giornalino parrocchiale n. 199 · 2014. 7. 19. · canonizzato nel 1839, venne decretato da papa...

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Parrocchia S. Maria Immacolata – Motte di Luino Via delle Motte, 21 – 21016 – Luino (Va) – tel. 0332 530306 Sito web: http://parrocchiamotteinluino.webnode.it/ email: [email protected] S. Antonio Maria de Liguori

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    Parrocchia S. Maria Immacolata – Motte di Luino Via delle Motte, 21 – 21016 – Luino (Va) – tel. 0332 530306 

    Sito web: http://parrocchia‐motte‐in‐luino.webnode.it/                                email: [email protected] 

    S. Antonio Maria de Liguori

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    I punti salienti del pontificato di Papa Francesco "La SS. Trinità è una vita di comunione e di amore perfetto origine e meta di tutto l'universo e di ogni creatura, Dio. Nella Trinità riconosciamo anche il modello della Chiesa, nella quale siamo chiamati ad amarci come Gesù ci ha amati e ci ama”.

    É l'amore che manifesta la fede in Dio Padre, Figlio e Spirito Santo: è l'amore il distintivo del Cristiano, come ha detto Gesù: "Da questo tutti conosceranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri" Gv.13,35. É una contraddizione pensare a cristiani che si odiano, e il diavolo cerca sempre questo. Farci odiare, perchè lui semina sempre la zizzania dell'odio, lui NON conosce l'amore, perché il vero amore è quello di Dio!

    Tutti siamo chiamati a testimoniare ed annunziare che Dio è Amore, che non è lontano o insensibile alle nostre vicende umane. Egli ci è vicino, è sempre al nostro fianco, cammina con noi per condividere le nostre gioie.

    i nostri dolori. le nostre speranze e le nostre fatiche .... Lo Spirito Santo, dono di Gesù risorto, ci comunica la vita Divina e così ci fa entrare nel dinamismo della Trinità, che è dinamismo di Amore, di Comunione, di servizio reciproco, di condivisione.

    Una persona che ama gli altri per la gioia stessa di amare è il riflesso della SS. Trinità e dell’eucaristia. Una famiglia in cui ci si ama e ci si aiuta gli uni gli altri è un riflesso della SS. Trinità.

    Una parrocchia in cui ci si vuole bene, e si condividono i beni spirituali e materiali e un po' di tempo per la collaborazione è un riflesso della SS. Trinità. L’amore vero è senza limiti, ma sa limitarsi, per andare incontro all'altro, per rispettare la libertà dell’altro.

    Tutte le domeniche andiamo alla S. Messa, celebriamo l'eucaristia insieme e l'eucaristia è come il roveto ardente in cui umilmente abita e si comunica la SS. Trinità, per questo la Chiesa ha messo la festa del Corpus Domini dopo quella della SS. Trinità.

    La Vergine Maria, creatura perfetta della SS. Trinità, ci aiuti a fare di tutta la nostra vita, nei piccoli gesti e nelle scelte più importanti, un inno di lode a Dio, che è AMORE." Ci aspettano, come comunità, l’oratorio estivo di luglio con Dumenza per i ragazzi e la tradizionale festa compatronale di S. Anna il 27 luglio e degli anniversari di matrimonio. Cerchiamo di mettere in pratica ciò che la chiesa ci dice con le parole e l’esempio di Papa Francesco. Con l’occasione verrà ricordato il 70° anno di sacerdozio di Mons. Giorgio Colombo.

