentale di ciascuno avente ad oggetto il potere di autodefinire i rapporti patrimoniali.
Invero, da un punto di vista dottrinario si afferma già l'idea che l'aspetto di negozialità e di
autodeterminazione avesse uno spazio di operatività maggiore anche nell'alveo dei negozi di diritto
familiare, ed anzi si tendeva a riconoscere l'ammissibilità di tali accordi in vista della separazione anche
prima dell'introduzione della disciplina dello scioglimento del matrimonio (3).
La giurisprudenza, invero, si era orientata su di un doppio binario, negando o ammettendo l'ammissibilità
astratta a seconda della tipologia creata. Difatti, in un primo tempo (4), la giurisprudenza aveva ritenuto
che tali accordi avessero efficacia e valenza dopo il riconoscimento in sede processuale e, pertanto, per
quanto realizzati precedentemente alla separazione o coevamente alla stessa, gli stessi avrebbero potuto
ricevere efficacia solo se omologati dall'autorità giudiziaria competente.
Sulla base di siffatte considerazioni, tali accordi, sia di natura patrimoniale che di natura personale, se
trasfusi negli accordi omologati sarebbero validi ed efficaci; qualora, invece, tali patti non venissero
inglobati in accordi omologati, l'ammissibilità degli stessi, secondo una parte della dottrina, sarebbe
esclusa.
La ratio dell'inammissibilità di tali accordi in sede di divorzio si riconduce all'elaborazione dei seguenti
principi: illiceità della causa in primis, in quanto si ritiene che tali pattuizioni, ove non trasfuse nel verbale
omologato, avrebbero quale unico scopo quello di vincolare, di condizionare l'atteggiamento processuale
delle parti, limitandone in concreto il diritto di difesa. In secondo luogo, l'invalidità di tali accordi è da
ricondursi all'indisponibilità degli status in quanto gli stessi avrebbero ad oggetto aspetti legati
allo status familiare.
Per converso, si è affacciata un'altra opposta tesi giurisprudenziale, facente leva sulla tipologia degli
accordi e sugli interessi tutelati: secondo tale impostazione, la natura degli interessi tutelabili affonda le
sue radici sul piano lato familiare e si concreta nell'esigenza di protezione del partner e della prole (5).
Varie, invero, sono state le ricostruzioni dottrinarie in ordine alla natura giuridica degli accordi in parola,
ma, ad avviso della scrivente, la liceità ed ammissibilità di tali accordi dovrà essere riconosciuta a
prescindere dall'inquadramento giuridico.
Secondo una prima interpretazione, tali accordi sono da qualificarsi quali convenzioni matrimoniali ai
sensi e per gli effetti di cui all'articolo 162 c.c., e, pertanto, se compiuti anteriormente alla separazione o
al divorzio sarebbero da considerarsi ammissibili.

Tale ricostruzione non convince appieno in quanto, da un lato, avrebbe il pregio di consentire che
attraverso il meccanismo formale (atto pubblico e testi) venga data pubblicità a tali tipi di atti, anche ai
fini dell'opponibilità ai terzi, dall'altro lato, invece, tale ricostruzione risentirebbe di un mancato
coordinamento con il cit. art. 162 c.c., in quanto verrebbe “sdoganata” la tesi secondo la quale vi sarebbe
spazio nel nostro ordinamento giuridico anche per convenzioni matrimoniali atipiche. E, difatti, dubbi
sorgono in merito all'asserita atipicità delle convenzioni matrimoniali; e a maggior ragione l'atipicità non
potrebbe essere riconosciuta a priori anche in considerazione della circostanza rappresentata dalle forti
resistenze che nel panorama dottrinario incontra l'applicazione dell'art. 162 c.c. alla fase di definizione
della crisi coniugale.
Altro tipo di impostazione, cui si aderisce, trova le sue radici in risalenti sentenze giurisprudenziali (6),
secondo le quali la causa degli accordi de quibus è di origine transattiva: l'accordo coniugale, cioè, può
ben contenere la mera regolamentazione di aspetti patrimoniali, in relazione ad una complessa vicenda
transattiva, anche non immediatamente collegati sul piano causale al regime di separazione o ai diritti od
agli obblighi derivanti dal matrimonio (7).
Ma deriva, invero, che ove tali stipulazioni non abbiano ad oggetto rapporti economici e personali, allora
le stesse saranno valide ed efficaci in quanto l'intenzione delle parti è quella di risolvere questioni di altra
natura sul presupposto che tali patti non possono coinvolgere diritti indisponibili, né vincolare il
comportamento processuale dei comparenti durante la fase della separazione e, come corollario, senza
considerare profili di illiceità della causa o dell'oggetto.
Una tesi siffatta, del resto, non è risultata peregrina, considerato che anche recentemente la
giurisprudenza ha ammesso la legittimità degli stessi qualora questi accordi (sia in sede di separazione
che di divorzio) non siano direttamente volti a disciplinare l'assetto futuro dei rapporti patrimoniali
attinenti l'eventuale pronuncia di divorzio, bensì siano qualificati quali meri atti transattivi, “che, ponendo
fine alle controversie insorte tra i coniugi”, dispongano per il passato (8).
In sostanza, secondo tale tesi, invero, il salvataggio dell'accordo intercorso tra le parti passerebbe
attraverso la qualificazione dello stesso quale transazione, priva di qualsiasi connessione con lo
scioglimento del matrimonio, e avrebbe il crisma della liceità in quanto non riguardante il commercio
di status.
Al di là della recente ammissibilità, a cui si è assistito negli ultimi anni, circa il carattere negoziale degli
accordi di separazione personale o di quelli raggiunti in prospettiva di una separazione personale o di una
separazione di fatto (9), si è andata, altresì, consolidando anche in giurisprudenza la tesi secondo la
quale gli accordi modificativi o in deroga delle condizioni di separazione, quand'anche non omologati né in
sede di separazione, né successivamente (con l'applicazione del procedimento di cui agli artt. 710 e 711
c.p.c.), sono da considerarsi pienamente validi ed efficaci.
Tali intese saranno da qualificarsi valide ove siano strumentali alla definizione della fattispecie solutoria in
vista della crisi del ménage familiare, purché ovviamente siano tutelati interessi familiari ed indisponibili e
che, soprattutto, mirino ad integrare e migliorare la posizione del coniuge più debole (10).
Inoltre, il contenuto di tali accordi successivi e/o modificativi dovrà ricevere il crisma della duplice
conformità alle seguenti condizioni: conformità al dettato di cui all'art. 160 c.c. e posizione di non
interferenza rispetto alle intese già omologate dal Tribunale, il cui contenuto deve avere ad oggetto
aspetti non presi in considerazione nel patto omologato, compatibili con esso, né collegati al contenuto
necessario di tali accordi.
Pertanto, ciò che viene in considerazione, alla luce di tali premesse di fondo, è la valorizzazione del
principio di “non interferenza”, oppure del principio “di maggiore o uguale rispondenza all'interesse
tutelato”. Ad esempio, le parti, anche in sede di accordi integrativi e/o modificativi degli accordi
medesimi, potrebbero integrare il contenuto di tali patti indicando anche prestazioni diverse
dall'adempimento (ad esempio, il coniuge tenuto al versamento dell'assegno di mantenimento può cedere
all'altro coniuge o ai figli un immobile locato, a titolo di datio in solutum al fine di capitalizzare una
tantum l'ammontare dell'assegno (11).
La peculiarità, come sopra evidenziata, di tali accordi modificativi e/o integrativi non può non tenere in
debito conto la specificità dell'applicazione dell'art. 160 c.c. anche al caso de quo, nel senso, cioè, che
tale disposizione trova o può trovare applicazione sia nella fase fisiologica che nella fase patologica, nel

senso che perdura anche nel momento di dissesto della vita familiare la solidarietà postconiugale intesa
anche quale diritto agli alimenti e al mantenimento sia nei confronti del coniuge che nei confronti dei
figli. (12)
Alla luce di tali premesse di principio, emblematiche sono le decisioni della Corte di Cassazione in virtù
delle quali sono valide le clausole che concernono gli aspetti parentali-coniugali, anche se poi non prese
in considerazione nell'accordo omologato, compatibili con l'accordo e non modificative della sostanza dello
stesso, tra cui, ad esempio, rientrano quelle che prevedono un assegno di mantenimento superiore a
quello sottoposto ad omologazione (13).
Ultimamente appare più accreditata la tesi che ravvisa in tali accordi (sia compiuti in sede di separazione,
sia compiuti in sede di divorzio) la natura transattiva, nella misura in cui anche in tali tipi di pattuizioni
vengano regolamentati e disciplinati aspetti patrimoniali che non incidono in via principale sugli aspetti
propri della separazione (14). La natura transattiva, invero, è alla base anche delle recenti sentenze del
Tribunale di Torino e della recente successiva pronuncia della Cassazione (15). A tal riguardo si ritiene
che i coniugi potrebbero disciplinare e definire in via transattiva i rapporti generati dal vincolo
matrimoniale, seppure non riferibili e non collegati causalmente all'aspetto proprio della separazione.
Anche questa tipologia di accordi, fatta propria dalla Cassazione, è valida ed efficace, e soprattutto non
crea problemi sulla illiceità della causa e/o sulla indisponibilità o illiceità dell'oggetto.
In ogni caso, invero, l'ambito di esplicazione dell'autonomia privata, che si esprime in relazione alla
tendneza alla privatizzazione della materia familiare, riveste un'importanza notevole anche nell'ambito
degli accordi in sede di divorzio: si ritiene che i patti contemporanei o anche successivi alla presentazione
dell'istanza di divorzio sono da ritenersi validi, nella misura in cui tali pattuizioni integrative, modificative,
dell'assegno divorzile non vadano ad intaccare la sfera personale ed i diritti intangibili della persona
collegati allo status.
Per converso, secondo quanto anche espresso dalla dottrina e dalla giurisprudenza più recente, non pare
possano esserci spazi di legittimità per quanto concerne le intese preventive dirette alla previa
determinazione del contenuto di tali accordi: la motivazione logica-giuridica a sostegno dell'illiceità di tali
accordi è da inquadrarsi nel fatto che tali accordi violerebbero il principio di irrinunciabilità di un diritto
futuro, in quanto concernenti la sfera di indisponibilità soggettiva, creando a monte un illecito
“mercimonio di status” (16).
In aggiunta a quanto poc'anzi espresso, le motivazioni a sostegno della tesi dell'inammissibilità si fondano
sul rispetto del diritto di difesa ex art. 24 della Costituzione, oltre che sull'impossibilità di una rinuncia
preventiva ad un diritto indisponibile (17).
Per altro verso, invece, adeguandosi ad un'impostazione più possibilista e meno rigorosa, parte della
dottrina affermava che il mero elemento temporale della rinuncia ad un diritto fosse un dato obiettivo
unico, da cui non poter dedurre automaticamente l'illiceità di tali accordi, dovendosi invece, in concreto,
valutare l'illiceità della causa in relazione alla fattispecie concreta (18).
Sulle orme di tale principio anche la giurisprudenza di merito si è spinta fino a riconoscere spazi di
autonomia agli accordi preventivi, anche nella forma di accordi transattivi, qualora una o entrambe le
parti abbiano inteso disporre previamente dei propri diritti patrimoniali (19). Sulla base, pertanto, di tali
considerazioni, si affaccia nel nostro panorama giuridico anche la consapevolezza dell'asserita
ammissibilità di accordi aventi ad oggetto una scrittura privata tra coniugi in vista del divorzio,
soprattutto se si aderisce alla tesi dottrinaria che ravvisa la natura giuridica degli accordi de quibus nella
disposizione di cui all'art. 1333 c.c.
Sulla base della natura giuridica ex art. 1333 c.c. attribuita a tali accordi, viene meno il pericolo
dell'illiceità della causa o dell'illiceità dell'oggetto, in quanto ciò che rileverebbe è l'unilateralità della
prestazione, concretizzantesi in un vincolo posto a carico di una sola parte.
Tale apertura invero possibilista resta, comunque, frenata dalla considerazione che ha attecchito
nell'alveo delle pronunce giurisprudenziali, prima tra tutte la pronuncia di legittimità risalente al
1981 (20).
Le motivazioni logiche-giuridiche a sostegno della pronuncia de qua sembrano apparentemente
attendibili.

