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Page 1: Elementi Di Tettonica

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ELEMENTI DI TETTONICA

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELLA BASILICATA

FACOLTÀ DI SCIENZE MM. FF. NN.

Anno Accademico 1993-94

ELEMENTI DI TETTONICA

Carlo Doglioni

Editrice Il Salice

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1 - INTRODUZIONE

Questo breve testo cerca di dare delle conoscenze elementari di tettonica. In esso vi è una descrizione generale delle strutture tettoniche osservabili nella crosta terrestre ed una descrizione dei principali ambienti dove esse si formano. Scopo della tettonica (dal greco tekton = costruttore) é quello di osservare e descrivere le principali strutture della crosta terrestre e di interpretare come queste strutture si formano. Verrà dato maggior respiro alle deformazioni più superficiali della crosta, cosiddette " fragili" (brittle tectonics),che sono attualmente le più importanti per studi applicativi quali ad esempio la ricerca petrolifera e lo studio delle strutture sismogenetiche. Lo studio della tettonica di una regione va di pari passo con lo studio stratigrafico della stessa; le conoscenze dell'una e dell'altra materia sono complementari per la comprensione della evoluzione geologica di una qualsiasi area. Cosa genera le deformazioni della crosta? Ovviamente ora, con l'evoluzione della teoria della Tettonica delle Placche, sappiamo che i motori di queste deformazioni devono essere cercati all'interno della crosta terrestre, il quale con i suoi movimenti convettivi interni strappa, disloca, trasporta e fa collidere fra di loro le placche litosferiche. A scala ben più piccola, in uno qualsiasi degli ambienti geodinamici che si instaurano a causa di questi imponenti movimenti relativi delle placche, si generano delle forze che provocano le deformazioni della crosta terrestre. Si definisce lo stress, o sforzo (S) come la forza (F) applicata su una unità di superficie (A):

S = F/A Quindi lo stress sarà funzione principalmente della gravità e del particolare ambiente geodinamico in cui si verifica (distensivo, compressivo o trascorrente).

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Lo stress può produrre una deformazione permanente nei materiali della crosta che va sotto il nome di strain: Io strain é quindi l'entità della modificazione nella forma e nel volume di un corpo che é soggetto ad uno stress (Fig.1.1).

Fig. 1. 1 Lo strain é l'entità della deformazione sia in forma che in volume di un corpo soggetto ad uno stress.

Lo stress é quindi la causa delle deformazioni della crosta terrestre, mentre lo strain quantifica queste deformazioni. Ogni ambiente geodinamico avrà quindi un particolare tipo di stress e conseguentemente un particolare tipo di deformazioni: vedremo più avanti per esempio, le associazioni di faglie legate a sistemi distensivi di rifting o quelle generate da sistemi compressivi o trascorrenti. Scopo di questo testo elementare è quello di richiamare l'attenzione di un futuro geologo sui tipi più comuni di deformazioni osservabili nella crosta terrestre a tutte le scale: dalle microstrutture alle catene montuose. Sarà quindi utile memorizzare visivamente le geometrie che verranno man mano proposte nelle figure. A questo proposito sarà proficuo ad esempio ridisegnare su un proprio quaderno le varie strutture. Verranno usati termini inglesi, spesso intraducibili in italiano, anche se si cercherà sempre di darne una traduzione.

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TERMINI TETTONICI DI BASE Supponiamo di avere due masse, una fissa ed una in movimento rispetto all'altra: il movimento indicato dalla freccia (si veda Fig.1.2 ) può avvenire in una qualsiasi direzione, sia in allontanamento che in avvicinamento relativo. Si possono cioè avere tra due corpi (visti per semplicità nelle due dimensioni) tutti i possibili angoli di movimento relativo. Si parlerà di compressione quando i due corpi collideranno l'uno contro l'altro; di estensione quando i due corpi si allontaneranno relativamente l'uno contro l'altro; si parlerà poi di trascorrenza quando i due corpi si muoveranno lateralmente l'uno all'altro e di transtensione (trascorrenza con componente di estensione) e di transpressione (trascorrenza con componente di compressione) nei casi intermedi. Come si può notare non vi è soluzione di continuità nei tipi di movimento relativo: in natura infatti i tipi di tettonica sono molto variabili, ma ricadono tutti in queste principali classi: compressione, transpressione, trascorrenza, transtensione ed estensione.

Fig. 1.2 Principali possibili movimenti relativi tra due masse.

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SCHEMA GENERALE DEI PROCESSI TETTONICI Vediamo ora in una sequenza schematica come si sviluppa una fase tettonica in una regione (da Laubscher 1967). Stadio O - In una data regione agisce solo la forza di gravità; ci si trova in un campo elasto-statico; il rilassamento dei corpi avviene sotto pressioni litostatiche; i corpi rocciosi sono stabili e la loro struttura è funzione delle geometrie ereditate da precedenti processi esogeni che ne hanno condizionato l'assetto stratigrafico, e processi endogeni che ne hanno costruito una eventuale deformazione. Stadio 1 - Nella regione inizia ad agire un nuovo piccolo stress; le nuove forze agiscono in modo condizionato dalle geometrie ereditate; la regione è soggetta ad un campo elasto-statico teso, ma è ancora stabile. Stadio 2 - Lo stress aumenta notevolmente; si sviluppa instabilità all'interno della regione; in funzione della reologia delle rocce si sviluppano rotture e faglie, piegamenti, o scorrimenti plastici e viscosi; la regione è staticamente instabile e viene scomposta da un sistema di fratture la cui geometria è funzione della principale traiettoria dello stress. Stadio 3 - Lo stress rimane grande; i corpi rocciosi cominciano a muoversi; le zone d'instabilità possono essere di natura diversa (zone fragili superficiali, presenza di evaporiti viscose, instabilità di piegamento, deformazioni duttili in profondità); la localizzazione e la natura dell'instabilità possono cambiare nel corso dello sviluppo tettonico; la regione è cinematicamente instabile. Stadio 4 - Lo stress diminuisce fino ad esaurirsi e a tornare alle condizioni iniziali; anche tutte le deformazioni si calmano mano mano, passando per stadi sempre più rigidi; l'azione tettonica diminuisce fino ad annullarsi; la regione torna ad una condizione stabile.

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2 -LIVELLI STRUTTURALI

Le deformazioni della crosta terrestre sono funzione principalmente: a) della temperatura a cui avvengono; b) della pressione a cui si formano; c) della velocità con la quale si sviluppano; d) del tempo per il quale i materiali sono soggetti allo stress; e) delle caratteristiche meccaniche dei materiali; f) della presenza o meno di acqua o altri fluidi; g) della variazione col tempo dei fattori precedenti. Si può quindi immaginare quanto varie e complicate possano essere tutte le situazioni fisiche che si vengono a trovare variando uno solo dei parametri sopra esposti. A seconda della profondità a cui avviene la deformazione all ' interno della crosta aumenteranno o meno, per esempio, la pressione e la temperatura; la velocità della deformazione potrà essere legata alle velocità relative delle placche, mentre il periodo di tempo per il quale i materiali saranno soggetti allo stress sarà funzione della durata di certi eventi geodinamici; le stesse caratteristiche meccaniche dei materiali variano in funzione del tempo per il quale essi sono soggetti ad uno stress (ad esempio un calcare fragilissimo sottoposto ad una forza inferiore al punto di frattura nell'arco di 10.000 anni può piegarsi senza rompersi; questa proprietà, caratteristica per ogni tipo di roccia è detta tempo di rilassamento); a seconda quindi del tipo di materiale e delle condizioni fisiche a cui avviene una deformazione, una roccia può per esempio piegarsi o invece fratturarsi e fagliarsi, oppure deformarsi in modo duttile o plastico; ovviamente la crosta terrestre è costituita da materiali assai vari, da rocce ultrabasiche in prossimità del mantello fino ai teneri sedimenti più superficiali, materiali che si deformano chiaramente in modo molto diverso; la presenza d'acqua o altri fluidi può invece diminuire notevolmente la resistenza al taglio dei materiali, facilitando lo svilupparsi di determinate deformazioni; provate infine ad immaginare un sovrascorrimento che si

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imposta al limite crosta-mantello, ma che contemporaneamente disloca anche tutto il resto superiore della crosta: nella sua parte inferiore avrà una deformazione tipicamente duttile, cioè ad alta temperatura e ad alta pressione, mentre allo stesso tempo, salendo ai livelli superficiali lo stesso sovrascorrimento si imposta su rocce più tenere, ad una temperatura ed una pressione inferiori, provocando deformazioni di tipo fragile (brittle tectonics) per almeno gli ultimi 10-15 km (Fig.2.1): il che significa che ad esempio in profondità si formeranno delle miloniti di alto grado lungo la faglia, mentre verso la superficie si formeranno delle cataclasiti ( si veda successivo capitolo 4 sulle litologie associate alle faglie); da notare che con il progredire del sovrascorrimento la crosta inferiore andrà man mano verso l'alto, passando da condizioni di tipo duttile a condizioni di tipo fragile che si sovraimporrano alle precedenti deformazioni più profonde; un esempio di questa evoluzione spazio-temporale della deformazione legata ad un sovrascorrimento crostale di questo tipo è ad esempio osservabile nella zona Ivrea-Verbano, dove la crosta inferiore è stata dislocata in superficie.

Fig.2.1 In un sovrascorrimento che taglia la crosta si verificano contemporaneamente situazioni di deformazione duttile (shear zone) in profondità e situazioni di deformazione fragile (brittle fault) verso la superficie. La parte che sovrascorre passerà col tempo a situazioni sempre più superficiali, passando quindi da una deformazione duttile ad una fragile che si sovraimporrà alla precedente.

Una situazione analoga la si può osservare nei piani di faglia verticali, usualmente a movimento orizzontale, o trascorrente (Fig;2.2); in profondità (oltre i 10-15 km) il movimento avviene per taglio duttile (ductil shear), mentre sopra una zona di transizione, in superficie la deformazione avviene per taglio fragile (brittle fault).

Ogni discontinuità meccanica o variazione petrografica all'interno della crosta terrestre possono rappresentare importanti piani di movimento.

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La duttilità può essere definita come lo strain che una roccia è in grado di subire prima della fratturazione.

Fig.2.2 Nel piano di movimento di una faglia trascorrente che attraversa la crosta si verificano movimenti duttili in profondità (ductile shear) e movimenti fragili, per rottura in superficie (brittle fault), al di sopra di una zona di transizione; si osservino i tre livelli del piano di faglia visti in pianta nel disegno al piede.

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BASAMENTO E COPERTURA SEDIMENTARIA Da un punto di vista sia stratigrafico che reologico (la reologia è la scienza che studia il modo di deformarsi dei materiali, nel caso nostro le rocce) ogni zona di crosta continentale sulla terra possiede un basamento cristallino ed una copertura sedimentaria (Fig.2.3), a parte ovviamente quelle zone dove la copertura è stata erosa.

Fig.2.3. Basamento cristallino e copertura sedimentaria.

Il basamento è in genere costituito da rocce metamorfiche (di qualsiasi grado) e rocce intrusive (ad es. graniti) messe in posto come corpi plutonici. La copertura sedimentaria è invece generalmente costituita da arenarie, evaporiti, calcari, ecc.. La copertura sedimentaria poggia sempre in modo discordante sul basamento cristallino (discordanza semplice) ed è costituita da sedimenti la cui competenza è sempre in genere di gran lunga inferiore al sottostante basamento cristallino. Spesso, proprio per questo la copertura sedimentaria si scolla con gran facilità dal basamento, soprattutto se esistono formazioni evaporitiche che fungono da livelli preferenziali di scollamento. E' quindi sempre di importanza primaria nello studio della tettonica di una regione: - definire le principali unità meccaniche, che sono generalmente il basamento cristallino e la sovrastante copertura sedimentaria (o multilayer sedimentario); - individuare i possibili livelli di scollamento alla base ed all'interno della copertura sedimentaria; per fare questo è necessario conoscere a fondo la stratigrafia della regione; - capire se e come il basamento è coinvolto dalla tettonica.

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3 - FAGLIE

Una faglia è un piano di movimento relativo fra due masse di roccia. Le faglie sono una risposta di tipo fragile ad uno stress che opera sulla crosta terrestre; per questo motivo le faglie sono spesso sismo-genetiche. Le principali osservazioni che permettono di riconoscere una faglia sono : 1) una discontinuità strutturale 2) una discontinuità litologica 3) una zona di rocce deformate 4) deformazioni superficiali in caso di fagliamento recente 5) sedimentazione influenzata da una faglia, in caso di faglia sin-deposizionale. Ovviamente non tutte le discontinuità strutturali o litologiche sono faglie; il geologo deve infatti discernere contatti di altra natura quali eteropie di facies, contatti intrusivi, ecc. dalle faglie vere e proprie. In campagna le faglie corrispondono spesso a zone di scarso affioramento; ciò è dovuto alla generale debolezza dei materiali deformati dal movimento. In profondità, con l'aumento del gradiente geotermico, il movimento lungo una faglia passa da un regime fragile ad uno duttile, con plasticità intracrístallina. La profondità di questa transizione varia con i materiali: ad esempio faglie nel sale o nel gesso sono duttili anche nella crosta superiore, mentre faglie in rocce silicatiche possono evidenziare una deformazione plastica solo ad una profondità di almeno 10 km, in funzione del gradiente termico e della mineralogia.

Quando una faglia non è verticale, il blocco che ne sta sopra è detto tetto (o muro, temine meno usato), hangingwall in inglese; mentre il blocco sottostante

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è detto letto o piede, footwall in inglese. Si definisce come rigetto della faglia l'entità del movimento relativo tra le due masse di roccia. Il rigetto può essere a sua volta scomposto in due vettori che descrivono uno il movimento orizzontale (heave) e l'altro il movimento (throw); si veda Fig.3.1

Fig.3.1. Componenti del rigetto di una faglia: ss = componente orizzontale o di strike-slip; ds = componente verticale odi d i p-sli p; pp = vero vettore del rigetto.

Si definisce come rigetto stratigrafico di una faglia lo spessore di serie stratigrafica dislocato, confrontando in un punto della faglia le differenti rocce dell'hangingwall e del footwall. Una faglia può assumere qualsiasi inclinazione e giacitura tra O e 90°; in tutti i piani immaginabili può avvenire un movimento con qualsiasi direzione; tutti i vari tipi di faglie, osservate in tre dimensioni, presentano quasi sempre dei piani di movimento ondulati. Pur non essendovi sempre una chiara soluzione di continuità, le faglie possono comunque essere suddivise in base alla loro inclinazione e rigetto in tre principali classi (Fig.3.2.) che sono: - faglie normali - faglie trascorrenti - faglie inverse Una qualsiasi faglia deve terminare in qualche modo: là dove la faglia si esaurisce avremo una linea detta in inglese tip line o linea terminale. Una faglia può anche confluire in strutture di significato simile oppure troncarsi in una faglia quasi ortogonale; in questi casi il suo rigetto può trasferirsi in un'altra faglia di significato simile attraverso la faglia ortogonale la quale è detta cosi faglia di trasferimento. Il riconoscimento delle faglie di trasferimento è sempre un passo molto importante nell'analisi tettonica di una regione.

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Fig.3.2 I tre principali tipi di faglie (normali, A; trascorrenti, B; inverse C) sono il prodotto di tre differenti campi di stress si notino i tre diversi sistemi coniugati (con un angolo medio di 60') relativi ai tre diversi campi di stress; si notino anche le strie collegate a detti movimenti. s1 è lo stress principale.

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FAGLIE NORMALI

Sinonimi e varianti: faglie dirette, faglie tensionali, faglie listriche, dipslip faults, low-(high) angle normal faults, extension faults.

In una faglia normale l'hangingwall è abbassato rispetto al footwall (Fig.3.3.).

Fig.3.3. Una faglia normale presenta l'hangingwall abbassato rispetto al footwall.

Una faglia normale (come anche faglie trascorrenti o inverse) può presentarsi in natura come un piano netto, o una "zona di faglia", o una zona di taglio duttile (Fig.3.4.).

Fig.3.4. Distinzione fra un piano di faglia, una zona di faglia, e una zona di taglio duttile.

Una faglia normale è il prodotto di una forza distensiva che tende ad allontanare i blocchi.

Due serie di faglie normali di direzione parallela, ma con immersione opposta formano un sistema coniugato.

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Due faglie normali coniugate formano un graben (Fig.3.5.). Spesso però in natura i graben sono asimmetrici; in questo caso vengono chiamati semi-graben o half graben; i blocchi relativamente sollevati rispetto ai graben sono invece detti horst (Fig.3.5.).

Le faglie normali hanno generalmente un'inclinazione di 55 °-70°. Nei pressi della superficie però possono raggiungere i 90°, mentre in profondità possono interrompersi bruscamente lungo piani di altre faglie (Fig.3.6, n.1 e n.2), oppure orizzontalizzarsi in piani di scollamento più profondi (Fig.3.6, n.3). Le faglie normali che si orizzontalizzano gradualmente in profondità (Fig.3.6, n.3) sono dette faglie listriche. In esse la parte più inclinata è detta ramp,

mentre la parte orizzontale, generalmente parallela ad un piano di scollamento (un livello più soffice, ad es. evaporiti) è detta flat.

Fig.3.6. Tipi di terminazione in profondità di faglie normali.

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FAGLIE TRASCORRENTI Sinonimi e varianti: wrench faults, strike-slip faults, transcurrent faults, tear faults, transpressive faults, transtensive faults. Le faglie trascorrenti sono piani in cui il movimento tra i due blocchi avviene in modo orizzontale (Fig.3.7).

Fig.3.7. Faglia trascorrente con movimento destro.

Il senso del movimento trascorrente di una faglia può essere destro o sinistro (Fig.3.8); il senso è lo stesso osservando la faglia sia dall'uno che dall'altro lato.

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Generalmente sono faglie subverticali, ma come vedremo, assumono talora inclinazioni assai varie. Come anche gli altri tipi di faglia, le faglie trascorrenti hanno un piano di movimento leggermente ondulato, osservabile sia in pianta che in sezione. Le faglie trascorrenti sono morfologicamente molto evidenti, e sono infatti osservabili chiaramente come lineazioni in foto aerea o da satellite. Nelle carte geologiche sono spesso evidenti per la loro verticalità che si evince dal loro andamento rettilineo. La trascorrenza tra i blocchi può essere semplice, cioè con un normale slittamento parallelo dei corpi, oppure può essere una trascorrenza con una componente distensiva (transtensione), cioè con uno scorrimento laterale che implica anche un allontanamento dei corpi; oppure può essere una trascorrenza con una componente compressiva (transpressione), cioè con uno scorrimento laterale che implica un avvicinamento dei corpi. A seconda dei tre casi, tra i quali peraltro non vi è una netta soluzione di continuità, si formeranno particolari associazioni di faglie che vanno sotto il nome di strutture a fiore, strutture che vedremo al capitolo nono.

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FAGLIE INVERSE

Sinonimi e varianti: sovrascorrimenti, overthrusts, upthrusts, thrusts, reverse faults, scollamenti, decollements, detachments, contractional faults.

In faglia inversa l'hangingawall è alzato rispetto al footwall (Fig.3.9).

Fig.3.9. Faglia inversa: si noti che l'hangingawall è sollevato rispetto al footwall.

Le faglie inverse si formano in zone di compressione. Il termine sovrascorrimento (overthrust) è più restrittivo nel campo delle faglie inverse. Un sovrascorrimento è una faglia inversa con un'inclinazione compresa tra 0° e 45°. Un sovrascorrimento può avere il piano di movimento ondulato sia nella sezione del trasporto tettonico, sia in una sezione trasversale. Un sovrascorrimento in sezione parallela alla direzione del trasporto è detto in flat (piano) quando ha un'inclinazione tra 0° e 10°, mentre è detto in ramp (rampa) quando ha un'inclinazione compresa tra 10° e 45° (Fig.3.10).

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Lateralmente un sovrascorrimento può terminare in un ramp laterale o obliquo, e/o trasformarsi in una faglia trascorrente (Fig.3.11).

Fig.3.1 1. da e A: Geometrie possibili del piano di un sovrascorrimento. 12 direzione dei trasporto è indicata frecce. Tutto 1'hangingwali è stato ipoteticamente tolto per poter vedere la morfologia del footwall del sovrascorrimento. B: Un sovrascorrimento può passare lateralmente in modo transizionale, senza soluzione di continuità, ad un ramp laterale ed infine ad una faglia trascorrente.

