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E A N – E u r o p e a n A s t r o s k y N e t w o r k
A S T R O N O M I A & I N F O R M A Z I O N E
INDICE
Editoriale
Gruppo Astrofili Montagna Pistoiese, 2011 QY39 PHA: il primo asteroide ―potenzialmente pericoloso‖
scoperto in Italia!
Cristian FATTINNANZI, Giove 2011: Nuova campagna d’osservazione del pianeta gigante: il JUPITER
PROJECT 2011
Andrea BOLDRINI, Il Binodobson 24”: il più grande binoculare amatoriale al mondo!
Lorenzo BRANDI, Il Toro: una costellazione autunnale celata in millenarie leggende
Rodolfo CALANCA, E’ scomparso Piero Tempesti
Rodolfo CALANCA, In ricordo di Angioletta Coradini
Webzine gratuita
www.eanweb.com
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REDAZIONE
Direttore editoriale: Rodolfo Calanca, [email protected]
Co-direttore: Angelo Angeletti, [email protected]
Redattore responsabile: Manlio Bellesi, [email protected]
Redattore: Lorenzo Brandi, [email protected]
Responsabile dei servizi web: Nicolò Conte [email protected]
SPONSOR
PROGETTI EAN
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EDITORIALE A CURA DELLA REDAZIONE EAN
LA REDAZIONE DI ASTRONOMIA NOVA
Da sinistra: Rodolfo Calanca, Angelo Angeletti, Manlio Bellesi, Lorenzo Brandi, Nicolò Conte
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Questi sono giorni dolorosi per l’astronomia italiana. Il 28 agosto scorso è venuto a mancare uno dei no-
stri grandi “vecchi”, Piero Tempesti. In questo numero della webzine diamo un ampio resoconto della
sua lunghissima attività astronomica e riportiamo, integralmente, il suo discorso, bello e commovente,
tenuto a Teramo il 23 ottobre 2006, in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria. Ringra-
ziamo il prof. Oscar Straniero, direttore dell’Osservatorio di Collurania, per averci concesso sia
l’autorizzazione a riprodurre il discorso sia l’utilizzo di alcune foto che ritraggono il prof. Tempesti.
Altra dolorosa scomparsa è quella di Angioletta Coradini, grande esperta di planetologia, che ci ha lascia-
to pochi giorni fa, ad appena 65 anni, dopo lunga malattia. La ricordiamo qui con profonda commozione.
La webzine di ottobre è ricca di contributi. Diamo rilievo alla scoperta di un asteroide “Apollo”, il primo
scoperto in Italia su di un’immagine ripresa all’Osservatorio Astronomico di San Marcello Pistoiese, una
delle strutture più attive nella caccia ai piccoli corpi del Sistema solare: complimenti vivissimi ai bravissi-
mi scopritori!
Segnaliamo l’articolo di Cristian Fattinnanzi, grande astrofotografo di fama internazionale, che ha inizia-
to la campagna osservativa di Giove per la corrente opposizione. Cristian, insieme ad EAN, propone il
JUPITER PROJECT 2011, con il quale invita gli astrofili ad osservare il pianeta con due precisi obiettivi:
il primo, riguarda la realizzazioni di immagini di Giove, ottenute simultaneamente in diverse località del-
la Penisola e con strumenti diversi, successivamente elaborate in un’unica immagine che dovrebbe mo-
strare un miglior microcontrasto. Il secondo obiettivo è la caccia alle macchie di albedo sui satelliti medi-
cei. Ci auguriamo che moltissimi astrofili aderiscano al progetto promosso da Cristian.
Anche l’articolo di Lorenzo Brandi è ricco di interessanti informazioni sulla storia della costellazione del
Toro, un racconto che affonda le sue radici millenarie nelle tradizioni e nei miti dei popoli mediterranei.
Particolarmente suggestivo il racconto di Andrea Boldrini che ci dà un ampio resoconto sulla costruzione
del suo straordinario Dobson binoculare, costituito da due specchi di ben 0.60-m di diametro, probabil-
mente il più grande binoculare amatoriale al mondo! Le sensazioni e le emozioni che Andrea ci trasmette
quando descrive le sue osservazioni visuali con il grande strumento sono davvero uniche! Straordinario
Andrea!
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L’Osservatorio Astronomico di San Marcello Pi-
stoiese
L'Osservatorio astronomico, sito in località Pian dei Ter-
mini del comune di San Marcello Pistoiese, e' una strut-
tura pubblica realizzata nel 1991, alla quale si è aggiun-
ta, in anni recenti, una seconda cupola che accoglie un
telescopio di 0.6o-m.
Costruito per rispondere alle esigenze culturali e scienti-
fiche della popolazione, degli studenti e dei ricercatori,
ogni anno e' visitato da migliaia di persone. Gestito dal
Gruppo Astrofili Montagna Pistoiese (GAMP), con
gli strumenti di cui è dotato, sono stati scoperti centi-
naia di nuovi asteroidi.
Le principali attività svolte all’Osservatorio sono le se-
guenti:
Informazione e promozione scientifica
Divulgazione con partecipazione del pubblico
Didattica: svolta con interventi, proiezioni,
d imo st raz ion i , osse rva z ion i ce le s t i .
Ricerca: e' attualmente indirizzata alla astrome-
t r i a d i a s t e r o i d i e c o m e t e e a l l a
scoperta di nuovi corpi minori del sistema solare.
L'osservatorio ha ottenuto dal Minor Planet Center il
codice 104 – San Marcello. In molti anni di attività,
sono stati scoperti 350 asteroidi di cui 250 numerati,
cioè hanno ottenuto un orbita definitiva.
Grazie a questi risultati è il primo in Italia come nume-
ro di asteroidi scoperti tra gli osservatori amatoriali, e
42° tra tutti gli osservatori a livello mondiale.
La scoperta di 2011 QY39 PHA
Nel corso della notte del 28 agosto 2011, dall' osservato-
rio astronomico di San Marcello Pistoiese, è stato sco-
perto l'asteroide potenzialmente pericoloso (PHA - Po-
tentially Hazardous Asteroids) denominato 2011 QY39.
Autori della scoperta i ricercatori del GAMP, Luciano
Tesi (presidente del Gruppo), Giancarlo Fagioli e Paolo
Bacci (socio anche dell'Associazione Astrofili Alta Valde-
ra di Peccioli) nell'ambito dei programmi di ricerca dei
corpi minori del sistema solare.
Le misure raccolte sono state inviate al Minor Planet
Center, USA, ente unico a livello mondiale dedito a mo-
nitorare l'orbita dei corpi minori del sistema solare.
Questo ente, dopo accurate verifiche, in data 3 settem-
bre scorso, ha pubblicato la circolare MPEC 2011-R13,
nella quale viene attribuita la scoperta dell'asteroide
all'osservatorio di San Marcello e sono indicati i para-
metri orbitali che fanno di questo oggetto un PHA.
2011 QY39: il primo asteroide “potenzialmente pericoloso” scoperto in Italia!
A cura del Gruppo Astrofili Montagna Pistoiese
www.gamp-pt.net/
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A sinistra, le cupole dell’Osservatorio di San Marcello Pistoiese, a destra, il telescopio di 0.6-m
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L' asteroide 2011 QY19, è il primo pianetino di tipo
“Apollo” scoperto in Italia.
Questa tipologia di oggetti ha un orbita particolare che
si interseca con quella terrestre, avendo una possibilità,
seppur minima, di collidere con in nostro pianeta. Essi
prendono il nome da 1862 Apollo, un pianetino scoperto
da Karl Reinmuth nel 1932 e successivamente smarrito;
rintracciato solamente nel 1973. Apollo è citerosecante
(cioè interseca l‟orbita di Venere), geosecante e areose-
cante (interseca l‟orbita della Terra e di Marte; non si
conosco però pianetini che penetrano all’interno
dell’orbita di Mercurio, che in tal caso si chiamerebbero
Vulcanoidi). All'epoca della scoperta, si trattava dell'u-
nico asteroide conosciuto in grado di intersecare l'orbita
terrestre.
Un oggetto del Sistema Solare potenzialmente pericolo-
so - Potentially Hazardous Object o PHO - è un asteroi-
de (PHA) o una cometa (PHC) che percorre un'orbita
che lo avvicina molto alla Terra (ad una distanza minore
di 0.05 UA) ed ha una grandezza sufficiente a provocare
danni in caso di impatto (deve avere un diametro mag-
giore di 150 metri).
Queste dimensioni sono sufficienti per causare danni
devastanti in caso di impatto su terra, oppure uno Tsu-
nami in caso di impatto sull'oceano.
Si pensa che eventi di tale portata possano verificarsi
una volta ogni 10000 anni. Un esempio di devastazione
prodotto dall’impatto di un asteroide si è avuto nel
1908 a Tunguska (Siberia). Esso aveva dimensioni di
circa 50 metri ed esplose a circa 8 Km dal suolo, distrug-
gendo completamente un’area di 2.400 chilometri qua-
drati.
Alla fine di agosto 2011 erano conosciuti 1244 PHA.
Gli scopritori Luciano Tesi, Giancarlo Fagioli e Paolo
Bacci, hanno utilizzato il telescopio da 60 centimetri,
munito di CCD e sono riusciti ad individuare l'asteroide
utilizzando la tecnica del blink: osservando le immagini
acquisite in sequenza è stato possibile apprezzare lo spo-
stamento dell'asteroide dovuto al suo moto proprio, rile-
vando con precisione la posizione in cui si trovava in un
determinato istante.
E' stato cosi possibile determinare con sufficiente preci-
sione l'orbita dell'oggetto che compie una rivoluzione
intorno al Sole in 1.52 anni. Il 28 ottobre l'asteroide pas-
serà a circa 12 milioni di km dalla terra, 34 volte la di-
stanza tra la Terra e la Luna.
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Diagramma dell’orbita di 2011
QY39 e la relativa posizione
riferita al 6 settembre 2011,
prossima all’opposizione. Come
si vede dalla figura, il pianeti-
no è geosecante e areosecante,
ma non citerosecante e, tanto
meno, vulcanoide. Il grafico è
preso dal sito del JPL: http://
ssd.jpl.nasa.gov/sbdb.cgi
Immagine della scoperta dell’asteroide 2011 QY39
Pagina 6
Giove, con la sua nutrita coorte di satelliti, è un soggetto
straordinario per ogni astrofotografo: ogni notte riserva
una sorpresa e rivela particolari misteriosi e affascinan-
ti. Le sue caratteristiche sono davvero notevoli, vanno
infatti dalle sue gigantesche dimensioni fino ad una
struttura e composizione interna assai diversa da quella
terrestre. Infatti, Giove è costituito essenzialmente da
idrogeno ed elio, acido solfidrico e piccole percentuali di
idrocarburi.
Sotto la spessa ed impenetrabile coltre di nubi che lo
avvolge, troviamo un "guscio liquido" di idrogeno ed elio
che modifica le sue caratteristiche man mano che proce-
diamo in profondità. Solo nello strato più interno è rac-
chiuso un piccolo ed estremamente compresso nucleo di
roccia e ghiaccio.
Questo gigantesco pianeta ruota velocemente attorno al
suo asse in meno di dieci ore e questo causa uno schiac-
ciamento consistente ai poli, già ben visibile nei telesco-
pi amatoriali. La rotazione del pianeta è differenziale,
perciò il giorno gioviano non è uguale per tutto il piane-
ta. Alle latitudini equatoriali il giorno è più breve di cir-
ca cinque minuti rispetto alle altre zone del pianeta.
Su Giove avremo perciò due sistemi di coordinate diver-
se per misurare la longitudine delle strutture osservate:
il Sistema I viene usato per le longitudini comprese tra
-10° e +10° di latitudine mentre il Sistema II è valido per
tutte le altre zone.
Di Giove è osservabile, direttamente al telescopio, sola-
mente la spessa atmosfera che lo avvolge, ma ciò non
costituisce un limite perché chi lo osserva periodica-
mente sa bene quanto il suo aspetto sia mutevole, anche
a distanza di pochi giorni.
I suoi satelliti hanno affascinato i primi astronomi, a
partire da Galileo che li scoprì nel freddo mese di genna-
io del 1610 e li chiamo “stelle medicee”. Il termine satel-
lite fu introdotto, poco dopo, da un altro grande astro-
nomo, suo contemporaneo, il tedesco Giovanni Keplero,
allora al servizio dell’imperatore del Sacro Romano Im-
pero, Rodolfo II. I nomi dei quattro satelliti, Io, Europa,
Ganimede e Callisto, furono suggeriti da Simon Marius,
un acerrimo nemico dello stesso Galileo, nell’opera
Mundus Iovialis del 1614, nella quale affermava di averli
scoperti per primo, innescando con il grande Pisano una
prevedibile, durissima, querelle.
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Giove: gli inizi di nuova campagna osservativa del pianeta gigante
Cristian Fattinnanzi
www.cristianfattinnanzi.it
Immagine di Giove ripresa dalla son-da spaziale Cassini su cui sono indica-te le bande principali, con la relativa denominazione, la Zona equatoriale e la Grande Macchia Rossa.
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Ad oggi si conoscono ben 63 satelliti, i cui nomi sono
ispirati a quelli di amanti o figlie del dio romano Giove.
Le mie osservazioni di Giove nel mese di agosto
2011
Avevo lasciato Giove con un’ultima immagine (vedi sot-
to) del 27 novembre dello scorso anno, ripresa al tele-
scopio di 0.36-m e con una focale di 8.4-m. Le condizio-
ni del seeing erano però state mediocri, appena 4/10,
pertanto non si era trattato di uno dei miei migliori ri-
sultati.
Agli inizi dello scorso mese di agosto, dopo aver prepa-
rato la mia strumentazione, essenzialmente costituita da
due riflettori di 0.25-m e 0.36-m di diametro e da una
telecamera DBK21, ho iniziato a fare delle levatacce
mattutine con l’obiettivo di riprendere il pianeta prima
dell’alba. Giove sarà in opposizione il 29 ottobre, di ma-
gnitudine –2.9 e 50” di diametro, ma era già ben osser-
vabile verso la metà di luglio. L’aspetto più apprezzato
di questa opposizione sarà la sua elevata altezza
sull’orizzonte, raggiungerà, infatti, alle nostre latitudini,
i 60°. E’ probabile quindi che le immagini che gli astro-
fotografi otterranno in questi mesi saranno di elevata
qualità media.