    don Ilario

    Giornalino N. 199 – luglio/agosto 2014

    Stampato in proprio ad uso parrocchiale

  • Tracciare un profilo breve di un santo, grande e longevo quale fu il napoletano Alfonso Maria de’ Liguori, è quasi un’impresa. Qui lo si ricorda soprattutto per la sua tutela dei moralisti, come dal nuovo titolo conferitegli da papa Pio XII nel 1950. Il significato del suo nome, Alfonso, rispecchia sinteticamente la sua personalità: valoroso e nobile. L’attualità del santo di Napoli sta nel fatto che, pur contrastando nella sostanza il relativismo morale e riconoscendo la Chiesa cattolica come suprema maestra, diede spazio alle “voci interiori della coscienza” e mantenne una posizione di equilibrio e di pratica prudenza tra i due estremi del rigorismo e del lassismo. Tale posizione affiora in quasi tutte le sue numerosissime opere di meditazione e di ascetica, ma soprattutto è sempre presente nell’ancora oggi studiata Theologia moralis. È questo in effetti il vero capolavoro di colui che, canonizzato nel 1839, venne decretato da papa Pio IX Dottore della Chiesa nel marzo 1871. Alfonso Maria de’ Liguori nacque il 27 settembre 1696 a Marinella, nei pressi di Napoli, nel palazzo di villeggiatura della nobile famiglia: il padre Giuseppe era ufficiale di marina e la madre, Anna Cavalieri, apparteneva al casato dei marchesi d’Avenia. Egli fu il primo dei loro otto figli e crebbe all’insegna di una robusta educazione religiosa, addolcita però sempre da sentimenti di compassione nei riguardi dell’infelicità altrui. Si suole suddividere la sua vita in cinque distinti periodi, in ognuno dei quali la personalità si arricchiva o si modulava con tanta fede in Gesù e con grande devozione a Maria e alle sue “glorie”. Fino a ventisette anni prevalsero gli studi privati nel campo della musica, delle scienze, delle lingue e del diritto, seguiti da una iniziale brillante carriera forense. Questa si interruppe improvvisamente per una delusione provata in un processo giudiziario tormentato di falsità. Tra il 1723 e il 1732 si colloca il periodo ecclesiastico con l’ordinazione sacerdotale nel 1726 e l’esercizio ad ampio raggio del ministero. Quando nel 1730 fu mandato a Scala, sopra Amalfi, esplose la sua spiritualità con la fondazione due anni dopo e poi la

    diffusione della Congregazione del SS. Salvatore, successivamente approvata dal papa Benedetto XIV come Congregazione del SS. Redentore. L’intento era quello di imitare Cristo, cominciando dai redentoristi stessi, i quali andavano via via operando per la redenzione di tante anime con missioni, esercizi spirituali e varie forme di apostolato straordinario.

    Mantenendo la carica di Rettore Maggiore della Congregazione, Alfonso Maria de’ Liguori fu poi, dal 1762 al 1775, vescovo di S. Agata dei Goti, centro oggi in provincia di Benevento e allora sede episcopale di un’area montagnosa, povera e bisognosa di ogni forma di aiuto, al quale il santo rispose con generosità. Ammalato di artropatia deformante e quasi cieco, dopo dodici anni di direzione diocesana, Alfonso Maria si dimise e si ritirò nella casa dei suoi fratelli a Nocera de’ Pagani, in provincia di Salerno, tra preghiere e meditazioni. Là morirà il 1° agosto 1787, non senza avere prima subito la dura tribolazione di uno sdoppiamento dei suoi confratelli, ciò che si ricompose soltanto sei anni dopo la sua morte. La Chiesa universale lo ricorda solennemente ogni anno in occasione del dies natalis.