Generalmente, un sovrascorrimento in flat interessante la copertura sedimentaria è circa parallelo alla stratificazione, mentre quando è in ramp la taglia (Fig.3.12).

Fig.3.12. Geometria e cinematica di un sovrascorrimento. Si noti il flat parallelo alla stratificazione ed il ramp che invece la taglia. Si noti anche che in corrispondenza del ramp si forma una piega nell'hangingwall detta piega da ramp ( ramp fold).

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Un sovrascorrimento in flat è anche detto scollamento (dècollement, detachment, tread faults). Lungo un sovrascorrimento può esservi più di un sistema di ramp-flat (Fig.3.13), formando un andamento sinuoso detto traiettoria a gradini (staircase trajectory). Queste geometrie sono funzione delle caratteristiche meccaniche delle rocce interessate dal sovrascorrimento. I flat si esplicano in rocce tenere, poco competenti (evaporiti, argilliti), mentre i ramp si impostano in rocce relativamente più competenti.

Si noti comunque che il sistema di ramp e flat è inizialmente lo stesso sia per il footwall che per l'hangingwall; man mano che il sovrascorrimento si muove l'hangingwall sale ed i suoi tratti di ramp e flat vengono trasportati in zone più lontane, magari su diversi flat e ramp del footwall (Fig.3.14). Faglie inverse ad alto angolo (oltre i 45°) possono essere faglie trascorrenti a componente compressiva (transpressive), oppure sovrascorrimenti inclinati successivamente alla loro formazione, oppure faglie normali ad alto angolo riattivate in faglie inverse in un ambiente compressivo. Il riconoscimento sul terreno di una qualsiasi faglia è tanto più facile quanto più sono dettagliate le conoscenze stratigrafiche (sia per aree di rocce sedimentarie, che di rocce metamorfiche e ignee). Non si può dunque fare la tettonica di una regione senza conoscere la stratigrafia.

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4 - LITOLOGIE E STRUTTURE ASSOCIATE ALLE ZONE DI FAGLIA

LITOLOGIE ASSOCIATE ALLE ZONE DI FAGLIA

Come abbiamo visto brevemente, le faglie sono piani di movimento. La loro natura fragile in superficie e duttile in profondità è funzione del gradiente geotermico e di tutti gli altri parametri fisici visti. Lungo le faglie le rocce subiscono una deformazione legata all'attrito presente nel piano di movimento. Questa deformazione sarà funzione di tutti i vari parametri fisici (pressione, temperatura, presenza di fluidi, velocità del movimento, ecc.). Avremo così una differenziazione della deformazione delle rocce lungo i piani di faglia a seconda dell'ambiente fisico in cui ci troviamo e in funzione delle caratteristiche meccaniche delle rocce fagliate. In primo approccio possiamo distinguere due tipi di litologie associate alle zone di faglia, e cioè le cataclasi ti e le miloniti, rispettivamente i prodotti di ambienti fragili le prime, e duttili le seconde. Raffinando la classificazione delle litologie associate alle zone di faglia (fault rocks), possiamo osservare se le rocce deformate presentano una coesione oppure no; oppure se presentano o meno un aspetto caotico. Inoltre è importante per la classificazione la quantità di matrice e di frammenti di roccia presenti. Molte faglie, in un regime superficiale fragile, sono caratterizzate da materiale frammentato di varie dimensioni: questo materiale è detto breccia di faglia (fault breccia) quando i frammenti visibili costituiscono una buona parte della roccia (>30%). Dove invece la roccia geneticamente legata alla faglia è costituita da materiale fine si parla di gouge di faglia, poltiglia arrangiata in forma sigmoidale (fault gouge). Le brecce di faglia sono comuni in faglie interessanti rocce competenti come calcari e dolomie; i gouge di faglia sono invece competenti in piani di faglia interessanti rocce poco competenti quali argille e marne.

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Brecce di faglia e gouge di faglia sono materiali incoerenti. Le cataclasiti, pur anch'esse rocce di faglia tipiche di zone superficiali fragili, presentano invece un aspetto coerente, coesivo. Il gouge di faglia ha bassa permeabilità a causa della sua taglia fine. Se è sufficientemente spesso può formare un limite idrologico che può essere importante sia come trappola per idrocarburi, sia come zona limite invalicabile delle acque che permeano le rocce. E' frequentissimo in campagna trovare ad esempio delle sorgenti in corrispondenza di faglie. La pseudotachilite è una particolare roccia di faglia che presenta spesso contenuti vetrosi e frammenti della roccia incassante; la pseudotachilite può rappresentare una frizione rapida lungo la faglia che ha portato a fusione parte del materiale. Si forma quindi apparentemente solo in profondità nella crosta, ad una moderata pressione e ad una relativamente rapida velocità di deformazione; per la rapidità di formazione potrebbe essere considerata la registrazione di terremoti fossili. Il movimento lungo una faglia in profondità ad alte temperature è accompagnato da plasticità intracristallina piuttosto che deformazione fragile ( brittle ). La profondità di questa transizione dipende gradatamente dal materiale (Fig.4.1).

Fig.4.1. Variazione della resistenza al taglio in funzione della temperatura di vari tipi di rocce e minerali. Si noti la minore resistenza al taglio delle evaporiti a sinistra (salgemma e anidride) e la maggiore resistenza al taglio dei minerali silicatici a destra.

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Il quarzo, tra i componenti delle rocce magmatiche e metamorfiche ha un comportamento molto duttile e rende di conseguenza le rocce che Io contengono molto più duttili. Zone a deformazione plastica lungo una faglia sono generalmente composte da milonite, che è una roccia molto dura, a grana fine e laminata (foliazione). Quando, in regime duttile, la ricristallizzazione è dominante, si parla di blastomilonite. Quindi una faglia con struttura a gouge in superficie, può trasformarsi in pseudotachilite a profondità intermedie e passare ad una zona di taglio duttile a profondità maggiori. In Fig.4.2 viene esposta la classificazione di Sibson (1977) delle litologie associate alle zone di faglia.

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STRUTTURE ASSOCIATE ALLE ZONE DI FAGLIA Abbiamo visti schematicamente le litologie associate alle zone di faglia. Vediamo ora brevemente le principali strutture associate alle zone di faglia. Le strutture sono molto importanti per riconoscere la direzione ed il senso del movimento nei piani di faglia. Le più tipiche strutture osservabili in un piano di movimento sono le strie (slichensidess). Le strie sono costituite da materiale ricristallizzato (molto spesso calcite) che si è allineato nel senso del movimento della faglia (Fig. 4.3).

Fig. 4.3. Strie orizzontali in una faglia trascorrente sinistra.

Le strie indicano la qualità del movimento di una faglia, ma non l'entità. A volte si possono trovare strie di varie direzioni sovrapposte quando la faglia si è mossa in modi diversi . Molto spesso le faglie presentano dei piccoli gradini. Nel l ' "ombra" lasciata vuota durante l'avanzamento i fluidi di calcite riempiono il vuoto; la calcite viene a sua volta stirata nel senso del movimento. Nelle parti vuote, non soggette a movimento e a stiramento, si formano cristalli di calcite indeformati. Questo è un importante dato per capire il senso del movimento (Fig. 4.4). Un piccolo gradine nel pian di faglia può generare un piccolo vuoto che viene riempito da calcite, depositata dai fluidi che permeano nelle fratture della roccia. La calcite a sua volta viene stirata nel senso del movimento della faglia Se il gradino è però di senso opposto nel piano di faglia, non si forma un vuoto ed una parte di roccia è soggetta invece a compressione (Fig. 4.5).

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Fig. 4.4. Gradini, strie e cristalli di calcite cresciuti in zone d'ombra, nel piano di una faglia. Le strie indicano la direzione del movimento, mentre i gradini e la calcite ricristallizzata indicano anche il verso del movimento: in questo caso la roccia che vediamo è il footwall della faglia ed il blocco si è mosso verso sinistra relativamente alla parte che doveva formare il Iato sovrastante della faglia, cioè l'hangingwall qui assente. Per una visione in sezione dei gradini ( pur se con verso opposto) si veda anche il disegno superiore della Fig. 4.5.

Fig. 4.5. Due gradini di senso opposto in un piano di faglia (uno sinistro e l'altro destro) generano rispettivamente una zona di vuoto ed una zona di compressione dove si possono formare delle stiloliti che sono il prodotto di una dissoluzione per pressione della roccia (pressure solution).

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Nella zona in compressione (si noti comunque la scala centimetrica) si formano delle stiloliti, tipiche strutture zigzaganti a picchi (come le linee di sutura del cranio), che testimoniano una compenetrazione della roccia, dovuta a dissoluzione per pressione (pressure solution). Nelle stiloliti generalmente sono presenti ossidi scuri o rossastri di materiale insolubile. Le stiloliti indicano chiaramente la direzione della compressione. Si formano in vari tipi di ambienti tettonici ed anche in zone dove vi è il solo carico litostatico: in questo caso sono particolarmente evidenti nelle formazioni carbonatiche che presentano le stiloliti parallele ai piani di stratificazione. Piccoli frammenti o granuli di roccia possono venire strappati e trascinati nel piano di faglia. Anche questi indicano inequivocabilmente la direzione ed il verso del movimento della faglia (Fig. 4.6).

Un'altra fondamentale struttura osservabile nei piani di faglia sono i cunei di Riedel. I cunei di Riedel sono compresi tra la faglia principale e piccole faglie minori aventi lo stesso verso, ma divergenti di 15° - 20°. I cunei di Riedel, generalmente osservabili in rocce competenti, sono una risposta fragile della roccia e sono dei cunei che si oppongono al movimento (Fig. 4.7).

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In una zona di faglia si possono trovare dei sistemi coniugati di faglie minori, costituiti da faglie dette Riedel sintetiche e Riedel antitetiche (Fig. 4.8). Riedel fu lo scopritore ed il riproduttore di queste strutture in esperimento.

Fig. 4.8. Sistemi coniugati di faglie minori associate ad una zona di movimento ( faglie sintetiche ed antitetiche di Riedel. La faglia sintetica di Riedel è la stessa vista precedentemente che descrive il cuneo di Riedel.

Il Gouge fabric è un tipo di deformazione osservabile più frequentemente in piani di faglia interessanti rocce marnose, argillose o comunque tenere (poco competenti). E' una deformazione semirigida (semibrittle). Come si ricorda, precedentemente abbiamo visto il fault gouge, che è una particolare roccia di faglia. Questa assume una tessitura che è appunto detta gouge fabric ( Fig. 4.9).

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Fig. 4.9 Gouge fabric in un piano di faglia. Si notino le caratteristiche linee sigmiodali (che possono corrispondere a piani con dissoluzione per pressione, pressure solution). Il gouge fabric indica molto bene il verso del movimento. Si noti che il verso è opposto a quello dato dai cunei di Riedel che si formano in rocce più competenti.

Gouge o Riedel si formano rispettivamente in rocce poco competenti e molto competenti. In casi intermedi i due tipi di strutture possono coesistere (Fig. 4.10.).

Un altro tipo di strutture che indicano il verso del movimento di una faglia sono le pieghe di trascinamento o drag folds (Fig. 4.11.).

Fig. 4.11. Piega di trascinamento legata al movimento lungo una faglia.

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Lungo un piano di scollamento, magari impostatosi in una formazione evaporitica (ad esempio costituita da sale, gessi, marne e argille) si creano spesso dei sistemi di pieghe isorientate (Fig. 4. 11.). Queste pieghe possono essere considerate come pieghe di trascinamento all'interno di una zona di taglio.

Fig. 4. 12. Dettaglio (a sinistra nel cerchio tratteggiato) di una zona di scollamento, cioè ad esempio lungo il piano di fiat di un sovrascorrimento. Si notino le pieghe isorientate vergenti la stessa direzione del piano di scollamento.

A volte non esiste un vero e proprio piano di scollamento (sopra o sotto le pieghe). Questo perché il movimento relativo tra i due corpi sotto e sovrastante (ad esempio basamento cristallino e copertura sedimentaria) lungo la zona di taglio è acconsentito dal formarsi delle pieghe stesse; cioè il raccorciamento che si attua tramite le pieghe è, in tale caso, pari all'entità del movimento totale.

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5 - PIEGHE

Una piega è il prodotto del piegamento di una originale superficie piana (Fig. 5. l.).

Fig. 5. 1. Piegamento di una superficie.

Faglie e fratture sono una risposta fragile agli stress: la roccia si rompe lungo piani definiti. Le pieghe invece sono una risposta più duttile delle rocce alle sollecitazioni tettoniche. Una stessa roccia può piegarsi o fratturarsi a seconda delle condizioni fisiche in cui si trova ed in funzione della velocità del movimento tettonico. Gli elementi più importanti di una piega sono (Fig. 5.2.): la cerniera (hinge); i fianchi (limbs); il nucleo (core); il piano assiale (axial plane); l'asse (axis).

Fig. 5. 2. Elementi principali di una piega.

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Si possono inoltre definire l'ampiezza e la lunghezza d'onda di una piega (Fig.5.3.), misure che però dovrebbero essere fatte solo su pieghe con fianchi di lunghezza uguale (pieghe simmetriche).

Fig. 5. 3. L = lunghezza d'onda; I = punto d'inflessione; A = ampiezza; C = cerniera.

La cerniera è la zona di massima curvatura della piega. I fianchi di una piega sono le superfici laterali alla cerniera. In una serie di pieghe ogni fianco è in comune a due pieghe adiacenti che sono dette anticlinale e sinclinale (Fig.5.4.)

Più precisamente però, una piega anticlinale ha al nucleo le rocce più antiche mentre una piega sinclinale ha al nucleo le rocce più recenti (Fig.5;5.). Talora in natura capita però che la successione di rocce venga rovesciata tettonicamente, invertendo la polarità dell'età delle rocce: ciò porta a delle pieghe con una successione di età inversa, con al nucleo di una piega anticlinale per esempio rocce di età più recente: in questi casi si parla allora di piega sinclinale antiforme o viceversa di piega anticlinale sinforme (Fig.5.5).

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Il piano assiale di una piega è un piano immaginario equidistante dai fianchi di una piega; la superficie assiale è invece una superficie passante per le cerniere della piega ed ha una forma che può non essere planare (Fig. 5;6.); la superficie assiale può corrispondere col piano assiale se la piega è simmetrica. L'asse di una piega é una linea passante per la zona di cerniera.

Fig. 5. 6. Superficie assiale; assedi una piega; piano del profilo di una piega.

La giacitura di una piega è definita dalla orientazione spaziale dell'asse della piega (Fig.5.7.).

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Fig. 5. 7. Alcune possibili giaciture di una piega.

L'asse di una piega può avere un'inclinazione coll'orizzontale variabile tra 0° e 90° che è detta immersione (plunge) Fig. 5.7. Il piano assiale di una piega può variare in tutte le direzioni spaziali possibili. Per semplicità si può descrivere

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un piano assiale verticale, inclinato, rovesciato (quando uno dei due fianchi è rovesciato), coricato o orizzontale (Fig.5.8.).

Fig. 5. 8. Giaciture del piano assiale di una piega.

In pieghe di forma particolarmente cilindrica è difficile definire una zona di cerniera, elemento invece evidente in pieghe acuminate. L'apertura o la chiusura di una piega è un utile elemento di classificazione e riflette l'intensità della deformazione, Fig.5.9.; essa indica l'angolo esistente tra i fianchi della piega.

Fig.5.9_ Classificazione delle pieghe basata sull'angolo tra i fianchi.

Si chiameranno così pieghe lievi quelle con un angolo tra i fianchi compreso tra 180 e 120°; pieghe aperte (120-70°); pieghe chiuse (70-30°); pieghe strette (30-1°); pieghe isoclinali (1-0°). Una piega, una volta formatasi, può essere a sua volta ripiegata (Fig.5.10.).

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Fig. 5. 10. Piega isoclinale coricata ripiegata. Si noti il piano assiale della piega isoclinale caricata piegato dalla seconda fase plicativa. X è una anticlinale sinforme; Y è una sinclinale antiforme; Z è una sinclinale sinforme.

Il profilo di una piega è la forma di un livello piegato osservato nel piano perpendicolare alla superficie assiale (Fig. 5.6.). Il profilo di una piega è molto importante da descrivere in quanto riflette in parte il meccanismo di formazione. In base al profilo le pieghe possono essere suddivise in quattro principali categorie (Fig.5.11.): - pieghe parallele - pieghe simili - pieghe concentriche - pieghe chevron

Fig. 5. 11. Tipi di profilo di piega. A - parallela, con spessore costante degli strati; B - simile, con ispessimento degli strati in zona di cerniera; C - concentrica; D- chevron, con fianchi di piega rettilinei e cerniere strettissime.

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Una piega parallela ha la caratteristica di avere Io spessore degli strati costante; cioè lo spessore originario degli strati non si è modificato durante il piegamento. Una piega simile invece ha la caratteristica di avere lo spessore degli strati mutato: ad esempio la cerniera è ispessita ed i fianchi sono assottigliati; lo spessore originario si è modificato perché il piegamento si è svolto in condizioni più duttili che hanno permesso un flusso di materia dai fianchi alle zone di cerniera. Una piega concentrica è un caso speciale di piega parallela, dove le superfici di piegamento adiacenti sono archi di un cerchio con un centro in comune. Le pieghe chevron hanno fianchi piani e cerniere fortemente angolate. queste pieghe possono essere sia parallele che simili (cioè con mantenimento o meno dello spessore degli strati). Le pieghe concentriche terminano verso l'alto e verso il basso come una conseguenza della loro geometria: in esse infatti l'estensione della piega è limitata dai centri di curvatura. Sotto i centri di curvatura il raccorciamento deve essere accomodato da fagliamento o da un differente tipo di piegamento. In una piega simile lo spessore degli strati varia in un modo tale che la piega mantiene uno spessore costante degli strati misurato parallelamente alla superficie assiale. In una vera piega simile la forma delle pieghe adiacenti sopra e sotto dovrebbe corrispondere tanto da poter ipoteticamente continuare in modo indefinito. Una piega chevron, cioè con cerniere aguzze, con un solo fianco sviluppato, appare come una banda che attraversa la roccia. Queste bande sono dette kink-bands (Fig. 5.12). I tipi di piega fin qui descritti rappresentano casi limite di una serie continua di pieghe osservabili in natura Si può ad esempio osservare una serie continua tra le pieghe concentriche a le pieghe chevron, da estremamente arrotondate ad estremamente angolari. Le pieghe possono essere descritte in termini di come esse si approssimano a questi tipi ideali. Una descrizione qualitativamente e quantitativamente più precisa può essere fatta con accurati metodi geometrici che tengono conto ad esempio della variazione dello spessore degli strati o delle geometrie di linee isogone tra la superficie assiale ed i fianchi della piega.

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Un’altra semplice classificazione delle pieghe proposta da Suppe (1985) si basa sulla semplice geometria della cerniera (curva o angolare) e sul mantenimento o meno dello spessore degli strati (piega parallela o non parallela), (Fig. 5.13.).

Fig.5.13. Quattro classi principali di pieghe secondo Suppe (1985): curve angolari, parallele o non parallele.

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Abbiamo visto alcuni dei principali metodi per classificare le pieghe. Vi sono ancora tanti sistemi talora più precisi, come la classificazione delle pieghe col metodo delle isogone o della forma degli strati; ma 1 i trascuriamo per la loro complessità che esula dagli scopi elementari di questo testo. Nelle zone di cerniera di pieghe chevron generalmente si attua un flusso di materiale incompetente che riempie il vuoto che si viene a formare: in genere questo viene colmato da marne o argille provenienti dagli interstrati che permettono lo scivolamento flessurale nelle pieghe chevron. Se il flusso di materiale incompetente non riesce a chiudere il vuoto triangolare nella cerniera di una piega chevron si forma un collasso di cerniera (Fig. 5.14.).

Fig.5.14. Cerniere di pieghe chevron: a) il vuoto triangolare in cerniera è colmato dal materiale incompetente che proviene dagli interstrati argillosi; si attua cioè un flusso cataclastico di materiale; b) non vi è sufficiente materiale in grado di riempire il vuoto triangolare per cui si attua un collasso di cerniera.

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SISTEMI DI PIEGHE Un sistema di pieghe è detto simmetrico se i fianchi delle pieghe sono di uguale lunghezza, e asimmetrico se i fianchi delle pieghe sono di ineguale lunghezza (Fig.5.15.).

