emanuele severino

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    EMANUELE SEVERINOA cura di Diego Fusaro

    "La filosofia deve essere liberata il pi possibile dalla calca. Per chi vuole cominciare a capire qualcosa, meglio la radura che ilsovraffollamento. "

    INDICEVITA E OPERE

    IL PENSIERO

    RIASSUNTO DI ALCUNE OPERE

    "LA GLORIA"

    "DIALOGO SU DIRITTO E TECNICA"

    "L'ANELLO DEL RITORNO"

    "LA BUONA FEDE"

    "LA LEGNA E LA CENERE"

    LA CONTROVERSIA CON BONTADINI

    VITA E OPERE

    Emanuele Severino nasce nel 1929 a Brescia, si laurea a Pavia nel 1950 con una tesi straordinaria su " Heidegger ela metafisica ". Ottiene la libera docenza in filosofia teoretica nel 1951. Dopo un periodo di insegnamento comeincaricato all'Universit Cattolica di Milano, nel 1962 diventa ordinario di Filosofia morale presso la stessaUniversit. Nel 1964 sconvolge il dibattito teoretico con il saggio " Ritornare a Parmenide ". Dal 1970 ordinario diFilosofia teoretica presso l'Universit di Venezia dove stato direttore del Dipartimento di filosofia e teoria dellescienze fino al 1989. E' accademico dei Lincei. Tra le sue numerose opere ricordiamo: " Note sul problematicismoitaliano ", Brescia, 1950; " La struttura originaria " (1957), Milano, 1981; " Studi di filosofia della prassi " (1962),Milano, 1984; " Essenza del nichilismo ", Milano, 1972; " Gli abitatori del tempo ", Roma , 1978; " Legge e caso ",Milano, 1979; " Le radici della violenza ", Milano, 1979; " Destino della necessit ", Milano, 1980; " A Cesare e aDio ", Milano, 1983; " La strada ", Milano, 1983; " La filosofia antica ", Milano, 1985; " La filosofia moderna ",Milano, 1985; " Il parricidio mancato ", Milano, 1985; " La filosofia contemporanea ", Milano, 1988; " Il giogo ",Milano, 1989; " La filosofia futura ", Milano, 1989; " Alle origini della ragione ", Milano, 1989; " Antologiafilosofica ", Milano, 1989; " Il nulla e la poesia. Alla fine dell'et della tecnica ", Milano, 1990; " La guerra ",Milano, 1992; " Oltre il linguaggio ", Milano, 1992; " Tautotes ", Milano, l995; " La gloria ", Milano, 2001. Hapubblicato, inoltre, una storia divulgativa della filosofia (Filosofia antica, moderna, contemporanea, futura), ed unmanuale scolastico (Filosofia, 3 volumi). Ci troviamo di fronte ad un lavoro sterminato e, per lo pi, scritto con unlinguaggio da addetti ai lavori. Massimo Cacciari lo definisce un gigante, l'unico filosofo che nel Novecento si possacontrapporre a Heidegger.

    IL PENSIERO

    Severino, come egli stesso ricorda in un'intervista, rammenta quando formul le sue idee per la prima volta, quelleidee destinate a suscitare cos tanto stupore. Aveva ventitr anni, era gi libero docente all'Universit, e un giornostava lavorando attorno al primo libro della "Fisica" di Aristotele, su nello studiolo, quando fu travolto da un'ondatad i pensieri nuovi: " fu come trovarsi in un vortice, in un maelstrm, e in basso apparve la terra. L'essere eternomi si present in questo modo, aveva il carattere di questo fondo marino ". Da l ebbe inizio la sua avventurafilosofica. La filosofia di Emanuele Severino si innesta nel dibattito ontologico avviato da Heidegger e, tuttavia (adifferenza di Heidegger), si propone un ritorno all'antico pensiero di Parmenide di Elea. Per Severino la questioneprincipale da affrontare risale alla metafisica classica e riguarda la contraddizione o meno tra l'essere e il nonessere o divenire . Il filosofo affronta il problema tenendo presenti autori contemporanei quali Nietzsche eHeidegger. La tesi generale che il peccato e l'errore dell'Occidente e del cristianesimo compreso consistononell'essersi allontanato dal precetto parmenideo secondo il quale tra solo l'essere e pu essere pensato e definito. Scegliendo di non rispettare l'insegnamento di Parmenide e introducendo il divenire nel pensiero e nella storia,l'Occidente si trovato in una situazione senza uscita che ha portato all'attuale dominio della ragione e dellatecnica. Quindi bisogna ritornare a Parmenide . Il peccato originale dell'Occidente avvenuto dopo Parmenide,quando il pensiero greco, invece di considerare soltanto l'essere, ha evocato il divenire inteso come la dimensionevisibile dove le cose provengono dal niente e ritornano nel niente, dopo essersi trattenute provvisoriamentenell'essere. Il divenire diventa l'oscillazione delle cose tra l'essere e il niente: ma Severino, sull'onda

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  • dell'insegnamento parmenideo, nega l'esistenza stessa del divenire. L'impianto filosofico di Severino pu esserecos sinteticamente riassunto:

    a) L'abbandono dell'essere parmenideo e la scelta del divenire provocano nell'umanit occidentale un sentimentodi angoscia di fronte al niente, di nostalgia, di bisogno dell'essere.

    b) L'Occidente con la logica del rimedio innalza gli immutabili per difendersi dal divenire che esso ha evocato, ciocostruisce le entit (Dio) e i valori (etici, naturali, ecc.) trascendenti e permanenti.

    c) Al di sopra degli immutabili l'epistme, cio l'essenza originaria della filosofia, la volont di conoscerestabilmente la verit del mondo. L'epistme la dimensione stabile del sapere, all'interno della quale vengonoinnalzati tutti gli immutabili dell'Occidente. La fede cristiana eredita i caratteri di stabilit dell'epistme e si rivolgealle masse.

    Severino prende le mosse dal pensiero del suo maestro Bontadini - fondatore della Neoscolastica milanese - mapresto se ne allontana: se per Bontadini nel mondo domina il divenire (come ci attestano i sensi stessi), l'unica viaper ammettere qualcosa di eterno Dio, inteso come ente immutabile ed imperituro. Ora Severino stravolge ildiscorso del suo maestro: giacch nel mondo non vi il divenire - esso solo una doxa degli uomini, secondol'insegnamento parmenideo -, non necessario far riferimento ad un ente eterno e trascendente; il mondo stessoche ci appare dinanzi eterno. Ben si capisce come in virt di queste sue posizioni Severino fu allontanato dallacattolica di Milano. Accrescere il proprio potere sulle cose e sugli di: questo sempre stato il desiderio piprofondo degli uomini, i quali pensano che la potenza li renda capaci di vincere il dolore e la morte. Nel paradisoterrestre il serpente assicura che non si morir mangiando il frutto proibito; anzi si diventer come di, si avr ciola loro potenza. Tecniche, religioni, filosofia, arti, sono i grandi espedienti escogitati dall'uomo per diventaresempre pi potente . La tecnica fondata sulla scienza moderna ormai il pi potente strumento di trasformazionedel mondo. Ma il Luogo che contiene tutti i luoghi la totalit dell'essere. La filosofia ha inteso indicarne il volto.Dapprima ha affermato l'esistenza di Dio, ossia dell'Essere immutabile che nessuna potenza umana pu dominare.Poi la filosofia del nostro tempo ha mostrato che nessun Dio immutabile ed eterno pu esistere. Cosicch,dapprima, ha avuto la strada sbarrata da Dio e dalle sue leggi; poi la filosofia ha liberato la strada da ogniostacolo. Il cristianesimo, quindi, va incontro allo stesso destino della filosofia, con l'aggravante di mettere daparte lo spirito critico con cui la filosofia cerca di argomentare le ragioni della necessit degli immutabili cheservono come difesa e riparo rispetto al divenire, e sono paragonabili alle creazioni della volont di potenza di cuiparla Nietzsche. Gli immutabili, prevedendo e controllando il divenire soffocano e minacciano la volont di esistere,in modo pi insopportabile della stessa minaccia del divenire. L'uomo ricorre allora, come ad un'ancora disalvezza, alla scienza e alla tecnica, affinch lo liberino da questa minaccia. La filosofia contemporanea tende atramontare nel sapere scientifico, proprio perch essa negazione e distruzione degli immutabili. A questoproposito, asserisce Severino: " La filosofia va necessariamente verso il proprio tramonto, cio verso la scienza,che tuttavia il modo in cui oggi la filosofia vive. [...] Tutti possono vedere che la filosofia, su scala mondiale,declina nel sapere scientifico " ( " Che cosa fanno oggi i filosofi? ", Milano 1982). Del resto, lo stesso Heidegger,cui Severino si ispira costantemente (pur auspicando un ritorno a Parmenide), aveva affermato, in " Ormai solo undio ci pu salvare ": " La filosofia alla fine. []Quella che stata la funzione della filosofia fino ad oggi stataereditata dalle scienze. [...] La filosofia si dissolve in singole scienze: la psicologia, la logica, la politologia ".Aristotele, cos aperto verso le posizioni dei suoi predecessori, pur confutandole, di fronte alla filosofia diParmenide si spazientisce e la bolla come una follia ( mania ). Lesempio pi caro a Severino, nellargomentare lasua posizione parmenidea, quello della legna che per lazione del fuoco diventa cenere: nella tradizioneoccidentale, siamo soliti pensare che la legna si trasformi in cenere; quando scorgiamo la cenere, del resto, laassociamo subito alla legna, convinti che da essa derivi. Siamo cos portati a dire che cenere da parte dellalegna; similmente, quando Socrate cresce in altezza, diciamo che alto da parte di Socrate. Ma ci non toglie chediciamo anche Socrate alto: similmente, si dovr per Severino affermare che la legna cenere. E questa unafollia per la tradizione occidentale: Platone stesso, nel Teeteto, spiegava come neanche nei sogni o nella folliafosse possibile predicare il contrario di una cosa, dicendo ad esempio che il cavallo il toro, il bue, ecc.Ugualmente, assurdo, folle, predicare che la legna la cenere: ma questo per una tradizione che essa stessafolle e si separata da Parmenide e che mescola indebitamente essere e non essere (la legna che finisce nel nulla,la cenere che dal nulla nasce). Ma, secondo Severino, l'abbandono dell'essere parmenideo e la scelta del divenire la follia dell'Occidente , il sentiero della notte, lo spazio originario in cui sono venuti a muoversi e ad articolarsi nonsolo le forme della cultura occidentale, ma anche le sue istituzioni sociali e politiche. Di fronte all' angoscia deldivenire , l'Occidente, rispondendo alla logica del rimedio, ha evocato gli immutabili (Dio, le leggi della natura, ladialettica, il libero mercato, le leggi etiche o politiche, ecc.). La civilt della tecnica domina il mondo. All'inizio dellanostra civilt Dio, il Primo Tecnico, crea il mondo dal nulla e pu sospingerlo nel nulla. Oggi, la tecnica, ultimo dio,ricrea il mondo e ha la possibilit di annientarlo. Nella sua opera Severino intende mettere in questione la fede neldivenire entro cui l'Occidente si muove, nella convinzione che l'uomo vada alla ricerca del rimedio contro l'angosciache esso provoca. Il divenire una follia. Riecheggiando Nietzsche, si tratta di comprendere che non solo non puesistere alcun Dio immutabile ed eterno, ma che il divenire non un percorso rettilineo e irreversibile ma uncircolo che eternamente ritorna su di s (immaginiamo una pellicola cinematografica su cui le stesse immaginigirano in eterno). Chi capace di scorgere la necessit di questo circolo il "superuomo", il quale possiede lavolont pi potente di ogni altra. Sapendo che la strada circolare si infatti essenzialmente pi potenti, nelprocedere e nell'agire, di chi, ignorandolo, e credendo che il percorso sia rettilineo, va continuamente fuori strada.E allora, chiediamoci, la tecnica guidata dalla scienza moderna, proprio la tecnica, che oggi si presenta comeproduttrice della potenza suprema dell'uomo, pu permettersi di ignorare che il corso degli eventi del mondo haun carattere circolare? Pu ignorare il tratto fondamentale del mondo? Una tecnica che lo ignori non forseimpotente rispetto alla tecnica che lo conosce e pone questa conoscenza al proprio fondamento? E in tal modo