  •  Carissimi amici,  approfitto di questo momento di tranquillità per scrivervi qualche riga in occasione della Pasqua, che è ormai alle porte. Dalla metà di gennaio mi sono trasferito a Mae Sot, una cittadina che si trova a circa 500 km a nord di Bangkok, vicino  al  confine  con  la  Birmania.  Abito  nella  casa  parrocchiale,  insieme  con  il  padre  Chawin,  un  prete tailandese che è il parroco ad interim. La chiesa parrocchiale, intitolata a S. Teresa del Bambin Gesù, non è grande, perché i cattolici appartenenti alla parrocchia sono pochi (meno di trecento). In compenso è attorniata da una grande scuola, appartenente alla diocesi di Nakhon Sawan, di cui la parrocchia fa parte. La scuola ha circa 1500 alunni, dall'asilo alle superiori. Una cinquantina di ragazzi e ragazze cattolici, che vengono da villaggi situati sui monti vicini, sono alloggiati nell'ostello parrocchiale. Appartengono tutti al gruppo tribale dei Karen, eccetto due o tre che sono del gruppo Akha. La parrocchia si trova alla periferia della città, a circa due chilometri dal confine, che è costituito dal piccolo fiume Moei. Mi sono fatto diverse passeggiate fino a là. Un grande ponte, il Ponte dell'Amicizia, collega la riva tailandese a quella birmana. Alle due estremità del ponte ci sono le rispettive guardie di frontiera che controllano tutti i viaggiatori, ma lungo il fiume ci sono diversi posti dove ci sono barchette che fanno il servizio di traversata senza nessun controllo. Starò qui fino alla fine di giugno, poi si vedrà. Qui ho la possibilità di praticare la lingua tailandese, che per me continua a rimanere ostica. Celebro la Messa in tailandese ogni lunedì, mercoledì e venerdì (senza predica) e in  inglese al sabato (con  la predica). Gli altri giorni concelebro con il padre Chawin. Non mi sento ancora in grado di predicare, anche se tre settimane fa sono stato costretto a esordire come predicatore nella Messa della domenica, perché il padre Chawin aveva dovuto assentarsi. Me la sono cavata con un'omelia di tre minuti, che avevo preparato e memorizzato in precedenza. Ma che batticuore! La mia vita quotidiana si svolge più o meno così: la giornata inizia con la S. Messa alle 6.00, a cui partecipano i ragazzi e le ragazze che stanno all'ostello e una decina di suore appartenenti a quattro diverse congregazioni. Dopo la S. Messa c'è tempo per  la colazione, per la preghiera delle  lodi e per sbrigare qualche faccenduola prima dell'inizio della scuola alle 8.00. Quando gli alunni entrano  in classe  io mi aggiungo a un gruppo e mi siedo  con  loro ad ascoltare  le  lezioni,  cercando di  capire  ciò  che gli  insegnanti  spiegano. A  seconda della materia e della velocità con cui l'insegnante parla, la mia comprensione varia dal quasi 0% all'80%. Se devo essere sincero, l'80% non capita spesso! Durante gli intervalli faccio qualche chiacchiera con gli studenti. Verso mezzogiorno c'è  il pranzo, a cui  faccio seguire una bella siesta, mantenendo  la buona abitudine che avevo preso in Bangladesh. Nel pomeriggio mi preparo la S. Messa per il giorno seguente, anche se non è il mio turno e poi, se ho tempo, mi faccio una passeggiata fino al confine dove, fra le altre cose, c'è anche un bel mercato in cui si trovano prodotti di artigianato locale, che non compro, ma che mi piace guardare. Normalmente mi riservo l'ultima parte del pomeriggio, prima della cena, per la mia preghiera personale. Dopo cena controllo la posta elettronica e le notizie sul web e, prima di mettermi a letto, mi ripasso un'ultima volta la S. Messa per il giorno seguente, perché la lettura non è facile, e a me non piace leggere se non riesco a far capire alla gente quello che leggo. Naturalmente non tutte le giornate sono così. A volte partecipo a incontri o ritiri con i preti della diocesi o ad altre  celebrazioni,  che  in  Thailandia  non mancano mai.  Alcune  volte  il  padre  Chawin mi  ha  invitato  ad accompagnarlo nelle visite a qualche famiglia, o a qualche giro turistico. Per esempio,  il mese scorso siamo stati a visitare una famiglia cattolica che ha una tenuta in collina a una trentina di chilometri da qui, con diversi ettari di  frutteti e coltivazioni di rose.  Intorno alla  loro tenuta ce ne sono tante altre, per  la maggior parte coltivate a rose. Devo dire che queste estensioni di ettari ed ettari di roseti forniscono un bel colpo d'occhio. Un'altra volta il padre Chawin mi ha portato a delle sorgenti di acqua calda con proprietà terapeutiche, alcuni chilometri oltre le coltivazioni di rose, dove ci siamo fatti un bel bagno rilassante. Spero di poter visitare presto anche uno dei sei campi profughi che ci sono in questa regione. Ho presentato la richiesta all'organizzazione che si occupa dei campi e il permesso dovrebbe arrivarmi da un giorno all'altro. In questi campi, abbarbicati sulle colline,  i profughi birmani sono costretti a rimanere all'interno delle aree recintate che  li delimitano. In ogni campo  il numero di profughi varia da 15.000 a 50.000. L'ONU, e diverse organizzazioni non governative forniscono ai profughi cibo, assistenza sanitaria e istruzione scolastica, perciò 