Una monoclinale è uno speciale tipo di piega asimmetrica dove un fianco è molto breve rispetto all'altro (Fig.5.16.).

Il termine monoclinale è normalmente usato solo per pieghe a larga scala.

Pieghe parassite. Spesso si trovano serie di pieghe con una piccola lunghezza d'onda all'interno di pieghe di maggiore lunghezza d'onda (Fig.5.17). Le pieghe più piccole sono dette pieghe parassite e si trovano generalmente in livelli meno competenti. In molti casi vi è relazione geometrica tra le pieghe parassite e le pieghe maggiori che le contengono (Fig.5.17.). Cioè quando le pieghe parassite e maggiori sono generate contemporaneamente, le pieghe parassite avranno un'asimmetria diversa a seconda che si trovino su un fianco o sull'altro della piega maggiore: me pieghe parassite avranno una forma a Z nel fianco sinistra della grande piega; una forma a M nell'area di cerniera ed una forma a S nel fianco destro.

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Fig.5.17. Pieghe parassite e loro geometria in relazione alla loro posizione rispetto alla piega maggiore che le contiene: si noti la forma a Z delle pieghe parassite nel fianco sinistro della grande piega, a M nella zona di cerniera e a S nel fianco destro.

Le pieghe parassite hanno una lunghezza d'onda ed una forma diverse dalla piega maggiore che le contiene: per questo motivo sono anche dette disarmoniche. Due pieghe asimmetriche con senso opposto di asimmetria, tale che le superfici assiali immergono l'una verso l'altra sono dette pieghe coniugate. Un tipo comune di piega coniugata è la piega a scatola (box fold), che è composta da due kink band coniugate (Fig.5.18.).

Fig.5.18. Due kink band coniugate formano una piega a scatola (box fold). Nella copertura sedimentaria più le pieghe a scatola sono superficiali e più sono facili a formarsi perché il carico dei sedimenti sovrastanti è minore.

Un sistema di pieghe policlinali è una struttura complessa dove le superfici assiali di pieghe adiacenti hanno varie orientazioni (Fig.5.19.).

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MECCANISMI DI PIEGAMENTO.

Vediamo ora brevemente i principali meccanismi interni del piegamento, che sono: 1) bukling (piegamento semplice per compressione laterale); 2) flexural slip (scivolamento flessurale lunga strata); 3) flexural shear (taglio flessurale); 4) oblique shear (taglio obliquo); 5) kinking (brusca variazione di giacitura in corrispondenza di cerniere aguzze). Questi sono i principali sistemi in cui si attua il piegamento, cosa succede cioè all'interno delle rocce mentre queste si piegano (Fig.5.20.).

Fig.5.20. Meccanismi di piegamento. A: bukling; si osservi la geometria dell'ellisse di strain dentro il livello piegato: la superficie neutra senza strain separa uno strain distensivo nella cerniera dell'arco esterno da uno strain compressivo nell'arco interno. B: flexural slip; i vari livelli sono dislocati verso la cerniera rispetto ai rispettivi livelli sottostanti, scivolando gli uni sugli altri; i singoli livelli sono indeformati. C: flexural shear; i fianchi della piega sono modificati da taglio semplice (simple shear) di direzione opposta nei due fianchi e attivo parallelamente agli strati; rarea di cerniera è indeformata; D: oblique shear; la piega è dovuta ai cambiamenti nella quantità o direzione del movimento di. taglio semplice. E modello con carte da gioco di una piega per taglio obliquo (oblique shear fold). F: kinking; la piega è prodotta dalla rotazione di una serie di strati in

entrambi le parti di un piano di kink (kink plane); i piani di kink sono superfici assiali e gli strati si deformano tramite flexural slip.

B u c k l i n g, o piegamento semplice. Idealmente, in una piega prodotta da buckling (cioè per semplice compressione laterale) gli strati mantengono il loro

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spessore e si produce una piega parallela o concentrica. Si produce uno strain di estensione attorno alla cerniera dell'arco esterno, una zona rimane indeformata (superficie neutra) e nell'arco interno si produce uno strain di compressione (Fig. 5.21).

Fig.5.21. Piega parallela per compressione laterale (buckle fold). Si notino le fratture di estensione nell'arco esterno riempite di materiale (in genere calcite o quarzo. L'arco interno è invece in compressione.

Flexural slip, o scivolamento flessurale. Questo processo involve uno scivolamento tre gli strati durante il piegamento. Questo tipo di piegamento caratterizza la deformazione di corpi con strati relativamente competenti, separati da netti piani di stratificazione o sottili interstrati argillosi. Flexural shear, o taglio flessurale. In questo processo una piega (buckle fold) è modificata per taglio semplice (simple shear) agente parallelamente sui fianchi della piega, producendo una deformazione nella quale gli assi maggiori degli ellissi dello strain sono convergenti verso la cerniera della piega (Fig. 5.20). Oblique shear, o taglio obliquo. Se il taglio semplice (simple shear) si esplica in modo obliquo agli strati e l'entità e la direzione del taglio varia lungo la lunghezza, si formerà una rotazione passiva dello strato. Questo processo è stato chiamato heterogeneous simple shear (taglio semplice eterogeneo). La distribuzione dello strain è simile a quella del flexùral shear. Questo meccanismo produce pieghe simili ideali e può essere illustrato usando una serie di carte da gioco (Fig. 5.20). Un esempio è dato anche in Fig. 5.22.

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Fig.5.22. Piega da oblique shear, o taglio obliquo, mostrante il piano e la direzione di taglio (shear plan e shear direction).

K i n k i n g. Questo meccanismo forma pieghe di tipo chevron o kink-band, le quali hanno fianchi rettilinei e cerniere aguzze. La geometria è controllata dalla rotazione degli strati i quali rimangono planari tra i piani di kink. I fianchi delle pieghe scivolano con il solito sistema di flexural slip. La loro geometria è comunque condizionata dalla presenza o meno di interstrati argillosi che permettano lo scivolamento flessurale. Altra condizione necessaria per questo tipo di pieghe è la sottigliezza degli strati: ad esempio pieghe chevron si sviluppano facilmente in formazioni costituite da strati (ad esempio calcari) di circa 5 - 15 cm, intercalati da livelli centimetrici o millimetrici di argille. In sostanza geometria e dimensione di una piega chevron sono funzioni, a qualsiasi scala (micro, meso e macroscala) sia delle litologie che degli spessori dei singoli strati coinvolti. Irregolarità e piccole faglie si formano nelle cerniere di pieghe chevron quando strati più spessi o particolarmente competenti sono intercalati alla serie in via di piegamento.

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LE PIEGHE IN TRE DIMENSIONI Abbiamo visto fino ad ora una descrizione delle pieghe in due dimensioni, osservate in sezione perpendicolare al piano assiale. Vediamo ora come si presentano le pieghe in tre dimensioni. Osserviamo cioè come esse variano lungo il loro asse, che è sempre perpendicolare alle sezioni finora viste. Le pieghe che mantengono il loro profilo costante lungo il proprio asse sono dette cilindriche. E' più comune trovare in natura pieghe non cilindriche, cioè pieghe che non mantengono costante il proprio profilo lungo l'asse. Spesso pieghe minori a disposizione en-échelon si formano lungo le zone di cerniera di pieghe di ordine maggiore.

Pieghe Periclinali, Brachianticlinali, Duomi E Bacini Una piega periclinale è una piega la cui ampiezza decresce rapidamente in entrambe le direzioni. Può essere sia una sinclinale che una anticlinale. Si parla anche di terminazione periclinale per la zona dove l'ampiezza della piega tende ad annullarsi, da una qualsiasi delle due parti, in corrispondenza dell'infossamento dell'asse (Fig. 5.23). Si usa anche il termine di pieghe brachianticlinali, o brachisinclinali per quelle pieghe la cui lunghezza è breve se comparata alla larghezza; sono strutture a metà strada fra una piega ben sviluppata ed un duomo o un bacino. Un duomo è un caso limite di anticlinale che visto in pianta ha una forma sub-circolare. L'asse della piega si riduce ad un punto e, in un duomo ideale, il profilo della piega è uguale in tutte le direzioni (Fig.5.23). Un bacino è esattamente l'opposto di un duomo, ed è quindi un caso limite di sinclinale, con asse ridotto ad un punto (Fig. 5.23).

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Fig.5.23. Periclinali, duomi e bacini. 1 - vista in pianta di sinclinali (S) e anticlinali (A) di geometria periclinale con la tipica forma a canoa. 2-3 - vista in pianta e in blocco di duomi e bacini. I trattini indicano l'immersione degli strati.

Culminazioni E Depressioni

In una struttura a pieghe non cilindriche, sia periclinali che più complesse, gli assi delle pieghe sono generalmente curvi e variano in altezza. I punti di massima elevazione lungo l'asse di pieghe antiformi sono chiamati culminazioni assiali e i punti di minima elevazione lungo l'asse di pieghe sinformi sono detti depressioni assiali (Fig.5.24).

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INTERFERENZE DI PIEGHE SOVRAIMPOSTE Numerosi complessi sistemi di pieghe in natura sono il risultato dell'interferenza tra due o più serie di pieghe semplici. E' facile immaginare come il piegamento di una superficie la quale già possiede una serie di pieghe produrrà una complicata struttura nelle tre dimensioni (Fig. 5.25). Il risultato dell'interferenza sarà funzione della geometria e delle reciproche relazioni tra il primo piegamento ed il secondo.

Fig.5.25. Pieghe sovraimposte.

A - Superficie già piegata con pieghe. Fl è stata ripiegata da una piega successiva ad asse F2 dando una

complessa struttura tridimensionale. B - Tre principali tipi di strutture di interferenza prodotti dalla sovraimposizione di pieghe.

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RELAZIONI TRA FAGLIE E PIEGHE Abbiamo visto che mentre le faglie sono un prodotto di una deformazione fragile, improvvisa, le pieghe sono invece formate da un lento e continuo cambiamento sotto condizioni di deformazione duttile. Tuttavia i due processi non sono del tutto separati, ma anzi talora sono uno la conseguenza dell'altro. Per esempio sotto certe condizioni il piegamento può portare ad un fagliamento come deformazione progressiva; oppure livelli di materiale più competenti interstratificati con rocce più tenere mostreranno fagliamento in contrasto con le rocce più tenere che si piegheranno. Vi sono importanti piegamenti che sono addirittura una conseguenza delle faglie: ad esempio, come già visto nel capitolo delle faglie, una variazione nell'andamento di un sovrascorrimento da ramp a flat (Fig. 5.26) produce un piegamento delle rocce sovrastanti, dette pieghe da ramp o anticlinali da ramp (ramp folds o hangingwall anticlines). Ne derivano anche pieghe sinclinali collocate al fronte o tra le anticlinali da ramp (Fig. 5.26).

Fig.5.26. Pieghe anticlinali (A) e sinclinali (S) come conseguenza di un adattamento del volume di rocce alla geometria a gradinata del sovrascorrimento sottostante. Le pieghe si formano contemporaneamente al movimento dei sovrascorrimento.

Un altro importante esempio di relazione fra piegamento e fagliamento è osservabile nel Giura franco-svizzero (Fig. 5.27).

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In questa catena è stata dimostrata una importante successione cinematica: pieghe nella copertura sedimentaria, formatesi nelle ultime fasi dell'orogenesi alpina con uno scollamento a livello di evaporiti triassiche, arrivano al livello massimo di raccorciamento possibile per piegamento (Fig. 5.27,1); dopodiché essendo situate a livelli strutturali superficiali (quindi bassa temperatura, 40°C circa, e bassa pressione) le pieghe si fagliano su un fianco perché il piegamento non è più in grado di assorbire la compressione (Fig. 5.27,2). Continuando la compressione anche i precedenti piani di sovrascorrimento vengono ripiegati (Fig. 5.27,3).

Fig.5.27. Evoluzione cinematica del piegamento nel Giura franco-svizzero: 1 - piegamento della copertura sedimentaria con scollamento brasale; 2 - "esplosione" e fagliamento delle pieghe; 3 - successiva fase di piegamento che piega anche il precedente piano di sovrascorrimento.

Un'altra relazione fagliamento-piegamento la si può osservare nei sovrascorrimenti ciechi (blind thrusts), nelle zone dove un sovrascorrimento termina ed il raccorciamento si attua invece mediante piegamento (Fig.5.28).

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Fig.5.28. Un sovrascorrimento termina ed il raccorciamento si attua non più mediante la faglia ma attraverso la piega; piegamento e fagliamento sono contemporanei.

Come visto precedentemente, anche zone di kink band, una volta superata la posizione limite (locking position), possono degenerare in faglia inversa (Fig. 5.29).

Fig.5.29. Degenerazione da kink band a faglia inversa. La faglia è successiva al piegamento. La C è la struttura che un tempo prendeva il nome di piega faglia, termine largamente usato nella letteratura italiana, ma attualmente considerato obsoleto in quanto, come si è visto le relazioni tra piegamento e fagliamento sono numerose ed il termine può generare confusione.

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Fig.5.30. Nel campo della tettonica fragile, i meccanismi di raccorciamento più importanti sono quelli di piegamento per propagazione di faglia e di piegamento per faglia ondulata (Suppe, 1983/1985). Si noti che nel caso di piega per propagazione di faglia (con sovrascorrimento cieco), il rigetto lungo il piano di sovrascorrimento si annulla, trasferendosi man mano alla piega sovrastante. ll piegamento per faglia ondulata è dovuto invece all'adattamento del tetto del sovrascorrimento alla geometria ondulata del piano di movimento, e inoltre il sovrascorrimento è presente e attivo in tutta la sezione. Sinonimi in inglese sono fault-propagation folding e fault-bend folding.

Altre relazioni fagliamento-piegamento sono osservabili lungo faglie trascorrenti che generano spesso pieghe en-échelon (Fig. 5.31). En-échelon è un termine valido per qualsiasi tipo di struttura (assi di pieghe, fratture, ecc.) a qualsiasi scala. E' un termine francese indicante una disposizione "a gradini" delle strutture, che formano un certo angolo (in genere tra i 20° ed i 60°) con un allineamento principale.

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Si ricordano infine le pieghe di trascinamento (drag folds) lungo i piani di faglia (qualunque tipo di faglia, inversa, diretta o trascorrente); si veda ad esempio la fig. 4.10. Le relazioni quindi tra faglie e pieghe sono numerose, con reciproci scambi di causa ed effetto. Tutte le strutture fin qui viste sono molto comuni e sono presenti a tutte le scale, dai millimetri ai chilometri.

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6 - FRATTURE - STILOLITI - BUDINI

FRATTURE

Le fratture (joints) nelle rocce sono discontinuità meccaniche con rigetto tra le parti nullo o comunque non visibili ad occhio nudo. Le fratture sono molto comuni in tutta la parte superficiale della crosta terrestre e sono una tipica espressione fragile della deformazione; si sviluppano particolarmente in rocce competenti e sono sede privilegiata per l'alterazione delle rocce da parte delle acque percolanti. Lo studio delle fratture è importante per la ricostruzione delle deformazioni subite da una regione, per lo studio della permeabilità delle rocce (fattore fondamentale per la idrogeologia e per la ricerca degli idrocarburi), nonché per problemi di meccanica delle rocce e di stabilità dei pendii. Le fratture sono in genere presenti in serie o famiglie con varie orientazioni, più o meno regolarmente spaziate, e danno alla roccia un tipico aspetto a blocchi. Il piano di una frattura può essere piatto, o leggermente ondulato, o presentare una tipica struttura a piuma ( plumose structure, Fig. 6.1). Le fratture sono causate da numerosi fattori quali stress tettonici (di qualsiasi tipo), scarichi litostatici, raffreddamenti, maree terrestri. Stress tettonici - Le fratture sono frequentemente presenti in serie coniugate che contribuiscono all'indagine dello stress subito dalla regione. Possono assumere qualsiasi orientazione spaziale all'interno della roccia che le contiene. Rispetto ad una piega le fratture possono essere trasversali, longitudinali e diagonali (Fig. 6.2).

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Fig.6.1. Struttura a piuma (plumose structure) nel piano di una frattura. Si noti anche la frangia laterale al piano principale che si esplica in superficie con una serie di giunti en-échelon apparentemente disconnessi.

Fig.6.2. Tipi di fratture associate al piegamento.

Scarico litostatico - Molte fratture sono legate al rilassamento della roccia quando a questa viene tolto un carico litostatico. Il peso dello spessore delle rocce produce una compressione che aumenta con la profondità. Quando le rocce vengono man mano erose la pressione

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litostatica si riduce e le rocce si possono così rilassare espandendosi e sviluppando una serie di fratture tensionali, spesso parallele ai piani di stratificazione. Ciò avviene frequentemente ad esempio nelle cave. Fratture di raffreddamento - Sono comuni i sistemi di fratture legati al raffreddamento di corpi ignei. Corpi ignei tabulari ad esempio mostrano frequentemente una fessurazione colonnare perpendicolare alle superfici di raffreddamento. Maree terrestri - Pare dimostrato che anche le maree terrestri con le loro continue e lievissime oscillazioni generino sistemi di fratture nella crosta superiore. I tension gashes sono strutture dalla tipica forma sigmoidale indicami estensione in una zona di taglio (Fig. 6.3). Si formano per rotazione delle fessure.

Il movimento può avvenire in tutte le direzioni dello spazio. Le fratture beanti hanno una disposizione en-échelon rispetto alla zona di taglio e sono generalmente riempite da calcite o quarzo. In natura si trovano spesso sistemi coniugati di tension gashes, legati appunto a sistemi coniugati di zone di taglio (Fig. 6.4).

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Fig.6.4. Sistemi coniugati di tension-gashes.

In una zona di taglio il vettore del movimento può essere scomposto in vettori indicanti la direzione di massima compressione e di massima estensione (Fig. 6.5).

Si noti infatti che i vettori della compressione sono rivolti l'uno contro l'altro mentre i vettori della distensione si allontanano reciprocamente. Il vettore di massima compressione è anche detto si, mentre il vettore di massima estensione è detto s3. Un vettore di stress intermedio è detto s2 ed è perpendicolare al piano della pagina. E' importante notare che nei tension gashes i cristalli di calcite o quarzo che riempiono le fratture beanti si dispongono sempre parallelamente alla direzione

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di estensione, cioè sono paralleli al s3 di una regione, perpendicolari alla direzione di compressione massima, o s 1, Fig. 6.5.

Quando una roccia è soggetta a compressione avviene una fuga dell'acqua interstiziale contenuta (water escape). I fluidi vanno a riempire tutte le fratture beanti e fanno precipitare cristalli (spesso calcite, quarzo o gesso, ecc.). Una vena di gesso tagliante uno strato di argilla può dar luogo a pieghe enterolitiche se lo strato argilloso viene ulteriormente compattato (Fig.6.6).

Fig.6.6. Pieghe enterolitiche formatesi con la compattazione di un'argilla tagliata da una vena di gesso (in nero nel disegno; in natura il gesso è invece generalmente biancastro).

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STILOLITI La compattazione di un sedimento comporta una riduzione in volume data sia dalla perdita d'acqua, sia dalla diminuzione dei vuoti intergranulari. La compattazione può portare alla diagenesi o litificazione del sedimento. Una compressione agente su una roccia già consolidata può dar luogo invece ad una dissoluzione per pressione. Le s t i l o l i ti sono un effetto della dissoluzione per pressione allo stato solido. Famiglie di stiloliti possono ridurre anche del 30% il volume originale della roccia (Fig. 6.7).

Fig.6.7. Riduzione del volume di una roccia per pressione-soluzione in piani stilolitici. Si noti l'apparente movimento destro del fossile per la dissoluzione.

Le stiloliti si formano perpendicolarmente alla compressione, mentre strie stilolitiche si possono formare in piani obliqui alla compressione (Fig. 6.8).

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Si parlerà così in genere di "stiloliti stratigrafiche" quando le stiloliti sono parallele alla stratificazione e si sono formate per solo carico litostatico generato dai sovrastanti sedimenti, Si parlerà invece di "stiloliti tettoniche" quando la loro genesi è legata ad un campo di stress che ha agito regionalmente (Fig. 6.9).

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Quando strati di rocce competenti (intercalati a strati di rocce relativamente meno competenti) vengono sottoposti a stiramento ed allungamento, possono reagire deformandosi in modo caratteristico: gli strati vengono stirati in forme lenticolari che possono giungere ad avere l'aspetto dei cosiddetti budini (boudins). Il processo di formazione è detto budinaggio (boudinage); i budini possono essere o lineari o a forma di tavoletta di cioccolato se l'estensione è avvenuta in entrambe le direzioni, Fig. 6.10.