La prima serie di riprese la ottengo il 2 agosto verso le
3h UT con un seeing, non eccezionale, di 5/10 (40” il
diametro del pianeta, l’altezza sull’orizzonte era 54°).
Nelle mie note di quel giorno ho scritto: “E' una bella
emozione rivedere il gigante così alto sull'orizzonte,
dopo anni che strisciava lungo l'orizzonte! Le condizio-
ni atmosferiche erano solo di qualità media, ma l'eleva-
ta altezza di Giove ha aiutato molto e il risultato già
mostra dettagli interessanti. Speriamo di poter fare
anche meglio nell’immediato futuro!”.
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Il mio riflettore di 0.25-m
Il mio secondo riflettore di 0.36-m con montatura a giorno
e telecamera DBK21 al fuoco newtoniano.
Per il setup strumentale che adotto sulla strumentazione, si
veda il video: www.youtube.com/watch?v=utwEz2SclxY
Giove ripreso alle 3h 22m UT del 2 agosto scorso con ri-
flettore di 0.36-m, focale 8.4m, webcam DBK 21 e filtro
taglia IR
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Alle 3h 19m UT elaboro altri 1300 frame: Ganimede è al
primo contatto apparente con il disco del pianeta, uno
spettacolo impagabile, davvero straordinario! Tra l’altro,
dopo un’attenta elaborazione, sul dischetto del satellite
appare una minuscola macchia di albedo. Nel corso di
questa opposizione, quando finalmente il seeing sarà
accettabile, mi dovrò ricordare di eseguire delle immagi-
ni ad altissima risoluzione dei principali satelliti, a caccia
di “ombre” sul loro disco!
Un risultato interessante lo avevo ottenuto su Ganimede
ed Europa il 20 agosto dello scorso anno. In questa op-
posizione, però, con il pianeta molto più alto in cielo, i
dettagli sul dischetto dei satelliti dovrebbero risaltare al
meglio. Invito tutti i miei lettori interessati
all’astrofotografia a fare altrettanto!
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Il 14 agosto, poco prima dell’alba, realizzo diversi
filmati con la DBK21. Le condizioni del seeing sono
appena accettabili, ma l’occasione di riprendere Ga-
nimede nel suo passaggio prospettico sopra il pianeta
è troppo intrigante!
La prima immagine del pianeta, con Ganimede in
bella evidenza (da notare che si percepisce perfetta-
mente il dischetto del satellite, che ha un diametro
apparente di 1”.6 e dista 7” dalla superficie del piane-
ta) l’ho ottenuta alle 2h 25m UT, dall’elaborazione di
2800 frame.
La telecamera CCD, a colori, DBK21 della Imaging
Source utilizza un sensore Sony ICX098BQ da 1/4 di
pollice, i fotoelementi sono quadrati di 5.6 micron,
l’area di cattura: 4.60x3.97 mm. Ha basso rumore e
può acquisire fino a 60 frame al secondo. E’ partico-
larmente indicata nella fotografia planetaria in alta
risoluzione.
Immagine di Giove, elaborazione di 2800 frame, ottenu-
ta il 14 agosto alle 2h 25m UT, con telescopio 0.36-m,
focale 8.4-m, DBK21. Giove aveva un diametro di 42”,
una magnitudine di –2.6, altezza sull’orizzonte: 53°.
Ganimede spicca a 7” dalla superficie del pianeta. Ben
visibile la Grande Macchia Rossa
Immagini ad altissima risoluzione di Ganimede e Europa
ripresi il 20 agosto 2010 con la solita strumentazione. Le
macchie d’albedo sono perfettamente visibili. Per apprezzare
al meglio le immagini si visiti il mio sito:
www.cristianfattinnanzi.it/index.php?
op-
tion=com_imagebrowser&view=gallery&folder=Immagini+Sistema+S
olare&Itemid=6
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Alle 3h 4om Ganimede è già sul disco del pianeta, dal
quale si stacca nettamente (immagine sopra).
Qualche volta il seeing è anche di buona qualità. Il 17
agosto nel mio diario d’osservazione scrivevo: “Questa
mattina il seeing è stato favorevole, finalmente ho otte-
nuto una buona immagine! La fatica della sveglia alle
4:30 è stata ripagata! “.
Riguardando l’immagine (vedi sotto), confermo quanto
avevo scritto a caldo: i dettagli sul disco del pianeta so-
no netti ed incisi.
L’ultima immagine che propongo in questa rassegna è
stata ripresa il 18 agosto (in alto a destra): con un seeing
discreto, la Grande Macchia Rossa campeggia splendi-
damente.
Ed ora un invito: partecipate insieme a me allo Jupiter
Project 2011!
Leggete nelle prossime pagine di che si tratta!
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Il logo dello JUPITER PROJECT 2011
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FINALITA’ DEL PROGETTO
1. Si propone l’organizzazione di riprese simultanee di
Giove, a livello nazionale. Le immagini simultanee
eventualmente raccolte durante queste sessioni os-
servative saranno elaborate ed opportunamente som-
mate. L’immagine finale, che sarà un’immagine me-
dia ottenuta con una successiva elaborazione, mo-
strerà sicuramente meno rumore delle singole imma-
gini di partenza, permettendo anche un aumento del-
la risoluzione. I dettagli sulla metodologia delle ri-
prese sono esposti più avanti in questo documento.
2. Il secondo importante obiettivo del progetto è di re-
gistrare delle macchie di albedo sulla superficie dei
quattro satelliti Medicei, risultato ormai raggiungibi-
le anche con una strumentazione amatoriale.
IL PROGRAMMA DELLE RIPRESE DIGITALI DI
GIOVE TRA OTTOBRE E DICEMBRE
E’ senz’altro necessario preparare un programma delle
riprese, per seguire al meglio questa opposizione.
Di seguito fornisco le informazioni tecniche essenziali
per poter approntare una efficace pianificazione delle
osservazioni, propongo, infine, un calendario per delle
riprese webcam simultanee, distribuite tra novembre e
dicembre prossimi, alle quali dovrebbero partecipare
tutti gli aderenti al progetto.
Le riprese con webcam o tele camere astronomiche
dovranno essere a colori (con sensori RGB o in tricro-
mia con quelli monocromatici) senza dimenticare il
filtro IR-cut: in questo modo otterremo immagini
dall’aspetto realistico, molto simile a quanto percepi-
sce l’occhio al telescopio.
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CRISTIAN FATTINNANZI LANCIA
UN APPELLO AGLI ASTROFILI:
ADERITE ALLO JUPITER PROJECT 2011
Per coinvolgere un numero consistente di appassio-
nati nello studio di questa opposizione di Giove e,
soprattutto, per fornire un supporto adeguato ai gio-
vani neofiti desiderosi di dare un significato scientifi-
co alle loro riprese digitali del pianeta, ho creduto
opportuno lanciare l’idea di costituire un Team di
ricerca i cui componenti - di qualsiasi età e livello di
conoscenze nell’ambito dell’astronomia digitale -
siano ampiamente disposti a lavorare di concerto e
che non disdegnino di mettere in comune gli even-
tuali risultati ottenuti.
Ciò premesso, sono concretamente a disposizione di
tutti coloro che intenderanno avvalersi della mia e-
sperienza e dei miei consigli, in particolare, per tutto
quanto concerne gli aspetti tecnico/operativi e stru-
mentali connessi alla ripresa digitale delle immagini,
con camere CCD o webcam, e la successiva elabora-
zione del materiale raccolto.
Invito i partecipanti al Progetto a prendere nota di
tutte le informazioni riguardanti le proprie riprese,
prima di tutto curando precisamente la tempificazio-
ne delle immagini, senza dimenticare di annotare se
possibile le condizioni atmosferiche vigenti durante
le osservazioni (turbolenza, trasparenza, vento, umi-
dità….). Questo insieme di dati e di informazioni
contribuiranno concretamente a rendere il più possi-
bile omogeneo e confrontabile l’aspetto finale delle
immagini acquisite. Nel seguito di questo documento
sono descritte le tecniche di ripresa consigliate e le
date alle quali (meteo permettendo!) si dovranno
eseguire, in sincrono, i video di Giove.
JUPITER PROJECT 2011
Un progetto EANweb —ASTRONOMIA NOVA
curato e diretto da CRISTIAN FATTINNANZICRISTIAN FATTINNANZI
www.cristianfattinnanzi.it/
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L’alternativa reflex digitale: le riprese con digicam
sono di notevole interesse, anche se non mancano
delle controindicazioni. In primo luogo, se non si ha
la possibilità di registrare un video siamo costretti a
riprendere una serie di foto, le lievi vibrazioni intro-
dotte dall’otturatore (che comunque “scatta” al mo-
mento della foto, nonostante il pre-sollevamento del-
lo specchio) degraderanno notevolmente i risultati.
L’immagine di Giove sul sensore CMOS delle digicam,
di così grandi dimensioni rispetto alle webcam, po-
trebbe ingannare l’utilizzatore che, vedendo Giove
occupare solo una frazione dell’area utile del display,
potrebbe essere tentato di ingrandire oltre misura le
dimensioni del disco planetario, con il rischio di otte-
nere una minor nitidezza, provocata dal maggior tem-
po necessario per una corretta esposizione. Il tempo
di posa, allungandosi oltre il decimo di secondo, non
faciliterà il “congelamento” della turbolenza atmosfe-
rica. Sarà preferibile regolarlo in modo da avere una
leggera sottoesposizione, per non rischiare di bruciare
le zone più chiare del pianeta in nessuno dei canali
colore (RGB). Le riprese dovranno essere eseguite in
formato RAW o JPG, alla massima risoluzione, e sen-
sibilità regolata su valori medio-alti (ISO da 200 a
1600), per contenere i tempi di posa. Le montature
più solide permetteranno riprese comunque interes-
santi e dai colori molto realistici.
E’ probabile che alcune decine di astrofili aderiranno al
progetto. Supponendo che essi siano una cinquantina e
che il diametro medio dei telescopi a loro disposizione
sia intorno ai 20 cm, con un semplice calcolo vediamo
che, sommando tutte le superfici ottiche, otteniamo la
copertura di un’area pari a quella di un telescopio da
150 cm!
La potenza ottica di cui disponiamo è quindi veramente
notevole ed anche i risultati che si potrebbero ottenere,
sfruttandola adeguatamente, potrebbero essere straor-
dinariamente interessanti.
Per “sommare”, in termini di risoluzione, i contributi di
ogni singolo osservatore, è necessario coordinare ade-
guatamente le riprese attraverso la precisa applicazione
di modalità operative comuni.
Per sincronizzare le riprese, stabiliremo l’ora CENTRA-
LE del filmato, tutti della durata di massimo 2 minuti,
nello stesso periodo dovranno essere eseguiti i 3 brevi
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filmati coi filtri R, G, B per chi usa sensori in bianco e
nero. La focale va allungata fino ad un valore che per-
metta un buon compromesso tra ingrandimento e tem-
po di esposizione, gli altri i parametri di ripresa, si de-
termineranno in base alle istruzioni contenute sopra.
L’orario di inizio delle riprese coinciderà con le
mezz’ore: quindi i filmati “sincronizzati” potranno ini-
ziare alle h. XX:59’00” (per finire alle h. XX:01’:00”
dell’ora successiva) o alle XX:29’00” (per finire alle h.
XX:31’:00”), come indicato nella tabella sotto.
Ho indicato le notti tra SABATO e DOMENICA,
perché sono quelle che generalmente consento-
no la massima libertà di orario, ma potremo ag-
giungere sessioni di ripresa in altre nottate, nel
caso di eventi interessanti o condizioni atmo-
sferiche particolarmente favorevoli.
DATE E ORARI DI RIPRESA: OTTOBRE-
NOVEMBRE 2011
Ecco le date e gli orari (in TU, tempo universale) stabiliti
per l’inizio delle riprese dei filmati:
Tutti coloro che eseguiranno delle riprese webcam agli
orari e nelle notti indicate, contribuiranno
all’elaborazione di una singola immagine finale. Ogni
immagine “finale” sarà ovviamente relativa ad un preci-
so istante delle riprese. Per intenderci, ovviamente non
sommerò le immagini del 3 novembre con quelle del 4
novembre, ma prenderò tutte le immagini pervenute
relative alla stessa data e ora, tra quelle stabilite sopra.
Data Filmato centrato alle:
02 ottobre
2011
01:30 UT 02:00 UT 02:30 UT
09 ottobre
2011
01:00 UT 01:30 UT 02:30 UT
16 ottobre
2011
00:30 UT 01:00 UT 01:30 UT
23 ottobre
2011
00:00 UT 00:30 UT 01:00 UT
29/30 otto-
bre
23:30 UT 00:00 UT 00:30 UT
5/6 no-
vembre
23:00 UT 23:30 UT 00:00 UT
12 novem-
bre 2011
22:30 UT 23:00 UT 23:30 UT
19 novem-
bre 2011
22:00 UT 22:30 UT 23:00 UT
26 novem-
bre 2011
21:30 UT 22:00 UT 22:30 UT
Pagina 12
5,6 micron, usando un telescopio da 250 mm di dia-
metro ciò significa allungare la focale fino a 8400
mm). Il numero “6” è una costante opportunamente
dimensionata.
La notevole luminosità di Giove ci consente di spinge-
re a fondo sulla focale. Spesso, però, è opportuno cer-
care un compromesso che ci consenta di utilizzare
tempi di posa rapidi, tipo intorno ad 1/50 di secondo,
potremo così “congelare” meglio il seeing. Ad esem-
pio, preferiremo 8 metri di focale anziché 10 metri
quando ad essa, corrisponderà una posa di 1/50 di
secondo contro 1/33, tempo sufficiente a ridurre al
minimo la turbolenza registrata.
Se utilizzeremo una webcam ne regoleremo attenta-
mente il guadagno, in modo che non superi mai il va-
lore di 230 ADU, eviteremo così di sovraesporre le
zone più luminose.
