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1 UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CAGLIARI Corso di Laurea in Economia e gestione aziendale A.A. 2014-2015 Economia e gestione delle imprese Dispensa ad uso degli studenti PARTE III Cagliari, Aprile 2015

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CAGLIARI Corso di Laurea in Economia e gestione aziendale

A.A. 2014-2015

Economia e gestione delle imprese Dispensa ad uso degli studenti

PARTE III

Cagliari, Aprile 2015

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INDICE

PARTE III – Le peculiarità delle imprese nel III millennio III.1. Premessa: L’impresa oggi: una cellula in un sistema di interdipendenze

3.1. Considerazioni introduttive pag. 3 III.2. La conoscenza: un patrimonio intangibile inestimabile “ 4 III.3. L’emergere della multiculturalità: un fenomeno irreversibile

3.1. Una riflessione sul tema attraverso le parole dei bambini “ 7 3.2. La diversità e il multiculturalismo nelle imprese “ 8 3.3. Il multiculturalismo e la strategia d’impresa “ 9 3.4. Verso l’impresa multiculturale “ 11 3.5. Casi e storie per riflettere “ 13

III.4. L’etica e la responsabilità sociale 4.1. Cenni storici “ 16 4.2. Il contributo di Archie Carroll “ 17 4.3. Il ruolo delle Istituzioni “ 18 4.4. La “natura dell’impresa” e le implicazioni per la responsabilità sociale “ 20

III.5. Un imperativo indilazionabile: la sostenibilità 4.1. Una sida per l’Umanità “ 24 4.2. La nascita e lo sviluppo del concetto di sostenibilità “ 25 4.3. A proposito di cambiamento climatico e dei suoi effetti “ 27 4.4. Imprese sempre più “sostenibili” “ 29

III.6. Innovare, innovare, innovare 6.1. Gli elementi di inquadramento del fenomeno “ 33 6.2. L’innovazione, l’invenzione, la creatività: interdipendenze e specificità “ 37 6.3. Le tipologie di innovazione “ 39 6.4. Una riflessione d’insieme “ 43

Note di chiusura “ 46

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PARTE III – Le peculiarità delle imprese nel III millennio

III.1. L’impresa oggi: una cellula di un sistema di interdipendenze 1.1. Considerazioni introduttive

Da quanto esposto nel capitolo precedente emerge chiaramente non solo che l’impresa è un’entità complessa, ma anche che si è in presenza di un’entità la cui evoluzione è strettamen-te connessa con l’evoluzione sociale, culturale, dello sviluppo scientifico e tecnologico o, in sintesi, con i cambiamenti che hanno caratterizzato e caratterizzano l’evoluzione dell’Umanità nel secolo precedente e in quello appena iniziato.

A complicare la compiuta percezione dei connotati distintivi e peculiari dell’impresa, si aggiunge la circostanza che l’impresa non è un’entità “passiva” ma essa interagisce “attiva-mente” con il suo esterno e contribuisce alla generazione del cambiamento.

Fra i quesiti da porsi all’inizio del terzo millennio si possono individuare i seguenti: quali sono le peculiarità delle imprese del Terzo millennio? In quali aspetti differiscono – se differi-scono – rispetto alle imprese operanti nei secoli precedenti? In che modo delinearne la natura per adottare le più corrette tecniche di intervento? Su quali aspetti fare leva per creare l’indispensabile vantaggio competitivo?

Dai quesiti proposti e da altri possibili, emerge chiaramente il non agevole compito di in-dividuare adeguate risposte. Ciò che in prima approssimazione si può rilevare è che non esiste la risposta e che, certamente, alcune delle risposte individuabili sono significativamente diffe-renti rispetto a quelle formulate anche in tempi recenti e che hanno portato al successo un numero significativo di imprese.

Un valido supporto per un efficace orientamento si individua nella Teoria delle contin-genze di Lawrence e Lorsche (Riquadro III.1), da un lato, e nei concetti di organizzazione e struttura proposti da Maturana e Varela (Riquadro III.2).

La Teoria delle contingenze indica l’esigenza di considerare ogni organizzazione come espressione delle circostanze (tempo), del contesto nel quale opera (spazio) e delle persone coinvolte. In tal modo ogni organizzazione non risulta considerata in base a connotati “idea-li”, ma in relazione alla precisa configurazione che assume sulla base dei fattori “contingenti” che con essa interagiscono.

Dal contributo desumibile dagli studi di Maturana e Varela, sulla base dei concetti di or-

ganizzazione e struttura che essi elaborano (si veda il Riquadro I.18), appare evidente la coe-sistenza di elementi “invarianti” (organizzazione) e di elementi “flessibili” (struttura).

Ciò implica che gli elementi “fondanti” dell’impresa - cioè la specificità della sua “mis-sion”, produzione di beni o servizi per il mercato - mantengono la loro validità e invarianza nel tempo, indipendentemente da modificazioni del modo d’essere interno e di significativi cambiamenti esterni. Al contrario, si modificano gli elementi strutturali, flessibili, suscettibili di adeguamento, cioè capaci di consentire l’armonizzazione dell’impresa con il continuo cambiamento, anche turbolento.

Teoria delle contingenze La Teoria delle contingenze, formulata dagli studiosi P.R. Lawrence e J.W. Lorsch, pone in evidenza che am-bienti differenti pongono alle organizzazioni differenti richieste: in particolare, gli ambienti caratterizzati da in-certezza e da tassi elevati di mutamento nelle condizioni di mercato o nella tecnologia presentano alle organizza-zioni sfide differenti – sia in termini di opportunità che di limiti – da quelle poste da ambienti tranquilli e stabili. Jay Galbraith esprime in modo sintetico i presupposti fondamentali della Teoria delle contingenze: • Non c’è un unico “miglior modo” di organizzare • Non tutti i modi di organizzare sono egualmente efficaci

Riquadro III.1

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Avvalendosi delle osservazioni appena presentate, se è vero che l’impresa del passato ba-

sava la sua forza, il suo vantaggio competitivo, su aspetti materiali e su tecniche improntate alla razionalità, l’impresa del presente è chiamata a poggiare la sua sopravvivenza su elementi immateriali. Si tratta di fattori che risultano, da un lato, non chiaramente e quantitativamente percepibili e, dall’altro lato, tanto rilevanti da influire sulla permanenza o uscita dal mercato di ogni impresa. Nei paragrafi successivi si considerano, a motivo del nuovo e/o più incisivo ruolo assunto negli ultimi decenni, l’orientamento alla responsabilità sociale e il ruolo dell’innovazione. Altri fattori quali la cultura – sia come fattore rilevante all’interno dell’impresa, sia come elemento di rilevante cambiamento dei caratteri degli ambienti di rife-rimento dell’impresa – le emozioni e altri che sono significativi rispetto alla “costruzione” dell’ambiente interno dell’impresa, vengono analizzati nella Parte II dedicata, appunto, all’analisi dell’ambiente esterno ed interno dell’impresa. III.2. La conoscenza: un patrimonio intangibile inestimabile

La conoscenza è un fattore di grande rilievo riscontrabile nel lungo cammino evolutivo dell’umanità. La stessa esistenza della vita trae origine dall’accumulazione di conoscenza tan-to che Humberto Maturana e Francisco Varela possono affermare che “Si può dire che vivere è conoscere”.

Nonostante la conoscenza costituisca un elemento onnipresente e permeante ogni aspetto dell’esistenza, solo in tempi più recenti è emersa un’importante riscoperta dei soggetti umani e del patrimonio che li contraddistingue rispetto a qualsiasi essere vivente: la conoscenza che deriva dalla capacità intellettiva unica e irriproducibile.

Per quanto l’uso del vocabolo “conoscenza” sia ampiamente diffuso nel linguaggio co-mune e nel linguaggio scientifico, soprattutto con l’avvento dell’era della conoscenza, non è agevole proporne un preciso connotato. Come opportunamente osserva Edgar Morin “La no-zione della conoscenza ci sembra Una ed evidente. Ma, appena la si interroga, ecco che esplo-de, si diversifica, si moltiplica in innumerevoli nozioni, ognuna delle quali pone un nuovo in-terrogativo” 1. Ed ancora, “se la nozione di conoscenza si diversifica e si moltiplica non appe-na la si considera, possiamo legittimamente supporre che essa comporti in sé diversità e mol-teplicità. A questo punto, la conoscenza non può essere ridotta a una sola nozione – informa-zione, per esempio, o percezione, descrizione, idea, teoria […]. D’altra parte, ogni conoscenza comporta necessariamente: a) una competenza (capacità di produrre conoscenza); b) un’attività cognitiva (cognizione) effettuantesi in funzione di questa competenza; c) un sapere (risultante da questa attività) […]. La conoscenza è quindi proprio un fenomeno multidimen-sionale, nel senso che essa è, irreparabilmente, fisica, biologica, cerebrale, mentale, psicologi-ca, culturale, sociale”2.

Organization and Structure

Organization denotes those relations that must exist among the components of a system for it to be a member of a specific class. Structure denotes the components and relations that actually constitute a particular unity and make its organization real. Thus, for instance, in a toilet the organization of the system of water-level regulation consists in the relation be-tween an apparatus capable of detecting the water level and another apparatus capable of stopping the inflow of water. The toilet unit embodies a mixed system of plastic and metal comprising a float and a bypass valve. This specific structure, however, could be modified by replacing the plastic with wood, without changing the fact that there would still be a toilet organization. H. Maturana e F. Varela

Riquadro III.2

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Un aspetto che contribuisce a rendere ancora meno agevole la definizione e l’individuazione della conoscenza è costituita dal suo essere, nel contempo, patrimonio del singolo, di gruppi di soggetti e della collettività.

Proprio con riferimento alle difficoltà di inquadramento della conoscenza, pare opportuno richiamare alla mente che dalla seconda metà del secolo scorso il mondo è stato investito da rilevanti cambiamenti in ambito sociale, economico e politico. Meno evidenti ma ugualmente rilevanti sono stati i grandi cambiamenti nella conoscenza, soprattutto nella modalità con la quale i soggetti umani considerano la conoscenza e come la utilizzano: come notato più sopra, nasce l’Era della conoscenza, così denominata anche per distinguerla dall’Era industriale.

L’era della conoscenza è una nuova forma avanzata di capitalismo nella quale la cono-scenza e le idee sono la principale fonte dello sviluppo economico, più importanti della terra, del lavoro, delle risorse monetarie e di altre risorse “tangibili”. Vengono sviluppati nuovi mo-delli di lavoro e nuove pratiche di business e, come risultato, nuove categorie di lavoratori con nuove e differenti abilità.

La conoscenza non può essere considerata come una materia, non può essere stoccata; es-sa è una forma di energia, un sistema di reti e flussi, L’era della conoscenza è definita non per ciò che è, ma per ciò che può fare. Essa è prodotta non da esperti singoli, ma da una “intelli-genza collettiva”, cioè gruppi di persone con conoscenze complementari che collaborano per specifici obiettivi.

Nell’era dell’agricoltura, pre-industriale, i soggetti umani avevano necessità di competen-ze (know-how) che veniva appreso partecipando alla vita e al lavoro quotidiano.

Nell’era industriale (XX secolo) i soggetti umani hanno necessità di know-what (conosce-re cosa). È una tipologia di conoscenze che richiede formazione: nasce l’educazione di massa. In questa era si insegnano non solo tecniche, ma anche le modalità con le quali acquisire abili-tà sociali e di cittadinanza. È un sistema strutturato, più attento all’efficienza del sistema dell’istruzione che alle necessità dei singoli studenti.

Nel terzo millennio, i soggetti umani hanno necessità ancora di know-what, ma non solo. Essi devono essere in grado di “fare le cose” con la conoscenza, utilizzarla e creare nuova co-noscenza. Essa è una risorsa per “pensare con”. Nell’era della conoscenza il cambiamento e non la stabilità è la regola. In questa era i lavoratori-cittadini hanno bisogno di individuare, va-lutare e rappresentare nuove informazioni velocemente. Essi hanno necessità di comunicare rapidamente con altri, lavorare produttivamente in collaborazione con altri. Essi hanno neces-sità di essere adattabili, creativi e innovativi e di comprendere la realtà a livello di “sistema”, o grande immagine.

Al fine di una maggiore e migliore comprensione della notevole valenza della conoscen-za, è stato osservato che “parliamo di conoscenza ogni volta che osserviamo un comportamen-to efficace (o adeguato) in un contesto preciso, cioè in un dominio che definiamo con una do-manda (esplicita o implicita) che formuliamo come osservatori […]. Notiamo bene, allora, che la valutazione se stiamo o meno in presenza di conoscenza si fa sempre in un contesto di rela-zioni, in cui sia i cambiamenti strutturali che le perturbazioni innescano in un organismo ap-paiono all’osservatore come un effetto sull’ambiente”3.

Vi è comunque da domandarsi quali sono le “leve” che determinano la produzione di co-noscenza. Si tratta di capacità che taluni soggetti posseggono naturalmente o si possono acqui-sire dall’ambiente? Questo interrogativo – apparentemente semplice – ha dato vita a discus-sioni, prese di posizione, scissioni nel campo del sapere: non si tratta di un interrogativo privo di implicazioni per gli individui, le loro organizzazioni e per l’umanità complessivamente considerata. Infatti, se la conoscenza dei soggetti e della collettività si accresce sulla base di adeguati stimoli, significa che essa può essere incrementata in ogni soggetto e, quindi, creare vantaggi per il singolo e, come importante ricaduta, per le organizzazioni e per gli ambienti di

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riferimento 4. La possibilità che si creino ambienti impregnati di conoscenza è connessa con il fatto che

i soggetti siano disposti a raggiungere sempre nuovi livelli di conoscenza. Acquisire certezza di conoscenza significa insterilire se stessi e l’ambiente con cui si interagisce: è essenziale es-sere consapevoli che, per quanto sia elevato il livello di conoscenza posseduto, esso non è al-tro che una parte infinitesimale della “conoscenza della conoscenza”. Maturana e Varela af-fermano altresì che “Noi teniamo a vivere in un mondo di certezza, di solidità percettiva priva di dubbi ove le nostre convinzioni ci portano a credere che le cose sono solo come noi le ve-diamo, e che ciò che noi crediamo non può avere alcuna alternativa. È la situazione in cui ci troviamo quotidianamente, la nostra condizione culturale, il nostro essere uomini”5.

Da ciò si evince agevolmente che solo dalla consapevolezza che la conoscenza deriva da un processo dinamico e continuo possono scaturire comportamenti creativi basati sul poten-ziamento dell’intelligenza.

La valenza positiva della conoscenza in generale, ma anche con riferimento alle organiz-zazioni, è riscontrabile nel fatto che una volta entrati in relazione con essa si entra in una spi-rale che “obbliga a tenere un atteggiamento di permanente vigilanza contro la tentazione della certezza, a riconoscere che le nostre certezze non sono prove di verità, come se il mondo che ciascuno di noi vede fosse il mondo e non un mondo con cui veniamo a contatto insieme ad altri. Ci obbliga perché, sapendo di sapere, non possiamo negare che sappiamo. […] ci libera da una cecità fondamentale: quella di non renderci conto che abbiamo a disposizione solo il mondo che creiamo con gli altri”6.

Quanto sia determinante orientare l’impegno per favorire lo sprigionarsi delle potenzialità dell’intelligenza presente in ogni soggetto e quindi agire decisamente per far emergere un mondo, una società, che faccia della conoscenza il suo punto di forza fondamentale è chiara-mente indicato in un recente documento comunitario nel quale si afferma che “Sempre più la posizione di ciascuno di noi nella società verrà determinata dalle conoscenze che avrà acquisi-to. La società del futuro sarà quindi una società che saprà investire nell’intelligenza, una so-cietà in cui si insegna e si apprende, in cui ciascun individuo potrà costruire la propria qualifi-ca. In altri termini, una società conoscitiva”7.

Rivolgendo l’attenzione più specificamente all’ambito economico, è agevole rilevare quanta importanza – pur con differenze non trascurabili fra i vari contributi – è stata attribuita al ruolo che svolge la conoscenza dagli economisti che hanno elaborato teorie talvolta deter-minanti per lo sviluppo degli studi economici e delle teorie manageriali. Tale attenzione si ri-scontra negli studi di A. Marshall, J.A. Schumpeter, E. Penrose, J.C. March, H.A. Simon, P. Drucker, per citarne solo alcuni.

La conoscenza costituisce la matrice dalla quale far discendere molte concezioni d’impresa e molte interpretazioni di suoi aspetti e problemi. È pure da tenere presente che l’accelerazione riscontrata negli studi delle scienze della mente (dal behaviorismo, al cogniti-vismo, al connessionismo) concernenti la maggiore comprensione dei meccanismi che gene-rano l’apprendimento dei soggetti, ha influito sull’elaborazione di alcune applicazioni riferite alle organizzazioni.

Certamente non vi è errore nel far discendere da quanto appena osservato la learning or-ganization, in base alla quale l’apprendimento delle organizzazioni, e quindi delle imprese, è derivato dal possesso di caratteristiche di autoreferenzialità e memoria.

Più esattamente, “Le organizzazioni scelgono, fanno, decidono e imparano nella misura in cui i soggetti al loro interno sono protagonisti di queste attività”8. È altresì indubbio che il pa-trimonio di esperienze e conoscenze che così si crea non sia riferibile a ciascuno dei soggetti, bensì alla collettività costituente l’impresa.

In particolare, l’espressione learning organization viene talvolta utilizzata per indicare

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un’organizzazione che autogenera in se stessa apprendimento; altre volte per indicare un’organizzazione che favorisce la conoscenza nei suoi soggetti individuali ovvero in altri soggetti collettivi o individuali. In effetti, in questi ultimi i due casi più appropriatamente ci si riferisce ad un’impresa che crea conoscenza: I. Nonaka9, lo studioso che ha proposto quest’espressione, si riferisce ad entrambe le possibilità. Egli argomenta che, poiché la teoria economica non ha dato adeguata attenzione alla “creazione” della conoscenza, è indispensabi-le fare uno sforzo in tal senso. Egli si contrappone decisamente al “problem solving” e alla “razionalità limitata” teorizzata da Simon in quanto, in base a tale teoria, i soggetti sono sem-plici entità nell’ambito del “processo informativo”.

Nonaka individua due ordini di dimensioni nel contesto di riferimento “l’una ‘epistemo-logica’, che si riferisce alle differenze tra conoscenza implicita ed esplicita, mentre l’altra ‘on-tologica’, si rifà al livello sociale in cui la conoscenza ha valore ed è utilizzata (individui, gruppi, organizzazioni, ecc. 10. La creazione di conoscenza si basa su un rapporto interattivo sociale tra conoscenza implicita ed esplicita – la “conversione della conoscenza” – che può as-sumere quattro modalità: 1) da implicita a implicita; 2) da esplicita a esplicita; 3) da implicita a esplicita; 4) da esplicita a implicita.

È dalla combinazione (dall’aggrovigliarsi, come scrive Nonaka) delle quattro modalità di conversione che scaturisce la “spirale della conoscenza”.

III.3. L’emergere della multiculturalità: un fenomeno irreversibile 3.1. Una riflessione sul tema attraverso le parole dei bambini

Introdurre una tematica complessa come quella oggetto di questo capitolo non è semplice, ma è possibile comprenderne l’essenza con un’attenta lettura della favola di Thomas Roosvelt che viene proposta di seguito:

In una piccolo comune di periferia, una giraffa aveva una casa nuova, costruita in maniera da ri-

spondere ai bisogni della sua famiglia. Era una casa meravigliosa per giraffe con soffitti e porte altissi-mi. Finestre alte assicuravano la massima illuminazione e una buona visibilità. Un giorno la giraffa, mentre lavorava nella falegnameria nel seminterrato, guardò fuori dalla finestra. Un elefante camminava sulla strada. “Lo conosco” pensò la giraffa. “Abbiamo lavorato insieme. Anche lui è un eccellente fale-gname. Credo proprio che lo inviterò a visitare il mio nuovo negozio. Forse possiamo anche lavorare in-sieme su alcuni progetti”. Così la giraffa si affacciò alla finestra e invitò l’elefante a entrare. L’elefante era contentissimo. Gli era piaciuto lavorare con la giraffa ed era ansioso di conoscerla meglio. Inoltre, sapeva della falegnameria e aveva voglia di vederla. Si avvicinò alla porta del seminterrato, aspettando che gli aprissero. “Entra, entra” disse la giraffa. Immediatamente, si scontrarono con un problema. L’elefante mise la testa dentro, ma non riuscì ad andare oltre. "E’ stata una buona idea realizzare una porta espansibile” disse la giraffa. “Dammi un minuto e risolverò il problema”. Rimosse alcuni cardini e pannelli per permettere all’elefante di entrare. I due amici si stavano raccontando allegramente aneddoti di falegnameria quando la moglie della giraffa fece capolino nel seminterrato e chiamò il marito “Al te-lefono, caro, è il tuo capo.” “E’ meglio che vada a rispondere di sopra nello studio” disse la giraffa all’elefante. “Fai come se fossi a casa tua. Potrebbe volerci un pò”. L’elefante si guardò attorno, vide un pezzo semilavorato sul tornio che si trovava dall’altro lato della stanza e decise di andare a vedere. Co-me si mosse verso la porta che portava al negozio, sentì un rumore portentoso. Si girò grattandosi la te-sta. “Magari raggiungo la giraffa di sopra” pensò. Come iniziò a salire le scale, i gradini cominciarono a scricchiolare. Saltò giù e cadde contro il muro. Anche questo cominciò a cedere. Appena si sedette, scioccato e triste, la giraffa scese le scale. “Cosa diavolo stai facendo?” chiese la giraffa stupita. “Stavo cercando di fare come se stessi a casa mia” disse l’elefante. La giraffa si guardò attorno. “Okay, vedo dov’è il problema. La porta è troppo stretta. Dovremmo rendere te meno ingombrante. C’è una palestra qui vicino. Se facessi qualche lezione lì, torneresti in forma.” “Forse”, disse l’elefante, poco convinto.