Fig.6.10. A - Budini lineari e a tavoletta di cioccolato; B - budini sul fianco stirato di una piega.

Quando la separazione è incompleta e i budini non sono del tutto separati si parla di "pinch-and-swell".

I budini si formano in livelli relativamente più competenti rispetto alle rocce inglobanti, le quali tendono a deformarsi in un modo più duttile e a fluire negli spazi tra i budini. Molti budini sono separati da vene di quarzo o calcite o, in rocce di alto grado metamorfico, da materiale pegmatitico. Non sembra esservi una chiara soluzione di continuità tra strutture sedimentarie di carico quali "ball and pillow" con i budini tettonici; anche i ball and pillow sono comunque legati a carichi litostatici che si esplicano però

BUDINI

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in livelli strutturali molto alti, in assenza di metamorfısmo. I budini sono utili indicatori delle direzionı dı estensione subita dalla riccia. Si trovano frequentemente in fıanchi stirati di pieghe e in rocce costituite da frequenti alternanze di materiali più competenti e relativamente meno competenti, come ad esempio calcari intercalati a marne e argille.

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7 - FOLIAZIONE - LINEAZIONI - FABRIC Come già osservato, le strutture tettoniche delle rocce presenti nei livelli più profondi della crosta terrestre sono diverse da quelle dei livelli superiori. La differenza è dovuta principalmente agli effetti dell'aumento di temperatura e pressione in profondità, fattori che aumentano la duttilità delle rocce. Tre importanti osservazioni possono essere fatte riguardo alle strutture dei livelli crostali profondi a maggior duttilità: 1 - Il piegamento è il tipico modo di deformazione piuttosto che il fagliamento. 2 - Si sviluppano serie di nuove superfici planari (clivaggio, scistosità). 3 - Una ricristallizzazione pervasiva della roccia sotto compressione genera anche un riarrangiamento interno della tessitura della roccia, producendo un nuovo fabric.

FOLIAZIONE Una foliazione è una serie di nuove superfici planari prodotte in una roccia come risultato della deformazione. Foliazione è un termine generale coprente diversi tipi di strutture prodotte in differenti modi. Clivaggio, scistosità, bande gneissose e fratture strettamente spaziate, sono tutti esempi di foliazione.

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Molte rocce mostrano numerose generazioni di foliazione che sono distinte tra loro cronologicamente e per tipologia. Foliazioni più vecchie ad esempio possono essere tagliate e deformate da foliazioni più recenti. La stratificazione è in genere la prima superficie planare riconoscibile ed è un importante riferimento geometrico per lo studio delle foliazioni che intersecano la roccia. In rocce metamorfiche spesso però la stratificazione è obliterata dalla successiva deformazione. Generalmente la foliazione si dispone in modo parallelo o sub-parallelo al piano assiale delle pieghe (Fig.7.l.).

Fig.7.l. A - La foliazione è in genere parallela o sub-parallela al piano assiale delle pieghe. B - Fenomeni di rifrazione della foliazione si osservano comunemente tra strati di roccia a diverse competenza.

Tipi Di Foliazione

La nomenclatura dei vari tipi di foliazione è piuttosto confusa. In genere si usa il termine clivaggio per foliazioni della roccia verificatesi a bassa temperatura e pressione, e scistosità per foliazione della roccia nei vari gradi metamorfici.

Il termine clivaggio (un tipo di foliazione quindi) ad esempio abbraccia strutture di varia origine: il solo fattore comune è la fissilità, la quale porta la roccia ad essere separata lungo piani di foliazione.

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I principali tipi di clivaggio sono: - slaty cleavage: è un clivaggio tipico di argille metamorfosate a basso grado; - fracture cleavage: è costituito da una serie di fratture parallele strettamente spaziate; - pressure solution cleavage: è costituito da piani paralleli dove è avvenuta una dissoluzione per pressione; - crenulation cleavage: è costituito da piani generati da micropiegamenti. Spesso senza l'ausilio del microscopio non è possibile distinguere tra loro i vari tipi di clivaggio. Si adotta per questo un termine neutro nell'osservazione macroscopica che è clivaggio spaziato (spaced cleavage). La scistosità è una foliazione prodotta dall'allineamento parallelo di minerali tabulari, come ad esempio le miche, in rocce che sono state sottoposte ad una ricristallizzazione metamorfica. Un altro tipo di foliazione è data da un "layering" composizionale simile alla stratificazione ma di origine metamorfica o tettonica (gneissose banding).

Clivaggio In Argille Metamorfosate A Basso Grado (Slaty Cleavage). Questo tipo di clivaggio si esplica essenzialmente in rocce a grana fine come argille metamorfosate sotto bassissimo grado metamorfico. Questa fissilità penetrativa è particolarmente chiara al microscopio, dove si osserva un riarrangiamento parallelo di minerali fillosilicatici (ad esempio muscovite) e minerali argillosi, o il posizionamento parallelo di aggregati di particelle tabulari e lenticolari. L'origine di questa struttura è ancora più chiara quando la roccia contiene oggetti deformati di forma iniziale conosciuta (ad esempio fossili). Il piano del clivaggio corrisponde al piano di appiattimento di tali oggetti deformati; ciò permette di dedurre che l'orientazione parallela dei grani e dei minerali è dovuta alla compressione della roccia in una direzione perpendicolare al piano del clivaggio. Questa compressione ha prodotto una rotazione dei minerali della roccia ed ha controllato la direzione di crescita dei minerali di neoformazione metamorfica, allineandoli parallelamente alla direzione

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del clivaggio. Lo slaty cleavage si forma solo quando la roccia viene compressa di circa il 30% della lunghezza iniziale.

Clivaggio Di Frattura (Fracture Cleavage) . E' costituito da fratture parallele strettamente spaziate che separano la roccia in piani definiti. In sezione sottile queste fratture appaiono come microfaglie. Il clivaggio di frattura si forma in condizioni fragili a bassa temperatura, ed è tipico di rocce deformate competenti come arenarie e calcari. Il clivaggio di frattura può accompagnare lo slaty cleavage o nella stessa roccia o in strati adiacenti, e talvolta le fratture possono impostarsi sui piani di clivaggio precedentemente formatosi.

Clivaggio Pressione-Evoluzione (Pressure-Solution Cleavage). Le fratture possono avere una componente compressiva che provoca dissoluzione per pressione, oppure possono avere una componente distensiva, nel qual caso le fratture sono riempite di quarzo o calcite. Certi clivaggi di frattura sembrano dovuti ad una fratturazione idraulica prodotta da acqua spremuta fuori da sedimenti per carico litostatico.

Clivaggio Di Crenulazione (Crenulation Cleavage). Questo clivaggio è prodotto dal piegamento di sottili livelli o laminazioni dentro la roccia. Questo micropiegamento è detto crenulazione. Se le superfici assiali di tale crenulazione sono strettamente spaziate e parallele, si produce una marcata foliazione (Fig.7.2).

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Fig.7.2. Clivaggio di crenulazione (crenulation cleavage). A - asimmetrico; B - simmetrico. Il clivaggio è parallelo alle superfici assiali della crenulazione.

Questa foliazione è spesso aumentata da una ricristallizzazione selettiva di alcuni minerali lungo i piani di crenulazione, con migrazione di quarzo o calcite nei piani di crenulazione e la disposizione parallela ad esempio delle miche lungo tali piani, fattori questi che hanno una forte fissilità alla roccia. I1 clivaggio di crenulazione è spesso associato a deformazioni tardive di rocce che già possiedono un forte clivaggio o scistosità come risultati di una precedente deformazione. Clivaggio di crenulazione può comunque svilupparsi anche in rocce indeformate come ad esempio argille finemente laminate.

Scistosità Con l'aumento del grado metamorfico nelle rocce si attua una trasformazione mineralogica. Una foliazione, segnata dalla orientazione parallela dei minerali di neoformazione in una roccia metamorfica è detta scistosità. Una scistosità può essere prodotta direttamente da uno slaty cleavage

semplicemente con un aumento delle dimensioni dei minerali di neoformazione conseguente all'aumento di temperatura.

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Foliazioni Tessiturali (Shape Fabric Foliation) Un effetto importante della deformazione in molte rocce è l'allineamento parallelo di oggetti deformati ed allungati all'interno della massa rocciosa. La struttura prodotta da una serie di oggetti allungati e disposti parallelamente in piani è detta foliazione tessiturale.

"Layering" Composizionale Una "stratificazione" in rocce metamorfiche prodotta da livelli alternati di differente composizione è un importante elemento di molte rocce metamorfiche deformate. Abbiamo già visto che la migrazione di certi minerali durante la formazione del clivaggio di crenulazione può produrre una foliazione. La ridistribuzione preferenziale di minerali in rocce metamorfiche è chiamata segregazione metamorfica o differenziazione metamorfica (metamorphic segregation); questo è un importante processo per formazione di una layering (una specie di stratificazione) composizionale in rocce deformate. Una comune forma di segregazione a basso o assente grado metamorfico è data dalla già vista dissoluzione per pressione che da appunto un clivaggio per dissoluzione. Il layering composizionale è una caratteristica di molti gneiss; gli gneiss sono rocce metamorfiche a grana grossa, tipicamente di composizione quarzo-feldspatica.

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LINEAZIONI

Una lineazione è una struttura lineare prodotta in una roccia dalla deformazione. Vi sono vari tipi di lineazioni, ed è molto utile saperli riconoscere in campagna (Fig.7.3).

Fig.7.3. Tipi di linoazione. A - strie (slickenside) in una faglia; 13 - strie in un piano di stratificazione causate da flexural slip; C - lineazioni di crenulazione; D - lineazioni d'intersezione tra stratificazione e clivaggio; E - lineazioni prodotte dall 'allungamento dei minerali; F - lineazioni prodotte dall'intersezione dei minerali con un piano; G - tessitura parzialmente planare e parzialmente lineare.

Esempi comuni di lineazioni sono: strie, assi di pieghe di crenulazione, ciottoli allungati in un conglomerato deformato, linee di intersezione tra stratificazione e clivaggio, allineamento di minerali allungati.

Una semplice suddivisione di lineazioni può essere fatta nei seguenti gruppi: 1 - Lineazioni indicanti la direzione del movimento lungo una superficie (ad esempio appunto strie); 2 - assi di crenulazione parallela o di micropieghe; 3 - elongazione di oggetti deformati quali ciottoli, ooliti o fossili; 4 - orientazione parallela di minerali allungati (mineral lineations); 5 - intersezioni di due serie di piani (intersection lineations), come ad esempio l'intersezione tra un piano di stratificazione ed un piano di clivaggio oppure tra un piano di scistosità ed un piano di clivaggio di crenulazione.

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FABRIC TETTONICO Il fabric tettonico di una massa rocciosa è la disposizione spaziale di tutti gli elementi strutturali all'interno di una roccia. Può essere definito come la tessitura strutturale della roccia. Solo gli elementi strutturali a scala del campione di roccia o del microscopio costituiscono però, per definizione, il fabric. Il fabric di una roccia è dato quindi da una serie di elementi, planari o lineari, quali foliazioni e lineazioni. Un fabric caotico (random fabric) si ha quando gli elementi strutturali sono orientati a caso, senza una chiara direzione. Ovviamente il fabric riflette lo strain della roccia e cioè il modo in cui la roccia si è adattata allo stress subito. Il microfabric è la tessitura della roccia osservabile al microscopio o al microscopio elettronico. Spesso i singoli grani o minerali componenti una roccia sono intensamente deformati, in modo talora disomogeneo.

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8 STRUTTURE DI AMBIENTI TETTONICI COMPRESSIVI

Gli ambienti tettonici compressivi per eccellenza sono le catene orogeniche. Le catene orogeniche sono spesso chiamate megasuture. In esse placche di varie dimensioni e natura collidono ed i loro margini si deformano e si raccorciano. Le forze in gioco sono enormi e i tempi in cui queste si esplicano sono spesso dell'ordine di vari milioni di anni. Pensiamo per esempio alla catena delle Alpi che è il prodotto di una collisione tra la placca africana e quella europea cominciata almeno 100 milioni di anni fa, nel Cretaceo. La struttura delle catene è molto complessa e non tutti gli aspetti strutturali sono stati finora compresi. In modo schematico si può comunque osservare che dalle zone interne delle catene, dove la deformazione è massima, si passa gradualmente verso le zone esterne delle catene (avampaese o foreland), dove la deformazione è assente (Fig. 8.1). Verso l'esterno delle catene la deformazione interessa terreni sempre più superficiali ed anche il raccorciamento diminuisce gradualmente. Lo stress diminuisce d'intensità verso l'avampaese. Passando dall'interno all'esterno di una catena si osserva inoltre una transizione dalla deformazione duttile a quella fragile. Generalmente ogni catena ha una sua polarità principale, cioè una direzione verso cui i sovrascorrimenti tendono; questa polarità è detta vergenza della catena. Tuttavia frequentemente le catene presentano doppie vergenze, cioè hanno anche una vergenza opposta a quella principale; ciò è generato anche dalla presenza di retroscorrimenti (backthrust) che vergono in senso contrario alla vergenza principale della catena.

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vergenza principale della catena

Fig.8.1. Schema semplificato di una catena orogenica da collisione. Si può osservare che una catena è il prodotto della collisione della placca 1 con la placca 2, e la compenetrazione si attua con una serie di sovrascorrimenti. Le zone centrali di una catena sono costituite da materiale profondo, deformatosi in modo duttile e trasportato in superficie dai sovrascorrimenti. La zona esterna di una catena è invece contraddistinta da una deformazione più fragile e superficiale. Una catena possiede in genere una vergenza principale; strutture minori però possono presentare vergenza opposta a quella principale; sono in genere dette retroscorrimenti (backthrust).

Le catene montuose si formano in genere in varie decine di milioni di anni, e sono caratterizzate generalmente dall'avere rocce più vecchie (il basamento cristallino ad esempio) esposte sempre più verso la zona interna. La crosta terrestre è più spessa in tutte le catene.

I sovrascorrimenti maggiori si sviluppano progressivamente dalle zone interne a quelle esterne di una catena.

Ovviamente ogni catena presenta caratteristiche strutturali proprie perché la collisione può aver interessato placche di forma e costituzione assai diversa, scontratesi con velocità e tempi sempre molto variabili. Nella catena alpina si possono ad esempio distinguere le deformazioni legate prima ad una fase di subduzione di crosta oceanica sotto crosta continentale e poi, una volta chiuso il bacino oceanico della Tetide interposto tra l'Europa e l'Africa, le deformazioni legate a collisione tra crosta continentale e crosta continentale.

Nell'insieme, una catena vista in sezione è comunque contraddistinta da importanti sovrascorrimenti che possono originarsi alla base o all'interno della crosta.

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I sovrascorrimenti fanno risalire materiali profondi verso la superficie. Il materiale del mantello litosferico sottostante le catene si pensa venga invece subdotto, cioè reinghiottito dal mantello. La deformazione lungo i piani di sovrascorrimento è estremamente duttile in profondità, ad alta temperatura e ad alta pressione. In questo tipo di ambiente si originano le falde (Fig. 8.2); le falde sono anche dette nappe, termine francese adottato dalla letteratura internazionale.

Fig.3.2. Evoluzioni di una falda per piega coricata.

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Le falde sono generalmente costituite da pieghe isoclinali chilometriche il cui fianco Inferiore si lacera durante la messa in posto, permettendo lo sviluppo di importanti piani di sovrascorrimento; ciò avviene ovviamente in livelli strutturali estremamente duttili, ad alta temperature ed alta pressione. Le falde che caratterizzano la catena alpina sono spesse al massimo cinque chilometri, e possono aver percorso distanze di varie decine di chilometri. La zona più superficiale di una catena presenta geometrie più fragili ed il raccorciamento si esplica meno tramite piegamenti, ed in maggior misura attraverso sovrascorrimenti. Queste parti di catena sono in letteratura note come thrust belt (cintura di sovrascorrimento). Il thrust belt ha un suo avampaese (foreland) che può a sua volta essere distinto in avampaese piegato (folded foreland), e in avampaese non piegato (unfolded foreland), Fig. 8.3.

I tre tipi principali di raccorciamento: A - per sovrascorrimento; B - per scollamento cori sovrastante buckling; C - per scollamento con sovrastante dissoluzione per pressione (LPB = layer parallel shortening). in natura si ha spesso la combinazione di questi tre meccanismi principali.

Fig.8.3. Per avampaese (foreland) di una catena montuosa s'intende quella zona frontale verso cui la catena verge; nell'avampaese il basamento non in genere coinvolto dai sovrascorrimenti. L'avampaese può essere differenziato in un avampaese piegato (folded foreland) ed un avampaese non piegato (unfolded foreland).

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Il thrust belt è anche detto cuneo di accrezione, cioè un cuneo di impilamento tettonico dove brandelli di crosta si affastellano l'uno sopra l'altro. L'accrezione appunto si esplica tramite sovrascorrimenti e si verifica in zone di collisione sia tra croste continentali che tra croste oceaniche. Vediamo ora le più tipiche strutture che possiamo osservare in un thrust belt. Abbiamo detto che il raccorciamento si attua tramite sovrascorrimenti. I sovrascorrimenti però possono assumere numerose forme e rapporti reciproci che possiamo schematizzare in Fig. 8.4.

Fig. 8.4. Geometrie principali descritte dai sovrascorrimenti in un thrust belt. Questo semplice schema è molto importante nell'analisi delle geometrie di un thrust belt osservato in sezione. Si vedano anche le Figg. 8.5 e 8.6.

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Un embricate fan (ventaglio embriciato) è un insieme di sovrascorrimenti che descrivono una geometria a ventaglio (Fig.8.4.); partendo da uno scollamento basale, i sovrascorrimenti si trasmettono verso l'alto in ramp. In genere si può notare una successione temporale dei sovrascorrimenti dal più antico al più giovane (Fig.8.4, 1-2-3), rivolta o verso l'esterno o verso l'interno della catena. Un duplex è una geometria descritta da un sovrascorrimento che si scinde in due sovrascorrimenti, uno basale (floor thrust) ed uno sommitale (roof thrust); i due sovrascorrimenti si riuniscono poi insieme in un flat sommitale. La parte inglobata dai due sovrascorrimenti è detta "horse". All'interno di un duplex vi possono essere vari sovrascorrimenti minori che frammentano la struttura in numerosi horse (Fig.8.4.). Quando in un embricate fan i sovrascorrimenti hanno una traiettoria a gradini (staircase trajectory) con successioni di ramp e flat, allora si può avere una combinazione di embricate fan con duplex (Fig.8.4). Un sovrascorrimento fuori sequenza (out-of-sequence thrust) è un sovrascorrimento che non esegue le geometrie di un embricate fan o un duplex, ma le taglia senza seguire una traiettoria tipica della struttura e generando così delle strutture molto complicate da districare cinematicamente (Fig.8.5).

Fig.8.5. Sovrascorrimenti fuori sequenza (out-of-sequence thrust); sono sovrascorrimenti che non seguono le geometrie della struttura, ma la tagliano generando complicate strutture.

I retroscorrimenti (backthrust) sono sovrascorrimenti rivolti nel senso opposto alla generale vergenza di un thrust belt, sono cioè rivolti verso il nucleo

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della catena (hinterland). Possono generare strutture dette pop-up (Fig.8.6). Le zone a triangolo sono invece strutture racchiuse da sovrascorrimenti convergenti (Fig.8.6).

Fig.8.6. Retroscorrimenti (backthrusts), pop-up, out-of-syncline thrust, zone a triangolo.

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Le variabili che condizionano l'evolversi di una della varie geometrie descritte sono numerose. Oltre alle solite pressione e temperatura, velocità di deformazione, presenza di fluidi, ecc., ricordiamo ovviamente le litologie, e soprattutto i contrasti litologici, che permettono scollamenti (flat) localizzati in rocce incompetenti e ramp situati in rocce relativamente più competenti. Inoltre è importante per la geometria distanza tra un sovrascorrimento e l'altro (Fig.8.7), che è funzione della resistenza al taglio, cioè la resistenza che le litologie oppongono alla rottura. La distanza sarà maggiore tra un sovrascorrimento e l'altro tanto più la roccia è competente. In una successione di sovrascorrimenti, se questi sono molto vicini, man mano che si formano rialzano i precedenti posti nell'hangingwall (Fig.8.7, es. 2b).