Le webcam consentono di riprendere Giove a colori.
In tal caso sarà necessario utilizzare un buon filtro
“IR-cut”, per far sì che venga esclusa la componente
infrarossa che, altrimenti, altererebbe il bilanciamen-
to cromatico dell’immagine del pianeta.
Con le webcam un po’ datate, in genere USB 1.1, alla
risoluzione video di 640x480 pixels, non conviene mai
superare la frequenza di ripresa di 15 fotogrammi al
secondo. Superando questa frequenza di ripresa si ot-
tiene una compressione dell’immagine che pregiudica
notevolmente la qualità dei risultati.
La durata dei filmati, a causa della rotazione del pia-
neta, può essere spinta fino a 2 minuti per strumenti
di diametro intorno ai 30 cm di diametro. Filmati di
questa durata, se non acquisiti in modalità compressa
(ad esempio “divx”), saranno molto “ingombranti” in
termini di megabyte. Assicuriamoci pertanto di avere
spazio sufficiente nell’hard-disk del nostro computer.
I possessori di camere CCD in B/N, potranno ripren-
dere il pianeta in determinate ed “esotiche” bande
spettrali (anche le webcam a colori, pur con qualche
limitazione, possono essere utilizzate per questo tipo
di riprese). … Questo tipo di riprese non potranno
A S T R O N O M I A N O V A n . 6 , o t t o b r e 2 0 1 1
Le immagini da utilizzare per queste elaborazioni mi
dovranno pervenire, elaborate in maniera non ecces-
siva e complete di tutte le informazioni tecniche ne-
cessarie, al mio indirizzo e-mail.
In un articolo che apparirà su di un prossimo nume-
ro di ASTRONOMIA NOVA, illustrerò in dettaglio la
procedura necessaria per elaborare e sommare le
immagini di Giove.
Le notti più importanti, caratterizzate da una forte
partecipazione di osservatori, saranno quelle più vi-
cine all’opposizione: 23 ottobre, 29 ottobre e 5
novembre.
Raccomando la massima cura nella regolazione degli
orologi del PC.
ALCUNI CONSIGLI SULLE CORRETTE
TECNICHE DI RIPRESA DIGITALE DI GIOVE
Al fine di i migliori risultati nelle riprese digitali in
alta risoluzione del pianeta, riporto una serie di con-
sigli che potranno essere d’aiuto a chi utilizza le dif-
fusissime webcam o le più recenti camere CCD ad
alta velocità:
Prima di iniziare le riprese, attenderemo che le
ottiche si stabilizzino termicamente. Secondo il
tipo di strumento utilizzato, potranno essere ne-
cessari dai 10 ai 60 (o anche 120) minuti. Nel frat-
tempo prepareremo il computer e sincronizzere-
mo il suo orologio interno, controlliamo la colli-
mazione delle ottiche (attenzione alle “piume di
calore”, specialmente sugli strumenti a tubo chiu-
so!) e del cercatore. Queste operazioni contribui-
ranno in modo determinante a rendere più sem-
plice ed efficace il nostro lavoro di ripresa.
Applicare la webcam al telescopio con gli accesso-
ri adatti ad allungarne la focale. Se il seeing è fa-
vorevole, tramite Barlow o oculari in proiezione,
possiamo spingerci fino ad una focale “F” (in mm)
che si ottiene, per Giove, dalla seguente formula:
F = D x P x 6. La formula ci dice che focale “F”
dipende dal diametro del nostro strumento
“D” (in mm) e dalla lunghezza del lato del pixel
del nostro sensore “P”, espresso in micron (per le
Vesta, Toucam, SPC900, DBK 21 questo valore è
Pagina 13
però essere utilizzate nelle sessioni sincronizzate (che
saranno normali immagini a colori).
Tra tutti i tipi di strumenti, i riflettori sono quelli che
possono essere impiegati con il maggior profitto in
ogni regione dello spettro. Essi sono notoriamente
degli eccellenti telescopi tuttofare. Ma sarà bene che
le loro ottiche siano molto ben lavorate e che il fatto-
re d’ostruzione non superi il 30%. I diametri genero-
si, oltre i 40 cm, hanno un potenziale enorme, che
purtroppo, però, può essere sfruttato raramente, in
quelle serate cioè dal seeing particolarmente buono.
In genere i diametri consigliati (con un rapporto otti-
male tra ingombro e prestazioni e il cui impiego sia
limitato al territorio nazionale, notoriamente caratte-
rizzato da un seeing medio che supera i 2”.5), sono
quelli tra i 20 ed i 35 cm.
Per le riprese di Giove nella banda rossa o infrarossa
si potranno utilizzare anche i grossi rifrattori acro-
matici, i cui residui di colore saranno ridotti grazie
dall’utilizzo del filtro. Non forniranno però risultati
di qualità elevata nelle riprese a colori, proprio per-
ché il cromatismo residuo “impasterà” eccessiva-
mente le immagini.
E’ possibile, operando in un arco di tempo non supe-
riore ai 2 minuti, eseguire 2 riprese del pianeta: una
in modalità “bianco e nero”, con il filtro rosso o infra-
rosso, ed una a colori, col semplice filtro IR-cut. Ri-
badiamo che uno degli obiettivi del presente progetto
è di riprendere, in sincrono il pianeta, con più stru-
menti e, successivamente, unire i risultati ottenuti da
persone e luoghi diversi; è necessario però che i fil-
mati utilizzati per la luminanza (in questi casi quelli
con filtro IR) siano CENTRATI sull’orario prestabili-
to.
Per facilitare la somma delle immagini ottenuta, sarà
utile posizionare il sensore in modo che le bande ri-
sultino approssimativamente orizzontali ed il sud in
alto.
In fase di elaborazione, non eccedere mai con le ma-
schere di contrasto. Fare in modo che l’intera imma-
gine sia leggibile e nessuna zona risulti sovresposta.
A S T R O N O M I A N O V A n . 6 , o t t o b r e 2 0 1 1
nelle riprese a colori allineare accuratamente i tre
canali R G B (con Iris o Photoshop), la cui traslazione
è prodotta dalla rifrazione atmosferica differenziale.
Evitare di rendere nero il fondo cielo, questa opera-
zione, con le dovute precauzioni di “rispetto” verso i
bordi del pianeta, si può fare eventualmente a fine
elaborazione.
Archiviare sempre i filmati originali. Non disponen-
do di spazio sull’hard-disk, masterizzarli su CD/DVD
oppure salvare i canali-somma in formato “FITS”
non elaborati, restituiti da IRIS (o software analoghi)
alla fine dell’elaborazione. Salvando i filmati sarà
possibile ripetere l’elaborazione con tecniche o sof-
tware diversi.
Chi volesse realizzare filmati che mostrino la rotazio-
ne del pianeta potrà riprendere il pianeta nell’arco
della stessa notte, eseguendo un filmato ogni circa 5
minuti. Anche se non si coprirà l’intera rotazione del
pianeta, otterremo comunque un documento impor-
tante, utile per lo studio dei dettagli visibili special-
mente se si potrà confrontarlo con analoghi lavori
ottenuti da altre località e con una strumentazione
simile alla nostra.
Cristian Fattinnanzi è uno dei più affermati astrofoto-
grafi a livello internazionale. Le sue immagini planetarie
sono pubblicate dalle maggiori riviste astronomiche, non
solo italiane.
Sant’Agostino interrogato sul tempo risponde: “Quando
nessuno me lo chiede, lo so; ma se qualcuno me lo chie-
de e voglio spiegarglielo, non lo so”.
In un certo senso mi capita la stessa cosa allorquando
mi chiedono le ragioni di questo binodobson 24” e cosa
abbia mosso questo progetto. Io forse lo so ma non so
come spiegarlo! Non saprei bene ma sicuramente un
sentimento irrazionale è prevalso con forza. Un dàimon
della follia ha obnubilato la mia mente, calandomi nel
torpore dell’incoscienza! Quando poi mi sono ripreso, il
binodobson era già pronto nelle mie mani e da quel mo-
mento sono iniziati i miei dolori!
Martini, il costruttore tedesco a cui mi rivolsi
nell’ottobre 2010, www.dietermartini.de/, non aveva
mai costruito binodobson e la mia proposta rappresen-
tava per lui una grande scommessa e una ghiotta occa-
sione di primazialità nel settore. Accettò e si mise al la-
voro. Non aveva idee chiare e per rilanciare in bizzarria
creativa si scatenò anche lui (forse in preda del suo dài-
mon) in soluzioni complicate e di difficile applicazione.
Concepì un sistema di messa a fuoco macchinoso e di
sesquipedale articolazione. Tutto il gruppo ottico dei
terziari, con gli oculari in sede, venivano spostati trami-
te il giramento di un pomellone che contestualmente
andava anche a spostare i secondari attraverso le razze
collegate, in direzione alto-basso rispetto ai primari.
Quest’idea sicuramente buona in teoria, ha avuto però
un’applicazione sommaria creando una forte instabilità
dei singoli elementi. E anche le celle dei primari non
erano all’insegna della stabilità necessaria. A onor del
vero e a vantaggio di Martini sta il fatto che realizzando
solo la struttura, non ha avuto modo di testare lo stru-
mento con gli specchi nella loro sede e accorgersi dun-
que delle criticità sopravvenute e imprevedibili.
La prima uscita pubblica a Giugno 2011 è stata un vero
fallimento! Tutte le mie aspettative e quelle degli amici
astrofili, completamente deluse!
Era evidente che si imponeva un grande lavoro di modi-
fica, di rettifica e di importanti interventi strutturali.
L’obiettivo fondamentale e prioritario da realizzare è
stato quello di raggiungere una buona stabilità dello
strumento. La stabilità è stata la chiave di volta intorno
a cui si sono poggiate tutte le modifiche. Questo grande
strumento presuppone un esigente centramento delle
singole ottiche e una rigorosa collimazione tra di esse.
In quel momento così critico e depresso in cui ero cadu-
to, come un angelo custode si è proposto in soccorso il
mio amico Roberto Zacconi, esperto conoscitore di otti-
ca, e abilissimo talento di manualità. E’ intervenuto in
A S T R O N O M I A N O V A n . 6 , o t t 0 b r e 2 0 1 1 Pagina 14
Il Binodobson 24”: il più grande binoculare amatoriale al mondo!
Andrea Boldrini
http://vaghestelledellorsa.com/
questo progetto di modifica, per circa un mese e mezzo,
realizzando cambiamenti indispensabili tutt’ora in atto
che giammai da solo avrei realizzato. A lui devo l’ottima
funzionalità e la messa a punto di questo difficile stru-
mento! Inoltre in questi interventi di modifica ringrazio
anche l’amico Franco Salvati che generosamente con
perizia e talento ha installato il sistema di motorizzazio-
ne che ancora deve essere collegato elettronicamente
con l’Argo navis. Così come ringrazio Cristian Fattin-
nanzi per alcune modifiche nel gruppo dei terziari, Mas-
simo D’Apice per un supporto per la distanza interpupil-
lare che sarà perfezionato in futuro e tutti gli amici a-
strofili che mi hanno consigliato e sostenuto.
Come primo intervento abbiamo sostituito gli instabili
supporti degli specchi secondari. In loro luogo abbiamo
inserito le tradizionali raggiere in acciaio, alleggerendo
di non poco il peso di tutto il "cappello" e dando di con-
seguenza una maggiore stabilità. Questa modifica ha
implicato la rinuncia al sistema di messa a fuoco ideato
da Martini che prevedeva, come già accennato, unita-
mente al gruppo degli specchi terziari anche lo sposta-
mento dei secondari in direzione alto-basso rispetto ai
primari. Senza entrare nello specifico di tutte le modifi-
che che sono state apportate, lo strumento è oggi piena-
mente operativo e il 26 Agosto scorso ha fatto la sua pri-
ma uscita in campo dopo le modifiche. Questa volta la
rivincita è stata totale e trionfante. Le mirabilia osserva-
tive in "diretta fotonica" che questo strumento riesce a
produrre, esulano da qualsiasi altra esperienza. Il bino-
culare genera "l'ameno inganno" della tridimensionalità
e in alcuni oggetti questo gioco è sorprendente!
Pagina 15 A S T R O N O M I A N O V A n . 6 , o t t 0 b r e 2 0 1 1
A parte la visione certamente più confortevole rispetto
al mono, la cosa più emozionante e più sconvolgente è
quella di osservare in binoculare con due specchi da 60
cm!!! Ho fatto vedere la M8 a un mio amico visualista
con 40 anni di esperienza e ha stentato non poco a rico-
noscerla!!! Penso che soltanto dall'inclinazione del bi-
no sia riuscito a dedurre l'oggetto in osservazione.
E' come se alcuni oggetti Messier, ormai a noi tanto fa-
miliari poiché osservati sempre con diametri dai 10 cm
ai 40 cm, nella visione con il bino 24" assumessero altre
sembianze, altri particolari, altre morfologie, perdendo i
loro precedenti segni d'identità.
La visione binoculare a questi livelli introduce uno scon-
volgimento dei sensi: ci si inabissa come se indossassi-
mo una maschera da sub per scandagliare i fondali
dell'universo.
Parte interna del mirror box con i due grandi specchi pri-mari di 0.60-m di diametro
A sinistra:il sistema di
messa a fuoco del bino-
dobson prima di essere
sostanzialmente modi-
ficato.
Pagina 16
M 17 presenta una vastità e pluralità di particolari da
doversi perdere negli intricati giochi nebulari e nelle
deboli piroette dell'omega.
La nebulosa del Velo, uno spettacolo indicibile, direi
mistico fino a perdere le parole: "Oh quanto è corto il
dire e come fioco al mio concetto! e questo, a quel ch'i'
vidi, è tanto, che non basta a dicer 'poco' ".
Anche il corpo partecipa con brivido allo spostamento
dello strumento e sebbene talora l'instabile scala che
siamo obbligati a salire ci ricordi la precarietà fragile
della nostra condizione, entrambi gli occhi, immersi ne-
gli oculari, scandagliano rapaci i remoti fumi tra i campi
stellari.