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  • non ci si deve forse preparare ad ammettere quella che ci sembrava l'affermazione pi paradossale, cio che ladottrina dell'eterno ritorno solleva la tecnica al culmine delle proprie possibilit? Severino pu apparireparadossale, anche assurdo, inconcepibile, perch sostiene che tutto eterno, non solo ogni uomo e ogni cosa,ma anche ogni momento di vita, ogni sentimento, ogni aspetto della realt, e quindi niente scompare, nientemuore: l'eternit la sua passione, la sua vocazione. Tutti da millenni credono che le cose e gli uomini nasconodal nulla e nel nulla ritornano: Severino stesso dice che " nascere vuole dire [...] uscire dal niente; morire vuoldire tornare nel niente: il vivente ci che esce dal niente e torna nel niente " ( " Che cosa fanno oggi i filosofi? ",Milano 1982). Tuttavia per Severino tutto eterno. Non basta: solo in superficie si crede che le cose vengano dalnulla e che nel nulla alla fine precipitino, perch nel profondo siamo convinti che quel breve segmento di luce che la vita esso stesso nulla. E' il nichilismo. E' l' omicidio primario , l'uccisione dell'essere. Ma una contraddizione:ci che non pu non essere, n pu essere stato o potr mai essere nulla. Una contraddizione che la folliadell'Occidente, e ormai di tutta la terra. Una ferita che necessita di numerosi conforti, dalla religione all'arte, tuttiaffreschi sul buio, tentativi di nascondere, medicare il nulla che ci fa orrore. Per fortuna ci attende la Non Follia ,l'apparire dell'eternit di tutte le cose. Noi siamo eterni e mortali perch l'eterno entra ed esce dall'apparire. Lamorte l'assentarsi dell'eterno . Abbiamo tutti nel sangue il nichilismo. Ci crediamo mendicanti quando invecesiamo re. Come dice Orazio, " pulvis et umbra sumus " ("siamo polvere e ombra"): l'uomo diventa polvere, maanche la polvere eterna. Si pu forse esorcizzare la morte aiutandosi con le religioni o con le filosofie, si puanche credere che tutto finisca in un grande silenzio, simile a quello che precede la nascita. La scienza riesce aprolungare la vecchiaia, i piaceri che ricerchiamo avidamente stordiscono le preoccupazioni accumulate dai giorni,la bellezza ci aiuta a disprezzare gli insopportabili ragionamenti dei mediocri. Un frammento di Eraclito recita: "attendono gli uomini, quando sono morti, cose che essi non sperano n suppongono ". Quali spettacoli simostrano, se si mostrano, dopo la morte? La morte ha un significato che sta al di l di ci che si intendecomunemente con questo termine. Sta al di l della stessa contrapposizione tra morte e immortalit. L'Occidente,la cui preistoria l'Oriente, la intende invece come annientamento, salvando in alcuni casi l'anima o la coscienzache continuerebbero ad avere una loro vita. Severino cerca di dimostrare che la persuasione che una qualsiasicosa o evento (uomo, pianta, stella, situazione, istante) possa annientarsi, e annientato sia niente, Folliaessenziale. la Follia pi profonda che possa manifestarsi non soltanto nel mondo umano, ma nel Tutto. Indiverse forme la Follia domina la storia della Terra; al di fuori della Follia appare l'eternit di ogni cosa e di ognievento. La morte appartiene alla manifestazione degli eterni, un evento interno a tale manifestazione. Essa nonci travolge, ma una parte del nostro esistere. una condizione necessaria della felicit. Noi siamo destinati allafelicit che l'oltrepassamento di tutte le contraddizioni e non un premio concesso. necessit. inevitabile chedopo il tramonto della vita e della morte, della volont e dell'abulia l'uomo sia felice. In tale prospettiva, Dio non il demiurgo ma l'apparire infinito degli eterni, essenzialmente diverso da quello della tradizione religiosa efilosofica. Dio non sta in un altro mondo: nel profondo noi siamo l'oltrepassamento della totalit dellecontraddizioni. Non facile cogliere il suo messaggio, il suo linguaggio inusuale. Il mondo troppo concreto perpermettersi il lusso di strapparsi dalla pelle gli accidenti della giornata, che stanno addosso agli uomini come deifastidiosi pidocchi, che ci tormentano come questi parassiti e che divorano le nostre vite succhiandoci il tempo e ilsangue. In virt di queste sue idee (e, pi in generale, dell'intero suo impianto filosofico), Severino fu allontanatodall'universit Cattolica nel 1969: " mi resi conto che il mio discorso conteneva il no pi radicale alla tradizionemetafisica dell'Occidente e dell'Oriente. Non era rivolto specificamente contro la religione cristiana ". Mal'educazione cattolica ricevuta da Severino non mai completamente svanita, anche dopo l'elaborazione della suafilosofia: certo, egli mette da parte la nozione di Dio, ma non quella di Verit, cardinale nella tradizione cristiana. "La Verit prende il posto di Dio, che rimedio dell'angoscia contro il nulla. Dio all'interno della follia, delnichilismo, del credere che le cose muoiono ". Per Severino la tecnica non ancella delle forze che governano ilmondo, ma essa stessa a governare i destini dell'umanit. La tecnica prosegue il proprio cammino sapendo chenon incontrer alcuno ostacolo e alcun limite invalicabile. La filosofia contemporanea l' ha resa completamentelibera, l' ha sollevata al culmine delle sue possibilit. Ascoltando la voce della filosofia del nostro tempo, la tecnicapu assumere ora un'andatura del tutto diversa ed essenzialmente pi incisiva. Il mezzo (la tecnica, le nuovetecnologie, le reti telematico-informatiche) sta diventando lo scopo, il fine della comunicazione. Cos la celebrefrase di Mac Luhan, " il medium il messaggio ", alla luce di questa riflessione diviene immediatamentecomprensibile: il mezzo della comunicazione forma e trasforma i messaggi che veicola, e sovente, nell' epocapostmoderna, diventa il fine del comunicare stesso, lasciando sullo sfondo concetti e idee. Il concetto stesso dietica sta cambiando drasticamente, l'etica sta diventando tecnica, ossia la potenza e la capacit di trasmettere ediffondere informazioni. L'etica cos come stata pensata da Aristotele e da altri illustri filosofi, sta lasciando ilposto al dominio della tecnica. Il pensiero postmoderno figlio di un processo lungo due secoli durante i quali ilconcetto di verit stato smontato, specie nel suo legame col divino. Dio morto e con lui la verit, lasciando ilposto, si potrebbe aggiungere, a relativismi, possibilismi e revisionismi di ogni sorta. In questa prospettivastorico-cosmica, Severino colloca la situazione italiana, meno liberata rispetto ad altre. In Italia il tramonto dellafilosofia nella scienza avviene pi lentamente che altrove, soprattutto perch nel nostro paese esistono il centrodel cattolicesimo mondiale e il pi forte partito comunista del mondo occidentale, due istituzioni che, in modispecifici, contribuiscono a tenere in vita il senso tradizionale della filosofia, cio la filosofia come epistme, luogodell'evocazione degli immutabili. E' molto rilevante il titolo di un'opera di Severino, composta nel 1985: " Ilparricidio mancato "; il parricidio in questione sarebbe quello commesso da Platone (come il filosofo ateniesestesso afferma) ai danni di Parmenide, padre della filosofia dell'essere. Ora Severino, che si riaggancia al pensierodell'antico ontologo, vuol mettere in luce come, in realt, si sia trattato di un "parricidio mancato": la filosofia diParmenide ancora viva e vegeta ed ad essa che Severino intende riallacciarsi. Parmenide infatti, secondoSeverino, mette in luce per la prima volta il senso radicale della contrapposizione tra l'essere e il niente e chiariscequindi il senso assoluto di questi due enti, comprendendo filosoficamente ci che prima non era stato possibilechiarire dal mito. I primi pensatori iniziarono a capire che l'essere poteva essere visto come il Tutto al di l delquale non vi era nulla: infatti il niente non qualcosa che possa venire conosciuto o del quale si possa parlare.

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  • Parmenide importante perch approfondisce ed interpreta il concetto di essere. Infatti se il non essere non ,non pu inframmezzarsi all'essere e dividerlo in parti; n pu essere qualcosa da cui l'essere sorga o in cui sidissolva. In questa argomentazione di Parmenide, viene utilizzato il fondamentale principio logico detto di"non-contraddizione", secondo il quale non vengono accettati contemporaneamente di una stessa realt uncarattere ed il suo contrario. Infatti, Parmenide fa notare che logicamente contraddittorio affermare che il nonessere ci sia, che il nulla esista, perch il non essere il contrario dell'essere e affermare della stessa realt uncarattere e il carattere contrario un errore logico: un nonsenso. Il divenire dell'essere quindi un'opinione senzaverit, un'apparenza illusoria di cui si convincono i mortali, che seguono il percorso della non-verit , ovvero di ciche apparenza. Con il medesimo ragionamento Parmenide ammette che l'essere non mai nato, n mai morir,cio eterno. Per affermare infatti che sia nato, bisognerebbe ammettere che ci fosse stato qualcosa da cui stato generato, ma siccome l'essere unico, ci logicamente contraddittorio. Per la stessa ragione non possiamoaccettare il fatto che l'essere si muova, perch per farlo dovrebbe passare da un luogo ad un altro e muoversi inun elemento, lo spazio vuoto, il non essere, che permetta lo spostamento e ci logicamente contraddittorio.Severino riflettendo su Parmenide e sulla storia della filosofia occidentale, che ha posto al suo centro il divenire, lafollia che domina il mondo, giunge ad affermare che tutto eterno . Tutto eterno significa che ogni momentodella realt , ossia non esce e non ritorna nel nulla, significa che anche alle cose e alle vicende pi umili eimpalpabili compete il trionfo che si soliti riservare a Dio. Eterni sono ogni nostro sentimento e pensiero, ogniforma e sfumatura del mondo, ogni gesto degli uomini. E anche tutto ci che appare in ogni giorno e in ogniistante: il primo fuoco acceso dall'uomo, il pianto di Ges appena nato, l'oscillare della lampada davanti agli occhidi Galileo, Hiroshima viva ed il suo cadavere. Eterni ogni speranza ed ogni istante del mondo, con tutti i contenutiche stanno nell'istante, eterna la coscienza che vede le cose e la loro eternit e vede la follia della persuasione chele cose escano dal niente e vi ritornino. Ma dissertare di filosofia non produttivo, dice Severino: infatti, " parlaredi filosofia uccide la filosofia, perch non si vede la profonda vena d'oro e vien fuori uno spettro, un mito nelmigliore dei casi, un discorso strano di un intellettuale un po' squilibrato ".