Riquadro III.3

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“E le scale sono troppo fragili per sopportare il tuo peso”, continuò la giraffa. “Se prendessi lezioni di danza la sera, sono sicuro che avresti un passo più leggero. Spero davvero che lo farai. Mi piace aver-ti qui.” “Forse”, disse l’elefante . “Ma per essere sincero, non sono sicuro che una casa pensata per una giraffa possa ospitare un elefante senza modifiche sostanziali.” (Liberamente tratto da Roosevelt, R.T. 1999. Building a House for Diversity: How a Fable about a Gi-raffe & an Elephant offers new strategies for today’s workforce. American Management Association: New York, pp. 3-5.)

Dalla favola dell’elefante e della giraffa si possono trarre molteplici insegnamenti e spun-

ti di riflessione, ma soprattutto emergono alcuni quesiti ai quali manager e imprenditori devo-no riuscire a trovare risposta. In particolare: Come creare e gestire un’impresa dove le diver-sità possano essere rispettate, valorizzate e combinate sinergicamente? Ciò significherebbe creare una casa nella quale tanto l’elefante quanto la giraffa possano vivere insieme, abbiano i loro spazi e tutto sia realizzato secondo le loro esigenze. Fornire una risposta a questo quesito significa imparare ad apprezzare la diversità, considerando le differenze non come un ostacolo al raggiungimento degli obiettivi ma come una fonte di arricchimento e valore aggiunto. 3.2. La diversità e il multiculturalismo nelle imprese

L’internazionalizzazione dei mercati, il movimento migratorio mondiale e la globalizza-zione hanno creato i presupposti per la creazione e la proliferazione di numerosi e incessanti rapporti tra le diverse parti del mondo. Ciò ha determinato una rapida diffusione delle mino-ranze etniche all’interno di tutti i Paesi, con una conseguente amalgama di usi, costumi, cultu-ra e stili di vita. A tal proposito, si sente sempre più spesso parlare di “diversità”. Ma cosa si intende con tale termine? E, inoltre, come è possibile gestire la diversità? Nella letteratura an-glosassone tale campo di studi è noto con l’espressione “Diversity Management” e i moltepli-ci contributi teorici sono orientati all’analisi delle poliedriche sfaccettature che questo feno-meno può manifestare.

Un breve cenno storico

Il Diversity Management è una disciplina che è nata intorno agli anni ’70 in America. In seguito ad un emendamento costituzionale del 1974-1975, il Governo degli Stati Uniti sollecitò le imprese ad as-sumere un maggior numero di donne e di persone di etnia differente, al fine di offrire migliori e maggio-ri opportunità di crescita sociale e professionale. Molti esperti hanno notevolmente criticato questo ap-proccio perché caratterizzato da azioni positive ma sporadiche, non in grado di fungere da motore di cambiamento della cultura organizzativa. Al contrario, numerosi studiosi hanno considerato queste azioni come una discriminazione inversa, tesa ad evidenziare sempre e comunque la predominanza di un’etnia e di un genere nei confronti dell’altro.

In Europa, al contrario, l’approccio è stato differente. L’art.13 del Trattato della Comunità Europea stabilisce che la discriminazione basata sul sesso, l’origine razziale o etnica, religione o credo, disabili-tà, genere, età o orientamento sessuale deve essere combattuta con adeguate azioni. Con tale posizione, l’Unione europea può agire contro ogni forma di discriminazione. Inoltre, dallo studio “Costi e Benefici della Diversità” effettuato nel 2003 dalla Commissione Europea, emerge con evidenza che la diversità rappresenta un beneficio per le imprese che la sanno apprezzare, valorizzare e gestire. In relazione a tale visione, le imprese che adottano politiche attive per la diversità riescono a promuovere un’immagine positiva, rafforzare valori culturali condivisi all’interno, attrarre personale qualificato, incrementare la motivazione e la responsabilizzazione del personale, creare presupposti per uno sviluppo della creatività e dell’innovazione.

Il concetto inerente la diversità è stato analizzato sotto diverse prospettive: sociologica,

psicologica, etica, etc. e solo recentemente è diventata dominio anche degli studi organizzativi e di management. L’interesse degli studiosi di impresa è originato da diverse motivazioni. In primo luogo, negli ultimi decenni è cresciuta in misura esponenziale la partecipazione di don-

Riquadro III.4

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ne, minoranze etniche e diversamente abili nelle imprese e nel mondo del lavoro in generale, pertanto, si sta lentamente delineando una nuova composizione della forza lavoro e dei livelli dirigenziali. In secondo luogo, queste stesse persone rappresentano nel contempo i nuovi con-sumatori, dotati di bisogni, desideri e aspettative differenti, che impongono un costante ade-guamento delle strategie e un incessante ricorso all’innovazione. In questo variegato scenario, le imprese si trovano a dover far fronte alla diversità, nonostante ancora oggi tale concetto non sia adeguatamente compreso e accettato.

Con il termine “diversità” si fa riferimento ad un connotato proprio dei gruppi di persone e, conseguentemente, delle organizzazioni e delle imprese. In concetto di “diversità” racchiu-de un significato ampio e complesso che fa riferimento ad una caratteristica propria dei gruppi di persone (quindi, delle organizzazioni e delle imprese). Più specificamente, per diversità si intende tutto ciò che differenzia i membri di un gruppo e che affonda le sue radici nelle carat-teristiche e negli attributi personali di ciascuno11. Infatti, ogni soggetto umano è una specifica identità, quindi presenta connotati di diversità. Ciò implica che risulta necessario impegnarsi per conoscere e farsi conoscere, cioè essere disponibili alla scoperta e alla comprensione, a coltivare la propria intelligenza emotiva oltre che quella cognitiva. La diversità evidenziabile a livello di ogni singolo soggetto umano, assume valenza di maggiore complessità se riferita a gruppi, organizzazioni, o imprese. Alcune ricerche12 hanno evidenziato aspetti della diversità riconducibili alle relazioni (attributi quali razza, genere, età, etnia, religione, etc.13) e alle fun-zioni (diversi livelli di scolarizzazione e formazione, competenze e professionalità, etc.14). Mentre in passato si riteneva che la sola diversità relativa alle funzioni potesse rappresentare un aspetto positivo15 e, conseguentemente, creare valore aggiunto, attualmente si reputa che entrambe possano concorrere all’ottenimento di migliori e superiori performance e obiettivi16. È altresì da rilevare che le differenze di etnia, razza e cultura hanno generato anche il fenome-no del multiculturalismo. Stuart Hall17 definisce il multiculturalismo come quel concetto che descrive le caratteristiche sociali e i problemi di governance di qualsiasi società in cui convi-vono comunità culturali differenti che tentano di costruire una vita comune conservando, allo stesso tempo, la propria identità originaria. Si tratta di un fenomeno che trova la sua matrice nella nuova dimensione spazio-temporale e che risulta riduttivo relegare alla sola dimensione dei movimenti migratori. Questi ultimi hanno indubbiamente reso più urgente l’assunzione di decisioni e di comportamenti orientati ai valori dell’accoglienza, dell’integrazione e del ri-spetto; tuttavia, è possibile affermare che ogni società è multiculturale perché in essa coesi-stono sistemi valoriali diversi18. A tal proposito, è quanto mai determinante la comprensione di come non sia possibile raggiungere l’uguaglianza e la parità di trattamento negando l’esistenza delle diversità o ritenendo di poterla rimuovere. Al contrario, diversità e multicul-turalismo devono essere accettati e valorizzati. Infatti, per ottenere successo, tutte le organiz-zazioni (imprese, pubblica amministrazione, associazioni non-profit) devono necessariamente gestire la diversità e il multiculturalismo sia al proprio interno (personale dipendente, mana-gement, staff, collaboratori, etc.), sia all’esterno (consumatori, fornitori, finanziatori, etc.). La gestione della diversità, in questo senso, diviene una componente strategica per l’impresa che intende sopravvivere nel mercato. 3.3. Il multiculturalismo e la strategia d’impresa

Come evidenziato nel paragrafo precedente, l’impresa che vuole ottenere successo deve quotidianamente ripensare il proprio modo di agire per valorizzare la crescente diversità o, in altri termini, ogni impresa non può esimersi dall’impegnarsi nella definizione delle modalità attraverso le quali occuparsi della diversità in modo attivo e strategico. In primo luogo, l’impresa deve interrogarsi sui bisogni da soddisfare. Riprendendo la favola di Roosevelt, di cosa può aver bisogno l’elefante per stare a proprio agio nella casa? In secondo luogo,

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l’impresa deve comprendere se le sue attuali caratteristiche possono garantire un’adeguata ac-coglienza e accettazione della diversità. In altri termini, la casa della giraffa è adatta ad ospita-re un elefante? Soprattutto, chi vi dimora è pronto ad accogliere l’elefante? In relazione a quest’ultimo quesito, l’impresa dovrà essere in grado di gestire il cambiamento, controllando i momenti di tensione e mediando i conflitti. Infine, l’impresa nel suo complesso, lentamente ma inesorabilmente, dovrà cambiare la propria fisionomia per diventare una casa aperta e adatta a tutti. Affinché questo possa verificarsi, è necessaria un’elevata sensibilità da parte dei soggetti umani operanti nell’impresa, anche se tale condizione è necessaria ma non sufficien-te. Un esempio dei quesiti che ogni manager d’impresa deve porsi è presentata nello schema inserito nella pagina sucecssiva.

La diversità e il multiculturalismo generano effetti positivi nelle organizzazioni nel mo-mento in cui vengono accettate e apprezzate. A questo proposito Thomas ed Ely19 evidenzia-no che la gestione strategica della diversità consente all’organizzazione di internalizzare le differenze tra i dipendenti in modo da crescere grazie a loro, considerando tutti come parte di una squadra. L’obiettivo del management è quello di operare con successo, ottenendo un van-taggio competitivo rispetto ai concorrenti che sia duraturo e difendibile; per questo motivo, è importante riuscire a comprendere quale possa essere la “giusta” miscela di diversità che è necessaria in un’impresa20.

Gestire efficacemente diversità e multiculturalismo significa quindi attivare un processo manageriale orientato all’accettazione delle differenze e alla valorizzazione di alcune di esse in termini di potenziale strategico atto a creare valore aggiunto per l’impresa21. Ciò significa che valutare, comprendere e sviluppare le differenze può rappresentare l’elemento cardine sul quale basare il successo delle organizzazioni e, conseguentemente, delle imprese.

Quali bisogni soddisfare?

Si possiedono adeguate capacità di accoglienza?

È possibile avviare un’adeguata integrazione?

Sono presenti competenze per controllare le tensioni?

Esistono competenze per la gestione dei conflitti?

Sarò in grado di gestire il cambiamento?

È indispensabile riuscire a modificare l’impresa per trat-tenere tutti, con le loro diversità e le loro culture e, se pos-sibile, attrarre nuove e competenti figure professionali

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Quanto sin qui evidenziato, tuttavia, deve essere inserito in un contesto etico, morale, cul-turale e legislativo adeguato. Dal punto di vista etico e morale è chiaramente erroneo un at-teggiamento discriminatorio che tende a creare fratture e distanze tra le persone.

Per quanto concerne l’aspetto legislativo e normativo, in Europa, ma così pure negli Stati Uniti d’America e in altre parti del mondo, la discriminazione per motivi razziali, etnici, reli-giosi, anagrafici, sessuali, etc. è vietata e sanzionata. Tale provvedimento ha modificato so-stanzialmente il contesto nel quale le imprese agiscono, nel senso di imporre loro un determi-nato rispetto nei confronti della diversità.

Tuttavia, l’aspetto di maggiore rilevanza è quello legato alla prospettiva culturale. Come precedentemente accennato, accettare la diversità e sfruttare le opportunità da essa derivanti, implica un cambiamento dell’intera fisionomia dell’impresa. Ciò significa che la casa dovrà essere ideata in funzione delle esigenze dell’elefante e della giraffa. Ma soprattutto chi vi abi-ta deve condividere con consapevolezza e rispetto gli stessi spazi e accettare le differenze che, necessariamente, esistono tra i diversi coinquilini. Calando questo discorso nella realtà dell’impresa, emerge l’esigenza di riuscire a diffondere uno spirito cooperativo e, conseguen-temente, una cultura organizzativa caratterizzata da accoglienza, accettazione e ospitalità. Al contrario, laddove persistono preconcetti e pregiudizi, la diversità non potrà mai essere accet-tata veramente, ma sarà sopportata. Questo potrebbe precludere le opportunità derivanti dalla combinazione dei differenti aspetti di cui ciascuno è dotato e inficerebbe l’agire sinergico de-rivante dalla valorizzazione delle diversità. Inoltre, sopportare e subire la diversità può essere causa di conflitti, la cui gestione talvolta è difficile.

In questo senso, non appaiono sufficienti le cosiddette “azioni positive” o “affirmative action”22 talvolta considerate erroneamente sinonimo di valorizzazione e gestione della di-versità23. Occorre un impegno molto superiore, in modo da orientare l’agire dell’impresa verso un approccio più sistematico e positivo della diversità, caratterizzato dall’apprezzamento della diversità e da uno sforzo congiunto e consapevole orientato al per-seguimento degli obiettivi previsti, nel rispetto di principi etici. Questo approccio attivo non è di facile attuazione e, in particolare, non è privo di difficoltà. È per questo motivo che è necessario intervenire sull’aspetto culturale, al fine di diffondere valori condivisi e uniforma-re le azioni di ciascuno verso la valorizzazione della diversità. 3.4. Verso l’impresa multiculturale

“To manage diversity effectively, a corporation must value diversity; it must have diver-sity, and it must change the organization to accommodate diversity and make it an integral part of the organization”24. Questa frase sottolinea l’importanza del riconoscimento e dell’apprezzamento della diversità, come elemento di cambiamento delle organizzazioni. Ciò significa che l’esistenza di differenze personali, razziali e culturali tra le persone non deve essere considerata come un elemento di “disturbo” all’interno delle organizzazioni. Al con-trario: occorre prendere atto della circostanza, valorizzarla e creare le basi per un mutamento organizzativo che accolga la diversità come parte integrante del sistema “organizzazione”.

La cultura e le differenze personali potrebbero essere considerate una componente pu-ramente personale, soprattutto se si pensa alle credenze religiose, ai modi di vivere, oppure agli hobbies. Tuttavia, questi aspetti sono rilevanti per l’impresa e per la sua sopravvivenza in quanto non sono separabili dalla persona. Ciò significa che qualsiasi aspetto della vita di un individuo incide necessariamente sugli altri e, conseguentemente, anche le performance lavorative, la motivazione, la creatività e i rapporti interpersonali potrebbero risultarne in-fluenzati. Imparare a comprendere e a rispettare la persona nella sua interezza consente alle imprese di creare strutture organizzative flessibili e fluide, promuovendo i network. Creare un network, ossia una rete, significa comprendere che l’elemento più importante è la perso-

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na. Attribuire ai soggetti umani un ruolo centrale implica creare una connessione tra le diver-se culture, gestendo attivamente e proattivamente la diversità. Gestire la diversità significa sottolineare, ma nel contempo formare, cambiare e laddove possibile plasmare l’identità dei membri e quella della loro impresa. Ciò significa che le persone devono possedere una iden-tità personale molto forte ma nel contempo aperta al cambiamento. Il ruolo sociale degli in-dividui gioca una parte cruciale nell’impresa. I manager devono sviluppare capacità atte a mediare i possibili conflitti che potrebbero venire a crearsi e dovrebbero operare in vista del-la creazione di una nuova cultura che sia frutto della combinazione tra le diverse culture dei soggetti coinvolti ma che possieda basi comuni e condivise. In questo scenario, l’impresa non può essere considerata come un luogo nel quale creare ricchezza o ottenere profitto, bensì un luogo nel quale le necessità personali dei manager e dei componenti dell’impresa vengono rispettati o, perlomeno, soddisfatti. In altre parole, la diversità non deve essere ana-lizzata solo nell’ottica di una corretta gestione delle risorse umane ai fini del miglioramento delle performance economiche, ma anche e soprattutto da un punto di vista che contempli un miglioramento globale dell’impresa e che consenta a quest’ultima di inserirsi in modo so-cialmente responsabile nell’ambiente che la circonda.

La società, le organizzazioni e le persone sono sempre più investite dalla velocità del cambiamento dovuta alla contemporanea presenza di modificazioni locali e spinte globali. Questa condizione accresce ulteriormente la necessità di creare una forte integrazione tra le culture, mantenendo ognuna la propria connotazione specifica, ma arricchendosi di sfumatu-re provenienti dalle altre. Una chiave per il successo delle imprese nella nuova realtà opera-tiva è pertanto costituita dalla capacità delle stesse di creare al loro interno una “nuova cultu-ra” che risulti dalla valorizzazione delle diverse culture dei soggetti interni ma che sia condi-visa da tutti in linea generale. In questo senso, i presupposti sui quali deve basarsi questa nuova cultura devono, da un lato, essere accettati e apprezzati da tutti e, dall’altro lato, creare le basi per la costituzione dell’impresa multiculturale. La diversità culturale è caratterizzata da differenze in termini di abilità, competenze, stili di vita, credenze, usi, costumi e identità, i quali determinano un potenziale inespresso che, se adeguatamente compreso, può creare le basi per la diffusione di conoscenza e innovazione.

L’impresa multiculturale rappresenta un ideale, un luogo nel quale le differenze sono apprezzate e utilizzate al fine di ottenere superiori e duraturi vantaggi competitivi25. Le or-ganizzazioni multiculturali devono nascere con l’intento di promuovere l’integrazione attitu-dinale e strutturale delle minoranze, per poter gestire efficacemente la diversità26.

Il multiculturalismo, benché possa generare gli effetti positivi evidenziati, può anche rappresentare la causa dell’insorgere di conflitti e disagi. Tale circostanza è dovuta all’evidente complessità insita nel gestire le situazioni caratterizzate da una molteplicità di persone. Se a tale molteplicità si combinano anche differenze etniche, razziali, sessuali, reli-giose, ecc., la complessità tende a crescere in misura esponenziale. Ciò può causare la crea-zione di barriere nei confronti del “diverso”, rigidità organizzative e peggioramenti del clima organizzativo. In tale scenario, il management è chiamato a creare i presupposti affinché si diffonda la cultura dell’accoglienza, del dialogo e dell’ascolto reciproci. Si tratta di un tenta-tivo di modificazione della cultura che si orienti al multiculturalismo, che non significa ap-piattimento delle differenze, bensì esaltazione delle stesse in un’ottica sinergica. Le differen-ze, in altri termini, devono essere comprese e valorizzate, in un clima di reciproca accetta-zione.

Le imprese che comprendono il valore del multiculturalismo e della diversità sono orga-nizzazioni capaci di operare nel mercato odierno con efficienza ed efficacia, ottenendo van-taggi competitivi rilevanti rispetto ai concorrenti.

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3.5. Casi e storie per riflettere McDonald’s

McDonald’s ha ideato uno schema di lavoro che consente ai propri dipendenti di condi-videre il proprio lavoro con gli altri membri della famiglia. Il “Family Contract” consente ai coniugi, ai loro genitori e ai loro figli con età superiore ai 16 anni di dividersi gli impegni la-vorativi senza avvertire preventivamente il management. Il concetto di diversità della McDo-nald’s non è solo relativo al rispetto dei valori e delle convinzioni personali, ma tiene in con-siderazione anche il fatto che ogni persona ha bisogni ed esigenze differenti. Con la sottoscri-zione del suddetto contratto, il primo del genere nel Regno Unito, ogni lavoratore può orga-nizzare direttamente le sue attività e questo implica un’elevata flessibilità nell’orario di lavoro che va a vantaggio della produttività e della soddisfazione personale. In questo modo il mana-gement della McDonald’s intende evidenziare il concetto di famiglia e il valore che la stessa possiede per ogni persona. Inoltre, con tale fattispecie contrattuale, il lavoratore si reca a lavo-ro solo quando realmente può farlo, combinando i suoi impegni personali, con quelli familiari e lavorativi. Si tende a condividere con la famiglia ogni singolo momento della vita di ciascun componente. Riflessioni sul caso

1. Quale innovazione contrattuale è stata introdotta dalla McDonald’s? 2. In che termini viene concepita la diversità? 3. Quali sono gli aspetti positivi e negativi di questo contratto?

