enrico m. di palma - dalla parte di huascar

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Ci troviamo di fronte a una poesia dove il verso è molto raffinato e molto personale, solo in parte debitore al linguaggio della musica, e forse da controllare meglio in talune costruzioni gergali un po’ disinvolte – anche se, a rigore, non ci stanno poi tanto male nell’orizzonte complessivo della lingua e del senso, ma ci sembra conferiscano al (raffinatissimo) stile una nota un po’ equivoca -.L’ultima sezione della raccolta, intitolata Viale Monza, Calibro 18 (Viale Monza è probabilmente la via nella quale abita il poeta-studente) si compone di due spezzoni di un poemetto che il poeta ha ancora in itinere. Troviamo un monologo iniziale, esilarante e amaro, nel quale il poeta racconta un “fisicissimo” risveglio mattutino, e di una seconda parte, che descrive una fantastica e irreale passeggiata per Milano. Viene in mente Joyce, in qualche modo, e i pensieri scardinati di Mister Blum che si aggira per una Dublino irreale. Questa sezione stacca, mi sembra, dalle precedenti cinque, per l’intensità espressiva e per lo spessore, anche se le tematiche non sono dissimili. Di Palma cerca insomma di costruire un poema sull’uomo moderno, sul senso di vuoto, di inanità. di precarietà e di insignificanza, nel quale si dibatte la nostra esistenza inurbata e stordita dagli anestetici della cultura di massa.La reazione è un ritorno al corpo, alla fisicità, alla decostruzione di tutti gli intellettualismi che dissacrano gli ultimi barbagli di libertà mentale e ci consegnano a un sub-umanesimo sempre più becero e vuoto. C’è l’eco della politica, della cronaca, dell’oggidiano.In conclusione, mi sento di affermare, con sicurezza che siamo di fronte a una poesia già forte, già adulta, altro che “giovanile” e tanto meno “esordiente”. Sarà pure “opera prima”, ma di tutto rispetto, a prescindere dall’età del poeta (recensione di Gabriella Modica).

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  • I Fortini

    Collana delle opere vincitrici del Premio Franco Fortini

    I Fortini, 3 Enrico Maria Di Palma. - Dalla parte di Huscar

    a cura di Gianmario Lucini Grafica: CFR - Immagini: Eleonora Prado

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    Edizioni CFR Via Amonini, 9 - 23020 Piateda (SO)

    www.edizionicfr.it

    ISBN 978-88-97224-34-1

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    Enrico Maria Di Palma

    Dalla parte di Huscar

    (poesie)

    CFR Febbraio 2012

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    Introduzione Inizia con una poesia poco conciliata - direi piuttosto disincantata - la prima raccolta che Enrico Maria Di Palma decide di pubblicare. Forse non lavrebbe mai fatto se, per consapevolezza o per gioco, non avesse tentato la sorte del Premio Fortini, nel quale si piazzato in un onorato terzo posto pari-merito nella classifica, guadagnando perci la pubblicazione. Io per voglio sperare che non sia lunico giovanissimo ad avere in serbo versi simili, cos lucidi e cos invidiabili, anche da poeti ben pi carichi di anni. Ma soprattutto, al di l del verso preciso e ben curato, c una robusta poetica, e anzi un robusto pensiero o visione del mondo, che torrenzialmente fluisce nei versi, poesia dopo poesia, con un ritmo emotivo e unintensit sempre pi incalzanti. Non siamo daccordo, dunque, con quello che egli dice della sua poesia, quasi a schernirsi, proprio nella prima poesia, in esergo: qui c solo sfarzo / di favole vuote / immote radici spinate / seccate / morte. Cominciamo bene, verrebbe da dire, e con una sana nota di ottimismo. Ma si continua, in crescendo anche col ritmo e la prosodia, sulla medesima nota, quella del disincanto per una comunicazione sempre pi difficile, peraltro vuota o segnata da una gioia da gregge / imposta, pilotata, impertinente, in uno sfondo metropolitano che pare essere (dai riferimenti) quello milanese, nel quale siamo qui per fare, non pensare. E dunque: In questa capillare, nuova, strenua / strinata vita da rete sociale / cosa cerchi ancora?, si chiede il poeta. Ossia, che cosa ci sta a fare il poeta che egli denigra (sar pronto a indiarti / labilit del vate e solo questa) accusando il suo ruolo inetto, pronto a colludere col vuoto prospettive pur di essere voce nel vuoto di voci, di modo che ignora-disaccorda-unisce, / si indedalisce e pasce, con lo stilo, / un grottesco infante, di nome Amore. E ancora: ignoro il senso / della resurrezione della carne / lidea della fenice / che si sbrinza e rinverdisce, / ch niente si crea e tutto si distrugge / anche la testa / anche il cuore / che fugge. Proseguendo nella lettura il tono non migliora, anzi, si fa pi concitato, pi scandito, pi preciso, come una clava che picchia e spezza, ma mai noioso, mai assillante o autistico. Se infatti cerchiamo in questi versi la rassegnazione, restiamo fortemente delusi. Non , questo giovane, il poeta dellabbandono, del lasciamo perdere, della fuga, ma soltanto del nascondimento, del rifiuto di scrivere poesie da dare in pasto ai dementi che sarebbe come dare caramelle agli asini -, ossia alla cultura di

