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Enrico Cuccia
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libera.
« Le azioni si pesano, non si
contano[1]. »
(Enrico Cuccia)
Enrico Cuccia fotografato
durante la deposizione al
processo per l'omicidio di
Giorgio Ambrosoli
Enrico Cuccia (Roma, 24
novembre 1907 – Milano, 23
giugno 2000) è stato un
banchiere italiano, tra i più
importanti della seconda
metà del Novecento.
Rappresenta una delle figure
di spicco della scena
economico-finanziaria italiana
del XX secolo.
Indice [nascondi]
1 Biografia
1.1 Origini e formazione
1.2 Esperienza
amministrativa nel regime
fascista
1.3 Antifascismo durante la
seconda guerra mondiale
1.4 Massoneria
2 Mediobanca
2.1 La gestione di
Mediobanca
3 Il caso Sindona
4 La morte
4.1 Il trafugamento della
bara
5 Onorificenze
6 Note
7 Bibliografia
8 Collegamenti esterni
9 Altri progetti
Biografia[modifica | modifica
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Origini e formazione[modifica
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Enrico Cuccia nacque a Roma
da Pietro Beniamino e da
Aurea Ragusa. Il nonno
paterno, Simone Cuccia, era
un noto avvocato di origini
arbereshe di Sicilia da
Mezzojuso, eletto in
Parlamento dal 1882 per
quattro legislature
consecutive. Il padre
Beniamino era invece un
funzionario del ministero
delle Finanze e collaboratore
del quotidiano Il Messaggero.
Dopo gli studi al Liceo
classico Torquato Tasso,
Cuccia si iscrisse alla Facoltà
di Giurisprudenza
dell’Università di Roma. Alla
fine degli anni venti collaborò
per tre anni al Messaggero,
ottenendo l'iscrizione all'albo
dei giornalisti professionsti.
Si laureò con il massimo dei
voti nel 1930 con Cesare
Vivante, relatore della sua
tesi intitolata La speculazione
ed i listini nelle borse valori:
teoria e legislazione.
Nel 1930-31 fu alla
Sudameris di Parigi, allievo
funzionario. Nel maggio 1931
fu assunto in prova dalla
Banca d’Italia prendendo
servizio presso la sede di
Londra. Fu assunto in ruolo
nel luglio 1932. Nel maggio
1934 fu distaccato all’Istituto
per la Ricostruzione
Industriale che lo assunse a
fine giugno dello stesso
anno.
Nel 1939 sposò Idea Nuova
Socialista Beneduce (1905 -
1996)[2][3], figlia di Alberto
Beneduce, da cui ebbe tre
figli, Beniamino, Auretta
Noemi e Silvia Lucia, in età
adulta tutti impegnati in
ambito economico.
Esperienza amministrativa
nel regime fascista[modifica |
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Nel giugno 1936 fu inviato
per un anno ad Addis Abeba
come delegato del
Sottosegretariato per gli
scambi e le valute dal
Sottosegretario di Stato
Felice Guarneri per
organizzare il controllo locale
delle valute in presenza di
illeciti di funzionari del
maresciallo Rodolfo Graziani,
viceré d’Etiopia. Tornato in
Italia, fu elogiato da Benito
Mussolini per l’opera svolta.
Enrico Cuccia lavorò in Africa
orientale italiana insieme al
suo collega Giuseppe
Ferlesch sotto le direttive di
Alberto D'Agostino, capo
della direzione generale delle
valute del sottosegretariato,
al vertice del quale c'era
Felice Guarneri[4]. Il suo
lavoro venne accolto
favorevolmente in Italia: il 1º
luglio 1937, ritornato in Italia
per qualche giorno, Enrico
Cuccia fu ricevuto, insieme a
Guarneri, da Benito
Mussolini. Il giorno dopo
l'incontro con il Duce, il
Corriere della Sera pubblicò
un articolo nel quale si
leggeva che: "Il Duce ha
elogiato il dottor Cuccia per il
lavoro compiuto in
circostanze particolarmente
difficili..."[5]. Si trattava di
un segnale, sottinteso ma
chiaro, destinato a coloro che
premeditavano di attentare
all'incolumità di Cuccia, ed in
particolare fu un
avvertimento diretto al viceré
d'Etiopia Rodolfo Graziani e
al suo entourage, che non
avevano gradito le
intromissioni del giovane
funzionario in una gestione
amministrativa che Cuccia
sospettava fosse
caratterizzata da gravi
irregolarità finanziarie e da
una tolleranza, con interessi
nel traffico valutario.