IBM

La multinazionale IBM definisce le proprie strategie in funzione della diversità. Il ma-nagement ritiene che per mantenere e rafforzare il vantaggio competitivo dell’impresa sia necessario riflettere la diversità del mercato nella diversità della forza lavoro, creando nello stesso tempo un ambiente lavorativo positivo e stimolante per ogni dipendente. L’impresa considera la diversità della forza lavoro come un ponte tra l’ambiente lavorativo e il merca-to.

Nel 1953 venne pubblicata la prima lettera relativa alle politiche di pari opportunità che definiva chiaramente l’impostazione della IBM, la quale avrebbe valutato le candidature di soggetti in cerca di occupazione, solo in relazione alle loro abilità e capacità, senza conside-rare la razza, il colore o il credo politico e religioso. Durante gli anni, tale impostazione venne progressivamente rafforzata dal management in un’ottica inclusiva. In altri termini, la IBM, promuovendo tali modalità di assunzione e valorizzazione del personale ha avviato una politica di inclusione del personale, caratterizzata dall’ascolto dei dipendenti e dalla considerazione dei loro contributi e delle loro idee, indipendentemente dalla provenienza, dai personali punti di vista e dalle ideologie.

Per stimolare la comprensione della rilevanza della diversità nel posto di lavoro, il quar-tier generale della IBM creò una particolare figura denominata “Vice Presidente della Diver-sità della Forza Lavoro Globale” (Vice President of Global Workforce Diversity), con l’incarico di formulare e definire politiche globali nella gestione e valorizzazione della di-versità. Le sedi regionali, invece, istituirono numerosi “Diversity Managers”, con il compito di tradurre operativamente gli indirizzi derivanti dalle politiche globali. Inoltre, per ogni sus-sidiaria, i managers formularono azioni locali per migliorare e utilizzare pienamente la di-versità nello sviluppo della IBM.

I leader della IBM hanno evidenziato il proprio impegno verso un ambiente di lavoro inclusivo, rispettoso delle diversità, attraverso sei task forces esecutive, costituite nel 1995: 1. asiatici; 2. neri; 3. omosessuali, bisessuali e transessuali; 4. ispanici; 5. uomini; 6. ameri-cani; 7. diversamente abili; 8. donne. La missione di ciascuna di queste task force era princi-

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palmente quella di incrementare il successo di IBM nel mercato, focalizzando la propria at-tenzione verso gli aspetti di quella specifica categoria di soggetti. Ogni task force, inoltre, era formata e gestita da impiegati e quadri provenienti dalla speciale categoria che dovevano curare (es. la task force “asiatici”, non solo era indirizzata verso i gusti e le preferenze dei potenziali consumatori asiatici, ma era anche gestita e organizzata da asiatici). In tal senso, ognuna di esse tendeva a guardare IBM attraverso gli occhi dei gruppi che rappresentava e a rispondere ad alcune domande: - cosa è richiesto dal gruppo per sentirsi accolto e valutato all’IBM?; – cosa può realizzare l’IBM, in partnership con il gruppo, per incrementare la produttività?; - quali decisioni e strategie potrebbe adottare IBM per influenzare le decisioni di acquisto del gruppo?

Oltre a queste task force, IBM ha costituito un network relativo alla diversità globale, nelle quali le persone provenienti dai vari gruppi non rappresentati possono incontrarsi e scambiare opinioni, relazioni, consigli, etc. Molte sussidiarie, inoltre, possiedono gruppi lo-cali di questi network, istituiti dagli impiegati e dai dipendenti del luogo, con il fine di orga-nizzare incontri, workshop e momenti di socializzazione per quei dipendenti provenienti dai gruppi sottorappresentati o che sono interessati al tema della diversità e intendono imparare dagli altri. Tutte le attività del network sono animate e supportate dagli sforzi personali delle persone che vi fanno parte, anche nella trasmissione delle informazioni, che generalmente avviene via Intranet. L’impresa stimola queste iniziative e le sostiene attraverso risorse eco-nomiche e finanziarie.

Durante gli anni, oltre alla creazione di numerosi network rappresentativi di molti grup-pi differenti di persone, la IBM ha maturato un’ulteriore consapevolezza relativa al fatto che per valorizzare e gestire correttamente la diversità si rende necessario promuovere una lea-dership inclusiva. Questa implica la creazione di una cultura organizzativa nella quale le persone si sentono rispettate e realmente apprezzate, nonostante le loro differenze. In un contesto come quello descritto, ognuno si sente libero di poter collaborare e intervenire di-rettamente nella gestione dell’impresa, proponendo nuove idee e nuovi spunti per un miglio-ramento continuo. In questo scenario, il concetto di diversità viene considerato in senso am-pio: da un lato, come accettazione e rispetto per le peculiarità di ciascuno, dall’altro lato, come miglioramento generale dell’organizzazione derivante dalla combinazione delle diver-sità di ciascuno che comportano un incremento di opportunità e di ricchezza collettivi. Riflessioni sul caso

1. Come consideri la politica per la diversità attuata da IBM? 2. La creazione di numerose task forces quali benefici può aver apportato? 3. Quali possono essere le difficoltà gestionali che incontra IBM?

Il brutto anatroccolo di H. C. Andersen L'estate era iniziata; i campi agitavano le loro spighe dorate, mentre il fieno tagliato profuma-va la campagna. In un luogo appartato, nascosta da fitti cespugli vicini ad un laghetto, mam-ma anatra aveva iniziato la nuova cova. Siccome riceveva pochissime visite, il tempo le pas-sava molto lentamente ed era impaziente di vedere uscire dal guscio la propria prole… final-mente, uno dopo l'altro, i gusci scricchiolarono e lasciarono uscire alcuni adorabili anatroccoli gialli.��� Pip! Pip! Pip! Esclamarono i nuovi nati, il mondo è grande ed è bello vivere!��� Il mondo non finisce qui, li ammonì mamma anatra, si estende ben oltre il laghetto, fino al villaggio vi-cino, ma io non ci sono mai andata. Ci siete tutti? - Domandò.��� Mentre si avvicinava, notò che l'uovo più grande non si era ancora schiuso e se ne meravigliò. Si mise allora a covarlo nuo-vamente con aria contrariata.���- Buongiorno! Come va? - Le domandò una vecchia anatra un po' curiosa che era venuta in quel momento a farle visita.��� - Il guscio di questo grosso uovo

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non vuole aprirsi, guarda invece gli altri piccoli, non trovi che siano meravigliosi? ���- Mostrami un po' quest'uovo. - Disse la vecchia anatra per tutta risposta. - Ah! Caspita! Si direbbe un uo-vo di tacchina! Ho avuto anche io, tempo fa, questa sorpresa: Quello che avevo scambiato per un anatroccolo era in realtà un tacchino e per questo non voleva mai entrare in acqua. Que-st'uovo è certamente un uovo di tacchino. Abbandonalo ed insegna piuttosto a nuotare agli al-tri anatroccoli! ���- Oh! Un giorno di più che vuoi che m’importi! Posso ancora covare per un po'. - Rispose l'anatra ben decisa. ���- Tu sei la più testarda che io conosca! - Borbottò allora la vecchia anatra allontanandosi.��� Finalmente il grosso uovo si aprì e lascio uscire un grande ana-troccolo brutto e tutto grigio.��� - Sarà un tacchino! - Si preoccupò l'anatra. - Bah! Lo saprò do-mani!��� Il giorno seguente, infatti, l'anatra portò la sua piccola famiglia ad un vicino ruscello e saltò nell'acqua: gli anatroccoli la seguirono tutti, compreso quello brutto e grigio.��� - Mi sento già più sollevata, - sospirò l'anatra, - almeno non è un tacchino! Ora, venite piccini, vi presen-terò ai vostri cugini. ���La piccola comitiva camminò faticosamente fino al laghetto e gli ana-troccoli salutarono le altre anatre. ���- Oh! Guardate, i nuovi venuti! Come se non fossimo già numerosi!… e questo anatroccolo grigio non lo vogliamo! - Disse una grossa anatra, morsi-cando il poverino sul collo. ���- Non fategli male! - Gridò la mamma anatra furiosa ���- E' così grande e brutto che viene voglia di maltrattarlo! - Aggiunse la grossa anatra con tono beffar-do.��� - E' un vero peccato che sia così sgraziato, gli altri sono tutti adorabili, - rincarò la vecchia anatra che era andata a vedere la covata. ���- non sarà bello adesso, può darsi però che, crescen-do, cambi; e poi ha un buon carattere e nuota meglio dei suoi fratelli, - assicurò mamma ana-tra, - la bellezza, per un maschio, non ha importanza, - concluse, e lo accarezzò con il becco - andate, piccoli miei, divertitevi e nuotate bene! ���Tuttavia, l'anatroccolo, da quel giorno fu schernito da tutti gli animali del cortile: le galline e le anatre lo urtavano, mentre il tacchino, gonfiando le sue piume, lo impauriva. Nei giorni che seguirono, le cose si aggravarono: il fat-tore lo prese a calci e i suoi fratelli non perdevano occasione per deriderlo e maltrattarlo. ���Il piccolo anatroccolo era molto infelice. Un giorno, stanco della situazione, scappò da sotto la siepe. Gli uccelli, vedendolo, si rifugiarono nei cespugli. “Sono così brutto che faccio paura!” pensò l'anatroccolo. Continuò il suo cammino e si rifugiò, esausto, in una palude abitata da anatre selvatiche che accettarono di lasciargli un posticino fra le canne. Verso sera, arrivarono due oche selvatiche che maltrattarono il povero anatroccolo già così sfortunato. Improvvisa-mente, risuonarono alcuni spari… le due oche caddero morte nell'acqua! I cacciatori, posti in-torno alla palude, continuarono a sparare. Poi i lori cani solcarono i giunchi e le canne. Al ca-lar della notte, il rumore cessò. Il brutto anatroccolo ne approfittò per scappare il più veloce-mente possibile. Attraversò campi e prati, mentre infuriava una violenta tempesta. Dopo qual-che ora di marcia, arrivò ad una catapecchia la cui porta era socchiusa. L'anatroccolo si infilò dentro: era la dimora di una vecchia donna che viveva con un gatto ed una gallina. Alla vista dell'anatroccolo, il micio cominciò a miagolare e la gallina cominciò a chiocciare, tanto che la vecchietta, che aveva la vista scarsa, esclamò: ���- Oh, una magnifica anatra! Che bellezza, avrò anche le uova… purché non sia un'anatra maschio! Beh, lo vedremo, aspettiamo un po'! ���La vecchia attese tre lunghe settimane… ma le uova non arrivarono e cominciò a domandarsi se fosse davvero un'anatra! Un giorno, il micio e la gallina, che dettavano legge nella stamberga, interrogarono l'anatroccolo:��� - Sai deporre le uova? - domandò la gallina. - No… - rispose l'a-natroccolo un po' stupito.��� - Sai fare la ruota? - domandò il gatto. ���- No, non ho mai imparato a farla! - rispose l'anatroccolo sempre più meravigliato.��� - Allora vai a sederti in un angolo e non muoverti più! - gli intimarono i due animali con cattiveria.��� Improvvisamente, un raggio di so-le e un alito di brezza entrarono dalla porta. L'anatroccolo ebbe subito una grande voglia di nuotare e scappò lontano da quegli animali stupidi e cattivi. L'autunno era alle porte, le foglie diventarono rosse poi caddero. Una sera, l'anatroccolo vide alcuni bellissimi uccelli bianchi dal lungo collo che volavano verso i paesi caldi. Li guardò a lungo girando come una trottola

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nell'acqua del ruscello per vederli meglio: erano cigni! Come li invidiava! L'inverno arrivò freddo e pungente; l'anatroccolo faceva ogni giorno un po' di esercizi nel ruscello per riscal-darsi. Una sera dovette agitare molto forte le sue piccole zampe perché l'acqua intorno a lui non gelasse: ma il ghiaccio lo accerchiava di minuto in minuto… finché, esausto e ghiacciato, svenne. Il giorno seguente, un contadino lo trovò quasi senza vita; ruppe il ghiaccio che lo circondava e lo portò ai suoi ragazzi che lo circondarono per giocare con lui. Ahimè, il pove-retto ebbe una gran paura e si gettò prima dentro un bidone di latte e poi una cassa della fari-na. Finalmente riuscì ad uscire e prese il volo inseguito dalla moglie del contadino. Ancora una volta il brutto anatroccolo scappò ben lontano per rifugiarsi, esausto, in un buco nella ne-ve. L'inverno fu lungo e le sue sofferenze molto grandi… ma un giorno le allodole comincia-rono a cantare e il sole riscaldò la terra: la primavera era finalmente arrivata! L'anatroccolo si accorse che le sue ali battevano con molto più vigore e che erano anche molto robuste per tra-sportarlo sempre più lontano. Partì dunque per cercare nuovi luoghi e si posò in un prato fiori-to. Un salice maestoso bagnava i suoi rami nell'acqua di uno stagno dove tre cigni facevano evoluzioni graziose. Conosceva bene quei meravigliosi uccelli! L'anatroccolo si lanciò dispe-rato verso di loro gridando: ���- Ammazzatemi, non sono degno di voi! ��� Improvvisamente si ac-corse del suo riflesso sull'acqua: che sorpresa! Che felicità! Non osava crederci: non era più un anatroccolo grigio… era diventato un cigno: come loro!! I tre cigni si avvicinarono e lo ac-carezzarono con il becco dandogli così il benvenuto, mentre alcuni ragazzi attorno allo stagno declamavano a gran voce la sua bellezza e la sua eleganza. Mise la testa sotto le ali, quasi vergognoso di tanti complimenti e tanta fortuna: lui che era stato per tanto tempo un brutto anatroccolo era finalmente felice e ammirato. Morale della favola: Le differenze non solo vanno accettate ma possono rivelarsi un dono: ognuno è unico e irripe-tibile. Bisogna sempre “far emergere” il cigno che è dentro ogni soggetto umano.

III.4. L’etica e la responsabilità sociale 4.1. Cenni storici

La questione della responsabilità sociale dell’impresa affonda le sue radici nei lontani an-ni trenta e quaranta grazie ai contributi di pensatori quali Chester J. Barnard27, John M. Clark28 e Theodor Kreps29. È negli anni cinquanta che comincia a sorgere la cosiddetta era moderna della responsabilità sociale, grazie a Howard R. Bowen che è considerato, appunto, il “padre della Corporate Social Responsibility”30, anche se in questi scritti ed ancora sino a metà degli anni sessanta – periodo in cui la letteratura si espande – non ci si riferisce alla re-sponsabilità dell’impresa quanto piuttosto alla responsabilità dei “Businessmen”. A partire dal 1967 si utilizza esplicitamente e direttamente l’espressione “Corporate Social Responsibility” (CSR)31.

Le definizioni che vengono proposte negli anni sessanta non appaiono molto precise, nel senso che considerano la stretta correlazione tra le decisioni, le azioni degli uomini d’affari e la società, sottolineando che l’impresa ha “non solo obbligazioni economiche e legali ma an-che certe responsabilità verso la società che si estendono al di là di queste obbligazioni”32, senza specificare adeguatamente a quali responsabilità ci si riferisca. Tentativo di esplicita-zione che si cerca di realizzare negli anni settanta, allorquando le definizioni proliferano. Ne-gli anni ottanta e novanta, invece, più che soffermarsi sulla creazione di nuove definizioni, si realizzano una molteplicità di ricerche aventi lo scopo di approfondire l’argomento e di indi-viduare modelli applicativi: in questo ventennio la CSR si frammenta in numerosi temi di ri-cerca alternativi e si sviluppano una molteplicità di approcci allo stesso fenomeno33. Ancora

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oggi non è possibile indicare una definizione di responsabilità sociale dell’impresa universal-mente accettata dagli studiosi.

Non tutti, tra l’altro, sono d’accordo sul fatto che l’impresa abbia una responsabilità so-ciale. Tra questi, Milton Friedman, ad esempio, afferma con decisione che “c’è una ed una so-la responsabilità dell’impresa – utilizzare le proprie risorse e impegnarsi in attività progettate per incrementare i propri profitti mantenendosi all’interno delle regole del gioco, cioè, impe-gnandosi in un’aperta e libera competizione senza inganno o frode”34. Coloro che abbracciano tale prospettiva vengono ricompresi da Klonosky nell’approccio fondamentalista della pro-spettiva amorale, per cui all’impresa non può essere computata nessuna responsabilità morale se non quella relativa all’accordo preso nei confronti degli azionisti (traditional stockholders model), per cui l’unico ruolo dell’impresa è quello di fare profitti.

Anche tra coloro che sottolineano che l’impresa sia un’istituzione sociale, e quindi dotata di una responsabilità sociale, si riscontrano vari approcci.

Secondo lo “stakeholder approach” l’impresa ha una serie di doveri derivanti dal network di relazioni che essa intesse e sviluppa con i diversi gruppi di persone che hanno un qualche interesse nell’impresa.

4.2. Il contributo di Archie Carroll

Archie B. Carroll, ed altri autori che ne hanno arricchito l’apporto nel tentativo di com-pletare i contributi che storicamente si erano sviluppati sul tema della CSR attorno alla teoria degli stakeholder, sostengono che nella conduzione dell’impresa i manager devono far fronte continuamente e contemporaneamente ad una serie di responsabilità economiche e non eco-nomiche (Riquadro III.5).

Tra le prime rientrano la produzione di beni e servizi che devono essere venduti per rea-lizzare un profitto; tra quelle non economiche rientrano le responsabilità legali, ossia fare pro-fitto ma rispettando le “regole del gioco”, le responsabilità etiche – rispettare il tipo di norme etiche e di comportamenti attesi dalla società – e quelle discrezionali o volontarie e filantropi-che, relative a quei ruoli volontari assunti dall’impresa senza una chiara aspettativa da parte della società. Carroll nota come queste ultime acquisiscano sempre più importanza strategica per l’impresa e tra queste cita, ad esempio, contribuzioni filantropiche, programmi per il recu-pero di tossicodipendenti, riqualificazione dei disoccupati, centri per le lavoratrici-madri.

Le quattro responsabilità dei manager proposte da Archie Carroll: in

ordine di priorità Economic responsibilities of a business organization’s management are to produce goods and services of value to society so that the firm may repay its creditors and shareholders

Legal responsibilities are defined by governments in laws that management is expected to obey

Ethical responsibilities of an organization’s management are to follow the generally hed beliefs about be-havior in a society

Discretionary responsibilities are the purely voluntary obligations a corporation assumes Fonte: Adattato da A.B. Carroll, Managing Ethically with Global Stakeholders: A Present and Future Challenge, Acade-

my of Management Executive, May 2004  

Egli, inoltre, non manca di sottolineare, ricordando una sua precedente definizione del 1979, che “oggi molti pensano ancora alla componente economica come ciò che l’impresa fa per se stessa, e le componenti legale, etica e discrezionale (o filantropica) come ciò che l’impresa fa per gli altri. Sebbene questa distinzione sia attraente, sosterrei che anche la soste-nibilità economica è qualcosa che l’impresa fa per la società, sebbene raramente guardiamo a ciò in questo modo”35. Piuttosto, “l’orientamento sociale di un’organizzazione può essere va-

Riquadro III.5

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lutato appropriatamente attraverso l’importanza che essa pone sulle tre componenti non-economiche rispetto a quella economica”36. Infine, sintetizza la propria posizione affermando che “l’impresa socialmente responsabile deve sforzarsi di fare profitti, obbedire alla legge, es-sere etica ed essere una buona cittadina”37.

Il “corporate social responsiveness approach” presenta una prospettiva di responsabilità sociale in chiave strategica. Ossia, l’impresa deve mettersi nelle condizioni di anticipare i cambiamenti, realizzando programmi e politiche tali da minimizzare gli effetti negativi che le proprie attività presenti e future possono avere in termini di ricaduta sociale, evitando così di catalizzare sull’impresa ondate di protesta38.

