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Elaborazione testi e raccolta materiale Chiara Calcagno, COOPERATIVA IN@RETERealizzazione grafica Patrizia RubinoStampa ME.CA. Recco (Genova) - Febbraio 2003

Iniziativa realizzata con il contributo della Provincia di Genova, finanziata con fondi delegati dalla Regione Liguria

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Ripari dei nostri montiA cura di Adriano Biamonti

COMUNITÀ MONTANA ARGENTEAARENZANO • COGOLETO • MELE

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La Comunità Montana Argentea comprende i territori di tre comuni: Arenzano, Cogoleto e Mele.L’Ente si occupa, tra le altre competenze, di gestire, tutelare e valorizzare, un patrimonio ambientale enaturale di gran pregio.Per promuovere le attività relative al Turismo Escursionistico, si è da tempo attivata una politica di intervento volta al recu-pero dell’entroterra.Si è pertanto cercato di compiere azioni di valorizzazione che hanno portato alla ristrutturazione di alcuni antichi ripari, allacreazione di nuovi, anche appoggiando il lavoro dei volontari.Il fatto di condividere una frazione del territorio con il Parco del Beigua permette di attuare interventi in sinergia con lo stesso.Dopo anni di intenso lavoro in questo campo, è sembrato opportuno raccoglier in un volume fotografie e storie per capire l’im-portanza dell’attività rurale che si svolgeva sui monti a poca distanza dal mare.Anche grazie al contributo della Provincia di Genova, è nato “Ripari dei nostri monti”, rivolto agli escursionisti e a chiunquealtro desideri conoscere ciò che del passato ci è rimasto.È un tentativo di poter presentare la ricca realtà naturale e quanto è stato prodotto con secoli di duro lavoro, a tutti coloroche conoscono il nostro territorio prevalentemente per il mare.Questo attivo impegno, profuso da sempre da questo Ente nel campo ambientale e della difesa del suolo, ha permesso allaComunità Montana Argentea di ottenere, nel mese di Gennaio 2003, l’ambita certificazione di conformità ai requisiti della nor-mativa UNI EN ISO 14001/96.

IL PRESIDENTEMauro Cavelli

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Introduzione“I ripari dei nostri monti”, è un volumepensato e realizzato con lo scopo di racco-gliere fotografie e testi riguardanti appuntole strutture che si trovano nel nostro entro-terra e che, dopo aver assolto alle loro fun-zioni originarie per tanto tempo, oggi dialcuni sono rimasti solo i muri, muti testi-moni della cultura rurale, altri sono validipunti di sosta, anche notturna, per chi liraggiunge. Il formato scelto per il libro è un indizioimportante, poiché rimanda proprio allaforma che hanno gli album fotografici.Il lavoro si è concentrato in modo particola-re sulla volontà di far conoscere, attraversofotografie e disegni, i ripari del nostro terri-torio. Certo la ricerca iconografica è stataseguita in modo particolare, per potercogliere e far cogliere, il maggior numeropossibile di particolari che, da ogni figuraemergono.Per quanto riguarda i testi, la maggior partedelle informazioni che contengono sonostate raccolte “oralmente”, cioè tramite col-loqui - interviste avuti con chi custodiscenella sua memoria le notizie riguardanti i“nostri” ripari. Ci si è inoltre avvalsi del-l’aiuto di chi i ripari li conosce bene e se neprende cura.

Leggendo i testi che accompagnano granparte dei ripari presi in considerazione siincontrano tante persone – personaggi: lamaggioranza di loro aveva un soprannome egià questo è un elemento che ci fa entrarein confidenza, le loro storie sono tuttediverse ma è straordinaria la quantità di“cose” che le rende simili l’una alle altre. I nomi che venivano dati ai ripari eranolegati a quelli della località o delle personeche li avevano costruiti. E questo era unmodo per dare un’anima anche a quattromura e un tetto.Al termine delle pagine con i ripari, ce nesono alcune occupate dalla cartina, in scala1:15000, già edita alcuni anni fa dallaComunità Montana Argentea. Su di essa sitrovano i ripari descritti nel libro e anchequelli che nel libro non ci sono e i sentieri ele strade che li raggiungono…per chi voles-se toccare con mano quanto mostrano lefotografie.

