fondamenti di elettronica

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I NTRODUZIONE ASR è l’acronimo di Acceleration Slip Regulation. L’ASR è un’apparecchiatura complementare dell’Antilock Braking System – ABS. 1 1 I NTRODUZIONE 2 Nell’equazione (1.1) F rappresenta l’operatore (il termometro); x(t) rappresenta la grandezza in ingresso (la temperatura); y(t) rappresenta la grandezza in uscita (l’informazione “elaborata” – l’altezza della colonna di mercurio).   C APITOLO 1 – R ICHIAMI DI T EORIA DEI C IRCUITI 3

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INTRODUZIONE

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Introduzione

L’elettronica studia, progetta e realizza apparati per l’elaborazione e la trasmissione dell’informazione. Questi apparati consistono in circuiti elettrici dove sono presenti dispositivi elettronici. Quando in un circuito elettrico sono presenti dispositivi elettronici esso prende il nome di cciirrccuuiittoo eelleettttrroonniiccoo.

I circuiti elettronici, grazie alla loro eccezionale versatilità, vengono utilizzati praticamente dappertutto: nelle automobili, negli elettrodomestici, nelle macchine utensili, negli apparecchi medicali, nei calcolatori elettronici, nei grandi acceleratori usati per indagare la fisica delle particelle elementari, nelle lampade a basso consumo, ecc.

Un esempio della pervasività dell’elettronica nella vita quotidiana è dato dall’avvento dell’elettronica nell’automobile. Essa, di fatto, ha posto delle limitazioni ad alcune risposte univoche del veicolo ai comandi del guidatore. La prima ad essere condizionata è stata la risposta del motore all’azione del pedale dell’acceleratore. Infatti, per facilitare il rispetto dei limiti delle emissioni allo scarico e per un controllo dei consumi, l’elettronica ha tagliato il collegamento rigido fra il pedale e il sistema di alimentazione (carburatore o iniezione). In altre parole chi guida esprime sempre attraverso il pedale dell’acceleratore la sua volontà, ma l’elettronica di controllo la verifica e ne consente l’attuazione solo entro i limiti consentiti dal rispetto di altre esigenze connesse alle emissioni, ai consumi ed alla sicurezza. Un esempio, in quest’ultimo senso, è quello dell’introduzione dei sistemi di sorveglianza della trazione tipo ASR1 per il controllo dello slittamento in accelerazione dei veicoli che, fra i vari interventi, limitano la coppia applicabile alle ruote quando non sussistano le

                                                            1   ASR è l’acronimo di Acceleration Slip Regulation. L’ASR è

un’apparecchiatura complementare dell’Antilock Braking System – ABS.  

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necessarie condizioni di aderenza in modo da impedire sbandamenti in accelerazione.

Bisogna inoltre osservare che l’elettronica è presente in tutti i campi della scienza e dell’ingegneria. Infatti, in tutti i sistemi ed apparati che devono svolgere funzioni di misura e di controllo vi sono circuiti elettronici.

Per tutti questi motivi, appare utile acquisire confidenza con l’elettronica. È nostra convinzione che una familiarità reale ed operativa con l’elettronica aiuti enormemente il lavoro di un ingegnere e/o di un fisico, a prescindere dalla sua specializzazione.

Questo testo è stato concepito come corso introduttivo all’elettronica. Esso è indirizzato ad una comprensione di base dei circuiti e dei dispositivi elettronici.

Il testo è orientato ad un corso universitario di 6 CFU (circa 60 ore di didattica frontale distribuita tra lezioni ed esercitazioni). Ciò nonostante, intenzionalmente, è stata inserita una quantità di materiale maggiore di quello che può essere trattata durante il normale ciclo di lezioni. Questo consente agli studenti di approfondire, tramite studio individuale, gli argomenti trattati a lezione.