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    massa, visceralmente disprezzata. una tattica, la sua, non una rinuncia, e lo spiega molto bene con questi versi: Ma niente, non c niente / che pungoli il garrese / come lo stilo intinto di midollo, / spugnosit di spirito / spremuta nella metrica / estetica dignit del poeta! / Non cura n dilania / ma placa col furore / il sapore dinutile / la vana cecit / siamo invincibili, almeno su un foglio / qui non esiste voglio, / ma un maglio per distruggere la notte. // Scappa dallorrido pasto, canzone, / nascondersi non basta / nellora dellerumneo pavore. questa una dichiarazione di poetica, che in pochi versi esprime corposissime intenzioni tematiche, prosodiche, estetiche. La scelta per la poesia colta, fatta con rigore e il rigore c, nei versi di Di Palma, cos come lattenzione esasperata alla parola, senza disdegnare lemmi arcaici (come erumneo pavore) o neologismi (come sbrinzare, ossia larte di rollare il tabacco o laltra erba). Non per questo, peraltro, la sua scrittura appare difficile da interpretare: , anzi, molto chiara ed esplicita, senza misteri o ermetismi. Ci troviamo, pertanto, di fronte a una poesia dove dal verso molto raffinato e molto personale, solo in parte debitore al linguaggio della musica, e forse da controllare meglio in talune costruzioni gergali un po disinvolte anche se, a rigore, non ci stanno poi tanto male nellorizzonte complessivo della lingua e del senso, ma ci sembra conferiscano al (raffinatissimo) stile una nota un po equivoca -. Lultima sezione della raccolta, intitolata Viale Monza, Calibro 18 (Viale Monza probabilmente la via nella quale abita il poeta-studente) si compone di due spezzoni di un poemetto che il poeta ha ancora in itinere. Troviamo un monologo iniziale, esilarante e amaro, nel quale il poeta racconta un fisicissimo risveglio mattutino, e di una seconda parte, che descrive una fantastica e irreale passeggiata per Milano. Viene in mente, Joyce, in qualche modo, e i pensieri scardinati di Mister Blum che si aggira per una Dublino irreale. Questa sezione stacca, mi sembra, dalle precedenti cinque, per lintensit espressiva e per lo spessore, anche se le tematiche non sono dissimili. Di Palma cerca insomma di costruire un poema sulluomo moderno, sul senso di vuoto, di inanit. di precariet e di insignificanza, nel quale si dibatte la nostra esistenza inurbata e stordita dagli anestetici della cultura di massa.

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    La reazione un ritorno al corpo, alla fisicit, alla decostruzione di tutti gli intellettualismi che dissacrano gli ultimi barbagli di libert mentale e ci consegnano a un sub-umanesimo sempre pi becero e vuoto. C leco della politica, della cronaca, delloggidiano. In conclusione, mi sento di affermare, con sicurezza che siamo di fronte a una poesia gi forte, gi adulta, altro che giovanile e tanto meno esordiente. Sar pure opera prima, ma di tutto rispetto, a prescindere dallet del poeta. Qui ci troviamo di fronte a un rarissimo caso di poeta gi esperto e completo, a soli 24 anni e ci dispiace soltanto non poter addentrarci nellanalisi testuale, perch vogliamo essere cauti, riservandoci un esame pi approfondito magari alla seconda pubblicazione (mi accontenterei che sia allaltezza di questa, anche se certo non mi sentir deluso se sar migliore) e valutare con pi calma i segnali di qualit, pur evidenti ma ancora da mettere alla prova, che il poeta ha generosamente profuso nella sua scrittura. Intanto, ci sentiamo soddisfatti per questo lavoro, che io considero preludio a qualcosa di ancor meglio, che in futuro leggeremo.

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    tutta colpa vostra.

    Mi chiedi perch serrato, chiuso, questo cercare nostro e in quale posto tetro vadano a finire le mie parole morte e perch non spalanco le porte di questi segreti e se sono sorti da un qualche finto porto sepolto non porto ma orto inviolato, prezioso perch prezioso quello che contiene che strenuamente mantiene ignoto, con rampanti inarcature su un baratro consunto, un pomario barbogio e stanco, strinato dai tuoi sguardi circospetti non domandare, non cercare leuforbia, lilatro o lo sparzio, qui c solo sfarzo di favole vuote immote radici spinate seccate morte.

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    Gli dei del traffico

    Al Due-teste

    Sono la piaga ingraziosita il purulento mare dumori lalterit che stiracchia luomo con mano da Kshatriya e lo discarna lo disbrama (grama la consolazione del cuore) mentre si tesse esecranda la trama morbosa di suoni a spirale metro dopo metro diaspro su diaspro - spocchiosa caduta stridente - zappeggia lordito a due crocchi dal morto sussurra bizzarre angosce indiarsi la vita scagliando sul foglio.

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    Non parlare ti prego non dare adito a quella parte di me che sa che rimarrebbe delusa dallalito o dallaccento milanese rimani a sottolineare il tuo santAgostino a toccarti il naso a guardare il telefono non rovinarti coi fatti muta sei bellissima le mani il santo il fiocco parlano per te io, per me continuo a stemperarmi nella trivella dei lavori in corso negli odori di cannella di qualche studentessa spenta o nella luce fiacca della biblioteca nei peruviani della metro (tetro presagio metrico) nella citt che grida ed muta come te muta.

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    Vai, lento e con tanta lena truce trucidare, Achille, i figli di Troia devi, tracannarne il tragico sangue, forse il trito e ritrito ossario, stridulo ti chiama, Patroclo triste e tremante, dallOrco trapana il cervello spento trama lugubri ritorni nei sogni, non pensare, strappa loro le carni taratantara dici tu, o terribile uomo-mostro-artiglio-e-rostro veloce con denti digrignanti e sentenziosi: sei la mano del fato, sei la gru foriera di migrazioni finali, la tua, la sua, quella del mondo che non capisce, zittisce; per loro passa uno squillo tremulo di tromba soltanto, un lontano tallone eroso, cavalli che corrono e piano scartano un corpo esanime, in cerchi continui, uguali, terreni, sottili, eterni.

