gestione, misurazione e organizzazione delle attività sui social media in ottica aziendale
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Tesi di laurea in Economia e Management presso l'Università degli Studi di Padova.Per visualizzare la presentazione relativa visita http://www.slideshare.net/MicheleVNG/gestione-misurazione-e-organizzazione-delle-attivit-sui-social-media-in-ottica-aziendaleLa tesi ha ricevuto il massimo dei punti assegnabili e mi ha aiutato a raggiungere un ottimo voto di laurea.TRANSCRIPT
Gestione, misurazione e organizzazione delle
attivita sui Social Media in ottica aziendale
Michele Vangelista
Settembre 2012
ii
Indice
Introduzione v
1 I social media 1
1.1 Definizioni e scenario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1
1.2 I social media e le aziende . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
1.2.1 Le linee guida . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
1.2.2 L’utilizzo immediato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8
1.3 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
2 La misurazione delle attivita 11
2.1 La diversita di interpretazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
2.2 Una sintesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14
2.2.1 Le metriche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
2.2.2 La strategia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18
2.2.3 Il valore dei dati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18
2.3 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
3 L’organizzazione delle attivita 21
3.1 Caratteristiche del social media manager . . . . . . . . . . . . 21
3.2 Configurazioni organizzative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
3.2.1 Le fasi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
iii
iv INDICE
3.2.2 I modelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
3.3 Verso il social business . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29
3.4 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31
4 Un’applicazione reale 33
4.1 L’azienda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33
4.2 Il progetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34
4.3 La presenza sui Social Media . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34
4.4 Possibili sviluppi e opportunita . . . . . . . . . . . . . . . . . 36
4.5 Possibili problemi o vincoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37
4.6 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38
Opere citate 39
Introduzione
Mai come negli ultimi anni, le organizzazioni si trovano ad affrontare un
ambiente eccezionalmente mutevole, nel quale spesso la tecnologia si evolve
piu rapidamente della capacita dei manager di cogliere le nuove opportunita
e difendersi dai rischi emergenti. Le nuove tecnologie danno la possibilita
ai consumatori di avere accesso a strumenti nuovi e sempre piu evoluti, ed e
opinione di molti che questo fatto stia rivoluzionando profondamente il modo
di fare marketing e, piu in generale, di fare business.
Oggi, una gran parte dell’attenzione di manager e ricercatori e dedicata
ai social media, strumenti che permettono un nuovo tipo di comunicazione
e relazione tra consumatori – e tra consumatori e aziende – mai conosciuti
prima.
Questi strumenti portano con se molte opportunita, che spesso sono dif-
ficili da identificare rimanendo ancorati a logiche aziendali classiche. Forse
fonte di preoccupazione maggiore, ci sono poi i nuovi rischi e le potenziali
crisi legate ai social media, che le aziende devono ora essere in grado di iden-
tificare, e a cui devono riuscire a rispondere per poter mantenere il vantaggio
competitivo. A titolo di esempio cito il caso di Mosaico Arredamenti, societa
che nel 2008 ha commesso un grave errore chiedendo un risarcimento per
danni da diffamazione a un proprio cliente che si era lamentato del servizio
sul proprio blog: il fatto, attraverso il rapidissimo passaparola che si crea in
v
vi INTRODUZIONE
rete, ha generato una enorme quantita di critiche e reazioni da altri utenti
che, oltre a costringerla a ritirare la denuncia, compaiono ancora oggi ai primi
posti su Google, risultando in un danno in immagine decisamente maggiore
di prima (per un approfondimento si veda Pratizzoli 2010).
Molti manager colgono l’esistenza di nuove opportunita che si aprono con
l’uso dei social media, non sempre, pero, riuscendo a definire concretamente
che cosa e possibile ottenere elaborando una strategia attorno a questi stru-
menti. Spesso la funzione marketing, adottando un approccio superficiale,
considera i social media unicamente come un ulteriore canale di comunica-
zione unidirezionale, e solo nei casi migliori si comincia sviluppare una comu-
nicazione di tipo interattivo. Raramente pero, il successo delle attivita sui
social media viene espresso in numeri, come un risultato economico. Rara-
mente l’ufficio comunicazione o i neo-addetti ai social media riescono a fornire
all’azienda una misura della redditivita di questi investimenti. La difficolta
nel rendere conto quantitativamente della propria attivita e un problema dal
quale la funzione marketing e sempre stata afflitta, ma i social media presen-
tano problemi nuovi e ai quali e particolarmente difficile dare una soluzione,
in gran parte – come spieghero in seguito – a causa della natura diversa di
questi nuovi strumenti.
Capita l’importanza di investire in social media, il problema diventa un
altro. Chi deve curare l’elaborazione della strategia ottimale per i social
media, e chi deve seguirne l’implementazione? In che modo la necessita di
investire in questi nuovi strumenti modifica le esigenze organizzative azien-
dali? Questi problemi, tutt’altro che banali, sono l’immediata conseguenza
della decisione di investire in social media e, come spieghero, sono un punto
critico per il successo di una strategia.
Questo lavoro seguira la struttura qui appena delineata. Nel primo capi-
vii
tolo mi occupero di dare una panoramica generale, indicando prima di tutto
cosa sono i social media, e spiegando quindi come le aziende li stanno o li
dovrebbero interpretare per utilizzarli nel loro business. Nel secondo capito-
lo proseguiro individuando un framework di misurazione per le attivita sui
social media, presupposto essenziale allo sviluppo di una strategia in questo
senso: riflettero sulle metriche individuabili, sulle diverse prospettive presen-
ti, e sul valore dei dati, tenendo sempre presente l’ottica strategica di lungo
periodo. Nel terzo capitolo, quindi, mi dedichero al conseguente problema
organizzativo: descrivero le principali fasi che si osservano nei processi di
implementazione di progetti sui social media, e analizzero i possibili mo-
delli organizzativi che le imprese possono seguire per gestirli. Daro inoltre
una panoramica sul tema caldo del social business, strettamente correlato
al problema organizzativo. Infine, nel quarto capitolo, portero un caso reale
a supporto delle tesi precedentemente elaborate, analizzando opportunita e
vincoli che un’azienda si trova ad affrontare nello sviluppo di una strategia
sui social media.
viii INTRODUZIONE
Capitolo 1
I social media
1.1 Definizioni e scenario
L’analisi necessaria per giungere a una descrizione accurata delle attivita e
delle strategie sui social media non puo che partire da una definizione del
termine. Tra quelle presenti in letteratura, quella piu completa e fornita da
Kaplan e Haenlein (2010: 61), e riconosciuta di valore da diversi altri autori
(Weinberg e Pehlivan 2011, Cosenza 2012): “I Social Media sono un gruppo
di applicazioni Internet-based che crescono sulle fondamenta ideologiche e
tecnologiche del Web 2.0, e che permettono la creazione e lo scambio di
contenuto generato dagli utenti [User Generated Content ]”.
Tale definizione presuppone la comprensione di due concetti preliminari
di Web 2.0 e di User Generated Content. Seguendo l’impostazione logica di
Kaplan e Haenlein (2010), con Web 2.0 si intende il nuovo modo di utilizzare
il web che si e diffuso sempre piu dai primi anni 2000, che ha caratteristiche
di maggiore interattivita utente-contenuto e maggiore dinamicita, e che ha la
base in nuove tecnologie come Adobe Flash, RSS e AJAX. Lo User Generated
Content e invece il contenuto web creato dagli utenti finali che soddisfa i
1
2 CAPITOLO 1. I SOCIAL MEDIA
requisiti di (OECD, 2007):
1. essere pubblicato su un sito ad accesso pubblico o su un social network
ad accesso limitato,
2. dimostrare impegno creativo,
3. essere creato al di fuori di routine e pratiche professionali.
Date queste premesse, la precedente definizione di Social Media dovrebbe
risultare chiara, ed e evidente che con il termine “social media” si fa riferi-
mento ad un insieme di applicazioni web piuttosto ampio. Vanno certamente
considerati parte di questo grande insieme:
• Blog e microblog;
• Progetti collaborativi (Wikipedia) e community tematiche (i forum);
• Community di contenuti mediali (YouTube, Flickr, Slideshare);
• Social network (Facebook, LinkedIn, Google+);
• Mondi virtuali per relazione o gioco (Second Life, World of Warcraft).