Altri studiosi sostengono che tra l’impresa e la società sia stato siglato una sorta di con-tratto sociale. In particolare, dopo gli anni cinquanta tale contratto necessitava in qualche mo-do di essere innovato, portando dei cambiamenti nell’equilibrio tra il fare profitti e la respon-sabilità sociale dell’impresa. La prospettiva contrattualista vede l’impresa come un nexus di contratti che si realizzano al suo interno ed all’esterno. Ecco quindi la necessità di trovare un adeguato bilanciamento tra gli interessi dei vari stakeholder. Ciò che dovrebbe spingere l’impresa ad onorare il contratto sociale stipulato sarebbe la reputazione. Essa, però, violereb-be il contratto sociale stipulato ogni qualvolta si trovasse nella condizione di farlo senza so-stenere alcun costo (ossia senza che la sua reputazione ne risentisse). Perché il sistema di con-trollo reputazionale funzioni è necessario che gli stakehoder abbiano una conoscenza perfetta di ciò che accade nel mercato, circostanza impossibile. Anche la formulazione di standard condivisi con gli stakeholder39 non risolve del tutto la problematica correlata all’asimmetria informativa insita nei contratti. Inoltre, la prospettiva antropologica sottostante la teoria con-trattualista è quella dell’individualismo, con soggetti mossi dal raggiungimento del proprio in-teresse personale per cui se si dovessero trovare nella condizione di trasgredire il contratto senza doverne pagare un costo trasgredirebbero senza dubbio40. Ma proprio in ciò costituisce il punto di maggiore debolezza della prospettiva contrattualista.

4.3. Il ruolo delle Istituzioni

Di non poco rilievo è il contributo dato dalle Istituzioni internazionali. In particolare l’Onu, ha dato vita ad una propria iniziativa in favore della diffusione della responsabilità so-ciale dell’impresa: lo United Nations Global Compact (Riquadro III.6).

I 10 principi del Global Compact

 Diritti umani

Principio I – Alle imprese è richiesto di promuovere e rispettare i diritti umani uni-versalmente riconosciuti nell’ambito delle rispettive sfere di influenza:e di

Principio II – assicurarsi di non essere, neppure indirettamente, complici negli abusi dei diritti umani

 Lavoro

Principio III – Alle imprese è richiesto di sostenere la libertà di associazione dei la-voratori e riconoscere il diritto alla contrattazione collettiva;

Principio IV – l’eliminazione di tutte le forme di lavoro forzato e obbligatorio;

Principio V – l’effettiva eliminazione del lavoro minorile;

Principio VI – l’eliminazione di ogni forma di discriminazione in materia di impie-go e professione.

Riquadro III.6

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Ambiente  

Principio VII – Alle imprese è richiesto di sostenere un approccio preventivo nei confronti delle sfide ambientali, di

Principio VIII – intraprendere iniziative che promuovano una maggiore responsabi-lità ambientale: e di

Principio IX – incoraggiare lo sviluppo e la diffusione di tecnologie che rispettino l’ambiente.

 Corruzione

Principio X –Le imprese si impegnano a contrastare la corruzione in ogni sua forma, incluse l’estorsione e le tangenti.

Fonte: Global Compact Network Italia

Il Global Compact è un network di imprese e organizzazioni che si impegnano a rispetta-re dieci principi afferenti i diritti umani, le tematiche del lavoro, la difesa dell’ambiente, non-ché la problematica della corruzione nelle sue varie forme41.

Dal canto suo l’Unione Europea ha adottato una prospettiva strategica e utilitaristica alla responsabilità sociale, affermando che adottare pratiche di CSR sia conveniente per l’impresa, con l’intento di incoraggiare gli imprenditori europei ad intraprendere questo percorso. Nel libro Verde “Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese” si evidenzia che è possibile riferirsi alla responsabilità sociale quando “assumendo di propria iniziativa impegni che vanno al di là delle esigenze regolamentari e convenzionali cui devono comunque conformarsi, le imprese si sforzano di elevare le norme collegate allo sviluppo so-ciale, alla tutela dell’ambiente e al rispetto dei diritti fondamentali, adottando un sistema di governo aperto, in grado di conciliare gli interessi delle varie parti interessate nell’ambito di un approccio globale della qualità e dello sviluppo sostenibile”42, quindi, non solo rispettando la legge, bensì andando al di là di essa “investendo «di più» nel capitale umano, nell’ambiente e nei rapporti con le altre parti interessate” .

Anche l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OECD) non ha mancato di esprimere la propria posizione, sottolineando che “le imprese più esperte nella CSR trovano che essa non possa essere trattata come un caratteristica aggiunta dell’impresa. La CSR deve diventare valore e strategia centrale per l’impresa integrato in tutti gli aspetti dell’impresa”43 ed avvalorando evidentemente l’adozione di un autentico orientamento socia-le, che presuppone l’integrazione delle prospettive di responsabilità sociale con uno sfondo etico, che costituisca riferimento nel proprio agire nelle relazioni all’interno dell’impresa co-me all’esterno di essa.

Gli ultimi decenni sono stati caratterizzati dal prodursi di notevoli mutamenti negli aspetti fondamentali della società, influendo in modo rilevante anche nelle relazioni che essa instaura con l’impresa44. Peraltro, è anche opportuno non affrontare il problema concernente la re-sponsabilità sociale dell’impresa sulla base di “comportamenti apparenti” ma dottando com-portamenti che siano orientati dalla consapevolezza della complessità nella quale tali entità sono chiamate ad operare.

La “questione etica” nell’attuale millennio non può che essere anch’essa caratterizzata da forte complessità. L’impresa è composta da più persone le quali possono essere animate da principi etici diversi, talora anche contrastanti. Pertanto, il grado di “eticità” di un’impresa di-penderà sia dai valori etici facenti capo alle singole persone che la costituiscono e dal modo in cui questi si compenetrano nello sviluppo dei processi decisionali, così come dalla cultura

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dominante nell’impresa stessa, e dalla cultura dominante nell’ambiente di riferimento. Ecco perché un ruolo non indifferente nel promuovere una cultura vitalmente ancorata a solidi principi etici deve essere svolto dalle Istituzioni educative, governative, associazionistiche, ecc.

Proprio tale complessità avvalora la tesi della necessità di un ancoraggio etico della CSR di un’etica antropologicamente fondata45 che sappia guardare alla persona nella sua unicità, alle relazioni che essa pone in essere con gli stakeholder – dando anche ad essi un volto per-sonale – e alla società generalmente considerata, ossia al bene comune (che comprende il bene dei singoli e della società).

4.4. La “natura dell’impresa” e le implicazioni per la responsabilità sociale

Correttamente Klonosky46 pone con forza una questione nodale, cioè che l’aspetto centra-le del dibattito verte sulla natura dell’impresa. Infatti, dalla definizione di impresa che si con-sidera discendono una molteplicità di implicazioni che portano all’affermarsi o meno di una sua qualche responsabilità sociale e di un’etica d’impresa.

A questo punto pare congruo richiamare la questione definitoria per cui, se si considera l’impresa quale “collettività di soggetti umani, che insieme operano per la produzione di beni e servizi per il mercato”47, la centralità della persona assume di per sé importanza primaria e decisiva. Per cui nell’implementazione dell’orientamento sociale tale opzione costituisce na-turalmente lo sfondo di riferimento che sottostà a tutto il suo operare.

Se si assume la centralità della persona, singolarmente considerata o associata in organiz-zazioni, quale cuore pulsante dell’impresa (nei membri che a diverso titolo la costituiscono), o quale destinataria diretta o indiretta della sua azione (stakeholder generalmente considerati) ed intendendo dare a questa opzione valenza operativa, emerge l’importanza di implementare una gestione interna in cui le relazioni siano improntate al dialogo ed alla reciprocità in un clima di fiducia48. In altri termini, da questa prospettiva pare assumere notevole rilevanza la creazione delle cosiddette “condizioni di comunione” che Barnard riassume in “quel sentirsi a proprio agio nei rapporti sociali che è talvolta chiamato solidarietà, integrazione sociale, so-cievolezza o sicurezza sociale (nel senso originale, non nel suo presente svilito senso econo-mico)”49. Esse assumono valore non trascurabile, in quanto attraverso la loro evidenziazione e applicazione operativa si considera il singolo soggetto come parte attiva della comunità socia-le che vive nell’impresa, o più in generale nelle organizzazioni, e si afferma l’importanza del-le relazioni tra i soggetti ivi presenti, senza trascurare, anzi ponendo in rilievo, anche le pecu-liarità del singolo. Nel Riquadro III.7, viene presentato il “credo” della Johnson & Johnson rispetto alla responsabilità nei confronti di varie categorie di soggetti.

Così, pur nel rispetto dei diversi ruoli, sarà compito del management incoraggiare la par-tecipazione alle decisioni da parte di tutti i lavoratori, soprattutto in relazione a quegli aspetti che li coinvolgono direttamente, ma più in generale nel definire gli obiettivi dell’impresa, creando le condizioni per lo sviluppo e la diffusione del sapere, nella consapevolezza che il raggiungimento degli obiettivi dipende, in larga parte, dall’impegno profuso dai singoli, e questo – a sua volta – è legato, in modo significativo, alle motivazioni intrinseche che in essi vengono espresse. Caratteristiche importantissime che devono essere continuamente sviluppa-te, per cui sarà compito dell’impresa realizzare opportuni piani di formazione condivisi con tutti i soggetti interessati per una loro adeguata implementazione. Non deve sfuggire, altresì, la circostanza che all’interno dell’impresa si realizzino situazioni conflittuali; sarà quindi ne-cessario verificare periodicamente la qualità delle relazioni interpersonali, allorché attraverso un proficuo scambio di idee, realizzato attraverso l’ascolto reciproco50, i momenti di crisi pos-sano essere trasformati in momenti di crescita per tutta l’organizzazione, nella consapevolezza che i conflitti non vanno celati, bensì superati e che in questo modo la diversità che li ha,

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eventualmente, determinati può realmente trasformarsi in ricchezza.

Il convincimento di una simile impostazione di fondo si estrinseca anche nelle relazioni

che l’impresa realizza al suo esterno, partendo dal presupposto che essa entra in relazione con altri soggetti come, ad esempio, i clienti, ai quali offrirà i prodotti non limitandosi a conside-rare gli obblighi contrattuali, bensì valutando anche gli oggettivi riflessi della qualità dei beni e servizi che offre sul benessere dei consumatori, nonché adottando uno stile comunicativo in-formato alla correttezza e trasparenza (nelle azioni di comunicazione attraverso i mass media, nelle etichette, ecc.); i fornitori con i quali punterà all’adozione di rapporti di reciproca colla-

Riquadro III.7

22    

borazione e rispetto; i concorrenti in un rapporto di lealtà e, laddove possibile, di cooperazio-ne, pur nell’ambito della competizione; la Pubblica Amministrazione con cui intratterrà rap-porti incentrati alla correttezza; la comunità locale nella quale essa è inserita ed alla quale de-ve rispetto sia in riferimento alle persone che all’ambiente (qui inteso in senso ecologico) in cui le persone vivono, senza dimenticare la comunità nazionale ed internazionale di cui è co-munque parte; infine, un ulteriore aspetto che scaturisce da una simile impostazione è rappre-sentato da un congruo sistema di comunicazione interno ed esterno che l’impresa dovrà met-tere in atto con tutte quelle forme che le consentano di trasmettere adeguatamente i propri convincimenti e le azioni, anche di carattere sociale, che vengono poste in essere, in questo senso può svolgere un ruolo di supporto il cosiddetto Bilancio sociale.

Sono le persone, infatti, che costituiscono le organizzazioni ed il successo di queste ulti-me dipende in gran parte dalla qualità del loro operare e del loro operare insieme, ossia dalla qualità delle loro relazioni. Nel contempo occorre non dimenticare che i soggetti umani tra-scorrono gran parte del loro tempo nelle imprese quindi è auspicabile che esse vengano go-vernate in modo tale da offrire loro la possibilità di esprimere al meglio la propria personalità trovando, come già osservato, la possibilità di realizzarsi nel lavoro come nel resto della pro-pria esistenza che viene vissuta fuori dall’impresa.

Adottare un orientamento sociale significa quindi implementare una prospettiva integrata, multidimensionale, in cui tutte le responsabilità (economiche e sociali) vengono ottemperate con un animus comune, per cui non ci si trova di fronte ad una sequenza discreta di eventi e decisioni orientati ora all’una ora all’altra dimensione. Si realizza così una sorta di unificazio-ne nell’agire delle persone, in ogni fase in cui si esplica l’attività di impresa, nella produzione dei beni e servizi, come nella vendita degli stessi, nella realizzazione dell’azione di marketing e così via.

In questo senso l’adozione dell’orientamento sociale richiede una precisa opzione cultu-rale, nel senso che non si tratta di definire la mission, adottare una strategia e poi, a mo’ di appendice, giustapporvi una qualche pratica di responsabilità sociale, bensì occorre far assur-gere la responsabilità sociale dell’impresa a vera e propria categoria manageriale. Per cui, l’orientamento sociale dell’impresa costituisce l’impostazione di fondo che sottende ad ogni azione imprenditoriale, dalla definizione della missione dell’impresa, alla strategia, all’implementazione delle funzioni direzionali e gestionali, cioè, il quadro di riferimento del suo modo di essere nel mercato e nell’ambiente. E’ nella centralità dei soggetti umani e nella qualità delle relazioni che essa riesce ad instaurare al suo interno e nei rapporti con esterno, nonché nella rivisitazione concreta del suo operare alla luce di una simile impostazione, che può considerarsi coerentemente socialmente orientata. Nel Riquadro III.8 vengono riportate alcuni elementi della discussione tra i sostenitori e i detrattori della responsabilità sociale.

L’impresa quindi persegue un successo stabile e duraturo sia dal punto di vista economi-co che sociale, cercando di considerare in modo coerente le attese dei suoi interlocutori nella consapevolezza che efficienza e reciprocità, economia e socialità non costituiscono elementi contrapposti, bensì aspetti complementari da integrare e che possono informare l’impresa del presente e del futuro. Potrà così contribuire alla costruzione di una società e di un’economia veramente civili51, capaci cioè di valorizzare adeguatamente le persone. In tal modo non solo risponde alle istanze della società, ma a quell’insopprimibile «vocazione comunitaria» che scaturisce direttamente dalla sua stessa natura.

 

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Discussione sui PRO e CONTRO della Responsabilità Sociale

PRO CONTRO

Aspirazioni pubbliche La pubblica opinione ora sostiene le imprese che perseguono obiettivi economici e sociali Profitti di lungo termine Le imprese socialmente responsabili tendono ad avere più sicuri profitti di lungo termine Obblighi etici Le imprese dovrebbero essere socialmente responsabili perché le azioni responsabili sono le giuste cose da fare Immagine pubblica Le imprese possono creare una immagine pubblica favorevole perse-guendo obiettivi sociali Ambiente migliore Il coinvolgimento delle imprese può aiutare a risolvere difficili problemi sociali Disincentivo per ulteriori norme governative Diventando socialmente responsabili, le imprese possono aspettarsi mi-nori norme governative Equilibrio tra responsabilità e potere Le imprese hanno grande potere ed un ugualmente ampio ammontare di responsabilità è necessario per un equilibrio contro questo potere Interessi degli azionisti La responsabilità sociale migliorerà il prezzo delle azioni dell’impresa nel lungo termine Possesso di risorse Le imprese hanno le risorse per sostenere progetti pubblici e di carità che hanno bisogno di assistenza Superiorità della prevenzione sulle cure Le imprese dovrebbero indirizzarsi verso i problemi sociali prima che essi diventino seri e costosi da correggere

Violazione della massimizzazione del profitto L’impresa diventa socialmente responsa-bile solo quando persegue i suoi interessi economici Diluizione degli obiettivi Perseguendo obiettivi sociali si diluisce l’obiettivo primario dell’impresa – la produttività economica I costi Molte azioni socialmente responsabili non coprono i loro costi e qualcuno deve pagare questi costi Troppo potere Le imprese hanno già una gran quantità di potere e se perseguono obiettivi sociali potrebbero averne anche di più Assenza di abilità I leader delle imprese non hanno le ne-cessarie abilità per risolvere problemi so-ciali Assenza di responsabilità Non ci sono linee dirette (guide) di re-sponsabilità per le azioni sociali

Di seguito si inserisce il Riquadro III.9 nel quale viene riportata la graduatoria stilata da

Fortune delle 10 imprese ritenute socialmente più responsabili.

Le 10 grandi imprese più responsabili

Posizione Impresa Azioni socialmente responsabili

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Vodafone impegna i suoi stakeholder su problemi legati alla competitività globale e chiede il loro input per la creazione di nuovi prodotti. L’impresa è un innovato-re primario di prodotti socialmente responsabili. La Fondazione Vodafone sta lavorando con il World Food Program e la Fondazione delle Nazioni Unite per rendere più facile installare reti di comunicazione durante le grandi emergenze e i disastri nel mondo.

   2  

 

 

General Electric fornisce regolarmente aggiornamenti sul progresso di obiettivi ambiziosi quale il miglioramento della politica dell’assistenza sanitaria e la predi-sposizione di tirocini professionali nei Paesi in via di sviluppo. Il gioiello dell’impresa è l’iniziativa Ecoimagination, un programma con l’obiettivo di espandere il portafoglio dei prodotti e delle tecnologie a favore dell’ambiente come le locomotive ultra-efficienti e le membrane avanzate per filtrare l’acqua.

   3    

La responsabile della corporate sustainability, Teresa Au, ha detto che nonostante la situazione economica, HSBC continuerà la campagna sulla sostenibilità. Tra le iniziative, il sostenimento di piccole imprese con opzioni assicurative sostenibili. HSBC ha una unità americana che è dedicata all’assistenza di comunità locali per promuovere l’acquisto della casa convenientemente e simili obiettivi.

Riquadro III.8

Riquadro III.9

24    

   4  

 

 

Per migliorare la sua identità aziendale, la France Telecom ha creato precise pro-cedure ed ha lanciato una extranet per condividere le idee con soggetti esterni. Iniziative recenti includono l’installazione di unità di energia solare in Senegal per estendere la copertura della rete e la creazione di programmi di educazione avvalendosi di Internet per studenti in Giordania.

   5  

 

 

E’ la prima grande banca britannica che collabora con il Carbon Trust (creata dal Governo per aiutare le imprese a ridurre le emissioni di carbone) per creare un meccanismo per calcolare il gas serra emesso. HBOS ha anche sostenuto iniziati-ve quali progetti idroelettrici, produttori di biomassa, energia rinnovabile per due milioni di abitazioni. Recentemente ha lanciato un programma pilota per “prestiti verdi”, con i quali compensa 3 tons di biossido di carbonio per ogni prestito che viene processato.

   6  

 

 

Un esponente di Nokia ha condotto una valutazione sui loro fornitori evidenzian-do le violazioni delle richieste e ha predisposto una relazione indicando consigli su come rimediare alle loro imperfezioni. Essi lavorano strettamente con i loro contribuenti per gestire il ciclo di vita dei prodotti. L’impresa vaglia interamente tutti i materiali che entrano nei loro cellulari. AMR Research ha recentemente indicato la supply chain di Nokia come la seconda migliore al mondo in relazione al turnover, crescita del reddito e ritorno sugli investimenti.

   7  

 

 

E’ la più grande impresa produttrice di energia in Europa: il 75% della sua produ-zione è basata sul nucleare. Électricitè de France non ha investito solamente nel nucleare: essa è impegnata anche nello sviluppo di metodi per la produzione di energia geotermica, dal vento e dal sole. EDF, con le sue 1.500 auto elettriche, ha il parco più grande del mondo. L’impresa ha assunto l’obiettivo di triplicare per il 2012 la sua capacità di energia rinnovabile, escludendo quella idroelettrica.

   8  

 

 

Suez, ora GDF Suez (dopo la fusione con Gaz de France) vanta un’intera divisio-ne dedicata allo sviluppo sostenibile. Nell’autunno del 2007, Suez ha operato in partnership con Volvo, per edificare la prima fabbrica del mondo per la costru-zione di auto senza produzione di biossido di carbonio, cioè alimentata con l’energia del vento, della biomassa e del sole. Suez continua a promuovere la sua principale linea d’impresa, il gas naturale, che è più pulito del petrolio.

   9  

 

 

La British Petroleum è amica o nemica dell’ambiente? Ci sono abbondanti evi-denze che supportano quest’ultima. La BP ha pagato milioni di dollari di multa per inquinamento. La BP ha anche utilizzato la sua dimensione a buon fine, inve-stendo ingenti risorse nelle energie rinnovabili: 1,5 bilioni di dollari solo nel 2008! La BP ha anche evidenziato che sa imparare dai suoi errori: dopo l’esplosione della raffineria di Texas City, l’impresa ha costituito un comitato per la sicurezza, per l’etica e per la salvaguardia ambientale per evitare che simili incidenti accadano.