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    Io, tu e il pavone di Ejzestein sui gradini ruvidi di qualche monastero questo rammento dellestate. Le soste per il caff ghiacciato le metafisiche abbrustolite sotto il sole Voltaire, Jacques Breil, Casanova e un cielo di faville infinite finiti istanti dilarit nella canicola che il corpo sfianca.

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    Gi chimera questa nyx imbestialita sfavillio livido alogeno e tungsteno (meno importa, adesso, il senso di marea) sinsinua afrore adolescente di cricchi coscienziali, di chi indaga-accorda-disunisce oh schizotopico mondo dei miracoli notturni.

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    Discorsi, dedali di dolci diavoli intavolati allombra di tettoie incoltriscono la spera, ci illudono che sia scremata, candida, leggera: cos scegli la luce e non le tenebre orango spettinato e consenziente cos ti illudi, eludi senza tema che la flotta di Vega si appressa, ormai che in croce c un Iguana accattivante solo di notte ti gela la fine, ma poco dura la sua penna tempra sembra braccarti una gioia da gregge imposta, pilotata, impertinente lozio appiccato, lo zelo repente spernacchia ogni dubbio e blatera ardente che siamo qui per fare, non pensare.

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    Rond Veneziano sul mio petto mattiniero ottano darchi infiammabili la combustione sulle rotte degli ermeneuti come lacrime strizzate di bambina; parlami degli strali infingardi in questa humus amorosa che incuneano lUomo, sono spaziotempocausaeffetto sono affettuosi difetti della mente sono cariche batteriche congenite sono la sonora sensazione di sete.

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    In questa capillare, nuova, strenua strinata vita da rete sociale cosa cerchi ancora? Credi allamore? Ancora a scosse di strade sconnesse ambisci dopo che sciami di dubbi thanno calcato la mano nel capo liberandolo da vortici ed erpici privandolo di nomi e facce e alibi? Allarga le braccia e taccia ora il cuore lo avr, il suo tempo di straripare tu affonda la proda, prova e riprova a cucirti le palpebre e sgarrarti gli ormeggi logori, ormai tutto facile un cenno e sar pronto a indiarti labilit del vate solo questa, come un Orfeo che istiga al tracollo, cos sgambetta gli stinchi severi di vipere mozze e mefistofeliche e cos ignora-disaccorda-unisce, si indedalisce e pasce, con lo stilo, un grottesco infante, di nome Amore.

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    Aspersione la prima pioggia d'autunno nasconde il sole luteo e gemma il cielo come un pizzo bianco-nero. Con serafica puerizia si pu cogliere tutta la fine del mondo mentre fuori al mattino tutto ancora albume.

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    Ignoro se Alice o Beatrice in paesi delle meraviglie, o se Euridice, in Tartari terranei e rupestri sia tu, ignoro il senso della platonica avversione al darti un volto, e ignoro il senso storto di questa improvvisata liturgia celebrata su muretti dei Murazzi, aspersioni di Moretti e mistiche antifone con nomi di dee e di mitiche meretrici fenice; ignoro il senso della resurrezione della carne lidea della fenice che si sbrinza e rinverdisce, ch niente si crea e tutto si distrugge anche la testa anche il cuore che fugge.

  • 21

    Ogni epoca ha il suo protocollo escatologico le sue teologiche burocrazie le peripezie per ingraziarsi leone di turno e questo diurno grasso, gibbone tecnocratico o bonzo metropolitano ha i suoi dei del traffico la citt un altare su cui sacrificare vacche e ceste di limoni odorosi eliminando i limini esistenti fra contingente e trascendente pacificando gli animi con olimpiadi di cilindrata colossei di clacson cattedrali substradali cos si nutrono i nuovi pagani fuori dal pago, pagando abbonamenti per le esecuzioni capitali con ghigliottine dimpazienza e la tendenza a inquisire le quisquiglie pseudologiche della brigata Ludd e nemmeno la notte, che frombola vangeli e squaderna salmi trova pace n buio.

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  • 23

    Tempus interiectum

    Mihimet Credo Lira di un dio che non esiste (acciambellato strepita nel nulla) si abbatter, forse, sul capo di un giovane materialista striscer lungo la spina dorsale e striglier i gangli e le sinapsi per trovare almeno un posticino. Ho inventato un dio che parla col sorriso e con acqua-salata-dagli-occhi che somatico mi abbraccia e mi stimola la pelle ho inventato un dio che non sa di essere un dio e per questo in lui credo come credo nella terra e nei riflessi rintronati delle mie percezioni. Ho inventato il dio dellimperfetto della paura

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    della masturbazione mentale dei capelli mossi delle mani bellissime delle note esalate e per questo in lui credo, perch non immagina nemmeno questa mia venerazione che stringe le interiora e mobilita le fibre. E per questo in lui credo perch salvezza qui, nella mia finitudine, oltre luomo ma non oltre la terra.

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    Poesia per N. D. Sta alzando il cubito la bavosa ragione incubare, non ne vale pi la pena se le fondamenta sono felci accidiose e cascanti e il soffio del meriggio le sbatacchia noncurante. Forse meglio Ninetto che zompa e derapa, col sorriso di chi non abbisogna di esegesi o tavole sinottiche.