La Corte, nel caso di specie, non solo ha negato la disponibilità della componente assistenziale
dell'assegno divorzile, ma, in seconda battuta, ha anche escluso, contrariamente all'orientamento
contenuto nelle pregresse pronunce, che le parti possano disporre della componente risarcitoria e
compensativa.
Le motivazioni addotte a sostegno dell'inammissibilità di tali accordi sono da individuarsi in primis nella
contrarietà all'art. 160 c.c., all'art. 5 legge divorzio, e all'art. 9 legge divorzio, oltre al fatto che si
manifesta come necessaria la presenza del P.m. nel giudizio di divorzio.
In effetti, le motivazioni possono essere enucleate come segue.
Il rinvio alla disposizione di cui all'art. 160 c.c. in tema di diritti e di doveri inderogabili tra i coniugi trova
la sua ragion d'essere sia nella fase fisiologica che nella fase patologica, oltre al fatto che i coniugi non
sarebbero a priori nella possibilità di derogare convenzionalmente ai loro diritti e doveri inderogabili.
Invero, appare quantomeno dubbia una tesi siffatta, in quanto, qualora i coniugi in vista di una futura
crisi coniugale decidessero di determinare il contenuto di prestazioni di carattere patrimoniale, tali accordi
sarebbero validi in quanto andrebbero ad intaccare la sfera meramente patrimoniale, senza
rappresentare espressione di un mercimonio di status.
Inoltre, senza idea di perentorietà, si può dire che a sostegno di tali accordi, compiuti preventivamente
rispetto all'inizio dell'iter divorzile, potrebbe essere riconosciuta la validità degli stessi in quanto
sarebbero sottoposti ad una duplice condizione, una di matrice legale (condicio iuris), l'altra di stampo
volontaristico (ma non meramente potestativa).
Nel caso di specie, difatti, la condicio iuris, che rappresenta la condizione di validità di tali accordi, si
concretizza proprio nella rottura del matrimonio, analogamente a quanto avviene in caso di donazione
obnuziale ex art. 785 c.c., in cui, per converso, il matrimonio costituisce la condicio iuris della donazione
stessa. Inoltre, la condizione volontaria è rappresentata dall'elemento volontaristico, che fa capo ad
entrambi i coniugi e che si sostanzia nel desiderio di entrambi di voler porre fine al vincolo coniugale.
Ad avvalorare la tesi della legittimità di tali accordi preventivi non vale il percorso argomentativo della
Cassazione, che ha rimarcato per converso l'impossibilità di disporre preventivamente dell'an e
del quantum ai sensi dell'art. 5 della legge sul divorzio n. 898/1970 come modificata dalla legge n.
74/1987. A tale proposito, infatti, giova ricordare che la preventiva disponibilità di tale assegno non
sembrerebbe contrastare con la disposizione di cui all'art. 5 della legge sul divorzio del 1970 (come
modificata), in quanto, comunque, il riconoscimento di tale quantum previamente pattuito sarebbe
sottoposto a controllo omologatorio dell'autorità giudiziaria competente, e quest'ultima, ad ogni buon
conto, sarà costretta a valutare la congruità dell'importo predefinito dalle parti concordemente rispetto
agli indici e ai criteri per l'erogazione dell'assegno divorzile.
A nulla varrebbe l'eccezione in virtù della quale le parti potrebbero incidere soltanto sul momento
solutorio, in quanto anche la concreta erogazione della somma previamente pattuita resta sottoposta alla
duplice condicio iuris che si concreta nella sussistenza dei presuppostiex art. 5 legge sul divorzio del
1970, oltre che nella rottura del rapporto coniugale. Sulla base di tali prodromiche considerazioni,
pertanto, l'autorità giudiziaria, comunque, realizzerebbe un controllo omologatorio seppure, per così dire,
a valle.
E a nulla varrebbe l'interpretazione in virtù della quale il divorzio sarebbe stato soltanto prefigurato e non
già deciso.
Del resto, se è vero che il nostro ordinamento ammette e riconosce il divorzio congiunto quale
espressione di volontà delle parti indirizzata allo scioglimento del vincolo, perché non ammettere la
possibilità che, in un momento antecedente, temporalmente, le parti si accordino circa la determinazione
del mero quantum, senza peraltro rinunciare allo stesso assegno a priori? Difatti, si ritiene che la sola
rinuncia a priori all'assegno da parte di un coniuge rappresenti una violazione del diritto di difesa ex art.
24 Costituzione e contemporaneamente una compressione di uno status legata alla libertà personale
dell'individuo. Queste ultime motivazioni hanno rappresentato le ragioni per le quali la Suprema Corte ha
dichiarato la nullità di tali accordi per illiceità della causa, al punto che è stato, altresì, dichiarato affetto
da nullità l'accordo raggiunto già in sede di separazione, con il quale una parte, per il caso del futuro
divorzio, dichiara di rinunciare all'assegno divorzile autoproclamandosi autosufficiente (21). Appare,

invece, ragionevole ritenere che un'eventuale transazione avente ad oggetto la regolamentazione di
pregressi, attuali e non futuri rapporti patrimoniali, sia da considerarsi lecita (22).
Pertanto, al fine di delimitare e di qualificare la validità o meno di un accordo, sarà opportuno valutare la
fattispecie concreta analizzando essenzialmente la causa concreta propria della transazione ed il nesso
funzionale, logico, temporale, intecorrente tra la transazione compiuta e successivamente la separazione
o il divorzio.
Qualora dall'analisi della singola fattispecie concreta non risultasse un collegamento funzionale tra la
transazione compiuta e la crisi familiare, la regolamentazione transattiva sarebbe lecita e tutelabile, ed in
questo caso non varrebbero le considerazioni sull'illiceità di tali accordi fondati sull'illiceità della causa,
sulla contrarietà all'ordine pubblico sia interno che internazionale, espressione di manifestazione
anticipata del consenso al divorzio.
Ad avvalorare la considerazione di validità di tali accordi in sede divorzile ricorre un altro principio di
diritto che riguarda le disposizioni di cui agli artt. 162 e 163 c.c. Nella specie, è ragionevole ritenere che
tali accordi non possano essere inquadrati in convenzioni matrimonialiex art. 162 e 163 c.c., sia da un
punto di vista formale, sia da un punto di vista sostanziale, e, come corollario, anche gli accordi compiuti
in vista di separazione e/o di divorzio non sono suscettibili di applicazione della disposizione di cui all'art.
160 c.c., in quanto i diritti e doveri coniugali sono inderogabili nella fase fisiologica, ma non nella fase
patologica qual è quella della crisi del matrimonio. Inoltre, l'accordo patrimoniale, seppure nella fase
prodromica rispetto alla separazione e/o divorzio, potrebbe essere validamente concluso qualora sia
sottoposto alla clausola contrattuale rebus sic stantibus, nel riconoscere la modificabilità sopravvenuta di
tali accordi in conseguenza delle modifiche patrimoniali.
Alla luce di tali considerazioni, la tesi sostenuta nelle pronunce proliferate negli anni '80 e '90 e sopra
richiamate non tiene conto di dati di fatto rilevanti, oltre che di elementi giuridici che consentirebbero uno
scardinamento delle ataviche e pregresse impostazioni.
Ultime considerazioni necessitano di essere spiegate al fine di riconoscere la validità degli accordi in vista
di divorzio.
L'assegno divorzile, avente, allo stato, una componente meramente assistenziale e non compensativa o
risarcitoria (23), potrebbe avere, per quanto concerne la natura giuridica, sia il carattere alimentare che
quello di mantenimento.
Difatti, ove lo stesso sia da inquadrarsi nell'alveo della natura alimentare (come, a parere della scrivente,
non parrebbe) ne discenderebbe tra le conseguenze giuridiche, in particolare, l'applicazione della
disposizione di cui all'art. 447 c.p.c. relativa all'impignorabilità, all'incedibilità, all'indisponibilità e
all'incompensabilità.
Se, invece come pare preferibile, la natura del medesimo sia da inquadrarsi in una prestazione di
mantenimento, ma non avente carattere strettamente alimentare, allora le rigide regole di cui all'art. 447
c.p.c. non sarebbero applicabili al caso di specie.
Ad avvalorare tale impostazione, invero, circa il carattere non alimentare della prestazione in esame,
ricorrono i presupposti in virtù dei quali viene consentita l'erogazione della prestazione de qua: cioè lo
stato di bisogno relativo e non assoluto, parametrato, cioè, non solo al tenore di vita goduto dal soggetto
richiedente, ma anche al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Viceversa, se tali prestazioni
fossero da inquadrarsi nell'alveo delle prestazioni di natura meramente alimentare, rileverebbe soltanto lo
stato di bisogno oggettivo, cioè l'insufficienza economica di provvedere a se stessi.
Sulla base di tali premesse, appare oramai inconfutabile l'argomentazione che tende ad enfatizzare la
portata ed il valore della libertà dei coniugi anche nella fase di crisi coniugale in ordine alla scelta se
conservare o meno il loro status coniugale, ritenendosi, al limite, che tali accordi prematrimoniali di
natura economica possano coartare la volontà di uno o di entrambi qualora siano previste conseguenze
patrimoniali pregiudizievoli.
In caso contrario, sarebbero troppo rigide le argomentazioni giuridiche fondantesi sul rispetto dei diritti
indisponibili dei coniugi e sostenute dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale “gli accordi
preventivi tra i coniugi in ordine al regime economico sul divorzio hanno quale effetto quello di
condizionare il comportamento processuale delle parti, violando il diritto di difesa e la libertà di scelta
(Cass. civ. n. 8912/1994; di analogo tenore Cass. civ. n. 9416/1995 e Cass. civ. n. 2955/1998). A tal