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I ripari dei nostri monti sono il segnalibro diuna storia quasi dimenticata. La storia ditante generazioni che prima di noi hannovissuto in questo territorio con quelle quat-tro cose che c’erano e ci sono ancora oggi:pietre, vegetazione, acqua animali. E ilcielo.Una lotta che mette in gioco la forza d’ani-mo delle persone, la volontà di stare almondo “come si deve”. Ecco spiegato come sipoteva dispiegare tante energie per realizza-re, a noi oggi sembra, opere così modeste emirabolanti: muri alti 10 metri e più conpietre di 20 q.li per sorreggere un sentieroper muli, grandi case di due piani come ilLeveasso – Padre Rino o il Saiardo Ghilwellposte a 900 metri di quota.Ma quanta passione! Faticare ma avere cura.Della cattura degli uccelli con i sui riti. Dicostruire la vasca per l’acqua. Di far nascereil vitello. Faticare per non far mancare nien-te alla famiglia.Chi saliva sui monti doveva “essere a posto”.Il lavoro che si prospettava ai contadiniduro e faticoso, con donne e bambini di cuiera responsabile, li obbligava a trovare solu-

zioni pratiche per ripararsi dal maltempospesso inclemente a quelle quote e conimprovvisi cambiamenti.Con questa “grinta” i contadini, a voltemuratori di mestiere, sono stati spessocostruttori, ed hanno dato vita ad unacostellazione di ripari che, almeno fino al

La raccolta del latte

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1950 circa, non hanno mai abbandonato.Dal 1700 circa la necessità spinge i contadi-ni a colonizzare i versanti posti ad altaquota, sfalciando i terreni sassosi liberi davincoli di proprietà: le antiche “comunaglie”.

Successivamente i terreni delle comunaglievengono venduti e si da inizio alla coloniz-zazione del territorio con I falciatori d’erbache posseggono i prati. Sui prati, o nelleimmediate vicinanze, sono sorti i loro ripa-

Un’antica casa contadina: la cucina.

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ri… non tutti i posti andavano bene. Perfare un lavoro “come si deve” si faceva inmodo di costruire la casa esposta al sole, alriparo dal vento e che fosse possibile racco-gliere l’acqua lì vicino. Per costruire si usavaquello che c’era, pietre e legno soprattutto:ci si doveva “dare una botta”. Cioè finirepresto per poter lavorare al sostentamentopresente. E, in questo modo, si creava unaperfetta integrazione del “costruito” conl’ambiente circostante. Un costruito nonperfettamente allineato, realizzato anchequando veniva buio e non si poteva farealtri lavori più indispensabili.Le dimensioni dei ripari non erano certocostanti, soprattutto perché le modalità diutilizzo degli stessi cambiavano di volta involta: alcuni dovevano ospitare le personeper brevi periodi, altri venivano usati anchetutto l’anno. Qualcuno serviva in caso dipioggia o quando il falciatore stanchissimopreferiva fermarsi lì a dormire di notte piut-tosto che ritornare nella casa a valle. Incerte località si trasferivano intere famiglie,altrove un contadino solitario dormiva su unpo’ di fieno d’estate in una casetta…I cosid-

detti “trunè”, ripari così piccoli che ci sientrava in ginocchio, altri che date ledimensioni si possono tranquillamente chia-mare case. Nonostante la singolarità di ognuno deiripari, si può parlare anche di tratti comuni:nell’area in comune di Mele e suoi dintorni

Foto di gruppo sull’aia.

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si trovano le cosiddette Baracche de Pria,piccole costruzioni, caratterizzate dallaforma tronco-conica che richiama i“Nuraghe” sardi o altre costruzioni presentiin diversi paesi nel mondo, accomunate dadue elementi: assenza di legname nellastruttura in pietrame e medesima tecnicacostruttiva e cioè con il tetto ottenutoaggettando le lastre di pietra fino a chiuderela falsa cupola che pertanto scarica il pro-prio peso in verticale sulle pareti perimetra-li, anziché in orizzontale, come avviene congli archi. Sui rilievi di Arenzano e Cogoleto i ripari inpietra hanno tutti, salvo rare eccezioni,forma a parallelepipedo e tetti a uno o duespioventi con struttura lignea appena suffi-ciente a reggere il peso.Nel caso degli edifici più grandi poi, il pianoinferiore della “casa” diventava la stalla, incorrispondenza della quale, al piano superioreera la camera per dormire: il calore degli ani-mali, salendo verso l’alto, garantiva un po’ ditepore…

Dell’attività che si svolgeva trai monti, sui prati di una volta,oggi sono rimasti i ripari e isentieri più o meno conservati.Per tanti anni, dopo che i lavo-ri di fienagione furono abban-donati a seguito del migliora-mento di vita come operaiosalariato in fabbrica, sonorimasti vuoti e lasciati al lorodestino. L’acqua, il vento e iltempo hanno consumato inmolti casi le strutture in legnofacendo crollare il tetto. Maalcuni sono stati recuperatisulla spinta dei nuovi abitantidella montagna:gli escursioni-sti. Alcuni di questi appassio-nati si sono dati molto da farerecuperando direttamente iripari e chiedendo aiuto alleIstituzioni. Ed è così che negliultimi quindici anni si è inizia-ta l’opera di recupero dei ripa-