  • 26

    Pendio Agnano Donna Petra la tetra al bivio bivacca e vende sigarette di contrabbando gutturando prezzi emanando olezzi, pezzi di vita arrancata fra guerrieri traci e vaiasse oscene. Uno studente scende con Berkley sotto al braccio in mezzo a stracci elettorali su case popolari, bassi salari altari di lucenti refurtive e fughe metafisiche. Ritagli dacciaieria nel panorama su Bagnoli acciaccata costa sofferta Petra osserva: sbuffi biossidi bionda aurora da combustione, nel tramonto industriale lo studente repente intanto sceso e nulla vede, se non ragazzi lividi madidi che scordano la citt scommettendo sulla pelota.

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    Fugamundi Ceso sarmento di sdegno odorante gi Compieta sappressa per la tua domestica Liturgia delle ore, non c pi stirpe-gente-tronco-schiatta a innervarti. Beato il ramo che teme il suo ceppo benedetto sia il lignaggio suo; dove ormai rinsecchi, al secolo smorto, non pi un refolo, non un gretto vento a toccarti. Lo spazio dun chiostro a perimetrare il genotipo: sotto il ramo reciso un passo scricchiola, un altro reverte. E non c inchiostro che colmi misura tanto vasta. Non la Corsica dorsuta n il Carso, non limpietrata Riviera Ligure, non la Parigi dai viali accidiosi n la bella gente dAppennino posso amare. Con altra voce ormai, con altro vello ritorner poeta, e in sul fonte del mio battesmo prender 'l cappello, ma quale fonte quale vello che voce rimane?

  • 28

    h5n1 Uscire dal corpo osservare la gente che aspetta.

  • 29

    Dcadanse Il silenzio degli agnelli nei bagni incipriati di discoteche e gli olocausti di deodoranti su petti rasati e scolpiti, i mitici zompi coreutici di succose, infette ninfette, scornano il mio incerto materialismo cosmico, il veltro virtuoso di vuoti valori che scorrazza sui miei nervi soprattutto ora che non c pi il referente e repente anche il trascendente si svende potrei invocare la danza della decadenza ma non intonsa questa terra anzi avvezzata alla cancrena non verdeggia e non si frena non rallenta nel suo moto entropico, decadendo non si ferma.

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    Valencia Io non mi divincolo un'antenna a scaraventare il mondo pi in alto. Echi di asfalto e catrame catrame e poi il cielo rosa e arancio in un accordo di nona. E' una nuova mitologia urbana: fluida aspirazione all'assoluto Ma il vento cancrena e sentore di bruciato siamo solo ritagli di una terra malsana.

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    Nostratica Fraseggi contingenti su genti ormai morte civilt sorte dai collassi precedenti spenti nugoli di speranze oltranze di interventi atti a riaccendere gli stanchi sentimenti civili i bianchi pensieri senili di pace amore libert e dove sta questa strana El-Dorado dove i monili pallidi di questa salvezza dov la bellezza che spruzza gelo o ardore solo odore escatologico si sente fuga di gas giramento di testa molesta sensazione di fine.

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    Dalla parte di Huscar Poco ricordo se non i tre corvi sulla strada tra Poirino e Pralormo e intorno laria delle settetrequarti il cielo rotto in parti diseguali gli occhi stanchi un gioco di funzioni di fruizioni alcoliche, Sei gi stato ad Arles?, mi chiedeva lalga nera sulla ripida salita darancio, sulla riva dalla parte di Huscar; con un passo in setteottavi stavo imparando il nome degli alberi quercia leccio ontano lauro fico mi stupivo del balcone senza ringhiera e del mucchio di mattoni a carponi uscivo dalla notte ci facevo a botte mi fotte lumido che entra nella camicia il cielo che canta contento lombra di un ossesso lontano la tanta ammirazione in persone sconosciute le bevute a imbuto lutero le implicazioni delle azioni le conseguenze le coincidenze, li hai visti gli Alyscamps?;

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    la via sapeva di Kebap e intralciava con inciampi bianchi il cammino per la veglia.

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    Laccio Ego-statico

    A Mirn

    Se ti fermi, a tratti, nel ricordare i gesti troppo vuoti dei poeti, nel fenderti il petto al suono riarso di fiati e figure e anafore e foni, se cerchi pi polpa, palpitazione, appagante precisione del cuore primigenia pressione, nuovo amore, passione per puttane o meretrici, sadica disillusione tattende e qui stender Noia la sua tenda Frustrazione sua tovaglia torta, qui si cercano le non-rime chiocce qui si strappano le ciocche, si torcono i colli, aspri si spremono i midolli.

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    Giorni di gelo grondante e beato di glorie giambiche e lugubri giuggiole legioni di gigli in gabbie di labbra lampeggia gi la prima nera vera Giobbe, sbrecciando la gobba di Giano sgrezzando dal fango il mio gorgoglio folgora lorgoglio, balla al governo di una nave di carne e voglie, Me occhio vacuo di bove, gioie vuote beata bambola, alito di Giove ora sono un uomo di un nuovo genere: grato a un Dio, per la sgraziata storia senza cabale o gabole o bambagie di una vita che, paziente, attende bolgia.

  • 37

    I tuoi muri dalabastro, il nostro ligustro castrato lastro astratto ministro di luci e visioni, li incastro nella lastra della mia memoria come mastro cesellatore latore di venture mostro sul desco denso monaco perso e terso di patogeni amori irriducibile allunit platonica allatomica ragione o anche solo a una concretizzazione.

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    Non so se fra fronde e fratte e guglie di cemento il viso tuo ravviso, o se morte di cornacchia attanaglia gli occhi miei impalliditi, o se sfiniti, secchi mirti marretiscono il cuore e muore ragione e crepa misura e supero con salti da Salii lassennata grata della significazione. Come landa andalusa che elastica si slancia e contrae ellittica i tuoi lembi diatopici e i lombi sintramano, il viso ti si slaccia in limbi inventati ti conduce sparisce.