Un altro elemento di fondamentale importanza non rav-
visabile in altri strumenti monoculari è la sensazione di
galleggiamento e di sospensione di alcuni oggetti a me-
dio-basso ingrandimento come i globulari e le planeta-
rie.
Ad osservare M 13 con questo strumento si rischia di
cadere dalla scala!
Emerge con maggior precisione la sfericità del globulare
e alcune stelle più luminose sembrano più vicine rispet-
to alle altre dando la percezione del 3D. Senza parlare di
M27: enorme e dettagliata come una foto in B/N con
tutte le stelline in trasparenza!
Così come la Helix, tracimante per bellezza e definizio-
ne! Da cardiopalma la Crescent! Un grande cuore dise-
gnato nel cielo per astrofili amanti!
Poi la Nord America. Nella parte del golfo è un immenso
budello di fumo: spettrale immagine d'inquietanti simi-
litudini terrestri! E che dire della cometa Garradd in
transito nei pressi di M 71? Un mirabile e grazioso qua-
dretto ove i due corpi molto luminosi e definiti si inter-
facciano per breve tempo per poi allontanarsi pian pia-
no.
In ultimo la grande galassia di Andromeda M 31 e l'altra
galassia del Triangolo con l'appariscente nebulosa NGC
604. Nella prima si osservano nette le due bande scure e
alcune fioche increspature; nella seconda tra scintillanti
facelle, si materializzano, come minacciose piovre, le
lunghe spirali lattiginose.
E poi ancora altri oggetti quasi al limite come la Califor-
nia e la Testa di Cavallo entrambe ben definite.
Infine la percezione dei colori e dei toni cromatici ravvi-
sati da alcuni amici in nebulose come la Velo e M 42
sebbene quest’ultima fosse ancora bassa sull’orizzonte.
Personalmente non vedo il colore e la natura, in questo
senso, non mi ha dotato ma con questo strumento ho già
raccolto convinte e sorprendenti testimonianze!
A S T R O N O M I A N O V A n . 6 , o t t o b r e 2 0 1 1
Particolare delle “antenne
con le palle” con cui si rego-
lano uno dei 3 punti flottan-
ti di ogni cella
Il “cappello” del binodobson con i secondari nei loro sup-porti a crociera
Pagina 17
Arrivati “in sul primo albore” lo strumento perde di po-
tenza e noi, stanchi, ci corichiamo ebbri di un universo
mai visto prima!
Così è andata la sera del 26 Agosto 2011 a Forca Canapi-
ne con gli amici astrofili completamente stupefatti e
increduli! Alcuni di loro hanno poi redatto dei veri e
propri report emozionali sulla serata. Ecco ad esempio,
cosa scrive Andrea Storani, dopo aver osservato il dop-
pio ammasso del Perseo: “La visione di questo oggetto,
uno degli oggetti più spettacolari del cielo, consente di
sperimentare una delle principali peculiarità della vi-
sione al binodobson, l’effetto ottico di tridimensionalità.
Ad alti ingrandimenti ci si ritrova immersi (il parago-
ne non è affatto casuale) in un mare di stelle ed è un
piacere spostarsi tra un ammasso e l’altro, fino al pun-
to di perdersi nella vastità di questi due oggetti. Mi sof-
fermo sul più spettacolare dei due, NGC 869 e in parti-
colare su di un gruppetto di stelle disposte a semicer-
chio proprio al centro di esso. Immerse in una fitta cor-
nice di stelle di colore azzurro quest’asterismo spicca
per una maggiore luminosità, tanto che le sue compo-
nenti appaiono quasi di colore giallo. Questa diversa
luminosità e la particolare forma semicircolare fanno
si che sembrino in primo piano rispetto alle altre, come
se alla vista si animassero sino a formicolare, quasi
come si stesse osservando attraverso un fondale mari-
no…”.
Anche per l’astrofotografo Giancarlo Erriquez
l’esperienza ha un sapore mistico: “ E la nebulosa Velo
avrei giurato che fosse dipinta sul fondo degli oculari.
Per non parlare di tutti gli altri oggetti. Nasco astrofo-
tografo; ho solo un oculare, così, giusto per collimare lo
strumento. L'ultima volta che l'ho usato e' stato due
anni fa'. Ma l'altra sera, a Forca Canapine [splendida
località sui Monti Sibillini] , dopo aver goduto le visioni
nel tuo binodobson, posso dire che cio' che si riesce a
vedere ( e non dico a intravedere) non differisce molto
da una bella astrofotografia. Con la differenza della
tridimensionalita'. E non e' poco”.
Devo precisare un concetto importante sulla fruizione di
questo binodobson che per mia convinta scelta è desti-
nato a una condivisione “esoterica” strettamente riser-
vata agli astrofili.
Non si può permettere l'accesso visualistico “essoterico”
di questo strumento a chi non abbia osservato mai in
uno telescopio o a chi non abbia una minima esperienza
osservativa.
Occorre dunque una maieutica che solo gli astrofili pos-
sono trasmettere; occorre una frequentazione assidua
dello stellato, con uno studium costante e applicato, ve-
ro precipitato emozionale di questa passione!
Organizzo corsi di astronomia di primo livello, serate
osservative, star watching, serate pubbliche in osserva-
torio e nelle piazze e mi è capitato di sentirne molte.
Non ultima quella di un tipo che dopo aver osservato M
13 all'oculare del mio Ritchey Chretien LX200R
14" (sottolineo 14 pollici!!!) mi dice incalzandomi: "ma
non mi puoi far vedere un oggetto più emozionante?" .
Ebbene di fronte a queste amenità a questi florilegi
dell'incredibile rimani interdetto e non sai cosa rispon-
dere!
La cultura dell'immagine che tanto caratterizza la nostra
società e i media contemporanei, ci ha resi totalmente
insensibili, neutralizzando i "bastoncelli" della nostra
percezione e le profondità analitiche dell'episteme che
presuppongono metodo e precisione, estrema sensibilità
e anche grande intuito. Non è il semplice vedere ma il
A S T R O N O M I A N O V A n . 6 , o t t o b r e 2 0 1 1
Il “cappello” nella parte del gruppo dei terziari; a destra: i focheggiatori elicoidali, vano gruppo terziari
e “antenne con le palle” per la regolazione dei primari
Pagina 18
coinvolgimento simultaneo, direi a effetto blin-
king, dello spirito di geometria e lo spirito di finezza!
Invece oggi l'immagine deve scioccare e convincere, en-
trare nell'inconscio di ognuno con esclusive finalità con-
sumistiche. Come potrà mai allora una debole e povera
galessietta, fors'anche interagente con la sua compagna,
sperduta nell'immensità cosmica e percepibile nel suo
debole chiarore, emozionare quell’esinanito individuo
rimasto deluso su M 13?
Per questo chi vuole intraprendere un'esperienza astro-
fila di osservazione deve fare la sua graduale“gavetta”
essere come iniziato e percorrere un tragitto formativo e
“catartico” che riattivi e purifichi le sue capacità percet-
tive! Altrimenti l’osservazione al binodobson 24” farà
esclamare solo uno squallido “interessante!” e non la-
scerà nulla nella memoria delle grandi emozioni!
Osservare non è solo un'arte e una metodologia. E' di
più. E' sconfinamento che abbraccia anche le ragioni
del cuore e che coinvolge l'intera persona, l'unica forse
capace di comprendersi e di comprendere l'infinito.
RINGRAZIAMENTI
Ringrazio di cuore: Franco Salvati e Roberto Zacconi per il
loro personale contributo, così come ringrazio gli amici Cri-
stian Fattinnanzi per alcune modifiche nel gruppo dei terziari,
Massimo D’Apice per un supporto per la distanza interpupilla-
re che sarà perfezionato in futuro e tutti gli astrofili che mi
hanno consigliato e incoraggiato. Infine ringrazio Maria Kent
Pasquarella che amorevolmente mi ha sempre sostenuto cre-
dendo in questa nostra "folle impresa”.
A S T R O N O M I A N O V A n . 6 , 0 t t o b r e 2 0 1 1
Lo specchio di uno dei secondari nella sua sede
A sinistra: Roberto
Zacconi modifica il
mirror box; a destra:
Franco Salvati, nella
sua officina, installa il
Servocat.
Pagina 18 A S T R O N O M I A N O V A n . 6 , o t t o b r e 2 0 1 1
Andrea Boldrini (a sinistra con il suo
spettacolare binodobson) è nato a Matelica
(Mc) nel 1963. Vive a Mergo (An) nelle Mar-
che. Ha conseguito il diploma di maturità
classica presso l’Istituto Salesiano di Mace-
rata e successivamente si è laureato in Giuri-
sprudenza presso l'Università della stessa
città. Ha inoltre conseguito il Diploma Uni-
versitario in Scienze Religiose presso l'Uni-
versità di Urbino. Ha insegnato diritto.
Svolge attività artistica come pittore
(professione principale da sempre) prenden-
do parte a mostre personali e collettive pres-
so gallerie, musei e luoghi pubblici in Italia e
all'estero.
E' un appassionato astrofilo: organizza corsi
di astronomia amatoriale, serate osservative
presso i Monti Sibillini con il più grande te-
lescopio trasportabile d’Italia, è Direttore
dell’Osservatorio “Migliorati” di Jesi.
********************************************
Questo articolo è stato pubblicato, in parte, an-
che sul sito di Salvatore Albano:
www.salvatorealbano.it/
A sinistra: Motorizzazione in altezza con motore “Servocat”; a destra: Motorizzazione
in azimut all’interno del rocker box
Pagina 20
Sappiamo tutti che la Terra è animata da un moto di
rotazione attorno al proprio asse e da un moto di rivolu-
zione intorno al Sole. L’azione combinata dei due moti si
manifesta sulle stelle che, oltre a sorgere e tramontare,
manifestano un lento moto da ovest verso est. Pertanto
la volta stellata visibile a settembre ad esempio, è la
stessa di ottobre di un paio di ore prima.
Se non ci fosse il Sole pertanto basterebbero le 24 ore
per osservare tutte le costellazioni che è possibile osser-
vare da una determinata località. Se il Sole è nel Toro,
ovviamente, la costellazione si renderebbe visibile negli
stessi momenti in cui il Sole è sopra l’orizzonte, in pieno
giorno, rendendosi di fatto invisibile. Viceversa il mo-
mento di migliore visibilità si ottiene a sei mesi di di-
stanza.
Meno noto è un terzo moto della Terra, denominato pre-
cessione degli equinozi, che manifesta i suoi effetti su
tempi molto più lunghi. Fra i vari effetti sull’apparente
movimento stellare ha anche quello di far congiungere il
Sole con diverse costellazioni, anno dopo anno, alla stes-
sa data di calendario.
La convenzionale classificazione dei periodi dell’anno
sotto il segno dell’Ariete, del Toro, dei Gemelli e così via
è stata codificata una volta per tutte millenni fa, con o-
gni probabilità dagli astrologi mesopotamici, quando il
fenomeno della precessione non era ancora conosciuto.
Fu Ipparco, in Grecia, nel II secolo a.C. a scoprire il fe-
nomeno dandone anche una quantificazione. Durante il
succedersi dei secoli nessuno provvide ad aggiornare
però i modi di dire e pertanto, ancora oggi associamo al
Toro il passaggio del Sole, mediamente, tra i 21 di aprile
e di maggio. Ma le cose non stanno così. Poiché la pre-
cessione compie un giro completo in 26000 anni, essen-
do passati ben oltre due millenni, il Sole entra ufficial-
mente entro i confini del Toro, stabiliti una volta per
tutte da Eugene Delporte, per conto dell’Unione Astro-
nomica Internazionale nel 1928, il 14 maggio, quasi un
mese dopo rispetto al periodo previsto dai Sumeri. Di
conseguenza, il periodo di migliore visibilità della co-
stellazione viene slittato avanti di un mese, a novembre,
all’inizio dei primi freddi, anche se già nelle ore tarde di
queste sere è possibile osservarlo al suo sorgere.
A S T R O N O M I A N O V A n . 6 , o t t o b r e 2 0 1 1
Il Toro: una costellazione autunnale celata in millenarie leggende
Lorenzo Brandi
Bellissima incisione della
costellazione del Toro nel
“Firmamentum Sobie-
scianum, sive uranogra-
phia - Prodromus Astro-
nomiae” , 1690, di Joan-
nes Hevelius
Pagina 21
Chi conosce la costellazione sa che è un autentico scri-
gno. Le stelle, una diecina le più brillanti, annoverano
Aldebaran, una gigante rossa di magnitudine 0,9. Ven-
gono poi El Nath (la beta, in comproprietà con l’Auriga),
decisamente meno brillante di Aldebaran, agli antipodi
come aspetto essendo una gigante blu. Vengono poi al-
cune doppie come la θ, la , la la la la . Fatta
eccezione per la che è una variabile ad eclisse le altre
sono visibili come doppie già con binocoli o piccoli tele-
scopi. Ma il Toro dà il meglio di sé nel profondo cielo:
esso annovera tra i propri confini i due ammassi aperti
più noti ed appariscenti, come le Iadi, tra le quali si tro-
va intrufolata Aldebaran senza alcun legame fisico, e le
Pleiadi, che coprono una porzione di cielo grande quan-
to circa tre lune piene. Non va infine dimenticato M1, la
Nebulosa del Granchio (Crab Nebula) il residuo della
supernova esplosa nel 1054 d.C. Al centro si trova tutto-
ra visibile, ma solo con telescopi potenti, la stella che ha
prodotto la nebulosa con la sua esplosione.
A questo raggruppamento di stelle si è attribuita la de-
nominazione di Toro. Perché? Sappiamo benissimo che
le stelle di una costellazione ben difficilmente sono fisi-
camente legate tra loro, è solo il gioco prospettico che ce
le fa apparire raggruppate in una determinata zona di
cielo. Per giunta ogni cultura ha catasterizzato in cielo
figure diverse. Vederci un toro, è impresa ardua. Chiari-
sco anche il significato di catasterismo: Processo per cui
un eroe, una divinità o un oggetto viene trasformato in
un astro o in una costellazione; deriva dal greco:
[katasterizo] colloco fra le stelle, composto di [kata] in
giù e [aster] astro.