    RIASSUNTO DI ALCUNE OPERE

    In " Tautotes " Severino mette in questione la definizione aristotelica dell'identit (tautts) intesa comedimensione in cui si mantiene ogni tentativo dell'Occidente di pensare l'identit, superando in modo originalel'aporia di fondo: come dire le differenze fra una cosa e un'altra senza per ci stesso dire che questo non quelloe cadere quindi nella contraddizione di dire di un ente che non . In Essenza del nichilismo Severino conduceun'audace analisi, che ci guida ai confini di quell'Occidente che "la Repubblica fondata da Platone" per aprirsi suci che, al di fuori di quella Repubblica, perennemente ; la tesi portante che pi si parla di nichilismo, pidiventa indispensabile pensare l'essenza del nichilismo. Essa continua a rimanere al di l di tutto ci che la nostracultura crede di sapere intorno al nichilismo e alla sua essenza . Heidegger e la metafisica costituisce iltentativo di mostrare come "la filosofia di Heidegger, nella sua essenza, renda possibile il sapere metafisico" ecome "il problema fondamentale di Heidegger sia quello di una radicale costruzione del sapere metafisico". Notesul problematicismo italiano, steso gi nel 1948 sullo sfondo del dibattito su attualismo e problematicismo, formainvece il terreno in cui era maturato il saggio heideggeriano. Impliciti in entrambi gli scritti sono da un lato ilriconoscimento di Gentile e Heidegger come punti di riferimento essenziali del pensiero nel nostro secolo, dall'altrol'individuazione dei tratti che li accomunano, certo non meno importanti delle radicali divergenze. Infine, in unalunga Avvertenza, Severino ha voluto chiarire il senso di vari passaggi del suo iter, visti con gli occhi di oggi.Completano il volume un gruppo di scritti teorici, fra i quali Lineamenti di una fenomenologia dell'atto, La strutturadell'essere. Metafisica, fenomenologia, sociologia, e uno studio sulla riflessione rosminiana sull'essere e sulleaffinit di quella riflessione con il pensiero di Heidegger. La tendenza fondamentale del nostro tempo : in questolibro - analisi straordinariamente lucida del movimento, segreto e palese, che governa il nostro tempo - EmanueleSeverino mette il suo pensiero alla prova dei fatti che ci circondano. Fatti enormi, secondo la convinzione di tutti,mutamenti epocali. Ma in quale dirczione? Che cosa significa, per esempio, la decadenza dell'Europa? Non va forseinsieme, questo fenomeno, al diventare planetario del dominio della tecnica, che il frutto specifico del pensieroeuropeo? E qual il rapporto della tecnica con la scienza? Che cosa significa la preoccupazione, oggi sempre piinsistente, di porre limiti alla ricerca? E si pu parlare di un'etica della scienza? Sono questi solo alcuni dei temi chequi vengono affrontati. Temi gravissimi, ma troppo spesso abbandonati agli opinionisti dei quotidiani, i qualioffrono, appunto, opinioni. Qui invece questi temi trovano il loro luogo strategico all'interno di una costruzionespeculativa rigorosa. Non tutti saranno inclini a seguire Severino fino alle sue estreme conseguenze, che sonoaudacissime. Ma per tutti sar prezioso seguire in ogni passo le sue analisi, perch toccano ogni volta il nervodelle questioni. E le questioni trattate in questo libro sono quelle che ci vengono incontro inevitabilmente ognigiorno. Destino della necessit : quest'opera si presenta come la pi compiuta di Severino, come una summadel suo pensiero, che qui riprende, in un linguaggio molto diverso ma con puntuali corrispondenze, il vastodisegno della Struttura originaria (1958) e di Essenza del nichilismo (1972). L'indagine di Severino ha come primooggetto il nichilismo. Con questa parola, da Nietzsche a Heidegger, si spesso inteso designare quella peculiaremacchina di concetti e opposizioni - macchina distruttrice e autodistruttrice, e al tempo stesso produttrice dipotenza -, all'interno della quale si mosso tutto il pensiero occidentale. Severino non solo sottrae questo terminea ogni vaghezza e allusivit, ma gli conferisce un senso radicalmente diverso mostrando come la persuasione chel'ente sia niente sia necessariamente legata alla fede nel divenire e nella storicit del mondo. Caratteristico delnichilismo di presentarsi, infatti, sempre di nuovo sotto altre forme, celando il suo fondamento: cos, sedavvero, come Severino afferma, il nichilismo il "contenuto essenziale della storia dell'Occidente", e insieme"l'inconscio della preistoria dell'Occidente", per seguirne le metamorfosi occorrer analizzare tutta la vicendadell'Occidente, in cui noi stessi siamo immersi, sino a rendere evidente, nei suoi vari passaggi, la trama celata.Una tale analisi non pu fermarsi all'articolazione dei testi classici della filosofia. Prima ancora, nell'articolarsi dellessico stesso del pensiero greco che si pu osservare la genesi del processo nichilistico: ad essa Severino dedica

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  • una lunga, audace sezione di quest'opera, individuando un primo scindersi del lessico, nelle lingue indoeuropee,fra "timbro della flessione" e "timbro dell'inflessibile". E, d'altra parte, il processo nichilistico si prolunga in tutta la"struttura dell'azione" in quanto "struttura del dominio", quale stata "formulata una volta per tutte da Aristotele",per essere poi ripresa in varianti innumerevoli nel corso dei secoli. Il quadro, dunque, che Severino qui ci offre una grandiosa immagine globale di ci che stato, e di ci che , quell'oscuro fenomeno designato come pensierooccidentale, pensiero alla cui base c' una decisione di separarsi dal Tutto per meglio dominare il mondo. Severinoper non intende solo ricostruire ci che l'Occidente ha pensato, ma altrettanto ci che ha dovuto espungere dalsuo pensiero e dalle sue opere e che rimane ancora di fronte a noi nella sua enigmatica estraneit. "L'Occidente ... uno dei due corsieri che guidano e trascinano in direzioni contrastanti l'accadimento della terra: il corsiero"visibile", cio testimoniato, e "visibile" il sentiero che esso percorre", guidato da una "volont di potenza" che sisvela alla fine "essenzialmente impotente", l'altro corsiero-invisibile - guidato da una "volont del destino" che inqueste pagine testimoniata. Legge e caso Scienza e dominio si intrecciano ormai in modo inestricabile. Ma"perch il dominio non deve essere esercitato? Ed esercitato senza limiti? Forse perch finisce col violare i dirittidell'uomo? Ma quale conoscenza ormai in grado di mostrare i veri diritti e di stabilire il vero limite che divide ildiritto dalla stortura dell'uomo?". Con queste domande felicemente provocatorie, Severino avvia un'indaginestringente e acutissima, che vuole isolare il senso specifico in cui oggi la scienza parla di legge e di caso - einsieme risalire alla sua lontana origine, che nella nascita del pensiero greco. Perch l si forma la tensione cheattanaglia tutto il pensiero dell'Occidente: da una parte l'affermazione inaudita del divenire in quanto " irruzionedell'imprevisto", in quanto caso che dal niente passa all'essere - e non solo imprevisto ma imprevedibile, perch" impossibile una previsione del niente"; dall'altra la radicale "volont di salvarsi dalla minaccia di divenire", che siesprime nell'epistme, in quanto esorcismo conoscitivo che si fonda sull'"incantesimo degli immutabili". Maquest'ultima forma della conoscenza si rivelata inadeguata di fronte all'avida volont di dominio della scienza:anche le ultime larve di "immutabili", segnali di una verit incontrovertibile, sono state dissolte da unaspeculazione e da una pratica tecnica con cui la scienza raggiunge oggi "l forma pi radicale di dominio proprioperch si espone al caso, cio distrugge gli immutabili che lo rendono impensabile". Ma cos si afferma anche"l'alienazione pi abissale"; "la persuasione e insieme la volont che le cose della terra, in quanto cose, sianoniente". Studi di filosofia della prassi : l'espressione "filosofia della prassi" nomina qualcosa di pi originario diquanto con essa viene usualmente indicato: nomina il legame originario che unisce verit e prassi. "Prassi" laparola con la quale il pensiero greco indica in generale, e una volta per tutte nella storia dell'Occidente, Fazione inquanto forza consapevole che conduce le cose nell'essere e nel niente ("le cose" nel senso pi ampio di questaespressione: stati "esterni" e "interni", forme, situazioni, rapporti, processi - ogni non-niente). La "prassi"appartiene all'essenza del nichilismo: una delle categorie fondamentali secondo cui il nichilismo pensa le cose. Equindi una delle categorie fondamentali dell'errore". Cos scrive Severino nella "Prefazione" a questa edizioneampliata degli Studi di filosofia della prassi, che ripropone il testo del 1962, ma con l'aggiunta di un vasto apparatodi "Postille" inedite e di una "Appendice" che contiene, sotto forma di una sequenza di domande e risposte,l'elucidazione di una tesi inglobante ogni filosofia della prassi: "L'Occidente la Repubblica di Platone". Nelle"Postille" il pensiero di Severino si abbandona a un affascinante contrappunto con se stesso, che mira a stabilire lanecessit delle tesi di questi Studi e insieme a rilevare in quale misura esse sono ancora irretite nella "implicazionefra nichilismo e prassi". Sono cos compresenti in quest'opera le due facce, e anche i due linguaggi, del pensiero diSeverino: da una parte quello serratamente analitico, che era apparso con La struttura originaria, dall'altra quelloche si rivela a partire dagli scritti di Essenza del nichilismo. Oltre il linguaggio : pu la tecnica offrire il rimediocontro i danni che essa produce? O proprio questa l'estrema illusione che ci abbaglia? Si possono porre dei limitialla violenza? Ma chi ha il potere di imporre che un limite non sia oltrepassato? Qual il nesso fra essere elinguaggio? E' vero, come vuole molta della filosofia moderna, che l'essere che pu venire compreso illinguaggio? Temi insidiosi, ardui: in questo libro sono l'occasione per un'indagine che, partendo dalla pi recentefra le opere maggiori di Severino, Destino della necessit, e richiamandosi ai fondamenti del suo pensiero, espostinella Struttura originaria, si inoltra in nuovi territori. Come sempre in Severino, l'estrema chiarezza e il vigore delleargomentazioni fanno s che questi saggi siano preziosi per risolvere questioni di alta precisione speculativa, masappiano anche svelare, a un pubblico pi vasto, l'urgenza dei problemi trattati. Se la violenza la volont chevuole l'impossibile, e se la volont essenzialmente un volere che qualcosa divenga altro da s, allora - poich ildiventare altro da s qualcosa di impossibile (giacch l'impossibile innanzitutto l'essere altro da s) - lavolont , in quanto tale, il volere l'impossibile, e cio la volont , in quanto tale, violenza. La devastazionedell'uomo e della terra la forma visibile della violenza; la carit, l'amore, la tolleranza sono forme nascoste dellaviolenza. Anche ogni volont salvifica dunque una forma nascosta di violenza - come ogni volont "creatrice".Nessun creatore e nessun salvatore ci pu salvare. Ma non perch la salvezza debba essere cercata altrove, maperch il concetto stesso di salvezza - cos come esso si presenta lungo la storia dell'Occidente - nella suaessenza violenza, cio volont di trasformare il mondo, e quindi volont che vuole l'impossibile . Lanello delritorno : Corpo estraneo o problema insoluto della filosofia nietzscheana, la dottrina dell'eterno ritornodell'uguale tanto citata quanto misconosciuta. Anche nella trattazione di Heidegger, non difficile riconoscereelementi funzionari al pensiero dell'interprete. La complessa lettura di Severino - che fra l'altro discute a fondol'esegesi di Heidegger - scende nella dimensione pi inaccessibile del pensiero di Nietzsche, e ha perci, anzitutto,il merito di restituire l'eterno ritorno al lettore che voglia avvicinar la nuda, ipnotica vertigine, ontologica.Applicando il suo sguardo analitico a tutta la costellazione filosofica disposta da Nietzsche intorno al movimentocircolare dell'anello, Severino giunge a scorgere nell' eterno ritorno la conseguenza inevitabile della fede neldivenire e cio della fede nella morte di Dio; d'altra parte questa inevitabilit anche la forma estrema assunta dalnichilismo quale Severino lo concepisce. Con la dottrina dell' eterno ritorno Nietzsche porta al suo,culmine ilcarattere costitutivo non solo della filosofia contemporanea, ma della stessa civilt della tecnica cio la distruzioneinevitabile della tradizione, filosofica e dell'intera tradizione dell'Occidente. L'eterno ritorno, come estremaapprossimazione del mondo del di venire al mondo dell'essere, ha fatto emergere la punta della montagna dighiaccio che vaga nelle acque profonde del pensiero contemporaneo. La montagna la follia del divenire come