   10  

 

 

Quando i biocarburanti basati sulle colture (l’etanolo, per esempio) cominciarono a perdere di interesse, la Royal Dutch Shell, spostò l’attenzione verso i biocarbu-ranti di seconda generazione, quadruplicando gli investimenti per le nuove fonti. In agosto il WWF del Regno Unito ha emanato un pubblico reclamo per la pub-blicità di Shell; l’impresa petrolifera ha sottolineato i suoi investimenti in energia rinnovabile, ma il WWF ha precisato che la raffineria rappresentata nella pubbli-cità non contribuisce alla causa.

Fonte: Fortune, Accountability Rank 2008

III.5. Un imperativo indilazionabile: la sostenibilità 5.1. Una sfida per l’Umanità

Nella lunga storia dello sviluppo dell’Umanità, il genere umano ha affrontato nu-merose difficoltà – o “sfide” – che talvolta hanno assunto configurazioni di difficoltà supposte insormontabili. Lo spirito di sopravvivenza, insito in ogni essere vivente e,

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quindi, anche negli esseri umani, ha (semplificando!) consentito di non soccombere e, al contrario, di trovare la forza per nuove conquiste, nuove prospettive, nuove fasi di sviluppo. Nel contempo, fenomeni di senso contrario sono emersi, si sono gradualmen-te diffusi e hanno determinato l’emergere di condizioni attualmente “all’ordine del giorno” e non più dilazionabili. Ci si riferisce alla crescita di ampie sacche di depaupe-ramento ambientale che se da un lato ha favorito lo sviluppo, dall’altro lato, ha costi-tuito la premessa di un degrado non solo ambientale ma anche economico: in altri ter-mini, una drammatica premessa al sottosviluppo di ampie aree del mondo. È per que-sto che, a partire dagli anni ’60 e ’70 le più autorevoli organizzazioni mondiali hanno avviato un processo di sensibilizzazione tendente a modificare tali comportamenti dannosi, nella prospettiva di innescare un processo virtuoso di sviluppo basato sulla sostenibilità. Pare opportuno sottolineare fin da ora che affrontare le problematiche dello sviluppo sostenibile non significa limitare l’attenzione alle problematiche legate all’ambiente (la salvaguardia dell’ecosistema) ma significa fare riferimento ad un con-cetto più ampio che tiene conto della sostenibilità economica e sociale delle attività.

5.2. La nascita e lo sviluppo del concetto di sostenibilità

Il nuovo orientamento dell’Umanità verso la sostenibilità non è da considerare come una possibile opzione, quanto piuttosto una via obbligata per evitare che il sistema terrestre si au-todistrugga. Dai timidi passi della prima Conferenza del 1972, si è giunti a delineare un si-stema di strumenti per mezzo dei quali favorire l’adozione di comportamenti sostenibili da parte dei singoli soggetti e delle organizzazioni. Nel riquadro III.10 viene presentata una sin-tesi delle tappe fondamentali che hanno determinato l’evoluzione del concetto di sostenibilità e la sua attuale configurazione. È altresì da rilevare che, nonostante sia cresciuta la consape-volezza rispetto alla inderogabilità di realizzare uno sviluppo basato sulla sostenibilità, molta strada vi è ancora da percorrere perché vengano adottate azioni realmente capaci di determi-nare l’indispensabile “inversione di tendenza”. La responsabilità di tale cambiamento sono varie e variamente distribuite: ognuno è chiamato a “fare la sua parte” in modo che anche ogni comportamento sostenibile, per quanto singolarmente appaia non rilevante, in relazione sinergica con altri singoli atti, possa condurre al cambiamento, cioè alla realizzazione di uno sviluppo economico-sociale basato sulla sostenibilità.

Le tappe del la sostenibi l i tà

1972

I Conferenza ONU sul l ’Ambiente Umano (Stoccolma) wViene istituita la United Nations Environment Programme (UNEP) wIl documento Dichiarazione sull’Ambiente Umano definisce 26 principi sulla relazione

tra benessere sociale e tutela del patrimonio ambientale, tra le quali: - L’uomo è portatore di una solenne responsabilità per la protezione e il miglioramento

dell’ambiente per le generazioni presenti e future. - Le risorse naturali della Terra devono essere salvaguardate a beneficio delle genera-

zioni presenti e future con una programmazione e una gestione appropriata e attenta. - Deve essere mantenuta e, se possibile, ricostruita la capacità della terra di produrre ri-

sorse vitali rinnovabili. 1980

World Conservat ion Strategy (Nairobi ) Documento World Conservation Strategy: Living Resource Conservation for Sustainable Develeopment: per la prima volta in un documento ufficiale appare la dizione “sviluppo sostenibile”. Esso spiega come il risparmio delle risorse naturali sia essenziale per la crea-zione di un modello sostenibile e dà soluzioni concrete per la sua attuazione.

Riquadro III.10

26    

1987

Summit di Tokio (Tokio) Viene presentato il documento Our Common Future o Rapporto Brundtland: contiene la prima definizione di sviluppo sostenibile: “Lo sviluppo sostenibile è quello sviluppo che soddisfa i bisogni della generazione presente senza compromettere la capacità delle gene-razioni future di soddisfare i propri”. La protezione dell’ambiente perde il proprio ruolo di “vincolo” per divenire una condizione necessaria per uno sviluppo duraturo.

1992

I I Vert ice ONU su Ambiente e Svi luppo (Rio de Janeiro) Si adottano i lineamenti per un Piano di Azione Mondiale per la Tutela dell’Ambiente: - Dichiarazione su Ambiente e Sviluppo: 27 principi - Agenda 21: documento con più di 2500 raccomandazioni d’azione per uno sviluppo

attento alle variabili sociali, ambientali ed economiche - Convenzioni sul clima e per la conservazione della biodiversità V Piano di Azione Ambientale “Per uno Svi luppo Durevole e So-stenibi le” (Bruxel les)

1994

I Conferenza Europea sul le Città Sostenibi l i (Aalborg) - Carta di Aalborg: definizione dei principi per un modello urbano di città sostenibili - La Campagna delle Città Europee Sostenibili (promozione e supporto all’azione) - Impegno per l’attuazione di Agenda 21 a livello locale – Piani Locali di Azione per un

Modello Urbano Sostenibile (azioni concrete) 1996

I I Conferenza Europea sul le Città Sostenibi l i (L isbona) Valutazione risultati della Local Agenda 21 e rilancio Carta di Aalborg Conferenza Habitat I I ( Istanbul) Rilancio Agenda 21 per l’adozione da parte degli Enti locali

1997

Convenzione Quadro del le Nazioni Unite sul cambiamento cl ima-t ico (Kyoto) Si redige il Protocollo di Kyoto che indica politiche e misure per la riduzione di emissioni di gas serra da parte dei Paesi industrializzati. Si indicano misure per promuovere la ricer-ca scientifica sulle energie alternative e incentivi per le forme di economia sostenibile. Si sollecitano i Paesi industrializzati alla cooperazione con i Paesi in via di sviluppo.

1998

Convenzione di Aarthus (Danimarca) Convenzione dell’Unione europea che, tra l’altro, stabilisce che il cittadino, primo attore del processo di cambiamento ha la possibilità di contribuire attivamente alla promozione dello sviluppo sostenibile. Temi chiave: informazione e partecipazione.

2000

I I I Conferenza Europea sul le Città Sostenibi l i (Hannover) Le autorità locali di 32 Paesi fanno il bilancio dei risultati della Carta di Aalborg e predi-spongono un appello (Appello di Hannover) perché si agisca per favorire un maggiore clima di cooperazione internazionale e per un maggiore impegno locale su Agenda 21.

2001

I I I Conferenza Ambientale del l ’Unione europea (Göteborg) Viene predisposta la Risoluzione di Göteborg con la quale si sottolineano tre aspetti: l’attuazione e gli ulteriori sviluppi della legislazione UE sull’ambiente; i processi di Agenda 21 Regionale; il “greening” dei Fondi strutturali Dichiarazione Universale sul la Divers ità Cultura le Si amplia il concetto di Sviluppo Sostenibile: la “Diversità Culturale” è il quarto pilastro.

2002

World Summit on Sustainable Development (Johannesburg) Approvazione di 3 documenti divenuti la base internazionale per lo Sviluppo Sostenibile wDichiarazione di Joannesburg: principi morali che impegnano allo sviluppo sostenibile. wPiano WSSD: indica le modalità di attuazione dei principi della Dichiarazione wIniziative di paternatriato di tipo 2: promozione di coesione e cooperazione con la propo-

sta di quasi 600 progetti improntati allo sviluppo sostenibile 2004

IV Conferenza Europea sul le Città Sostenibi l i (Aalborg) I rappresentanti di 110 amministrazioni locali approvano i 10 Aalborg Commitments il cui fine è quello di dare maggiore incisività alle azioni di sostenibilità locale e dare nuovi im-pulsi ai processi di Agenda 21 locale. Più specificamente: aumentare la consapevolezza e necessità per i governi locali di attuare politiche integrate in grado di affrontare le sfide crescenti della sostenibilità; essere strumento pratico e flessibile.

27    

2005

Ri lancio del la Strategia di L isbona (Lussemburgo) Si ribadisce l’esigenza di incentrare la strategia sulla crescita e sull’impiego, incrementan-do la competitività e rafforzando la coesione sociale. Obiettivi da perseguire con attenzio-ne prioritaria: conoscenza, innovazione, valorizzazione del capitale umano.

2006

Strategia europea per lo sv i luppo sostenibi le 2006 (Bruxel les) Vengono individuate sette sfide principali: 1. Cambiamenti climatici e energia pulita 2. Trasporti sostenibili 3. Consumo e produzione sostenibili 4. Conservazione e gestione delle risorse naturali 5. Salute pubblica 6. Inclusione sociale, demografia e migrazione 7. Povertà mondiale e sfide dello sviluppo

2009

XV Conferenza del le NU dedicata a l c l ima (Copenhagen) Non vengono indicati obiettivi precisi di riduzione delle emissioni di gas serra, né indica l’impegno per un nuovo Trattato internazionale teso a mitigare la crisi climatica.

2012 Conferenza sul lo sv i luppo sostenibi le Rio+20 (Rio de Janeiro) Si può concludere l’analisi dell’impegno delle organizzazioni mondiali e non rispetto allo

sviluppo sostenibile con quanto scritto dalla Commissione europea in un recente documento: “crescita sostenibile significa costruire un’economia efficiente sotto il profilo delle risorse, sostenibile e competitiva, sfruttare il ruolo guida dell’Europa per sviluppare nuovi processi e tecnologie verdi, accelerare la diffusione delle reti intelligenti che utilizzano la Tecnologia dell’Informazione e delle Telecomunicazioni (ICT), sfruttare le reti su scala europea e aumen-tare i vantaggi competitivi delle nostre imprese, specie per quanto riguarda l’industria mani-fatturiera e le piccole e medie imprese (PMI), e fornire assistenza ai consumatori per valutare l’efficienza sotto il profilo delle risorse. In tal modo si favorirà la prosperità dell’Unione Eu-ropea in un mondo a basse emissioni di carbonio e con risorse vincolate, evitando, al tempo stesso, il degrado ambientale, la perdita di biodiversità e l’uso non sostenibile delle risorse e rafforzando la coesione economica, sociale e territoriale”.

5.3. A proposito di cambiamento climatico e dei suoi effetti

There is a growing consensus among corporate leaders that taking action on climate change is a responsible business decision. From market shifts to regulatory constraints, cli-mate change poses real risks and opportunities that companies must begin planning for today, or risk losing ground to their more forward-thinking competitors. Prudent steps taken now to address climate change can improve a company’s competitive position relative to its peers and earn at the table to influence climate policy. With more and more action at the state level and increasing scientific clarity, it is time for businesses to craft corporate strategies that ad-dress climate change.

Gli effetti del cambiamento climatico sulle organizzazioni e sulle imprese nel mondo, possono essere raggruppati in sei categorie: 1. Regolamenti. Le imprese nella gran parte dei Paesi del mondo devono sottostare al Proto-

collo di Kioto il quale stabilisce la riduzione del diossido di carbonio nelle aree più svilup-pate del mondo influendo, ovviamente, sulle imprese in esse operanti. L’Unione europea ha adottato uno specifico programma in base al quale una impresa che emette gas serra ol-tre il limite stabilito, può acquistare indennità addizionali da altre imprese il cui livello di emissioni di gas serra è inferiore al limite stabilito. Le imprese possono anche guadagnare quote di credito rispetto alle loro emissioni investendo su progetti per l’abbattimento delle emissioni anche se riguardanti altre imprese.

2. Catena di approvvigionamento. I fornitori saranno sempre più vulnerabili ai regolamenti

28    

governativi – in conseguenza della crescita della componente dei costi energetici che essi trasferiscono ai loro consumatori. La catena di approvvigionamento globale sarà a rischio di una crescente intensità di precipitazioni molto forti e inondazioni. La crescita del livello del mare risultante dallo scioglimento dei ghiacci polari creerà problemi per i porti marit-timi. La Cina, nella quale molte imprese del mondo stanno trasferendo le loro produzioni, sta diventando interessata dal degrado ambientale. La crescente scarsità di combustibili fossili sta incrementando significativamente i costi di trasporto. Per esempio, la Tesla Motors, il produttore di una macchina sportiva alimentata elettricamente, ha trasferito l’assemblamento delle batterie dalla Tailandia alla California perché i bassi salari della Tailandia non erano controbilanciati dal costo del trasporto delle batterie attraverso l’Oceano Pacifico.

3. Prodotto e tecnologia. La sostenibilità ambientale può essere un pre-requisito per una cre-scita redditizia. Per esempio, gli investimenti in tutto il mondo nell’energia sostenibile (in-cludendo vento, sole, e acqua) hanno più che raddoppiato i 70,9 bilioni di dollari dal 2004 al 2006. Il 60% degli intervistati di uno studio di Environics ha dichiarato che conoscendo se un’impresa è consapevole del suo impatto sull’ambiente e sulla società, la rende più at-traente rispetto all’acquisto dei suoi prodotti e servizi. I prodotti a basso impatto di carbo-nio che utilizzano le nuove tecnologie stanno diventando sempre più popolari tra i consu-matori. Quelle imprese automobilistiche, per esempio, che si stanno orientando all’introduzione di energie ibride o alternative nelle auto, guadagneranno un vantaggio competitivo.

4. Rischio di lite. Le imprese che generano rilevanti emissioni di carbonio si trovano di fronte alla minaccia di querela simile a quella delle imprese del tabacco, farmaceutiche, ecc. Per esempio, le imprese del petrolio e del gas sono state citate in giudizio per le emissioni di gas serra nel distretto della corte federale del Mississippi, basata sull’asserzione che queste imprese hanno contribuito alla gravità dell’uragano Katrina.

5. Rischio di reputazione. L’impatto di un’impresa sull’ambiente può influenzare pesante-mente la sua reputazione. Il Carbon Trust, un gruppo di consulenza, ha trovato che in alcu-ni settori il valore del brand di un’impresa potrebbe essere a rischio a causa di una perce-zione negativa legata al cambiamento climatico. Al contrario, un’impresa con una buona immagine di sostenibilità ambientale può creare un vantaggio competitivo in termini di at-trazione e fedeltà dei consumatori, dipendenti e investitori. Per esempio, la ricerca di Wal-Mart della sostenibilità ambientale come core business della strategia ha aiutato ad am-morbidire to la sua reputazione negativa come datore di lavoro che dà bassi salari e bassi benefici. Impostando gli obiettivi per i suoi negozi al dettaglio di riduzione del gas serra del 20%, dei rifiuti solidi del 25%, aumentando l’efficienza dei camion del 25% e utiliz-zando il 100% di energia rinnovabile, ha anche spinto i suoi fornitori a diventare più orien-tati alla sostenibilità ambientale.

6. Rischi fisici. I rischi posti direttamente dal cambiamento climatico includono gli effetti fi-sici su tempeste, inondazioni, siccità e aumento del livello del mare. la temperatura media dell’Artico è aumentata da 2 a 3 gradi negli ultimi 50 anni, influendo sullo scioglimento dei ghiacci e sull’aumento del livello del mare di 2,54 cm per decennio. I settori più colpiti sono le assicurazioni, l’agricoltura, la pesca, le foreste, i beni immobili e il turismo.

Sebbene il riscaldamento globale rimanga un argomento controverso, il vero problema rimane l’individuazione di azioni in favore della sostenibilità.

If you accept the global warming as reality, adapting your strategy and practices, your plants will use less energy and emit fewer effluents. Your packaging will be more biode-gradable, and your new products will be able to capture any markets created by severe weather effects. Yes, global warming might not be as damaging as some predict, and you

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might have invested more than you needed, but it’s just as Pascal said: Given all the possible outcomes the upside of being ready and prepared for a “fearsome event” surely beats the al-ternative.

5.4. Imprese sempre più “sostenibili”

Nell’ambito delle imprese la consapevolezza della necessità di un comportamento soste-nibile stenta ad affermarsi: in taluni casi ciò è determinato da una non compiuta percezione dei vantaggi che un comportamento sostenibile può determinare per vari motivi. Tra questi, si possono ricordare: 1) il risparmio energetico derivante dall’adozione di sistemi produttori di energia alternativa; 2) il maggior gradimento dei consumatori, sempre più attenti ad accordare le loro preferenze ad imprese sostanzialmente “green” e non a quelle che presentano dichiara-zioni di sostenibilità più o meno rispettate: il consumatore è sempre più critico e meno “ad-vertising dependent”; 3) la possibilità di disporre di un rilevante vantaggio competitivo nei confronti della concorrenza.

Nel corso degli anni la consapevolezza dei manager nei confronti della sostenibilità è si-gnificativamente cresciuta, come testimonia anche l’adozione della “Carta delle imprese per uno sviluppo sostenibile” (Riquadro III.11). È un chiaro segno dell’impegno che le imprese intendono realizzare per contribuire allo sviluppo basato sulla sostenibilità quale possibile so-luzione realistica dei problemi derivanti dall’individuazione di un corretto rapporto tra svilup-po e limitatezza delle risorse.

I principi della “Carta delle imprese per uno sviluppo sostenibile” Priorità aziendali Riconoscere nella gestione dell’ambiente una delle più importanti priorità aziendali è un fattore deter-minante per lo sviluppo sostenibile; stabilire politiche, programmi e procedure per svolgere l’attività in modo ecologicamente corretto. Gestione integrata Integrare pienamente tali politiche, programmi e procedure in ogni attività come elemento essenziale della gestione, in tutte le sue funzioni. Miglioramento continuo Migliorare continuamente le politiche, i programmi e il comportamento ambientale dell’impresa, tenen-do conto del progresso tecnico, della conoscenza scientifica, delle esigenze dei consumatori e delle aspettative della collettività, considerando come punto di partenza la normativa in vigore; applicare gli stessi criteri in materia di ambiente sul piano internazionale. Formazione del personale Istruire, formare e motivare i dipendenti per una condizione ambientalmente responsabile delle loro at-tività. Valutazione preventiva degli effetti ambientali Prima di intraprendere una nuova attività o progetto e prima della dismissione di un impianto o di un si-to, valutarne gli effetti sull’ambiente. Prodotti e servizi Sviluppare e fornire prodotti e servizi: che evitino conseguenze indesiderabili per l’ambiente; siano si-curi per l’uso cui sono destinati; abbiano il miglior rendimento nel consumo di energia e delle risorse naturali e, nel caso dei prodotti, siano riciclabili, riutilizzabili ed eliminabili in piena sicurezza. Assistenza al consumatore Consigliare e, se necessario, istruire i clienti, i distributori e il pubblico al fine di favorire la sicurezza nell’uso, trasporto, stoccaggio ed eliminazione dei prodotti forniti; applicare accorgimenti analoghi alla fornitura di servizi. Impianti e attività Progettare, sviluppare e gestire gli impianti e condurre le attività tenendo conto: di un uso efficiente dell’energia e dei materiali; di un uso sostenibile delle risorse rinnovabili; della minimizzazione sia del-le conseguenze ambientali negative sia della produzione di rifiuti; dell’eliminazione sicura e responsabi-le dei rifiuti residui.