Si può ripercorrere il ragionamento degli antichi e im-
maginare, quasi per gioco, che le Iadi formino una “V”
nella quale si cela il centro del muso, che da una parte si
conclude sull’occhio iniettato di sangue rappresentato
da Aldebaran, mentre salendo ancora, simmetricamen-
te, la e la ζ rappresentano le estremità di due corna
molto allungate. È facile fare un discorso del genere col
senno di poi.
Certo l’idea di mettere lassù, in quella determinata por-
zione di cielo, un toro da qualche parte deve essere sca-
turita.
Il toro è un animale che ispira forza, robustezza, vigore
fisico, connotati visti ora con accondiscendenza, ora con
timore.
L’astrologia, non di rado congiunta all’astrolatria, ha
mosso i primi passi, maturi, proprio nel bacino mesopo-
tamico sulla fine del III millennio a.C. Facendo leva pro-
prio sulla precessione, in quel periodo il Toro era la co-
stellazione che conteneva tra i propri confini il punto
gamma, cioè l’intersezione tra l’eclittica e l’equatore ce-
leste. In concomitanza col passaggio del Sole nel Toro
cominciava la primavera.
Se andiamo a ritroso nel tempo, il Toro diviene costella-
zione equinoziale, mantenendo il suo status, dalla metà
del V fino alla fine del III millennio a.C. L’ipotetico os-
servatore, nato 5000 anni fa, avrebbe potuto godere
della sua vista a partire dalla fine della primavera.
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Le stelle del Toro unite idealmente a rappresentare
la costellazione e, in filigrana, i lineamenti
della costellazione.
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Intorno al 2200 a.C. però la costellazione fu smembrata
in due parti: il Toro perse le sue estremità posteriori
che divennero l’Ariete, perdendo al tempo stesso anche
la leadership zodiacale, visto che una delle intersezioni
fra l’equatore celeste e l’eclittica veniva a trovarsi pro-
prio in quella regione che gli era stata tolta.
I ritrovamenti sembrano indicare che la costellazione
nasce durante quel lungo lasso temporale in cui costi-
tuiva lo sfondo del Sole equinoziale. Immaginiamo allo-
ra di essere trasportati indietro nel tempo: intorno al
3000-4000 a.C. La rossa Aldebaran e le altre stelle di
contorno sono lo scenario su cui si proietta il Sole che
riemerge dalle tenebre invernali. Gli antichi osservatori,
come ad esempio i Sumeri, immaginano celarsi sotto
quelle stelle un Toro. C’è una ragione precisa? Abbiamo
già detto che tra una stella ed un’altra della medesima
costellazione non c’è alcun apparentamento salvo quel-
lo prospettico, quindi le costellazioni nascono col preci-
puo intento di facilitare la memorizzazione delle posi-
zioni, vista l’importanza astrologico-calendariale. Certo,
la storia delle costellazioni ci insegna che ogni popolo ci
ha visto quel che ci voleva vedere. Alle volte però, i miti,
le figure ed anche i nomi, vogliono essere qualcosa di
più. Il mito aveva per i greci una funzione didascalica
ed esemplare. Il cielo, ritenuto immutabile, eterno, po-
teva essere dunque il supporto sul quale scrivere una
storia che doveva essere tramandata, come le pagine di
un libro. Si deve anche tener conto che nell’antichità
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solo una piccolissima percentuale di popolazione sape-
va leggere e scrivere: il cielo era disponibile senza alcu-
na codifica linguistica, accessibile a tutti, alfabetizzati e
analfabeti.
Sul filo del ragionamento si può allora rilevare che le
figure celesti non sono create a caso, benché la fantasia
giochi innegabilmente un ruolo rilevante. Se guardiamo
il cielo con gli occhi di Omero (lasciando stare la tradi-
zione che lo vuole cieco), Esiodo, Arato possiamo ravvi-
sare alcune aree tematiche. Le più famose ed estese so-
no quelle delle Acque Celesti comprendente Eridano,
Pesci, Acquario, Pesce Australe, Balena, Delfino ed il
mezzo Capricorno meridionale di origine paleolitica; il
gruppo riguardante Cefeo, Cassiopea, Andromeda, Per-
seo, Pegaso e di nuovo la Balena, di origine più recente;
Ercole, Idra e Cancro che si rifanno tutte ad una storia
comune ma che non appaiono unite nel cielo; le Orse ed
il suo Guardiano Bootes; Ofiuco, Serpente e Scorpione,
risalenti al V-IV millennio a.C. Lo Scorpione lo trovia-
mo coinvolto con Orione (e situati reciprocamente agli
antipodi); e per finire, il mito del Toro, isolato o in as-
sociazione con Orione, o ancora con l’Aquila (anche in
questo caso non ravvicinati nel cielo).
I miti collegati alle volte appaiono molto più sottili di
quanto possa sembrare a prima vista. Facciamo alcuni
esempi, prima di addentrarci in un’analisi del toro cele-
ste. In apertura abbiamo parlato del fenomeno della
precessione, sconosciuto ad Esiodo ma noto a Tolomeo.
A sinistra la posizione del polo nord nel corso dei 26000 anni ; a destra il movimento dell'asse di rotazione, con ancora, ab-bozzate, le stelle “polari”.
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Un movimento rotatorio come quello della precessione
si spiega se l’asse terrestre (o quello celeste per come
vedevano le cose i Greci) è vincolato a ruotare attorno
ad un altro.
L’asse attorno a cui avviene il fenomeno si situa fra le
spire del Drago ed è identificato allegoricamente col
tronco dell’albero dalle mele d’oro nel giardino delle
Esperidi (con cui dovrà fare i conti Ercole durante una
delle sue mitiche fatiche), attorno al quale è avvinghiato
un drago a guardia perenne. Il Capricorno è simbolica-
mente rappresentato come mezzo pesce (che si immer-
ge nelle acque del profondo sud) e mezza capra (che
risale rapidamente il cielo) perché in esso il Sole dap-
prima si immerge verso il solstizio invernale per poi
risalire.
Le Pleiadi hanno la radice “plei” da πεω = "navigare"
che si riferisce al fatto che esse sorgevano in cielo quan-
do il tempo si faceva propizio alla navigazione.
Anche dietro la mitografia del Toro potrebbe celarsi
qualcosa di sottile. Di miti ce ne sono molti, e tutti con
delle varianti. Uno molto famoso racconta che Europa,
che significa “dagli occhi larghi”, era la figlia di Fenice,
il re che aveva dato nome alla Fenicia, e di Telefassa, la
“lungisplendente”, della cui bellezza Zeus si invaghì,
vedendola giocare con le compagne sulla spiaggia.
Per poterla avvicinare, assunse le sembianze di un toro
mansueto dal candore abbagliante, dagli occhi rossi e
con le corna a forma di falce di Luna.
Poi, docile, andò ad accosciarsi ai piedi della ragazza
che, attratta dalla sua bellezza e dalla mansuetudine,
cominciò a giocare con lui adornandolo di fiori, poi gli
salì in groppa. Il toro si slanciò allora verso il mare, in-
curante della preoccupazione della giovane che vedeva
allontanarsi sempre più la costa fenicia finché raggiun-
se Creta.
Qui nei pressi di una fonte all'ombra dei platani, che in
memoria di quell'amore ebbero il privilegio di non per-
dere le foglie, assunse le sembianze di un’aquila e sotto
questa forma si unì a lei. Dall'unione nacquero Minos-
se, Sarpedonte e Radamanto. Zeus donò ad Europa Ta-
lo, il bronzeo guardiano di Creta a perenne protezione
dell'amata, un cane che non mancava mai la preda e un
dardo che non falliva il bersaglio, e poi la diede in sposa
al re di Creta Asterion, che significa ”re delle stelle”, il
quale adottò i suoi figli. Dopo la morte ad Europa ven-
nero tributati onori divini, mentre il toro che aveva pre-
stato le sue sembianze a Zeus fu trasformato in costella-
zione, come pure l’aquila.
Un toro lo ritroviamo nelle vicende di Minosse (uno dei
figli di Europa), o meglio di sua moglie Pasifae, “colei
che illumina tutto”, che genererà il Minotauro, l’essere
mezzo uomo e mezzo toro, segregato nel labirinto co-
struito appositamente da Dedalo e che sarà finalmente
ucciso da Teseo con l’aiuto di Arianna, la figlia del re
cretese.
Il toro riecheggia molto nelle storie cretesi. Cosa vuol
dire? Che cosa significa? Ed il rapimento? Perché? Il
toro è il simbolo dell’energia primordiale. In sumero si
chiama “Gusidi”, cioè “toro conduttore”. In Egitto tro-
viamo il dio Apis, che contiene una radice che significa
“forza della natura”. Ed anche gli Ebrei in fuga
dall’Egitto, caduti nella tentazione idolatrica, innalze-
ranno il vitello d’oro (che in realtà non era un vitello ma
un toro). Date queste premesse, se si vuole trasporre un
toro in cielo, è naturale che il luogo deputato ad acco-
glierlo sia il punto equinoziale, simbolo della rinascita
della natura. In paesi caldi come il Mediterraneo meri-
dionale la forza della natura si associa facilmente al so-
le. Infatti il dio Apis è rappresentato come un toro con
un disco rosso, inequivocabile simbolo del Sole, appog-
giato sulle estremità delle corna. Ma passa il tempo e a
causa della precessione, perso il punto vernale, anche il
suo simbolismo si deve modificare in terra-elemento,
terra-generatrice e, sostiene Cattabiani nel suo Planeta-
rio, “per analogia divenne l’animale sacro alle divinità
lunari”. Così le corna finirono per rappresentare la falce
di Luna e tutte le eroine della vicenda (la
“lungisplendente”, “colei che illumina tutto”, colei
“dagli occhi larghi”) sono chiare allusioni alla Luna.
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François Boucher - Il ratto di Europa – Wallace Collection,
Londra
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Con la conquista dell’intero Mare Nostrum divenivano
l’ultimo baluardo prima dell’ignoto. Se così fosse però
non tornerebbero i racconti di Erodoto, a cui certamen-
te si ispirò Platone, che farebbe sfociare il Rodano
nell’Atlantico, nascere il Danubio sui Pirenei ed abitare
la Spagna dai Celti.
Se invece le colonne d’Ercole fossero spostate più ad
oriente e precisamente nel canale di Sicilia tutto torne-
rebbe a posto. I riguardi di Ercole, per usare le parole di
Dante, allora, non sarebbero stati posti ai confini e nei
confronti dell’ignoto, ma nei confronti della ben più
temibile flotta punica, l’invincibile armata cartaginese
che dominava incontrastata il Mediterraneo occidentale
e che certamente non l’avrebbe fatta passare liscia ad
un’incauta imbarcazione achea che si fosse avventurata
nei loro domini. Peraltro, seguendo una ricerca effet-
tuata da Castellani e resa pubblica nel libro Quando il
mare sommerse l’Europa, millenni fa, il Mediterraneo
era più basso di circa 200 metri, lo stretto di mare che
separa Capo Bon dal Lilibeo era molto più angusto, le
due coste potevano vedersi. Sarebbe più naturale porre
là i “riguardi” d’Ercole, dove comincia il massiccio
dell’Atlante (nel versante orientale e non in quello occi-
dentale). Allora, conclude Frau, la mitica Atlantide
sprofondata in un giorno ed in una notte di cui parla
Platone, posta oltre le colonne d’Ercole, non potrebbe
essere proprio la Sardegna, devastata al pari delle coste
fenicie? Effettivamente tutti i nuraghi di bassa quota a
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Se da un lato appare dunque ragionevole capire perché
ci sia un toro nel cielo e perché quelle determinate stel-
le siano state identificate con esso il significato del rapi-
mento rimane ancora oscuro. Alcuni archeologi hanno
scoperto tra le coste d’Israele e del Libano i resti di al-
cuni insediamenti distrutti, verosimilmente da una ca-
lamità, probabilmente un maremoto (o come si dice
oggi tsu-nami). Nella vicenda mitica si potrebbe celare
il ricordo di un cataclisma che sconquassò il Mediterra-
neo, che devastò le coste del mar di Levante, da cui pro-
veniva Europa, cedendo la palma di signora del Medi-
terraneo orientale alla terra di approdo: Creta. Anche il
mito di Teseo che col suo coraggio pone fine al sacrifi-
cio annuale dei 14 giovinetti ateniesi, orrido pasto del
Minotauro, si lega a quella fase storica arcaica durante
la quale la Grecia continentale subiva la sudditanza nei
confronti della civiltà minoica, dove tra l’altro la tauro-
machia era molto in voga.
Si tratta di eventi così remoti che trovare conferme tan-
gibili è arduo. In ogni caso, dando credito a questa ipo-
tesi, a quando far risalire l’evento? Probabilmente allu-
vioni e devastazioni lungo le coste del Mediterraneo ce
ne sono state tante.
La distruzione degli insediamenti potrebbe aver avuto
luogo in epoche diverse tra loro. Tuttavia esiste anche
un dato, scientificamente sicuro, riguardante un evento
tanto potente da aver investito un’ampia parte del Me-
diterraneo e che potrebbe essere stato lui da solo
l’artefice di morte, distruzione, devastazione, tanto sulle
coste del Libano che su quelle dell’odierno Israele.
Si potrebbe arguire che lo tsunami sia stato quello pro-
vocato dall’esplosione del vulcano di Santorini, intorno
al 1630 a.C., col conseguente scivolamento di buona
parte dell’isola sotto il livello del mare, avvenuto circa
1450 anni prima di Cristo.
Il giornalista Sergio Frau, col suo libro Le colonne
d’Ercole: un’inchiesta, sostiene che i nuraghi del meri-
dione sardo siano stati spazzati via da un simile catacli-
sma. Anzi arriva a dire che sia stato proprio
quell’evento a distruggere i nuraghi meridionali. Qual-
che reminiscenza di un simile evento deve essere rima-
sto anche in Grecia. Ci sono i racconti di Erodoto e poi
arriva Platone il quale, nel Crizia, parla di un’immane
catastrofe avvenuta novemila anni addietro. Ma se gli
anni di Platone fossero in realtà mesi, o lune?