proposito, invero, la Suprema Corte con una pronuncia recente (Cass. civ., sez. I, sentenza 21 dicembre
2012 n. 23713) ha attenuato la rigida impostazione di chiusura e ha consentito uno spiraglio di apertura
nei confronti di tali accordi in vista di divorzio, riconoscendo, invero, la possibilità di realizzare
preventivamente gli stessi, seppure in vista del divorzio, qualora l'oggetto di tali pattuizioni sia di
carattere meramente economico senza inficiare l'aspetto relativo allo status dei coniugi, valorizzando,
pertanto, la sfera dell'autonomia negoziale anche nei rapporti di famiglia. La vicenda prende le mosse
dalla seguente fattispecie: due futuri coniugi stipulavano una scrittura privata con la quale stabilivano
che, in caso di rottura del matrimonio (per separazione o per scioglimento degli effetti civili dello stesso),
la moglie avrebbe trasferito al futuro marito un determinato immobile a titolo tacitativo per le spese
sostenute per il matrimonio (nello specifico, per la ristrutturazione della casa coniugale), ricevendo dal
marito Buoni del Tesoro. Successivamente alla celebrazione del matrimonio, l'epilogo è negativo, nel
senso che i coniugi giungono prima alla separazione e poi al divorzio.
Dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio, l'ex marito promuoveva domanda
giudiziale ex art. 2932 c.c. al fine di ottenere il trasferimento coattivo dell'immobile, ma in un primo
grado il Tribunale rigettava la domanda proposta. Pertanto, l'ex coniuge ricorreva in Appello, stavolta con
l'esito positivo del riconoscimento del diritto ad ottenere l'adempimento della prestazione dedotta in
contratto dalla moglie. L'ex moglie, tuttavia, ricorreva in Cassazione, lamentando la nullità
dell'accordo de quo per violazione della disposizione di cui all'art. 160 c.c. La Suprema Corte, invero,
interpretando l'accordo de quo alla luce dei criteri ermeneutici enucleati dall'art. 1363 c.c. giustamente ha
fatto leva sul dato funzionale causale, nel senso, cioè, di ritenere che tali accordi abbiano ad oggetto
prestazioni e controprestazioni tra di loro proporzionali, la cui causa non è ravvisabile nello scioglimento
del matrimonio, che per converso, invece, rappresenta un mero evento condizionante.
Dunque, lo scioglimento del matrimonio non è la causa dell'accordo economico, in quanto in tale ipotesi,
secondo la S.C., l'accordo sarebbe “una sorta di dissuasione volta a condizionare la libertà decisionale
degli sposi anche in ordine all'assunzione di iniziative tendenti allo scioglimento del vincolo coniugale”.
Esso rappresenta, a giudizio della S.C., soltanto un “mero evento condizionale”, che non è da ascriversi
né ad una condizione meramente potestativa, in quanto il fallimento del matrimonio non dipende dalla
volontà di un solo coniuge, bensì da condizioni oggettive, né ad una condizione illecita in quanto contraria
a norme imperative, ordine pubblico e buon costume.
La liceità dell'accordo, che tutela ed esprime interessi meritevoli ex art. 1322 c.c., è garantita dal fatto
che non si impinge nel divieto di contrarietà all'ordine pubblico, al buon costume e norme imperative, e
consente, pertanto, che i coniugi stabiliscano a priori alcune conseguenze economiche derivanti dal
fallimento del rapporto coniugale. Tale accordo, invero, secondo la Suprema Corte è da inquadrarsi in un
contratto a prestazioni corrispettive riconducibile nel novero della datio in solutum, strumento di
estinzione dell'obbligazione, di carattere solutorio, richiedente il consenso del creditore. La peculiarità
dell'analisi seguita dalla pronuncia in esame apre un varco di legittimità nei confronti di quegli accordi che
sono estranei, peraltro, alla categoria degli accordi prematrimoniali (ovvero effettuati in sede di
separazione consensuale) in vista del divorzio e che intendono regolare l'intero assetto economico tra i
coniugi o un profilo rilevante (come la corresponsione di assegno), con possibili arricchimenti e
impoverimenti.
Nel caso di specie, secondo il convincimento del giudice adito, l'accordo, atipico, sarebbe caratterizzato
da prestazioni e controprestazioni tra di loro proporzionali. La validità di tali accordi, pertanto, come
validamente ritiene la Suprema Corte, non contrasta con la disposizione di cui all'art. 160 c.c., in quanto
nella fase fisiologica permane l'obbligo di reciproca contribuzione tra i coniugi in relazione alle sostanze
ed alla capacità contributiva degli stessi, mentre nella fase patologica (anche nel divorzio) possono
rivivere i rapporti di dare ed avere derivanti dall'obbligo di contribuzione.
Inoltre, come ritenuto dalla S.C., nell'ottica di un'operazione deflattiva delle controversie giudiziarie in
materia familiare, l'ammissibilità di tali accordi potrebbe essere avvalorata dall'ammissibilità riconosciuta
agli accordi in vista della declaratoria di nullità del matrimonio. Difatti, se è vero che il carattere
inquisitorio di tale giudizio teso alla dichiarazione invalidante del matrimonio determina un controllo
notevole dell'autorità giudiziaria in tutto l'iter, analoghe considerazioni non potrebbero farsi qualora le
parti si limitino a chiedere l'omologa con decreto di patti stipulati privatamente dagli stessi, senza che, tra

l'altro, l'autorità adìta possa effettuare un sindacato nel merito pieno, bensì soltanto un controllo di
legittimità (24).
Il carattere inquisitorio, pertanto, eliminerebbe sia la possibilità di influenza delle parti sul
comportamento processuale, sia un prodromico potere dispositivo dello status di coniuge, in quanto gli
accordi preventivi in vista della nullità del matrimonio non potrebbero essere correlati con la causa di
nullità matrimoniale, che può accertare semplicemente la validità o l'invalidità dell'atto di matrimonio e
non del rapporto di matrimonio, e la dimostrazione sarebbe avvalorata, altresì, dalla natura dichiarativa
della sentenza di nullità matrimoniale (25).
Tali conclusioni non possono non tenere conto delle istanze di modernità che si affacciano costantemente
nel nostro panorama legislativo, e che gli operatori del diritto sono costretti ad analizzare, seppure tali
istanze non siano ancora state positivizzate. Appare, invero, ancora lungo il percorso teso ad uno
scardinamento totale delle ataviche considerazioni fondate su concezioni pubblicistiche del panorama
familiare, che necessitano, de iure condendo, di essere notevolmente ridimensionate anche nell'ottica di
un vero, concreto e non fittizio ampliamento della sfera di operatività dell'autonomia privata.
Note:
(1) L'ampia dilatazione degli spazi di operatività dell'autonomia privata anche nel nostro ordinamento
ha consentito un avvicinamento tra il contenuto degli accordi realizzati nella fase di crisi coniugale e i cd.
separation agreements, figura da tempo utilizzata con successo e disinvoltura nell'esperienza di common
law propria dei Paesi anglosassoni.
(2) Per un approfondimento sull'istituto cfr. S.M.Cretney, Family law, London, 1997, 95. L'ordinamento
inglese e quello statunitense differiscono da quelli di civil law in ordine alla facoltà riconosciuta ai coniugi
di stipulare accordi aventi natura negoziale, pienamente vincolanti, relativi al mantenimento dell'altro
coniuge in costanza di matrimonio (maintenance agreements) oppure alla separazione ed al divorzio
(separation agreements).
(3) E. Quadri, Autonomia negoziale dei coniugi e recenti prospettive di riforma, in Nuova giur. civ.
comm., 2001; L. Barassi, La famiglia legittima nel nuovo codice civile, Milano, 1941, 153; M. R. Marella,
Gli accordi fra i coniugi fra suggestioni comparatistiche e diritto interno, in Separazione e divorzio, diretto
da Ferrando, I, in Giur. sist. dir. civ. e comm., Torino, 2003; P. Zatti, La separazione personale, in
Trattato dir. priv., diretto da P. Rescigno, Torino, 1996, 139.
(4) Cass., sez. I, 13 febbraio 1985 n. 1208, in Nuova giur. civ. comm., 1985, I, 658 ss.: Cass. sez. I,
28 settembre 1997 n. 9287, in Vita notarile, 1998, II, 217. In tema di invalidità di accordi precedenti
l'omologazione se non trasfusi nel verbale di conciliazione, A. Morace Pinelli, Separazione consensuale e
negozi atipici familiari, in Giur. it., 1994, I, 304 e ss.
(5) Cass., sez. I, 13 gennaio 1993 n. 348, in Corriere giuridico, 1993, 822. In dottrina, G. Oberto, La
natura dell'accordo di separazione consensuale e le regole contrattuali ad esso applicabili, in Fam. e dir.,
2000, 86.
(6) Cass. 1994 n. 4647; Cass., sez. I, 17 giugno 1992 n. 7470, in Mass. Giur. it., 1992: “Il patto tra i
coniugi mediante il quale si realizzano trasferimenti immobiliari a regolamentazione dei reciproci rapporti
e accordi economici e a tacitazione del dovere di mantenimento, deve ritenersi valido ed operante anche
laddove inserito in un accordo per la separazione di fatto dei coniugi medesimi, alla stregua della liceità di
tale accordo, pur se non idoneo a produrre gli effetti della separazione legale”.
(7) Cass., sez. I, 15 marzo 1991 n. 2788, in Foro it., 1991, I, 1787.
(8) Cass., sez. I, 14 giugno 2000 n. 8109, in Foro it., 2001, I, 1318, con nota critica di M. Guarini, La
Cassazione conferma la nullità dei patti anteriori al divorzio, in Giust. civ., 2001, II, 457 ss., che
evidenzia anche come la pronuncia appaia contraddittoria, in quanto solo una modifica del rigido principio
di invalidità dei patti preventivi di divorzio avrebbe potuto giustificare la soluzione enunciata per la
convenzione transattiva, trattandosi di un accordo pur sempre incidente sull'assetto complessivo dei
rapporti patrimoniali conseguenti al divorzio. Aderisce all'orientamento in esame anche Cass. 10 marzo
2006 n. 5302: “Gli accordi diretti a fissare, in sede di separazione, i reciproci rapporti economici in
relazione al futuro ed eventuale divorzio con riferimento specifico all'assegno divorzile sono nulli per
illiceità della causa, avuto riguardo alla natura assistenziale di detto assegno previsto anche a tutela del
coniuge più debole, che rende indisponibile il diritto a richiederlo. Ne consegue che la disposizioni di cui