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CAPITOLO 1 – RICHIAMI DI TEORIA DEI CIRCUITI

1.1 Introduzione

Un sistema elettronico è un insieme di dispositivi e componenti elettronici opportunamente interconnessi caratterizzato da un gruppo di ingressi e di uscite. Attraverso gli ingressi vengono introdotte delle informazioni (segnali elettrici), il sistema elettronico le elabora e il risultato delle elaborazioni (sotto forma di segnale elettrico) viene presentato alle uscite. Un sistema elettronico, concettualmente, opera come un qualunque altro sistema di elaborazione di segnali.

Un sistema di elaborazione di segnali opera trasformando uno o più segnali di ingresso in uno o più segnali di uscita. La trasformazione operata dal sistema può essere descritta matematicamente da un operatore. Ad esempio un termometro a mercurio può essere schematizzato come un operatore:

:F x t y t . (1.1)

Nell’equazione (1.1) F rappresenta l’operatore (il termometro); x(t) rappresenta la grandezza in ingresso (la temperatura); y(t) rappresenta la grandezza in uscita (l’informazione “elaborata” – l’altezza della colonna di mercurio).

Figura 1.1 – Sistema di elaborazione di segnali. Blocco in cui entrano uno o più segnali (ingresso) e da cui escono uno o più segnali (uscita). Il segnale d’ingresso x(t) viene “manipolato” dall’operatore matematico F[x(t)]. Il risultato delle operazioni eseguite sull’ingresso rappresenta il segnale d’uscita y(t).

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Un sistema descritto dall’operatore F è lineare se per ogni coppia di numeri reali c1 e c2 e per ogni coppia di funzioni x1(t ) e x2(t ), appartenenti al dominio dell’operatore F, si ha:

1 1 2 2 1 1 2 2( ) ( ) ( ) ( )F c x t c x t c F x t c F x t . (1.2)

Figura 1.2 – Schematizzazione funzionale di un sistema lineare.

Per un sistema lineare vale il principio di sovrapposizione degli effetti.

Vediamo adesso di dare alcune definizioni relative ai sistemi di “elaborazione”.

Un sistema descritto dall’operatore F è tempo invariante se per ogni intervallo di tempo t0, e per ogni funzione x(t ) appartenente al dominio

dell’operatore F , si ha: 0 0( ) ( ) ( ) ( )F x t y t F x t t y t t .

Un sistema è senza memoria se, in dato istante t0, l’uscita dipende solo

dall’ingresso nello stesso istante: 0 0( ) ( )y t F x t e non dipende da nessun

x(t) con t diverso da t0.

Un sistema è con memoria se l’uscita, ad un certo istante, dipende

anche dall’ingresso in altri istanti: y(t0) dipende, anche, da x(t ) con 0t t .

Un sistema è causale se l’uscita all’istante t0 dipende dall’ingresso a partire da meno infinito ( ) fino all’istante t0.

Un sistema è anticausale se l’uscita all’istante t0 dipende dall’ingresso a partire da più infinito ( ) fino all’istante t0.

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Tutti i sistemi fisici sono causali. Inoltre, generalmente sono tempo varianti e non lineari.

Ovviamente l’analisi dei sistemi lineari e tempo invarianti è molto più semplice rispetto a quella relativa a sistemi non lineari e/o tempo varianti. Per questo motivo, un generico sistema di elaborazione e/o controllo, quanto è possibile, viene approssimato con un sistema lineare e tempo invariante. Moltissimi sono i casi pratici dove tale approssimazione è praticabile.

L’elaborazione dei segnali (signal processing) viene effettuata efficacemente dai sistemi elettronici. Affinché ciò sia possibile, comunque, il segnale proveniente dal sensore deve essere prima convertito in segnale elettrico.

Per l’elaborazione elettronica le grandezze fisiche vengono “convertite” in tensione, corrente, carica, frequenza, ecc. Questo processo è realizzato da dispositivi noti come trasduttori.