  • 39

    Belle labbra di burro bocca di cobla bolla che balla sei dentro casa di bambola alba che sboccia roccia che scalpita in gongolanti ansimi sismici abbracci di mani deboli emboli insani ora afferrami i fianchi i seni stanchi i glutei bianchi rincari i tuoi baci ti cibi dei mendaci miei ritardi prendi zolle di pelle con zappe fatte dunghia ti succhia il mio movimento energia ancora un attimo soltanto un attimo stridono i tendini stenditi adesso qui, vicino a me

  • 40

    Con smania di mani lambisco le tue membra, stamane limmane manto del mondo che mena la finta parata delle maschere mute ho smerigliato, ho smembrato, sar Publio Decio Mure, le tue mura dincertezza assedier attinger dal mantice tutto il mana necessario mavventer sul tuo esercito di sprezzatura armato ammanettato repente morir ci sacrificher entrambi ai morti dei Mani.

  • 41

    Tu, Matelda, su matasse di miele il passo lieto posi stesso masso di lana dove lamine di mente si stagliano non pi lo spoglio studio ancora non salvezza sei prodezza dei pruriti dellanima di spruzzi di disprezzo di lezzo meditato tu, Matelda, nella morbida stanza dove danzano i vezzi di mondi in collisione nellumido umore che schiavi non fa, dove moschetti morti ritorti nelle viscere scavano botole dincomprensione sul ciglio di un bastione, mimbocchi dossessione.

  • 42

    E credi tu che queste sere sibilline, ci rendano ferrati nei giochi della vita ch sfeltrito laccio ego-statico sangue costretto in un giro di carne ? Tu non sai come sfilacciare i gridi dei grilli strazianti, non sai stare in piedi e pi chiedi pi stridi di luce molesta ti resta il mio braccio da zombie te lo regalo fanne anche cattivo uso tanto gi morto

  • 43

    cosa da bar di periferia farsi gettare sulle scapole questa cenere bianca farsi leggere negli occhi lago che da dentro scava e lacera e ingravida il cervello di nuove Odissee di capitoli di romanzi non scritti di moralismi di nuova lega e collegare le foto fra loro, le frasi cucirle con quellago e farle passare in prima serata con la voce da annunciatore televisivo che ti tiene sveglio coi suoi libri sibillini da leggere e contestualmente dimenticare da ingoiare come fossero unapocalisse lecceit in circolo questa caffeina di onice e venti di anice non bastano a fare finta che sia tutto cos chiaro lineare esiziale.

  • 44

    Camena mia zoppa, la sento sotto al piede la zeppa che tha falciato - pietra dinciampo o fisiologico cedimento dun quarto det - zeppa ci sembra la testa di cavallette e labbra, al letto vorrei legarti e tirartele fuori zappandoti il cranio e capire se erpicare cos forte possa aiutare a carpire di te qualche zolla.

  • 45

    Cresce un odio di tipo non reattivo cha ama masticare tendini e talloni e creare intercapedini tra me e un altro me fatto di sorrisi e buoni propositi lo senti? Squittisce nei cori della mia solitudine, stasera trapela nelle pause della penna che si ferma a pi riprese e a pi riprese si cancella odio di tipo non reattivo si cela fra gli spazi dei denti che si illuminano se rido nel grido dellocchio spento che fissa il cielo il foglio il muro la mola che lo storpia e lo sfaccetta ha le tue sembianze, il tuo profumo la tua causa che leffetto, odio di tipo non reattivo e scrivo per non farlo reagire.

  • 46

    Sintorva lo spazio tremante del mio bacchico savoir faire straripano cose talmente nuove che sostantivarle vale quanto superarle e un nome non so ancora dar loro come loro non sa guardarsi lucente ci provo con lalloro di queste rime non rime mi hanno detto che le emozioni fanno cos, escono e non si fanno rattrappire nella propria solitudine quando da soli, chini, neri, cani, ci si mormora che tutto va bene che la lontananza non male che dentro c tanto spazio per archiviare tutto tutto, tutto, un tutto troppo grosso senza nome anchesso cane e nero e chino e solo opaco, non come loro e solo ora dallangoscia esce di scena strisciante lo scudo del saggio solo ora questa lorca a pezzi faccio, per me, la penna che ha sempre bevuto la mia cosa ora espello tutto ./.

  • 47

    in tutti i sensi tutto.

  • 48

    Tre dita scrivono e tutto il corpo soffre, figurandomi il tuo corpo miniato linvidiato mistero acarnario larcano scranno inumano, e dipingendomi in bocca il seno tuo porfirogenito, i tuoi occhi e le tue glosse di glicine che dal capo rubricano il viso e squadernano il riso tre dita scrivono e tutto il corpo muore, per le lacune dei tuoi sguardi per la speranza che mordi, dilaceri, sbrandelli per il tuo ductus incerto per lerto sentiero e il divelto sentimento sporco per il torto che cha storto lanima e sfascicolato - maldestro stazionario - la vita.

  • 49

    Canzoni

    Ai miei Lari Scrivente, non scrittore non autore, ma agente del Caos, che prende metri, iuncture, iatture, profezie e li getta in un baratro di nivea cellulosa e di inchiostro in un impasto denso e col suono melenso di contoidi accordati sulla stessa frequenza, sillabando, dividendo, erigendo mausolei gi in rovina o petrosi amboni paleocristiani, fricassea di nobili nomi, messi alla burchia in epiche notturne e personali, bibbie post-nucleari sillogi logorroiche

  • 50

    che condannano lanima a procombere; fuggi lo stemma bifido sciogli quella sciarada questa mala mescianza lascia, alliscia i pensieri i fieri desideri di una vita che non sappia riflettere o ideare nuove mitologie. Il frangiflutti soltanto loblio che lascia asciutti e sani, con mani pulite e pensieri inani.