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  • convinzione che le cose vengano dal nulla per ritornarvi- l'abnorme follia dell'Occdente da cui tutto il pensiero diSeverino, il pensiero della Gioia, ovvero del destino della verit immutabile dell'essere - ha cercato e cerca disvegliarci e disincantarci. Gi da queste osservazioni si pu arguire che l' anello del ritorno destinato adassumere una posizione centrale fra le opere teoretiche del suo autore. "Non ci si mai resi conto che anche ladottrina dell' eterno ritorno di tutte le cose ha lo stesso intento della dottrina della morte di Dio: escludere in nomedell' evidenza della creativit dell' uomo e del divenire, ogni Essere immutabile che, con la sua esistenza,smentirebbe e ridurrebbe a semplice apparenza tale evidenza. Una dottrina dell' eterno ritorno che, lungi dall'essere un corpo estraneo nel pensiero di Nietzsche, appartiene alla voce essenziale dell' Occidente e anzi leaggiunge un timbro di straordinaria potenza. Riguarda il tempo; e propriamente il passato". La gloria : ilpensiero di Severino condotto alle sue ultime conseguenze. Destino della necessit, sino a oggi l'opera di Severinosu cui convergono tutte le altre, si chiudeva con la promessa di una Parte seconda che avrebbe fornito rispostaalle domande pi gravi e pi sorprendenti che il testo aveva evocato. Alla pars destruens condotta con rigore sulletesi fondamentali del pensiero occidentale doveva seguire una pars construens che mostrasse come possibile eche cosa implica un pensiero non fondato sul presupposto che ogni essente sorga dal nulla e al nulla ritorni. Quellapromessa viene mantenuta, a distanza di ventun anni, con questo libro. Dove alla Gioia, termine gi presente inDestino della necessit e inusuale nel discorso filosofico, si appaia la Gloria, termine che ha un lungo passato, mateologico pi che filosofico. E di conseguenza l'uomo stesso - ovvero il soggetto che legge - scoprir di essere, dasempre, qualcosa di radicalmente diverso da ci che suppone di essere. Che appunto la pi alta ambizione delpensiero in genere. " Il disvelamento della Gioia, nel suo esser libera dal contrasto con la solitudine della terra, la Gloria. [] E a maggior ragione la Gloria, se si tiene presente che la risposta ora fattasi innanzi dice chel'eterna e finita manifestazione dell'eterno e del destino un dispiegamento infinito che non si arresta in alcunaconfigurazione definitiva della terra, non ha la strada sbarrata da alcuno spettacolo conclusivo; e portando allaluce regioni sempre diverse della totalit dell'eterno non lascia cadere nell'oblio nemmeno la pi piccola eirrilevante di tutte quelle che esso ha gi portato alla luce .

    LA GLORIA

    " La Gloria ", il cui titolo completo include il frammento eracliteo "Assa ouk lpontai " (cose che essi non sperano), un libro che, come lo stesso autore dichiara, rappresenta un debito nei confronti di chi, estimatori del suopensiero, da anni, attendono risposte a domande lasciate in sospeso in quello che certamente una delle sueopere pi indicative e importanti, cio il " Destino della necessit " (1980), da cui si traevano le inevitabiliconclusioni di un discorso che impegnava il filosofo sin dal 1964. Ma come accade spesso, in ogni autenticofilosofare, le conclusioni non sono mai definitive, molte sono le sorprese che s'incontrano lungo il cammino a volteestenuante. E quello che l'autore ci offre in questo libro una chiarificazione che nulla concede al lettore ma tuttoalla tesi in questione. Nel consueto modo di argomentare, Severino, ci conduce verso le asperit del suo pensieroprendendo in considerazione, sotto una luce diversa, temi oggi al centro del dibattito filosofico quali, il dolore,l'intersoggettivit e il problema connesso dell'alterit. Il tutto attraverso una prosa di non sempre facile lettura,che non mancher, soprattutto su alcune importanti questioni, di regalare momenti di gioia, ma anche di pena, atutti i cultori di un pensiero argomentato con rigore. Il 1964 segna un'importante svolta nella filosofia di Severino. l'anno della pubblicazione del suo celebre articolo " Ritornare a Parmenide " (1964), che far molto discutere,nel quale si stabiliva la necessit di rimeditare il senso delle parole: l'essere e il non essere non . Sono gli anniin cui Heidegger interveniva in una serie di seminari, dedicati a Parmenide, in cui sosteneva che, per allontanarsidefinitivamente dal giogo della soggettivit moderna, era auspicabile un ritorno all'inizio, precisando, per, che taleritorno non sarebbe dovuto consistere in un ritorno a Parmenide. Severino stesso ci riferisce, in " La legna e lacenere " (2000), l'opinione di Gennaro Sasso secondo cui le parole di Heidegger sarebbero forse un'allusione allatesi contenuta nel suo articolo. Ma cosa si deve intendere con ritornare a Parmenide? Come Severino preciser inpi di un'occasione, si trattava di porre l'attenzione su queste semplici e pur inquietanti parole al fine di ripetere ilparricidio platonico, che il maggior responsabile del nichilismo d'occidente, ormai penetrato sin nelle pi intimefibre della nostra cultura, che si posto alla guida di tutto il mondo. L'et della tecnica, nella quale noi viviamo,esprime, pi di ogni altra epoca del passato, la volont di potenza, la volont di poter produrre ogni cosa, persinol'uomo. Il nichilismo pensare che ogni cosa proviene dal niente ed destinata al niente. La cosa, priva d'ognilegame necessario con l'essere, pu essere modificata a piacimento. Ma si tratta di comprendere che ci un'illusione: perch impossibile che l'essere possa non essere. Tutto il passato e il futuro sono, nulla proviene danulla, essi non sono n il semplice ricordo n la palpitante attesa. Il passato, cos come il futuro, sonoeternamente in salvo dal niente anche se di questo non abbiamo coscienza. Ogni cosa, compresi noi stessi, siamoe non potremo mai morire veramente, poich, al pari degli di, siamo eterni. Questo pensiero, qui semplificato,costituisce il tema cardine che, come in un poema sinfonico, ricorre nelle sue variazioni fino alla sua pi autenticacelebrazione espressa in questo libro. Da qui il frammento eracliteo, l'eternit ci che noi non speriamo. LaGloria lo splendore incontrovertibile dell'eternit.

    "DIALOGO SU DIRITTO E TECNICA"

    Inconsueto, ma di notevole interesse, il dialogo tra il giurista e il filosofo, rispettivamente Natalino Irti -professore di Diritto civile - e Emanuele Severino. Interessante il tema, ossia il rapporto tra diritto e tecnica, e laforma, realmente dialogica ossia costruita sul contraddittorio, sulla "schermaglia" argomentativa, che si accendeanche grazie alla, pur da lui stesso negata, confidenza con le "cose" filosofiche del giurista Irti. questi adesordire - il dialogo si articola in due "atti" - profilando la sua concezione del diritto, consolidata nellacontemporaneit: il diritto, dopo la crisi del giusnaturalismo, non pu che essere "positivo": "posto [nel senso delparticipio passato di ponere]: e posto dagli uomini nella storicit del loro vivere". A costituire il diritto, quindi, sono