all'art. 5, ottavo comma, legge n. 898/1970 nel testo modificato dalla legge n. 74 del 1987, nella parte in
cui sancisce che, su accordo convenzionale delle parti, la corresponsione dell'assegno divorzile può
avvenire in un'unica soluzione, ove ritenuta equa dal Tribunale, senza che si possa proporre alcuna
successiva domanda di contenuto economico, non sarà applicabile al di fuori del giudizio di divorzio e gli
accordi di separazione, dovendo essere interpretati secundum ius, non possono implicare rinuncia
all'assegno divorzile.
(9) Cass., sez. I, 13 gennaio 1993 n. 348, in Corriere giuridico, 1993, 822. In dottrina, G. Oberto, La
natura dell'accordo di separazione consensuale e le regole contrattuali ad esso applicabili, cit., 86 ss. Gli
accordi aventi occasione nella separazione attengono a pattuizioni patrimoniali che integrano gli estremi
di un contratto atipico valido, la cui funzione causale è da individuarsi nello spirito di sistemazione di tutti
i rapporti patrimoniali maturati nel corso della convivenza matrimoniale. Sull'idoneità del verbale di
omologa della separazione ai fini della trascrizione, si veda P. Carbone, I trasferimenti immobiliari in
occasione della separazione e del divorzio, in Notariato, 2005, 628 ss. Prevale attualmente la risposta
positiva, secondo la quale nel verbale devono essere contenute tute le menzioni. Inoltre, a tale riguardo,
la giurisprudenza di merito ritiene opportuno o necessario l'atto notarile per una maggiore tutela dei
diritti dei minori.
(10) Ad esempio, sono stati rinvenuti validi ed efficaci gli accordi integrativi dell'accordo di separazione
omologato, qualora non siano lesivi del diritto al mantenimento e agli alimenti. In particolare, in una
fattispecie di comproprietà della casa familiare da parte dei coniugi, in regime di comunione legale ed in
assenza di prole, i giudici hanno riconosciuto la possibilità di pattuire, anche tacitamente, l'assegnazione
esclusiva della casa familiare al partner avente diritto al mantenimento come componente di questo;
Cass. 12 gennaio 2000 n. 266, in Mass. Giust. civ., 2000, 46.
(11) Il pagamento dell'assegno in un'unica soluzione è condizionato sia all'accordo delle parti, sia alla
verifica giudiziale circa la valutazione di equità.In altri ordinamenti, ad esempio in Francia, il pagamento
in un'unica soluzione, attraverso l'attribuzione di un capitale, costituisce un modo ordinario di
adempimento.
(12) Cass., sez. I, 22 gennaio 1994 n. 67, in questa Rivista, 1994, 868; Cass. 28 luglio 1997 n. 7029,
in Mass. Foro it., 1999, 677; Cass., sez. I, 18 settembre 1997 n. 9287, in Vita notarile, 1998, 217. La
peculiarità del diritto al mantenimento e del diritto agli alimenti, quale limite entro cui poter realizzare le
intese modificative dell'accordo di separazione, si giustifica in quanto espressione di solidarietà
postconiugale, da ricondursi alla disposizione di cui all'art. 160 c.c., quale diritto di natura inderogabile.
In proposito, Cass. 24 ottobre 2007 n. 22329, in Giur. it., 2008, 1687; Cass. 10 ottobre 2005 n. 20290,
in Fam. pers. e succ., 2007, 107; M.C. Andrini, Sugli effetti personali della separazione e del divorzio, in
Separazione e divorzio, diretto da G. Ferrando, I, cit., 573 ss.
(13) Cass., sez. I, 24 febbraio 1993 n. 2270.
(14) Cass. civ., sez. I, 15 marzo 1991, n. 2788, in Foro it., 1991, I, 1787.
(15) Cass., sez. I, 21 dicembre 2012 n. 23713; Trib. Torino, sez. VII, ord. 20 aprile 2012, Pres. est.
Tamagnone, secondo il quale l'accordo concluso sui profili patrimoniali tra i coniugi in sede di separazione
legale ed in vista del divorzio non contrasta né con l'ordine pubblico, né con l'art. 160 c.c. Nella specie le
parti, pochi mesi prima della pronuncia di separazione «a conclusioni congiunte», avevano convenuto che
l'erogazione dell'importo a titolo di assegno di mantenimento a carico del marito sarebbe venuta a
cessare all'atto dell'inizio della causa per la pronunzia della cessazione degli effetti civili del matrimonio,
con impegno della moglie a «nulla pretender[e] [dal marito], né a titolo di una tantum, né di
mantenimento». In sede di udienza presidenziale di divorzio la suddetta intesa è stata ritenuta valida e
vincolante, con conseguente rigetto della domanda della moglie volta ad ottenere un assegno.
(16) Cass. 11 giugno 1981 n. 3777, in questa Rivista, 1981, 1025.
(17) Cass. 6 aprile 1997 n. 1305, in Foro it., 1997, 2247: nella specie l'ex moglie, ricevendo la somma
di lire 300.000, aveva dichiarato per iscritto di non aver null'altro a pretendere dall'ex marito.
(18) G. Ceccherini, Contratti tra coniugi in vista della cassazione del ménage, Padova, 1999, 154.
(19) Trib. Napoli 28 marzo 1979, in Foro it., Rep., 1980; App. Milano 22 gennaio 1980, in questa
Rivista, 1980, 874; Trib. Bari 14 febbraio 1980, in Giur. it., 1981, I, 2, 210.
(20) Cass. 11 giugno 1981 n. 3777, in Foro it., 1981, I, 184; la decisione de qua concerne il caso di un

accordo tra coniugi con il quale veniva previsto il diritto del marito di mantenere fermo, per un
determinato periodo di tempo, l'importo dell'assegno dovuto alla moglie, anche in caso di eventuale
divorzio.
(21) Cass. 11 agosto 1992 n. 9494, in Giur. it., 1993, I, 1, 1495; nella stessa linea anche Cass., sez. I,
12 febbraio 2003 n. 2079, in Fam. e dir., 2003, 344 (nella specie si trattava dell'affermazione, di cui è
stata dichiarata l'illegittimità, del coniuge più debole che liberava, in vista del divorzio, l'altro coniuge da
ogni obbligazione patrimoniale nei suoi confronti).
(22) Cass., sez. I, 14 giugno 2000 n. 8109, in Foro it., 2001, I, 1318. Ovviamente non tutti gli atti di
transazione risultano essere validi ed efficaci; anzi, in una pronuncia i giudici di legittimità hanno
dichiarato la nullità degli accordi per illiceità della causa, con i quali il marito, in sede di separazione
consensuale, si era impegnato al trasferimento di un appartamento alla moglie, la quale, dal canto suo,
aveva rinunciato al mantenimento dichiarando espressamente di non pretendere alcunché in caso di
divorzio, rinunciando, quindi, anche all'assegno di cui all'art. 5 legge 898/1970.
(23) La legge di modifica del divorzio (legge 6 marzo 1987 n. 74) unitamente alla pronuncia a Sezioni
Unite della Cassazione (Cass. sez. unite 29 novembre 1990 n. 11490, in Foro it., 1991, I, 74) ha
riformato l'art. 5, comma 6, legge divorzio nella parte in cui ha riconosciuto sostanzialmente all'assegno
in parola natura meramente assistenziale, subordinando la corresponsione dell'assegno al coniuge più
debole alla mancanza di mezzi adeguati e all'impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive. Pertanto,
alla luce delle novità così introdotte viene sottratto alla disponibilità delle parti l'intero importo
dell'assegno di divorzio, avente ormai natura meramente assistenziale.
(24) Cass. 13 gennaio 1993 n. 348, in Giur. it., 1993, I, 1, 1672.
(25) Analogamente Cass. 13 gennaio 1993 n. 348, cit.
Archivio selezionato: Dottrina GLI ACCORDI DELLA CRISI CONIUGALE IN BILICO TRA LE ISTANZE DI
CONSERVAZIONE E LA TUTELA DELL'AUTONOMIA DEI CONIUGI Diritto di Famiglia e delle Persone (Il), fasc.1,
2014, pag. 476 Maria Giliberti Classificazioni: SEPARAZIONE DEI CONIUGI In genere Il termine accordi
prematrimoniali è l'espressione mutuata dal linguaggio anglosassone “prenuptial agreement” (1), che
individua il fenomeno giuridico volto a disciplinare gli accordi che i futuri sposi concludono per regolare
alcuni aspetti della vita familiare e matrimoniale e la gestione di un'eventuale crisi coniugale (2). Con
l'istituto dei patti prematrimoniali si assiste ad una gamma infinita di tipologie di accordi che i coniugi
possono prevedere e disciplinare astrattamente. Il contenuto di tali patti prematrimoniali, dunque, può
essere definito solo in via generale, considerate le innumerevoli fattispecie concrete, e non può essere
predeterminato a priori dall'operatore giuridico. Il nostro ordinamento, infatti, è ancorato alle ideologie
cristianecattoliche, ed appare ancora restìo al riconoscimento in toto di tale fattispecie giuridica,
nonostante le recenti tendenze giurisprudenziali siano orientate, ad esempio, verso il riconoscimento della
liceità degli accordi in vista del divorzio. A parere della scrivente, negare tale possibilità in un momento di
divenire storicogiuridico che appare orientato verso parametri di autonomia contrattuale sarebbe troppo
“tranchant” e produrrebbe un effetto discriminatorio in un campo, quale quello familiare, che, oggi più che
mai, necessità senz'altro di tutela preventiva e di ampia libertà tra i coniugi stessi anche in vista di una
sistemazione patrimoniale dell'assetto familiare conseguente alla crisi (basti pensare alle molteplici
applicazioni pratiche di istituti tipici per finalità atipiche, quale, ad esempio, il trust o il vincolo di
destinazione ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 2645 ter c.c., utilizzati quali strumenti di segregazione
patrimoniale in vista della crisi familiare, e contemplati a livello operativo anche negli accordi di
separazione omologati innanzi all'autorità giudiziaria competente). L'interesse dei patti prematrimoniali,
pertanto, si innesta nel più ampio dibattito sul rilievo dell'autonomia privata nei rapporti tra coniugi con
riflessi particolarmente evidenti in riferimento all'aspetto patrimoniale derivante dalla crisi coniugale. Non

sono mancati, invero, tentativi, a livello legislativo, tesi a positivizzare tali strumenti, frutto della pratica
giuridica: difatti, ad esempio, con la proposta di legge n. 4563/2203 e con la successiva relazione, veniva
evidenziata l'assenza di una specifica regolamentazione ex ante dell'istituto in modo vincolante per il futuro
per l'ipotesi di fine del matrimonio, sulla scia dell'esperienza positivizzata di alcuni Paesi oltre Oceano.
Orbene, la ratio sottesa al riconoscimento della legittimità di tale istituto sarebbe quella di giungere ad una
soluzione più serena e veloce della controversia, con vantaggi tali da garantire la tutela di superiori interessi
ed, in particolare, di quelli della prole coinvolti nella crisi coniugale. Invero, dal punto di vista della liceità,
l'oggetto di tali accordi dovrebbe riguardare soltanto la sfera patrimoniale, ma non quella personale, sia
nella fase fisiologica che nella fase patologica, come, del resto, è già dimostrato dalle numerose pronunce
di merito e di legittimità. Tali pronunce hanno ribadito, non sempre con convinzione, la contrarietà ai
principi dell'ordinamento giuridico nel nostro apparato normativo di tali accordi, fondando tale illiceità
sull'asserita lesione dei principi costituzionali concernenti il diritto di difesa ex art. 24 Cost., la libertà e la
dignità della persona o il superiore interesse dei figli ed, in alcuni casi, sull'equiparazione di tali accordi a
convenzioni lato sensu matrimoniali, seppure atipiche e di quantomeno dubbia ammissibilità nel nostro
ordinamento. Giova ricordare che, a differenza delle convenzioni matrimoniali exart. 162 c.c. che non sono
sottoposte al controllo giudiziale, nel nostro ordinamento gli accordi conclusi in sede di separazione e di
divorzio sono sottoposti al controllo giudiziale mediante il meccanismo omologatorio, indipendentemente
dalla portata reale o obbligatoria degli stessi. La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha da tempo
liberalizzato gli accordi di separaizone, in quanto atipici ma meritevoli di tutela, aventi presupposti e finalità
differenti rispetto alle convenzioni matrimoniali ex art. 162 c.c. e agli atti di liberalità, nonché autonomi
rispetto al contenuto tipico regolamentato dai coniugi. Invero, l'accordo con il quale le parti pongono fine
consensualmente alla loro convivenza può avere contenuto regolamentativo, e contenere pattuizioni sia
atipiche che tipiche.2/3/2015 www.iusexplorer.it/Iusexplorer/PrintExportSend
http://www.iusexplorer.it/Iusexplorer/PrintExportSend 2/10 La fattispecie da cui prende le mosse
l'indagine in parola, pertanto, affonda le sue radici nel fenomeno degli accordi prematrimoniali e della
rilevanza attribuita all'autonomia privata. Difatti, è frutto dell'atavica considerazione e tradizione degli
studiosi in materia, ritenere che l'alveo di esplicazione dell'autonomia privata nell'ambito del diritto di
famiglia rappresenti, per così dire, un presupposto ed un limite intrinseco ed estrinseco dei rapporti sia
familiari che personali o patrimoniali, essendo ancora, allo stato, ignoti i confini entro i quali può essere
circoscritta tale autonomia privata. Cosa si intende per presupposto? Il criterio dell'autonomia
regolamentativa degli interessi familiari rappresenta il prius dell'espressione della libertà di
autodeterminazione dei singoli, intesi sia quali individui, sia quali individui facenti parte della formazione
sociale per eccellenza che è la famiglia, ai sensi e per gli effetti degli artt. 2 e 29 Costituzione, sia quali
individui facenti parte delle formazioni sociali che non si esplicano in formazioni giuridiche tipizzate
previamente dal legislatore. Analogamente, la libertà di autodeterminazione costituisce un limite sia
interno che esterno, perché ormai, per quanto sia stata progressivamente abbandonata la concezione
pubblicistica della famiglia per lasciare spazio ad una visione prevalentemente privatistica, il nostro
legislatore resta ancorato all'atavica, seppure autorevolissima impostazione dello Jemolo, secondo la quale
“il diritto di famiglia è quell'isola che il diritto può solo lambire”. Tale principio, seppure oggetto ormai di
revisione dottrinaria e giurisprudenziale, non può passare inosservato, ma, al contempo, non può non
essere considerata la tendenza di matrice liberale diretta a riconoscere alla società naturale per eccellenza
e a tutte le formazioni sociali in cui si esplica la libertà dell'individuo, l'applicazione concreta e dinamica, e
non solo di principio, dell'art. 1322 c.c. Invero, la tesi riconducibile ad autorevole dottrina, che si sostanzia
nell'impossibilità di estendere il contenuto della disposizione di cui all'art. 1322 c.c. anche all'ambito del
diritto di famiglia, poggia le sue basi sulla considerazione in virtù della quale gli strumenti negoziali atti a
regolamentare e a definire i rapporti familiari non possono essere qualificati quali contratti, pertanto