Fig.8.7. Due tipi di evoluzione di ventaglio embriciato. La geometria di un ventaglio embriciato è funzione anche della distanza tra un sovrascorrimento e l'altro. Nel caso 2) per esempio la distanza x' è minore che nel caso 1). Per questo nel caso 2) il sovrascorrimento dello stadio b) ripiega il sovrascorrimento dello stadio a). Nel caso l) invece il sovrascorrimento dello stadio b) è sufficientemente distante (x) per non ripiegare o modificare il sovrascorrimento dello stadio a).

In un duplex ad esempio (Fig.8.8), la forma e l'altezza totale hd sarà data dall'angolo dei ramp dei sovrascorrimenti, dall'altezza h del pacco di rocce compreso tra lo scollamento inferiore (floor thrust) e quello superiore (roof thrust), nonché dal rigetto dei singoli sovrascorrimenti (si immagini come sarebbe diversa la geometria aumentando il rigetto dei sovrascorrimenti), ed infine dalle distanze iniziali e finali tra un sovrascorrimento e l'altro (Fig.8.8).

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Fig.8.8. Evoluzione progressiva di duplex generato da tre sovrascorrimenti scollati in comuni livelli basale e sommitale (floor thrust e roof thrust). I fattori che controllano la geometria di un duplex sono l'angolo dei ramp x, l'altezza h della serie coinvolta dalla deformazione, il rigetto di ogni sovrascorrimento (d 1, d2, d3) e le distanze iniziali e finali tra un sovrascorrimento e l'altro.

Duplex di ordine minore si possono formare all'interno di strutture maggiori (Fig.8.9), per esempio nel footwall o nell'hangingwall di un'anticlinale da ramp (come un out-of-syncline thrust (Fig.8.6).

Fig.8.9. Duplex minori associati a strutture di ordine maggiore.

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Le zone frontali delle catene possono presentare forme assai diverse. In Fig.8.10 sono illustrati alcuni esempi.

Si può notare anche nelle catene una stretta relazione tra l'andamento del clivaggio per dissoluzione per pressione e lo sviluppo dei thrust belt (Fig. 8.11) . Quando l'erosione superficiale incide strutture come quelle viste finora (nappe, embricate fan, duplex, ecc.) si possono formare dei brandelli isolati di un originario sovrascorrimento. Questi brandelli sono detti klippen o lembi di ricoprimento (scogli tettonici) e sono lembi dell'hangingwall di un thrust, staccati ed isolati dalla erosione (Fig.8.12).

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Fig.8.11. Evoluzione tra clivaggio per dissoluzione per pressione e formazione di duplex all'interno di un thrust belt.

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Viceversa quando l'erosione incide un sovrascorrimento in modo tale da mettere a giorno un'area limitata del footwall di un thrust, si parlerà di finestra tettonica (tectonic window), Fig.8.13.

Sono dunque numerose le geometrie particolari che si possono trovare in un thrust belt, ed è importante capire come esse si sviluppano lateralmente nella terza dimensione (Fig.8.14).

Fig.8.14. Due possibili variazioni laterali di thrust belt visti in pianta: i thrust possono essere connessi a faglie trascorrenti (A), oppure possono presentare geometrie anastomizzate (B).

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Vista in pianta un'area in compressione presenta precise caratteristiche che seguono lo schema deformativo di Fig.8.15.

Oltre cioè a pieghe e sovrascorrimenti perpendicolari alla compressione si formano comunemente sistemi coniugati di faglie trascorrenti destre e sinistre, con un angolo reciproco di 45°-70°, mediamente 60°. La bisettrice di quest'angolo corrisponde alla direzione della compressione massima, o si. Ovviamente i sovrascorrimenti sono nettamente più numerosi e più importanti delle faglie trascorrenti nei thrust belt. Importanti faglie trascorrenti si formano spesso dove un arco di una catena termina; oppure, all'interno delle catene, trascorrenze si impostano in zone di debolezza crostale preesistenti la collisione. Le strutture fin qui viste (ad esempio embricate fan e duplex) si possono trovare non solo a scale chilometriche, ma anche a scale millimetriche.

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TETTONICA COMPRESSIVA E SEDIMENTAZIONE

Ogni catena da collisione del mondo ha una sua avanfossa (foreland basin): l'avanfossa è un'area in subsidenza prodotta dal carico del materiale crostale impilato dai sovrascorrimenti e dal carico dei sedimenti stessi che man mano si depongono nella zona frontale, provenienti dalla erosione della catena (Fig.8.16) .

Fig.8.16. Nel disegno A è raffigurato un esempio teorico di una massa caricata su una base elastica. Lo sprofondamento è funzione del peso della massa. Si noti la formazione di un rialzo, detto periferico. Nel disegno B vi è il parallelo geologico: il carico dei materiali impilati dai sovrascorrimenti produce una subsidenza della crosta sottostante. ll bacino di sedimentazione che si forma frontalmente ai sovrascorrimenti è detto avanfossa . Si noti anche il rialzo periferico che si forma al margine dell'avampaese per il carico dei sovrascorrimenti e dei sedimenti. Se il rialzo periferico è subaereo, in corrispondenza di esso si forma una superficie di erosione. Le variazioni di subsidenza dell'avanfossa sono appunto funzione dei materiale impilato nella catena, sono cioè funzione dell'attività dei sovrascorrimenti.

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E' stato dimostrato sia sperimentalmente che con l'analisi di thrust belt (ad esempio gli Appalachi) come l'attività dei sovrascorrimenti influenzi la subsidenza della crosta e quali conseguenze ciò porti alla struttura ed alla sedimentazione. Si è visto ad esempio che si forma un sollevamento al margine lontano dell'avanfossa (Fig.8.16) detto rialzo periferico (peripheral bulge). Se questo rialzo periferico è subaereo, in esso si formerà una superficie di erosione. Questa superficie di erosione migra e viene poi ricoperta dai sedimenti dell'avanfossa. Nuove superfici di erosione si formano con lo spostamento del rialzo periferico, spostamento legato all'attività dei sovrascorrimenti. L'avanfossa può venire a sua volta inglobata dal thrust belt ed i bacini molassici isolati che ne derivano sono detti piggy back basins, geometrie equivalenti a quello che nell'Appennino era detto Mesoautoctono Toscano (Fig.8.17).

Fig.8.17. L'avanfossa (o foreland basin) è una zona frontale alla catena dove si riversano i sedimenti provenienti dall'erosione della catena in sollevamento, come visto anche in Fig.8.16. Quando un nuovo sovrascorri mento coinvolge anche i sedimenti dell'avanfossa si può formare un bacino minore detto "piggy back basin", che mentre riceve sedimentazione viene anche traslato verso l'avampaese non piegato.

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Sono possibili vari altri tipi di rapporti geometrici tra bacino molassico de 11'avampaese e fronte del thrust belt. In Fig.8.18 ad esempio è illustrata un'ipotesi di relazione fra thrust cieco di una zona a triangolo, complicato dall'evolversi di duplex (stadi 1-2-3), ed il bacino molassico frontale.

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9 STRUTTURE DI AMBIENTI TETTONICI TRASCORRENTI

Faglie trascorrenti sono presenti sia ai margini che all'interno delle placche; costituiscono spesso anche importanti lineamenti all'interno delle catene orogeniche. La caratteristica più evidente in pianta è la disposizione en-échelon delle strutture ad essa associate (Fig.9.1).

Fig.9.l. A - disposizione en-échelon di piccole faglie trascorrenti in una zona di taglio sinistro nell'esperimento di Riedel; R' - RiedeI antitetiche. B - disposizione en-échelon di pieghe e sovrascorrimenti in prossimità di una faglia trascorrente sinistra

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Le strutture che si formano in zone trascorrenti seguono lo schema di Fig.9.2.

Fig.9.2. Come già visto, i vettori in una zona di taglio possono essere scomposti in un vettore indicante la di massima compressione ed in un vettore indicante la massima estensione. Si noti che in una zona trascorrente si formeranno pieghe e sovrascorrimenti di direzione perpendicolare ai vettori di estensione. Si noti anche che il sistema di faglie coniugate trascorrenti destre e sinistre è sulla bisettrice parallela ai vettori compressivi. Il sistema di faglie coniugate trascorrenti è uguale a quello osservabile nell'esperimento di Riedel (Fig.4.8), con trascorrenti sintetiche ed antitetiche. Si può infine vedere che questo schema è, tolta la coppia esterna trascorrente, uguale a quello per le zone compressive: le direzioni delle strutture rispetto ai vettori compressivi rimangono infatti immutate. La differenza che si osserva in natura è però che nelle zone trascorrenti sono più i mportanti e più numerose che nelle zone di compressione pura.

Abbiamo detto che le faglie trascorrenti possono avere un movimento puro oppure possono presentare una componente distensiva, nel qual caso possono essere definite come faglie transtensive, oppure possono presentare una componente compressiva, cioè i corpi scorrendo l'uno vicino all'altro tendono nel contempo ad avvicinarsi, nel qual caso si parlerà di faglie transpressive. Fenomeni transtensivi o transpressivi si possono osservare ad esempio in zone dove una faglia trascorrente si interrompe e cambia posizione (Fig.9.3), oppure lungo faglie trascorrenti dall'andamento ondulato (Fig.9.4).

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Fig.9.3. ll cambio di posizione (destro o sinistro) osservabile in pianta di una faglia trascorrente può generare o delle zone di distensione (transtensione) dove si formano dei bacini detti pull apart, oppure può generare delle zone in compressione (transpressione) dove si formano delle strutture rialzate dette transverse range.

Fig.9.4 L'andamento sinuoso di una faglia trascorrente può generare aree di transtensione e aree di transpressione, rispettivamente in abbassamento ed in sollevamento.

Le zone transtensive in pianta evidenziano una maggiore presenza di graben en-échelon, mentre le zone transpressive presentano un maggior numero di sovrascorrimenti e pieghe en-échelon, di direzione ovviamente perpendicolare ai graben.

A seconda dei tre casi (trascorrenza pura, transtensione, transpressione) si formeranno particolari associazioni di faglie e strutture che vanno sotto il nome generico di strutture a fiore (flower structure), questo perché, viste in sezione, le faglie in queste strutture presentano una geometria a fiore, riunendosi e/o anastomizzandosi in profondità.

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Tipiche strutture di zone transtensive (trascorrenza con componente distensiva) sono le strutture a fiore negative (negative flower structures) Fig.9.5

Fig.9.5. Struttura a fiore negativa: si genera in una zona di trascorrenza, associata ad una componente distensiva. E' quindi una struttura transtensiva. E' detta negativa perché il nucleo del "fiore" è abbassato. Si noti che in superficie può apparire come un semplice graben. Le faglie si riuniscono in profondità.

Viceversa strutture tipiche di zone trascorrenti con una componente di movimento tra i blocchi compressiva (cioè zone transpressive) sono le strutture a fiore positive (positive flower structures), Fig.9.6.

Fig.9.6. Struttura a flore positiva si genera in una zona trascorrente associata ad una componente compressiva. E' quindi una struttura transpressiva. E' detta positiva perché il nucleo del "fiore" descritto dalle faglie inverse è sollevato rispetto alle zone adiacenti. Le faglie si riuniscono in profondità.

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I piani di faglia delle strutture a fiore presentano strie caotiche, con movimenti sia orizzontali che verticali. Sia in pianta che in sezione (rispettivamente strutture en-échelon e strutture a fiore) le geometrie osservabili nelle zone trascorrenti sono le stesse qualsiasi scala venga considerata (Fig.9.7).

Fig.9.7. A - comparazione di zone trascorrenti a scale millimetriche e chilometriche: si può osservare che le geometrie descritte sono le stesse (da Tchalenko 1970). B - flower structure sperimentale in un campione di roccia (si noti la scala millimetrica), ed una flower structure chilometrica.

Una faglia trascorrente nel basamento può manifestarsi all'inizio del suo movimento solo con delle pieghe en-échelon nella copertura sedimentaria (Fig.9.8). Con il proseguire della trascorrenza anche la copertura sedimentaria si faglia e le pieghe iniziali vengono tagliate da un reticolo di faglie (trascorrenti minori, faglie inverse e normali) che seguono lo schema di Fig.9.2.

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Fig.9.8. Stadi evolutivi di una zona trascorrente sinistra: da un iniziale piegamento en-échelon della copertura sedimentaria (stadio incipiente) si passa gradualmente ad un completo fagliamento (stadio maturo).

Vista nelle tre dimensioni, una zona transpressiva presenta faglie inverse che si anastomizzano sollevando i blocchi contenuti all'interno (Fig.9.9). Grandi eventi transpressivi sono stati invocati per spiegare alcuni tipi di catene al mondo (ad esempio lo Spitzbergen orogenic belt). Fasce transpressive si trovano comunque in quasi tutte le catene del mondo: si prenda ad esempio la Chaman Transform Zone, al confine fra Afghanistan e Pakistan, zona che rappresenta il margine occidentale del blocco indiano incuneatosi all'interno del continente asiatico (Fig.9.10). In questa grande fascia si può osservare come non vi sia soluzione di continuità tra la zona a transpressione sinistra della Chaman Transform Zone e le zone a compressione pura adiacenti.

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Fig.9.10. La Chaman Transform Zone è un'area in transpressione sinistra generata dall'incunearsi del blocco indiano nel continente asiatico. Si noti che non vi è soluzione di continuità tra la zona transpressiva e le zone a compressione pura adiacenti.

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Là dove una zona di trascorrenza nasce si formano delle faglie distensive; queste si formano necessariamente per una perdita di volume. Tali zone diventano dunque aree di subsidenza e di conseguente sedimentazione (Fig.9.11) . Lungo una zona trascorrente poi, come visto, a seconda delle ondulazioni del taglio, si hanno transpressioni o transtensioni che si manifestano con pieghe, sovrascorrimenti e/o faglie normali (Fig.9.11). del dettaglio si riconoscono strutture di ordine minore tipo tagli sintetici ed antitetici.

Fig.9.11. Vista in pianta di una zona trascorrente.

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TETTONICA TRASCORRENTE E SEDIMENTAZIONE Abbiamo visto le più importanti strutture associate a zone trascorrenti e abbiamo notato che da una parte vi sono strutture transtensive quali strutture a fiore negative, graben en-échelon e pull-apart; dall'altra vi sono strutture transpressive quali strutture a fiore positive, pieghe e sovrascorrimenti en-échelon e transverse range. Nel primo caso avremo aree in subsidenza e la creazione di bacini sedimentari, mentre nel secondo caso avremo aree in sollevamento, potenziali sedi di erosione (Fig.9.12).

Fig.9.12. Area in subsidenza con maggior sedimentazione e area in sollevamento (uplift) in erosione lungo una faglia trascorrente destra dall'andamento ondulato (pull-apart e transverse range).

I bacini di pull-apart (per esempio il Mar Morto) possono essere riempiti da qualsiasi tipo di sedimenti sia marini che continentali. Le aree in sollevamento possono rappresentare aree di alto strutturale sul quale possono attecchire piattaforme carbonatiche se le condizioni fisiobiologiche lo consentono (Fig.9.13).

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La caratteristica saliente della sedimentazione in zone strike-slip (trascorrenza) è la presenza di spessori e facies variabili in breve spazio (Fig.9.14) .

Fig.9.14. Esempio di sedimentazione in zona trascorrente.

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10 STRUTTURE DI AMBIENTI TETTONICI DISTENSIVI

Gli ambienti distensivi per eccellenza sono le aree di rifting. In esse la crosta viene lacerata ed assottigliata mediante un allontanamento delle parti. Distensioni si attuano sulla cresta di duomi di sale o di duomi legati alla messa in posto in corpi magmatici. Le più ovvie espressioni strutturali di questi ambienti sono le faglie normali. La compressione principale, o meglio il si, negli ambienti distensivi è verticale e ne derivano appunto faglie normali coniugate rispondenti allo schema di Fig.10.1.

Fig.10.1. Le faglie distensive coniugate sono la risposta strutturale ad un si verticale. Si noti che è sufficiente un'

estensione molto piccola (s3 o stress minimo) per creare un graben.

In margini continentali passivi si formano tipiche strutture ad horst e graben, limitate da faglie distensive, generalmente a forma listrica. Le faglie si possono riunire asintoticamente in un livello unico di scollamento intracostale. La faglia listrica è detta faglia maestra (master fault), mentre le faglie minori parallele alla faglia maestra e con stessa immersione sono dette faglie sintetiche; faglie minori parallele alla faglia maestra, ma con immersione opposta sono dette faglie antitetiche (Fig.10.2).

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I rifting crostali di questo tipo, legati al tentativo del mantello di farsi strada nella crosta, sono guidati da faglie trascorrenti, o trasformi, che guidano lo sviluppo delle faglie distensive (Fig.I0.3).

Fig.10.3. Esempio di rifting controllato da una faglia trasforme.

Sistemi distensivi come visto nel capitolo precedente, possono svilupparsi anche en-échelon ad una zona di transtensione ed essere quindi una conseguenza della trascorrenza. Nel caso di Fig.10.3, la trascorrenza e la distensione sono invece non una la conseguenza dell'altra, ma l'adattamento superficiale della crosta al processo d'innalzamento del mantello sottostante si prendano ad esempio i sistemi di rifting attuale nelI'Africa orientale.

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Lungo il piano concavo di una faglia listrica si possono formare delle particolari pieghe dette rollover anticline, che non sono da confondere con pieghe di ambienti compressivi (Fig.10.4).

Fig. 10.4. Le rollover anticline sono pieghe generate da un adattamento volumetrico delle rocce alla geometria di ramp-flat di una faglia listrica.

Come per i sovrascorrimenti, anche le faglie listriche possono presentare una traiettoria a gradini (ramp e flat) che può generare complicate strutture e anche qualche faglia inversa del tutto inaspettata in un ambiente distensivo (Fig.10.5).

Fig.10.5. Geometria a ramp-flat in una faglia listrica. Questa ha generato una rollover anticline ed una faglia inversa.

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Sistemi distensivi di età diverse possono sovrapporsi generando complicati reticoli di faglie normali (Fig.10.6) .

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Aree in distensione quali margini continentali passivi sono aree di grande accumulo di sedimenti. La differente subsidenza tra zone di horst e graben produce un accumulo differenziato dei sedimenti (Fig.10.7).

Fig.10.7. Nel graben avviene una maggiore sedimentazione.

Queste zone di maggiore accumulo possono poi subire un maggiore costipamento che condiziona la successiva sedimentazione (Fig.10.8).

Fig.10.8. I sedimenti che avevano riempito il graben (a punti fini) sono stati costipati maggiormente nella zona del graben, generando uno sprofondamento che è stato successivamente colmato dai sedimenti a punti grossi.

TETTONICA DISTENSIVA E SEDIMENTAZIONE

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Blocchi tiltati di semigraben a loro volta controllano la sedimentazione generando contatti di tipo on-lap o pinch-out (Fig.10.9).

Sono infine dette faglie di crescita (growth faults) quelle faglie che continuano a svilupparsi durante la sedimentazione. Queste faglie, che sono molto comuni, presentano serie sedimentarie ispessite nell`hangíngwall vicino alla faglia (Fig.10.10).

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11 STRUTTURE GENERATE DALLA GRAVITA'

Vi sono autori che invocano la forza di gravità come motore di falde nella costruzione delle catene orogeniche: molte falde delle Alpi ad esempio sono state interpretate come generate da un semplice scivolamento per gravità (ad esempio le Alpi Calcaree Settentrionali). Queste interpretazioni sono però state negli ultimi tempi sottoposte a dure critiche. Le strutture generate dalla forza di gravità che qui si discutono sono quelle strutture che si formano per differenze di densità relativa. Materiali più leggeri e meno densi tendono a risalire verso la superficie per ristabilire un equilibrio isostatico. In pratica si verifica che del materiale più leggero, poco viscoso e particolarmente plastico perfora le rocce sovrastanti per farsi strada verso la superficie. Queste strutture si chiamano dia p i r i. I diapiri per gravità sono in genere formati dal sale o in minor misura dalle argille. I diapiri formano delle strutture molto tipiche perforanti la serie sovrastante. Possono assumere delle geometrie a cuscino (in questo caso non sono dei diapiri veri e propri in quanto non perforano la serie sovrastante), oppure a cilindro o a palloncino, fino a disconnettersi con l'area sorgente, a seconda del loro stadio evolutivo (Fig. 11.1). Il materiale che si accumula nei diapiri ovviamente viene tolto dalla sua originaria posizione stratigrafica, dove infatti viene a crearsi una lacuna. L'evoluzione dei diapiri, cioè la loro risalita ha dei tempi molto variabili: in zone stabili la risalita avviene in vari milioni di anni, mentre in zone compressive la risalita può avvenire molto più rapidamente. Famosi sono i diapiri di sale del Texas e del Messico, o della Germania Nord-occidentale (zone non in compressione), oppure negli Zagros in Iran (all'interno di una catena in compressione). Diapiri sono anche noti nel Mediterraneo, in Unione Sovietica, nell'Artico Canadese, ecc..