I diversi social media sono stati classificati secondo i metodi piu dispa-
rati. Ai fini di questa relazione non e particolarmente rilevante giungere a
una classificazione definitiva, ma e utile analizzare le diverse categorizzazioni
proposte per identificare le dimensioni principali secondo cui i social media si
differenziano l’uno dall’altro. Tali dimensioni, identificabili nella letteratura
recente, sono: il grado di presentazione/rivelazione di se, il grado di presenza
sociale, il grado di ricchezza del medium, la profondita dell’informazione, e
la longevita dell’informazione (Kaplan e Haenlein 2010, Weinberg e Pehlivan
2011).
1.1. DEFINIZIONI E SCENARIO 3
Con grado di presentazione o rivelazione di se, si intende dare una misura
di quanto il medium in analisi permette o richiede di identificare se stessi al-
l’interno dell’applicazione, attraverso la rivelazione di informazioni personali
volontariamente (ad es. in social network come Facebook) o involontaria-
mente (come attraverso l’espressione di opinioni personali). Strumenti come
blog e social network sono evidentemente piu “personali” di altri social media
come le wiki o le community di contenuti.
Il grado di presenza sociale riguarda invece il livello di “contatto” che
viene raggiunto dalle persone messe in relazione dal medium, e dipende da
variabili come l’immediatezza (comunicazione in stile e-mail vs. comunica-
zione in stile live chat) e l’intimita del medium. I mondi virtuali raggiungono
il piu alto grado di presenza sociale. Correlato a questo concetto c’e quello
di ricchezza del medium, con il quale si identifica la quantita di informazioni
che questo puo trasmettere in un certo lasso di tempo.
La profondita dell’informazione indica la ricchezza del contenuto tra-
smesso dal medium, insieme con il numero di diverse prospettive che pre-
senta. Forum e social network permettono di sviscerare argomenti in mo-
do generalmente piu completo rispetto ai blog, grazie alla loro componente
maggiormente collaborativa.
Infine, la longevita dell’informazione e la dimensione che permette di
classificare i social media secondo il tempo per cui tale informazione rimane a
comoda disposizione dell’utente. Twitter e un esempio emblematico di social
network con longevita dell’informazione estremamente bassa: gia qualche ora
dopo che un tweet e stato scritto, diventa difficile reperirlo.
Questo breve excursus sul mondo dei social media in generale e servito a
individuare il contesto di riferimento. Ora il fulcro del discorso deve spostarsi
altrove, per poter poi giungere a descrivere il problema della misurazione delle
4 CAPITOLO 1. I SOCIAL MEDIA
performance e dell’organizzazione orientata ai social media.
1.2 I social media e le aziende
Man mano tutte le imprese stanno prendendo coscienza della necessita di
essere presenti sui social media, e questo implica anche avere una strategia
per farlo al meglio.
Uno dei miti piu diffusi e che i social media siano uno strumento utile
solo per le aziende che lavorano nel B2C: certamente utilizzare gli strumenti
social con clienti business e piu complesso, ma non per questo meno effi-
cace. All’occhio di un osservatore superficiale possono sfuggire le aziende
B2B che sfruttano i canali sociali, soprattutto perche noi tutti siamo per lo
piu consumatori e non siamo nel target di queste aziende. D’altra parte,
quando esamineremo in che modo i social media possono dare alle azien-
de un vantaggio competitivo, sara chiaro che anche nel business-to-business
quest’opportunita non e da sottovalutare.
Cominciamo dal capire in cosa o perche i social media sono diversi da
tutti gli altri canali di marketing. Innanzi tutto, non sono solo un canale.
E possibile fare pubblicita e inviare comunicazioni promozionali attraverso
i social media con un approccio classico, ma questo non e probabilmente il
miglior uso che se ne puo fare.
Internet ha rivoluzionato il modo in cui i consumatori comunicano e la
facilita per gli stessi di reperire informazioni di qualita che orientino i loro
comportamenti di acquisto. Siamo in molti, oggi, a fare una rapida ricerca
su Google prima di acquistare un prodotto; spesso, addirittura, i consuma-
tori fanno una scelta di acquisto ancora prima di vedere il prodotto dal vivo,
ad esempio esposto su uno scaffale. Questo fenomeno e stato descritto con
1.2. I SOCIAL MEDIA E LE AZIENDE 5
il nome esplicativo di Zero Moment of Truth (Lecinsky, 2012). Secondo il
managing director di US Sales & Service di Google, infatti, si sarebbe ab-
bandonata la classica routine che passa principalmente attraverso la visione
dei prodotti sugli scaffali (First Moment of Truth) e la successiva esperien-
za dopo l’acquisto (Second Moment of Truth). Il passaggio da uno stimolo
(pubblicita, passaparola, bisogno del consumatore. . . ) alla ricerca del pro-
dotto su uno scaffale oggi, nell’era di Google, non e piu diretto, ma passa
attraverso una ricerca autonoma su Internet, che fornisce al consumatore la
maggior parte delle informazioni che cerca, ancora prima che questo abbia
una prima esperienza fisica del prodotto. Tutto questo, grazie ai feedback
resi pubblici da altri e alla capacita dei motori di ricerca di individuarli e
mostrarceli.
A questa premessa possiamo aggiungere anche qualche dato statistico.
Armano (2010), illustrando delle proiezioni di Forrester, spiega che gli in-
vestimenti in social media e mobile marketing sono quelli che ci si aspetta
cresceranno maggiormente nei prossimi anni, con un CAGR (Compound an-
nual growth rate) rispettivamente del 34% e del 27% dal 2008 al 2014. Josh
Bernoff (2011b) illustra invece quali sono i cinque stadi evolutivi delle grandi
aziende nel loro percorso verso la completa padronanza delle tecnologie socia-
li, fornendo anche delle percentuali di raggiungimento tratte da un sondaggio
su 95 amministratori aziendali.
1. Dormienti (circa il 20%), sono le aziende che ancora non agiscono in
alcun modo sui social media, o tutt’al piu ascoltano con applicazioni
di social monitoring.
2. In fase di sperimentazione (circa il 33%) si trovano le aziende che
hanno avviato progetti pilota e cominciano a imparare dai propri errori.
6 CAPITOLO 1. I SOCIAL MEDIA
3. In fase di coordinamento (circa il 33%) ci sono poi quelle aziende
che stanno consolidando e formalizzando le loro procedure di azione
sui social media.
4. In fase di crescita e ottimizzazione si trovano la maggior parte delle
aziende rimanenti. Sono quelle che cominciano, ad esempio, ad acco-
gliere sistematicamente nuove idee dai consumatori, come fa Starbucks
con MyStarbucksIdea.com.
5. Empowered sono dette le poche aziende che hanno raggiunto un livello
pervasivo di utilizzo dei social media.
Infine, un dato molto importante ci e dato dall’agenzia di ricerca di mar-
keting Nielsen (2012), che mostra che – seppur in crescita – la fiducia dei
consumatori nei messaggi pubblicitari aziendali di ogni tipo (online, su rivi-
ste, tv, radio, . . . ) rimane molto minore della fiducia nelle opinioni di altri
pari, anche se sconosciuti.
Risulta quindi chiaro che oggi le aziende hanno bisogno di farsi una repu-
tazione (o migliorare quella gia consolidata) attraverso i propri clienti, e non
piu principalmente tramite metodi top-down come la pubblicita e la comuni-
cazione aziendale tradizionale. E proprio in questo che risiede la piu grande
diversita dei social media rispetto alla comunicazione del Web 1.0: in questo
ambiente, e il consumatore che governa la conversazione e i messaggi riguar-
danti l’azienda, e non piu questa come in passato. I social media amplificano
a dismisura il potere del passaparola, e danno la possibilita a nuovi individui
di emergere come fonti autorevoli di informazione. E il caso dei blogger piu
seguiti e influenti, che gia da qualche anno sono sotto osservazione da parte
delle aziende piu accorte nei settori piu disparati: dal fashion, al food, alla
tecnologia.
1.2. I SOCIAL MEDIA E LE AZIENDE 7
Da queste considerazioni, e possibile elaborare alcune linee guida per
l’utilizzo ottimale dei social media a livello professionale e aziendale.