sottoponibili alle regole sostanziali degli stessi, ma riconducibili nell'alveo dei negozi, in quanto le
prestazioni in oggetto hanno natura, carattere, essenzialmente non patrimoniale. Tale tesi, autorevolmente
sostenuta da Bianca, ha le sue ragioni sostanziali di validità, in quanto, se è vero che la differenza tra
contratto e negozio risiede nell'assenza o nella presenza della patrimonialità della prestazione, è altrettanto
vero che negli ultimi anni, comunque, è stato sempre più avvalorato l'ampliamento della sfera di
operatività dell'autonomia privata anche nella fase patologica di sistemazione degli assetti patrimoniali
conseguenti alla separazione o al divorzio. Tale asserito riconoscimento di spazio di operatività ha
determinato l'applicazione a tali strumenti negoziali della disposizione di cui all'art. 1322 c.c. sulla base
della considerazione secondo la quale gli stessi sono leciti e meritevoli di tutela da parte dell'ordinamento
giuridico italiano, seppure rientranti nell'ambito dell'atipicità, in quanto espressione di interessi sia di
natura privatistica, sia di natura pubblicistica rilevanti. Basti pensare che, nel nostro sistema giuridico, la
meritevolezza degli interessi rappresenta il baluardo moderno per il riconoscimento di nuove fattispecie
giuridiche (il riferimento è alla nuova fattispecie negoziale o norma sugli effetti, a seconda della diversa
ricostruzione dottrinaria cui si aderisce, disciplinata all'art. 2645 ter c.c., in tema di vincolo di destinazione,
utilizzata sempre più frequentemente anche al fine di sistemare l'assetto patrimoniale conseguente ad una
crisi familiare). Pertanto, ritenendo tali tipi di accordi connotati della matrice dell'atipicità, e dotati di una
propria causa, da intendersi quale causa familiae, appare necessario, oltre che opportuno, riconoscere che
l'ambito di esplicazione della libertà contrattuale dei privati non può esprimersi ad limitum in tale settore,
ma obbligatoriamente deve coniugarsi con il sistema di disposizioni inderogabili di cui all'art. 143 c.c. e
seguenti. Tale apparato di norme inderogabili è, invero, necessario quanto all'applicazione,
indipendentemente dalla valorizzazione della natura privatistica o pubblicistica degli interessi familiari e
patrimoniali sottesi alla conclusione degli accordi de quibus. Attesa, pertanto, la natura negoziale degli
stessi, e rilevata la valenza dispositiva dell'intesa oggetto della disamina, appare opportuno riconoscere le
varie fasi di alternanza di posizioni susseguitesi in giurisprudenza circa la valenza e la dimensione negoziale
degli accordi familiari nella fase patologica o antecedente la stessa. A tal proposito, difatti, appare sempre
più consolidata l'impostazione in virtù della quale viene rivalutata la natura negoziale ed, in quanto tale,
dispositiva di tali accordi, considerati gli interessi sottesi da tutelare, sia di natura familiare che di natura
patrimoniale. Altra impostazione, invero non prevalente, allo stato, ha riconosciuto e ravvisato
l'insussistenza della dimensione privatistica propria di tali accordi, con conseguente valorizzazione
dell'aspetto pubblicistico, negandone, come corollario, la natura negoziale. Rilevata, pertanto, la diversità
in ordine all'assetto privatistico e/o pubblicistico degli accordi in parola, appare2/3/2015
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3/10 quantomeno necessario ravvisare nella struttura causale di tali accordi, compiuti nella fase della
separazione e/o del divorzio, il momento di solidarietà postconiugale, e pertanto riconoscere in essi la
prosecuzione dei doveri di solidarietà coniugale, di assistenza e di reciproca collaborazione ai sensi e per gli
effetti di cui all'art. 160 c.c. e seguenti. Invero, la causa di tali tipi di accordi tiene conto di istanze di vario
genere, e cioè di tipo solutorio, risarcitorio, compensativo, ed, in alcuni casi, di tipo transattivo, che
qualificano il valore delle attribuzioni patrimoniali de quibus. La valutazione circa la legittimità degli accordi
matrimoniali compiuti in sede di separazione, divorzio e annullamento del matrimonio, deve pertanto
tenere conto, come poc'anzi precisato, dell'elemento volontaristico, nel senso che l'autonomia privata dei
soggetti in tale ambito ha, a tutt'oggi, un'ampia portata applicativa, andando ad incidere e a permeare i
rapporti giuridici. Tale corollario, invero, rappresenta il portato di un principio avente carattere generale,
che si manifesta nel riconoscimento della libertà fondamentale dell'individuo tutelata anche a livello
comunitario. Tale regolamentazione, frutto della manifestazione dell'autonomia privata, costituisce
espressione non solo di una facoltà che lo Stato concede ai cittadini, bensì anche di un diritto ineliminabile
connesso con il principio della libertà fondamentale di ciascuno avente ad oggetto il potere di autodefinire i

rapporti patrimoniali. Invero, da un punto di vista dottrinario si afferma già l'idea che l'aspetto di
negozialità e di autodeterminazione avesse uno spazio di operatività maggiore anche nell'alveo dei negozi
di diritto familiare, ed anzi si tendeva a riconoscere l'ammissibilità di tali accordi in vista della separazione
anche prima dell'introduzione della disciplina dello scioglimento del matrimonio (3). La giurisprudenza,
invero, si era orientata su di un doppio binario, negando o ammettendo l'ammissibilità astratta a seconda
della tipologia creata. Difatti, in un primo tempo (4), la giurisprudenza aveva ritenuto che tali accordi
avessero efficacia e valenza dopo il riconoscimento in sede processuale e, pertanto, per quanto realizzati
precedentemente alla separazione o coevamente alla stessa, gli stessi avrebbero potuto ricevere efficacia
solo se omologati dall'autorità giudiziaria competente. Sulla base di siffatte considerazioni, tali accordi, sia
di natura patrimoniale che di natura personale, se trasfusi negli accordi omologati sarebbero validi ed
efficaci; qualora, invece, tali patti non venissero inglobati in accordi omologati, l'ammissibilità degli stessi,
secondo una parte della dottrina, sarebbe esclusa. La ratio dell'inammissibilità di tali accordi in sede di
divorzio si riconduce all'elaborazione dei seguenti principi: illiceità della causa in primis, in quanto si ritiene
che tali pattuizioni, ove non trasfuse nel verbale omologato, avrebbero quale unico scopo quello di
vincolare, di condizionare l'atteggiamento processuale delle parti, limitandone in concreto il diritto di
difesa. In secondo luogo, l'invalidità di tali accordi è da ricondursi all'indisponibilità degli status in quanto gli
stessi avrebbero ad oggetto aspetti legati allo status familiare. Per converso, si è affacciata un'altra opposta
tesi giurisprudenziale, facente leva sulla tipologia degli accordi e sugli interessi tutelati: secondo tale
impostazione, la natura degli interessi tutelabili affonda le sue radici sul piano lato familiare e si concreta
nell'esigenza di protezione del partner e della prole (5). Varie, invero, sono state le ricostruzioni dottrinarie
in ordine alla natura giuridica degli accordi in parola, ma, ad avviso della scrivente, la liceità ed ammissibilità
di tali accordi dovrà essere riconosciuta a prescindere dall'inquadramento giuridico. Secondo una prima
interpretazione, tali accordi sono da qualificarsi quali convenzioni matrimoniali ai sensi e per gli effetti di cui
all'articolo 162 c.c., e, pertanto, se compiuti anteriormente alla separazione o al divorzio sarebbero da
considerarsi ammissibili. Tale ricostruzione non convince appieno in quanto, da un lato, avrebbe il pregio di
consentire che attraverso il meccanismo formale (atto pubblico e testi) venga data pubblicità a tali tipi di
atti, anche ai fini dell'opponibilità ai terzi, dall'altro lato, invece, tale ricostruzione risentirebbe di un
mancato coordinamento con il cit. art. 162 c.c., in quanto verrebbe “sdoganata” la tesi secondo la quale vi
sarebbe spazio nel nostro ordinamento giuridico anche per convenzioni matrimoniali atipiche. E, difatti,
dubbi sorgono in merito all'asserita atipicità delle convenzioni matrimoniali; e a maggior ragione l'atipicità
non potrebbe essere riconosciuta a priori anche in considerazione della circostanza rappresentata dalle
forti resistenze che nel panorama dottrinario incontra l'applicazione dell'art. 162 c.c. alla fase di definizione
della crisi coniugale. Altro tipo di impostazione, cui si aderisce, trova le sue radici in risalenti sentenze
giurisprudenziali (6), secondo le quali la causa degli accordi de quibus è di origine transattiva: l'accordo
coniugale, cioè, può ben contenere la mera regolamentazione di aspetti patrimoniali, in relazione ad una
complessa vicenda transattiva, anche non immediatamente collegati sul piano causale al regime di
separazione o ai diritti od agli obblighi derivanti dal matrimonio (7). Ma deriva, invero, che ove tali
stipulazioni non abbiano ad oggetto rapporti economici e personali, allora le2/3/2015
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4/10 stesse saranno valide ed efficaci in quanto l'intenzione delle parti è quella di risolvere questioni di
altra natura sul presupposto che tali patti non possono coinvolgere diritti indisponibili, né vincolare il
comportamento processuale dei comparenti durante la fase della separazione e, come corollario, senza
considerare profili di illiceità della causa o dell'oggetto. Una tesi siffatta, del resto, non è risultata peregrina,
considerato che anche recentemente la giurisprudenza ha ammesso la legittimità degli stessi qualora questi
accordi (sia in sede di separazione che di divorzio) non siano direttamente volti a disciplinare l'assetto
futuro dei rapporti patrimoniali attinenti l'eventuale pronuncia di divorzio, bensì siano qualificati quali meri