Nonostante la situazione
disagiata e pericolosa nella
quale visse durante il periodo
di permanenza in Africa
orientale, nonostante le
difficoltà e gli ostacoli, Cuccia
operò con grande serietà e
severità, stilando relazioni
tecniche precise ed esaustive
che puntualmente inviava a
D'Agostino, ricevendone
indicazioni e incoraggiamenti
continui.
Successivamente, Cuccia
ebbe occasione di lavorare
presso la Comit diretta da
Raffaele Mattioli.
Antifascismo durante la
seconda guerra
mondiale[modifica | modifica
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Durante la seconda guerra
mondiale si recò spesso in
Svizzera allo scopo di
sostenere la Resistenza, per
la quale operò anche da
staffetta con la copertura
fornitagli dal fatto di essere
un funzionario di banca di
alto livello; in un viaggio a
Lisbona nel 1942 si fece
latore di un messaggio
segreto degli oppositori
filobritannici Adolfo Tino e
Ugo La Malfa al conte Sforza,
in esilio negli Stati Uniti[6]:
se ne fece tramite il
diplomatico statunitense
George Kennan.
Massoneria[modifica |
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Enrico Cuccia fu membro
della loggia Giustizia e
Libertà, loggia "coperta" del
gruppo massonico di "Piazza
del Gesù"[7].
Mediobanca[modifica |
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Exquisite-kfind.png Lo stesso
argomento in dettaglio:
Mediobanca.
Fino dal 1944, Enrico Cuccia
seguì la vicenda di
Mediobanca, quando Mattioli
propose un "ente
specializzato per i cosiddetti
finanziamenti a medio
termine" (in sostanza, un
modo per superare la legge
bancaria del 1936)[8]. In un
convegno tenutosi nel
1986[9] Enrico Cuccia
descrisse con precisione le
difficoltà incontrate nella
realizzazione del progetto,
che aveva richiesto oltre 18
mesi di laboriose trattative,
sia per trovare dei partner
che accettassero di entrare
nel capitale del nuovo istituto
sia per superare le obiezioni
di chi, come il governatore
della Banca d'Italia Luigi
Einaudi, temeva che dietro
questo progetto vi fosse di
fatto il ritorno della Comit
alla struttura della banca
mista: ecco perché Cuccia
organizzò il lavoro
dell'istituto che gli venne
affidato da un lato senza fare
a meno delle Bin azioniste,
ma dall'altro lato tenendo le
medesime largamente
all'oscuro delle decisioni che
la banca stava per prendere,
apprendendole generalmente
a cose fatte.
La gestione di
Mediobanca[modifica |
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Il 3 novembre 1944 fece
parte della delegazione
italiana, composta tra gli altri
da Egidio Ortona e Raffaele
Mattioli, che si recò a
Washington con l'obiettivo di
richiedere al governo
statunitense aiuti per la
ricostruzione post-bellica
italiana.
Nell'aprile 1946, Cuccia
divenne il direttore generale
della nuova società
Mediobanca, posseduta da
Credito Italiano, Comit e
Banco di Roma. Nel 1949
diviene anche amministratore
delegato.
Mediobanca divenne in breve
tempo il centro del mondo
finanziario e politico italiano.
Il caso più importante, tra le
numerose grandi transazioni
economico-finanziarie gestite
da Cuccia e da Mediobanca,
fu sicuramente la scalata alla
Montedison di Giorgio Valerio
da parte dell'ENI di Eugenio
Cefis.
L'istituto costituì il perno di
un sistema di alleanze, che
attraverso partecipazioni
incrociate e patti parasociali
garantiva stabilità degli
assetti proprietari dei
maggiori gruppi industriali.
Mediobanca accrebbe anche
la gamma delle sue
partecipazioni azionarie, che
diventarono veri certificati di
garanzia per le imprese
partecipate.