1.2.1 Le linee guida
Molti concordano sul fatto che i social media debbano essere, anche attraver-
so appositi tool di analisi, innanzi tutto degli strumenti di ascolto (Weinberg
e Pelhivan 2011, Cosenza 2012, Bottles e Sherlock 2011, Etlinger 2011). I
clienti delle aziende parlano tra loro e, oggi, lo fanno soprattutto attraverso
strumenti di comunicazione online: blog e social network in primis. Molte
aziende spendono grandi quantita di denaro in ricerche di mercato prima
di lanciare nuovi prodotti, o tentano di raccogliere informazioni di custo-
mer satisfaction tramite questionari: molte di queste informazioni si possono
ottenere attraverso un adeguato piano di monitoraggio delle comunicazioni
online riguardanti il proprio marchio o la propria azienda. Dell, una del-
le aziende piu avanzate nel campo dei social media, ha un apposito Social
Media Listening Command Center, nel quale diverse persone passano parte
della loro giornata lavorativa a monitorare cio che si dice online (Etlinger
2011: 26).
Altro punto su cui c’e un ampio consenso e il fatto che per agire con suc-
cesso sui social media sia necessario, forse poco sorprendentemente, essere
social (Kaplan e Haenlein 2010, Giamanco e Gregoire 2012). Con questo
termine si intendono una serie di azioni che e necessario mettere in prati-
ca per avere successo: fondamentale e rispondere e dialogare con chi parla
dell’azienda, ed essere in grado di farlo quando le opinioni espresse sono po-
sitive, ma soprattutto quando sono negative, o c’e malcontento diffuso su un
prodotto o un servizio offerto. I consumatori presenti in questi canali danno
poco peso a messaggi propagandistici sordi, ma apprezzano la possibilita di
8 CAPITOLO 1. I SOCIAL MEDIA
avere un dialogo reale con esponenti del brand o dell’azienda di cui parlano.
C’e chi suggerisce addirittura, con giusto spirito di osservazione per i casi di
successo, “be unprofessional” (Kaplan e Haenlein 2010: 66): gli utenti seguo-
no piu volentieri qualcuno che parla con una voce umana e modesta. Anche
se si e portavoce del brand, non e necessario utilizzare toni eccessivamente
alti e professionali, o comunicazioni da slogan pubblicitario.
Ci sono poi suggerimenti che riprendono le best practices della comunica-
zione, e che e giusto ricordare per notare anche l’esistenza di punti di congiun-
zione tra la comunicazione tradizionale e il social media management. Ad
esempio, si ricorda la necessita dell’integrazione (Kaplan e Haenlein 2012): e
evidente che, anche se gestiti in modo molto diverso, i social media contribui-
scono a fornire al consumatore l’immagine dell’azienda. Seppur piu liberi e
spontanei, anche i messaggi inviati tramite i social media devono contribuire
a rafforzare l’identita del brand; questi strumenti, anzi, proprio per la loro
atipicita, permettono alle aziende di dare ulteriori e piu profonde caratte-
rizzazioni al proprio marchio, per differenziarsi dai competitor sotto nuove
dimensioni.
1.2.2 L’utilizzo immediato
Ci sono molti obiettivi immediati che i social media possono aiutare a rag-
giungere. Concentrandosi su un’ottica business-to-business, Giamanco e Gre-
goire (2012) propongono tre obiettivi che il reparto vendite puo prefiggersi
di raggiungere, notando giustamente che “nessun aspetto del business e piu
sociale della vendita” (ibid.: 90). Il primo obiettivo e la generazione di nuovi
prospect, o lead, cioe nuovi potenziali clienti, attraverso il monitoraggio dei
social media. Oggi, un lead puo nascere facilmente da una lamentela o una
discussione su Twitter, LinkedIn o Facebook: gli stessi autori raccontano di
1.2. I SOCIAL MEDIA E LE AZIENDE 9
come un’azienda che offre servizi di web conferencing sia riuscita, in mez-
za giornata, a vendere il proprio prodotto a un CEO che si era lamentato
del servizio della concorrenza su Twitter (ibid.). Opportunita del genere so-
no pero all’ordine del giorno: e compito dei professionisti della vendita di
interessarsi a questi nuovi meccanismi per riuscire a trasformare in routine
l’utilizzo di un nuovo canale di prospecting. L’obiettivo che ne consegue logi-
camente e quello della qualificazione dei lead, cioe l’identificazione dei criteri
BANT (IBM, citata in Giamanco e Gregoire 2012) per ciascuno di essi: il
lead deve avere a disposizione il budget necessario all’acquisto, l’autorita per
portarlo a termine, un reale bisogno (need) per il prodotto o servizio offerto
dall’azienda, e le sue aspettative sulle tempistiche di consegna devono essere
raggiungibili. Strumenti come i social network e i tool di analisi dei dati di-
sponibili online, uniti all’intuito professionale del venditore, possono aiutare
a chiarire questi punti, anche dando la possibilita di fare domande dirette al
lead. Infine, i due autori identificano anche l’obiettivo di gestire le relazioni
con i clienti, compito che nelle organizzazioni B2B e affidato ai singoli ven-
ditori (o commerciali), piu che alla funzione marketing e comunicazione in
generale. Il modo per gestire le relazioni attraverso i social media puo essere
ricondotto al precedente punto sulla necessita di essere social : fondamentale
e dialogare, e ricordare che nel mondo social bisogna “dare senza aspettarsi
un ritorno immediato” (Giamanco e Gregoire 2012: 93).
Le possibilita, in ogni caso, non si esauriscono qui. Russell (2012), ad
esempio, analizzando specificamente il settore bancario, ha identificato pos-
sibilita di miglioramento attraverso i social media in aree aggiuntive rispetto
alle gia citate comunicazione e vendite: esistono infatti aree di applicazione
anche nel customer service, nelle ricerche di marketing, e anche nell’ufficio
risorse umane, che puo usare i social network per ricercare candidati per un
10 CAPITOLO 1. I SOCIAL MEDIA
posto di lavoro, o per selezionare tra quelli gia presenti.
1.3 Conclusioni
In questo capitolo ho dato una panoramica sul mondo dei social media, dan-
done una definizione e analizzandone le caratteristiche principali. Quindi ho
presentato il problema che si presenta alle aziende come conseguenza della
diffusione di questi strumenti e di abitudini di consumo diverse dal passato,
e ho quindi presentato una serie di suggerimenti ed esempi di attivita che
possono – e dovrebbero – essere intraprese con l’utilizzo dei social media.
Tutto questo, pero, non presuppone ancora un’ottica strategica, che potra
essere compresa appieno solo dopo aver affrontato il tema della misurazione.
Questo perche, come spiega anche, nel caso specifico, Etlinger (2011), nel
corso della pianificazione strategica e opportuno partire sempre dalla defini-
zione degli obiettivi, partendo dal generale (Mission) allo specifico (obiettivi
di business). Per poter utilizzare degli obiettivi operativamente, ottenendo
cioe un riscontro sul loro completamento giorno per giorno, e fondamentale
che questi siano misurabili (Barney 2006, Doran 1981).
L’utilizzo strategico dei social media non e estraneo a questa logica, ed e
per questo che per pianificare strategicamente un’azione che preveda l’utilizzo
di questi strumenti e necessario partire, in primo luogo, da una definizione dei
metodi di misurazione delle attivita sui social media, argomento del prossimo
capitolo.
Capitolo 2
La misurazione delle attivita
Cominciamo ora ad entrare in un argomento estremamente controverso, su
cui diversi accademici e manager si sono confrontati, talvolta a fatica o senza
riuscire a giungere a conclusioni convincenti.
Il problema e chiaro. Le aziende si trovano davanti a un nuovo mondo –
quello social – pieno di opportunita; ma come coniugare l’apparente necessita
di lanciarsi a sfruttarle, con la costante esigenza di garantire la generazione
e la crescita dei profitti? E naturale che i vertici aziendali richiedano alla
funzione marketing una dimostrazione o, con toni piu blandi, un modello
che mostri loro in che modo tutto questo possa portare alla creazione di un
valore economico e, in ultima analisi, finanziario. Si potrebbe sintetizzare
il problema con una domanda che molti marketers si saranno ormai sentiti
rivolgere dai loro superiori: “Qual e il ROI dei social media?”.
2.1 La diversita di interpretazioni
E stato notato, innanzitutto, un trend verso la ridefinizione del concetto di
ROI perche sia coerente con i social media (James Clark, citato in Pekala
11
12 CAPITOLO 2. LA MISURAZIONE DELLE ATTIVITA
2010). Si assiste cosı alla definizione di metriche come Return on Participa-
tion, Return on Engagement, Return on Trust e Return on Influence. Sebbe-
ne possano essere di interesse per una comprensione del fenomeno, metriche
di questo tipo non aiutano minimamente a dare una risposta alla domanda,
prettamente finanziaria, di misurare la redditivita dei social media.