atti transattivi, “che, ponendo fine alle controversie insorte tra i coniugi”, dispongano per il passato (8). In
sostanza, secondo tale tesi, invero, il salvataggio dell'accordo intercorso tra le parti passerebbe attraverso
la qualificazione dello stesso quale transazione, priva di qualsiasi connessione con lo scioglimento del
matrimonio, e avrebbe il crisma della liceità in quanto non riguardante il commercio di status. Al di là della
recente ammissibilità, a cui si è assistito negli ultimi anni, circa il carattere negoziale degli accordi di
separazione personale o di quelli raggiunti in prospettiva di una separazione personale o di una separazione
di fatto (9), si è andata, altresì, consolidando anche in giurisprudenza la tesi secondo la quale gli accordi
modificativi o in deroga delle condizioni di separazione, quand'anche non omologati né in sede di
separazione, né successivamente (con l'applicazione del procedimento di cui agli artt. 710 e 711 c.p.c.),
sono da considerarsi pienamente validi ed efficaci. Tali intese saranno da qualificarsi valide ove siano
strumentali alla definizione della fattispecie solutoria in vista della crisi del ménage familiare, purché
ovviamente siano tutelati interessi familiari ed indisponibili e che, soprattutto, mirino ad integrare e
migliorare la posizione del coniuge più debole (10). Inoltre, il contenuto di tali accordi successivi e/o
modificativi dovrà ricevere il crisma della duplice conformità alle seguenti condizioni: conformità al dettato
di cui all'art. 160 c.c. e posizione di non interferenza rispetto alle intese già omologate dal Tribunale, il cui
contenuto deve avere ad oggetto aspetti non presi in considerazione nel patto omologato, compatibili con
esso, né collegati al contenuto necessario di tali accordi. Pertanto, ciò che viene in considerazione, alla luce
di tali premesse di fondo, è la valorizzazione del principio di “non interferenza”, oppure del principio “di
maggiore o uguale rispondenza all'interesse tutelato”. Ad esempio, le parti, anche in sede di accordi
integrativi e/o modificativi degli accordi medesimi, potrebbero integrare il contenuto di tali patti indicando
anche prestazioni diverse dall'adempimento (ad esempio, il coniuge tenuto al versamento dell'assegno di
mantenimento può cedere all'altro coniuge o ai figli un immobile locato, a titolo di datio in solutum al fine
di capitalizzare una tantum l'ammontare dell'assegno (11). La peculiarità, come sopra evidenziata, di tali
accordi modificativi e/o integrativi non può non tenere in debito conto la specificità dell'applicazione
dell'art. 160 c.c. anche al caso de quo, nel senso, cioè, che tale disposizione trova o può trovare
applicazione sia nella fase fisiologica che nella fase patologica, nel senso che perdura anche nel momento di
dissesto della vita familiare la solidarietà postconiugale intesa anche quale diritto agli alimenti e al
mantenimento sia nei confronti del coniuge che nei confronti dei figli. (12) Alla luce di tali premesse di
principio, emblematiche sono le decisioni della Corte di Cassazione in virtù delle quali sono valide le
clausole che concernono gli aspetti parentaliconiugali, anche se poi non prese in considerazione
nell'accordo omologato, compatibili con l'accordo e non modificative della sostanza dello stesso, tra cui, ad
esempio, rientrano quelle che prevedono un assegno di mantenimento superiore a quello sottoposto ad
omologazione (13). Ultimamente appare più accreditata la tesi che ravvisa in tali accordi (sia compiuti in
sede di separazione, sia compiuti in sede di divorzio) la natura transattiva, nella misura in cui anche in tali
tipi di pattuizioni vengano regolamentati e disciplinati aspetti patrimoniali che non incidono in via
principale sugli aspetti propri della separazione (14). La natura transattiva, invero, è alla base anche delle
recenti sentenze del Tribunale di Torino e della recente successiva pronuncia della Cassazione (15). A tal
riguardo si ritiene che i coniugi potrebbero disciplinare e definire in via transattiva i rapporti generati dal
vincolo matrimoniale, seppure non riferibili e non collegati causalmente all'aspetto proprio della
separazione. Anche questa tipologia di accordi, fatta propria dalla Cassazione, è valida ed efficace, e
soprattutto non crea problemi sulla illiceità della causa e/o sulla indisponibilità o illiceità dell'oggetto. In
ogni caso, invero, l'ambito di esplicazione dell'autonomia privata, che si esprime in relazione alla tendneza
alla privatizzazione della materia familiare, riveste un'importanza notevole anche nell'ambito degli accordi
in sede di divorzio: si ritiene che i patti contemporanei o anche successivi alla presentazione dell'istanza di
divorzio sono da ritenersi validi, nella misura in cui tali pattuizioni integrative, modificative,
dell'assegno2/3/2015 www.iusexplorer.it/Iusexplorer/PrintExportSend

http://www.iusexplorer.it/Iusexplorer/PrintExportSend 5/10 divorzile non vadano ad intaccare la sfera
personale ed i diritti intangibili della persona collegati allo status. Per converso, secondo quanto anche
espresso dalla dottrina e dalla giurisprudenza più recente, non pare possano esserci spazi di legittimità per
quanto concerne le intese preventive dirette alla previa determinazione del contenuto di tali accordi: la
motivazione logicagiuridica a sostegno dell'illiceità di tali accordi è da inquadrarsi nel fatto che tali accordi
violerebbero il principio di irrinunciabilità di un diritto futuro, in quanto concernenti la sfera di
indisponibilità soggettiva, creando a monte un illecito “mercimonio di status” (16). In aggiunta a quanto
poc'anzi espresso, le motivazioni a sostegno della tesi dell'inammissibilità si fondano sul rispetto del diritto
di difesa ex art. 24 della Costituzione, oltre che sull'impossibilità di una rinuncia preventiva ad un diritto
indisponibile (17). Per altro verso, invece, adeguandosi ad un'impostazione più possibilista e meno rigorosa,
parte della dottrina affermava che il mero elemento temporale della rinuncia ad un diritto fosse un dato
obiettivo unico, da cui non poter dedurre automaticamente l'illiceità di tali accordi, dovendosi invece, in
concreto, valutare l'illiceità della causa in relazione alla fattispecie concreta (18). Sulle orme di tale principio
anche la giurisprudenza di merito si è spinta fino a riconoscere spazi di autonomia agli accordi preventivi,
anche nella forma di accordi transattivi, qualora una o entrambe le parti abbiano inteso disporre
previamente dei propri diritti patrimoniali (19). Sulla base, pertanto, di tali considerazioni, si affaccia nel
nostro panorama giuridico anche la consapevolezza dell'asserita ammissibilità di accordi aventi ad oggetto
una scrittura privata tra coniugi in vista del divorzio, soprattutto se si aderisce alla tesi dottrinaria che
ravvisa la natura giuridica degli accordi de quibus nella disposizione di cui all'art. 1333 c.c. Sulla base della
natura giuridica ex art. 1333 c.c. attribuita a tali accordi, viene meno il pericolo dell'illiceità della causa o
dell'illiceità dell'oggetto, in quanto ciò che rileverebbe è l'unilateralità della prestazione, concretizzantesi in
un vincolo posto a carico di una sola parte. Tale apertura invero possibilista resta, comunque, frenata dalla
considerazione che ha attecchito nell'alveo delle pronunce giurisprudenziali, prima tra tutte la pronuncia di
legittimità risalente al 1981 (20). Le motivazioni logichegiuridiche a sostegno della pronuncia de qua
sembrano apparentemente attendibili. La Corte, nel caso di specie, non solo ha negato la disponibilità della
componente assistenziale dell'assegno divorzile, ma, in seconda battuta, ha anche escluso, contrariamente
all'orientamento contenuto nelle pregresse pronunce, che le parti possano disporre della componente
risarcitoria e compensativa. Le motivazioni addotte a sostegno dell'inammissibilità di tali accordi sono da
individuarsi in primis nella contrarietà all'art. 160 c.c., all'art. 5 legge divorzio, e all'art. 9 legge divorzio,
oltre al fatto che si manifesta come necessaria la presenza del P.m. nel giudizio di divorzio. In effetti, le
motivazioni possono essere enucleate come segue. Il rinvio alla disposizione di cui all'art. 160 c.c. in tema di
diritti e di doveri inderogabili tra i coniugi trova la sua ragion d'essere sia nella fase fisiologica che nella fase
patologica, oltre al fatto che i coniugi non sarebbero a priori nella possibilità di derogare
convenzionalmente ai loro diritti e doveri inderogabili. Invero, appare quantomeno dubbia una tesi siffatta,
in quanto, qualora i coniugi in vista di una futura crisi coniugale decidessero di determinare il contenuto di
prestazioni di carattere patrimoniale, tali accordi sarebbero validi in quanto andrebbero ad intaccare la
sfera meramente patrimoniale, senza rappresentare espressione di un mercimonio di status. Inoltre, senza
idea di perentorietà, si può dire che a sostegno di tali accordi, compiuti preventivamente rispetto all'inizio
dell'iter divorzile, potrebbe essere riconosciuta la validità degli stessi in quanto sarebbero sottoposti ad una
duplice condizione, una di matrice legale (condicio iuris), l'altra di stampo volontaristico (ma non
meramente potestativa). Nel caso di specie, difatti, la condicio iuris, che rappresenta la condizione di
validità di tali accordi, si concretizza proprio nella rottura del matrimonio, analogamente a quanto avviene
in caso di donazione obnuziale ex art. 785 c.c., in cui, per converso, il matrimonio costituisce la condicio
iuris della donazione stessa. Inoltre, la condizione volontaria è rappresentata dall'elemento volontaristico,
che fa capo ad entrambi i coniugi e che si sostanzia nel desiderio di entrambi di voler porre fine al vincolo
coniugale. Ad avvalorare la tesi della legittimità di tali accordi preventivi non vale il percorso argomentativo

della Cassazione, che ha rimarcato per converso l'impossibilità di disporre preventivamente dell'an e del
quantum ai sensi dell'art. 5 della legge sul divorzio n. 898/1970 come modificata dalla legge n. 74/1987. A
tale proposito, infatti, giova ricordare che la preventiva disponibilità di tale assegno non sembrerebbe
contrastare con la disposizione di cui all'art. 5 della legge sul divorzio del 1970 (come modificata), in
quanto, comunque, il riconoscimento di tale quantum previamente pattuito sarebbe sottoposto a controllo
omologatorio2/3/2015 www.iusexplorer.it/Iusexplorer/PrintExportSend
http://www.iusexplorer.it/Iusexplorer/PrintExportSend 6/10 dell'autorità giudiziaria competente, e
quest'ultima, ad ogni buon conto, sarà costretta a valutare la congruità dell'importo predefinito dalle parti
concordemente rispetto agli indici e ai criteri per l'erogazione dell'assegno divorzile. A nulla varrebbe
l'eccezione in virtù della quale le parti potrebbero incidere soltanto sul momento solutorio, in quanto
anche la concreta erogazione della somma previamente pattuita resta sottoposta alla duplice condicio iuris
che si concreta nella sussistenza dei presupposti ex art. 5 legge sul divorzio del 1970, oltre che nella rottura
del rapporto coniugale. Sulla base di tali prodromiche considerazioni, pertanto, l'autorità giudiziaria,
comunque, realizzerebbe un controllo omologatorio seppure, per così dire, a valle. E a nulla varrebbe
l'interpretazione in virtù della quale il divorzio sarebbe stato soltanto prefigurato e non già deciso. Del
resto, se è vero che il nostro ordinamento ammette e riconosce il divorzio congiunto quale espressione di
volontà delle parti indirizzata allo scioglimento del vincolo, perché non ammettere la possibilità che, in un
momento antecedente, temporalmente, le parti si accordino circa la determinazione del mero quantum,
senza peraltro rinunciare allo stesso assegno a priori? Difatti, si ritiene che la sola rinuncia a priori
all'assegno da parte di un coniuge rappresenti una violazione del diritto di difesa ex art. 24 Costituzione e
contemporaneamente una compressione di uno status legata alla libertà personale dell'individuo. Queste
ultime motivazioni hanno rappresentato le ragioni per le quali la Suprema Corte ha dichiarato la nullità di
tali accordi per illiceità della causa, al punto che è stato, altresì, dichiarato affetto da nullità l'accordo
raggiunto già in sede di separazione, con il quale una parte, per il caso del futuro divorzio, dichiara di
rinunciare all'assegno divorzile autoproclamandosi autosufficiente (21). Appare, invece, ragionevole
ritenere che un'eventuale transazione avente ad oggetto la regolamentazione di pregressi, attuali e non
futuri rapporti patrimoniali, sia da considerarsi lecita (22). Pertanto, al fine di delimitare e di qualificare la
validità o meno di un accordo, sarà opportuno valutare la fattispecie concreta analizzando essenzialmente
la causa concreta propria della transazione ed il nesso funzionale, logico, temporale, intecorrente tra la
transazione compiuta e successivamente la separazione o il divorzio. Qualora dall'analisi della singola
fattispecie concreta non risultasse un collegamento funzionale tra la transazione compiuta e la crisi
familiare, la regolamentazione transattiva sarebbe lecita e tutelabile, ed in questo caso non varrebbero le
considerazioni sull'illiceità di tali accordi fondati sull'illiceità della causa, sulla contrarietà all'ordine pubblico
sia interno che internazionale, espressione di manifestazione anticipata del consenso al divorzio. Ad
avvalorare la considerazione di validità di tali accordi in sede divorzile ricorre un altro principio di diritto che
riguarda le disposizioni di cui agli artt. 162 e 163 c.c. Nella specie, è ragionevole ritenere che tali accordi
non possano essere inquadrati in convenzioni matrimoniali ex art. 162 e 163 c.c., sia da un punto di vista
formale, sia da un punto di vista sostanziale, e, come corollario, anche gli accordi compiuti in vista di
separazione e/o di divorzio non sono suscettibili di applicazione della disposizione di cui all'art. 160 c.c., in
quanto i diritti e doveri coniugali sono inderogabili nella fase fisiologica, ma non nella fase patologica qual è
quella della crisi del matrimonio. Inoltre, l'accordo patrimoniale, seppure nella fase prodromica rispetto alla
separazione e/o divorzio, potrebbe essere validamente concluso qualora sia sottoposto alla clausola
contrattuale rebus sic stantibus, nel riconoscere la modificabilità sopravvenuta di tali accordi in
conseguenza delle modifiche patrimoniali. Alla luce di tali considerazioni, la tesi sostenuta nelle pronunce
proliferate negli anni '80 e '90 e sopra richiamate non tiene conto di dati di fatto rilevanti, oltre che di
elementi giuridici che consentirebbero uno scardinamento delle ataviche e pregresse impostazioni. Ultime