Un altro aspetto importante
dell'azione di Cuccia fu
l'apertura internazionale che
avvenne nel 1955, dopo
contatti intensi con André
Meyer della Lazard di New
York. Nel suo viaggio
statunitense del 1965
Antonio Maccanico ebbe
modo di apprezzare la
considerazione che si avesse
a Wall Street per Enrico
Cuccia, il cui nome era
all'epoca in Italia quasi del
tutto sconosciuto al di fuori
della ristretta cerchia degli
addetti ai lavori[10].
Nel 1982, Cuccia lasciò la
carica di direttore generale,
restando però nel CDA fino al
1988 quando divenne
presidente onorario, ma
restò comunque uno degli
uomini più influenti,
inavvicinabile dai giornalisti.
Il caso Sindona[modifica |
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Exquisite-kfind.png Lo stesso
argomento in dettaglio:
Scandalo del Banco
Ambrosiano.
Cuccia fu accusato da Michele
Sindona di essere il
mandante di un complotto
nei suoi confronti e di
controllare segretamente il
tribunale di Milano al quale
lui aveva portato documenti
a dimostrazione della sua
tesi. Fu denunciato con
l'accusa di falso in bilancio e
in seguito prosciolto. Subì
anche un attentato che vide
esplodere sulla porta di casa
del banchiere, in via
Maggiolini, un ordigno
probabilmente lanciato lì da
un emissario mafioso dello
stesso Sindona.
Testimoniò contro Michele
Sindona nel processo
sull'omicidio di Giorgio
Ambrosoli, affermando che
l'imputato gli avesse
confidato il suo progetto
omicida. L'informazione fu
ricevuta nell'aprile del 1979 a
New York, in un incontro
diretto con Michele Sindona,
mentre l'omicidio avvenne
l'11 luglio dello stesso anno:
eppure Cuccia non avvertì le
autorità italiane né lo stesso
Ambrosoli[11]. Alle domande
dei magistrati rispose di aver
mantenuto il silenzio per
sfiducia nei confronti dello
Stato. Secondo il suo legale
Alberto Crespi[12], Cuccia
diede immediatamente
mandato a lui di parlare con i
giudici riguardo alle minacce
di Sindona (le quali furono
sottovalutate dalla procura)
evitando di esporsi in prima
persona temendo per
l'incolumità dei suoi figli.
Questa ricostruzione viene
però smentita dalla
procura[13].
La morte[modifica | modifica
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Nel 2000, Cuccia iniziò a
soffrire di problemi
cardio-respiratori e di
insufficienza renale, che lo
costrinsero a lunghe terapie
e ricoveri[14], prima presso
l'Ospedale Luigi Sacco di
Milano, poi al Centro
cardiologico Monzino.
Trascorse i suoi ultimi mesi
tra questi nosocomi e le sue
case, a Milano e sul Lago
Maggiore.
Morì nella notte del 23
giugno 2000. Per evitare un
eccessivo clamore mediatico,
la famiglia decise di
mantenere uno stretto
riserbo sulle circostanze della
sua morte[15] e decise di
organizzare il funerale già
per l'indomani. La salma
venne traslata a Meina, ove
si celebrarono le esequie,
presso l'istituto delle Suore
Poverelle, con la
partecipazione di pochissimi
invitati, notabilmente l'allora
governatore della Banca
d'Italia Antonio Fazio, il
segretario in carica del
Partito Repubblicano Italiano
Giorgio La Malfa, l'allora
presidente di Mediobanca
Francesco Cingano e
l'amministratore delegato
Vincenzo Maranghi, l'allora
presidente della Banca di
Roma Cesare Geronzi, il
costruttore Salvatore
Ligresti, Cesare Romiti e il
figlio Maurizio. La bara fu poi
tumulata nel locale cimitero,
presso la cappella di famiglia,
ove già riposava la moglie
Idea, morta nel 1996[16].
Poco dopo la sua morte, il
tratto di via Filodrammatici
prospiciente la sede di
Mediobanca fu ribattezzato
dal comune di Milano
"piazzetta Enrico
Cuccia"[17].