Riquadro III.11

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Ricerca Effettuare o sostenere le attività di ricerca sull’impatto ambientale delle materie prime, dei prodotti, dei processi, delle emissioni e dei rifiuti collegati all’attività dell’impresa e sulle modalità per minimizzare gli effetti ambientali negativi. Approccio preventivo Modificare la produzione, la vendita e l’uso dei prodotti e servizi nonché la conduzione delle attività, in base alle conoscenze tecnico-scientifiche esistenti, allo scopo di prevenire il degrado grave e irreversibi-le dell’ambiente. Subappaltatori e fornitori Promuovere l’adozione di questi Principi da parte dei subappaltatori che agiscono per conto dell’impresa, incoraggiando e, se del caso, richiedendo miglioramenti delle prassi per renderle coerenti con quelle dell’impresa; incoraggiare la più ampia adozione di questi Principi da parte dei fornitori. Piani di emergenza Sviluppare e mantenere, dove esistano rischi significativi, piani per fronteggiare l’emergenza in collabo-razione con gli appositi servizi, le autorità competenti e la comunità locale, tenendo conto dei potenziali impatti transfrontalieri. Trasferimento di tecnologia Contribuire al trasferimento nel settore pubblico e privato di tecnologie e di metodi di gestione ecologi-camente idonei. Contribuzione allo sforzo comune Contribuire all’elaborazione di politiche pubbliche e ad iniziative e programmi educazionali del settore privato, del settore pubblico e delle istanze governative e intergovernative tendenti ad una maggiore sensibilizzazione nei confronti dell’ambiente e della sua protezione. Apertura al dialogo Favorire l’apertura e il dialogo nei confronti dei dipendenti e del pubblico, anticipando e rispondendo alle loro preoccupazioni riguardo al potenziale impatto ambientale, anche di portata transnazionale o globale, di attività, prodotti, rifiuti o servizi. Adempimenti e informativa Misurare i propri risultati in termini di ambiente; effettuare regolarmente controlli (audit) ambientali e valutazioni circa il rispetto degli obiettivi aziendali, della normativa e di questi stessi Principi; fornire periodicamente informazioni adeguate al consiglio di amministrazione, agli azionisti, ai dipendenti, alle autorità e al pubblico.

Pubblicazione International Chambre of Commerce n. 210/356A

Sviluppo sostenibile per un’impresa significa conciliare la qualità della vita delle persone con lo sviluppo economico e con il profitto. Ne consegue la garanzia della rinnovabilità delle risorse utilizzate, il rispetto dell’ambiente e l’osservanza dell’equilibrio delle dinamiche socia-li mondiali.

A proposito dell’inderogabilità dell’orientamento delle imprese verso la sostenibilità, Ro-sabeth Moss Kanter (Harvard Business Review, 2010) ha scritto: “Siete pronti per una nuova responsabilità a 360°? Non è più sufficiente che facciate bene il vostro lavoro, che i vostri clienti siano soddisfatti e che produciate buoni risultati finanziari. In futuro sarete ritenuti re-sponsabili degli input che utilizzate e della loro origine, di quello che i vostri clienti faranno di ciò che hanno acquistato, di quanto ne avrete migliorato la vita e dei costi e dei benefici che ne derivano al Paese e alle comunità che ne vengono interessate. Le imprese e i loro leader sa-ranno sempre più valutati non per i loro risultati immediati, ma per l’impatto a lungo termine, e cioè sugli effetti che le loro azioni avranno sul benessere sociale”.

La consapevolezza crescente dell’importanza del perseguimento di uno sviluppo sosteni-bile è riscontrabile anche dalla specifica attenzione che l’ISTAT nel suo rapporto annuale ha dedicato, nel 2009 per la prima volta, alla “dimensione ambientale” uno specifico approfon-dimento per le sue “strette interconnessioni con la dimensione economica”.

In altri termini, sempre più si individuano iniziative e programmi che orientano le impre-se verso l’attuazione di comportamenti tesi a rendere reale la green economy. Non va sottaciu-to che accanto alle opportunità che derivano dalla green economy (risparmio di risorse eco-nomiche, incremento dell’efficienza energetica, crescita di un nuovo mercato eco, ecc.), pos-

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sono emergere anche dei rischi, quale quello del greenwashing, ovvero di organizzazioni che operano per crearsi un’immagine positiva e virtuosa dal punto di vista ambientale, dando una “pennellata di verde” ai propri prodotti/servizi con colori, immagini e slogan che evocano l’ambiente. Fortunatamente, si tratta di comportamenti spesso tanto maldestri da essere chia-ramente riconoscibili.

Ciò che rileva è che sono oramai sempre più numerose le imprese che hanno deciso di “occuparsi” di responsabilità e di sostenibilità seriamente e concretamente, con elevata consa-pevolezza. Si tratta di imprese che hanno fatto della sostenibilità il proprio asset strategico.

Nei Riquadri III.12, III.13 e III.14 vengo presentati i casi di tre piccoli hotel, ubicati in aree decisamente diverse – Iglesias (Sardegna), Madonna di Campiglio (Trentino) e Freiburg (Germania) che hanno fatto della sostenibilità il loro punto di forza.

Giardino Corte Rubja Hotel – Iglesias Il Giardino Corte Rubja Hotel è ubicato a Iglesias, nel Sulcis, nel Sud della Sardegna. Questo hotel ha manifestato il suo orientamento alla sostenibilità fin dalla fase della progettazione: infatti, è stato pro-gettato e costruito con mattoni in terra cruda (su ladìri), tipologia costruttiva peculiare della Sardegna e molto diffusa nell’Iglesiente. Si tratta di una tipologia produttiva molto diffusa in passato, non solo in Sardegna ma nell’intera area mediterranea. Quali sono i vantaggi che derivano dall’utilizzazione dei mattoni in terra cruda per la costruzione? Innanzitutto questo tipo di mattone favorisce il mantenimento di una temperatura fresca in estate e calda in inverno con una riduzione dei costi energetici, quindi con la riduzione di impatto ambientale dovuto al consumo energetico. L’adobe (mattone in terra cruda) è un materiale naturale, realizzato con paglia, argilla, acqua e altri materiali naturali: tutti materiali ampia-mente diffusi in natura. Si tratta di un materiale che durevole e resistente, flessibile (esperimenti ne hanno dimostrato la notevole flessibilità in condizioni di stress come i terremoti). Il Giardino Corte Rubja Hotel utilizza alcune celle fotovoltaiche per la produzione della necessaria energia. È anche da segnalare un altro aspetto che denota la sensibilità per la sostenibilità e per il rispetto e la tu-tela ambientale: nel luogo nel quale l’Hotel è stato costruito era presente una interessante quantità di vegetazione tipica dell’area. L’imprenditore anziché distruggere tale vegetazione ha provveduto ad espiantarla, mantenerla in vita in specifici spazi e successivamente reimpiantarla: oggi è uno splendido giardino realizzato con le piante “native” del territorio.

Riquadro III.12

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Hotel Chalet Garni del Sogno – Madonna di Campiglio L’Hotel Garni del Sogno, ubicato a Madonna di Campiglio nel Nord Italia, rappresenta un caso di ec-cellenza poiché ha adottato i principi e le regole della bio-architettura. Costruito nel 2006, ha ricevuto nel 2007 la certificazione Ecolabel che ne attesta il ridotto impatto ambientale e il rispetto per il territo-rio. Infatti, l’edificio è termicamente ed acusticamente isolato ed è riscaldato in geotermia, cioè sfrut-tando il calore della terra. In questo modo vengono abbattute le emissioni di anidride carbonica e non si crea produzione di rifiuti nocivi per l’aria. Nel sito dell’Hotel si legge: “Per intonaci, rivestimenti lignei e pavimenti sono stati utilizzati esclusivamente materiali naturali, cioè legno, lana, calce e pietra locale. L’impianto elettrico non genera campi magnetici e il riscaldamento è realizzato con pannelli a pavimen-to. L’assenza di movimenti aria calda o fredda riduce le polveri in movimento, quindi le allergie. In questo modo cerchiamo di contribuire ad uno sviluppo sostenibile e ad un futuro che rispetti l’ambiente in cui viviamo, offrendo nel contempo il massimo comfort ai nostri clienti”. L’aspetto peculiare di questo hotel è l’utilizzazione della geotermia basata sull’applicazione di semplici leggi della natura. Infatti, andando sotto terra, la temperatura aumenta in funzione della presenza di for-ze geotermiche che provengono dal centro della Terra. Utilizzando una particolare combinazione di pompe, l’Hotel Garni del Sogno è in grado di prendere questa energia dal sottosuolo, scaldare l’albergo, produrre la necessaria energia elettrica e soddisfare ogni genere di utilizzazioni che richiedono l’uso dell’energia. Anche in questo caso è la natura che dà adeguate risposte per ogni esigenza: bisogna saper-le individuare e utilizzare al fine di non creare ulteriori danni all’eco-sistema.

Riquadro III.13

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Hotel Victoria – Friburgo

Per comprendere immediatamente l’orientamento di questo albergo, si può prendere spunto dalla farse che appare molto evidente nel loro sito: Benvenuti nell’hotel privato più amico dell’ambiente nel mondo. In realtà questo Hotel è suscettibile di interesse per due motivi: il primo è che questo hotel è ubicato a Friburgo che è una cittadina riconosciuta come una delle aree più sostenibili al mondo; il se-condo è che l’hotel è stato capace di combinare le condizioni di sostenibilità interne ed esterne all’organizzazione adottando azioni sostenibili. Alcuni dei comportamenti sostenibili adottati sono: il si-stema di condizionamento adottato è in grado di regolare il flusso di aria in funzione della dimensione della stanza e del numero di ospiti in essa presenti; il calore per l’acqua calda e per il riscaldamento cen-trale è prodotta al 100% con energie rinnovabili; nelle giornate soleggiate la necessaria quantità di calo-re è prodotta con un impianto solare e, se necessario, quattro piccole pale eoliche entrano in funzione per produrre energia addizionale.

L’uso efficiente delle tecnologie aiuta questo hotel ad operare il risparmio energetico senza rinuncia-re ad ogni comfort. Tutte le camere sono dotate di dispositivi elettronici (TV, frigorifero, attrezzatura per cucinare e lavatrice) che utilizzano tecnologie avanzate che permettono un risparmio energetico del 30%. Il consumo totale di elettricità è controllato da un computer basato su un sistema di gestione dell’energia con un continuo monitoraggio dei consumi e dei costi.

Nella reception è posizionato un pannello che evidenzia la produzione di energia solare ed eolica. Il sistema di produzione dell’energia, può essere visitato dai clienti e da altri gruppi interessati a tale si-stema di produzione.

Nel 2007 i responsabili dell’hotel hanno costruito un impianto che prende l’acqua fredda da una fal-da acquifera da 16 a 20 metri di profondità utilizzando una tubazione verticale, al fine di controllare la climatizzazione nelle stanze dell’hotel.

Questo hotel ha una regola d’oro per gli acquisti: la migliore qualità, preferibilmente regionale e bio-logica, con scelta di produttori e venditori con accertata attività rispettosa della sostenibilità. Il latte vie-ne acquistato dall’area di Breisgau (molto vicina), il pane da panifici di Friburgo, il miele proviene dalla Foresta Nera. L’hotel evita i rifiuti di plastica utilizzando distributori con sapone e shampoo biologico. La frutta, le bevande e i formaggi vengono forniti con “vuoto a rendere”.

Tutti i clienti e i membri dello staff ricevono biglietti gratuiti da utilizzare nei mezzi del trasporto pubblico di Friburgo e delle aree circostanti. Inoltre, l’hotel mette a disposizione biciclette per gli ospiti, così come una macchina ad energia solare.

III.6. Innovare, innovare, innovare 6.1. Gli elementi di inquadramento del fenomeno

Il verificarsi di mutamenti continui e pervasivi che caratterizza la contemporaneità e il combinarsi dei loro effetti ha concorso a modificare le caratteristiche generali del contesto globale nel quale operano tutte le organizzazioni e le imprese in particolare. Tra le varie im-plicazioni che il manifestarsi della crescente complessità ha determinato per le imprese, è da

Riquadro III.14

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rilevare l’importanza assunta dai processi d’innovazione e, negli ultimi anni, di innovazione tecnologica. La chiave del successo di imprese globali quali Apple, Samsung, 3M, Honda, Nokia, Amazon, Wirpool, pare universalmente risiedere nella loro capacità di fare del cam-biamento la variabile dominante della loro strategia di posizionamento nel mercato. Per le im-prese, infatti, oggi l’innovazione rappresenta non soltanto la modalità per la creazione di nuo-vi prodotti, nuovi processi e nuove modalità di organizzazione, ma un’occasione per aumenta-re la propria competitività.

Google, riconosciuta come la principale società mondiale nel settore della tecnologia di ricerca su Internet, ha fondato il suo successo sullo sviluppo continuo di nuove applicazioni e nuovi prodotti, quali Gmail, Google Desktop e Google Maps, che hanno il proprio presuppo-sto sulla capacità di innovazione e, più specificamente, di innovazione tecnologica.

Chiaramente emerge come l’innovazione sia in grado di attivare processi che modificano le dinamiche di creazione del vantaggio competitivo e i rapporti tra imprese. Attualmente, le imprese si trovano di continuo a “riadattare”, e in molti casi a ridefinire, le loro scelte strate-giche allo scopo di acquisire un posizionamento nell’ambiente nuovo e migliore e, in questo sforzo, attivano a loro volta processi innovativi che modificano ulteriormente le condizioni dell’ambiente di riferimento. In ultimo, ma non per importanza, per la maggior parte delle imprese innovare rappresenta un imperativo strategico.

La rappresentazione del fenomeno dell’innovazione, dei suoi caratteri, delle modalità con cui si manifesta, dei fattori che lo determinano e delle implicazioni che ne derivano, tanto a livello della singola impresa quanto a livello di sistema socio-economico, necessita in via pre-liminare, tuttavia, di un’appropriata delimitazione del suo dominio concettuale. Tale esigenza deriva dall’obiettivo di sgomberare il campo da equivoci e da definizioni improprie.

Se è indiscutibile l’idea che l’innovazione sia una delle determinanti principali del muta-mento industriale, il motore dello sviluppo economico, e sia in grado di trasformare gli equili-bri esistenti all’interno dell’economia52, nella pratica manageriale, la parola innovazione co-stituisce spesso un contenitore atto a significare fenomeni diversi sulla base degli obiettivi di coloro che utilizzano il termine stesso. In tal senso si evidenzia una certa incoerenza esistente spesso tra i presupposti definitori e gli aspetti e i problemi esaminati. A tal proposito, numero-si sono gli elementi da esplorare, sebbene siano tutti riconducibili ad un unico ampio tema: quello della trasformazione e dello sviluppo delle conoscenze dell’umanità intera.

Il risultato della diffusa inosservanza della necessità di una precisa definizione della natu-ra del fenomeno dell’innovazione è la proposizione di un coacervo di definizioni, anche al-quanto diversificate tra loro e talvolta estremamente generiche. Da ciò può derivare un’interpretazione del fenomeno dell’innovazione esclusivamente in termini di modificazioni fisiche nei prodotti e nei processi o focalizzata unicamente sui cambiamenti nelle conoscenze, o ancora, come forza determinante nelle variazioni nel livello di performance delle imprese.

Non mancano, inoltre, spiegazioni più riduttive che considerano l’innovazione alla stre-gua di uno strumento per aumentare strutturalmente la capacità competitiva dell’impresa, tra-scurando l’esistenza di aspetti importanti quali la dimensione processuale, la pluralità di attori coinvolti, la presenza di finalità differenti e, infine, la necessità di studiare il tema con un ap-proccio interdisciplinare per l’intersecarsi di profili economici, sociologici e organizzativi.

L’innovazione viene definita dall’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Svi-luppo) e dalla Commissione Europea (Manuale di Oslo, 2005) come “l’implementazione di un prodotto (sia esso un bene o un servizio) o di un processo, nuovo o considerevolmente mi-gliorato, di un nuovo metodo di marketing, o di un nuovo metodo organizzativo con riferi-mento alle pratiche commerciali, al luogo di lavoro o alle relazioni esterne” (p. 46).

Mentre la definizione di innovazione appena presentata è di carattere generale e può esse-re opportunamente riferita ad un’ampia gamma di innovazioni, l’innovazione tecnologica può

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essere definita come un processo iterativo e cumulativo, che implica la percezione di una op-portunità legata alla creazione di un nuovo mercato e o un nuovo servizio che può derivare da una invenzione basata sulla tecnologia e lo sviluppo, la produzione e la promozione di tale in-venzione, richiedendo un impegno per il successo commerciale dell’invenzione.

 

 

I profili che la definizione di innovazione tecnologica è in grado di evidenziare sottinten-

dono l’idea dell’innovazione come un fenomeno in continuo divenire, che si presenta come processo di cambiamento di natura cumulativa, che coinvolge tutti i soggetti umani all’interno dell’organizzazione, con accelerazioni e rallentamenti, ma soprattutto si qualifica come pro-cesso sistemico e iterativo, dove ogni iterazione rappresenta un successivo stadio di sviluppo che implica vari gradi di “innovatività”.

In particolare, le definizioni d’innovazione sopra riportate permettono di cogliere impor-tanti elementi chiarificatori del fenomeno, soprattutto con riferimento all’innovazione tecno-logica: 1. il processo innovativo comprende lo sviluppo tecnologico di un’invenzione combinata

con la sua introduzione nel mercato per l’utente finale attraverso la sua adozione e diffu-sione;

2. l’innovazione tecnologica si caratterizza per essere un fenomeno multidimensionale e in-terfunzionale, poiché coinvolge diverse funzioni gestionali e si articola attraverso proces-si complessi e multipli: non è il risultato esclusivo dell’azione dell’imprenditore, ma la conseguenza dell’attività svolta collettivamente da tutti i soggetti appartenenti all’organizzazione. A questo proposito, si rileva come spesso lo sviluppo della tecnologia tende ad essere erroneamente associato esclusivamente con il reparto ingegnerizzazione o con il settore sviluppo. Al contrario, le idée che generano innovazione possono essere il risultato dell’interazione con clienti, fornitori o anche concorrenti e non sono molto spes-so associate esclusivamente ai laboratori di ricerca. L’idea dello Scotch, il nastro adesivo che ha reso la 3M famosa in tutto il mondo, è il risultato dell’idea non di un ricercatore, ma di un rappresentante commerciale della società!

3. l’innovazione non è in generale un singolo atto, ma piuttosto può essere interpretata come un processo, non guidato da una rigida sequenza di fasi predefinite, ma da interazioni multiple tra ricerca, tecnologia, produzione, domanda di mercato e istituzioni. Essa è un processo di avanzamento della conoscenza che integra tecnica e organizzazione; la scelta

•  Implementazione di un prodotto, o di u n p r o c e s s o , n u o v o o considerevolemente migliorato, di un nuovo metodo di marketing, o di un nuovo metodo organizzativo

Definizione di innovazione: OCSE e UE

•  Processo iterativo e cumulativo, che implica la percezione di un'opportunità legata alla creazione di un nuovo mercato e/o un nuovo servizio

Definizione di innovazione tecnologica

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della Whirpool Corporation, leader mondiale nel mondo degli elettrodomestici, di puntare sul design e sull’innovatività dei suoi prodotti come variabile di successo, ha richiesto negli ultimi anni una riorganizzazione aziendale volta ad “istituzionalizzare” i processi di innovazione. Tale riorganizzazione ha coinvolto a 360 gradi il management (attraverso il monitoraggio, la reportistica, e la comunicazione), il sistema di controllo delle prestazioni (attraverso le ricompense, gli incentivi, e le strategie di comunicazione dei risultati), le at-tività di Operation &Technology (sviluppo prodotti, allineamento obiettivi), il sistema di allocazione delle risorse e il piano prodotti, e infine anche i processi di sviluppo, selezio-ne, valutazione del personale;

4. le attività innovative sono normalmente caratterizzate da elevati gradi di rischio, legati all’incertezza tecnica e di mercato sottostante lo sviluppo del progetto. C’è stato un mo-mento nella storia delle organizzazioni in cui era “innovativo” costruire uffici “open spa-ce”, che non prevedevano stanze separate, ma un unico ambiente per tutti i dipendenti. Questa innovazione nella distribuzione dello spazio interno aveva l’obiettivo di promuo-vere uno sviluppo del lavoro fondato “sull’interazione” e sulla “trasparenza”. In molte circostanze il risultato è stato opposto a quello desiderato. In alcune organizzazioni questa innovazione ha fatto pensare ai dipendenti che il management volesse attivare un control-lo, per questo era importante rendere tutto “trasparente”. In altri casi la sensazione forzata dello stare in relazione ha aumentato il senso di alienazione nelle persone;

5. l’innovazione non è un fatto esogeno all’organizzazione e in particolare non è pienamente e immediatamente accessibile senza alcuna barriera o costo di apprendimento: è un pro-cesso costoso e dal risultato incerto. L’emergere e il diffondersi del fashion jeans ha ri-chiesto alle imprese del settore dell’alta moda di acquisire conoscenze relative alle tecno-logie di lavaggio e di trattamento dei tessuti industriali, prima considerate assolutamente estranee al settore e sviluppate prevalentemente per le esigenze del settore ospedaliero e alberghiero;

6. il processo innovativo non ha soluzione di continuità e la distinzione in tre momenti (in-venzione, innovazione e diffusione) radicata nella teoria dominante (che in realtà sottende a una concezione statica dell’attività innovativa), va superata. Il processo innovativo va interpretato come il risultato di un unico processo di apprendimento, di produzione di co-noscenza e di applicazione del sapere;

7. il processo innovativo è iterativo nella sua natura e questo significa che l’introduzione di una innovazione è spesso seguita dal successive innovazioni di miglioramento; l’introduzione del telefono cellulare, risultato della combinazione della tecnologia telefo-nica con le conoscenze di diffusione delle onde radio, è stato interessato nel corso del tempo da numerosi miglioramenti che ne hanno progressivamente ridotto in maniera esponenziale dimensioni e peso, aumentandone le prestazioni e la capacità di ricezione;

8. l’innovazione tecnologica non è una caratteristica specifica di alcuni settori, ma può coinvolgerli tutti; settori ritenuti “tradizionali” come quello agricolo o tessile, sono stati investiti di recente da ondate innovative, legate alla diffusione delle biotecnologie indu-striali;

9. infine, il riferimento allo sviluppo, alla produzione, alla promozione e alla commercializ-zazione dell’innovazione implica che le imprese sono da considerarsi come il luogo e il soggetto principale dell’innovazione tecnologica, nel senso che la pongono in essere e/o subiscono i suoi effetti. Il richiamo alla centralità dell’impresa come protagonista dell’analisi, con riferimento alla

definizione d’innovazione tecnologica fornita, richiede tuttavia alcune precisazioni. L’innovazione tecnologica emerge grazie a complessi processi d’interazione sociale che

non avvengono soltanto fra i soggetti appartenenti ad un’unica impresa, ma possono coinvol-

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gere, anche in modo determinante, soggetti presenti a vari livelli dell’ambiente esterno. Le in-terazioni tra diversi e numerosi attori come, ad esempio, laboratori di ricerca pubblici e priva-ti, istituzioni, reti di imprese, utilizzatori/consumatori, sono ritenute attualmente una delle forme dominanti nella caratterizzazione dei processi innovativi, soprattutto se si riconosce la crescente importanza svolta dalle conoscenze e dalle competenze presenti all’esterno della singola organizzazione e diffuse nel sistema (sia questo un sistema nazionale territorialmente definito, o un sistema di organizzazioni legate da relazioni di interdipendenza). In definitiva, l’innovazione e la sua diffusione, è anche il risultato di un processo collettivo e iterativo in quanto richiede il contributo di un’eterogeneità di soggetti diversi che interagiscono tra loro, all’interno di una rete di connessioni personali e istituzionali che evolvono nel tempo (a tal proposito si veda il Riquadro III.15 relativo al caso Toy Story).