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I diapiri si formano per il flusso di materiale da zone di maggior sovraccarico delle rocce superiori a zone di minor sovraccarico. Il sale ha un peso specifico di circa 2.2 g/cm3 , inferiore a quello medio ad

esempio di calcari e arenarie (2.5-2.7 g/cm3 ) fattore questo che permette la risalita del sale verso l'alto.

I diapiri di sale sono impermeabili e lateralmente ad essi, se la struttura lo permette, possono generarsi delle trappole per il petrolio. I diapiri sono inoltre interessanti economicamente per l'estrazione del sale e di solfuri.

Fig.11.1. Evoluzione di un diapiro salino: I - ll carico delle formazioni sovrastanti il sale accentua irregolarità precedenti facendo fluire il sale verso zone di minore sovraccarico; 2 - si forma un cuscino di sale e la spinta verso l'alto genera delle faglie normali sulla cresta; 3 - il sale continua a fluire verso l'alto, lasciando le aree laterali dove si formano delle lacune stratigrafiche di origine tettonica; 4 - si forma un diapiro vero e proprio, perforante la serie stratigrafica sovrastante; 5 - il duomo di sale arriva in superficie e si sconnette con l'area sorgente.

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I diapiri di sale con la loro spinta verso l'alto generano una compressione (o si) verticale che provoca un inarcamento sommitale: ne deriva la formazione di faglie normali sulla cresta (Fig.11.2).

Fig.11.2. Faglie normali sulla cresta di un diapiro di sale, conseguenti al si verticale.

Se il diapiro ha forma circolare allora queste faglie viste in pianta descrivono una raggiera, mentre se il diapiro ha una forma allungata, le faglie in superficie avranno forma ellittica (Fig.11.3).

Fig.11.3. Sistemi radiali di faglie normali sulla cresta di duomi di sale dalla forma circolare o ellittica

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I diapiri provocano un trascinamento verso l'alto delle rocce attraversate, piegandole o strappandone dei blocchi che possono venire trascinati o inglobati dalla struttura. Durante la risalita i diapiri costituiscono degli alti strutturali che condizionano in negativo la sedimentazione: in un diapiro sinsedimentario la copertura stratigrafica sommitale sarà più sottile che non nelle zone adiacenti (Fig. 11.4) .

Fig.11.4. Un duomo di sale che ha condizionato la sedimentazione: si noti che sulla sua cresta le formazioni sono ridotte di spessore o addirittura assenti.

Se un diapiro di sale raggiunge la superficie si può formare un fenomeno di alterazione che genera dei crostoni detti cap rock. Spesso diapiri di sale in margini continentali passivi si formano in corrispondenza di faglie normali nel basamento (Fig.11.5).

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Comuni ma meno voluminosi sono anche i diapiri di fango e argilla. Come evaporiti tipo il sale, fanghi e argille possono creare perforazioni nella risalita verso l'alto. La fluidità che caratterizza questi materiali ne facilita il movimento. Come per i diapiri di sale, anche queste strutture s i formano tanto più facilmente quanto più grande è il peso delle rocce sovrastanti. Rapidi sovraccarichi della serie sovrastante depositi fangosi e argillosi possono provocare fenomeni tissotropici, cioè di liquefazione del materiale soggetto a carico o a shock. Così ad esempio si possono formare diapiri di fango in un prodelta progradante molto rapidamente (Fig.11.6 ), o in aree di rapido carico tettonico (ad esempio, il peso di masse sovrascorse).

I diapiri di fango sono spesso associati a depositi di gas metano; generalmente queste strutture hanno un diametro medio di 50-100m. La loro messa in posto può essere molto rapida e talvolta esplosiva (vulcani di fango). La differenza sostanziale nell'origine tra i diapiri di fango e quelli di sale è che la minor densità dei fanghi rispetto alle rocce sovrastanti è dovuta ad una scarsa compattazione che a una bassa densità dei minerali, come nel caso delle evaporiti. Evaporiti quali il gesso e l'anidrite, pur se relativamente abbastanza leggeri non danno strutture diapiriche per semplice gravità se non sono associate al sale. I diapiri costituiti da gessi e anidriti si formano solo in aree di tettonica attiva (compressiva o transpressiva) che aiuta questi materiali nella perforazione verso l'alto. Tutti i tipi di diapiri (di evaporiti quali il sale, il gesso l ' anidrite, o di fango e argilla) si formano per un flusso di materiale verso l'alto: durante questo flusso i materiali che costituiscono i diapiri

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subiscono un'intensa deformazione duttile, paragonabile a quella di rocce metamorfiche, anche se la deformazione è avvenuta a bassa temperatura. Si possono infatti notare intense foliazioni, flussi di materia con ispessimento delle cerniere delle pieghe, pieghe isoclinali, pieghe ripiegate, ecc.. Nuclei di pieghe di materiale evaporitico o argilloso in aree di compressione possono "esplodere" e perforare la piega che li contiene (Fig.11.7).

Fig.11.7. La compressione ha fatto in modo che il materiale evaporitico del nucleo perforasse la cerniera della piega, generando così una struttura diapirica di origine tettonica.

Abbiamo visto in modo veramente schematico alcuni tipi di strutture diapiriche. Abbiamo trascurato importanti fattori fisici e petrografici che li condizionano, come ad esempio la temperatura, la pressione, i pesi specifici delle rocce perforate e perforanti, la instabilità mineralogica delle evaporiti in funzione della profondità, ecc..

Ricordiamo comunque l'importanza di descrivere le forme essenziali che i diapiri assumono e l'ambiente tettonico sedimentario dove essi si sviluppano.

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VULCANOTETTONICA Diapiri ovviamente di altro genere, ma pur sempre diapiri nel senso di strutture perforanti e risalenti verso la superficie per gravità, sono le intrusioni magmatiche. Il magma infatti risale verso la superficie per la sua fluidità. Anche in questo caso i magmi risalendo creano un si verticale, provocando un inarcamento sommitale, un duomo cioè, accompagnato da faglie normali; queste faglie normali diventano così la sede preferenziale di intrusione dei filoni magmatici (Fig.11.8).

Fig.11.8. Sezione orizzontale di un'area vulcanica: la spinta verso l'alto dei magmi ha provocato un sistema radicale di faglie e fratture lungo cui si sono intrusi i filoni vulcanici detti dicchi radiali (radiai dikes).

In un'area vulcanica infatti si nota una disposizione frequentemente radiale dei filoni che si sono intrusi in fratture e faglie generate dal s1 verticale. Quando però il magmatismo si imposta in un'area soggetta a compressione, la traiettoria dei si verticale (legata al magmatismo) interferisce con il si orizzontale (legato alla tettonica regionale); di conseguenza anche le fratture e le intrusioni filoniane si adattano a questo particolare campo di stress. I filoni sono importanti indicatori degli stress subiti da una regione in quanto la loro messa in posto è condizionata dalla direzione delle fratture e delle faglie. Con la messa in posto di una camera magmatica negli strati superiori della crosta terrestre, alimentatrice di vulcani in superficie, si formano le caldere.

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Le caldere sono il prodotto dello sprofondamento di cilindri o semicilindri di materiale all'interno di una camera magmatica svuotata per l'estrusione del magma tramite un vulcano (Fig.11.9). Si formano così faglie cilindriche o semicilindriche che permettono lo sprofondamento verso la camera magmatica; queste faglie a loro volta permettono l'intrusione di magmi che assumono forme filoniane circolari dette intrusioni anulari, o ring dikes (Fig.11.9).

Il peso dei sedimenti estrusi da un vulcano può inoltre generare una subsidenza da carico in corrispondenza dell'apparato effusivo, esattamente un movimento inverso a quello del duomo iniziale. La messa in posto di un corpo magmatico provoca, come abbiamo visto, la formazione di un duomo, ma nella sua risalita tale corpo provoca anche degli effetti termici e strutturali nelle rocce incassanti (Fig.11.10). Corpi plutonici, batoliti, laccoliti o altri tipi di intrusioni nella crosta possono provocare specifiche deformazioni tettoniche legate alla loro messa in posto: faglie e pieghe di trascinamento verso l'alto. In livelli più profondi della crosta il diapirismo può essere la causa di messa in posto di duomi gneissici e diapirismo igneo si pensa permetta a magmi di passare dalla astenosfera attraverso la litosfera.

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Fig.11.10. Alcuni meccanismi di messa in posto di corpi ignei.

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12 - STRUTTURE SOVRAIMPOSTE E INVERTITE DATAZIONE DEI MOVIMENTI

STRUTTURE SOVRAIMPOSTE E INVERTITE

Immaginiamo che una regione sia stata interessata da una tettonica di un tipo qualsiasi di quelli visti finora nei capitoli precedenti. Supponiamo che la stessa regione venga ora coinvolta da una seconda qualsiasi fase tettonica: quest'ultima fase eredita le geometrie della precedente fase e ne sarà condizionata come abbiamo visto nello schema dell'evoluzione degli eventi tettonici nel capitolo I. Possiamo fare degli esempi comuni: una regione che viene stirata da una tettonica distensiva viene successivamente ricompressa nella stessa direzione; i piani di distensione quali faglie normali listriche possono divenire piani di sovrascorrimento nella seconda fase (Fig. 12.1).

Fig. 12.l. Esempio di piani di faglie normali listriche riattivati in piani di sovrascorrimento.

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In una situazione opposta, dopo una fase compressiva, una fase distensiva può rimobilizzare in movimenti normali listrici precedenti piani di sovrascorrimento (Fig. 12.2).

Fig. 12.2. Esempio di piano di sovrascorrimento riutilizzato da una faglia normale listrica.

Gli esempi dati nelle figure precedenti sono solo due degli innumerevoli casi di sovrapposizione che la natura può offrirci. Prendiamo un altro esempio: una regione rotta da faglie distensive viene interessata da un sovrascorrimento normale alle faglie distensive: ne risulterà una struttura funzione della sovrapposizione dei due eventi, distensivo prima, compressivo ortogonalmente poi (Fig. 12.3).

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Fig.12.3. A- Una zona è soggetta a tettonica distensiva;

B - l'area viene successivamente deformata da un sovrascorrimento ortogonale alle faglie distensive. Si

noti che il sovrascorrimento ha tagliato e rialzato il sistema di horst e graben precedenti.

Altri esempi classici sono riconoscibili in aree distensive i cui piani di faglie normali sono stati riutilizzati in faglie trascorrenti da una susseguente fase. Strutture di inversione sono particolarmente chiare nella sismica a riflessione dove determinate strutture sono molto più facilmente riconoscibili che in affioramenti di campagna; nell'esempio di Fig. 12.4, ricavato da una linea sismica del Mare del Nord, una faglia distensiva sinsedimentaria è stata ripresa in faglia transpressiva, piegando e sollevando le formazioni interne al graben. Possiamo inoltre immaginare cosa succede in una regione che è stata piegata in una direzione e che viene successivamente ripiegata da una compressione di direzione ortogonale; nell'analisi tettonica di una regione dobbiamo quindi essere aperti a riconoscere più fasi tettoniche di diverso significato.

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Fig. 12.4. Esempio di inversione di una faglia normale sinsedimentaria in faglia inversa ( per transpressione). Si noti che la serie è molto più spessa a destra della faglia, fatto questo che ci prova la sinsedimentarietà della raglia normale. A sua volta l'inversione ha condizionato la successiva sedimentazione (a puntini fini), minore a destra della faglia.

Un esempio molto interessante è possibile osservarlo nella catena del Giura franco-svizzero: la catena del Giura si è formata al margine nordoccidentale della catena delle Alpi nel Miocene superiore - Pliocene (tra circa 11 e 4 milioni di anni fa). Prima, nell'Oligocene (da 36 a 23 milioni di anni fa), la zona del Giura (non esisteva ancora la catena) aveva subito movimenti distensivi di rifting, legati all'apertura dei graben del Reno e del Rodano, e si erano quindi formate delle faglie distensive di direzione circa NNE-SSW (Fig. 12.5). Quando la zona è stata ricompressa durante la formazione della catena ad arco del Giura, queste faglie normali sono state riattivate in faglie trascorrenti sinistre: la riattivazione è però stata diversificata in funzione della posizione rispetto all'arco (Fig. 12.5): così in certe zone le faglie normali sono state riattivate in trascorrenze pure, in altre sono state riattivate in faglie transpressive, ed in altre ancora sono state tagliate da sovrascorrimenti; questa diversificazione è dovuta alla rotazione del si (compressione massima) in una catena ad arco (Fig.12.5).

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Fig.12.5. Faglie distensive oligoceniche che hanno accompagnato la formazione delle fosse del Reno e del Rodano sono state riattivate in faglie trascorrenti o transpressive durante la compressione alpina neogenica a seconda della loro posizione rispetto alle tracce degli stress. Nella figura a sinistra si noti che il graben del Reno e del Rodano sono separati da una faglia trasforme sinistra. L'effetto ottico direbbe invece che vi è stato un rigetto destro, ma i due graben non sono mai stati in continuità. E' ciò che si può notare anche nei segmenti delle dorsali oceaniche. Si osservi che il movimento relativo tra la parte occidentale del graben del Reno e la parte orientale del graben del Rodano è sinistro.

Quando una zona viene compressa abbiamo visto che si forma dissoluzione per pressione perpendicolarmente al si, ovvero la direzione di stress massimo. Se prendiamo per esempio uno strato qualsiasi di calcare, spesso per ipotesi 50 cm, noteremo che come conseguenza alla compressione si sono formate delle stiloliti. Contemporaneamente si possono formare delle fratture di estensione (griffith cracks) perpendicolari in direzione, e dei microsovrascorrimenti coniugati (Fig. 12.6, a). Se con l'evolversi della compressione lo strato viene coinvolto in un piegamento, le precedenti microstrutture possono scambiarsi il significato a seconda dell'angolo che esse formeranno man mano durante il piegamento (Fig. 12.6, a-b).

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Fig. 12.6. Vista in sezione della variazione delle microstrutture in una strato che ruota; a- uno strato di calcare è soggetto a compressione e si formano microsovrascorrimenti coniugati, stiloliti e fratture di estensione riempite di calcite; b-lo strato ruota perché fa parte ad esempio del fianco di una piega: un microsovrascorrimento si trasforma così in stilolite, mentre l'altro può diventare una frattura di estensione; la stilolite può invece diventare una zona di microsovrascorrimento; c- lo strato ruota ancora e le debolezze meccaniche ereditate si rimobilizzano in funzione del nuovo angolo di compressione. Così la stilolite del caso (a), rimobilizzata come microsovrascorrimento nel caso (b) diviene infine una frattura di estensione nel caso (c). Continuando la rotazione fino a 180°, si può tornare ad avere le medesime strutture del caso (a) riattivate. E' molto utile riuscire a riconoscere queste successioni strutturali per ricostruire l'evoluzione strutturale di un'area

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LOCALIZZAZIONE DEI RAMP DEI SOVRASCORRIMENTI Perché si forma un ramp? Vedremo che le traiettorie di stress in un mezzo isotropo sono curve (Fig. 14.3). Di conseguenza un corpo che si rompe con un dato angolo rispetto allo stress avrà un sovrascorrimento curvo. Il ramp sarà là dove il sovrascorrimento risale rapidamente verso l'alto (Fig. 12.7).

Fig.12.7. Andamento di un sovrascorrimento in relazione alle traiettorie del s 1 (stress massimo) che comprime una sezione isotropa ideale di crosta, assumendo un angolo di frattura di 35° rispetto al s1. L'andamento a flat e ramp del sovrascorrimento è dunque qui conseguenza all'andamento curvo delle traiettorie del si.

Generalmente in natura si hanno però situazioni non isotrope, per cui altri fattori possono essere condizione per lo sviluppo di ramp nei sovrascorrimenti. Abbiamo visto infatti nello schema generale dei processi tettonici (Cap.1) che le geometrie ereditate sono fondamentali punti di condizionamento per l'evoluzione tettonica di una regione. Vediamo allora alcuni esempi di geometrie ereditate che permettono lo sviluppo di flat e ramp dei sovrascorrimenti (Fig. 12.8).

Se un parallelepipedo di argilla omogenea viene compressa in un esperimento, si formeranno pieghe e sovrascorrimenti di forma ad esse costanti. E' quella che si può definire una deformazione cilindrica. In natura invece le catene hanno quasi sempre ondulazioni e irregolarità nell'andamento degli assi delle pieghe e dei sovrascorrimenti. Questo perché le regioni prima di essere compresse avevano già delle inomogeneità ereditate, come faglie precedenti, o l'estensione areale limitata di certe formazioni.

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Ad esempio è sempre importantissima l'estensione delle evaporiti all'interno della copertura sedimentaria perché sono la sede preferenziale degli scollamenti. Quindi l'irregolarità, cioè il non cilindrismo di una deformazione, è dovuta ad un'eterogeneità strutturale, di qualsiasi natura, ereditata dalla catena.

Fig.12.8 Alcuni esempi di geometrie ereditate che possono portare allo sviluppo di ramp nei sovrascorrimenti: a - fianco di una piega; b - terminazione di un bacino evaporitico; c - fianco di una piattaforma carbonatica; d - gradino di paleofaglia; e - cambio di litologia in corrispondenza di un gradino; f - asperità di natura varia.

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DATAZIONE DEI MOVIMENTI La datazione dei movimenti è sempre un passo fondamentale nello studio della tettonica di una regione. La datazione avviene con una integrazione di dati strutturali, stratigrafici, paleontologici e geocronologici. Prendiamo alcuni esempi. In una regione si deposita una successione di sedimenti (Fig. 12.9,1) ; questi vengono successivamente piegati (Fig.12.9,2); un evento vulcanico interessa l'area e dei filoni vulcanici penetrano nella struttura precedente tagliandone le pieghe (Fig. 12.9,3). A questo punto se sappiamo l'età con metodi stratigrafici e paleontologici delle formazioni piegate (ad esempio 120 milioni di anni) e conosciamo dall'altra parte l'età dei filoni con metodi geocronologici (ad esempio 100 milioni di anni), possiamo dire che l'evento plicativo è avvenuto dopo i 120 milioni di anni e prima di 100 milioni di anni, cioè dopo la deposizione dei sedimenti e prima dell'intrusione dei filoni. Se tutta l'area viene erosa e poi ricoperta da una formazione più giovane (Fig. 12.9,4), datata paleontologicamente a circa 80 milioni di anni, e poi ancora l'area viene ripiegata da un'altra fase tettonica, sappiamo in più che tra 100 e 80 milioni di anni deve essere avvenuta un'erosione e che dopo gli 80 milioni di anni si è verificata un'ulteriore fase plicativa (Fig.12.9,5).

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Fig.12.9. Evoluzione geologica di un'area: le formazioni di età 120 milioni di anni, una volta sedimentate (1) vengono piegate (2); una serie di filoni datati geocronologicamente 100 milioni di anni tagliano le pieghe (3) datandole tra 120 e 100 milioni di anni. L'area viene erosa e ricoperta da un formazione (punti grossi neri) datata con fossili 80 milioni di anni (4); l'area è infine piegata da una fase compressiva (5) di età successiva a 80 milioni di anni.

Questo semplice metodo cronologico è adottato in tutte le catene del mondo: cioè osservando l'età relativa degli eventi geologici di una regione si può delineare una evoluzione geologica di massima. Si provi a dirimere le fasi geologiche ricavabili dalla Fig. 12.10.

La successione relativa dal punto di vista strutturale l'avevamo già adottata in precedenti capitoli: per esempio un sistema 1 di faglie normali viene tagliato da un sistema 2 di faglie normali (Fig. 10.6); in questo caso abbiamo un'età relativa degli eventi (il primo è più antico del secondo).