Il trafugamento della
bara[modifica | modifica
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Tra la sera del 14 e la prima
mattina del 15 marzo 2001
due operai piemontesi,
Giampaolo Pesce e Franco
Bruno Rapelli (noto tra gli
amici come Crodino),
entrambi incensurati,
approfittando di un varco
lasciato aperto nel muro di
cinta del camposanto di
Meina, si introdussero al suo
interno e trafugarono la bara
di Enrico Cuccia[18]. Il fatto
venne scoperto già
l'indomani dalla ex custode
della locale villa della
famiglia del banchiere, Ida
Bentivegna, accortasi che la
lapide della tomba era rotta
in due pezzi; la notizia venne
invece resa nota solo il 18
marzo[19].
Le indagini seguirono due
filoni: da un lato il satanismo
(la zona di Meina era già
stata soggetta ad atti di
violazione di tombe
perpetrati da sette sataniche)
o la profanazione fine a sé
stessa[20] e dall'altro una
richiesta di riscatto[21][22].
Il 20 marzo fu spedita alla
sede ANSA di Milano una
lettera di rivendicazione, in
cui il mittente si
autoaccusava del furto,
affermando di aver subìto
gravi perdite finanziarie per
colpa di investimenti su titoli
quotati a Piazza Affari e
bollando Enrico Cuccia come
una delle cause della sua
rovina. Come condizione per
la restituzione del feretro
veniva domandato che
l'indice MIB30 risalisse a
quota 50.000. Tale
messaggio non fu però
ritenuto attendibile[23].
L'ipotesi del tentativo di
estorsione prese
definitivamente piede
allorché, il 22 marzo,
l'amministratore delegato
dell'ACEA di Roma Paolo
Cuccia (che i "rapitori"
dovevano aver erroneamente
ritenuto figlio del banchiere o
comunque suo parente)
ricevette una lettera, spedita
dalla zona di Torino e
scorrettamente indirizzata a
via Momentana (in luogo di
Nomentana - indirizzo
peraltro ben lontano dalla
sede della municipalizzata,
sita in piazzale Ostiense), in
cui per il riottenimento della
bara si richiedeva il
versamento di sei milioni di
franchi svizzeri (circa 7
miliardi di lire) su un conto
cifrato aperto presso la
Banca Rotschild di Lugano.
Allegate alla lettera vi erano
alcune foto Polaroid sfuocate
e sbilenche, ritraenti la bara
e la tomba aperta[24][25].
Dalla lettera spedita a Paolo
Cuccia e da una successiva
serie di telefonate arrivate
all'ACEA e a Mediobanca per
trattare il pagamento del
riscatto (e partite da una
stessa cabina telefonica, sulla
strada tra i comuni di
Giaveno e Avigliana), verso
fine marzo gli inquirenti
riuscirono a risalire a
Giampaolo Pesce, che fu
arrestato proprio mentre
terminava un'ennesima
chiamata a Mediobanca.
Tradotto nella più vicina
questura, Pesce fece subito il
nome del suo complice
Rapelli ed indicò il luogo ove
il feretro era nascosto: un
fienile sito in località Borgata
Mogliassi, nel comune
valsusino di Condove, non
lontano da casa sua[26]. La
cassa con le spoglie del
banchiere venne ritrovata
intatta; effettuati i rilievi del
caso, il 31 marzo il feretro
venne riportato a Meina e
ritumulato.
Rapelli, che si trovava in
Inghilterra, fu poi arrestato il
1º aprile, al suo ritorno in
patria. I due sequestratori
affermarono di trovarsi in
condizioni di indigenza e di
aver deciso di rubare la
salma di Cuccia dopo aver
letto il suo nome su alcune
riviste economiche, avendo
intuito che si trattava di un
uomo molto potente e
benestante. Il furto era stato
compiuto in due momenti: la
sera del 14 marzo i due
avevano abbattuto il muretto
che sigillava la tomba, per
poi tornare a notte fonda a
trafugare la bara (rompendo
accidentalmente la lastra di
marmo che chiudeva il
loculo). Indi avevano caricato
la cassa su un pick-up, ma
accortisi che essa era troppo
lunga l'avevano coperta con
un telo, per poi trasportarla
fino al fienile scelto come
nascondiglio con il vano di
carico aperto.