Da un altro punto di vista, c’e invece chi tende a dare risposte forse ecces-
sivamente pragmatiche, che si lasciano sfuggire parte delle potenzialita per
cui, abbiamo visto, possono essere usati i social media. E chiaro l’intento di
Duboff e Wilkerson (2010: 34), quando dichiarano “ROI is an economic term
and, therefore, calculations must be in dollars and cents, not in percentages,
reach, frequency or any other pure marketing metric”. I due autori svilup-
pano quindi un metodo per la misurazione del ROI che ricorda un conto
economico di bilancio, adatto, dichiaratamente, soprattutto alla misurazione
del successo di singole iniziative di promozione/pubblicita attraverso i social
media. Quello che suggeriscono e un approccio empirico costruito su stime
aggiustate nel tempo: si parte da una valutazione dell’investimento in ter-
mini di costi nel corso del tempo, e si sviluppa quindi un sales funnel che,
partendo dal numero di persone raggiunte dall’iniziativa promozionale, do-
vrebbe riuscire a stimare i ricavi generati. Sorgono dubbi sul fatto che questo
metodo possa essere applicato in casi pratici, per ragioni legate all’estrema
variabilita dei contesti di applicazione, che non permettono di aggiustare le
stime con sufficiente precisione e in tempi sufficientemente rapidi. C’e da
riconoscere, d’altra parte, che gli stessi autori notano alcuni punti importan-
ti che e giusto sottolineare. Ricordano, in primis, l’importanza di valutare
i ricavi generati da un consumatore non in ottica “spot”, ma in riferimen-
to all’intera vita di acquisto. Questo punto e centrale in contesto social, in
quanto, oltre a sollecitare un acquisto d’impulso, attraverso i social media e
2.1. LA DIVERSITA DI INTERPRETAZIONI 13
anche – e soprattutto – possibile “coltivare” i consumatori presenti e futuri,
incrementandone il valore complessivo per l’azienda. In secondo luogo, Du-
boff e Wilkerson evidenziano un punto fondamentale che ci accompagnera
anche successivamente: tutte le valutazioni sul ROI dell’investimento sociale
devono essere fatte rispetto al futuro, per decidere cioe se investire o non
investire. Valutare unicamente iniziative passate ha una utilita limitata. Co-
me vedremo, questa idea e alla base del lavoro di Cosenza (2012), che spiega
come per sviluppare con successo un programma di misurazione sui social
media sia necessario partire molto prima dell’attivita in se, avendo chiari
innanzitutto gli obiettivi di business da conseguire.
Un’interessante prospettiva bilanciata e poi offerta da Josh Bernoff (2011-
a), che classifica le fonti di ritorno economico a seguito di investimenti in
applicazioni sociali. In primo luogo, il ritorno tradizionale proviene dai be-
nefici finanziari di breve termine. Questi sono i piu immediati da individuare
e misurare, in quanto si puo tracciare una correlazione tra azione sui so-
cial media, e reazione. Bernoff porta ad esempio incrementi di vendite a
seguito dell’aggiunta di funzionalita di rating & review sociali su un sito di
e-commerce, o l’utilita per il business di community specializzate che possono
risolvere problemi gratuitamente, evitando che questi pesino sul budget del
supporto tecnico. Ci sono poi ritorni non finanziari di lungo termine, legati
all’aumento di notorieta del brand. L’effetto dell’aumento di notorieta e un
aumento dei consumatori nei diversi stadi di disponibilita all’acquisto (Kotler
e Armstrong 2009). Il terzo tipo di ritorno dall’ambito social e la riduzione
del rischio che si traduce, nel lungo termine, in valore finanziario. I rischi di
cui si parla sono quelli legati alla possibilita che consumatori poco soddisfatti
possano portare a delle crisi attraverso la loro influenza online. E per questo
che molti brand come la gia citata Dell – ma anche il 23% delle societa ita-
14 CAPITOLO 2. LA MISURAZIONE DELLE ATTIVITA
liane secondo SDA Bocconi (2011) – hanno staff che monitorano il buzz che
si forma online attorno ai loro prodotti: perche questo ha un costo minore
di gestire una crisi sviluppatasi senza controllo. Infine ci sono dei benefici
che Bernoff chiama “digitali”, di breve termine e di tipo non finanziario: si
tratta, ad esempio, della maggiore accessibilita sui motori di ricerca, i quali
negli ultimi tempi stanno dando sempre piu importanza al mondo sociale
per determinare il page rank. Il messaggio e che questi diversi benefici di
investimenti in social media vanno considerati e bilanciati nel loro valore,
per ottenere una misura della redditivita complessiva dell’investimento.
2.2 Una sintesi
Cerchero ora di collegare quanto e stato detto fin qui, con l’obiettivo di dare
una rappresentazione completa, seguendo in parte una traccia data dal lavoro
di Cosenza (2012).
Come e gia stato detto, i social media sono una nuova opportunita per
il business, ma solo nella misura in cui si rendono uno strumento chiave
per il miglioramento delle performance aziendali. Oggi spesso si tende a
vedere l’investimento in social media quasi come un obiettivo: “se lo fanno
tutti, lo dobbiamo fare anche noi”. Analizzando attentamente questo punto
possiamo cominciare a intuire perche la domanda “Qual e il ROI dei social
media?” sia in un certo senso errata. Non rappresentando un obiettivo di
business, l’investimento in social media non puo essere isolato da tutte le
altre operazioni e valutato separatamente.
Per questo, e necessario partire fin dal principio, definire degli obiettivi di
business e, sulla base di questi, elaborare delle metriche coerenti. Non neces-
sariamente il ROI sara l’indice migliore per misurare il successo di un’attivita
2.2. UNA SINTESI 15
come la gestione delle relazioni con gli opinion leader o la gestione di una
presenza online omogenea. In effetti, anzi, “il concentrarsi ossessivo ed esclu-
sivo sull’approccio al ROI considerata come ‘silver metric’, e gia indice di
una valutazione della comunicazione e del marketing d’impresa orientata al
breve periodo e poggiante sull’idea di mercati interamente controllabili e pre-
vedibili” (Accoto e Mandelli, citati in Cosenza 2012: 58). Significa, cioe, che
per un’impresa con una visione di marketing e comunicazione piu strategica
e di lungo periodo, metriche finanziarie di breve termine quali il ROI devono
necessariamente lasciare spazio a metriche diverse, che diano una rappre-
sentazione del successo su obiettivi di lungo termine, che solo nel corso del
tempo si tradurranno in risultati finanziari.
2.2.1 Le metriche
Il primo punto per elaborare una misurazione efficace delle attivita attraver-
so i social media, quindi, e avere chiaro quali sono le metriche utilizzabili.
Queste si dividono in: counting metrics, foundational metrics, business value
metrics, e outcome metrics (Lovett 2011).
Counting metrics
Per counting metrics si identificano semplicemente le metriche specifiche di
una determinata piattaforma sociale, e messe a disposizione dalla stessa.
Sono ad esempio i visitatori unici o le pageview per un blog, i follower su
Twitter, i like su Facebook, e cosı via.
Foundational metrics
Queste metriche sono gia qualcosa di piu complesso delle precedenti: non
sono valide unicamente per i social media, ma per molte attivita di comu-
16 CAPITOLO 2. LA MISURAZIONE DELLE ATTIVITA
nicazione. In questo modo, possono essere utilizzate per fare confronti tra
iniziative alternative. Non sono misure numeriche prescritte a priori, ma con-
cetti che devono essere adattati al singolo business, che deve essere in grado
di capire quali (combinazioni di) counting metrics sono piu appropriate nel
caso specifico. Si tratta di:
• Interaction, cioe il grado di risposta a stimoli quali iniziative di marke-
ting.
• Engagement, che misura il grado di coinvolgimento dell’utente. L’enga-
gement misura la qualita dell’interazione, e misurazioni si potrebbero
ottenere attribuendo un peso diverso ad azioni che si reputano piu o
meno “coinvolgenti” (piu importanza a una condivisione rispetto a un
like, ad esempio).
• Influence, che e una caratteristica di un singolo utente online (ed, even-
tualmente, puo essere limitata all’area tematica in cui questo e specia-
lizzato). Riuscendo a misurarla, si riuscirebbe a individuare facilmente
gli individui su cui intraprendere azioni mirate; ci sono pero molte
difficolta nell’individuare come rendere affidabile e trasversale questa
misura.