Esiste una grande varietà di trasduttori, ognuno utilizzabile per una delle varie forme di segnali fisici. Per esempio, la temperatura dell’olio di lubrificazione di un motore a combustione interna si può convertire in un segnale elettrico usando una termocoppia; la termocoppia è un trasduttore che effettua la trasformazione: . . .temperatura f e m

I sistemi elettronici, pur avendo un vastissimo campo di utilizzo e capaci di svolgere funzioni variegate, sono costituiti da un numero relativamente limitato di blocchi circuitali che svolgono funzioni elementari.

Il segnale di ingresso al circuito è fornito da un dispositivo (trasduttore) che converte la grandezza fisica che contiene l’informazione in segnale elettrico (ad esempio un’antenna per i segnali radio, una telecamera per convertire le immagini o un accelerometro in un sistema ABS).

Successivamente, il segnale elettrico viene amplificato (amplificatore) per portare il livello ad un valore superiore ai possibili disturbi che gli stadi

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successivi di elaborazione potrebbero introdurre degradando l’informazione e per raggiungere un livello adeguato a pilotare il dispositivo di uscita (ad esempio un motore in un sistema di controllo industriale, un altoparlante in un amplificatore ad alta fedeltà oppure un’antenna in un trasmettitore radio).

In genere, lo spettro del segnale elettrico viene modificato (estrazione del segnale utile tramite opportuno filtraggio), sia per renderne più efficiente la trasmissione (si pensi ai processi di modulazione o demodulazione) sia per amplificare le componenti armoniche del segnale utile ed attenuare quelle determinate dai disturbi.

Infine, l’ampiezza del segnale elettrico viene convertita in informazione di tipo digitale (conversione analogico-digitale) per fruttare le caratteristiche di flessibilità della elaborazione digitale.

Benché le grandezze fisiche da convertire siano moltissime, e quindi siano moltissimi i sensori ed i trasduttori immaginabili ed effettivamente in commercio, tutti possono essere descritti, per quanto riguarda l’entità del segnale elettrico reso disponibile e le modalità con cui il segnale è fornito, da un semplice circuito elettrico equivalente.

Figura 1.3 – Esempio di grandezze fisiche che vengono rilevate da “particolari” sensori/trasduttori.

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Un sensore, tramite i teoremi di Thévenin e Norton si può ricondurre ad un circuito elettrico equivalente che sintetizza tutte quelle caratteristiche che hanno interesse per la successiva elaborazione elettronica del segnale.

In Figura 1.4 mostra le due forme alternative di rappresentazione di una sorgente di segnale: circuito equivalente di Thévenin e il circuito equivalente di Norton.

Figura 1.4 – (a) Rappresentazione di un sensore con il circuito equivalente di Thévenin. (b) Rappresentazione con il circuito equivalente e Norton.

1.2 Bipoli

Lo studio delle strutture elettriche inizia considerando interconnessioni di elementi che hanno soltanto due poli; sistemi con un’unica porta di accesso. I due terminali che costituiscono la porta di accesso, in genere, prendo il nome di morsetti o terminali del bipolo.

In altre parole, il bipolo è una rete elettrica complessa, di cui si può ignorare la composizione (black-box), accessibile solo da una coppia di morsetti e di cui interessa solo il comportamento rispetto ad un eventuale carico esterno. Il nome black-box deriva proprio dal fatto che la teoria dei circuiti non si preoccupa della struttura della rete, ma studia soltanto il comportamento di quest’ultima ai propri morsetti nel momento in cui la si collega ad altri circuiti.

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Figura 1.5 – Rappresentazione di un bipolo.

Affinché il “modello” circuitale del bipolo simuli il comportamento elettrico della struttura elettrica che esso rappresenta, è necessario scegliere due variabili ai morsetti e successivamente individuare il legame funzionale esistente tra esse. L’individuazione di tale legame consente di tracciare, nel piano cartesiano individuato dalle variabili, la cosiddetta curva caratteristica del bipolo, cioè il luogo di tutti i punti di funzionamento del dispositivo. L’utilità di questa caratteristica è quella di poter stabilire se il modello scelto è in grado di rappresentare, a livello circuitale, la rete elettrica/elettronica in esame.