Caso: Toy Story, la storia di un’innovazione Nell’Università dello Utah, un professore e un ricercatore d’informatica, Dave Evans ed Ivan Sutherland,

fondarono nel 1968 la "Evans & Sutherland", una società che divenne in breve leader nel settore della simula-zione computerizzata di sistemi di guida civili e militari. Intorno a questo sodalizio si raccolse tutta la sparuta comunità della computer grafica attiva in quegli anni.

Con la recessione degli anni ‘70 all’Università dell’Utah vennero a mancare i fondi necessari a proseguire la ricerca. Un facoltoso newyorkese appassionato di animazione, Alexander Shure, intervenne offrendosi di so-stenere il fertile gruppo di ricercatori presso il proprio laboratorio, il New York Institute of Technology: qui ini-zialmente si studiavano nuove tecniche per l’animazione bidimensionale, i sistemi di disegno pittorico digitale, ma con l’arrivo dei ricercatori dallo Utah il gruppo del NYIT iniziò a dedicarsi alle tecnologie 3D, giungendo fino alla realizzazione di piccole animazioni per la pubblicità e alla simulazione dell’atterraggio della sonda Vo-jager su Marte.

Proprio in questo periodo il grande successo di Star Wars, prodotto dalla piccola casa cinematografica LucasFilm, convinse George Lucas a creare la Computer Animation Division della Lucasfilm un reparto comple-tamente dedicato alla ricerca e alla sperimentazione dell’effettistica digitale: qui dentro venne a riversarsi tutto il NYIT, nonché figure provenienti dal mondo scientifico, le quali erano solite utilizzare da tempo animazioni digi-tali per esporre tesi scientifiche. Dopo la realizzazione di alcuni cortometraggi e lo sviluppo e la produzione di hardware specifici per la computer grafica, il gruppo era maturo per buttarsi nel progetto per un lungometraggio interamente realizzato con tecnologia 3D. A favore delle ambizioni del gruppo di Catmull, intervenne Steve Jobs (il leader della Apple), che nel 1986 rilevò il gruppo di ricercatori dalla Computer Animation Division della Lu-casfilm per dieci milioni di dollari.

La nuova società, che aveva come socio di maggioranza appunto Jobs, prese il nome di Pixar Animation Studios, e da qui in poi iniziò a dedicarsi esclusivamente al cinema d’animazione lavorato al calcolatore.

Nel 1991 la Disney, ormai ricredutasi sulle possibilità del digitale, firma un accordo con la Pixar per la produzione di un film interamente creato al calcolatore, quel Toy Story che nel 1995 approda nelle sale cinema-tografiche di tutto il mondo ed è destinato a rivoluzionare per sempre il settore dell’enterteinment. I primi cinque lungometraggi della Pixar incassano più di 2,5 miliardi di dollari, rendendola, film dopo film, la casa di produ-zione con il maggior successo di tutti i tempi.

Nel 2006 la Disney acquista, con un’operazione da 7,4 miliardi di dollari (contro i 10 milioni pagati da Jobs nel 1986) la Pixar, diventando così il più grande studio d’animazione del mondo; Steve Jobs entra nel con-siglio di amministrazione della Disney e assume il ruolo di maggiore azionista individuale. Estratto con adattamenti da: Close-Up.it - rivista e magazine di cinema, teatro e musica con recensioni, forum, blog - diretta da Giovanni Spagnoletti

6.2. L’innovazione, l’invenzione, la creatività: interdipendenze e specificità

Un importante aspetto concernente l’innovazione tecnologica che appare opportuno evi-denziare, si riferisce al fatto che l’innovatività di un prodotto non deve essere confusa con l’innovatività di un’impresa: quest’ultima è stata definita come la sua propensione ad innova-re o sviluppare nuovi prodotti, ma anche come la propensione di un’impresa ad adottare inno-vazioni. In entrambi i casi, l’innovatività del prodotto che un’impresa sviluppa o adotta non è una misura esclusiva dell’innovatività dell’organizzazione di riferimento. Molte imprese han-

Riquadro III.15

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no scelto come strategia innovativa quella di imitare o potenziare i prodotti esistenti o le tec-nologie già affermate. In altri termini, ciò significa che un prodotto molto innovativo non im-plica automaticamente un’impresa molto innovativa. Microsoft ne è un importante esempio. Questa impresa è considerata dai concorrenti come un grande imitatore piuttosto che un gran-de innovatore. A questo proposito, si ricorda nel 1998 la cosiddetta guerra dei browser53, una competizione inizialmente commerciale e poi di immagine cominciata da Microsoft nei con-fronti della Netscape Corporation e del suo prodotto Nascape Navigator, che rappresentava il browser più diffuso con punte del 90% del mercato. Per vincere la concorrenza, Microsoft in-cluse Internet Explorer nel proprio sistema operativo. Questa mossa fu motivo di numerose cause legali per la difesa della libera concorrenza e contro la nascita di monopoli informatici, ma portò la Microsoft nel giro di due anni a diventare leader nel settore.

Un’ulteriore implicazione alla quale si ritiene particolarmente utile fare riferimento, è le-gata alla distinzione tra innovazione tecnologica e invenzione. Un’invenzione non diventa un’innovazione fino a quando: - non è passata attraverso la fase della produzione e della commercializzazione; - ed è stata diffusa nel mercato.

La soluzione di un “dilemma” esclusivamente scientifico o l’invenzione di un nuovo “prodotto potenziale” che resta in laboratorio, non è un’innovazione in quanto non ha un di-retto contributo socio-economico. Ciò significa in altri termini che l’innovazione include non soltanto la fase della ricerca di base e applicata ma anche lo sviluppo del prodotto, la produ-zione, la promozione e la sua distribuzione.

Distinzione tra innovazione e invenzione

Una scoperta che resta in laboratorio è un’invenzione. Una scoperta che “si muove” dal laboratorio alla catena di produzione e che aggiunge valore economico all’impresa (anche so-lo in termini di risparmio nei costi) può essere considerata un’innovazione. Lungo questa li-nea di riflessione e rivelando un orientamento focalizzato alle dinamiche di mercato, l’innovazione è schematizzabile come l’uso di un nuovo sapere di tipo scientifico e tecnologi-co per offrire un nuovo prodotto o servizio che il cliente è disposto ad acquistare. In modo estremamente sintetico, l’innovazione è l’insieme dell’invenzione e della sua commercializ-

Un'invenzione diventa

innovazione

Passa attraverso la fase della produzione

e della commercializzazione

E' diffusa nel mercato

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zazione, o meglio, per usare le parole di Porter è un nuovo modo di fare le cose che viene commercializzato54.

L’innovazione non è sempre e necessariamente legata ad una nuova invenzione. Il forno a microonde dotato di grill, un’innovazione interessante legata al settore degli elettrodomestici, non ha richiesto nessuna invenzione. La creazione del walkman da parte della Sony, uno dei prodotti di più grande successo commerciale degli anni ‘80, non ha richiesto l’applicazione di una tecnologia nuova, ma ha creato un nuovo mercato offrendo alla gente la possibilità di por-tare la musica sempre con sé,

Emerge da queste considerazioni quanto l’innovazione risulti legata al concetto di creati-vità, tuttavia l’innovazione non coincide con la creatività, è qualcosa di più. La creatività è un processo che porta a generare idee nuove e originali. La creatività non è privilegio di pochi e non richiede ‘istruzione’ per essere usata, in altre parole chiunque può essere creativo. Non vi sono restrizioni al campo di applicazione della creatività, perché la creatività ha a che fare con il pensiero e il suo strumento primario è l’immaginazione. L’innovazione per le imprese è un processo un po’ più strutturato rispetto a quello creativo. Partendo da una nuova idea, è re-sponsabilità di una o più persone all’interno di un’impresa o di un consorzio di organizzazio-ni, di aggiungere sostanza (tecnologia, processi, risorse) per produrre qualcosa di concreto, ad esempio un nuovo prodotto o servizio. Quindi il suo strumento primario è la conoscenza.

Le organizzazioni creative sono anche innovative, o viceversa?

 

                                                                                             Organizzazioni creative e innovative

6.3. Le tipologie di innovazione

Il livello di conoscenza legata all’avanzamento tecnico o ad una nuova tecnologia è la dimensione che si considera come misura del grado di novità di un’innovazione. Questo con-cetto apparentemente semplice e universalmente condiviso, è il fulcro di un dibattito molto serrato che fa riferimento alla prospettiva da considerare per definire il grado di innovatività del prodotto, ovvero che cosa cambia, quanto grande deve essere questo cambiamento, e ri-

Organizzazioni che sono creative

ma non innovative

Organizzazioni che sono

innovative ma non creative

40    

spetto a chi deve considerarsi nuovo. Il prodotto o il servizio è da considerarsi nuovo perché, per esempio, il suo costo è più

basso, le sue caratteristiche sono migliorate, ha delle proprietà che prima non aveva, o addirit-tura è un prodotto che non esisteva nel mercato. Su tale tema è possibile adottare una duplice prospettiva, a livello macro e a livello micro.

Da un punto di vista macro, l’innovatività è la capacità di una innovazione di creare uno spostamento nel paradigma scientifico-tecnologico dominante o una modificazione della struttura del mercato di un settore.

Da un punto di vista micro, l’innovatività è la capacità di un’innovazione tecnologica di influenzare l’insieme esistente di risorse di marketing, tecnologiche, di knowledge, di capacità e di strategia di un’impresa.

Le tipologie di innovazione

In merito alla grandezza del cambiamento tecnologico nel tempo si sono adottate una se-

rie di definizioni che fanno riferimento al grado di significatività dell’innovazione. Le innovazioni possono essere di prodotto, di processo, di organizzazione. Le innovazioni di prodotto sono identificabili come tipologie di prodotto fondamental-

mente differenti, in grado di offrire un vantaggio significativo in termini di costo, qualità o prestazioni rispetto a prodotti già presenti nel mercato, si pensi alla penna a sfera, al forno a microonde o al personal computer. Alcuni esempi nel Riquadro III.16.

 

Innovazione  

Prodo7o  

Organizzazione  Processo  

• Introduzione di un bene o servizio, nuovo o considerevolmente migliorato, per ciò che riguarda le sue caratteristiche o gli usi per cui è concepito, compresi migl ioramenti sostanzial i nel le caratteristiche tecniche, nei componenti e materiali, nel software incorporato, nella facilità d'uso o di altre caratteristiche funzionali (InnoSkills).

Innovazione di prodotto

41    

Casi di innovazione di prodotto GEOX Mario Moretti Polegato porta tranquillamente avanti l’azienda vinicola di famiglia. Un giorno, mentre fa jogging negli USA, si è fa una domanda semplicissima: “perché le mie scarpe da corsa non fanno respirare il piede?”. Inizialmente buca le suole con un coltellino svizzero e, tornato in Italia, non dimentica l’idea, anzi decide di in-traprendere una nuova avventura imprenditoriale, creando così Geox, “la scarpa che respira”, con solo cinque ragazzi neolaureati come dipendenti. In questo modo Polegato è diventato il settimo uomo più ricco d’Italia e ha

creato una rete di 1150 negozi monomarca, circa 11.000 punti vendita multimarca ed è presente in 103 Paesi.JACUZZI Nel 1943 Kenneth Jacuzzi, figlio di Candido, immigrato italiano in California e cofondatore della Jacuzzi Bros., sviluppa una grave forma di artrite reumatoide. Il padre, notando che le sessioni idroterapiche in ospedale contri-buiscono ad alleviare le pene del ragazzo, realizza la prima pompa ad immersione che sintetizza gli effetti cura-tivi dell’idroterapia, consentendo così a Kenneth di proseguire con i trattamenti idroterapici nella propria abita-zione. Il progetto di Candido viene rielaborato dal nipote Roy, che progetta una vasca con bocchette integrate e

un sistema idromassaggiante. La base di ogni modello Jacuzzi. Ormai è sinonimo di lusso in tutto il mondo.CORNETTO ALGIDA Fino a metà Novecento, il gelato rendeva spesso il cono fradicio e molle. Un gelataio di Napoli, Spica, inventa il rivestimento interno grazie all’elaborazione di un processo in cui l’interno del wafer viene isolato dal gelato gra-zie ad uno strato di olio, zucchero e cioccolato. Inizialmente non è un grande successo, ma la Unilever compra il brevetto e inizia la commercializzazione del prodotto in tutto il mondo con il marchio Algida. Ora Cornetto è

uno dei gelati più amati al mondo.Tratte da www.smaertweek.it

Le innovazioni di processo, invece, sono modi fondamentalmente diversi di realizzare un

prodotto che consentono di abbattere in maniera significativa i costi di produzione e di innal-zare corrispondentemente la qualità del prodotto realizzato, si pensi per esempio a quanto la tecnologia digitale abbia influenzato e rivoluzionato la produzione cinematografica degli ul-timi anni. Un caso di innovazione di processo viene proposto nel Riquadro III.17.

 

NICE SpA – Automazioni per una casa intelligente: un caso di innovazione di processo

In un mondo in cui la cultura del fare tende a manifestarsi prevalentemente in un prodotto, Lauro Buono ha intui-to prima di altri che la creazione del valore si sarebbe progressivamente spostata verso le fasi finali della catena del valore, quelle più prossime ai consumatori finali. La conseguenza di questa intuizione è stata la scelta di dare in outsourcing, ad artigiani e imprese del distretto veneto, tutte le fasi di produzione, anche se questa scelta com-portava la minaccia di impoverire l’impresa dal punto di vista delle competenze tecniche legate al processo pro-duttivo. In virtù della modalità innovativa con cui è stato realizzato questo processo di outsourcing, questa mi-nacci si è di fatto tradotta in una opportunità. Innanzitutto, Nice ha organizzato un centro Ricerca e Sviluppo con due specializzazioni in applicazioni elettroniche ed applicazioni elettrotecniche, guidate da due dirigenti di alto

• Implementazione di un metodo di produzione o distribuzione, nuovo o considerevolmente migliorato, incluse variazioni rilevanti nelle tecniche, nella tecnologia, nelle attrezzature e/o nel software (InnoSkills).

Innovazione di processo

Riquadro III.16

Riquadro III.17

42    

profilo, che risultasse il fattore di sviluppo di tutta l’innovazione di processo e di prodotto. Il lavoro dei fornitori è stato organizzato in modo tale che nessuno di essi fosse coinvolto in più di una singola fase di attività, ma svi-luppando con loro una relazione forte, basata sulla ricerca della reciproca convenienza. Questa ricerca di recipro-ca convenienza è progredita fino a tradursi nella formulazione di contratti in cui gli investimenti in macchinari sono sostenuti direttamente da Nice e concessi ai fornitori in comodato d’uso. Infine, Nice si è dotata di un si-stema informativo in grado di programmare e controllare tutte le attività svolte esternamente. In questo modo, essa ha mantenuto una struttura in grado di accumulare velocemente competenze tecniche di processo e prodotto, è rimasta posizionata sulla frontiera dell’innovazione tecnologica nelle applicazioni elettrotecniche ed elettroni-che e, allo stesso tempo, ha potuto sviluppare una elevata flessibilità di produzione. Tratto da InnoSkills – Innovation Skills for SME’s e Confindustria lxl

L’innovazione organizzativa assume rilevante significato nell’attuale periodo storico ca-

ratterizzato – come più volte ricordato – da elevata dinamicità e incertezza e, soprattutto dal fatto che le imprese operano in una realtà complessa. L’esigenza di realizzare innovazioni nell’organizzazione delle attività d’impresa è proprio determinata dalla necessità di individua-re continuamente nuove modalità di progettazione e gestione delle reti normative e compor-tamentali idonee allo svolgimento delle attività nel terzo millennio. Infatti, l’innovazione or-ganizzativa si differenzia dalle altre possibili modifiche organizzative poiché caratterizzata dall’implementazione di un metodo organizzativo che non è mai stato applicato in precedenza dall’impresa. Esempi di innovazione organizzativa vengono riportati nel Riquadro III.18.

 

Innovazione organizzativa: esempi Possono rientrare in tale fattispecie di innovazione sia le procedure di valorizzazione del personale, sia quelle per la fidelizzazione del consumatore, quali ad esempio sistemi di istruzione e formazione. Inoltre, si possono con-siderare appartenenti a tale ambito innovativo l’introduzione (la prima volta) di sistemi di gestione delle opera-zioni di produzione o fornitura, per esempio i sistemi di gestione della catena di approvvigionamento, la reinge-gnerizzazione aziendale, la produzione “snella” (lean production) e i sistemi di gestione della qualità. Un esempio di lean organization: un’impresa produttrice di macchine da caffè (Provincia di Bologna) Il progetto ha come obiettivo la ristrutturazione delle operation per migliorare la risposta al mercato e, soprattutto per consentire all’impresa l’affidabilità nelle consegne, aspetto ritenuto indispensabile per posizionarsi nel mer-cato nella sfera dei grandi gruppi internazionali. Il progetto Lean interviene su due aree: - l’area delle operation: l’obiettivo è quello di portare le 15 linee di montaggio a flusso con la logica pull, tirata

direttamente dall’ordine del cliente (senza magazzino di prodotto finito), intervenendo sui fornitori per ridurre i vincoli (lotti – consegne) e i costi (razionalizzazione tecnologica), razionalizzando i flussi di materiali con i fornitori strategici al duplice scopo di ottenere cost reduction e riduzione dei tempi di attraversamento; - lo sviluppo del prodotto: un progetto di Lean Design per le nuove linee di prodotto che ha portato alla genera-

zione di 3 brevetti internazionali, la presentazione al mercato delle nuove linee entro i tempi previsti (6 mesi), l’introduzione fin dalla fase di progettazione di tutti i criteri che ne semplificano il processo di produzione e montaggio (con riduzione dei tempi uomo per macchina di circa il 40%.

Tratto da InnoSkills

•  Implementazione di un nuovo metodo o r g a n i z z a t i v o n e l l e p r a t i c h e commerciali dell'impresa, nel luogo di lavoro, nell'organizazzione e nelle relazioni esterne (InnoSkills).

Innovazione organizzativa

Riquadro III.18

43    

Un ulteriore aspetto interessante da rilevare è che nelle classificazioni più comuni, le in-novazioni vengono distinte in “innovazioni radicali” determinate da eventi discontinui in grado di rivoluzionare i paradigmi tecnologici dominanti, e che determinano un cambiamento che spazza via molti degli investimenti compiuti dalle imprese in termini di competenze tec-niche e sapere, tecniche produttive e di progettazione; si pensi all’emergere di Internet, all’invenzione del telefono, o alla macchina a vapore, e “innovazioni incrementali” quali mi-glioramenti, adeguamenti che possono verificarsi come risultato dell’attività di ricerca e svi-luppo, del processo produttivo o per iniziative e proposte da parte degli stessi utilizzatori e ti-pici dei prodotti allo stato già avanzato del ciclo di vita.