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Lo stesso possiamo fare in rocce metamorfiche dove una scistosità S1 parallela al piano assiale di pieghe isoclinali viene ripiegata da chevron folds ad asse S2 (Fig. 12.11).

Fig.12.11. La scistosità S 1 è stata ripiegata dalle pieghe chevron ad assi S2.

In rocce metamorfiche l'uso dei metodi geocronologici basati sul decadimento degli isotopi radioattivi di uranio, potassio e rubidio, permette una datazione non solo relativa (cioè la scistosità è precedente alle pieghe chevron, in Fig. 12.11), ma anche assoluta.

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I dati stratigrafici sono fondamentali per datare relativamente determinati eventi tettonici. Si prenda anche il già visto esempio di Fig.12.4. La sedimentazione è fortemente controllata dalla tettonica, sia negli spessori che nelle facies. In un graben sinsedimentario ad esempio la sedimentazione sarà maggiore e la datazione relativa ed assoluta dei sedimenti che lo riempiono ci darà l'età della formazione del graben. Abbiamo visto brevemente nei capitoli precedenti sulle strutture le relazioni tettonica-sedimentazione. Riconoscere queste o quelle facies sedimentarie legate alle diverse strutture tettoniche permette non solo un'identificazione delle geometrie tettoniche, ma anche una datazione dell'evento tettonico che ha appunto condizionato la sedimentazione. Sappiamo che flysch e molassa, per esempio, sono successioni sedimentarie geneticamente legate all'evoluzione di catene montuose in sollevamento. Geometrie, volumi e litologie di queste successioni riflettono le intensità e i movimenti di sollevamento di una catena. La loro composizione petrografica è funzione delle rocce sollevate nella catena e soggette ad erosione. Tutte le situazioni fin qui viste sono frequentissime in natura e la datazione degli eventi deve tenere conto di tutte le informazione strutturali, paleontologiche e geocronologiche di un'area.

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13 - SEZIONI BILANCIATE

Per poter capire la struttura tettonica di una regione si costruiscono delle sezioni geologiche con direzione perpendicolare all'andamento delle pieghe e dei sovrascorrimenti. Questo permette di riconoscere in dettaglio geometrie di questo o di quell'ambiente tettonico. In particolare le sezioni geologiche attraverso i thrust belt permettono di fare alcune importanti considerazioni. Abbiamo visto al capitolo 8 le strutture principali di un thrust belt e le geometrie che possono assumere i sovrascorrimenti. Queste elementari conoscenze sono alla base della costruzione di sezioni geologiche bilanciate attraverso un thrust belt. Una sezione geologica si dice bilanciata se facendo tornare indietro le masse sovrascorse non si creano aree di vuoto o di sovrapposizione. In una sezione bilanciata l'area totale della sezione deve essere uguale a quella della sezione retrodeformata; vi deve cioè essere una conservazione dell'area prima e dopo la deformazione. Deve quindi essere fatto un bilancio dei materiali prima e dopo la deformazione (Fig.13.1),

Fig.13.1. L'area visibile ad esempio in una sezione geologica di un thrust belt deve essere uguale a quella ottenibile ristirando (retrodeformando) le deformazioni (o sezioni palinspastiche); cioè l'area di crosta deformata deve essere uguale all 'area di crosta pre-deformazione. la forte elevazione dell'area deformata è permessa da sovrascorrimenti e pieghe che hanno raccorciato ed al contempo innalzato l'area

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Una sezione bilanciata in un thrust belt è una sezione che viene costruita per: - estrapolare in profondità le strutture geologiche superficiali; - interpretare l'evoluzione cinematica della regione; - calcolare il raccorciamento attuatosi durante la compressione. Cioè una sezione geologica bilanciata è una sezione retrodeformabile, che si può ipoteticamente far ritornare a condizioni originarie di pre-deformazione (Fig.13.2 e Fig.13.3). Una sezione geologica bilanciata è una delle possibili interpretazioni accettabili; è cioè una sezione geometricamente corretta, ma può non essere l'unica sezione geometricamente accettabile. Per questo si possono fare più sezioni bilanciate di una stessa area, cercando di approssimarsi sempre più alla realtà geologica. Quindi si devono costruire solo sezioni bilanciate, cioè retrodeformabili, in quanto una sezione geologica non bilanciata è in linea di principio errata. In base ad una convenzione internazionale si costruiscono sezioni bilanciate con il minimo raccorciamento possibile. Questo permette di fare delle stime sicure del raccorciamento minimo, che può essere anche inferiore a quello reale, ma che è comunque un dato scientificamente accettabile. Le sezioni bilanciate, essendo costruite in due dimensioni e prevedendo una conservazione dell'area prima e dopo la deformazione, perdono di significato se sono attraversate da faglie trascorrenti; infatti queste ultime possono modificare l'originale area della sezione in quanto creano delle modificazioni nella terza dimensione. Vediamo ora alcuni esempi di sezioni bilanciate, come si costruiscono ed i limiti che esse hanno. Come abbiamo detto, un punto essenziale è che una sezione deve poter essere retrodeformata, cioè restaurata fino ad ottenere l'orinale indeformata sequenza stratigrafica; ogni sezione che non possa essere retrodeformata è incorretta. Se la sezione può essere retrodeformata allora la si può definire come bilanciata.

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Fig.13.2. Sezione bilanciata (1) e sezione non bilanciata (2). Si noti che la sezione (1) può essere retrodeformata, cioè stirando a destra I'hangingwall del sovrascorrimento la stratigrafia riprende una forma tabulare, senza lacune o sovrapposizioni di materiale. La sezione (2) invece non può essere retrodeformata perché si creerebbe un vuoto nella formazione a punti grossi neri; vi è cioè una lacuna nel bilancio del materiale retrodeformando la sezione.

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Fig.13.3. Altro esempio di sezione geologica non bilanciata; si noti infatti che il rigetto osservabile nei sovrascorrimenti nel basamento (a crocette), è molto più piccolo di quello che disloca il livello di calcari (a mattoni).

La costruzione di una sezione geologica bilanciata richiede dunque l'estrapolazione dei dati superficiali in profondità (Fig.13.4).

Fig.13.4. Interpretazione profonda di strutture superficiali nella costruzione di una sezione geologica bilanciata: nella (1) abbiamo una sezione con i dati di superficie; il sovrascorrimento affiora in flat rispetto all'hangingwall (si noti infatti che la serie sopra il sovrascorrimento è parallela allo stesso), mentre è in ramp rispetto al footwall (infatti ne taglia la stratificazione). Quindi B è un orizzontale di scollamento (flat); noi conosciamo lo spessore della serie dall'orizzonte a all'orizzonte b, e quindi siamo in grado di tracciare in profondità la posizione dell'orizzontale di scollamento, e cioè costruire la sezione ( 2).

In una sezione è necessario osservare attentamente la lunghezza dei flat e dei ramp, sia nel footwall che nell'hangingwall, che devono corrispondere esattamente in una sezione bilanciata retrodeformabile (Fig.13.5, 6-7). Un flat nell'hangingwall richiede obbligatoriamente un flat nel footwall di pari lunghezza; lo stesso dicasi per un ramp. Queste semplici assunzioni geometriche sono alla base di una corretta costruzione di sezioni geologiche.

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Fig.13.5. Una sezione bilanciata (I) è una sezione che può essere riportata allo stato di predeformazione senza lacune o sovrapposizioni delle unità stratigrafiche. Una sezione retrodeformata (2) è la situazione predeformazione in cui sono disegnate le tracce dei sovrascorrimenti devono corrispondere a flat di pari lunghezza nel footwall del sovrascorrimento; ciò vale anche per i ramp. Sezione bilanciata e sezione retrodeformata devono avere la stessa area (conservazione dell'area).

Nella costruzione di sezioni bilanciate si assume empiricamente che la lunghezza degli strati sia mantenuta costante dopo la deformazione, e cioè che le pieghe siano di tipo flexural slip, che la deformazione non sia associata a metamorfismo e che fenomeni di pressure solution non modifichino le dimensioni delle masse in gioco (Fig.13.6).

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Operativamente nel costruire una sezione bisogna inserire nel profilo topografico parallelo alla direzione del trasporto tettonico (vergenza) tutti i dati strutturali, stratigrafici e geofisici a disposizione; bisogna quindi osservare attentamente la traiettoria dei sovrascorrimenti, individuare con esattezza la lunghezza dei ramp e dei flat, nonché l'angolo che essi fanno rispetto alla stratigrafia. Deve essere quindi ricostruita in profondità la geometria delle pieghe. Sappiamo che la traiettoria a gradini (staircase trajectory) è funzione delle eterogeneità meccaniche presenti nella copertura sedimentaria. E' i mportante dunque stabilire quali sono i livelli preferenziali di scollamento (flat), e quali le formazioni in cui i sovrascorrimenti vanno in ramp. Conoscere a fondo la stratigrafia di una regione, con le sue caratteristiche litologiche ed i suoi spessori è base necessaria per la costruzione di una sezione geologica bilanciata. Le varie formazioni diventano così fondamentali punti di riferimento tra il footwall e l'hangingwall di un sovrascorrimento; con questo riferimento si può calcolare il raccorciamento lungo un sovrascorrimento. E' importante che gli spessori delle formazioni siano gli stessi nel footwall e nell'hangingwall dei sovrascorrimenti. Se questo non avviene vi possono essere due ragioni: o la sezione è stata disegnata in modo non corretto, oppure già prima della compressione l'entità della sedimentazione era differenziata da zona a zona. In linea di principio dunque gli spessori al contatto della faglia devono essere costanti, a meno di faglie o geometrie paritetiche ereditate dalla compressione.

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Ovviamente una successione stratigrafica non presenta sempre spessori costanti, ma possiamo ragionevolmente assumere che gli spessori siano costanti per le ristrette aree interessate dai sovrascorrimenti. In un'area di rocce metamorfiche i intrusive la situazione strutturale e stratigrafica pre-deformazione è generalmente più complicata, ma analisi geochimiche possono aiutare ad avere un quadro geometrico predeformazione sufficiente per la preparazione di sezioni bilanciate. Come detto, in una sezione bilanciata l'area della sezione deve essere la stessa sia nella sezione retrodeformata che nella sezione deformata. Quindi la sezione retrodeformata non deve presentare lacune o sovrapposizioni tra il footwall e l'hangingwall(Fig.13.5). Sezioni bilanciate possono essere costruite o verificate con l'ausilio del computer. Programmi speciali permettono di riprodurre ad esempio l'evoluzione cinematica di una serie di sovrascorrimenti e di interpretare la profondità dei piani di scollamento. Inoltre al computer è possibile, nella costruzione delle sezioni geologiche, mantenere costante l'area delle sezioni, prima e dopo la deformazione, assunto di base per il bilanciamento. Ciò permette anche di vedere lo strain nei vari livelli, maggiore nei livelli incompetenti e minore nei livelli più competenti (Fig.13.8).

Fig.13.8. Sezione geologica e sezione retrodeformata costruite al computer. Con la precisione del mantenimento delle aree prima e dopo la deformazione è possibile vedere i livelli che hanno subito uno strain maggiore.

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Le sezioni bilanciate sono molto importanti per l'indagine petrolifera nei thrust belt: nell'elaborazione di una sezione bilanciata ad esempio s i possono prospettare strutture profonde, inimmaginabili dalla geologia superficiale, che possono essere potenziali trappole per idrocarburi. Un altro aspetto fondamentale del bilanciamento è l'osservazione della terza dimensione o più esattamente il bilancio dei volumi. Infatti, per esempio, là dove una trascorrenza taglia una sezione di un thrust belt, là il bilanciamento areale in due dimensioni è valido, cioè le sezioni che attraversano trascorrenze non sono bilanciabili. Si può tentare allora un bilanciamento delle masse nelle tre dimensioni. Le sezioni bilanciate presentano come visto dei limiti; anche per questo quando si costruiscono in una regione si inizia a farle nelle zone apparentemente più semplici e più ricche di dati. Quanto detto finora sulle sezioni bilanciate è solo una base elementare per chi voglia intraprenderne lo studio. L'esperienza e la pratica sono elementi necessari per produrre buone sezioni bilanciate che sono uno strumento indispensabile per lo studio tettonico di una catena.

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14 - ELEMENTI DI MECCANICA DELLE ROCCE STRUTTURE SISMOGENETICHE

In questo capitolo vediamo infine alcuni rudimenti di meccanica delle rocce, quali leggi cioè ne governano la deformazione, il fagliamento o il piegamento. La deformazione è il processo per cui l'azione di forze produce delle variazioni fisiche in una roccia. Come anche visto nei precedenti capitoli, le forze che agiscono sulle rocce della crosta terrestre sono dovute alla gravità ed ai movimenti relativi di grandi masse sia nella crosta che nel mantello superiore. Poiché la forza gravitazionale è proporzionale alla massa, il peso di una colonna di roccia costituisce una forza non indifferente che agisce sulle sottostanti rocce alle varie profondità della crosta. Le forze che agiscono su una porzione di roccia producono una serie di stress e la quantità di deformazione causata da questi stress è misurata dal cambiamento sia della forma e/o del volume del corpo roccioso. Questo cambiamento è detto strain, come visto al capitolo I. La gravità costituisce un importante contributo aI campo di stress che governa la formazione di pieghe e faglie, in quanto modifica le traiettorie dello stress orizzontale prodotto dai grandi movimenti crostali. L'unità di misura più comunemente usata per la pressione e per lo stress è il bar o il kilobar; un bar è uguale a 105 pascal; un pascal è uguale ad un newton per mq (il newton è l'unità di misura della forza). Come già detto, le rocce in profondità nella crosta sono soggette ad un carico dovuto alla sovrastante colonna di rocce. Questa pressione può essere definita come idrostatica ed è semplicemente collegata allo spessore ed al peso specifico delle rocce sovrastanti.

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Ad esempio la pressione alla base di una crosta spessa 35 km è di circa 10 kbar, e pressioni realistiche per molte rocce deformate a noi visibili variano dalle centinaia di bar in su. Lo stress idrostatico, detto anche pressione di confinamento, causa variazioni elastiche di volume che dipendono dalla compressibilità delle rocce. Una forza F che agisce in un'unità di area di una superficie può essere scomposta in uno stress normale che agisce perpendicolarmente alla superficie, e in uno stress di taglio che agisce parallelamente alla superficie (Fig.14.1).

Fig.14.1. Una forza che agisce su di una superficie può essere scomposta in uno stress normale, perpendicolare alla superficie, e in uno stress di taglio, parallelo alla superficie.

Gli stress principali definiscono Io stress che agisce su un corpo nelle tre dimensioni. Essi sono s1 s2 e s3, dove s1 è maggiore o uguale a s2, e s2 maggiore o uguale a s3. Essi sono detti rispettivamente stress massimo, intermedio e minimo e sono perpendicolari tra loro. Avevamo già incontrato nei precedenti capitoli il sl che è appunto la direzione di massima compressione (Fig.3.2). Quando gli stress principali sono uguali, lo stress è detto idrostatico in quanto un corpo roccioso viene compresso in modo uguale in tutte le direzioni (Fig.14.2). In caso di stress idrostatico lo stress di taglio è uguale a zero. Lo stress idrostatico produce cambiamenti in volume ma non in forma del corpo roccioso. Quando invece si è maggiore di s2, e s2 è maggiore di s3, si può avere un cambiamento sia in forma che in volume del corpo roccioso. In questo frequentissimo caso è utile indicare uno stress medio P, il quale rappresenta lo stress idrostatico; questo sarà:

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La rimanente parte del sistema di stress è riferita ad una componente di stress deviatore, scomponibile in tre stress deviatori: sl - P; s2 - P; s3 - P. Questi stress deviatori misurano la simmetria del sistema di stress e controllano il cambiamento in forma di un corpo, mentre lo stress idrostatico ne controlla il cambiamento in volume. Gli stress che agiscono sulle rocce presenti in profondità sono di natura idrostatica, cioè dovuti al solo carico delle rocce sovrastanti; essi sono detti stress litostatici.

Fig.14.2. Effetto della pressione idrostatica P, uguale in tutte le direzioni, su di un cubo; il cubo mantiene la sua forma, ma diminuisce di volume.

Campi Di Stress E Traiettorie Dello Stress

Finora abbiamo considerato lo stress in un punto. In un corpo roccioso lo stress varia formando un dato campo di stress. La variazione del campo di stress in una sezione bidimensionale di un corpo può essere resa graficamente dalle traiettorie degli stress (Fig.14.3).

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Fig.14.3. Traiettorie degli stress massimo e minimo in un blocco di crosta soggetto ad una compressione orizzontale. ll sl , o stress massimo, ha una traiettoria curva per l'azione della gravità e per l'attrito alla base del corpo soggetto a compressione.

Le traiettorie degli stress principali si e s3 di Fig.14.3 sono curve, ma ovviamente gli stress principali rimangono sempre a 90° l'uno dall'altro. Campi di stress di varia natura, intensità e direzione possono sovrapporsi; ciò genera traiettorie di stress che sono funzioni della combinazione di diversi stress. Strain Come già detto, lo strain è l'espressione geometrica dell'entità della deformazione causata dall'azione di un sistema di stress su un corpo. Lo strain è dunque il cambiamento in dimensioni e forma di un corpo soggetto a stress. Lo strain può essere omogeneo o eterogeneo a seconda se l'entità della deformazione è uguale o meno in tutto il corpo.

Strain Principali E L'ellissoide Di Strain Un modo di descrivere lo strain in un corpo è di scegliere tre assi principali perpendicolari fra loro (x, y e z), tali che essi siano paralleli rispettivamente alle direzioni del più grande, dell'intermedio e del minimo asse di allungamento del corpo deformato.

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Un ellissoide sarà dunque la forma geometrica che rappresenta lo strain (Fig.14.4) .

Fig.14.4. Un cubo soggetto a stress è stato modificato in parallelepipedo; a destra l'ellissoide di deformazione

evidenzia graficamente il tipo di strain.

Taglio Puro E Taglio Semplice

A seconda se l'orientazione degli strain principali durante la deformazione resti costante o meno, si parlerà o di taglio puro (pure shear) o di taglio semplice (simple shear), Fig.14.5.

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Il taglio puro è detto irrotazionale, mentre il taglio semplice è anche detto rotazionale. Cambiamenti nel volume di un corpo accompagnano spesso la deformazione duttile. Conoscere queste modificazioni volumetriche è indispensabile per stimare esattamente lo strain. La deformazione in un corpo può avvenire progressivamente, attraverso stadi di diversa natura (ad esempio compressione prima, distensione poi ed infine ancora compressione). Lo stadio finale della deformazione viene comunemente strain finito (finite strain), Fig.14.6.

Fig.l4.6. Deformazione progressiva del corpo indeformato fino alla condizione di strain finito.

Dall'analisi dello strain di una roccia, strain che come abbiamo detto può essere polifasico, possiamo risalire ai campi di stress subiti da un corpo roccioso.

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Il modo in cui i corpi rocciosi rispondono allo stress varia in funzione delle condizioni fisiche sotto cui la deformazione si attua e dipende dalla composizione e quindi dalle caratteristiche meccaniche dello stesso corpo roccioso. Prima di considerare il comportamento delle rocce sotto stress parliamo brevemente dei tipi ideali di risposta.

Strain Elastico Uno strain elastico ideale permette ad un corpo roccioso di tornare esattamente alle condizioni originarie di pre-deformazione una volta tolto lo stress, cioè il corpo può riassumere la geometria indeformata (Fig.14.7,A). Questo avviene spesso col passaggio delle onde sismiche nella crosta terrestre.

Strain Viscoso Uno strain viscoso ideale si ha quando tutto lo strain è permanente anche dopo rimosso Io stress. Lo strain finito è quindi funzione dell`intensità dello stress, della lunghezza del tempo in cui è applicato e della viscosità del corpo roccioso (Fig.14.7,B).

Comportamento Elastoviscoso In realtà la deformazione dei corpi rocciosi è una combinazione di comportamenti elastici e viscosi. Un materiale sotto stress che assume un comportamento elastico solo dopo un certo periodo di comportamento viscoso è detto viscoelastico. Una volta rimosso lo stress il corpo non ritorna immediatamente allo stadio indeformato ma vi è un ritardo nel recupero dello strain elastico (delayed recovery), Fig.14.7,C. Si ritiene che questo fenomeno sia la causa delle ben conosciute scosse di assestamento di un terremoto, che rappresentano movimenti continuati fino

STRESS E STRAIN NEI MATERIALI

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a che lo strain elastico gradualmente si annulla.