Pesce e Rapelli furono poi
condannati con rito
abbreviato rispettivamente a
18 e 20 mesi di reclusione in
carcere, con sospensione
condizionale della pena.
Entrambi chiesero perdono
alla famiglia Cuccia, che
rinunciò a costituirsi parte
civile nel processo a loro
carico[27].
Alla singolare vicenda è
ispirato il film L'ultimo
crodino, il cui titolo riprende
il soprannome del
Rapelli[28][27].
Onorificenze[modifica |
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Cavaliere di gran croce
dell'Ordine al merito della
Repubblica italiana - nastrino
per uniforme ordinaria
Cavaliere di gran croce
dell'Ordine al merito della
Repubblica italiana
— 15 settembre 1966[29]
Grande ufficiale dell'Ordine al
merito della Repubblica
italiana - nastrino per
uniforme ordinaria Grande
ufficiale dell'Ordine al merito
della Repubblica italiana
— 2 giugno 1957[30]
Note[modifica | modifica
wikitesto]
^ La salma di Cuccia -
FinanzaWorld
^ Addio al grande vecchio
della finanza italiana, «la
Repubblica», 23 giugno
2000.
^ La morte discreta della
moglie di Cuccia, «Corriere
della Sera», 26 ottobre 1996,
13.
^ Vedi M. Martelli, M.
Procino, Enrico Cuccia in
Africa Orientale Italiana
(1936-1937), Milano,
FrancoAngeli, 2007.
^ I ricevimenti del Duce, in
«Il Popolo d'Italia», 2 luglio
1937.
^ Sandro Germi, Così parlò
Cuccia, Il sole 24 ore, 11
novembre 2007, consultabile
su
((http://stampa.ismea.it/PDF
/2007/2007-11-11/20071111
8172067.pdf)).
^ Aldo Mola, Storia della
Massoneria Italiana,
Bompiani, Milano, 1992 pag.
744
^ Giorgio La Malfa, Cosa
direbbe oggi Cuccia ai nuovi
vertici di Mediobanca e
Generali, Il Foglio quotidiano,
3 aprile 2010, ricorda in
proposito che: "Il progetto
era nato a Roma, in seno alla
Comit, nell'estate del 1944,
quando, dopo la liberazione
della capitale, profilandosi la
fine della guerra, Raffaele
Mattioli e lo stesso Cuccia
avevano cominciato a
riflettere sul problema della
ricostruzione postbellica.
L'esigenza di creare un
istituto specializzato nel
credito a medio termine
aveva però radici più lontane
nel tempo: essa risaliva
essenzialmente agli anni
trenta, quando, sotto
l'impulso di Alberto
Beneduce, era stata posta
fine all'esperienza della
banca mista, di cui la Banca
Commerciale di Toeplitz era
stato l'esempio più
significativo, ed era stato
sancito, prima de facto poi
con la legge bancaria del
1936, che le banche
commerciali dovessero
limitarsi al credito corrente,
mentre il credito a medio
termine doveva essere
affidato a istituti con questo
compito specifico. Nel
procedere al salvataggio
della Comit, ormai sull'orlo
del fallimento sia per i crediti
industriali concessi a imprese
a loro volta investite dalla
grande crisi del 1929, sia per
il crollo dei valori azionari
delle società di cui la Comit
era azionista, Beneduce
aveva preteso le dimissioni di
Toeplitz e la sua sostituzione
con il giovane Mattioli. Questi
aveva accettato la nuova
divisione del lavoro ma aveva
osservato in varie occasioni
che, restringendo l'attività
delle banche ai soli crediti a
breve termine, si poneva il
problema di chi avrebbe
potuto concorrere al
finanziamento dei programmi
di investimento delle imprese
manifatturiere. L'avvicinarsi
della fine della guerra,
ponendo il problema della
ricostruzione degli impianti
industriali e del riavvio
dell'attività produttiva,
rendeva urgente provvedere
a questo problema, evitando
che a farlo fossero costrette,
nonostante il divieto
contenuto nella legge
bancaria, le banche di credito
ordinario.