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  • norme aventi esclusivamente validit procedurale, e non verit di contenuto. all'interno di tali norme che leproposizioni ideologico-politiche o economiche -i molteplici lgoi- devono tradursi per riuscire ad ottenere efficacia(il che, ovviamente, significa prevalere sulle altre, antagoniste). Con una digressione sulla differenza che intercorretra diritto e politica da una parte, legati al "territorio", e economia e tecnica dall'altra, delocalizzate edestoricizzate, Irti giunge alla perentoria tesi che, nonostante l'indebolimento della politica e la normativitgiuridica -tralasciamo alcune considerazioni sulla natura della democrazia- permane "la differenza logica tra laregola e il regolato: ossia, tra diritto, da un lato, e capitalismo e tecnica, dall'altro". Irti affronta quindi ladefinizione che Severino d della tecnica (si veda Il destino della tecnica) come "incremento indefinito dellacapacit di realizzare scopi, che incremento indefinito della capacit di soddisfare bisogni". La sua critica siconcentra su questo punto: siffatta capacit della tecnica non comprende, per sua costitutiva essenza, la capacitdi scegliere "uno", un "determinato", scopo; la tecnica sarebbe segnata dall'astrattezza - o se si vuoledall'indeterminatezza - e perci non in grado di rispondere alle domande fondamentali del diritto: che cosaprescrivere? Come comportarsi? In base quale criterio decidere, cio separare la ragione e il torto? Alla finedell'atto primo, Irti riassume la differenza tra la sua concezione e quella di Severino - sostenitore a suo giudizio diun "giustecnicismo" -in questi termini: se quello del diritto positivo il mondo della decisione e della scelta incircostanze determinate, esso si presenta come capacit di realizzare determinati scopi: la tecnica, cos comepensata da Severino, rischia di essere invece un "apparato che risuscita gli antichi di". Evidenziato l'accordorelativo al tramonto della verit immutabile e incontrovertibile, la risposta di Severino affonda nel cuore dell'interaquestione: se la norma riesca in qualche modo a controllare la tecnica (o sia la tecnica a subordinare a s il diritto,le norme). Se l'atteggiamento politico-giuridico continua a volere regolare la tecnica (cos come l'economia), cinon implica il successo di tale volont. Al contrario, la tecnica che per Severino "destinata a diventare ilprincipio regolatore di ogni materia, la volont che regola ogni altra volont". A partire da qui egli sviluppa la suaargomentazione: caratteristica di forme di volont di potenza, nelle vesti di norme religiose, morali, giuridiche,politiche, economiche la volont di realizzare scopi escludenti, ossia "la cui realizzazione mira insiemeall'esclusione della realizzazione di altri scopi". La tecnica per sua essenza non mira a scopi escludenti, bens hacome scopo la crescita infinita nella propria potenza. Qual lo scenario epocale aperto dalla contemporaneit? "Latecnica tende all'onnipotenza". La tecnica rivela per una sua concretezza, poich la forma della produzionereale degli scopi, produzione che concorre all'aumento indefinito dell'apparato scientifico-tecnologico: la tecnica non trascendente, come in fondo pensa Irti, bens, si noti, trascendentale. Severino sottolinea che la dominazionedella tecnica, che "processo tuttora in atto", non elimina la norma, ma la subordina a s. Un esempio concreto dici offerto dalla manipolazione genetica, dalla sua capacit di trasformare la normativit tradizionale a vantaggiodella potenza della tecnica. Questa "distrugge" e sostituisce l'onnipotenza di Dio instaurando una dominazione chesi presenta coma la forma rigorosa della Follia estrema dell'Occidente: solo rispetto al divenir altro delle cose delmondo, degli enti, infatti, pu costituirsi una qualsiasi forma di volont di realizzare scopi. Alla luce della tesidell'intrascendibilit del diritto, Irti riprende il filo del suo discorso insistendo sul fatto che il capitalismo, come latecnica, ha un costitutivo bisogno di diritto. A suo giudizio la tecnica in Severino assume, con "inattesa movenzakelseniana", i caratteri della Grundnorm, norma suprema da cui ogni ad alta norma deriva. Egli ritiene per cheanche la stessa tecnica, la normativit tecnologica, non possa non presentare un carattere escludente econtenutistico. Il rapporto tra il diritto e il capitalismo, o la tecnica, che dev'essere pensato sul piano del "prevalerestorico", sarebbe stravolto da Severino sulla base di un "rovesciamento logico" e dell'eliminazione della differenzatra principio regolatore (diritto) e regolato (tecnica): si assisterebbe cos ad una derivazione di norme politico-ideologiche dalla Grundnorm tecnologica. Essa, in quanto "forma di volont mirante per raggiungere scopi nonescludenti, escluderebbe tutti gli scopi contrastanti con la propria infinita capacit di raggiungere scopi". Irtiintende sostenere, con acutezza, che la tecnica ha pur sempre uno scopo, ossia proprio quello di realizzare scopi,e quindi deve negare il suo opposto, che possiamo chiamare "anti-tecnica"? Non si procede oltre. Sottolineiamo enpassant che nella sua prospettiva il diritto finisce per condividere alcuni connotati propri della tecnica: il dirittoinfatti si potrebbe definire come "infinita capacit di rendere efficaci (ed escludenti) volont o proposizioni,ideologiche (politiche, economiche eccetera)". Ritornando all'argomentazione di Irti, il presunto giustecnicismoseveriniano si dovrebbe ridurre a ipotesi politico-ideologica in conflitto con le altre, costretta, se vuole imporsi, a"scorrere" nei nomodotti, nei canali procedurali del diritto. Anche la tecnica, con linguaggio forense, sarebbe unaparte in causa agli occhi del giurista e non, come pensa invece il "filosofo", super partes. In conclusione, la tecnicao teologicamente astratta oppure un'ipotesi contendente, tra le altre. Severino replica svolgendo le sueargomentazioni ad un livello pi profondo. Egli nega che il contenuto delle norme sia ricavabile dalla volont dellatecnica di incrementare la propria potenza: piuttosto il diritto, il capitalismo o quant'altro, sono destinati asottostare alla regola imposta dalla tecnica: il diritto diviene "mezzo" della tecnica. Nella filosofia di Severino latecnica si sviluppa sull'impossibilit dell'esistenza di limiti assoluti dell'agire: questa la prospettiva decisivadischiusa dal pensiero contemporaneo. s possibile dire che la tecnica "prevale storicamente", ma in ci avvieneanche quel fondamentale "rovesciamento", che Irti considera a torto puramente logico, per cui la tecnica stessadiviene scopo, regola, secondo necessit o destino (in ogni caso mantenuta la differenza regola/regolato). E siconfigura come tale perch l'"esclusione" che essa implica non concerne l'opposto (antitecnica) ma, su un pianodiverso, - un punto chiave della replica severiniana -, il carattere escludente degli scopi-volont di potenza.Riguardo al contenuto delle norme (= mezzi), questo non annullato, cambia semplicemente: il loro contenutoinoltre non deducibile dalla "legge" della tecnica, con la quale invece possibile una sintesi (tra l'altro neanche inKelsen dalla Grundnorm deducibile il contenuto delle altre norme). Nell'ultima, pregnante parte dell'analisi diSeverino si delinea l'orizzonte peculiare della sua filosofia. Nel rivendicare l'esistenza di un conflitto tra le varieforme di volont di potenza, Irti viene ad esprimere la tesi di fondo del pensiero contemporaneo: ma questastessa tesi si rivela in fondo essere un'interpretazione. In che senso? Il pensiero contemporaneo non scetticismoingenuo, ma consiste nella negazione della verit metafisico-epistemica (immutabile, che anche "morte di Dio"),sul fondamento-verit assoluta del divenire. Ma proprio quest'ultima che Severino ha da sempre messo inquestione. Nel finale egli illustra una delle molteplici ragioni che sostengono l'inevitabilit del dominio della tecnica,

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  • la quale per condizionata dall'"evidenza" che il divenire, e il conflitto, il "gioco" (delle volont di potenza) che ne espressione, sia innegabile: il dominio della tecnica, peraltro, se ha una sua inesorabile logica, per essostesso casuale e destinato a tramontare. L'altra strada che si pu percorrere allora quella tracciata dallo stessoSeverino, impervia ed estrema, che confuta la verit del divenire e che, in particolare, non offre nella tecnica,come pensa Irti, la figura di un "nuovo Dio ", poich proprio il Dio metafisico ha definitivamente soppiantato latecnica (la filosofia di Severino proprio negli ultimi tempi ha conosciuto, forse, una sua "risoluzione" nel libro LaGloria).

    "L'ANELLO DEL RITORNO"

    A CURA DI DANIELE DIDERO

    Come potrei non essere preso dal desiderio del nuziale anello degli anelli, - l'anello del ritorno? Mai ho trovatodonna dalla quale volessi avere figli, all'infuori di questa donna che amo: poich io ti amo, Eternit! ; Cos parlZarathustra, "I sette sigilli (ovvero il canto del s e dell'amen). Con queste parole, Nietzsche esprime il senso delrapporto tra il divenire e l'eternit dell'eterno ritorno - dell'anello del ritorno: la volont di creare (di "avere figli"),ossia il divenire stesso come continua creazione, possibile solo se non bloccata, resa impotente, dagliimmutabili metafisico-morali e da quell'immutabile che il passato (che si costituisce come la dimensionedell'immodificabile per eccellenza, come il macigno del "cos fu": nel linguaggio dello Zarathustra, ci rappresentato dallo "spirito di gravit"); quindi, il divenire - l'evidenza innegabile dell'Occidente - sar possibilesolo sul fondamento dell'eterno ritorno, della potenza della volont sullo stesso passato. L'anello del ritorno dedicato all'analisi di queste tematiche e di queste implicazioni: attraverso un costante confronto conl'interpretazione heideggeriana di Nietzsche, il volume di Severino esamina i testi in cui viene fondata la dottrinadell'eterno ritorno, prendendo in considerazione i cardini concettuali del pensiero nietzscheano e la sua potenzaspeculativa, che segna un punto di massimo rigore nello sviluppo del pensiero dell'Occidente e della fede neldivenire. Assieme a Leopardi (e - per quanto riguarda l'indagine sulla concreta struttura del divenire - a Gentile),Nietzsche rappresenta - per Severino - uno dei massimi punti di autoconsapevolezza del pensiero occidentale, unodei momenti in cui l'essenza dell'Occidente - l'essenza del nichilismo - raggiunge la maggior chiarezza consentita achi rimanga nell'orizzonte del nichilismo stesso: essi si spingono fino al limite estremo della coscienza chel'Occidente, rimanendo se stesso, pu avere della propria autentica essenza [...] Leopardi e Nietzsche si portanoa ridosso di quel limite, perch scorgono ci che per l'Occidente l'assolutamente impensabile, ossia che ildivenire dell'essere contraddizione (autocontraddittoriet, impossibilit) . Il pensiero di Nietzsche va quindipreso sul serio: ma prendere sul serio il pensiero di Nietzsche significa innanzitutto, per Severino, evitare di ridurload una riformulazione dello scetticismo ingenuo: significa, cio, evitare di attribuire - come invece fa Heidegger -un carattere trascendentale alla negazione nietzscheana della verit, il quale riporterebbe il pensiero del nostrofilosofo ad una posizione che, ben lungi dal costituire qualcosa di "abissale", era gi stata formulata e confutata findai tempi della Sofistica. Ora, Severino rileva invece che affermazioni come: ogni conoscenza sempre falsa,ma vi , in tal modo, un rappresentare non hanno nulla a che vedere con lo scetticismo assoluto, ma dicono che,proprio perch la conoscenza sempre falsa (in tal modo), la conoscenza rappresenta qualcosa, ossia c' unrappresentare, e questo esserci la nostra unica certezza . La "certezza fondamentale" la "constatazione" di un"fatto"; anzi, del "fatto", il "fatto" del divenire dell'essere - dell'"essere che ha rappresentazioni": che l'essereabbia rappresentazioni non un problema, il fatto: se in generale vi sia un essere diverso da quello che harappresentazioni, se il rappresentare sia una qualit dell'essere [...], questo un problema . Allo stesso modo,non va intesa in senso trascendentale neppure la negazione nietzscheana del principio di non contraddizione:quello che Nietzsche nega, infatti, non l'opposizione di essere e nulla, di positivo e negativo (essenziale perch sipossa parlare di divenire: se il qualcosa fosse immediatamente identico al proprio altro, non potrebbe infattidiventare questo altro, proprio perch lo sarebbe gi), bens la valenza "logica" del principio di noncontraddizione, quella fondata sul concetto di "cosa"; concetto che - sottolinea Nietzsche - di per s falsificante,in quanto interpreta il flusso caotico del divenire introducendo in esso (per un'esigenza di conservazione vitale:per rendere prevedibile il divenire, rendendo uguale ci che diverso) la stabilit. Ma - appunto - questa valenza"logica" del principio di non contraddizione viene rifiutata da Nietzsche proprio in quanto essa falsificante e, inultima analisi, contraddittoria (in quanto in essa vengono identificati i contraddittori, viene considerato uguale -sulla base del principio di assimilazione - ci che diverso): viene rifiutata, quindi, in forza dello stesso principio dinon contraddizione, che esclude l'identit dei diversi (A non non-A). E, d'altro lato, la stessa dottrina dell'eternoritorno richiede che ci che eternamente ritorna, ritorni cos come esso stato ed (Al di l del bene e delmale, aforisma 56), cio nel suo essere identico a ci che esso stato, e nel suo non essere l'altro da ci che esso stato. Se il pensiero di Nietzsche non riducibile ad una forma di scetticismo ingenuo, la negazione in essooperata delle "verit" appartenenti all'ordine metafisico-morale non pu essere fine a se stessa, ma deve esseresviluppata a partire da un'altra verit, considerata come la verit originaria, evidente e innegabile: e qual , perNietzsche, questa verit innegabile? (come sottolineato dal filosofo tedesco in una annotazione della primavera-autunno 1881, dal titolo "Certezza fondamentale") la verit del divenire, che immediatamente presente comeflusso di rappresentazioni: l'annotazione sulla certezza fondamentale rileva infatti che [...] di per s chiaroche il rappresentare non nulla di immobile, di uguale a se stesso, di immutabile: l'essere, dunque, cheunicamente ci garantito, in mutamento, non identico a se stesso... [non ha, cio, la fissit che il principio diassimilazione, con il concetto di "cosa", vorrebbe imporgli, falsificando ci che esso in realt ] - Questa lacertezza fondamentale dell'essere . indubitabile l'essere delle rappresentazioni ( indubitabile l'attivit delrappresentare, indipendentemente dal fatto che essa sia o meno l'attivit di un soggetto), e questo essere simanifesta in continuo divenire: questa dimensione originaria ed innegabile del divenire verr indicata da Nietzschecome "volont di potenza", e sar da lui posta come l'essenza stessa dell'essere. Il divenire come volont dipotenza quindi per Nietzsche la verit prima e indubitabile. L'impegno centrale del testo di Severino sta nel