  • 51

    Neri cani andalusi sono le notti viscide che ci contengono, scuoiano, squartano e le loro pance atre glocchi rendono innocui, ad andare a tentoni ci costringono non esiste guinzaglio che li azzoppi o li fermi infermi soggiaciamo dimeniamo le mani per trovare un muro o un appiglio certo porgono solo zanne sovra la gente che quivi sommersa. Perversi i miei pensieri stasera come allora, buonora di vendetta al gusto sangue grandine rossa, neve fango, gole, magoni macumbe, maledizioni, sermoni allindirizzo ignoto dun volto senza faccia, una caccia frustrante inappagante, inane niente, oltre che zanne nella mia carne sarebbe meglio, adesso, una resa da Galata morente. Ma niente, non c niente che pungoli il garrese come lo stilo intinto di midollo, spugnosit di spirito spremuta nella metrica estetica dignit del poeta! Non cura n dilania ma placa col furore il sapore dinutile

  • 52

    la vana cecit siamo invincibili, almeno su un foglio qui non esiste voglio, ma un maglio per distruggere la notte. Scappa dallorrido pasto, canzone, nascondersi non basta nellora dellerumneo pavore.

  • 53

    Bereshit il Caos e una fumante sigaretta, e voragini di noia e la soglia senza fine e la voglia di trovarsi una donna da una notte e via, per riempire il non-tempo eterno per ritagliarsi unora da demiurgo ma luniverso un locale banale senza materia, nessuna maniera di rimorchio, solo morchia dessenza assenza di ogni sfogo un solo pensiero, il sesso, lossesso lo stesso da secoli, senza senso un sasso in seno, un basso sogno, un segno. larchitomica masturbazione lonanismo sacro, la gemmazione: questa la soluzione alla divina formativit, allovviet creativa del fatale inconsapevole artefice ch non si diventa ciechi, ma dei. E poi si solve e cade in bianca falda predicendo la morte di Dumuzi linvisibile maest di Kehper la brama di Tarpeia il martire Lino, il martire Cleto tonsura sul capo: di fronte o dietro? E miliardi di altri inutili orgasmi. Poi prende il cosmo, a mo di fazzoletto zuppo di dei ed essenze malate e comincia lincesto degli incesti.

  • 54

    Gli amanti di Kokoschka nel lamento del vento, io che ti racconto di Columchille che col dito a candela conta i versi dei salmi colmi di strani tropi a ogni mucca il suo vitello, a ogni libro la sua copia, e ti parlo di assassini assuefatti allhashish e allomicidio, dellaccidioso Stige che pernicioso scorre nelle vene Pape Satn aleppe! delle teppe che percorrono le vie e delle mie speranze di dimenticare il tempo che muore ha cambiato colore il mio volto da Inca dopo lo scontro di Huanucopampa ora bianco e verdastro ulceroso e sinistro, come sistro tentenna sotto il cielo terso di Rapanui, lapide compagna di Makemake trivellata da canti in Rongorongo; e ti pongo domande e ti mostro teorie di dei compresse dentro vasi ricolmi di canfora e formalina tinformo sulla fine del mondo come noi lo conosciamo.

  • 55

    Anagogica

    Allo psicopompo Tu non lo sai ma il mondo attorno a te si rarefa proprio da te si diparte, si dipana il sopracciglio di dio tu non lo vedi foriera di apocalissi ma si squaglia la luce nel tuo inutile andare e pi il tuo passo calca pi solca laratro il campo aspro alla ricerca di unoggettivazione della visione estatica ma pi ci prova pi trova il varco vacuo inaccessibile la chiave invisibile la morte possibile luomo passibile di essere niente pi che un errore di natura.

  • 56

    Seguir i grossi segni senza sospetti o stenti senza strappi nel silenzio senza stimoli interposti Fosti un segnale di gnosi alla fragola di fragrante estasi di tisica grazia con baci di tosse percosse scossa delle scosse su un massiccio di pelle Ora per imbelle fermezza si spezza ogni orgoglio il soglio dellego si sfalda si spalma una citt una qualsiasi ai miei occhi con stocchi di luce una strana Esperia che spera la sua stessa sparizione fra lampioni e lamponi di persone in grumi brume di coscienze e discendenze presenze che non vedono i draghi che sono paghi gi della propria perpetua dissolvenza.

  • 57

    Sinestesie avanguardistiche in campo lungo post-moderno: posteri antropofagi che succhiano i resti della pasta del giorno prima, e rimano con ansia da nazireo pubblicit omeriche profetici slogan libri-paga sacri di sette clandestine. Tutto vibra in unisteria sociale, tutto connesso, correlato, intricato siamo animali a-sociali incollati gli uni agli altri in gabbie batterie grattacieli castelli di carte di credito e non una novit e non modernit solo che il piano inclinato sappressa alla fine e capicolliamo pi veloci. Me ne sarei accorto, ma eri per me il filtro per guardare il mondo in un modo meno storto, la lente focale sullunico punto dove ancora non cerano sfregi apocalittici o fregi con Palladi morenti o greggi di zombi dallalito di fast food.