considerazioni necessitano di essere spiegate al fine di riconoscere la validità degli accordi in vista di
divorzio. L'assegno divorzile, avente, allo stato, una componente meramente assistenziale e non
compensativa o risarcitoria (23), potrebbe avere, per quanto concerne la natura giuridica, sia il carattere
alimentare che quello di mantenimento. Difatti, ove lo stesso sia da inquadrarsi nell'alveo della natura
alimentare (come, a parere della scrivente, non parrebbe) ne discenderebbe tra le conseguenze giuridiche,
in particolare, l'applicazione della disposizione di cui all'art. 447 c.p.c. relativa all'impignorabilità,
all'incedibilità, all'indisponibilità e all'incompensabilità. Se, invece come pare preferibile, la natura del
medesimo sia da inquadrarsi in una prestazione di mantenimento, ma non avente carattere strettamente
alimentare, allora le rigide regole di cui all'art. 447 c.p.c. non sarebbero applicabili al caso di
specie.2/3/2015 www.iusexplorer.it/Iusexplorer/PrintExportSend
http://www.iusexplorer.it/Iusexplorer/PrintExportSend 7/10 Ad avvalorare tale impostazione, invero, circa
il carattere non alimentare della prestazione in esame, ricorrono i presupposti in virtù dei quali viene
consentita l'erogazione della prestazione de qua: cioè lo stato di bisogno relativo e non assoluto,
parametrato, cioè, non solo al tenore di vita goduto dal soggetto richiedente, ma anche al tenore di vita
goduto in costanza di matrimonio. Viceversa, se tali prestazioni fossero da inquadrarsi nell'alveo delle
prestazioni di natura meramente alimentare, rileverebbe soltanto lo stato di bisogno oggettivo, cioè
l'insufficienza economica di provvedere a se stessi. Sulla base di tali premesse, appare oramai inconfutabile
l'argomentazione che tende ad enfatizzare la portata ed il valore della libertà dei coniugi anche nella fase di
crisi coniugale in ordine alla scelta se conservare o meno il loro status coniugale, ritenendosi, al limite, che
tali accordi prematrimoniali di natura economica possano coartare la volontà di uno o di entrambi qualora
siano previste conseguenze patrimoniali pregiudizievoli. In caso contrario, sarebbero troppo rigide le
argomentazioni giuridiche fondantesi sul rispetto dei diritti indisponibili dei coniugi e sostenute dalla
giurisprudenza di legittimità, secondo la quale “gli accordi preventivi tra i coniugi in ordine al regime
economico sul divorzio hanno quale effetto quello di condizionare il comportamento processuale delle
parti, violando il diritto di difesa e la libertà di scelta (Cass. civ. n. 8912/1994; di analogo tenore Cass. civ. n.
9416/1995 e Cass. civ. n. 2955/1998). A tal proposito, invero, la Suprema Corte con una pronuncia recente
(Cass. civ., sez. I, sentenza 21 dicembre 2012 n. 23713) ha attenuato la rigida impostazione di chiusura e ha
consentito uno spiraglio di apertura nei confronti di tali accordi in vista di divorzio, riconoscendo, invero, la
possibilità di realizzare preventivamente gli stessi, seppure in vista del divorzio, qualora l'oggetto di tali
pattuizioni sia di carattere meramente economico senza inficiare l'aspetto relativo allo status dei coniugi,
valorizzando, pertanto, la sfera dell'autonomia negoziale anche nei rapporti di famiglia. La vicenda prende
le mosse dalla seguente fattispecie: due futuri coniugi stipulavano una scrittura privata con la quale
stabilivano che, in caso di rottura del matrimonio (per separazione o per scioglimento degli effetti civili
dello stesso), la moglie avrebbe trasferito al futuro marito un determinato immobile a titolo tacitativo per
le spese sostenute per il matrimonio (nello specifico, per la ristrutturazione della casa coniugale), ricevendo
dal marito Buoni del Tesoro. Successivamente alla celebrazione del matrimonio, l'epilogo è negativo, nel
senso che i coniugi giungono prima alla separazione e poi al divorzio. Dichiarata la cessazione degli effetti
civili del matrimonio, l'ex marito promuoveva domanda giudiziale ex art. 2932 c.c. al fine di ottenere il
trasferimento coattivo dell'immobile, ma in un primo grado il Tribunale rigettava la domanda proposta.
Pertanto, l'ex coniuge ricorreva in Appello, stavolta con l'esito positivo del riconoscimento del diritto ad
ottenere l'adempimento della prestazione dedotta in contratto dalla moglie. L'ex moglie, tuttavia, ricorreva
in Cassazione, lamentando la nullità dell'accordo de quo per violazione della disposizione di cui all'art. 160
c.c. La Suprema Corte, invero, interpretando l'accordo de quo alla luce dei criteri ermeneutici enucleati
dall'art. 1363 c.c. giustamente ha fatto leva sul dato funzionale causale, nel senso, cioè, di ritenere che tali
accordi abbiano ad oggetto prestazioni e controprestazioni tra di loro proporzionali, la cui causa non è
ravvisabile nello scioglimento del matrimonio, che per converso, invece, rappresenta un mero evento

condizionante. Dunque, lo scioglimento del matrimonio non è la causa dell'accordo economico, in quanto
in tale ipotesi, secondo la S.C., l'accordo sarebbe “una sorta di dissuasione volta a condizionare la libertà
decisionale degli sposi anche in ordine all'assunzione di iniziative tendenti allo scioglimento del vincolo
coniugale”. Esso rappresenta, a giudizio della S.C., soltanto un “mero evento condizionale”, che non è da
ascriversi né ad una condizione meramente potestativa, in quanto il fallimento del matrimonio non dipende
dalla volontà di un solo coniuge, bensì da condizioni oggettive, né ad una condizione illecita in quanto
contraria a norme imperative, ordine pubblico e buon costume. La liceità dell'accordo, che tutela ed
esprime interessi meritevoli ex art. 1322 c.c., è garantita dal fatto che non si impinge nel divieto di
contrarietà all'ordine pubblico, al buon costume e norme imperative, e consente, pertanto, che i coniugi
stabiliscano a priori alcune conseguenze economiche derivanti dal fallimento del rapporto coniugale. Tale
accordo, invero, secondo la Suprema Corte è da inquadrarsi in un contratto a prestazioni corrispettive
riconducibile nel novero della datio in solutum, strumento di estinzione dell'obbligazione, di carattere
solutorio, richiedente il consenso del creditore. La peculiarità dell'analisi seguita dalla pronuncia in esame
apre un varco di legittimità nei confronti di quegli accordi che sono estranei, peraltro, alla categoria degli
accordi prematrimoniali (ovvero effettuati in sede di separazione consensuale) in vista del divorzio e che
intendono regolare l'intero assetto economico tra i coniugi o un profilo rilevante (come la corresponsione
di assegno), con possibili arricchimenti e impoverimenti. Nel caso di specie, secondo il convincimento del
giudice adito, l'accordo, atipico, sarebbe caratterizzato da2/3/2015
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8/10 prestazioni e controprestazioni tra di loro proporzionali. La validità di tali accordi, pertanto, come
validamente ritiene la Suprema Corte, non contrasta con la disposizione di cui all'art. 160 c.c., in quanto
nella fase fisiologica permane l'obbligo di reciproca contribuzione tra i coniugi in relazione alle sostanze ed
alla capacità contributiva degli stessi, mentre nella fase patologica (anche nel divorzio) possono rivivere i
rapporti di dare ed avere derivanti dall'obbligo di contribuzione. Inoltre, come ritenuto dalla S.C., nell'ottica
di un'operazione deflattiva delle controversie giudiziarie in materia familiare, l'ammissibilità di tali accordi
potrebbe essere avvalorata dall'ammissibilità riconosciuta agli accordi in vista della declaratoria di nullità
del matrimonio. Difatti, se è vero che il carattere inquisitorio di tale giudizio teso alla dichiarazione
invalidante del matrimonio determina un controllo notevole dell'autorità giudiziaria in tutto l'iter, analoghe
considerazioni non potrebbero farsi qualora le parti si limitino a chiedere l'omologa con decreto di patti
stipulati privatamente dagli stessi, senza che, tra l'altro, l'autorità adìta possa effettuare un sindacato nel
merito pieno, bensì soltanto un controllo di legittimità (24). Il carattere inquisitorio, pertanto, eliminerebbe
sia la possibilità di influenza delle parti sul comportamento processuale, sia un prodromico potere
dispositivo dello status di coniuge, in quanto gli accordi preventivi in vista della nullità del matrimonio non
potrebbero essere correlati con la causa di nullità matrimoniale, che può accertare semplicemente la
validità o l'invalidità dell'atto di matrimonio e non del rapporto di matrimonio, e la dimostrazione sarebbe
avvalorata, altresì, dalla natura dichiarativa della sentenza di nullità matrimoniale (25). Tali conclusioni non
possono non tenere conto delle istanze di modernità che si affacciano costantemente nel nostro panorama
legislativo, e che gli operatori del diritto sono costretti ad analizzare, seppure tali istanze non siano ancora
state positivizzate. Appare, invero, ancora lungo il percorso teso ad uno scardinamento totale delle
ataviche considerazioni fondate su concezioni pubblicistiche del panorama familiare, che necessitano, de
iure condendo, di essere notevolmente ridimensionate anche nell'ottica di un vero, concreto e non fittizio
ampliamento della sfera di operatività dell'autonomia privata. Note: (1) L'ampia dilatazione degli spazi di
operatività dell'autonomia privata anche nel nostro ordinamento ha consentito un avvicinamento tra il
contenuto degli accordi realizzati nella fase di crisi coniugale e i cd. separation agreements, figura da tempo
utilizzata con successo e disinvoltura nell'esperienza di common law propria dei Paesi anglosassoni. (2) Per
un approfondimento sull'istituto cfr. S.M.Cretney, Family law, London, 1997, 95. L'ordinamento inglese e