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  • mostrare come la dottrina dell'eterno ritorno, ben lungi dal rappresentare un corpo estraneo nel pensieronietzscheano o, comunque, un "postulato pratico", non teoreticamente fondato, sia invece la necessariaconseguenza di questa affermazione del divenire, e come questa necessit sia rigorosamente fondata negli scrittidi Nietzsche. In particolare, Severino prende in esame lo sviluppo logico che intercorre fra tre capitoli di Cosparl Zarathustra : "Sulle isole beate", "Della redenzione" e "La visione e l'enigma". La distruzione - operata daNietzsche - della tradizione occidentale la distruzione degli immutabili via via eretti da questa tradizione: in primoluogo, dell'immutabile costituito da Dio, inteso come l'Uno e il Pieno e l'Immoto e il Satollo e l'Imperituro, qualcosacio che si sottrae alla volont. Di fronte a questo Dio, alla volont umana non resterebbe pi nulla da creare . Ilcreare infatti innovazione, e l'innovazione presuppone che ci sia un ambito aperto alla novit: ora, la posizione diquesto Dio immutabile che, come omnitudo realitatis , contiene gi tutto in s ( "Pieno" e "Satollo"), escludeproprio la possibilit dell'esistenza di questo ambito di novit, necessario perch il creare non sia ridotto asemplice apparenza, illusione. Ma che il creare umano non sia semplice illusione, per Nietzsche - cos come perla tradizione che egli critica - l'evidenza fondamentale, la verit prima e indubitabile: evidente - per l'Occidente -che le cose divengono, passano dall'essere al nulla, esistono ora ma non esistevano prima e non esisterannodopo. In quanto il divenire inteso come passaggio dall'essere al nulla (e viceversa), esso creazione: lacreazione non quindi soltanto l'opera di Dio (che un determinato tipo di creazione, in cui viene posta in essereanche la materia, il sostrato delle cose), ma ci che proprio di ogni tipo di divenire (perch almeno qualcosa,qualche aspetto di ci che diviene, passa dall'essere al nulla). Quindi, poich il divenire l'evidenza fondamentale(ci che per l'Occidente non pu esser negato), poich il divenire creazione, e poich la creazione richiedel'apertura di un ambito di novit, Nietzsche conclude che l'esistenza di Dio (che, includendo gi tutto in s, escludela possibilit dell'esistenza di questo ambito di novit) vada negata: l'evidenza del divenire implicanecessariamente la morte di Dio. Ora, Severino sottolinea come la forza della distruzione nietzscheana stia nelfatto che essa si basa sulla stessa fede nell'esistenza e nell'evidenza del divenire, che condivisa anche dallatradizione criticata: la critica nietzscheana non dunque, per questa tradizione, qualcosa di puramente estrinseco,ma qualcosa di estremamente intrinseco, il necessario sviluppo di ci che da quella tradizione affermato. Mala critica nietzscheana non si ferma qui, bens si estende (necessariamente) ad ogni immutabile epistemico che,posto al di sopra del divenire, finisce per vanificarlo, renderlo illusorio: l'uomo "metafisico-morale" della tradizioneoccidentale ha eretto questa serie di immutabili (metafisici, logici, etici...) per dominare il divenire, per porre unrimedio all'angoscia che esso - in quanto imprevedibile - genera, ma questo rimedio si mostrato essere peggioredel male (perch viene a ridurre ad illusione ci che l'Occidente pone come l'evidenza prima, come la dimensionedella vita stessa dell'uomo); l'uomo "dionisiaco", il "superuomo", si rende conto di questo ed affermando ildivenire in tutti i suoi aspetti, pronunciando gioiosamente il proprio "s" alla vita (anche nei suoi aspetti dolorosi etragici), distrugge quella serie di immutabili che la tradizione ha edificato. Ma - e l'osservazione di centraleimportanza - il "superuomo" non semplicemente altro rispetto all'uomo "metafisico-morale": esso invece ilnecessario sviluppo di quest'ultimo, che si ha quando egli (in quella che Nietzsche indica come "l'ora delmeriggio") si rende conto che, con la posizione degli immutabili, ha tradito la propria pi profonda essenza, ilproprio essere volont di potenza, divenire creatore. Ogni immutabile, ogni dimensione che si sottragga al divenirecreatore, una forma di negazione dell'evidenza del divenire stesso (si badi: della fede nel divenire, che perl'Occidente la suprema evidenza); ogni immutabile, infatti, costituendo una dimensione alla quale ci che neldivenire viene ad essere deve adeguarsi, d un senso al divenire, lo rende in qualche modo prevedibile (se, adesempio, la legge della gravitazione universale viene considerata come immutabile, allora si deve ritenere che ciche viene ad essere debba adattarsi a questa legge, ed in ci esso reso prevedibile). Ma l'essenza del divenirerichiede che il divenire non abbia un senso, proprio perch questo senso costituirebbe qualcosa al quale il diveniredovrebbe adattarsi, configurarsi, s che esso non potrebbe pi avere quella imprevedibilit che gli viene dal fattoche ci che viene ad essere, viene (almeno in parte) dal nulla, ossia dall'assolutamente imprevedibile: dire che ciche viene ad essere sia in qualche modo prevedibile - abbia quindi un senso che vada oltre al suo puro esserci difatto -, significa dire che il nulla dal quale le cose provengono non sia realmente il nulla, e che quindi il diveniredelle cose - come passaggio dall'essere al nulla - sia soltanto illusorio. Ora, l'ultima dimensione dell'immutabiledestinata a cadere , per Nietzsche (Cos parl Zarathustra, "Della redenzione" e - quindi - La visione el'enigma), quella del passato: il macigno del "cos fu", nel suo ormai definitivo sfuggire alla volont. La redenzionedel passato consiste appunto nel ricondurlo all'ambito di ci che non sottratto alla volont, ossia di ci che non definitivamente sottratto al divenire stesso, perch la volont di potenza non - per Nietzsche - qualcosa disoltanto umano, ma l'essenza stessa dell'essere (in quanto esso divenire, continuo tendere ad un di pi dipotenza): tale volont [la volont umana] appartiene essa stessa alla molteplicit del divenire e del caos, ossiaappartiene alla "olont di potenza che include la volont dell'uomo (e del superuomo, e di tutto ci che non nuomo n superuomo) e che lo stesso orizzonte trascendentale dell'essere: l'essenza pi intima dell'essere volont di potenza . Ma ci non pu significare che la volont venga a modificare il passato: quand'anche cosfosse, infatti, non si farebbe altro che aggiungere un secondo "esser stato" al primo, non si farebbe altro cheallargare la dimensione dell'immutabile esser stato (ad esempio, quand'anche fosse possibile mutare il risultatodella battaglia di Stalingrado, non si cancellerebbe con ci l'esser stato della vittoria russa: avremmo invece unesser stato della vittoria russa prima della modificazione del passato, ed un esser stato della vittoria tedesca dopola modificazione del passato - l'unico risultato sarebbe quindi quello di aggiungere un altro esser stato, a sua voltaimmodificabile, al primo). La via della redenzione del passato perci un'altra: il "pensiero abissale" dell'eternoritorno. Di fronte allo spirito di gravit (il macigno del "cos fu"), mezzo nano e mezza talpa ("La visione el'enigma"), Zarathustra espone cos la dottrina dell'eterno ritorno dell'uguale: essa necessariamente implicatadalla fede nell'evidenza del divenire, come condizione di possibilit del divenire stesso. Il passato deve essereredento, deve essere riportato nell'ambito della volont di potenza, perch altrimenti esso - come immutabile -vanificherebbe il divenire, lo renderebbe qualcosa di illusorio; ma la redenzione del passato non pu essere la suamodificazione, con il costituirsi di un altro passato, perch ci amplierebbe solo la dimensione dell'immutabile;dunque, lo stesso passato, in tutte le sue sfumature di contenuti, deve eternamente ritornare cos come esso