  • 58

    Che fai stasera in cielo, luna monca? te ne stai zitta e ritta con le anfetamine di stelle a tenerti in piedi e spii i miei mocassini da millenni mentre masticano lasfalto e come mastice mi tengono qui, in questo mondo anoressico - che cupo rifiuta ogni apporto proteico e spinge noi enzimi tristi allharakiri sentimentale - tu che sei vicina ai piani alti agli architetti ai santi agli scommettitori universali non la vedi questa piaga che, non paga, mi scava la faccia? E dire che le avevo prestato il cielo viola di Milano e la mia mano scheletrica e lermetica penna doca della mia delusione il cuore in comodato duso usucapione dellanima lei fra tutte queste facce da Cthulu lei e la sua aulentissima rosa di carne i suoi neuroni che non stanno fermi o buoni lei, lo ber di quelle notti lei, ora non pi ora la luce lodio il mondo anoressico ci possono sbrinzare a me e a te, luna monca stanotte.

  • 59

    Mi prese un senso di straziante normalit, quando sotto ai tetti del Liquidambar hai cestinato le nostre quattro o cinque rivoluzioni per una frale voglia da giorno feriale nella frattale speranza di stilettare la fiera che mi porto dentro, aizzarla contro la fiera persistenza dellego fu sul cinquantotto che capii di dover avvisare i cronomanti cambiare i libri di storia segmentare una nuova era quella degli epitaffi su facebook delle cornucopie di romitaggio in malchiuse stanze di collegio dei flussi dincoscienza della scienza imperfetta (ch la retta via ormai era perduta) solo nellultima fase rem che ogni tanto rammento il ratto che stato sferrato alla mia vita e alla tua, spiga di segale o boscimana trib che fu.

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    Viale Monza Calibro 18 Appunti per un poemetto in cinquequarti

    A Charles Darwin

    I. Gettare una rete a maglie slargate squadrettare il tutto fluttuante flebile flusso freddo primigenio amaro di bocca impastata fili lucidi che liquidano laria spazzole raschiano strade puzze di mondo in narici tappate coniugare declinare concordare devo dare un segno segmentare il reale marted giorno di guerre campali c da placare con qualche sacrificio il dio delle soglie che mi conceda una morte lenta e soffusa che non mi obblighi a rialzarmi a perpetrare linganno supremo a perpetuare la farsa della vita sotto la coperta di placenta si sta bene si sta una lastra di ardesia sulla testa nella testa un esercito di propositi ci marcia sopra compatto e fiero lo scaccio con una mano fatta di sonno

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    lo schiaccio ma ormai ha lasciato solchi perbenisti trincee disgraziate di impazienza mi vogliono umanizzare evolvere erigere tranciare il coccige far lasciare questo covo di cotone esistenziale sbocciare sboccare li ignorer qualche secolo fino a quando il senso di umanit non prender il sopravvento adesso per esempio adesso inizio a essere come braccia sulla fronte gambe fetizzate dita petto (batte) culo che ha voglia di evacuare il pi anti-estetico degli istinti ribolle mi smorfia mi accovaccia stringo e sfriggo trattengo fingo penso a come mi chiamo letichetta sulla fronte lasservaggio al mondo una spada sulla spalla nella spalla brucia di pensieri il lavoro lo studio lamore la famiglia gli amici il vino i libri la metro lattualit la lavatrice la birra fatta in casa il lampadario di Cluny nel duomo di Milano

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    gli ombrelli da due euro dei marocchini le offerte sullo scatolame allesselunga le varianti dautore nel manoscritto di Troyes e la pancia che spinge lo sterco, sprezzante un piede sul bordo un occhio sul limes cazzo, che schifo svegliarsi pilastri di schifo a strapiombo sul letto inarcano un ponte davorio schiena, ecco qualcosa scarmigliato i capelli la luce di fuori il lavaggio delle strade le profezie gli agnelli sgozzati la nausea la voglia di andare al cesso scuoto uso le preposizioni da, a dal letto al pavimento da gi a su da steso a seduto e le spazzole le spazzole le spazzole martellano il cervello scosse sussultorie del capo la pressione che appiana le divergenze ideologiche la coprolalia queste cose alla Joyce non ora di salpare non ancora niente fughe metafisiche defecare

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    lavarmi i denti le ascelle questi i progetti e fra il dire e il fare un breve corridoio buio lo percorrono le gambe io le seguo e dopo la fuga fin troppo fisica mi appoggio al lavandino liscio bianco freddo scricchiola mi doso accendo la piccola luce e c uno che mi fissa di fronte ha una fronte un mento, una bocca che sbava di sonno un occhio spento unocchiaia cose scarmigliate i capelli, esatto mi ricorda me stesso di qualche secondo fa che sia davvero lio di qualche secondo fa che ha viaggiato in avanti nel tempo per vedere come sarebbe stato dopo qualche secondo? Mi prende per il culo? Mi prendi per il culo? Lo prendo per il culo? Mi prendo per il culo. il gioco generazionale di guardarsi a uno specchio ci che mi ha ingannato. La prima bestia che ha sbattuto il muso contro lacqua tremula si capita? Si domandata? Quante anime si sono guardate negli anni se gli specchi potessero parlare

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    altro che i muri direbbero i sogni, le ambizioni le anoressie, i narcisismi gli egocentrismi, gli assolutismi le frenesie, le allergie le dermatiti, i punti neri i pensieri, le autocommiserazioni i pianti, i santi la storia delluomo nello specchio in questo specchio. E io, scimmia glabra a scarmigliare la mia barba a grattugiarla schermaglie tra le dita nella savana nera, quanti millenni sprecati a costruire torri atte a dimostrare la loro stessa inutilit, linutilit del gesto di aprire un tubetto di spazzolare spazzolare spazzolare per unetichetta sociale per la presunta igiene orale per prescrizione culturale. Mi detergo senza decisione per convenzione acquisita ma lo faccio bene con lo zelo dellaguzzino che tagliuzza il teste reticente mi copro scopro la vergogna abbottono scolletto

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    allaccio straccio sulle scarpe bello imbellettato imbelle anello della catena evolutiva prima carponi poi eretto poi impotente metto gli arnesi del mestiere nella bisaccia e la bisaccia mi metto di sbieco poi una cappa una sciarpa che scappa dal collo la annodo e mi preparo alla stizza esistenziale di vedere la luce quella vera la gente quella finta il migliore dei mondi possibili.