• Advocacy, che e una misura di quanto gli utenti della rete parlano
spontaneamente a favore del brand senza che ci siano iniziative da parte
dell’azienda.
• Impact, cioe la capacita di un individuo (o di un gruppo) di determinare
il risultato desiderato di un’attivita.
2.2. UNA SINTESI 17
Business value metrics
Queste sono le classiche metriche di business come l’impatto sul fatturato
o l’impatto sulla soddisfazione dei clienti. Sono metriche chiare e compren-
sibili per i manager e tutti gli shareholders, ma generalmente complesse da
calcolare.
Outcome metrics (o Key Performance Indicators)
Queste sono, infine, le metriche generalmente piu rilevanti, in quanto portano
con se una maggiore quantita di informazioni e, potenzialmente, raccoman-
dazioni concrete, delle precedenti. Questa caratteristica e legata al fatto
che sono metriche ricavate partendo da degli obiettivi di business raggiun-
gibili attraverso i social media, e servono a dare una misura del grado di
avvicinamento a tali obiettivi. Lovett (2011) ha individuato sei obiettivi
“classici” ai quali possono essere associati dei KPI, e cioe: incrementare la
visibilita (esempio di KPI e il reach), promuovere il dialogo (ampiezza delle
conversazioni), generare interazioni (conversioni, cioe utenti che interagisco-
no rispetto al totale di utenti esposti), facilitare il supporto (problemi risolti
tramite social media, net promoter score), promuovere l’advocacy, e stimola-
re l’innovazione. Risulta chiaro, da come sono formulati, che questi obiettivi
fanno riferimento all’intera azienda o al brand, e le relative conseguenze sul-
la “salute aziendale” sono facilmente intuibili a prescindere dal contesto dei
social media. Un’analisi dettagliata delle possibili metriche elaborabili non
e negli obiettivi di questa relazione (si veda Cosenza 2012, pp. 49-57 per
approfondimenti).
18 CAPITOLO 2. LA MISURAZIONE DELLE ATTIVITA
2.2.2 La strategia
Il punto chiave da tenere in considerazione rimane quello di partire dagli
obiettivi che si vogliono raggiungere attraverso i social media, e cioe dal-
la strategia; una volta chiari gli obiettivi, bisogna individuare i KPI che
permettono di monitorare al meglio il grado di approssimazione a questi. I
KPI verranno calcolati prendendo in considerazione le diverse counting me-
trics delle piattaforme sociali, e i concetti individuati come “foundational
metrics”, ed elaborando una formula con valore informativo – correlato al-
l’obiettivo – piu alto possibile. E impossibile definire KPI unici e trasversali
a ogni tipo di business, proprio perche ogni business e diverso, e necessita di
metriche che solo gli analisti interni riconoscono essere di valore.
2.2.3 Il valore dei dati
A questo proposito, e utile fare una breve digressione per sottolineare in che
modo i dati possono contribuire a generare valore di business. Il modello
di riferimento e la piramide dei bisogni analitici di Web Analytics Demysti-
fied (Lovett 2011), che prende ispirazione dalla famosa piramide dei biso-
gni di Maslow (1952). Lovett classifica gli stadi di conversione dei dati in
“raccomandazioni” utili per il business:
Data Cioe i dati grezzi. Nel nostro framework, possono essere ricollegati
alle counting metrics.
Information Cioe dati lavorati, che forniscono un’informazione aggiuntiva
rispetto al semplice numero (ad es. i KPI).
Insights Cioe le informazioni analizzate e messe in un contesto di business
da parte dell’analista, che tiene conto degli obiettivi e interpreta il grado
di approssimazione ad essi sulla base di diverse fonti di informazione.
2.3. CONCLUSIONI 19
Recommendations Questi sono dei consigli molto puntuali, che possono
essere frutto dell’interazione tra analisti e manager. Rappresentano le
azioni che verranno eseguite alla luce degli insights determinati, che
potranno essere, ad esempio, azioni correttive in caso di scostamento
dagli obiettivi determinati.
Le dimensioni rispetto a cui sono classificati questi stadi sono due: il volume,
che decresce nel passaggio da dati a raccomandazioni, e il valore, che invece
aumenta, e corrisponde anche a una maggiore mole di lavoro da parte degli
analisti o dei software.
2.3 Conclusioni
E stato ora affrontato il problema dell’individuazione di un framework di
misurazione per le attivita sui social media. L’argomento e decisamente con-
troverso, e sono in molti che provano a dare il proprio punto di vista sulla
questione. Personalmente, ho ritenuto di maggior interesse, in quanto piu
strutturata dal punto di vista scientifico e piu documentata nella letteratu-
ra, la prospettiva che prevede l’utilizzo dei social media in ottica strategica.
Ho quindi dato una panoramica delle metriche utili a strutturare questo fra-
mework, ed evidenziato i passaggi attraverso cui queste portano alla creazione
di valore di business.
Seguendo quindi l’ottica strategica di cui e gia stata evidenziata la strut-
tura logica (cfr. 1.3), una volta definito il framework di misurazione e neces-
sario procedere nella definizione di obiettivi di business che seguano i criteri
S.M.A.R.T. (Doran 1981), e siano cioe specifici, misurabili, raggiungibili, ri-
levanti, e definiti secondo un orizzonte temporale specifico. Sono stati dati
alcuni esempi di obiettivi definibili, ma questa attivita non e qui oggetto di
20 CAPITOLO 2. LA MISURAZIONE DELLE ATTIVITA
analisi, in quanto strettamente legata alle specificita dell’azienda e alla sua
strategia complessiva.
Un punto su cui e possibile, invece, fare maggiori considerazioni, e quello
che viene considerato lo step successivo alla definizione degli obiettivi, e cioe
l’individuazione delle configurazioni organizzative ottimali allo sviluppo di
una strategia social (Etlinger 2011). Questo sara l’argomento del prossimo
capitolo.
Capitolo 3
L’organizzazione delle attivita
Come gia spiegato, la comprensione e l’elaborazione di un’organizzazione
orientata ai social media e un requisito preliminare essenziale per lo sviluppo
di una strategia social di successo. Innanzi tutto mostrero un punto di vista
forse in parte semplicistico che e pero utile a individuare alcune caratteristi-
che delle persone che si dovrebbero occupare di social media. Quindi, daro le
basi per comprendere i passaggi che portano alla formazione di un’organiz-
zazione orientata ai social media, e le principali strutture individuate a tal
scopo.
3.1 Caratteristiche del social media manager
Bottles e Sherlock (2011), pur indirizzando il loro ragionamento soprattutto
a medici ed ospedali, appartenenti a un settore che si direbbe poco propizio
alla crescita di strategie di social media, individuano alcuni punti importanti
per avviare la ricerca di un “social media manager”. Essi sostengono innanzi
tutto che i social media andrebbero sempre gestiti internamente, e che dare
questa attivita in outsourcing ad una agenzia sarebbe quasi sempre una cat-
21
22 CAPITOLO 3. L’ORGANIZZAZIONE DELLE ATTIVITA
tiva idea, per il fatto che il nocciolo della questione e di creare e sviluppare
relazioni con una personalita autentica. Senza dubbio e una tesi difficile da
sostenere, visto il gran numero di agenzie di comunicazione che si sono prese
carico anche di questa attivita, ma i due autori individuano comunque corret-
tamente il significato di occuparsi di social media. In secondo luogo, Bottles
e Sherlock sottolineano l’importanza del ruolo di social media manager, che
dovrebbe avere un accesso semplice, informale e frequente al senior manage-
ment, per essere in grado di rappresentare al meglio l’intera organizzazione
disponendo di informazioni sempre fresche e aggiornate.
Quindi danno alcune indicazioni per cercare di individuare la persona piu
adatta gia all’interno dell’organizzazione. Innanzitutto, consigliano di evitare
di cercare nel dipartimento IT: anche se puo sembrare naturale affidare agli
esperti di tecnologia un nuovo problema che riguarda il mondo dell’informati-
ca, le competenze richieste nella gestione dei social media sono radicalmente
diverse. La persona giusta potrebbe essere piuttosto in area Marketing: e
importante pero che sia consapevole del fatto che “Twitter e Facebook non
sono piattaforme di marketing”, e che perfino chiamare la disciplina social
media marketing manderebbe il messaggio sbagliato (ibid.: 71).