I bipoli presentano due proprietà fondamentali.

1) La corrente entrante è uguale a quella uscente. Questa proprietà discende direttamente dalla conservazione della carica.

2) La tensione presente tra i due morsetti è indipendente dal cammino percorso dalla corrente. Questa proprietà discende dalla conservazione dell’energia.

Queste due proprietà fondamentali rappresentano, anche, la definizione assiomatica del bipolo.

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I bipoli si possono classificare in vari modi a seconda del comportamento nei riguardi delle grandezze di interesse. In base al comportamento nei riguardi dell’energia scambiata con l’esterno si possono distinguere in attivi e passivi. In particolare chiameremo attivi, o generatori, quei bipoli che sono in grado di fornire energia elettrica alla rete esterna mentre si diranno passivi, o utilizzatori, tutti gli altri.

I bipoli per essere attivi devono contenere almeno un generatore elettrico. I bipoli passivi sono costituiti esclusivamente da componenti che sono in grado di dissipare energia elettrica o tuttalpiù possono immagazzinarla sotto forma di campi magnetici o elettrici.

Nel caso più generale, un bipolo attivo può anche assorbire energia elettrica dalla rete, come ad esempio accade per un accumulatore in fase di carica; comunque anche in questo caso il bipolo continuerà a definirsi attivo, riferendosi alla sua “potenzialità” di fornire energia.

Un bipolo passivo a sua volta può anche fornire energia elettrica alla rete, ad esempio come accade per induttori e condensatori nella fase di scarica; tuttavia considerando il comportamento medio per tutto il tempo della loro attività, i bipoli passivi non possono mai produrre energia elettrica. Ciò significa che se per un intervallo di tempo forniscono energia, tale energia sarà minore o tuttalpiù (in via teorica) uguale a quella che avevamo assorbito in precedenza.

Le variabili ai morsetti (che devono essere misurabili e indipendenti) usate per la caratterizzazione dei vari tipi di bipolo, in generale, sono la corrente i(t ) entrante/uscente e la differenza di potenziate v(t ) presente ai terminali.

La Figura 1.6 mostra le convenzioni che si usano nello studio dei dipoli per la corrente e la tensione.

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Figura 1.6 – Convenzioni, in un bipolo, per i segni della corrente e della tensione.

La definizione di bipolo è rigorosamente valida solo in regime stazionario, cioè quando corrente e tensione sono rigorosamente costanti nel tempo. In condizioni non stazionarie, il bipolo interagisce con l’esterno, non solo tramite i morsetti, ma anche attraverso interazioni elettromagnetiche. Per tale motivo, condizione necessaria affinché un circuito possa essere studiato come bipolo è che le variazioni nel tempo di corrente e tensioni siano sufficiente lente da poter trascurare i campi elettromagnetici generati da queste variazioni. Di tale ipotesi se ne può dare una condizione matematica. Supponendo che la dimensione geometrica del bipolo sia d (massima dimensione lineare), essa deve essere molto minore della lunghezza d’onda λ della frequenza di funzionamento. Cioè:

cd

(c velocità della luce) . (1.3)

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L’equazione (1.3) definisce i componenti/circuiti a costanti concentrate in opposizione ai componenti/circuiti a costanti distribuite nei quali non si possono trascurare le interazioni che avvengono all’interno dell’elemento e con l’ambiente: un tipico esempio è la linea di trasmissione.

1.3 Teoremi di Thévenin e Norton

I due teoremi in questione si basano su un semplicissimo concetto: la sostituzione. In pratica si prende un bipolo, anche molto complesso, e lo si sostituisce con un altro bipolo meno complesso, o semplicemente più adatto alla situazione.