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    II. Milano non una citt una percezione atomica di cemento e guglie di ragazze alte e con le labbra sottili di tacchi spinosi di rose senza petali senza estensione senza intensione lestinzione delle specie sub-umane perpetrata da affaristi e modelle intenzionate a perdere qualche taglia; Milano me la guardo la vedo alla prima briciola di asfalto ne ascolto il canto di sirene melodioso del mezzo per la pulizia stradale mi inibisce la striscia tratteggiata della strada sto ritto e inebetito al bordo le macchine fendono il guardo viale Monza infinito si impossessa del mio orizzonte la mandorla nellocchio di un cinese due monti di vetro due cartelloni colorati due termometri sfasati macellerie islamiche le scale umorali della metro le lecco coi piedi senza volutt il bavero serrato, la barba che maschera lo sdegno per la vita degli altri e mia nascosto accostato alla parete mi immergo nel limbo della linea rossa sottile e insettivora

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    incontrare una formica Regina guardarla di nascosto e continuare a raccogliere i pezzi di cervello che mi cadono di continuo mi chiedo dove gli zingari abbiano imparato a suonare cos bene il canone di Pachelbel un pavimento soffice di barocco si stende sotto i piedi gli occhi come se fossero chiusi vedono giardini allinglese pittoreschi e freschi di muschi e felci ruscelli coperti ma solo un tubo che perde e mi gocciola sulla spalla solo lumidit di novembre che si presa Milano e la metro e le anime di noi formichine; ci stipiamo ammassate ammantate dai nostri pensieri ognuna coi suoi cazzi e i suoi paradigmi modi di processare le informazioni visioni del creato progetti di vita strutture etiche ed estetiche formativit alterne ci irretiamo a vicenda stringiamo legami ci complichiamo indissolubilmente io non ci tengo a farlo ma basta guardarli e il gioco delle empatie fatto. E non ho il diritto di almanaccare tutti di sanzionare brutti tagli di capelli cattivi gusti in fatto di fidanzati libri in formato digitale ma mi inzuppano gli occhi

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    mi costringono a prendere parte e posizione senza soluzione di continuit la santit di stare fermo immobile e di non farsi trascinare di tenere i piedi saldi la mano stretta intorno al tubo non voglio stare in questa rete non voglio ma quattro o cinque fermate si pu resistere si pu insistere e stringere i denti il rosario fatto di ossa della mano falange falangina falangetta falange falangina falangetta falange falangina falangetta e lo strepito quando il mio cervello rattrappito lo capisce si, lo capisce capisce che forse anche per gli altri cos proprio cos il buio lo specchio la mandorla il tubo la rete il rosario si allora si far cos mi omologher non penser chiuder ogni velleit intellettuale

  • 70

    e rivoluzionaria sar la formichina pi formichina di tutte star bello dritto in piedi saluter sorrider pianger andr ogni giorno incontro al mio fade-out mi addormenter mi sveglier penser per qualche minuto di uscire dal formicaio poi mi calmer continuer a tenere la bocca socchiusa, che la vita una scusa per scriverci qualcosa su.

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    Sommario

    Introduzione 5

    Gli dei del traffico 11 Sono la piaga ingraziosita 11 Non parlare ti prego 12 Vai, lento e con tanta lena truce 13 Io, tu e il pavone di Ejzestein 14 Gi chimera 15 Discorsi, dedali di dolci diavoli 16 Rond Veneziano 17 In questa capillare, nuova, strenua 18 Aspersione 19 Ignoro se Alice o Beatrice 20 Ogni epoca ha il suo protocollo escatologico 21

    Tempus interiectum 23 Credo 23 Poesia per N. D. 25 Pendio Agnano 26 Fugamundi 27 h5n1 28 Dcadanse 29 Valencia 30 Nostratica 31 Dalla parte di Huscar 32

    Laccio Ego-statico 35 Se ti fermi, a tratti, nel ricordare 35 Giorni di gelo grondante e beato 36 I tuoi muri dalabastro, il nostro 37 Non so se fra fronde 38 Belle labbra di burro 39 Con smania di mani 40 Tu, Matelda, su matasse di miele 41

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    E credi tu che queste sere 42 cosa da bar di periferia 43 Camena mia zoppa, 44 Cresce un odio 45 Sintorva lo spazio tremante 46 Tre dita scrivono 48

    Canzoni 49 Scrivente, non scrittore 49 Neri cani andalusi 51 Bereshit il Caos e una fumante 53 Gli amanti di Kokoschka 54

    Anagogica 55 Tu non lo sai 55 Seguir i grossi segni 56 Sinestesie avanguardistiche 57 Che fai stasera in cielo, luna monca? 58 Mi prese un senso di straziante 59

    Viale Monza Calibro 18 61 I. 61 II. 67

    Sommario 71

    Finito di stampare nel mese di febbraio 2012 da Universal Book S.r.l Rende (CS)

    per conto di CFR Editore