Tutto tornerebbe, sostiene Frau, il quale si spinge oltre.
Le colonne d’Ercole, l’Ultima Tule del Mediterraneo,
furono poste là a Gibilterra da Eratostene, il che ben si
adattava al mondo romano.
L’isola di Santorini con l’indicazione della posizione del
cratere vulcanico e della vastissima caldera, ora som-
mersa dalle acque del Mediterraneo.
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sud di Barumini appaiono distrutti e sopra quelli in
quota coevi sono alle volte quasi intatti, segno evidente
che dal mare è venuta la distruzione e i primi rilievi di
Barumini hanno preservato quelli a quota maggiore.
L’ipotesi è intrigante. I libri che abbiamo citato, fatta
eccezione per Planetario, per quanto accurati nelle do-
cumentazioni tralasciano di investigare eventuali corre-
lazioni astronomiche. Per intanto dunque, fatta eccezio-
ne per le località geografiche di partenza e approdo di
Europa tra le varie ipotesi sui cataclismi ed il Toro non
sembrano esserci correlazioni. Tanto più che, si potreb-
be obiettare, il toro si trova forse lassù da molto tempo,
prima del cataclisma di Santorino. E poi cosa c’entra il
rapimento?
Sono tutte obiezioni perfettamente legittime alle quali
ci sentiamo solo di dare qualche spunto per ulteriori
riflessioni o indagini.
Bisogna innanzi tutto prendere in considerazione alcuni
fatti.
Pur con tutta l’incertezza legata alla frammentarietà dei
riscontri, calamità del genere non sono così rare. Il fatto
di essere al confine tra la zolla africana e quella europea
fa sì che il Mediterraneo sia soggetto a frequenti terre-
moti e tsu-nami conseguenti. In tempi molto più recen-
ti a quelli citati ne ha fatte le spese la città di Messina
(che nel 1908 subì più danni dal maremoto che dal ter-
remoto che l’aveva provocato). Negli ultimi 2000 anni
l’Italia ha subito 67 maremoti di varia intensità. Forse
l’evento spazza-Libano è un altro? Dall’osservazione
delle tracce di ossidiana nei fondali e da altre testimo-
nianze geologiche Paul Tremer, dell’Istituto Oceanogra-
fico di Francia, sostiene che un maremoto di entità su-
periore a quello avvenuto nell’Oceano Indiano a Natale
del 2004, tanto per intenderci, ha avuto luogo fra il
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13000 ed il 6000 a.C. Dello stesso avviso sono anche
Enzo Boschi, Maria Pareschi, Massimiliano Favalli,
dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. Essi
sostengono che il maremoto abbia avuto luogo intorno
al 6000 a.C. a causa dello scivolamento in mare del
fianco orientale dell’Etna. Le simulazioni al computer
hanno valutato gli effetti che si sarebbero potuti provo-
care sui lidi mediterranei. Sembra prendere consistenza
l’ipotesi che veramente tra il 6000 ed il 10000 a.C. (più
o meno al tempo in cui Platone fa risalire gli eventi)
avvenne uno tsu-nami di immani, gigantesche propor-
zioni. La Pareschi è poi giunta alla conclusione tutta
personale che Atlantide sia in realtà la Sicilia. In un
certo senso sembra che nella ricerca di correlazioni fra
leggende, miti antichi e resoconti storici si siano occu-
pati tutti: reporter, giornalisti, geologi, oceanografi.
Manca all’appello l’astronomo. Eppure il pretesto c’è. Il
ricordo dell’evento infatti potrebbe essersi trasformato
nei secoli successivi in un toro (vale la pena accennare
che il toro ed il cavallo sono gli animali sacri a Poseido-
ne, dio greco del mare), ben assimilabile alla forza di-
struttrice, ma anche elemento di rinascita, e per assicu-
rarne la memoria si traspone in cielo, dopo che il cata-
clisma ha avuto luogo.
C’è anche un’altra ipotesi da prendere in esame. Anche
se l’evento che ha ispirato Erodoto e Platone ha avuto
effettivamente luogo dopo la catasterizzazione del toro
si potrebbe sostenere che magari la storia di Europa,
del rapimento è più tarda e chi l’ha confezionata si è
servito di una figura già consolidata nell’immaginario
collettivo.
Si tratta di due soluzioni che tuttavia ancora non spie-
gano la storia del rapimento. Azzardiamo un’ipotesi che
per il momento non ha alcuna pretesa. Il rapimento
Due nuraghi sardi: a sinistra il nuraghe di S. Barbara, Macomer, a destra Su nuraxi, a Barumini
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potrebbe essere l’allegoria della leadership culturale e
politica nel bacino del Mediterraneo. In effetti le prime
civiltà che fiorirono furono quelle della Mezzaluna ferti-
le (Mesopotamia, Egitto, coste fenice) per poi passare a
Creta, la cui sudditanza fu avvertita anche dalla Grecia,
per poi proseguire oltre con la supremazia della Grecia
continentale ed infine con quella romana.
La tesi ha certamente bisogno di ricerche approfondite
e questo testo non ha altra pretesa che quello di suscita-
re tanto la curiosità da indurre qualcuno a dedicare un
po’del proprio tempo libero alla faccenda. Per poter
suffragare delle ipotesi del genere sarebbe opportuno
scovare nella letteratura e nelle arti figurative qualche
altro elemento a sostegno, oppure trovare argomenta-
zioni convincenti che fughino ogni dubbio circa la legit-
timità dell’accostamento toro (costellazione), Atlantide,
Creta. D’altra parte le storie sono sparse nel corso di
così tanti secoli che le tracce si fanno molto diluite.
In attesa di riscontri ci piace ipotizzare che il toro bian-
co dagli occhi rossi catasterizzato in tempi assai antichi
e l’altrettanto arcaiche leggende di una civiltà sommer-
sa dai flutti e chiamata Atlantide potrebbero riferirsi:
primo, ad un evento realmente accaduto; secondo, esse-
re ispirate dal medesimo evento.
Lorenzo Brandi si è laureato in Astronomia
all’Università di Bologna, presso la stessa Università, nel
2006 ha conseguito un Master di II livello: „Matematica
per le applicazioni’. Ha acquisito una certificazione per
attività didattiche e divulgative delle scienze che gli ha per-
messo di collaborare per alcuni anni con l’Istituto e Museo
di Storia della Scienza di Firenze. Dal 2003 è Tutor
(referente scientifico) a villa Demidoff presso il Laboratorio
di Didattica Ambientale. Ha tenuto lezioni del Planetario di
Firenze, presso la Fondazione Scienza e Tecnica. Le effe-
meridi astronomiche da lui prodotte sono state fornite alle
edizioni Chiaravalle e a Frate Indovino per la realizzazione
dei loro almanacchi e calendari e dal 2007 collabora con la
rivista 'le Stelle' e con 'la Stampa' di Torino per l’inserto
'Tutto Scienze & Tecnologia' per la pubblicazione di articoli
di carattere astronomico. E' docente precario di matemati-
ca e fisica nella scuola secondaria superiore.
L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia ritiene plausibile che una fra-
na di gigantesche proporzioni, staccatasi dal fianco orientale dell’Etna, 8000
anni fa provocò lo sprofondamento in mare di ben 35 chilometri cubi di mate-
riali e la successiva generazione di uno tsunami, illustrato in queste immagi-
ni, le cui onde raggiunsero le coste del Libano in meno di 4 ore.
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e una sessantina dei più importanti astronomi italiani e
stranieri.
A titolo personale, posso dire di aver avuto l’onore e il
grande piacere di corrispondere con il Professore in
occasione della pubblicazione della mia recensione, da
lui molto apprezzata, del suo: “Il calendario e
l’orologio”.
Nel 2008 mi chiese una copia del mio libro sui transiti
di Venere perché si stava documentando sui metodi
utilizzati, nel corso dei secoli passati, per determinare
l’Unità Astronomica.
Nell’estate del 2010 mi inviò un’affettuosa cartolina di
saluto dal Teramo; naturalmente vi era raffigurata la
dolce collina che ospita l’Osservatorio di Collurania.
Credo di fare cosa gradita ai tanti che hanno letto ed
apprezzato i lavori di Piero Tempesti riproponendo, nel
seguito, la splendida allocuzione che pronunziò il 23
ottobre 2006 in occasione della cerimonia per il confe-
rimento della Cittadinanza Onoraria, tenutasi presso la
Sala Consiliare del Comune di Teramo.
Ringrazio il prof. Oscar Straniero, direttore
dell’Osservatorio INAF di Collurania, per avermi con-
cesso l’autorizzazione alla riproduzione sia
dell’allocuzione sia di alcune foto che ritraggono il prof.
Tempesti.
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E' con profondo dolore che apprendiamo la notizia del-
la scomparsa, avvenuta il 28 agosto a Treviso, del prof.
Piero Tempesti. E' una grave perdita per l'astronomia
italiana. Nonostante i suoi 94 anni, era lucidissimo ed
attivo. Continuava a lavorare ad un suo progetto di en-
ciclopedia della cosmologia che sarebbe stata pubblica-
ta in formato elettronico sul web.
Era nato a Firenze nel 1917, la passione per l'astronomi-
a lo prese in età giovanile quando frequentava
l’Osservatorio di Arcetri. Conseguita nel 1947 la laurea
in fisica, divenne assistente di astronomia all’Università
di Bologna, poi astronomo e direttore dell’Osservatorio
di Teramo (Collurania, 1958-1975) e infine professore
di spettroscopia all’Università di Roma “ La Sapienza”.
Nella ricerca si occupò soprattutto di fotometria di stel-
le doppie, novae e supernovae. Per la sua attività divul-
gativa nel 2000 l’Unione Astrofili Italiani gli conferì il
Premio Lacchini. Collaborò alle riviste “l’Astronomia” e
“Sapere” e al supplemento de “La Stampa” Tuttoscien-
ze.
Tra i suoi libri divulgativi ricordiamo: “I segreti delle
comete”, “Pulsar” (Biroma Editore, 1997), “Il calendario
e l’orologio” (Gremese Editore, 2006) e soprattutto i sei
volumi dell’enciclopedia “Alla scoperta del cielo” edita
da Curcio (1982-83), nella quale coinvolse Paolo Maffei
E’ scomparso Piero Tempesti
Un ricordo di Rodolfo Calanca
Il prof. Piero Tempesti al tele-
scopio Cooke negli anni Sessan-
ta (cortesia del prof. Oscar Stra-
niero, direttore dell’Osservatorio
Astronomico INAF di Collura-
nia, Teramo)
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Allocuzione pronunziata dal Prof. Piero Tempesti il
23 ottobre 2006 in occasione della cerimonia per il
conferimento della Cittadinanza Onoraria, tenutasi
presso la Sala Consiliare del Comune di Teramo
“Signor Sindaco, Signori consiglieri, concittadini qui
presenti,
Non credo di avere così grandi benemerenze di fron-
te alla città di Teramo da meritare l'onore di esserne
proclamato cittadino. Ma ciò che mi fa accettare in co-
scienza tanto onore è l'avere molto amato la specola di
Collurania e soprattutto la consapevolezza di essermi
sempre sentito pienamente cittadino di Teramo, fin dal
primo giorno dei lunghi anni qui trascorsi.. Anzi la mia
provenienza forestiera mi poneva al di fuori delle picco-
le questioni personali che agitano tutte le comunità e
mi fece afferrare l'anima della città, quella che al di so-
pra delle mutevoli vicende quotidiane ne caratterizza il
volto perenne
Ringrazio per tanto onore il Sindaco, il Consiglio
comunale, il direttore dell'Osservatorio, gli amici che
hanno promosso e sostenuto l'iniziativa, i cittadini tutti
che so averla accolta con grande favore. Se avessi avuto
bisogno di una prova del favore della cittadinanza, que-
sta me l'avrebbe data il caloroso affettuoso abbraccio
dei tanti teramani che mi sono venuti incontro, ieri ed
oggi, al mio ritorno qua dopo tanti anni. In particolare
mi ha colpito l'affettuosa stima mostratami da numero-
si giovani che all'epoca erano bambini o non erano an-
cora nati (anche se tale travaso generazionale di senti-
menti conferma che attorno alla mia figura si è creato
un mito). Grazie dal profondo dell'animo. Da oggi posso
dire che oltre che fiorentino sono teramano.
Non starò ora a parlare del percorso che dalla mia natìa
Firenze cinquant'anni fa mi ha condotto a Collurania.
Questa storia l'ha raccontata la dott. Angela Ghilardini
nella sua tesi di dottorato recentemente discussa. Una
tesi costruita con tale entusiastico impegno che dopo
tanti anni mi ha fatto rivivere la gioia che provavo ogni
volta che incontravo lo stesso entusiasmo in qualche
mio allievo. Colgo l'occasione per ringraziare gli amici
che hanno consentito ad inserire in tale tesi un loro ri-
cordo di me: Romolo Bosi, Italo d'Ignazio, Agostino Di
Paolantonio, Pasquale Limoncelli, Sandro Melarangelo
e Giammario Sgattoni: tutti protagonisti fin da allora
della vita culturale teramana. Li ringrazio chiudendo gli
occhi su qualche benevolo eccesso di elogi.
Cinquant'anni fa in Italia c'erano 11 osservatori a-
stronomici, 9 direttamente statali e due universitari.
Fra gli statali c'era quello di Teramo che aveva un suo
proprio direttore nominato per concorso nazionale. La
legge di riforma del 1956 attribuì la direzione di ciascun
osservatorio statale al titolare della Cattedra di Astro-
nomia della locale Università, come già era del resto
ovviamente per i due universitari. Per Collurania, non
essendoci né a Teramo né in Abruzzo una cattedra di
Astronomia, la direzione fu affidata al cattedratico
dell'Università di Napoli. Poiché Napoli era sede di
Osservatorio, quel professore si trovò ad esser direttore
di due Istituti: quello di Napoli e quello di Teramo. Due
enti - si badi bene - distinti: ciascuno col proprio bilan-
cio finanziario, il proprio Consiglio di Amministrazione,
il proprio organico di personale. Il professore di Napoli
- Massimo Cimino - pensò bene di delegare ad altri la
direzione di Collurania. E si rivolse a me.