In alcuni casi è possibile proporre una categorizzazione a tre livelli che distingue le inno-vazioni in relazione ad una “alta”, “moderata” e “bassa” innovatività. Un prodotto altamen-te innovativo fa riferimento ad un prodotto nuovo per il mercato e l’impresa; un prodotto mo-deratamente innovativo indica prodotti nuovi per le esistenti linee produttive; mentre un pro-dotto poco innovativo si caratterizza per modificazioni che determinano riduzione nei costi di produzione o semplicemente un nuovo posizionamento sul mercato.

La capacità delle imprese, già presenti e affermate nel mercato, di introdurre e sfruttare una innovazione, così come quella delle imprese nuove entranti, è di norma relazionata al fat-to che l’innovazione sia incrementale o radicale. Le innovazioni incrementali introducono ge-neralmente cambiamenti relativamente piccoli rispetto ai prodotti e ai processi esistenti e, per tale ragione, spesso, consolidano la posizione sul mercato delle imprese leader. Le innovazio-ni radicali, che al contrario sono basate su una differente strutturazione delle conoscenze e dei principi scientifici e su un sapere parzialmente o totalmente nuovo, generano con la loro in-troduzione, la creazione di nuovi mercati e, spesso favoriscono l’affermazione di nuove im-prese. Di norma, le innovazioni che sfruttano le competenze già acquisite creano vantaggi per le imprese esistenti e affermate; al contrario, le innovazioni che si fondano su competenze po-tenzialmente originali il più delle volte, danno origine a opportunità per le imprese nuove nel mercato. Ecco dunque per quali ragioni le innovazioni radicali creano generalmente difficoltà alle imprese già presenti e affermate nel mercato e possono rappresentare il trampolino di lan-cio, la base del successo e dell’affermazione per nuove imprese, determinando la conseguente ridefinizione degli assetti di un settore industriale.

Mettendo in relazione le considerazioni fin qui esposte, è possibile trarre alcune valuta-zioni. Le innovazioni radicali possono essere, di norma, classificate come innovazioni che causano discontinuità sia ad un livello macro che ad un livello micro. Le innovazioni incre-mentali si verificano solo ad un livello micro. Esistono poi un insieme di innovazioni che si situano a metà strada tra questi due estremi. Si tratta, ancora una volta, di opzioni che al loro interno ne ammettono altre e che in una analisi non possono risultare disgiunte dall’esame complessivo dei processi di innovazione.

6.4. Una riflessione d’insieme

Il quadro che emerge da queste brevi considerazioni sulle dimensioni esplicative è che il tema dell’innovazione per le imprese ha bisogno di essere affrontato all’interno di un contesto di crescente interdipendenza e complessità, che metta al centro il ruolo dei soggetti all’interno dell’impresa.

Se si parte dalla considerazione di base che tutte le organizzazioni, e quindi anche le im-prese, sono collettività di soggetti umani i quali insieme svolgono attività specificatamente fi-nalizzate, ci si rende immediatamente conto di come la centralità dei soggetti umani nell’analisi organizzativa costituisca un valore e una potenzialità per l’approfondimento delle tematiche legate all’innovazione tecnologica e non.

L’elemento dominante di questa prospettiva è costituito dai soggetti che sono importanti,

44    

non soltanto per il loro lavoro, ma anche, e forse soprattutto, per il loro “sapere”, inteso nelle varie espressioni di sapere cognitivo, di saper fare e di sapere relazionale. Tale considerazione è legata al fatto che ad avere rilievo per l’innovazione sono le conoscenze: il “sapere cogniti-vo”, che provvede ad interpretare la realtà e a cogliere eventuali opportunità di innovazione, il “saper fare” che consente di affrontare in modo efficace i problemi nuovi che si pongono e, infine, il “sapere relazionale”, che consente di operare con gli altri soggetti, coordinare cono-scenze differenti ed è essenziale per l’esistenza di un efficace sistema di relazioni.

In tal senso, la considerazione appena sviluppata conduce alla conclusione che, per ogni impresa, il successo o l’insuccesso in tema di innovazione tecnologica è connesso con le ca-ratteristiche dei soggetti umani che la compongono e delle relazioni che si instaurano tra essi e con l’ambiente esterno. È evidente, a tal proposito, che per ogni soggetto che opera all’interno dell’impresa che innova, si pone il problema di sollecitare nel modo più adeguato possibile le doti di creatività, flessibilità e vitalità .

Questo approccio all’innovazione, in senso lato, pone al centro del processo innovativo le persone, non come fattori o risorse produttive, ma nella loro complessa realtà multidimensio-nale, senza relegare il fenomeno dell’innovazione alla volontà eroica di un unico soggetto, l’imprenditore innovatore (di schumpeteriana memoria), ma evidenziando come tutti i sogget-ti umani appartenenti all’impresa, in modo e per gradi diversi, siano coinvolti nei processi in-novativi. È possibile su tali basi valorizzare le differenze presenti all’interno delle imprese e costruire dinamicamente le conoscenze e competenze adatte a sostenere le strategie innovati-ve. Nel momento in cui le modificazioni del sapere globale divengono fondamentali per un processo di innovazione, poiché i soggetti umani ne sono gli artefici, è nei loro riguardi che deve essere riposta la maggiore attenzione per comprendere le condizioni d’impresa e d’ambiente alla base dell’innovazione.

In merito a quest’ultimo punto, assume importanza il fatto che i soggetti umani, parte dell’impresa che innova, sono allo stesso tempo soggetti che appartengono anche all’ambiente di riferimento dell’impresa stessa, e da questo traggono stimoli e condizionamenti. Questa duplice appartenenza ha le sue implicazioni anche in tema di innovazione, perché, indipen-dentemente da ogni altra circostanza, l’ambiente esercita sull’impresa un sistema di vincoli, condizionamenti e opportunità in grado di condizionarne l’attività innovativa. Il modo di con-cepire ed attuare i rapporti di interazione fra impresa e ambiente, costituisce senza alcun dub-bio il tratto essenziale per penetrare le dinamiche innovative che condizionano le imprese. In altri termini, come conseguenza della forte interrelazione evidenziata tra l’ambiente e l’impresa, si crea un forte condizionamento tra i caratteri dell’uno e dell’altra, ovvero se l’ambiente si caratterizza in relazione a determinati valori è possibile che le imprese radicate in tale ambiente risultino permeabili a tali valori.

La relazione esistente tra la capacità innovativa delle imprese e l’ambiente dove le impre-se operano è un argomento centrale negli studi d’innovazione. La sostenibilità del sistema d’innovazione locale è stata legata alle politiche imprenditoriali e istituzionali di ricerca di ba-se e applicata, ai vantaggi di aggregazione in cluster, ad effetti di spillovers derivanti dalle agglomerazioni, ad una ritardata diffusione internazionale della conoscenza e ai processi di diffusione delle conoscenze e delle competenze. Malgrado possa sembrare per certi versi pa-radossale, in un mondo sempre più globale, il vantaggio competitivo delle imprese è comun-que legato strettamente al dinamismo del sistema locale dell’innovazione.

Di seguito si presenta la tabella stilata dal Boston Consulting Group che indica le 50 im-prese più innovative del 2014.

45    

Nel Riquadro III.19, inserito di seguito, è data particolare rilevanza alle prime 10 imprese più innovative dell’anno 2014.

Le più innovative imprese nel mondo - 2014

 1  

Apple  

 

 6  

Amazon  

 

 

2  Google  

 

 

 7  

Tesla  Motors    

 3  

Samsung  

 

 8  

Toyota  Motor  

   4  

Microsoft    

 9  

Facebook    

 5  

IBM  

 

 10  Sony  

 

 

Fonte: Boston Consulting Group, 2014  

Riquadro III.19

46    

Note di chiusura

                                                                                                                         1 E. Morin, La Méthode III. La connaissance de la connaissance, Seuil, Paris, 1986 (trad.it., La conoscenza della

conoscenza, Feltrinelli, Milano, 1993, pag. 15). 2  E. Morin, La conoscenza della conoscenza, op.cit., pag. 16).  3  H. Maturana, F. Varela, L’albero della conoscenza. Un nuovo meccanismo per spiegare le radici biologiche

della conoscenza umana, Garzanti, Milano, 1987, pag. 147-148. 4  A tal proposito si può ricordare che “Nella polemica fra empirismo e razionalismo, fra chi sostiene che la men-

te alla nascita sia una tabula rasa e l’esperienza è ciò che ne permette lo sviluppo, e chi crede invece che esi-stano idee innate, il comportamentismo ha certamente optato per la prima posizione, come dimostra l’importanza data da questa impostazione agli studi dell’apprendimento. Contro questo atteggiamento, il cogni-tivismo fa riferimento, è vero, alla tradizione del pensiero razionalista, ma questo non lo conduce alla negazio-ne dell’importanza dell’esperienza; al contrario, l’interazione con l’ambiente è vista dai cognitivisti, a differen-za dei comportamentisti, come partecipazione attiva ad esso e l’instaurarsi di relazioni sociali e affettive con le persone che lo circondano sono considerate condizioni indispensabili per lo sviluppo del bambino. L’innatismo dei cognitivisti sta invece nella convinzione che, per quanto ricchi, gli stimoli dell’ambiente non sono suffi-cienti a determinare l’acquisizione di certe capacità, per spiegare le quali occorre ipotizzare una predisposizio-ne innata”. P. Tabossi, Intelligenza naturale e intelligenza artificiale. Introduzione alla scienza cognitiva, Il Mulino, Bologna, 1994, pag. 124.

5 H. Maturana, F. Varela, L’albero della conoscenza. Un nuovo meccanismo per spiegare le radici biologiche della conoscenza umana, op. cit. pag. 31.  

6 E. Morin, La conoscenza della conoscenza, op. cit., pag.235. 7 Commissione Europea, Insegnare e apprendere. Verso la società conoscitiva, Bruxelles, 1995, pag.5. 8    A. Camuffo, Competenze. La gestione delle risorse umane tra conoscenza individuale e conoscenza organizza-

tiva, Economia & Management, n. 2, 1996, pag. 67.  9 I. Nonaka, Come un’organizzazione crea conoscenza, Economia & Management, n. 3, 1994. 10 I. Nonaka, Come un’organizzazione crea conoscenza, op. cit., pag. 34. Un’altra accezione di learning organi-zation è quella adottata da Senge per il quale la learning organization è un’impresa che si avvale di cinque disci-pline di cui la quarta è il “pensiero sistemico” che lega insieme tutte le altre evidenziando soprattutto le interrela-zioni e non le catene lineari di causa-effetto. P. M. Senge, The fifth discipline, Bantam Doubleday Dell Pu-blishing Group, Inc. 1990. 11 JACKSON, S.E., MAY, K.E., WHITNEY, K. 1995. Under the dynamics of diversity in decision-

making teams. In R.A. Guzzo & E. Salas (Eds), Team effectiveness and decision making in organi-zations: 204-261. San Francisco: Jossey-Bass.

12 JACKSON, S.E., MAY, K.E., WHITNEY, K.. 1995. (op.cit.) 13 VAN KNIPPERBERG, D., DE DREU, C.K.W., HOMAN, A.C. 2004. Work group diversity and group

performance: An integrative model and research agenda. Journal of Applied Psychology, 89: 1008-1022.

14 VAN KNIPPERBERG, D., DE DREU, C.K.W., HOMAN, A.C. 2004. (op.cit.) 15 VAN KNIPPERBERG, D., DE DREU, C.K.W., HOMAN, A.C. 2004. (op.cit.) 16 Si noti a tal proposito quanto afferma la Commissione europea nello studio indipendente “Costi e

benefici delle politiche della diversità nelle imprese” (2003). Tale studio, basato su un’indagine condotta con la partecipazione di oltre 200 imprese di diverse dimensioni, ha messo in luce una se-rie di vantaggi della diversità correlati alla reputazione, al capitale umano e all’eliminazione dei co-sti relativi alla discriminazione e alle molestie sul luogo di lavoro. Da tale ricerca, tuttavia, è emer-so il problema della resistenza al cambiamento e della mancanza di consapevolezza da parte delle imprese dei benefici della diversità. Ulteriori approfondimenti si trovano in altre pubblicazioni del-la Commissione europea, tra le quali: “Libro Verde. Uguaglianza e non discriminazione nell’Unione Europea allargata”, 2004; “International perspectives on positive action measures, 2009; “Continuing the diversity journey. Business practices, perspectives and benefits”, 2008; “La diversità sul luogo di lavoro. Una guida per le PMI”, 2009.

47    

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                           17 HALL, S. 2000. “Conclusion: The Multi-cultural Question”, in B. Hesse (ed.) Un/settled Multicul-

turalism. Diasporas, Entanglements, Transruptions, Zed Books, London, pp. 209-241 and Hall, S. 2006, Politiche del quotidiano. Culture, identità e senso comune, Il Saggiatore, Milano.

18 COLOMBO, E. 2007. Differenze, disuguaglianze, identità: dalle politiche della differenza a pratiche di multiculturalismo quotidiano, Paper AIS – Capire le differenze.

19 THOMAS, D. AND ELY, R. 1996. Making differences matter: a new paradigm for managing diversi-ty, Harvard Business Review, pp. 9-10.

20 THOMAS, R. 2006. Building on the promise of diversity: how we can move to the next level in our workplace, our communities, and our society. American Management Association: New York.

21 KEIL, M. ET AL. 2007. Manuale di formazione sul Diversity Management, Commissione Europea: Lussemburgo.

22 Le azioni positive sono iniziative poste in essere per eliminare gli effetti delle discriminazioni. ROOSEVELT, R. T. 2004. Diversity Management and Affirmative Action: Past, Present and Future, Thomas R. & Associates, Inc. In Europa, la diffusione delle azioni positive è relativamente limita-ta, mentre è molto diffusa in America, in relazione alla contemporanea presenza di un numero mol-to elevato di etnie. Il principale motivo che spinge i governi ad attuare tali iniziative è strettamente legato all’ineguale trattamento nel posto di lavoro oppure alla mancata possibilità di accedere al mondo del lavoro. Si ricordino a tal proposito le azioni legate alla Pari Opportunità, alle cosiddette quote rosa, etc.

23 BELLARD, E. AND RULING, C. 2001. Reflections and Projections of Boundaries in the Diversity Management Discourses in the United States, France, and Germany, paper presentato al 17^ EGOS Colloquium, Università di Genova, Genova, 5-7 luglio.

24 SESSA V.I. 1992. “Managing Diversity at the Xerox Corporation: Balanced Work Force Goals and Caucus Groups”, in Jackson S.E. (ed.), Diversity in the Workplace, The Guilford Press, New York: pag. 37.

25 COX T.H. 1991. The Multicultural Organization, Academy of Management Executive, Vol. 5, pagg. 34-47.

26 LARKEY L.K. 1996. Toward a Theory of Communicative Interactions in Culturally Diverse Workgroups, Academy of Management Review, n.21, pagg. 463-491.

 27 BARNARD C. J. (1938), The Function of the Executive, Harvard University Press, Ma. 28 CLARK J.M. (1939), Social control of business, McGraw-Hill, New York. 29 KREPS T.J. (1940), Measurement of the Social Performance of Business, in An investigation of

Concentration of Economic Power for the Temporary National Economic Committee, (Monograph n. 7), U.S. Government Printing Office, Washington D.C.

30 CARROLL A. B. (1999), “Corporate Social Responsibility. Evolution of a Definitional Construct”, in Business and Society, September 1999, vol. 38, n. 3.

31 WALTON C.C. (1967), Corporate Social Responsibility, Belmont, Ca., Wadsworth. 32 MC GUIRE J.W. (1963), Business and Society, McGraw-Hill, New York. 33 Per un’ampia rassegna storica sulla questione definitoria della responsabilità sociale dell’impresa

Cfr. CARROLL A. B. (1999), “Corporate Social Responsibility. Evolution of a Definitional Con-struct”, in Business and Society, September 1999, vol. 38, n. 3 DE SANTIS G., Responsabilità so-ciale, in Caselli L. (a cura di), Le parole dell’impresa, F. Angeli, Milano, 1995; DI TORO P. (1993), L’etica nella gestione d’impresa, Cedam, Padova.

48    

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                           34 FRIEDMAN M. (1983), The Social Responsibility, in Beauchamp T. L. e Bowie N.E., Ethical Theory

and Business, 2nd ed., Englewood Cliffs, N.J., Prentice Hall, Inc. 35 CARROLL A. B. (1999), “Corporate Social Responsibility. Evolution of a Definitional Construct”,

in Business and Society, September 1999, vol. 38, n. 3. 36 AUPPERLE K.E., CARROLL A. B., HATFIELD J.D. (1985), “An Empirical Investigation of the Rela-

tionship between Corporate Social Responsibility and Profitability”, in Academy of Management Journal, n. 28.

37 CARROLL A. B. (1999), “Corporate Social Responsibility. Evolution of a Definitional Construct”, in Business and Society, September 1999, vol. 38, n. 3.

38 SETHI S. P. (1975), Dimension of Corporate Social Performance: an Analytical Framework, in California Management Review, Spring, Vol. XVII, n. 3

39 DEGLI ANTONI G., SACCONI L. (2009), Responsabilità Sociale d’impresa, in Bruni L., Zamagni S. (a cura di), Dizionario di Economia Civile, Città Nuova, Roma.

40 ZAMAGNI S. (2005), La critica delle critiche alla CSR e il suo ancoraggio etico, in SACCONI L. (a cura di), Guida critica alla Responsabilità sociale e al governo d’impresa, Bancaria editrice, Ro-ma.

41 ARGIOLAS G. (2007), Management della conoscenza e orientamento sociale delle organizzazioni, Dispensa ad uso esclusivo degli studenti, Università degli Studi di Cagliari.

42 COMMISSIONE EUROPEA, 2001. 43 OECD (2001), Corporate Social Responsibility, Partners for Progress, Paris. 44 GIUDICI E. (1997), I mutamenti nelle relazioni impresa-ambiente, Giuffrè editore, Milano; GIUDICI

E. (1992), Le nuove prospettive per l’efficienza e l’efficacia delle imprese, G. Giappichelli ed., To-rino.

45 CASELLI L. (2004), “Ethics in Organization: Theory and Practice”, Rivista di Politica Economica, January-February, n. I-II.

46 KLONOSKY R. J. (1991), “Foundational Considerations in the Corporate Social Responsibility De-bate”, in Business Horizons, July-August.

47 USAI G. (2002), Le organizzazioni nella complessità, Cedam, Padova. 48 ARGIOLAS G., CABRAS S., DESSÌ C., FLORIS M. (2009), “Challenges for New Models of Territorial

Governance: Learning from the Experience of Italian LAGs”, in Solomon G.T. (Edt.) Proceedings of the Sixty-Nine Annual Meeting of the Academy of Mangement (CD), ISSN 1543-8643, Best Paper. Academy of Management Meeting “Green Management Matters”, Chicago (Illinois) Au-gust, 7-11 2009

49 BARNARD C. J. (1938), The Function of the Executive, Harvard University Press, Ma. 50 CROZIER M. (1992), E’ vincente l’impresa che impara ad ascoltare, Intervista a cura di Libelli M.,

in L’Impresa, n. 2. 51 BRUNI L., ZAMAGNI S. (2004), Economia Civile, Il Mulino, Bologna. 52 La letteratura su questo tema è ampia e risale a SCHUMPETER J.A. (1934), The Theory of Economic

Development, Harvard University Press, Cambridge; Denison E.F. (1962), The Sources of Econom-ic Growth in the US and the Alternatives Before US, Commitee for Economic Development, New York; Carré Dubois M. (1975), La croissance française, Seuil; Harberger A. (1984), Basic Needs Versus Distributional Weights in Social Cost-Benefit Analysis, in Economic Development and Cul-tural Change, 32, 3; Franko L.G. (1989), Global Corporate Competition: Who’s Winning, Who’s Losing, Strategic Management Journal, 10, 5, 449-474.

49    

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                           53 Il termine Browser (letteralmente “lo scorri pagine”) fa riferimento al programma che permette la

visualizzazione delle pagine Web e l’utilizzo di tutti quei molteplici servizi offerti dalla navigazio-ne in rete. I browser sono in continuo sviluppo e non sono più strettamente legati alla sola consulta-zione di pagine ipertestuali presenti in Internet; per fare alcuni esempi è possibile utilizzare un na-vigatore web per vedere dei brevi filmati mpeg, interagire con programmi Java, ascoltare la radio, consultare basi di dati, etc.

54 PORTER M.E. (1980), Competitive Strategy, The Free Press, New York; (1985), Competitive Ad-vantage, The Free Press, New York.