Due condizioni sono necessarie per effettuare questa operazione. In primo luogo il circuito da sostituire deve essere lineare. Nella più semplice delle ipotesi possiamo dire che tutti i circuiti composti da sole resistenze e generatori sono lineari. In seconda analisi il circuito originale e quello con cui lo si vuole sostituire devono essere equivalenti. Per equivalenti si intendono due circuiti che sul carico esterno hanno lo stesso effetto.

1.3.1 Teorema di Thévenin

Il teorema di Thévenin permette di calcolare in modo “semplice” la corrente circolante in un ramo qualsiasi (o la d.d.p. ai suoi capi) di ogni rete lineare comunque complessa.

Consideriamo un generico bipolo S, costituito da una rete di generatori e di resistori ideali (bipolo lineare), chiuso su di un bipolo L che rappresenta il carico (eventualmente L può anche non essere lineare).

Il teorema di Thévenin afferma che qualunque rete lineare attiva, facente capo a due terminali (bipolo attivo) si comporta, nei riguardi del carico su cui è chiusa (nel nostro caso il bipolo L), in modo equivalente ad

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un generatore di tensione avente opportuna f.e.m. (eTH) ed opportuna resistenza equivalente (RTH) posta in serie al generatore di f.e.m.

Figura 1.7 – Sostituzione di un bipolo con un circuito equivalente secondo il modello di Thévenin.

Il teorema di Thévenin stabilisce che, agli effetti della tensione ai capi del carico e della corrente che lo attraversa, il bipolo attivo, comunque complesso, è equivalente alla serie di un generatore di tensione ed di una resistenza (impedenza). Per dimostrare questa equivalenza colleghiamo in serie al carico un generatore di tensione con f.e.m. eTH. Il valore della f.e.m., e la polarità, sono scelte in modo da annullare la corrente che circola nel carico.

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Figura 1.8 – Collegamento del generatore eTH per annullare la corrente che circola nel carico.

Come già detto in precedenza, per la conservazione della carica la corrente che entra nel bipolo L (il carico), necessariamente, deve essere uguale a quella che esce.

Nella condizione di “annullamento” della corrente fornita al carico, la rete S si comporta come se il carico non esistesse. Pertanto, in questa situazione la differenza di potenziale presente tra i morsetti a-b è detta tensione a vuoto e coincide, in modulo, con la f.e.m. eTH del generatore inserito tra il bipolo S e il bipolo L. Ovviamente, il generatore di tensione che fornisce la f.e.m. eTH , dovendo annullare la corrente che circola in tra S e L, deve trovarsi in contropolarità rispetto alla differenza di potenziale presente tra a e b.

Aggiungendo un altro generatore di tensione con f.e.m. uguale ed opposta ad eTH, per quanto riguarda la corrente circolante nel carico, si ritorna nella situazione originaria. Infatti, complessivamente è stato aggiunto un bipolo attivo di f.e.m. nulla. Facciamo osservare che questo secondo generatore di f.e.m., nelle ipotesi sopra esposte, ha valore e polarità coincidenti con la tensione a vuoto del bipolo S.

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Figura 1.9 – Collegamento, in serie al carico, di un bipolo attivo con f.e.m. nulla.

Lo studio della rete illustrata in Figura 1.9 equivale allo studio della rete originale. Come metodo di analisi applichiamo il principio di sovrapposizione degli effetti. Tale principio ci consente di studiare separatamente gli effetti dei due generatori sulla rete. In altre parole studiamo separatamente le seguenti due reti (si veda Figura 1.10).

Figura 1.10 – Reti “equivalenti”, in base al principio di sovrapposizione degli effetti, alla rete originaria.

Per il principio di sovrapposizione degli effetti, la corrente che circola nel carico L può calcolarsi come somma delle correnti che circolano nella

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rete di Figura 1.10(a) e nella rete di Figura 1.10(b). La corrente circolante nel carico a causa della rete (a) è nulla (ricordiamo che il valore e la polarità di eTH è stato scelto in modo tale da annullare la corrente che circola nel carico). Pertanto, la corrente circolante nella rete originale coincide con quella circolante nel circuito (b).