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  • stato. Il tempo, quindi, non ha uno sviluppo semplicemente lineare, bens circolare: l'andare in avanti , insieme,un tornare indietro, perch andando avanti ci si muove - restando in un circolo - verso il punto di partenza.Quindi, ci che stato non qualcosa di immodificabile, di eternamente sottratto alla volont, ma - all'opposto -qualcosa che ritorner infinite volte, eternamente, ossia sar eternamente voluto (perch, torniamo asottolinearlo, la volont di potenza non qualcosa di semplicemente umano, ma la stessa dimensione universaledel divenire, del dionisiaco) cos come esso stato. Ritornando eternamente su se stesso, il divenire del mondo -e quindi il mondo stesso - non ha principio n fine, non ha alcuno scopo n alcun senso il cui essere prestabilitoed immutabile vanificherebbe il divenire stesso. Il superuomo, conoscendo la dottrina dell'eterno ritorno e volendol'eterno ritorno, si identifica allora con la dimensione universale della volont di potenza, essendone la pienaconsapevolezza: "Il superuomo non un "individuo" - che per definizione qualcosa rispetto a cui il mondo esterno e indipendente -; non un "io" o una coscienza individuale, ma "il pensiero pi potente", che insiemela volont pi potente; "il dire s alla vita" che, come eterno "piacere del divenire", "anche il piaceredell'annientamento" di ogni individualit: la dimensione del "dionisiaco" che dice di s a se stessa" . In quest'ottica,Nietzsche pu parlare di un amor fati (che , a sua volta, fatalis): il superuomo vuole ed ama la necessitdell'accadere di ogni cosa, che si ripete all'infinito. Ma occorre tenere distinta questa forma dell'amor fati da quellasostenuta, ad esempio, dagli Stoici; mentre per questi ultimi, infatti, la necessit di ogni cosa una necessitrazionale, epistemica (frutto della provvidenza divina del Logos, che guida lo sviluppo di ogni cosa come principioimmanente dell'universo), la necessit di cui parla Nietzsche una necessit cieca, irrazionale: gli enti, infatti, nonhanno alcun legame intrinseco fra di loro, perch questo legame sarebbe - di nuovo - un immutabile chevanificherebbe il divenire. La necessit nietzscheana allora la necessit dello stesso ripetersi eterno del caos: ilcaos implica la necessit del ritorno eterno del caos, della mancanza di senso del tutto. Appunto per questoNietzsche scrive che il carattere complessivo del mondo ... caos per tutta l'eternit, non nel senso di un difettodi necessit, ma di un difetto di ordine metafisico-epistemico . Sono cos in errore, secondo Severino, gliinterpreti che credono di scorgere immediatamente nella dottrina dell'eterno ritorno un'incoerenza nel pensieronietzscheano rispetto all'affermazione del divenire e della libert creativa. L'incoerenza c', ma non nel modo incui Nietzsche porta in luce l'implicazione necessaria tra divenire ed eternit, tra libert e necessit; l'incoerenza molto pi radicale, e sta nel concetto stesso di divenire, il quale - e nel portare questo in luce sta la forza dellafilosofia di Nietzsche, che pure non si spinge fino a riconoscerlo esplicitamente - tale da implicarenecessariamente la propria negazione. Forse proprio presentendo questa catastrofe del proprio pensiero (e, conesso, del pensiero occidentale), lo stesso Nietzsche - come racconta Andreas-Salom - avrebbe provato"quell'"indicibile tristezza" per l'avverarsi del pensiero dell'eterno ritorno, e ne avrebbe parlato solo con quella voce sommessa e mostrando tutti i segni del pi profondo raccapriccio . Cos, se il canto della leopardianaginestra l'espressione della vita passeggera che l'anima riceve dalla stessa forza con cui sente la morte propria edi tutte le cose (e il suo canto non toglie questa morte universale), la gioia del superuomo per il proprio eternoritornare nell'essere " la maschera inevitabilmente indossata dall'angoscia a cui l'Occidente destinato. Al di ldella follia del divenire e cio dell'eternit dell'Occidente, la Gioia del destino della verit non maschera alcunaangoscia". Il merito principale del lavoro di Severino sta nell'affrontare il nucleo teoretico del pensieronietzscheano, che, al di l delle contraddizioni che spesso gli vengono imputate, va invece preso sul serio, in tuttala sua potenza speculativa. Resta comunque necessario soffermarci un istante per un rilievo critico, dovuto proprioal fatto che, almeno in un punto, Severino finisce poi col prendere il pensiero di Nietzsche un po' troppo sulserio... Il punto quello delle annotazioni sull'eterno ritorno scritte da Nietzsche nel 1881-1882, prese in esameda Severino nel capitolo IX de L'anello del ritorno. Si tratta delle prime formulazioni nietzscheane della dottrinadell'eterno ritorno: in esse, il filosofo tedesco cerca di fondare questa dottrina a partire dalla considerazione sullafinitezza delle forze dell'universo le quali, proprio in quanto finite (e necessariamente finite, perch altrimenti sidovrebbe ammettere una miracoloso forza infinita, una sorta di Dio immanente), in un tempo infinito dovrebberoesaurire infinite volte tutte le possibili loro combinazioni. Ora, nonostante tutti gli sforzi di Severino per difenderela coerenza e la rigorosit del pensiero di Nietzsche su questo punto, mi sembra che queste annotazioni -prescindendo dalle considerazioni sviluppate in seguito nello Zarathustra circa la redenzione del passato - nonriescano ancora ad arrivare alla fondazione dell'eterno ritorno. Infatti, anche se si arriva a dimostrare la finitezzadelle forze nell'universo (e quindi la finitezza delle loro possibili combinazioni), e anche se si arriva a dimostrarel'infinit del tempo (perch dare una fine al tempo significherebbe dare un qualcosa da raggiungere, uno scopo, aldivenire), non ne segue per ancora la necessit della circolarit del tempo, dell'eterno ritorno: anche se tutte lepossibili combinazioni delle forze devono realizzarsi, in un tempo infinito, infinite volte, non ne segue che essedebbano realizzarsi nello stesso ordine di successione (che si debba formare, quindi, un circolo, un ritorno); anzi,prescindendo dalla dottrina sulla redenzione esposta nello Zarathustra, si sarebbe pi portati a credere che,proprio in forza del caos e dell'imprevedibilit del divenire, queste combinazioni vengano a succedersi in un ordinesempre nuovo ed imprevedibile. certamente possibile supporre che, negli anni 1881-1882, Nietzsche avesse giraggiunto l'autentica fondazione dell'eterno ritorno (che poi esporr nello Zarathustra), e che in queste annotazionisi limiti a cercare un'altra strada per giungere allo stesso risultato; in ogni caso, mi sembra per che quest'altrastrada non conduca Nietzsche dov'egli voleva arrivare.

    "LA BUONA FEDE"

    A CURA DI DANIELE DIDERO

    La "buona fede", la rettitudine della coscienza, la convinzione di fare ci che si convinti che debba essere fatto.In questo senso, essa il fondamento dellagire morale, sia che questo venga inteso nellambito di uneticadellintenzione (dove ci che conta per la moralit dellazione lintenzione del soggetto che la compie, ossiaproprio il suo essere in buona fede, il suo credere di agire nel modo dovuto), sia che ci si muova nel quadro diunetica della responsabilit (perch, anche in questo caso, ci che conta per valutare la moralit dellazione la

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  • consapevolezza - la convinzione motivata, dunque nuovamente una forma di fede - da parte del soggetto che ciche viene fatto sia effettivamente un bene. In questo secondo caso, cio, non basta pi che il soggetto abbialintenzione di fare il bene, ma occorre anche che egli si preoccupi - responsabilmente, appunto - di valutare checi che egli compie sia effettivamente, in quella situazione, un bene: ma anche questo valutare rientra,ultimamente, nellambito del credere, quindi ancora nella "buona fede" - non possiamo infatti mai sapere concertezza assoluta quali saranno i risultati di una nostra azione e quale insieme di conseguenze essa implicher,possiamo solo limitarci a crederlo). Mettendo in discussione il senso ed il valore della buona fede, Severino pucos arrivare a scuotere dalle fondamenta ledificio che letica dellOccidente (nelle diverse forme che via via essa venuta ad assumere) ha costruito. E il discorso severiniano viene ad investire la fede (che, occorre notare, non vaqui intesa come la sola fede cristiana, ma come ogni possibile forma di fede, come la fede in quanto tale) sia dalpunto di vista della sua struttura formale, sia dal punto di vista del suo contenuto essenziale (cio di ci che, dallato del contenuto, accomuna le differenti forme storiche che la fede ha assunto nellOccidente: la posizione deldivenire come evidenza originaria, indiscutibile). Guardando alla sua struttura formale, la buona fede - si diceva- la convinzione di fare ci che si convinti che debba esser fatto: in quanto convinzione, essa fede, e in quantosi rapporta a ci che dovrebbe esser fatto, essa buona; luomo moralmente buono sarebbe pertanto colui cheagisce con la convinzione di compiere il bene. Ora, nota Severino, un tale uomo non esiste e non pu esistere,perch non esiste una forma di convinzione (ossia di fede) che riesca, in quanto tale, a liberarsi dal dubbio: nonpu cio esistere una fede che sia esente dal dubbio, perch il dubbio il fondamento della fede. Va subitosottolineato che il discorso di Severino non si limita ad affermare che, di fatto, ogni uomo storico conteso tra lafede e il dubbio: se questa semplice osservazione fosse infatti la vetta della sua critica alla fede, egli noncorrerebbe certo il rischio di farsi venire le vertigini... Le sue riflessioni sono invece molto pi profonde, e neganola possibilit stessa che si venga a costituire - di diritto, e non solo di fatto - una fede che sia libera dal dubbio eche abbia quindi un valore assoluto. Nella stessa definizione data da S. Paolo, la fede infatti intesa - osservaSeverino - come "prova delle cose che non si vedono" ("pragmton lenchos ou blepomnon"; Eb 11,1): ci in cuisi ha fede pertanto qualcosa che non si vede (non solo, ovviamente, in senso fisico), che non appare. Ora, ilcredente afferma di essere convinto di ci in cui crede, ma - allo stesso tempo - ci in cui crede, nonapparendogli, non gli e non gli pu essere evidente: e questo non essergli evidente lo stesso dubbio, chedunque coessenziale alla fede. La fede , strutturalmente, una certezza accompagnata dal dubbio, mentre laverit una certezza accompagnata dal superamento del dubbio: in questultimo caso il dubbio s presente, masoltanto come tolto, superato; nel primo caso, invece, il dubbio presente in tutta la sua forza, come non tolto(sarebbe tolto soltanto dallapparire di ci che - invece - non appare). Quando il credente - di qualunque fede sitratti - dice di essere convinto di ci in cui crede, egli isola quindi il momento della fede da quello del dubbio: eglidice di esser convinto rispetto a ci di cui non pu, strutturalmente, esser convinto, perch in cuor suo continua adubitare; il suo credere soltanto un credere (un illudersi) di credere con quella certezza assoluta - priva diesitazioni - che la fede pretenderebbe di avere. La buona fede, proprio in quanto fede, cos una forma dimalafede originaria: se nel senso comune del termine "essere in malafede" significa infatti agire in contraddizionecon ci che si ritiene di dover fare, la buona fede ha gi in se una forma pi originaria (quindi ad un livello diconsapevolezza ed intenzionalit pi basso rispetto alle forme pi comuni e pi elaborate) di malafede, proprioperch in essa ci si convince che debba esser fatto ci rispetto a cui si dubita se debba esser fatto o meno (questoconvincersi cio lazione che luomo in buona fede compie in contraddizione col dubbio che egli, in cuor suo,nutre). Ogni morale dellOccidente, essendo fondata sulla buona fede, ha cos in realt per proprio fondamentouna malafede originaria. Il discorso di Severino - sebbene egli non si soffermi su questo aspetto - ancheformalizzabile nei termini di un calcolo epistemico. Indichiamo con C il credere qualcosa, con A lapparire diquesto qualcosa e con , > e ^ rispettivamente i segni logici di negazione, implicazione e congiunzione;sia infine p una qualunque proposizione oggetto di fede. Poich la fede argomento (prova) delle cose che nonappaiono, se noi crediamo al contenuto di una proposizione p, allora questo contenuto non ci pu apparire (se ciapparisse, infatti, dovremmo dire che noi sappiamo p, e non semplicemente che lo crediamo): formalmente,avremo che Cp > Ap (cio: credere p implica il non apparire di p). Ma allora, in forza del senso stessodellimplicazione, la posizione di Cp sar gi in se stessa - concretamente intesa - posizione di Ap (se vera laprima espressione, sar vera anche la seconda): s che ci che viene effettivamente posto, nellatto di credere inqualcosa, la sintesi tra il credere questo qualcosa e il non apparire del qualcosa stesso (ossia, ci che vieneeffettivamente posto sar, nel nostro caso, Cp ^ Ap). Poich, ora, lespressione Ap indica lo stessodubitare intorno a p (di cui, infatti, non ci appaiono ragioni per cui affermarlo), ne risulter che lespressione Cp^ Ap indicher proprio linscindibile unione tra la fede e il dubbio: il credente pu dire di credere senza dubitare,ma cos non fa altro che isolare astrattamente la sua fede dal momento del dubbio, che le coessenziale; e aqueste conclusioni si arriva partendo proprio dalla definizione paolina di fede. Il discorso severiniano, anche dalpunto di vista strettamente formale, quindi ineccepibile. Se gi dal punto di vista della sua struttura formale labuona fede dellOccidente non pu esistere nella sua presunta purezza e si mostra essere piuttosto una malafede,dal punto di vista del suo contenuto essenziale essa appare poi come lerrore fondamentale: il nichilismo. Ci dicui ogni forma di fede dellOccidente primariamente convinta (o meglio, per quanto visto sopra, crede di essereconvinta), ci che essa pone come levidenza originaria ed indiscutibile, infatti lesistenza del divenire comeoscillare degli enti tra lessere e il nulla: su questa convinzione - proprio perch essa riguarda lente in quanto tale,ossia ci che vi di pi universale - si fondano ormai ogni pensiero ed ogni azione dellOccidente. Il senso stessodellazione (e quindi anche di quellazione che lazione morale), rileva Severino, gi di per s alienato, perchagire significa - innanzitutto - credere nella possibilit che il nostro operare faccia passare le cose dal non-essereallessere (ad es., bruciando la legna siamo convinti che essa diventi cenere, e che pertanto si annulli - passi nelnon-essere - in quanto legna), e che dunque le cose siano disponibili a questo passaggio. Ma credere che le cosepossano diventare nulla significa credere che le cose siano nulla, che lente (ci che , il non-nulla) sia nulla: equesta la follia estrema (diciamo infatti, ad es., che la legna che stata bruciata non c pi, ossia che essa ,ormai, nulla. E anche se ci limitassimo a dire che la legna che stata bruciata non nulla, ma ormai cenere,