Comportamento Elastoviscoso Un materiale che è sostanzialmente a comportamento viscoso, ma che assume un comportamento elastico per stress di breve durata è detto elastoviscoso (Fig.14.7,D).

Comportamento Plastico Un materiale si comporta in modo plastico quando reagisce elasticamente per bassi valori di stress, e viscosamente per stress superiori ad un valore critico detto yield stress, che è il limite di elasticità (Fig.14.7,E).

Fig.14.7. Tipi di deformazione delle rocce: A- strain elastico ideale; B- strain viscoso ideale; C- diagramma strain-tempo per strain viscoelastico ideale, in cui lo strain è temporaneo ma non istantaneo come per uno strain elastico; D- strain elastoviscoso ideale per un dato stress costante; E- strain plastico ideale, in cui si vede che lo strain elastico per bassi valori di stress è sostituito da uno strain viscoso sopra il limite di elasticità (yield stress).

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Il comportamento delle rocce sotto stress non può essere descritto in termini di uno solo dei precedenti casi ideali; è invece più verosimilmente descritto da una combinazione dei precedenti casi limite. In Fig.14.8 si vede schematicamente un diagramma tipico di materiali plastici, comune per molte rocce; il diagramma evidenzia elementi dei vari casi limite precedentemente visti.

In pratica si è visto che la relazione tra stress e strain nella deformazione delle rocce varia sia con la grandezza dello stress che con la variazione dello strain nel tempo (strain rate).

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COMPORTAMENTO FRAGILE E DUTTILE Quando una deformazione elastica porta al fagliamento, il materiale perde coesione con lo sviluppo di una faglia o di una frattura, e la continuità di un materiale è rotta. Questo tipo di deformazione permanente è, come già visto, definita fragile e governa lo sviluppo di faglie e fratture. Un comportamento duttile invece produce deformazioni permanenti come pieghe, senza interrompere la continuità della roccia. Molte rocce possono assumere un comportamento o fragile o duttile, a seconda dello stress, della pressione idrostatica, della temperatura, della pressione dei fluidi e della variazione dello stra in in funzione del tempo.

Effetti Della Variazione Dello Stress Lo stress massimo meno lo stress minimo costituiscono lo stress differenziale (si - s3). In Fig.14.9 sono riassunti schematicamente gli effetti dell'aumento del valore dello stress differenziale in un diagramma strain-tempo.

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Per bassi valori di stress (sA), il materiale può mostrare un comportamento interamente elastico; per valori leggermente maggiori di stress (sB), lo strain può essere parzialmente viscoelastico. Sopra un determinato valore critico di stress, cioè il limite di elasticità (yield stress), sy, il materiale si comporta in modo viscoso (sC, SD). Sopra un secondo valore critico detto stress di rottura (sR) il materiale si rompe fratturandosi e/o fagliandosi (Fig.14.9). Possiamo dunque distinguere tre principali campi in un diagramma strain-tempo, corrispondenti ad un progressivo aumento dello stress (campo elastico, campo viscoso e campo di rottura). Nel caso di un materiale a deformazione particolarmente duttile, il campo viscoso è molto ampio, a spese dei campi elastico e di rottura, dove SR molto più grande di sy.

Molte rocce possiedono dunque una resistenza allo stiramento (yield strength) definita come il limite oltre il quale le rocce si deformano in modo permanente (sy), ed una resistenza alla rottura (failure strength), definita come il limite altre il quale le rocce si fagliano o si fratturano (sy).

I valori di resistenza misurati su brevi periodi sono molto più grandi di quelli per lunghi periodi. La relazione tra stress e strain per materiali reali che mostrano una combinazione di proprietà elastiche, viscose e plastiche dipende molto dalla durata del tempo in cui lo stress è applicato. Gli esperimenti di laboratorio su rocce hanno generalmente una brevissima durata (minuti, ore, giorni) che non è paragonabile alla realtà geologica, in cui la deformazione avviene in migliaia o milioni d'anni: il tempo è la quarta dimensione in geologia. Il comportamento a lungo termine dello strain è detto creep; l'importante caratteristica del creep è che lo strain viscoso è prodotto in lunghi periodi di tempo sotto brevi stress che in brevi periodi di tempo produrrebbero solo deformazioni elastiche; questa peculiarità delle rocce va anche sotto il nome di tempo di rilassamento.

Effetti Della Pressione Di Confinamento Con l'aumento della pressione idrostatica (o di confinamento) sia il limite di elasticità che il limite di rottura aumentano i loro valori nelle rocce (Fig.14.10).

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Fig.14.10. Effetto della pressione di confinamento in un esperimento di deformazione di un calcare marnoso. Con l'aumento della pressione di confinamento (confining pressure) andando in profondità si alza il limite di elasticità delle rocce.

Effetto Della Temperatura

Con l'aumentare della temperatura, il limite di elasticità si abbassa mentre il limite di rottura (sR) Si alza; questo fa aumentare il campo di comportamento viscoso delle rocce, a discapito del campo elastico e del campo di rottura. Il materiale cioè, con l'aumentare della temperatura, aumenta la sua duttilità e rocce che a temperatura ambiente si comportano in modo estremamente fragile divengono molto più duttili per esempio a 3-400°C (Fig.14.11).

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Fig.14.11. Effetto dell'aumento di temperatura in un esperimento di deformazione di un calcare marnoso. Si noti come la roccia si deforma con uno stress molto minore ad alte temperature.

Effetto Della Pressione Di Fluidi Interstiziali La presenza di una fase fluida nelle rocce è importante per la deformazione per due motivi: 1) facilita variazioni mineralogiche, specie ad alta temperatura, le quali modificano le proprietà meccaniche delle rocce; 2) riduce l'effetto della pressione di confinamento. L'effetto meccanico di una pressione da parte di fluidi interstiziali è dato da:

dove Pe è l'effettiva pressione nella roccia, P è la pressione di confinamento e Pf è la pressione dei fluidi.

In rocce sature d'acqua dove la pressione interstiziale è molto alta comparata alla pressione di confinamento, l'effetto di quest'ultima è cancellato. La duttilità delle rocce sia a bassa che ad alta temperatura è fortemente aumentata dalla presenza di fluidi interstiziali.

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Il comportamento fragile è tipico di rocce a bassa pressione di confinamento e basse temperature, condizioni ritrovabili nelle zone superficiali della crosta superiore. Nell'ambito di temperature di 100-500°C e pressioni di confinamento di 0,1-3 kbar, valori comuni in gran parte della crosta, le rocce evidenziano almeno qualche flusso duttile prima della rottura. Il limite di elasticità, valore critico di stress richiesto per iniziare un comportamento duttile, è piuttosto alto in molte rocce, e non raggiungibile in condizioni di pressione e temperatura superficiali. Tuttavia il limite di elasticità è terribilmente ridotto dalla pressione interstiziale, specie ad alte temperature, e dalla variazione con il tempo dello strain per tempi geologici sufficientemente lunghi. Quindi, date le condizioni fisiche esistenti in profondità nella crosta e i vari milioni di anni sotto stress, molte rocce, apparentemente molto resistenti, si comporteranno in modo duttile.

Resistenza Al Taglio E Deformazione Fragile Quando un materiale si frattura sotto stress nell'ambito del campo elastico si dice che esso mostra un comportamento fragile. Quando una roccia viene compressa si formano delle fratture di taglio, dette, come visto nei precedenti capitoli, piani coniugati; la linea bisettrice l'angolo acuto formato da questi piani coniugati costituisce il s1, o compressione massima. L'angolo descritto dai piani coniugati varia generalmente tra i 40 e gli 80°; mediamente è di 60°. Ogni materiale ha un suo angolo preferenziale di taglio, in funzione delle sue caratteristiche meccaniche, e delle condizioni fisiche (pressione, temperatura e presenza di fluidi) in cui si trova. Sia la teoria che i risultati sperimentali (Fig.14.12) prevedono una semplice relazione tra orientazione degli stress ed i piani di frattura: il si biseca l'angolo acuto tra i piani coniugati di frattura. Questa importante relazione può essere usata per investigare i sistemi di faglia osservabili in natura e capire l'orientazione dello stress subito dalle rocce.

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Fig. 14.12. Esperimento di Paterson (1958) su un cilindro di roccia. Sono evidenti i piani coniugati di movimento, la cui bisettrice è la compressione.

Cerchio Di Mohr I1 cerchio di Mohr è un utile mezzo grafico per indicare i campi di stabilità e di instabilità di una roccia. Ogni stato dello stress è rappresentato da un cerchio che interseca l'asse dello stress s in due punti (s1, stress massimo, e s3, stress minimo). Il centro del cerchio sarà (s1+ s3)/2 ed il suo raggio sarà (s1-s3)/2. In ordinata vi è la resistenza al taglio (Fig.14.13). L'inviluppo di Mohr delimita il campo di stabilità di una roccia; a seconda dei valori dello stress rientriamo o meno nel campo di stabilità della roccia. Il cerchio di Mohr si sposta verso sinistra in presenza di fluidi, facendo diminuire i valori del si e del s3 necessari perché la roccia si rompa. Ogni roccia ha un suo peculiare inviluppo di Mohr che è funzione delle sue caratteristiche meccaniche, delle condizioni fisiche in cui si attua la deformazione e della presenza o meno di fluidi interstiziali. Il cerchio di Mohr può essere immaginato come qualcosa che respira: più si gonfia più aumenta lo stress; quando il cerchio esce dal campo di stabilità dato dall'inviluppo, la roccia si rompe, lo stress si annulla, ed il cerchio diventa un punto lungo l'asse delle ascisse. Man mano che lo stress si riaccumula, il cerchio aumenta di diametro (stress differenziale) fino ad uscire di nuovo dal campo di stabilità; la roccia si rompe così nuovamente ed il ciclo continua.

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La roccia si romperà sempre là dove è più debole.

Fig.1-4.13. Cerchi di Mohr ed inviluppo di Mohr. Ogni cerchio corrisponde ad uno stato di stress. Se il cerchio tocca o esce dall'inviluppo di Mohr vuoi dire che lo stress è tale da vincere la resistenza al taglio e la roccia si rompe. Il diametro di un cerchio è dato dallo stress differenziale (s1 - s3). Spostando un cerchi di un dato diametro verso sinistra (per esempio aumentando la pressione di fluidi interstiziali) il cerchio esce dall'inviluppo di Mohr; ciò significa che la roccia è nel campo di rottura

La successione dei sovrascorrimenti in un thrust belt è ad esempio funzione delle debolezze minori: il carico dei sovrascorrimenti che si impilano uno sull'altro sposta a destra il cerchio di Mohr, per cui i thrust si possono fermare perché, sovraccaricati, si vengono a trovare nel campo di stabilità (Fig.14.14).

Così, ad esempio, la formazione di un nuovo sovrascorrimento sarà dovuta alla rottura che si formerà nella zona più debole del corpo roccioso; così la successione temporale dei sovrascorrimenti di un thrust belt (Fig. 14.1 5 ) sarà funzione solo di dove si trovano le zone di maggiore debolezza man mano che la deformazione avanza.

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Fig.l 4.14. Il carico dei sovrascorrimenti sposta a destra il cerchio di Mohr, cioè se il diametro rimane uguale (stress differenziale costante), il cerchio non è più a contatto con l'inviluppo ed è quindi maggiormente nel campo di stabilità.

Fig.14.15. Un esempio di successione temporale di sovrascorrimenti (1-2-3-4), funzione delle debolezze maggiori. Dopo essersi formati i sovrascorrimenti 1 e 2, il peso delle masse sovrascorse ha stabilizzato per un certo tempo la zona centrale così che il sovrascorrimento 3 si è formato a tergo. Il sovrascorrimento 4 ha successivamente ripreso la rottura in zona frontale, area che nel frattempo si era notevolmente indebolita.

Nella crosta terrestre la resistenza al taglio aumenta con la profondità per il peso delle rocce sovrastanti; aumenta però anche la temperatura, che come abbiamo visto facilita la deformazione delle rocce. Talora nei piani di sovrascorrimento si possono formare delle locali pressioni interstiziali formanti dei cuscini in grado di facilitare il movimento.

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STRUTTURE SISMOGENETICHE I terremoti si manifestano dove si attua una deformazione fragile e improvvisa delle rocce. Lungo i piani di faglia l'attrito tra le parti non permette sempre uno scorrimento tranquillo ed asismico; si creano invece zone di accumulo di energia potenziale che si libera improvvisamente in energia cinetica tramite onde sismiche. Non tutte le faglie ovviamente sono sismogenetiche e lungo il piano di una faglia attiva si possono avere aree di scorrimento asismico (Fig.14.16).

Le rocce sotto tensione emettono un'onda sonora (effetto kaiser) non percepibile dall'orecchio umano. Questo rumore si amplifica rapidamente prima di un terremoto e si annulla appena dopo di esso. Le rocce assumono anche una rigidità vetrosa quando sono sotto tensione; questi tipi di conoscenze sono molto utili anche in miniera, dove vi è il rischio dei colpi di tensione per cui le pareti di una galleria ad esempio crollano per le modificazioni all'equilibrio statico operate dall'uomo con le perforazioni. Nei piani di faglia dunque si attuano dei movimenti che possono essere facilitati dalla presenza di fluidi. A questo proposito è in studio l'immissione di acqua in piani di faglia per permettere il rilascio il più possibile

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asismico dell'energia potenziale che si va accumulando lungo tali piani. Le faglie sismogenetiche sono sia sovrascorrimenti che linee trascorrenti o distensive. I terremoti di maggiore magnitudo però si attuano in piani di grandi sovrascorrimenti (in zone di subduzione) e lungo faglie transpressive litosferiche. A seconda di come si manifestano le onde sismiche di un terremoto in superficie, è possibile risalire con metodi geofisici alla risoluzione del piano di movimento che ha generato il sisma. Un geologo può quindi sapere dalla geofisica sia la profondità ipocentrale di un terremoto, sia la giaciture del piano di faglia ed il tipo di movimento avvenuto su tale piano. Si può risalire cioè al meccanismo focale di un terremoto. Da questo si possono disegnare i "palloni" dei meccanismi focali, cioè le proiezioni su di un cerchio dei piani di movimento e delle aree in compressione e in distensione provocate dal terremoto (Fig.14.17).

Fig. 14.17. Meccanismi focali di tre terremoti: per faglia inversa, trascorrente e normale. Le aree nere corrispondono a zone in cui le onde sismiche hanno generato compressione. I meccanismi focali sono studiati dai geofisici; essi consentono ai geologi di confrontare il meccanismo di un terremoto ad esempio con la natura della faglia che lo ha generato (inversa, trascorrente o normale).

Si può dunque verosimilmente capire se la causa del sisma è stato un sovrascorrimento o una faglia trascorrente o una faglia distensiva e capirne la giacitura. Le aree nere indicano le zone in compressione e quelle bianche le aree in distensione. Un geologo può raffrontare questi dati geofisici con le strutture tettoniche di una data regione ed interpretare quali strutture siano particolarmente attive. Il geologo può quindi decidere quali strutture mettere sotto controllo con livellazioni geodetiche tra un lato e l'altro della faglia, con misure di stress in situ, con analisi del contenuto in radon delle falde freatiche, ecc., in prossimità delle aree potenzialmente sismiche.

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Deformazioni microstrutturali si attuano anche prima del fagliamento o del movimento lungo un piano di faglia già ben definito. L ' intensità della fratturazione aumenta prima della rottura della roccia. La fratturazione permette una maggiore permeabilità che a sua volta permette un maggior passaggio dei fluidi che indeboliscono la resistenza al taglio. L'aumento della pressione interstiziale aumenta inoltre la resistività elettrica delle rocce.

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BIBLIOGRAFIA

La bibliografia qui di seguito proposta è una selezione essenziale di libri ed articoli scientifici fondamentali per la tettonica. Ovviamente è una bibliografia incompleta per un argomento tanto vasto quale è la tettonica. A questa breve bibliografia comunque si rimanda colui che desideri intraprendere un approfondimento della materia.

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INDICE

CAP. 1 - INTRODUZIONE ....................................................... pag. 3 Termini Tettonici di base......................................................... pag. 5 Schema Generale dei Processi Tettonici .................................... pag. 6 CAP. 2 - LIVELLI STRUTTURALI .............................................pag. 7 Basamento e Copertura Sedimentaria ......................................pag. 10 CAP. 3 - FAGLIE..................................................................... pag. 11 Faglie Normali ........................................................................ pag. 14 Faglie Trascorrenti.................................................................. pag. 16 Faglie Inverse ........................................................................ pag. 18 CAP. 4 - LITOLOGIE E STRUTTURE ASSOCIATE ALLE ZONE DI FAGLIA Litologie Associate alle Zone di Faglia ...................:................... pag. 23 Strutture Associate alle Zone di Faglia ..................................... pag. 26 CAP. 5 - PIEGHE....................................................................pag. 33 Sistemi di Pieghe ...................................................................pag. 42 Meccanismi di Piegamento .....................................................pag. 45 Le Pieghe in Tre Dimensioni ....................................................pag. 48

Pieghe Periclinali, Brachianticlinali, Duomi e Bacini ............... pag. 48 Culminazioni e Depressioni ............................................... pag. 49

Interferenze di Pieghe Sovraimposte ........................................ pag. 50 Relazioni tra Faglie e Pieghe .................................................... pag. 51 CAP. 6 - FRATTURE-STILOLITI-BUDINI Fratture................................................................................. pag. 57 Stiloliti .................................................................................. pag. 62 Budini ................................................................................... pag. 64 CAP. 7 - FOLIAZIONE-LINEAZIONI-FABRIC pag. 67 Foliazione ... pag. 67 Tipi di Foliazione ................................................................... pag. 68 Clivaggio in Argille Metamorfosate a Basso Grado........................ pag. 69 Clivaggio di Frattura ............................................................... pag. 70 Clivaggio Pressione-Evoluzione ............................................... pag. 70 Clivaggio di Crenulazione ....................................................... pag. 70 Scistosità............................................................................... pag. 71

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Foliazioni Tessiturali ............................................................. pag. 72 Layering Composizionale ....................................................... pag. 72 Lineazioni ............................................................................ pag. '73 Fabric Tettonico ................................................................... pag. 74 CAP. 8 - STRUTTURE DI AMBIENTI TETTONICI COMPRESSIVI ..................................................................... pag. 75 Tettonica Compressiva e Sedimentazione ............................... pag. 88 CAP. 9 - STRUTTURE DI AMBIENTI TETTONICI TRASCORRENTI............................................................................................pag. 91 Tettonica Trascorrente e Sedimentazione ................................pag. 99 CAP. 10 - STRUTTURE DI AMBIENTI TETTONICI DISTENSIVI..pag.101 Tettonica Distensiva e Sedimentazione ...................................pag.105 CAP. 11 - STRUTTURE GENERATE DALLA GRAVITA' ...................pag.107 V ulcanotettonica ..................................................................pag.113 CAP. 12 - STRUTTURE SOVRAIMPOSTE E INVERTITE DATAZIONE DEI MOVIMENTI Strutture Sovraimposte e Invertite .........................................pag.117 Localizzazione dei Ramp dei Sovrascorrimenti .........................pag.123 Datazione dei Movimenti........................................................pag.125 CAP. 13 - SEZIONI BILANCIATE.............................................. pag.129 CAP. 14 - ELEMENTI DI MECCANICA DELTE ROCCE STRUTTURE SISMOGENETICHE ...........................................pag.137 Campi di Stress e Traiettorie dello Stress ................................pag.139 Strain Principali e P Ellissoide di Strain ..................................pag.140 Taglio Puro e Taglio Semplice .................................................pag.141 Stress e Strain nei Materiali ..................................................pag.143

Strain Elastico.................................................................pag.143 Strain Viscoso .................................................................pag.143 Comportamento Elastoviscoso ..........................................pag.143 Comportamento Plastico .................................................pag.l44

Comportamento Fragile e Duttile ...........................................pag.146 Effetti della Variazione dello Stress ........................................pag.146 Effetti della Pressione di Confinamento ..................................pag.147 Effetto della Temperatura.......................................................pag.148 Effetto della Pressione di Fluidi Interstiziali ................................pag.149

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Resistenza al Taglio e Deformazione Fragile ..............................pag.150 Cerchio di Mohr.....................................................................pag.151 Strutture Sismogenetiche ......................................................pag.154 BIBLIOGRAFIA .................................................................... pag. 157 INDICE................................................................................ pag.160

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