quello statunitense differiscono da quelli di civil law in ordine alla facoltà riconosciuta ai coniugi di stipulare
accordi aventi natura negoziale, pienamente vincolanti, relativi al mantenimento dell'altro coniuge in
costanza di matrimonio (maintenance agreements) oppure alla separazione ed al divorzio (separation
agreements). (3) E. Quadri, Autonomia negoziale dei coniugi e recenti prospettive di riforma, in Nuova giur.
civ. comm., 2001; L. Barassi, La famiglia legittima nel nuovo codice civile, Milano, 1941, 153; M. R. Marella,
Gli accordi fra i coniugi fra suggestioni comparatistiche e diritto interno, in Separazione e divorzio, diretto
da Ferrando, I, in Giur. sist. dir. civ. e comm., Torino, 2003; P. Zatti, La separazione personale, in Trattato
dir. priv., diretto da P. Rescigno, Torino, 1996, 139. (4) Cass., sez. I, 13 febbraio 1985 n. 1208, in Nuova giur.
civ. comm., 1985, I, 658 ss.: Cass. sez. I, 28 settembre 1997 n. 9287, in Vita notarile, 1998, II, 217. In tema di
invalidità di accordi precedenti l'omologazione se non trasfusi nel verbale di conciliazione, A. Morace
Pinelli, Separazione consensuale e negozi atipici familiari, in Giur. it., 1994, I, 304 e ss. (5) Cass., sez. I, 13
gennaio 1993 n. 348, in Corriere giuridico, 1993, 822. In dottrina, G. Oberto, La natura dell'accordo di
separazione consensuale e le regole contrattuali ad esso applicabili, in Fam. e dir., 2000, 86. (6) Cass. 1994
n. 4647; Cass., sez. I, 17 giugno 1992 n. 7470, in Mass. Giur. it., 1992: “Il patto tra i coniugi mediante il quale
si realizzano trasferimenti immobiliari a regolamentazione dei reciproci rapporti e accordi economici e a
tacitazione del dovere di mantenimento, deve ritenersi valido ed operante anche laddove inserito in un
accordo per la separazione di fatto dei coniugi medesimi, alla stregua della liceità di tale accordo, pur se
non idoneo a produrre gli effetti della separazione legale”. (7) Cass., sez. I, 15 marzo 1991 n. 2788, in Foro
it., 1991, I, 1787. (8) Cass., sez. I, 14 giugno 2000 n. 8109, in Foro it., 2001, I, 1318, con nota critica di M.
Guarini, La Cassazione conferma la nullità dei patti anteriori al divorzio, in Giust. civ., 2001, II, 457 ss., che
evidenzia2/3/2015 www.iusexplorer.it/Iusexplorer/PrintExportSend
http://www.iusexplorer.it/Iusexplorer/PrintExportSend 9/10 anche come la pronuncia appaia
contraddittoria, in quanto solo una modifica del rigido principio di invalidità dei patti preventivi di divorzio
avrebbe potuto giustificare la soluzione enunciata per la convenzione transattiva, trattandosi di un accordo
pur sempre incidente sull'assetto complessivo dei rapporti patrimoniali conseguenti al divorzio. Aderisce
all'orientamento in esame anche Cass. 10 marzo 2006 n. 5302: “Gli accordi diretti a fissare, in sede di
separazione, i reciproci rapporti economici in relazione al futuro ed eventuale divorzio con riferimento
specifico all'assegno divorzile sono nulli per illiceità della causa, avuto riguardo alla natura assistenziale di
detto assegno previsto anche a tutela del coniuge più debole, che rende indisponibile il diritto a richiederlo.
Ne consegue che la disposizioni di cui all'art. 5, ottavo comma, legge n. 898/1970 nel testo modificato dalla
legge n. 74 del 1987, nella parte in cui sancisce che, su accordo convenzionale delle parti, la corresponsione
dell'assegno divorzile può avvenire in un'unica soluzione, ove ritenuta equa dal Tribunale, senza che si
possa proporre alcuna successiva domanda di contenuto economico, non sarà applicabile al di fuori del
giudizio di divorzio e gli accordi di separazione, dovendo essere interpretati secundum ius, non possono
implicare rinuncia all'assegno divorzile. (9) Cass., sez. I, 13 gennaio 1993 n. 348, in Corriere giuridico, 1993,
822. In dottrina, G. Oberto, La natura dell'accordo di separazione consensuale e le regole contrattuali ad
esso applicabili, cit., 86 ss. Gli accordi aventi occasione nella separazione attengono a pattuizioni
patrimoniali che integrano gli estremi di un contratto atipico valido, la cui funzione causale è da individuarsi
nello spirito di sistemazione di tutti i rapporti patrimoniali maturati nel corso della convivenza
matrimoniale. Sull'idoneità del verbale di omologa della separazione ai fini della trascrizione, si veda P.
Carbone, I trasferimenti immobiliari in occasione della separazione e del divorzio, in Notariato, 2005, 628
ss. Prevale attualmente la risposta positiva, secondo la quale nel verbale devono essere contenute tute le
menzioni. Inoltre, a tale riguardo, la giurisprudenza di merito ritiene opportuno o necessario l'atto notarile
per una maggiore tutela dei diritti dei minori. (10) Ad esempio, sono stati rinvenuti validi ed efficaci gli
accordi integrativi dell'accordo di separazione omologato, qualora non siano lesivi del diritto al
mantenimento e agli alimenti. In particolare, in una fattispecie di comproprietà della casa familiare da parte

dei coniugi, in regime di comunione legale ed in assenza di prole, i giudici hanno riconosciuto la possibilità
di pattuire, anche tacitamente, l'assegnazione esclusiva della casa familiare al partner avente diritto al
mantenimento come componente di questo; Cass. 12 gennaio 2000 n. 266, in Mass. Giust. civ., 2000, 46.
(11) Il pagamento dell'assegno in un'unica soluzione è condizionato sia all'accordo delle parti, sia alla
verifica giudiziale circa la valutazione di equità.In altri ordinamenti, ad esempio in Francia, il pagamento in
un'unica soluzione, attraverso l'attribuzione di un capitale, costituisce un modo ordinario di adempimento.
(12) Cass., sez. I, 22 gennaio 1994 n. 67, in questa Rivista, 1994, 868; Cass. 28 luglio 1997 n. 7029, in Mass.
Foro it., 1999, 677; Cass., sez. I, 18 settembre 1997 n. 9287, in Vita notarile, 1998, 217. La peculiarità del
diritto al mantenimento e del diritto agli alimenti, quale limite entro cui poter realizzare le intese
modificative dell'accordo di separazione, si giustifica in quanto espressione di solidarietà postconiugale, da
ricondursi alla disposizione di cui all'art. 160 c.c., quale diritto di natura inderogabile. In proposito, Cass. 24
ottobre 2007 n. 22329, in Giur. it., 2008, 1687; Cass. 10 ottobre 2005 n. 20290, in Fam. pers. e succ., 2007,
107; M.C. Andrini, Sugli effetti personali della separazione e del divorzio, in Separazione e divorzio, diretto
da G. Ferrando, I, cit., 573 ss. (13) Cass., sez. I, 24 febbraio 1993 n. 2270. (14) Cass. civ., sez. I, 15 marzo
1991, n. 2788, in Foro it., 1991, I, 1787. (15) Cass., sez. I, 21 dicembre 2012 n. 23713; Trib. Torino, sez. VII,
ord. 20 aprile 2012, Pres. est. Tamagnone, secondo il quale l'accordo concluso sui profili patrimoniali tra i
coniugi in sede di separazione legale ed in vista del divorzio non contrasta né con l'ordine pubblico, né con
l'art. 160 c.c. Nella specie le parti, pochi mesi prima della pronuncia di separazione «a conclusioni
congiunte», avevano convenuto che l'erogazione dell'importo a titolo di assegno di mantenimento a carico
del marito sarebbe venuta a cessare all'atto dell'inizio della causa per la pronunzia della cessazione degli
effetti civili del matrimonio, con impegno della moglie a «nulla pretender[e] [dal marito], né a titolo di una
tantum, né di mantenimento». In sede di udienza presidenziale di divorzio la suddetta intesa è stata
ritenuta valida e vincolante, con conseguente rigetto della domanda della moglie volta ad ottenere un
assegno. (16) Cass. 11 giugno 1981 n. 3777, in questa Rivista, 1981, 1025. (17) Cass. 6 aprile 1997 n. 1305,
in Foro it., 1997, 2247: nella specie l'ex moglie, ricevendo la somma di lire 300.000, aveva dichiarato per
iscritto di non aver null'altro a pretendere dall'ex marito. (18) G. Ceccherini, Contratti tra coniugi in vista
della cassazione del ménage, Padova, 1999, 154. (19) Trib. Napoli 28 marzo 1979, in Foro it., Rep., 1980;
App. Milano 22 gennaio 1980, in questa Rivista,2/3/2015 www.iusexplorer.it/Iusexplorer/PrintExportSend
http://www.iusexplorer.it/Iusexplorer/PrintExportSend 10/10 1980, 874; Trib. Bari 14 febbraio 1980, in
Giur. it., 1981, I, 2, 210. (20) Cass. 11 giugno 1981 n. 3777, in Foro it., 1981, I, 184; la decisione de qua
concerne il caso di un accordo tra coniugi con il quale veniva previsto il diritto del marito di mantenere
fermo, per un determinato periodo di tempo, l'importo dell'assegno dovuto alla moglie, anche in caso di
eventuale divorzio. (21) Cass. 11 agosto 1992 n. 9494, in Giur. it., 1993, I, 1, 1495; nella stessa linea anche
Cass., sez. I, 12 febbraio 2003 n. 2079, in Fam. e dir., 2003, 344 (nella specie si trattava dell'affermazione, di
cui è stata dichiarata l'illegittimità, del coniuge più debole che liberava, in vista del divorzio, l'altro coniuge
da ogni obbligazione patrimoniale nei suoi confronti). (22) Cass., sez. I, 14 giugno 2000 n. 8109, in Foro it.,
2001, I, 1318. Ovviamente non tutti gli atti di transazione risultano essere validi ed efficaci; anzi, in una
pronuncia i giudici di legittimità hanno dichiarato la nullità degli accordi per illiceità della causa, con i quali il
marito, in sede di separazione consensuale, si era impegnato al trasferimento di un appartamento alla
moglie, la quale, dal canto suo, aveva rinunciato al mantenimento dichiarando espressamente di non
pretendere alcunché in caso di divorzio, rinunciando, quindi, anche all'assegno di cui all'art. 5 legge
898/1970. (23) La legge di modifica del divorzio (legge 6 marzo 1987 n. 74) unitamente alla pronuncia a
Sezioni Unite della Cassazione (Cass. sez. unite 29 novembre 1990 n. 11490, in Foro it., 1991, I, 74) ha
riformato l'art. 5, comma 6, legge divorzio nella parte in cui ha riconosciuto sostanzialmente all'assegno in
parola natura meramente assistenziale, subordinando la corresponsione dell'assegno al coniuge più debole
alla mancanza di mezzi adeguati e all'impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive. Pertanto, alla luce

delle novità così introdotte viene sottratto alla disponibilità delle parti l'intero importo dell'assegno di
divorzio, avente ormai natura meramente assistenziale. (24) Cass. 13 gennaio 1993 n. 348, in Giur. it., 1993,
I, 1, 1672. (25) Analogamente Cass. 13 gennaio 1993 n. 348, cit.