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Il prof. Tempesti, a sinistra, all’interno della specola che
ospita l’amatissimo rifrattore Cooke.
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divulgativo su Marte, era a Firenze, e mi dette l'indiriz-
zo ed una lettera di presentazione: con sorpresa vidi
che alloggiava nella stessa mia strada, addirittura era
mio dirimpettaio! Quando mi presentai, mi accorsi che
era quel signore di mezz'età che avevo già visto altre
volte senza sapere chi fosse. Mi accolse con fredda gen-
tilezza - quale si addice ad un professore di livello uni-
versitario che riceve in casa sua uno sconosciuto stu-
dentello, sia pure presentatosi con le credenziali di un
illustre collega. E mi accennò alle esperienze di fotome-
tria fotoelettrica che svolgeva a Teramo.
Chi avrebbe mai detto che vent'anni più tardi, con lo
stesso telescopio, avrei ripreso io - con tecniche ben più
avanzate - la fotometria fotoelettrica da lui inaugurata!
Quello - 68 anni fa - fu il mio primo indiretto incontro
con Teramo.
Con la scomparsa prematura di Maggini, nel 1941,
s'iniziò per Collurania un periodo di crisi. La ricerca fu
pressoché abbandonata. Non per inadeguatezza del
nuovo direttore - Giovanni Peisino, incaricato della di-
rezione dal Ministero - ma per la situazione generale
del paese. Era in corso la guerra e nell'immediato dopo-
guerra i finanziamenti ministeriali erano così scarsi che
ben poco si poteva fare oltre l'ordinaria manutenzione.
In quegli anni solo gli osservatori che avevano alle spal-
le una struttura universitaria poterono svolgere attività
scientifica di rilievo. Giovanni Peisino era un astrono-
mo competente ed attivo, ma il telescopio di Teramo
non era adatto per il campo di sua specializzazione e
dotarsi di strumenti competitivi in tale campo avrebbe
richiesto finanziamenti molto al di là del pensabile.
Avevo cominciato ad occuparmi di Astronomia fre-
quentando l'Osservatorio di Arcetri - a Firenze -
quando ero ancora studente liceale, maturando liceale.
Si sono compiuti giusto 70 anni nel luglio scorso da
quando varcai per la prima volta la soglia dell'Osserva-
torio di Arcetri. 70 anni nella professione: una profes-
sione intrapresa non come sbocco lavorativo dopo il
titolo di studio, ma quale realizzazione di una vocazio-
ne. Quando mi fu fatta la proposta di farmi carico delle
sorti di Collurania mi trovavo all'Osservatorio Astrono-
mico di Catania dove ero stato assegnato dal Ministero
della P. I. Ma si sapeva che aspiravo a cambiar sede.
L'Osservatorio di Teramo, fondato da Vincenzo Ce-
rulli nel 1891 e da lui donato allo Stato nel 1917, con il
suo telescopio che era uno dei massimi strumenti na-
zionali, aveva goduto una stagione di florida attività
scientifica ad opera dello stesso Cerulli, che era un a-
stronomo di prestigio internazionale e di Luigi Zappa
che ne fu il primo direttore come ente Statale. Ricorde-
remo qui le osservazioni di Marte a fine ottocento, la
scoperta nel 1910 di un asteroide a cui fu dato l'antico
nome della città di Teramo: Interamnia. Riguardo a
Marte, Cerulli nel 1898 propose un'interpretazione sul-
la natura delle macchie scure che il telescopio mostra
sulla superficie di questo pianeta: interpretazione rima-
sta nota come teoria ottica del Cerulli. Teoria che allora
riscosse ben poco consenso, ma quando settant'anni più
tardi la sonda Mariner 4 passando vicino a Marte ce ne
inviò le immagini, apparve evidente che Cerulli era nel
giusto. Poi Mentore Maggini. Nominato direttore nel
1926, oltre a ben note osservazioni di Marte, all'inizio
degli anni '30 intraprese le prime esperienze in Italia di
fotometria fotoelettrica astronomica. Non le prime in
assoluto - Maggini importò tali tecniche dalla Germania
- ma le prime in Italia. Il rendimento - qui come in Ger-
mania - era scarso. Lavoravano da pionieri, esperimen-
tavano una tecnica nuova, una tecnica che però vent'an-
ni più tardi, con dispositivi di nuova generazione, a-
vrebbe dominato in campo astronomico e permesso
enormi progressi nella conoscenza dell'universo.
Maggini - anche lui toscano, e ne fa fede il doppio
filare di cipressi che rende splendida Collurania - veni-
va ogni anno a Firenze a trovare la famiglia di origine.
Un giorno - ero matricola all'Università - fui informato
dal Direttore dell'Osservatorio di Arcetri che Maggini,
che io conoscevo più che altro per il suo ben noto libro
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Il prof. Tempesti durante la cerimonia per il conferi-
mento della cittadinanza onoraria.
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A lui però va il merito di aver ben curato l'Osservatorio
mantenendo efficienti strumenti e biblioteca con la
misera dote finanziaria a sua disposizione (per fortuna
che alla manutenzione degli edifici provvedeva il Genio
Civile!).
Quando mi fu offerto di prendere in mano Collura-
nia, Peisino era in procinto di andare in pensione. Il
progetto che era davanti a me era allettante per il mio
spirito. Riportare Collurania, dopo un ventennio di sta-
si, ad un'attività scientifica non certo competitiva con
gli altri ben più grandi e ricchi osservatori italiani, ma
ad onorevole livello. Ciò era possibile, malgrado che il
telescopio del Cerulli fosse ormai alquanto superato,
perché io ero specializzato nel campo della fotometria.
In tale campo il vecchio e glorioso telescopio avrebbe
potuto essere benissimo usato applicandovi un'oppor-
tuna strumentazione ausiliaria; un fotometro fotoelet-
trico, utilizzando dispositivi ben più efficienti di quelli
sperimentati dal Maggini e che si poteva realizzare con
una spesa modesta. Si trattava di riprendere il pro-
gramma del Maggini ma con tecnologie nuove
Si dirà: ma questo non poteva farlo anche il Peisino?
No, non poteva. Quando queste nuove tecniche, in un
campo non suo, sono arrivate in Italia, per lui ormai
sessantenne non era facile impadronirsene. D'altra par-
te negli ultimi vent'anni anch'io ho cominciato a tro-
varmi in situazione analoga di fronte all'esplodere delle
tecniche informatiche (CDROM, e-mail, digitalizzazio-
ne delle immagini e via dicendo) dove io mi muovo a
tentoni, quando addirittura non rinuncio, mentre i gio-
vani ci sguazzano dentro. Ed alla mia età dicendo giova-
ni intendo anche i cinquantenni.
Venni a visitare l'osservatorio di Teramo nell'aprile
del 1957. Quando mi trovai sul bel colle di Urania, rida-
re vigore a quell'Istituto mi apparve una scommessa
quanto mai invitante. Però mi domandai quale prezzo
era forse da pagare. Io da buon toscano cittadino mi
sarei male adattato a vivere in una città che non avesse
memoria storica e non ne conservasse testimonianza.
Feci un giro per la città, pensoso, guardandomi attorno.
Vidi i ruderi romani, ma fu soprattutto quando mi tro-
vai davanti al duomo, davanti a questo insigne monu-
mento - non un rudere, ma testimonianza ancora viva
del passato medioevale - che mi resi conto che avrei
potuto benissimo vivere in tale ambiente.
Presi servizio a Collurania nel gennaio 1958. Vincere la
scommessa si presentava non facile. Il personale
dell'Osservatorio era, oltre all'astronomo, costituito da
un tecnico meccanico e da un custode: tre in tutto! (per
avere un'idea, consideriamo che in quegli anni in Os-
servatori come quello di Arcetri, a Firenze, o quello di
Padova, lavoravano una trentina di persone). Quanto a
risorse finanziarie si disponeva di un contributo annuo
ministeriale di 600 mila lire più un contributo di
200.000 lire da parte della Provincia. 800.000 lire an-
nue era allora la retribuzione di un professore di liceo.
Per realizzare il fotometro fotoelettrico ottenni un con-
tributo di 1.600.000 lire dal Consiglio Nazionale delle
Ricerche, il CNR.
Realizzato il fotometro ebbe inizio un'intensa attivi-
tà di osservazione su sistemi stellari doppi, su stelle
novae e supernovae. Il nome di Collurania ricominciò
ad apparire frequentemente nelle Riviste astronomiche
professionali. (Fra l'altro, nel 1969 feci osservazioni
fotoelettriche dell'asteroide Interamnia scoperto 60
anni prima dal Cerulli trovando che gira su se stesso in
circa 8 ore, ricerca che feci come omaggio alla città). Il
contributo ministeriale nei primi anni '60 era stato sen-
sibilmente accresciuto. Inoltre nel 1964 ottenni un inca-
rico di insegnamento all'Università di Roma - La Sa-
pienza.
Trattandosi di un corso classificato "semestrale", il cari-
co didattico era di 25 lezioni annue: potevo quindi so-
stenerlo senza eccessive assenze da Collurania. Una
particolare situazione favorevole nell'ambito dell'Astro-
fisica universitaria romana, mi consentì di addivenire
ad un accordo con quell'Università, per cui Collurania
si sarebbe servita del centro di calcolo elettronico uni-
versitario e in cambio avrebbe ospitato studenti per
esercitazioni e per svolgimento di tesi di laurea. A tal
fine furono adattati ad uso di foresteria preesistenti
locali. Si direbbe che in quell'accordo ci fu un dare ed
un avere: in realtà fu per Collurania tutto un avere, per-
ché la presenza di studenti qualificati è linfa vitale per
un istituto scientifico. I primi studenti furono ospitati
nel 1965. Oggi in alcuni dei più prestigiosi Istituti a-
stronomici mondiali - quali i centri che gestiscono i
satelliti artificiali astronomici e le sonde inviate ad e-
splorare il sistema planetario - si trovano con funzioni
direttive diversi ricercatori che hanno avuto il battesi-
mo del cielo a Collurania.
A S T R O N O M I A N O V A n . 6 , o t t o b r e 2 0 1 1
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annunciavano una scoperta nel cielo, di reperire sulle
carte astronomiche la posizione dell'oggetto celeste,
puntare mediante le coordinate il telescopio, scegliere
nel cielo i necessari riferimenti fotometrici e intrapren-
dere le adeguate osservazioni. E sempre con un'abnega-
zione entusiastica, instancabile, sempre disposto ad
approntare gli strumenti, ad osservare il cielo.
Un paio di volte ci siamo trovati io e lui a passare la
notte di capodanno nella cupola aperta verso il cielo. In
tempi più recenti diverse sono le pubblicazioni scientifi-
che in cui il suo nome appare fra gli autori. È stato in-
dubbiamente il miglior tecnico meccanico di tutti gli
osservatori italiani. Negli anni novanta è stato chiama-
to a far parte di due spedizioni scientifiche nell'Antarti-
de.
Rodolfo Patriarca prese servizio nel 1966, dapprima
con una borsa di addestramento del CNR più volte rin-
novata, poi, quando fu accresciuto l'organico del perso-
nale, come tecnico calcolatore di ruolo.
Personalità del tutto diversa, ma pari a Di Paolantonio
per abnegazione ed entusiasmo. Aveva il compito preci-
puo di svolgere presso il centro di calcolo dell'Universi-
tà di Roma, a Frascati, dove si recava spessissimo, i
calcoli che approntava a Collurania. E svolgeva anche
con competenza ed estrema diligenza le mansioni di
bibliotecario. Purtroppo un malaugurato incidente stra-
dale ci privò, nel 1982, della sua collaborazione e della
sua presenza. Nel ventennale della sua scomparsa
scrissi su un periodico locale una memoria che qui de-
sidero rileggere. Premetto che quando incontrai Patri-
arca, il CNR aveva istituito una borsa di addestramento
per tecnico calcolatore da fruire presso l'Osservatorio di
Teramo e si era in attesa da un giorno all'altro della
pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del bando di con-
corso.
Di Paolantonio e Patriarca sono state due colonne por-
tanti per l'osservatorio. Senza di loro il mio progetto
sarebbe fallito. A questo punto bisogna dire che fui
alquanto incosciente ad affrontare quella scommessa.
Quali garanzie avevo di potermi valere di collaboratori
all'altezza di Di Paolantonio e di Patriarca? Non solo
nessuna garanzia, molto peggio: scarsa probabilità.
D'altra parte nell'assunzione del personale ho sempre
seguito un rigoroso criterio di idoneità alla mansione.
Non ho mai dato ascolto a sollecitazioni né tantomeno a
valutazioni di colore politico.
Nel 1986 Collurania, pochi anni dopo che io mi ero tra-
sferito a Roma essendo stato nominato professore asso-
ciato di Spettroscopia, anni in cui fu guidata diretta-
mente dal professore di Napoli Mario Rigutti, riottenne
la piena autonomia, con un proprio direttore di ruolo. E
in mano ad uomini di valore come Vittorio Castellani,
Amedeo Tornambé e Oscar Straniero, che fra l'altro
l'hanno dotata di un più potente e moderno telescopio,
si è saldamente inserita nell'ambiente scientifico inter-
nazionale. Una promozione di Collurania molto al di là
di quanto ero arrivato ad ottenere io. In altre parole, io
ho solo iniziato l'opera di rinascita. È merito loro averla
pienamente realizzata.
È con grande rimpianto che ricordo Vittorio Castel-
lani, il primo della nuova serie di Direttori e che ci ha
lasciati pochi mesi or sono. A lui vada il nostro pensie-
ro riconoscente per l'impulso dato a Collurania. Uomo
di grande valore scientifico e di grande umanità, valo-
rizzava i talenti che lo circondavano fu il primo infatti
ad inserire il personale scientifico e tecnico dell'Osser-
vatorio in programmi internazionali di ricerca ad ele-
vato livello.