^ In ricordo di Mattioli,
nell'unica occasione in tutto il
dopoguerra in cui accettò di
prendere la parola in
pubblico, citato da Giorgio La
Malfa, Cosa direbbe oggi
Cuccia ai nuovi vertici di
Mediobanca e Generali, Il
Foglio quotidiano, 3 aprile
2010.
^ Intervento di Antonio
Maccanico al convegno per il
centenario di nascita di
Enrico Cuccia, consultabile su
((http://www.popso.it/xxuplo
ad/106_personaggi_03.pdf)),
in cui si descrive l'incontro a
New York con David Lilienthal
e con Felix Rohatin.
^ Umberto Ambrosoli,
Qualunque cosa succeda,
Sironi editore, 2009, ISBN
978-88-518-0120-5.
^ Dall'archivio del Corriere
della Sera Cuccia tacque sulle
minacce di Sindona perché
temeva per la sorte di suo
figlio, 17 luglio 1999.
^ Dall'archivio del Corriere
della Sera
^ Cuccia ricoverato
d'urgenza in ospedale - La
Repubblica, 16 apr 2000
^ È morto Enrico Cuccia - La
Repubblica, 23 giu 2000
^ Fazio, Romiti e pochi altri
big ai funerali di Enrico
Cuccia - La Repubblica, 24
giu 2000
^ Nasce piazza Enrico Cuccia
con i big di finanza e
industria - Corriere della
Sera, 19 set 2000
^ «Il furto della salma fu
deciso al bar» - Corriere della
Sera, 2 apr 2001
^ Trafugata dal cimitero la
salma di Cuccia - Corriere
della Sera, 18 mar 2001
^ Dieci anni fa trafugata la
salma di Cuccia - Il Giornale,
25 gen 2011
^ Cuccia, è ancora giallo.
Spunta una terza ipotesi - La
Repubblica, 18 mar 2001
^ Dieci anni fa trafugata la
salma di Cuccia - Il Giornale,
25 gen 2011
^ "Ho rubato la salma di
Cuccia perché la Borsa mi ha
rovinato" - La Repubblica, 20
mar 2001
^ Cuccia, chiesti sette
miliardi di riscatto - La
Repubblica, 23 mar 2001
^ E il bandito chiese: «Ha
ricevuto il messaggio su suo
padre?» - Corriere della
Sera, 24 mar 2001
^ Ritrovata la bara di Cuccia
"Era una banda di balordi" -
La Repubblica, 31 mar 2001
^ a b Trafugarono la salma
di Cuccia, non andranno in
carcere, in Corriere della
Sera.
^ CHI SI È FREGATO LA
BARA DI CUCCIA - L'Unità,
17 gen 2009
^ Sito web del Quirinale:
dettaglio decorato.
^ Sito web del Quirinale:
dettaglio decorato.
Bibliografia[modifica |
modifica wikitesto]
Giorgio La Malfa, Cuccia e il
segreto di Mediobanca ,
Milano, Giangiacomo
Feltrinelli Editore, 2014 ISBN
978-88-07-17278-6
Napoleone Colajanni, Un
uomo, una banca
1946-1991: storia di Enrico
Cuccia e della prima
Mediobanca, Milano, Sperling
e Kupfer, 2000
Giancarlo Galli, Il romanzo
degli gnomi. I protagonisti
della finanza italiana, Milano,
Rusconi, 1984
Giancarlo Galli, Il padrone dei
padroni. Enrico Cuccia, il
potere di Mediobanca e il
capitalismo italiano, Milano,
Garzanti, 1995; Milano,
Garzanti, 2006
Felice Guarneri, Battaglie
economiche tra le due
guerre, vol. I, 1918-1935,
vol. II, 1936-1940, Milano,
Garzanti, 1953
Margherita Martelli, Maria
Procino, Enrico Cuccia in
Africa Orientale Italiana
(1936-1937), Milano,
FrancoAngeli, 2007
Giandomenico Piluso,
Mediobanca. Tra regole e
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Ciro Poggiali, Diario in AOI
[15 giugno 1936-4 ottobre
1937], Milano, Longanesi,
1971
Fabio Tamburini, Un siciliano
a Milano, Milano, Longanesi,
1992
Orio Vergani, La via nera.
Viaggio in Etiopia da Massaua
a Mogadiscio, Milano, Treves,
1938