Infine, individuano una serie di caratteristiche desiderabili per il social
media manager ideale, che vanno quasi a formarne la job description: si
parla innanzitutto della fiducia che il management deve riporre nel candidato,
tale da riuscire ad affidargli anche informazioni molto riservate che possano
aiutarlo nel suo lavoro, si parla di grande propensione alla scrittura, e di
capacita di vedere possibilita e connessioni in ogni evento. Con queste e
altre caratteristiche, Bottles e Sherlock identificano il social media manager
ideale per il settore della sanita.
Una critica che puo essere mossa, pero, riguarda il fatto che in questo ar-
3.2. CONFIGURAZIONI ORGANIZZATIVE 23
ticolo non si considera la possibilita che i social media siano un’area troppo
complessa e variegata per essere gestita da una sola persona, indipendente
dal resto dell’organizzazione. Da quanto e stato detto finora, infatti, sem-
brerebbe che siano necessarie competenze trasversali per le quali un team di
collaboratori si rivelerebbe ottimale.
3.2 Configurazioni organizzative
Consideriamo quindi una situazione piu complessa, nella quale le competenze
necessarie alla gestione della presenza sui social media non siano concentrate
in un’unica persona, ma siano invece distribuite all’interno dell’organizzazio-
ne. Sono stati individuati dei modelli tipici per l’organizzazione aziendale in
ottica social (Owyang 2010), ma prima di analizzarli e opportuno compren-
dere le fasi tipiche che vengono seguite in un programma di implementazione
dei social media in azienda.
3.2.1 Le fasi
Cosenza (2012) individua quattro fasi nel processo di adozione dei social
media in azienda.
Sperimentazione
Si tratta della prima fase, che spesso nasce in modo spontaneo a seguito della
libera iniziativa di uno o piu dipendenti. Nel momento in cui il management
prende coscienza, ad esempio, dell’esistenza di diversi account aziendali uf-
ficiosi sparsi online, la reazione piu corretta e quella di contattare i diversi
promotori aziendali “indipendenti” e invitarli ad adottare una serie di regole
condivise, per cominciare a uniformare la voce e il look online dell’azienda.
24 CAPITOLO 3. L’ORGANIZZAZIONE DELLE ATTIVITA
Adozione finalizzata
Come gia detto in precedenza, l’implementazione di un programma di social
media deve sempre partire da una strategia che riesca a vedere piu in la dei
semplici strumenti, focalizzandosi sugli obiettivi di business. Ecco che allora
la seconda fase diventa quella di stabilire un obiettivo, come l’incremento di
visibilita del brand, e coordinare tutte le azioni sui social media per ottenerlo,
misurando man mano i progressi fatti.
Adozione estesa
Grazie al successo della singola iniziativa, i social media vengono riconosciuti
sempre piu di valore in tutte le funzioni aziendali, che cominciano ad adottarli
a loro volta per molteplici obiettivi. In questa fase il lavoro di chi coordina
gli sforzi verso i social media aumenta esponenzialmente e, soprattutto in
grandi aziende, e facile che si manifesti la necessita di introdurre nuove figure
professionali che possano dividersi i compiti e specializzarsi; e sempre in
questa fase che nasce l’esigenza di adottare una delle forme organizzative
spiegate in seguito, per assicurare che la crescita di applicazione dei social
media non porti con se conseguenze dannose quali inefficienze organizzative
o un’immagine aziendale ambigua, vista dall’esterno.
Integrazione
Risolti tutti i problemi organizzativi che un’adozione estesa comporta, agi-
re sui social media diventa routine, e il fabbisogno di coordinamento attivo
si attenua. In questa fase le competenze necessarie a svolgere le mansioni
sui social media sono diffuse in tutta l’organizzazione, e quindi solo nelle
realta piu complesse rimane attivo un team di coordinamento dedicato. In
aggiunta alla standardizzazione delle competenze, Cosenza (op. cit.) sotto-
3.2. CONFIGURAZIONI ORGANIZZATIVE 25
linea molto anche la necessita di sviluppare delle social media policy ad uso
interno ed esterno, per formalizzare e chiarire le regole d’uso dei social media,
garantendo anche una standardizzazione di processo (Costa e Gubitta 2008).
3.2.2 I modelli
Esaminiamo ora quelli che sono i cinque modelli organizzativi per i social
media che Jeremiah Owyang (2010) di Altimeter Group ha individuato e
analizzato. E importante sottolineare che questi modelli non devono essere
visti come semplici rivisitazioni degli organigrammi aziendali, e non sono fatti
per essere messi in pratica dall’oggi al domani. Nessuna organizzazione con
piu di cinque o dieci anni di vita e nata con una mentalita social radicata al
suo interno, e questi modelli rappresentano prima di tutto un cambiamento
della cultura aziendale, che quindi richiede tempo e perseveranza.
Organico
Il primo modello organizzativo e quello che Owyang chiama organico, e che
Cosenza (2012) ribattezza decentralizzato. In questa situazione ci sono diverse
entita (singoli o gruppi) all’interno dell’azienda che utilizzano i social media
in misura diversa e secondo giudizi personali.
E un modello di partenza per molte aziende, ed appare disordinato, ma
e importante non sottovalutarne i punti di forza: non essendo controllato,
permette ai singoli promotori di sviluppare conversazioni molto varie, e per
questo percepite come autentiche dai consumatori. E evidente che ci sono
degli svantaggi quali la mancanza di una customer experience costante, e
probabili inefficienze legate alla mancanza di comunicazione interna.
Ciononostante, e un modello interessante per grandi aziende (Sun Mi-
crososystems utilizza questo approccio) che avrebbero costi troppo elevati
26 CAPITOLO 3. L’ORGANIZZAZIONE DELLE ATTIVITA
tentando di implementare un controllo gerarchico o pseudo-gerarchico come
e quello presente in altri modelli organizzativi. Cosenza (ibid.) suggeri-
sce giustamente che volendo rendere stabile questo modello sia opportuno
implementare meccanismi di coordinamento di altro tipo, quali il semplice
adattamento reciproco o standardizzazioni di vario tipo.
Centralizzato
Con una rappresentazione grafica che ricorda molto un organigramma azien-
dale, il modello centralizzato e quello che fa un uso piu completo della leva
del controllo gerarchico. Dovrebbero risultare evidenti vantaggi e svantaggi
di questa soluzione, che sono esattamente quelli della u-form, o struttura fun-
zionale. Da un lato vi e una grande ottimizzazione delle risorse, che comporta
risposte rapide e uniformita di customer experience, ma dall’altro vi e una
pericolosa tendenza alla rigidita, alla burocratizzazione, al controllo eccessivo,
che possono portare a una comunicazione formalizzata e poco autentica.
Coordinato (Hub & Spoke)
Un’alternativa al puro controllo gerarchico puo essere la creazione di un team
interfuzionale con il compito di dare il proprio supporto e mettere le proprie
competenze a disposizione di qualunque area aziendale (o nodi quali team
di prodotto o di progetto) ne avesse bisogno. Questa soluzione permette la
centralizzazione delle risorse in un unico punto di eccellenza, mantenendo
al contempo l’indipendenza delle varie business unit. Il team dedicato deve
cioe funzionare da abilitatore, e non da “social police” (Owyang, op. cit.),
fornendo servizi di supporto e formazione piuttosto che controllando l’operato
dei diversi nodi.
3.2. CONFIGURAZIONI ORGANIZZATIVE 27
Figura 3.1: Rappresentazioni grafiche dei cinque modelli organizzativi
individuati da Owyang (2010). Immagini dal profilo Flickr dell’autore.
28 CAPITOLO 3. L’ORGANIZZAZIONE DELLE ATTIVITA
L’organizzazione con hub & spoke (il nome e tratto dal tipico modello di
sviluppo delle compagnie aeree) ha pero il problema di richiedere investimenti
elevati perche l’hub possa sviluppare competenze specializzate e di quindi di
valore agli occhi dei fruitori del servizio (i diversi nodi).
Ciononostante, molte aziende sembrano essere orientate a questa struttu-
ra (ibid.), forse anche solamente come soluzione transitoria verso un modello
olistico.
Hub & Spoke multipli, “Dandelion”
Un’evoluzione del modello coordinato semplice e il cosiddetto modello a dan-
delion, dal nome fiore che ricorda. Si tratta di una naturale evoluzione del
modello precedente, adatto soprattutto a grandi multinazionali organizzate
in divisioni quasi autonome, o ad aziende molto diversificate che operano su
diversi mercati di prodotti. In questo modello gli hub delle singole divisioni o
entita autonome sono messi in comunicazione tra loro attraverso un ulteriore
hub centrale.