Nella stalla

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La fienagione: l’erba tagliata viene “radunata”. Poi si formeranno le balle di fieno.

ri. Per l’uomo che sale i monti, escursionista,il riparo trasforma in modo magico un postoselvaggio ed estraneo in un posto sicuro, e lofa diventare “casa”.Il territorio considerato ha in sé tutta la par-ticolarità che rende unica la terra ligure… lapoca distanza che esiste tra le montagne e lacosta permette di raggiungere in poco tempole vette partendo dal mare. Lassù la varietà siriscontra in tutti gli aspetti legati all’ambien-te e si incontrano specie vegetali e animalidiverse, con il clima che anche a brevidistanze cambia spesso.La rete sentieristica curata dalle varie asso-ciazioni di volontari permette di compieredelle camminate in zone particolarmentesuggestive. Molti dei sentieri del nostro ter-ritorio sono gli stessi che compivano i con-tadini quando dovevano trasportare merce oraggiungere i prati per la fienagione e, diconseguenza portano in cima al crinale, pas-sando dai ripari.La possibilità di sostare all’interno dellecostruzioni di pietra dei ripari posti ad alta

quota, al coperto, in un riparo sicuro, con-sente di percepire un ciclo naturale piùcomplesso: un’alba sopra le nuvole, gliuccelli, il mare, …Certo non si può pensaredi racchiudere le emozioni all’interno di unvolume, la carta delle pagine non può sosti-tuirsi al cuore di ognuno di noi. Ma osservando vecchie fotografie potremo

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LA FESTA DEI PRATIIl mese di luglioall’inizio d’estate;che festa di gentea falciare sui prati.Con ferri, falci,bisaccie, rastrellitutte a far fienose il tempo era bello.

Rasata dai ferriche luccicavano al solel’erba cadevabagnata di rugiada.Più tardi i bambinisciorinavano i cumuli.

Il pettirosso cantavacercando le bricioledel pane del mattino.Basse sull’erbale poiane volavano(cacciavano le biscie).Sugli alberi raricri cri di cicale.Fresco nell’ariaprofuno di fieno.Lontanotranquillo,il mare pieno di striscie.

Che festasul pratoa mezzogiornoquando, là in fondospuntava mia madre,nell’involto,nel secchio (del latte)caldo il desinare.Poi sull’erba,all’ombra del pinomio padre recitava“l’Angelus”con noi.Raggiante

mia madre,col mestolo di legnocon garbo, contentaversava nei piattiil buon minestronee focaccette caldeimpastate con la polenta.

Che festasul prato,di fatica, di sudoredi incontridi pace

Giovanni Bolla

A FESTA DI PROEIO méise de lugio all'inizio da stae;che festa de gente a segá in-sci pròei. Con féri, messuîe bisacce, rastelli, tutti a fà fense o tempo o l'éa bello.

Rasá dai feri che luxivan a-o só l'erba a cazzéîva bagná de rosá. Ciú tardi: i figgiéu desfàvan e sbattue.

O peccetto o cantáva çercando e fregòggedo pan da mattin. Basse in-sce l' erba e grivelle xoavan. In-sci erboi réi cri-cri de çigàe. Fresco in-te l' àia profummo de fen. Dà lunxi, tranquillo, o ma, pin de strisce.

Che festa in-sce-o próu a mézogiórno, quando, là in fondo o spontàva mae moae, in-to groppo, e-o stagnòncádo, o disnà. Poi in-sce l'erba, all'ómbra dó pin mae poae, o recitáva "l'Angelus"con niàtri. Raggiante, mae moae, con a cassa de legno, con gàibo, contenta,a versàiva in-ti piatti o bon menestròn e figasette cáde impastae con a polenta.

Che festa in-sce-o próu, de fatiga, de siu de incontri, de pàxe, anche d'amó.

Giovanni Bolla

scorgere negli occhi di chi è venuto prima dinoi i nostri stessi pensieri. Nel gioco dibambini in mezzo a un prato la forza delnuovo che continua… e, entrando in unriparo sentire che anche un monte “un po’selvatico” è casa nostra.

Sarà un po’ come leggere o ascoltare unapoesia che nata per l’emozione di uno toccal’anima di tanti….

Adriano BiamontiResponsabile del Servizio Ambiente della

Comunità Montana Argentea

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Un pastore

Un contadino con grandi cesti per trasportare il fieno.

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