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  • identificheremmo pur sempre la legna con ci - la cenere, appunto - che non la legna, A con non-A). Credendonellesistenza del divenire cos inteso, lOccidente viene a credere ci che assurdo dal punto di vista logico e chenon appare (n pu apparire) dal punto di vista fenomenologico (dove ci che si mostra soltanto lapparire escomparire degli enti). Se (e poich) la buona fede si mostra da un lato come malafede originaria, dallaltro comeci che ha per contenuto essenziale la follia estrema, e se (e poich) essa il fondamento di ogni eticadellOccidente, ben si pu capire quale possa essere il giudizio di Severino su queste forme di moralit. Sulla basedi queste riflessioni teoretiche, egli viene cos ad affrontare (anche se propriamente nel testo severiniano - come sipu vedere dallindice del volume - la parte speculativa, di cui noi ci siamo occupati per prima, posta al termine,negli ultimi tre capitoli) diversi aspetti della vita morale. Siamo cos portati - attraverso ad unanalisi serrata deitesti della tradizione filosofica da Eraclito a Kant (passando per Platone, Aristotele, gli Stoici ecc.) - a prenderecoscienza del rapporto esistente, nelletica occidentale, tra verit e ragione pratica. La ragione pura, insegna Kant, di per s sola pratica, ossia in grado di determinare autonomamente la volont delluomo spingendolo ad agiresecondo quellordinamento i cui caratteri distintivi sono i caratteri stessi della ragione, cio luniversalit e lanecessit (la legge fondamentale della ragion pura pratica dice infatti :"Opera in modo che la massima della tuavolont possa sempre valere in ogni tempo come principio di una legislazione universale"; cfr. Kant I. [1989],Critica della ragion pratica, a cura di V. Mathieu, 4a ed., Laterza, Bari, p. 39); ma nello stesso senso si muovevagi Eraclito, affermando la necessit di seguire il logos, ci che comune (necessit, questa, che pu essere talesolo in quanto il logos stesso a dettarla). Per letica della tradizione occidentale, dunque, luomo deveuniformarsi allOrdinamento immutabile che la ragione (lepistme) porta alla luce: ma per far questo, egli dovr inprimo luogo raggiungere lepistme stessa, dovr volere la verit. La volont di verit quindi la prima forma eticache emerge nella tradizione occidentale e che resta sullo sfondo di ogni etica storicamente determinataappartenente a questa tradizione medesima. La verit, poi, va ricercata per se stessa, e non in vista di qualcosadaltro - neppure della stessa felicit, alla quale la conoscenza della verit porta (o della quale - comunque - essarende degni): se fosse cercata in vista di qualcosaltro, infatti, essa sarebbe ridotta a mezzo e non riuscirebbe piad essere se stessa (proprio nella misura in cui la non-verit - ci che altro dalla verit - assunta come guidadella verit, questultima viene ad essere snaturata dalla prima, venendo a perdere i propri caratteri distintivi dinecessit ed universalit: non infatti n universale n necessario che si assuma un certo scopo anzich un altro,a meno che non sia la stessa verit ad imporlo - ma, in questo caso, la ricerca della verit ed il suoraggiungimento dovrebbero gi aver preceduto e determinato la posizione del fine in questione); e, non riuscendoad essere se stessa, non potrebbe neppure garantire la felicit eventualmente raggiunta. Queste basi delleticadella tradizione - che di per s sembrerebbero piuttosto solide - sono per minate da quegli aspetti checonsideravamo pocanzi: esse presuppongono infatti - osserva Severino - quella concezione dellazione (in primoluogo, dellazione di convincimento da parte della ragione stessa sulla volont - facolt che pure viene ritenutaessere a-razionale, s che la possibilit di un suo ascolto della ragione gi qualcosa di molto problematico) cheporta in s la fede nichilista del divenire; muovendosi nellambito del nichilismo, di ci che non ha n pu avereverit, esse restano confinate nella dimensione della buona fede, con tutti i limiti che relativamente a questaabbiamo evidenziato. Il discorso severiniano viene quindi a prendere in esame anche dei problemi specificiappartenenti allambito della moralit: la concezione della virt (che porta in s - gi a livello etimologico - ilrichiamo al concetto di forza, s che il passaggio dalla virt delletica tradizionale a quella dellet della tecnica - allavisione della tecnica come di ci che maggiormente in grado di dominare il divenire e quindi di garantire la vitadelluomo - sar soltanto uno sviluppo necessario di ci che nel primo momento era gi implicito), il problemadella comunicazione (dove emerge la centralit del nesso tra potenza e riconoscimento della potenza stessa: lapotenza tale solo nella misura in cui viene universalmente creduta tale), il problema del controllo delle nascite edel matrimonio cattolico (a proposito del quale Severino afferma che la Chiesa cattolica, coerentemente con iprincipi ontologici nichilisti per i quali essa ammette la possibilit che lente non sia stato e venga a non essere,dovrebbe condannare non soltanto laborto e la contraccezione, ma anche - se non in misura maggiore -lastinenza sessuale dei coniugi finalizzata ad una paternit e maternit responsabili: impedendo infatti la nascita diuna vita che avrebbe potuto svilupparsi dalla loro unione, i coniugi condannerebbero a rimanere eternamente nelnulla quellessere umano che sarebbe potuto giungere allesistenza; e, cos facendo, essi si renderebbero complicidi quel crimine che riguarderebbe Dio stesso, il quale non crea tutto ci che avrebbe potuto creare).Estremamente affascinante poi il quarto capitolo, dedicato al senso della preghiera. Secondo Severino, lapreghiera cristiana non dovrebbe essere lassurdo tentativo di piegare la volont di Dio ai propri scopi, bens laserena accettazione della volont di Dio, accompagnata dalla certezza che la preghiera - cos strutturata - vienesempre accolta (proprio perch la volont di Dio, che ci di cui si chiede la realizzazione, non pu - secondo ilcristianesimo - non realizzarsi): la volont del credente si fatta identica a quella di Dio e in questo senso essapu - dal punto di vista cristiano - "smuovere le montagne" (sempre ammesso che la volont di Dio, con cui ci siidentifica, sia che le montagne si smuovano: il credente non pu infatti sapere a priori quale sar concretamente lavolont divina, ma la accetta come essa si manifesta, via via che si manifesta). Allontanandoci per un momentodal testo severiniano, possiamo prendere in considerazione un passo della virgiliana Eneide che risulta diparticolare interesse rispetto a questa tematica e che ci pu aiutare a comprenderla meglio. Nel libro VI, lombradel defunto Palinuro formula la preghiera di poter attraversare la palude stigia - senza che il suo corpo sia ancorastato sepolto - per trovare pace nellAde; a questa richiesta, la Sibilla cumana risponder implacabile "Desine fataDeum [Deorum] flecti sperare precando" (Eneide, VI, 376), sottolineando come sia illusoria la speranza di poterpiegare la volont del Fato tramite le umane preghiere. Ritornando su questo argomento, Dante far dire al suoVirgilio - quasi giustificandosi - che "... l dovio fermai cotesto punto [ossia al verso citato], / non sammendava,per pregar, difetto, / perch l priego da Dio era disgiunto" (Purgatorio, VI, 40-42): dunque la preghiera - secondoil cristiano Dante - "efficace" solo in quanto unita a Dio. Ma quando - andando ora oltre il testo dantesco - lapreghiera unita a Dio? Ovviamente, quando esprime la comunione di volont del pregante con Dio stesso:quando cio il pregante in amicizia con Dio e vuole quindi ci che Dio vuole. Ma, di nuovo, che cos che Diovuole? Ci che di fatto accade, perch nulla pu realizzarsi contro la volont di Dio! (Questo anche se lapparire

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  • finito - la coscienza umana -, non cogliendo ogni singola cosa nel suo essere avvolta dal Tutto, in cui ognicontraddizione risolta, pu non cogliere immediatamente - e, anzi, normalmente ci non avviene - la bont diogni ente, di ogni accadimento). Dunque, anche - e soprattutto - quando il "priego" sommamente congiunto aDio, esso non pu cambiare la volont di Dio, semplicemente perch non la vuole cambiare (bens vuole che essa"sia fatta")! Andando oltre al testo di Dante, si ritorna cos a quello di Virgilio: la volont del Fato non comunquecambiata dalle preghiere degli uomini... Le osservazioni di Severino sulla preghiera cristiana sono quindi, a mioavviso, pienamente accettabili dallo stesso punto di vista cristiano: si potrebbe - al massimo - soltanto aggiungereche, proprio perch il credente - lapparire finito - non sa quale sia la volont di Dio prima che questa si realizzi(devessere disposto ad accettarla qualunque essa sia), egli pu sempre esprimere anche desideri particolarirelativamente a ci che ancora non ci appare, ferma