Questa configurazione ha il pregio di mantenere la necessaria autonomia
di business delle divisioni, dando loro al contempo un punto di riferimento
unico e centrale. I problemi che possono nascere da una configurazione simile
sono la necessita di comunicazione costante per mantenere il coordinamen-
to, che puo portare al sovraccarico del nodo centrale e/o eccessivo “rumore
interno” (ibid.): per evitare il problema dell’imbuto, e necessario che gli hub
periferici abbiano anche la possibilita di dialogare tra di loro.
Olistico, “Honeycomb”
Il modello olistico o a nido d’ape e, infine, quello in cui tutti i dipendenti
sono nelle condizioni di utilizzare i social media al meglio: il caso di Zappos e
3.3. VERSO IL SOCIAL BUSINESS 29
Dell. Per molte aziende, e il punto di arrivo ideale, nel quale tutta l’azienda
e mobilitata nell’azione sociale. Owyang nota che sono poche le aziende che
possono raggiungere questo traguardo, in quanto esistono importanti ostacoli
culturali: e necessario che il mutamento culturale parta dai vertici aziendali,
che devono essere disposti a dedicarsi in prima persona alla relazione con i
clienti, e devono essere in grado di mettere in pratica le intenzioni o, con
un’espressione anglosassone, walk the talk.
3.3 Verso il social business
Molti autori sono oggi in continuo fermento attorno al tema del social bu-
siness, che ruota attorno all’idea della trasformazione interna dell’impresa
per renderla sociale (Armano 2010, Keitt 2012, Cosenza 2012). L’esatta de-
finizione del termine non e completamente concorde, ma non deve, in ogni
caso, essere confuso con il “social business” di cui parla il premio Nobel
Muhammad Yunus (2008).
Keitt (op. cit.) definisce social business il processo di rimozione delle
barriere informative tra le persone (dipendenti, clienti, partner, fornitori),
che permetta di semplificare la collaborazione per la soluzione dei problemi
di business. Cosenza (op. cit.: 215) parla di social business come di “un
salto di paradigma culturale dei dipendenti a tutti i livelli: dal piu alto fi-
no al piu basso”. E cioe un modello di business che modifica radicalmente
l’azienda, per implementare apertura e trasparenza interne ed esterne, e per-
mettere all’organizzazione di modificarsi in continuazione secondo gli stimoli
provenienti dai feedback interni ed esterni.
I vantaggi di questo approccio sono numerosi, e traducibili in termini di
miglioramento dell’efficienza e dell’efficacia del lavoro di tutti gli attori nella
30 CAPITOLO 3. L’ORGANIZZAZIONE DELLE ATTIVITA
catena del valore, riduzione di costi di marketing e customer care, sviluppo di
prodotti e modelli di business accelerati, e molti altri sintetizzati dal Social
Business Forum (2012).
Eppure, ancora poche aziende hanno intrapreso questa strada (Keitt op.
cit., Armano op. cit.). Il problema e innanzi tutto di tipo culturale: si tratta
di un’innovazione radicale, che ha bisogno di tempo per essere metabolizzata
a dovere dai responsabili aziendali. Oltre a questo, ci sono pero anche altre
difficolta nell’implementazione pratica, riassumibili sotto le etichette “perso-
ne, processi, tecnologia” (Cosenza op. cit.): e necessario, oltre ad ottenere
il committment dei vertici, rompere tutte le barriere aziendali per mettere
le persone in contatto, ridisegnare i processi secondo una logica collabora-
tiva incentrata sul consumatore sociale, sviluppando policy e procedure di
ascolto e reazione insieme a sistemi di misurazione, e investire in piattaforme
tecnologiche che permettano tutto questo.
La trasformazione in social business dovrebbe essere graduale ma decisa.
La creazione di programmi pilota per sperimentare nuove soluzioni e fonda-
mentale (Armano op. cit.), ma e anche importante tenere presente il rischio
di interpretare non correttamente i loro risultati (Keitt op. cit.): in ottica di
social business le economie di rete sono essenziali, e un piccolo programma
pilota potrebbe fallire per non essere stato in grado di raggiungere una cer-
ta “massa critica”. Altrettanto importante e un programma di formazione
continua che permetta ai dipendenti di essere sempre aggiornati rispetto alle
nuove opportunita offerte dalla tecnologia, cosı come il miglioramento dei
sistemi di condivisione della conoscenza interna, che sono, paradossalmente,
spesso meno sviluppati di quelli di comunicazione e dialogo esterni (Armano
op. cit.).
Dachis Group e persino arrivato a misurare l’“indice sociale” delle mag-
3.4. CONCLUSIONI 31
giori corporation americane su SocialBusinessIndex.com, mappando l’intera-
zione sociale tra azienda, mercato, influenzatori, dipendenti e partner e la
loro importanza relativa per il business, e individuando in che modo ciascu-
no di questi player conversa nel rispettivo ambiente (in termini di apertu-
ra/chiusura a diversi partecipanti, e di focalizzazione della conversazione su
temi tra loro simili o diversi).
In ogni caso, piu che stabilire un modello univoco per il quale i tempi sono
forse ancora immaturi, con questa breve digressione ho voluto sottolineare
piuttosto come la trasformazione in social business sia un tema estremamente
attuale e diffuso con il quale si stanno scontrando oggi moltissime aziende, e
rappresenti un’opportunita che nessuno dovrebbe sottovalutare.
3.4 Conclusioni
In questo capitolo ho discusso le principali problematiche che si pongono nel-
l’organizzazione delle attivita sui social media. Ho illustrato innanzi tutto
una prospettiva semplice, che ha pero il pregio di individuare alcune carat-
teristiche chiave delle persone che si occupano di social media. Quindi, ho
illustrato il naturale processo evolutivo dell’organizzazione che si orienta ai
social media in ottica strategica, e le tipiche forme organizzative che sono og-
gi individuabili. Infine, ho introdotto brevemente le tematiche al centro della
discussione sul social business e sulla formazione di un’impresa piu aperta e
collaborativa.
Come gia spiegato, per lo sviluppo di una attivita strategica sui social
media, l’analisi organizzativa segue naturalmente la definizione degli obiettivi
di business e delle metriche per la misurazione degli stessi, e precede la scelta
degli strumenti e la definizione di tutte le iniziative concrete da mettere in
32 CAPITOLO 3. L’ORGANIZZAZIONE DELLE ATTIVITA
atto e misurare. Non approfondiro ulteriormente questi temi, che sembrano
essere di minore interesse scientifico rispetto alle premesse strategiche. Per
un’analisi estesa dell’argomento si veda Cosenza (2012).
Procedero ora, invece, dando una prospettiva di applicazione reale dei
concetti descritti, attraverso un caso aziendale.
Capitolo 4
Un’applicazione reale
Durante il periodo di stage che ho svolto presso uno studio di consulenza
direzionale di Vicenza, ho avuto modo di conoscere da vicino diverse realta
aziendali medio-piccole sparse nel territorio veneto. Una di queste ha attirato
la mia attenzione per il suo maggiore interesse verso il mondo social, e per
una serie di iniziative che sono state messe in atto in questo senso. In questo
capitolo analizzero se e come i concetti teorici analizzati fino ad ora abbiano
o possano avere un riscontro effettivo in un’impresa familiare con sede e
tradizioni legate al territorio veneto. Nel seguito della relazione utilizzero il
nome di fantasia Vini SpA per fare riferimento all’azienda in questione.
4.1 L’azienda
Vini SpA e un’azienda di medie dimensioni, che opera nel mercato italiano
ed estero nella commercializzazione di vini prodotti nelle tenute appartenenti
alla famiglia Vini. L’organizzazione dell’azienda e di tipo funzionale, con la
proprieta e guida strategica formata prevalentemente da membri della fami-
33
34 CAPITOLO 4. UN’APPLICAZIONE REALE
glia storica che ha fondato l’azienda, che possiedono anche la maggioranza
delle azioni.
I clienti sono prevalentemente aziende della grande distribuzione e risto-
ranti (B2B), ma tra questi sono presenti anche consumatori finali, enologi e
opinion leader del settore (B2C).