Il circuito (b) è costituito dalla rete passiva S

(pas) “corrispondente” al bipolo S e da un bipolo attivo (il generatore eTH). La rete passiva S

(pas) è la rete S in cui sono state annullate tutte le eccitazioni, per cui, in senso circuitale, è una rete in cui sono stati cortocircuitati i generatori di tensione e aperti i generatori di corrente. Essendo la rete S lineare, annullando tutte le eccitazioni, si riduce ad una rete di sole resistenze (nel caso generale la rete si riduce a sole impedenze). In questo caso, la rete S

(pas) si può rappresentare attraverso una resistenza (impedenza) equivalente RTH.

Figura 1.11 – Riduzione della rete S(pas) in una resistenza equivalente RTH.

Con queste ipotesi, la tensione presente ai morsetti a-b è data da:

abab TH TH

vv R i R

i . (1.4)

Nell’equazione (1.4), RTH rappresenta la resistenza “equivalente” del bipolo S( pas). Pertanto, la caduta di tensione ai capi del carico risulta essere:

L TH THv e R i . (1.5)

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L’equazione (1.5) descrive completamente il comportamento del bipolo S sul carico L. In altre parole, il bipolo S, si comporta rispetto al carico, come un generatore avente f.e.m. coincidente con la sua tensione a vuoto e resistenza interna coincidente con la sua resistenza equivalente.

Figura 1.12 – Circuito equivalente di Thévenin.

Il teorema di Thévenin è valido per tutti i bipoli lineari. Esso è valido anche in presenza di generatori di f.e.m. variabili ed in presenza di elementi circuitali capacitivi e/o induttivi (in tal caso al concetto di resistenza va sostituito il concetto di impedenza).

Nel campo dell’elettronica, l’importanza del teorema di Thévenin risiede nel fatto che la maggior parte dei circuiti elettrici/elettronici complessi, anche se al loro interno contengono componenti diversi dalle sole resistenze e generatori di tensione, si può approssimare nella zona di lavoro con lo schema di Thévenin.

1.3.2 Teorema di Norton

Il teorema di Norton è duale rispetto a quello di Thévenin e afferma che la rete vista da due punti è equivalente ad un bipolo attivo costituito da un opportuno generatore di corrente iN in parallelo con un opportuno resistore RN.

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Figura 1.13 – Sostituzione di un bipolo con un circuito equivalente più semplice secondo il modello di Norton.

La corrente iN impressa dal generatore “equivalente” è la corrente di cortocircuito della rete S, cioè la corrente che percorre un collegamento a resistenza nulla (detto appunto di cortocircuito), tra i punti di osservazione della rete; la resistenza RN, come nel teorema di Thévenin, è la resistenza della rete passiva vista tra gli stessi punti (si dimostrerà che RN = RTH).

Per dimostrare il teorema di Norton supponiamo di collegare, cortocircuitare i morsetti della rete S (collegare i punti a-b con un collegamento a resistenza nulla). In questa situazione si annulla la corrente che circola nel carico. Infatti, il collegamento di cortocircuito impone una tensione nulla ai suoi poli.

Figura 1.14 – Rete in corto circuito. In questa situazione la corrente che circola nel carico è nulla.

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Il collegamento di cortocircuito può essere sostituito, senza alterare le condizioni di funzionamento in cortocircuito, da un generatore di corrente che “imprime”, nel bipolo S, la circolazione della corrente di cortocircuito (icc).

Figura 1.15 – Sostituzione del cortocircuito con un generatore di corrente che “imprime” la corrente di cortocircuito.

A questo punto, poniamo in parallelo al generatore di corrente un secondo generatore di corrente. Questo secondo generatore eroga una corrente uguale ed opposta a icc.

Figura 1.16 – Collegamento di due generatori di corrente in parallelo. I due generatori “imprimono”, complessivamente, corrente nulla. Con questo collegamento, nel carico circola la corrente originaria.