Qui è da dire che se posso ritenere di aver vinto la
scommessa è perché ho avuto la fortuna di valermi di
due preziosi impareggiabili collaboratori. Il tecnico
Agostino di Paolantonio ed il calcolatore Rodolfo Patri-
arca. Nel 1960 stava per andare in pensione il tecnico
Pasquale Ciceroni che prestava servizio nell'officina
meccanica di Collurania fin dai tempi del Cerulli. Un
collaboratore valido e devoto. Il problema della sostitu-
zione si presentò difficile.
Dopo oltre un anno di ricerche a pieno campo nessuno
dei numerosi candidati che si erano presentati era ap-
parso all'altezza del compito. Un bel giorno - ricordo
che fu immediatamente dopo l'eclisse di Sole del 1961 -
si presentò spontaneamente il ventottenne Di Paolanto-
nio, che era stato capo officina della Bassetti. Mi resi
conto subito che poteva essere l'uomo adatto e dopo un
breve periodo di prova fu assunto. Ed è lui che ha co-
struito la parte meccanica del fotometro da applicare al
telescopio, opera quanto mai delicata. Si mostrò capa-
cissimo, di grande competenza ed abilità, ma andando
assai al di là della sua specifica mansione, acquisì le
nozioni astronomiche di base arrivando ad usare auto-
nomamente il telescopio. In mia assenza, era in grado
di decodificare i telegrammi cifrati che da Washington
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Dirò che da dirigenti locali del Partito Comunista
mi fu garbatamente rimproverato per non avere mai
fatto assunzioni proposte da quella parte. Cari amici -
fu in sintesi la risposta - dovevate presentarmi persone
idonee!
La massima oculatezza nelle assunzioni era imposta
anche dall'estrema scarsità del personale. La situazione
cominciò a migliorare nel 1966 quando fu possibile di-
sporre di un tecnico calcolatore retribuito con borse di
addestramento del CNR (Patriarca, appunto). Ma solo
nel 1970 si ebbe un forte allargamento dell'organico
ministeriale che salì a 9 unità fra cui finalmente un ad-
detto all'amministrazione che fino ad allora era rimasta
a mio carico, nonché un secondo posto di astronomo
che io affidai al dottor Roberto Burchi, ex studente ro-
mano che aveva svolto la sua tesi a Collurania. Con tale
apporto la produzione scientifica si incrementò sensi-
bilmente. Durante la mia epoca Burchi lavorò con il
vecchio strumento del Cerulli pubblicando numerosi
risultati; in seguito, fino ad anni recentissimi, ha lavo-
rato con il nuovo più potente telescopio istallato dai
miei successori. Lavoro che è sfociato in numerose pub-
blicazioni apparse nelle più quotate riviste astronomi-
che internazionali.
Inoltre nello stesso anno 1970 Collurania fu dichiarata
sede di un'unità di ricerca del CNR e ciò apportò finan-
ziamenti ed utilizzazione di ulteriore personale, sia pu-
re con contratti a tempo determinato. Fra i collaborato-
ri scientifici durante la mia epoca ricorderò il prof. Gino
Fulgenzi, teramano, anche lui tragicamente scomparso
alcuni anni fa lasciando un forte rimpianto. Laureato
all'Aquila con una tesi svolta a Collurania fu collabora-
tore a contratto, ma in precedenza, per alcuni anni, se-
guendo la sua inclinazione per le scienze astronomiche,
era stato collaboratore volontario a titolo gratuito,
quando ancora non c'era prospettiva di contratti, ed ha
compiuto numerose osservazioni col telescopio fotogra-
fico. Ricorderò ancora il dott. Renato De Santis, pure
teramano, che ci ha prematuramente lasciati pochi anni
or sono. Laureato in economia e commercio, ma dotato
di un'acuta mente matematica, collaborò - attraverso
borse di addestramento e contratti del CNR - compien-
do osservazioni al telescopio e studi teorici. Laureatosi
in Astronomia a Bologna non poté entrare nel persona-
le di ruolo per il superamento dei limiti di età. Sarebbe
stato un apporto prezioso data la sua attitudine alle de-
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Memoria di Rodolfo Patriarca pubblicata su Piazza
Grande nel 2002
In ricordo di Rodolfo Patriarca
Il 2 febbraio scorso si sono compiuti vent'anni dalla
tragica scomparsa di Rodolfo Patriarca. Aveva 38 anni e
l'ingenuo candore di un ragazzo. Lo avevo conosciuto
per caso, nel 1966, quando a porta Romana mi chiese un
passaggio in direzione della Specola. Da poche parole di
conversazione intuii che aveva attitudini che ne avreb-
bero fatto l'ottimo tecnico calcolatore di cui l'Osservato-
rio di Collurania aveva bisogno. Preso servizio nell'esta-
te di quell'anno con una borsa di addestramento del
CNR, divenne in breve un validissimo e prezioso colla-
boratore. Ben presto ottenne dal Ministero della Pub-
blica Istruzione l'incarico del servizio e pochi anni dopo,
vinto il concorso, entrò a far parte del personale di ruo-
lo. Le sue mansioni istituzionali erano il coordinamento
e l'esecuzione della gran mole di calcoli necessaria per
sfruttare i dati di osservazione raccolti in gran copia,
notte per notte, con il telescopio. Ma la sua efficienza
era tale che insieme assolveva con competenza e entu-
siasmo la mansione di bibliotecario. Non un semplice
seppur efficiente esecutore; ma uno scrupoloso, assiduo,
entusiasta collaboratore. Senza mai guardare orologio e
calendario, faceva sue le esigenze del servizio; instanca-
bile, si alternava fra il suo ufficio a Collurania ed il Cen-
tro di calcolo dell'Università di Roma, a Frascati. Era
una colonna portante dell'Istituto. Timido ed insieme
intraprendente, ingenuo e insieme sagace, sempre in-
daffarato e sempre disponibile, portava nella compagi-
ne dell'Osservatorio il calore della sua fresca umanità.
Il maledetto incidente stradale del 2 febbraio 1982
che gli troncò la vita, lo strappò all'amore della giovane
moglie ed al futuro amore della figlia nascitura. E causò
una grave perdita per l'Osservatorio. Ma ancor più grave
fu la ferita nel cuore di tutti noi che per anni avevamo
lavorato con lui. Un rimpianto che i due decenni tra-
scorsi non hanno attutito e che ho sentito il bisogno di
esprimere pubblicamente nel ricordo del suo sorridente
entusiasmo.
duzioni teoriche, ma comunque continuò fino all'ultimo
con le sue collaborazioni a tempo determinato, collabo-
razioni sfociate in numerose pubblicazioni su Riviste
internazionali. Con lui rimpiango uno studioso di alto
livello ed un caro amico.
Se Di Paolantonio e Patriarca sono stati due pietre an-
golari, non è che non sia stata importante anche l'opera
degli altri collaboratori. Il mio ringraziamento va a tut-
to il personale, sia stabile che temporaneo a contratto,
che durante la mia gestione ha prestato la sua opera
con capacità e diligenza sopportando e assecondando
le mie esigenze che so essere state sempre severe. E
inoltre è qui gradito dovere ricordare un amico dell'Os-
servatorio. Il rag. Enrico Adriano che negli anni in cui
ancora mancava il segretario-amministratore fornì vo-
lontariamente e disinteressatamente una prestazione
indispensabile. Io tenevo alla buona un brogliaccio del-
le entrate e delle uscite: poi alla fine dell'anno fornivo
ad Adriano i dati tolti dal brogliaccio e lui approntava
secondo le forme previste dalla legge il complicato bi-
lancio da presentare al Consiglio di Amministrazione e
poi alla Corte dei Conti. Anche Adriano è scomparso, ed
a lui va l'espressione della mia gratitudine. E non pos-
so non menzionare il valido sostegno alle mie iniziative
dato dal Consiglio di Amministrazione, costantemente
costituito oltre che da chi vi parla, dall'avv. Riccardo
Cerulli, pronipote del fondatore dell'Osservatorio e dal
dott. Luigi Anepeta, direttore della Ragioneria Provin-
ciale, oggi entrambi scomparsi. Due uomini egregi, che
ricordo con molta gratitudine. L'avvocato Cerulli è stato
inoltre uno strenuo sostenitore, fino al successo finale,
di tutte le iniziative volte a ridare a Collurania un pro-
prio direttore di ruolo, conformemente alla volontà del
fondatore. A lui, uomo di vedute moderne ma con la
nobiltà caratteriale del gentiluomo ottocentesco, vada il
nostro grande apprezzamento e il profondo rimpianto.
Qui si dirà che questa mia allocuzione è piena di rim-
pianti. È la condizione ineluttabile della mia età. A
quest'età ci si guarda attorno e si vede un panorama
cosparso di rimpianti.
Come ho già detto, il mio inserimento nella città è
stato completo. Non mi sono mai sentito forestiero. Ho
partecipato alla vita cittadina sia come consigliere co-
munale quale indipendente nel gruppo comunista, sia
come esponente del Centro culturale Gramsci, creatura
di Pasquale Limoncelli. Istituito nel 1961, il Centro
Gramsci, grazie all'infaticabile zelo di Limoncelli, svolse
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intensa attività chiamando a Teramo numerosi espo-
nenti della cultura nazionale nel campo dell'arte, della
storia, dello spettacolo, della scienza, raggiungendo in
pochi anni notevole prestigio e notorietà anche fuori
dall'ambito regionale. Militante della Sinistra in una
città a maggioranza bianca, ho sempre avuto ottimi rap-
porti con gli esponenti del governo cittadino. Sono sta-
to consigliere con due sindaci: Carino Gambacorta
(anche lui purtroppo ci ha lasciati) e Ferdinando Di
Paola: di entrambi conservo un ottimo ricordo. Gli
scontri politici, anche vivaci, non hanno mai sconfinato
nell'ambito personale se non per esprimere reciproca
stima. E posso dire che non sono mai stato ostacolato
né nella mia veste di direttore dell'Osservatorio né in
quella di privato cittadino. Anzi ovunque, in tutti gli
ambienti della città mi sono sempre sentito accolto
con cordiale e talvolta affettuoso rispetto.
E qui mi è grato ricordare la cordiale ed affettuosa
accoglienza di cui anche la compagna della mia vita si è
sentita circondata in tutti gli ambienti cittadini. La
splendida ragazza che incontrai 66 anni fa e che ha pa-
gato lungo una vita il prezzo della mia totale dedizione
alla scienza, al lavoro. Un prezzo che ha pagato anche
mentre io mi adoperavo per vincere la scommessa su
Collurania. L'età avanzata la trova ancora attiva e viva-
ce ma non le consente assenze da casa e soprattutto
lunghi viaggi. Per questo non è qui fra noi e se ne ram-
marica. Porto a tutti l'espressione del suo grato ricordo
ed il suo saluto affettuoso.
Come ho detto all'inizio, ho amato molto Collurania
e la città di Teramo. E mi sono sentito corrisposto dalla
cordiale stima dei cittadini. L'avermi conferito la citta-
dinanza è un onore che accetto di buon grado, anche se
non so quanto meritato, proprio come manifestazione
di questo sentimento reciproco. Ringrazio ancora il
Sindaco Giovanni Chiodi, ringrazio i Consiglieri per
tanto onore, ringrazio i presenti. Vorrei che fossero qui
oggi i tanti teramani scomparsi che mi hanno onorato
della loro amicizia. Vorrei farne i nomi ma mi astengo
per evitare le omissioni che certamente farei.
A novant'anni di età - li compio fra breve, il prossi-
mo marzo - mi guardo addietro e rivedo il mondo che
mi circondava nella mia adolescenza, nella mia gioven-
tù fiorentina. Accanto a questi ricordi, incancellabili e
struggenti, ci sono quelli, pure incancellabili, della mia
vita teramana. I ricordi della vostra e mia città, i ricordi
della mia e vostra Collurania”.
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Ecco i Video dell’installazione del telescopio REGINATO di 60 cm all’Osservatorio di Cervarezza (RE):
http://www.youtube.com/watch?v=n-o6CF6RBqA
http://www.youtube.com/watch?v=5HJd2VJdja0
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In ricordo di Angioletta Coradini
“Se ne va una delle menti più brillanti nell’immaginare
missioni e strumenti innovativi e più coscienziose
nell’analizzarne i dati e porli nel proprio contesto scien-
tifico”, ha commentato a caldo il Chief Scientist
dell’Agenzia Spaziale Italiana Enrico Flamini. ”Tuttavia
– ha sottolineato Flamini – il suo esempio e il largo nu-
mero di giovani formatisi alla sua scuola donano
all’Italia le basi solide necessarie al compimento di mis-
sioni di lunga durata, una per tutte Rosetta. Di quello
che finora abbiamo scoperto e scopriremo nei prossimi
anni le saremo per sempre grati”.
Con Angioletta Coradini “scompare una grande scien-
ziata italiana”: così il neo-presidente dell’Istituto nazio-
nale di Astrofisica (INAF), Giovanni Bignami, ricorda la
planetologa, “un’amica e una collega” con la quale ha
collaborato sia nell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), sia
nell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI).
Angioletta, Nata a Rovereto (Trento) il primo luglio
1946, ha sempre lavorato a Roma, dove si era laureata
in Fisica nel 1970, prima nell’università La Sapienza,
poi presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) e
infine presso l’INAF.
E’ stata una delle protagoniste della ricerca astronomi-
ca italiana e tra i primi ricercatori al mondo a studiare
le rocce lunari portate a Terra dalle missioni Apollo.
Direttrice dell’Istituto di Fisica dello Spazio Interplane-
tario dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (IFSI-INAF),
può essere considerata “la signora dei pianeti” per il
prestigio e la competenza che ha dimostrato fin
dall’inizio della sua carriera.
Si devono alle ricerche di Angioletta Coradini “gli occhi”
che stanno osservando Marte e Venere a bordo delle
missioni dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa) Mars
Express e Venus Express. Si deve infatti al suo gruppo
la progettazione dello spettrometro Virtis (Visible and
Infrared Thermal Imaging Spectrometer), che si trova
anche a bordo della sonda dell’Esa Rosetta, in viaggio
verso la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, dove il
suo arrivo è previsto nel 2014.