4.2 Il progetto
Lo studio di consulenza e entrato in contatto con l’azienda nel contesto del-
l’implementazione di un piano di riorganizzazione delle attivita di comunica-
zione e gestione dei contatti aziendali. Il progetto prevede la formazione di
un sistema informativo che metta i clienti al centro, e la creazione di una serie
di automatismi per agevolare il lavoro del reparto comunicazione nell’attivita
di distribuzione di contenuti.
Tutto questo si traduce quindi in un sistema integrato che riceve in input
informazioni su clienti, partner e fornitori da diverse fonti, oltre a informa-
zioni su eventi, e contenuti di vario tipo pubblicati dai responsabili della
comunicazione, e genera in output newsletter, pubblicazioni sul web e sui
social network, e nuove informazioni, in modo semi-automatizzato.
4.3 La presenza sui Social Media
Ad oggi l’azienda effettua una serie di attivita sui social media, ad opera
soprattutto di uno dei piu giovani membri della famiglia e vicepresidente,
che sembra aver intuito il potenziale di questa attivita:
• Presenza su Facebook con una pagina aziendale e una serie di altre
pagine dedicate ai prodotti di maggior successo e alle tenute vitivinicole
4.3. LA PRESENZA SUI SOCIAL MEDIA 35
di proprieta. Sono individuabili anche una serie di altre pagine non
ufficiali.
• Presenza su Twitter, anche qui con un account aziendale e uno dedicato
al prodotto di maggior successo.
• Presenza anche su Flickr, qualche video su YouTube, e un curato ma
poco seguito profilo su Pinterest.
• Blog personale, nel quale il vicepresidente parla di vini e dei suoi viaggi
di lavoro nelle tenute aziendali in Italia e all’estero.
Tutte queste attivita online sembrano essere gestite in prevalenza dal sin-
golo membro della famiglia, e poco o per nulla monitorate a livello aziendale.
Si puo facilmente riferire questo approccio alla fase di sperimentazione (vedi
3.2.1), nella quale l’attivita sui social media e intrapresa in prevalenza da un
singolo, o comunque non soggetta a una pianificazione strategica, anche se
finalizzata solo al raggiungimento di un singolo obiettivo (progetto pilota).
Non risultano attivi sistemi di monitoraggio delle conversazioni online o, piu
correttamente, di ascolto, ma l’approccio all’utilizzo delle diverse tecnologie
sembra comunque rispettare la netiquette dei diversi ambienti conversazio-
nali, con un autoreferenzialita forse un po’ troppo spinto, ma senza scadere
in eccessivi automatismi o comunicazioni impersonali.
Un fattore che e interessante notare e che i canali gestiti in lingua inglese
e orientati quindi al mercato estero, in particolare statunitense, tendono ad
avere un seguito maggiore. Un segno che tende a far pensare che il mercato
italiano di riferimento sia ancora poco attivo sui canali sociali.
36 CAPITOLO 4. UN’APPLICAZIONE REALE
4.4 Possibili sviluppi e opportunita
I miglioramenti di efficienza e gestione delle informazioni introdotti con il
progetto di sviluppo sono solo un primo passo verso una potenziale implemen-
tazione di strategie sui social media su larga scala. E fondamentale, a questo
proposito, che l’azienda tenga presente che gli automatismi resi possibili sono
di valore solo se usati con criterio e che, come notano Bottles e Sherlock (2011,
cfr. 3.1), e fondamentale sviluppare relazioni con una personalita autentica,
attivita difficilmente eseguibile con operazioni eccessivamente automatizzate.
Trattandosi di un’azienda dedicata interamente alla commercializzazio-
ne e al marketing del marchio Vini, i possibili sviluppi attraverso un’azione
strategica sui social media sono moltissimi. Si rivelera fondamentale seguire
un’impostazione strategica come suggeriscono diversi autori (Cosenza 2012,
Etlinger 2011), che parta dagli obiettivi di business, definisca delle metri-
che appropriate e gli interventi organizzativi necessari, e quindi proceda con
l’implementazione tecnologica e operativa.
Tra le varie attivita possibili, potrebbe essere attivato un programma di
ascolto e risposta ad uso del customer care, del marketing e del reparto ven-
dite (cfr. 1.2.2), possono essere svolte attivita di indagine per identificare
nuovi opinion leader o influenzatori che potrebbero essere attivi quasi esclu-
sivamente online, o anche analisi della concorrenza. Le azioni possibili, pero,
non sono limitate a questo elenco, ed e importante ricordare che nuove idee
possono nascere piu facilmente una volta che si conosce il terreno di gioco e
si stabilisce chiaramente l’obiettivo che si vuole raggiungere (cfr. 2.2.1).
4.5. POSSIBILI PROBLEMI O VINCOLI 37
4.5 Possibili problemi o vincoli
L’azienda verosimilmente potrebbe trovarsi ad affrontare alcuni dei problemi
citati fin qui. I piu rilevanti sono probabilmente quelli di tipo culturale.
Come e stato accennato, sviluppare un social business richiede notevoli
mutamenti culturali che non tutte le aziende potrebbero voler o riuscire a
seguire. E noto che modificare la cultura aziendale sia un’operazione sempre
lunga e difficile, specie se questa e stata forgiata negli anni attraverso i suc-
cessi dell’organizzazione (Costa e Gubitta 2008). Per l’azienda Vini questo
potrebbe rappresentare un problema, e potrebbe costringerla a intraprendere
unicamente delle iniziative chiuse in se stesse (adozione finalizzata), faticando
a raggiungere un elevato livello di pervasivita. Prevedere deterministicamen-
te delle evoluzioni nella cultura come prova a fare Cosenza (2012, cfr. 3.2.1)
e rischioso, ed e cauto aspettarsi, invece, che questa possa anche faticare ad
adattarsi alle nuove esigenze, quantomeno nel breve termine.
Tutto questo e anche parte di un piu ampio problema organizzativo. La
struttura organizzativa di tipo funzionale, con le logiche di specializzazione
e divisione in silos isolati che porta con se, e un potenziale problema per lo
sviluppo di un social business. Per lo sviluppo in tal senso sarebbe infatti ne-
cessario rompere le barriere organizzative passando da una struttura chiusa,
a una di tipo collaborativo, e quindi a una aperta all’ambiente esterno (open
business) (Armano 2010).
Si puo individuare, infine, un problema di carattere economico. In un
periodo nel quale la crisi e ancora presente in molti settori, certe imprese
potrebbero tendere a non investire in progetti innovativi e relativi ad am-
bienti a loro sconosciuti come l’espansione sui social media. Ciononostante,
la necessita di innovare si presenta anche riflettendo in termini di vantaggio
competitivo: chi riesce a presentarsi con una proposta di valore unica e diffici-
38 CAPITOLO 4. UN’APPLICAZIONE REALE
le da imitare (Barney 2006) puo riuscire a ottenere un notevole vantaggio sui
propri concorrenti, e uno dei modi piu autentici per differenziarsi e attraverso
l’innovazione. Ecco che allora risulta chiaro il ruolo delle agenzie e societa di
consulenza specializzate in social media: esse rappresentano un’opportunita,
per le imprese, di dare in outsourcing i primi stadi di pianificazione delle
azioni sui social media a qualcuno che abbia un’esperienza gia maturata e,
quindi, la possibilita di offrire un risparmio legato alle economie di esperien-
za. Ricordando sempre, come sottolineano anche Bottles e Sherlock (2011,
cfr. 3.1), che in ultima battuta tutto dovrebbe tornare nel pieno controllo
dell’azienda data la natura chiave dell’attivita di gestione dei social media e
la sua auspicabile profonda integrazione all’interno dell’impresa.
4.6 Conclusioni
Abbiamo quindi visto come una reale media impresa del nord-est possa essere
interessata ai temi trattati in questa relazione. La necessita di capire come
utilizzare i social media aziendalmente, come era stata prospettata nei primi
paragrafi, e effettivamente un problema sempre piu sentito, e anche in Italia
ci si sta attrezzando per utilizzare con successo questi nuovi strumenti di
relazione con i clienti. Inutile sostenere che si tratti di progetti facili da
mettere in atto, perche siamo di fronte a un cambio di paradigma culturale
prima ancora che tecnologico.
Affrontare ora il problema, invece che procrastinarlo, e una scelta saggia
e forse, per alcune imprese, l’unica scelta possibile. Il futuro sara sempre piu
popolato di imprese fortemente attive nella comunicazione con i propri clienti
attraverso i social media, e intraprendere azioni concrete da subito permette
di ottenere un vantaggio competitivo.
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