  • il necessario per vivere c'è, ma  la mancanza di  libertà di movimento è molto pesante per chi è costretto a vivere lì. Un prete birmano, un missionario francese e alcune suore assicurano un minimo di assistenza religiosa ai cattolici presenti nei campi. In giugno il nostro superiore generale, p. Luigi Menegazzo, verrà in Thailandia a predicarci gli esercizi spirituali. Dopo gli esercizi ci sarà  un  incontro  con  il  vescovo  di  Nakhon  Sawan  in  cui  si deciderà il luogo in cui stabiliremo la nostra comunità, anche se il  vescovo  ha  già  ufficialmente  annunciato  ai  preti  che  noi staremo nella parrocchia di S. Giuseppe al Km. 48 (un villaggio a 700 metri di altitudine situato, appunto,  a 48 chilometri a sud di Mae Sot).  Si tratta di una parrocchietta isolata, ultimo avamposto cattolico in quella direzione. Il vescovo vorrebbe che noi cominciassimo a fare delle puntate più a sud, fino ad arrivare alla cittadina di Um Phang, che dista 160 km da Mae Sot. Si tratta di una zona in cui si trovano diversi villaggi Karen, Akha, Hmong e Lisu, che sono popolazioni tribali animiste. Zona missionaria, dunque, e perciò adatta a noi.  Il problema sono  le  lingue diverse che ognuna di queste popolazioni parla. Per fortuna nel nostro gruppo l'unico anzianotto sono io. Gli altri sono tutti giovani e si butteranno con entusiasmo nello  studio di queste  lingue.  Io mi accontento di imparare  la  lingua  thai! Ovviamente  questo  è  il  progetto  del vescovo, che verrà discusso a giugno. Probabilmente saremo in tre a formare la comunità: Thierry, Thiago e io. Alex e Tardelli (il giovane padre indonesiano che arriverà in maggio) resteranno a Bangkok, dove pure c'è da decidere il luogo più adatto per fissare la nostra comunità. Intanto, però, c'è da pensare alla S. Pasqua  imminente.  Io non mi sento ancora pronto a presiedere ai riti del Triduo Pasquale. Starò qui nella parrocchia di Mae Sot ad aiutare il padre Chawin con le confessioni e concelebrerò insieme con lui le liturgie della settimana  santa.  Invece Alex  si è offerto di venire a dare una mano per Pasqua e andrà a Padé, un villaggetto a pochi chilometri da Mae Sot, dove sarà coadiuvato da una suora. Spero  che  questi  giorni  per  i  cristiani  tailandesi  siano  un'occasione  per  incontrare  e  conoscere  più profondamente il Signore Gesù Cristo. Mi sto rendendo conto che qui in Thailandia come, del resto, anche in Italia e in Bangladesh, tanto per limitarmi ai paesi che conosco meglio, c'è un grande bisogno di catechismo e di conoscere il vangelo/bibbia. La maggior parte dei cristiani ha una conoscenza di Dio, di Gesù Cristo e della Chiesa molto superficiale. Ma se non si conosce bene Dio, come si fa ad amarlo e a vivere veramente come figli  suoi?  Se  non  si  conosce  bene Gesù,  come  si  fa  ad  essere  suoi  discepoli?  Il  cristianesimo  rimane  un cristianesimo  superficiale, di  facciata, che non cambia veramente  la nostra vita. Eppure noi abbiamo  tutti bisogno che il Signore, il Signore Risorto, entri nella nostra vita e la trasformi.  Basta che ci guardiamo attorno dove la maggior parte delle notizie che quotidianamente ci arrivano dal mondo non sono molto incoraggianti: corruzione, violenze, guerre, disastri ecologici. Queste notizie sono la conferma che se  l'uomo pretende di costruire  il progresso escludendo Dio e  fidandosi solo della propria  intelligenza, della scienza e della tecnologia ma i risultati sono molto deludenti. Ma noi crediamo nel Cristo Risorto. In questa settimana santa il Signore ci invita a rinnovare la nostra fede in lui e a seguirlo nella via che, passando per il Calvario, ci porta alla pienezza di vita. Sì, Signore, noi crediamo che tu sei  la nostra vita e  la nostra speranza per un mondo migliore, cioè più a misura d'uomo. Aiutaci ad essere testimoni forti e fedeli, perché sappiamo rendere ragione della nostra speranza. Buona Pasqua e un abbraccio a tutti voi.  p. Giovanni Matteazzi 

  •   2° giorno del pellegrinaggio Venerdì 6 settembre 2013 – visita dei luoghi adiacenti al mare di Galilea – vita pubblica di Gesù. 

     Dopo  un’abbondante  colazione,  siamo  partiti  in  pullman,  direzione Mare  di  Galilea  o  Lago  di Tiberiade o Mare di Genezaret (sempre lo stesso lago di acqua dolce chiamato in varie maniere) e percorrendo una strada molto ampia, scendendo gradatamente sino a 210 metri sotto il livello del mare lungo una vallata tutta coltivata e molto fertile, dopo poco meno di un’ora di viaggio, siamo giunti  sulle  rive  del Mare  di  Galilea.  Pochi  luoghi  della  Terra  Santa  sono  così  legati  al  Nuovo Testamento  come  il  Mare  di  Galilea.  In  altri  posti,  2000  anni  di  storia  hanno  trasformato radicalmente  la  topografia:  chiese,  santuari  e  basiliche  sono  state  edificate,  alcune  distrutte, ricostruite di nuovo, ampliate o restaurate; molti villaggi e paesi si sono trasformati in città popolose, mentre altri sono scomparsi, sono apparse strade, autostrade. Invece sul lago, anche se i dintorni non sono sfuggiti a questi cambiamenti, il paesaggio si mantiene quasi inalterato; la contemplazione dei luoghi riposa la vista e rinfranca lo spirito, riempiendo l’anima di una sensazione indescrivibile: il ricordo di Gesù e l’eco delle sue parole, che ancora sembrano risuonare nell’aria, donano al cuore una tranquillità ed una pace senza uguali. In questo  clima di  serenità abbiamo  iniziato  la visita di Tabgha. Posto  situato nelle vicinanze di Cafarnao, a circa 3 km., sulle rive del lago ed ai piedi della Montagna delle Beatitudini. Il nome di Tabgha sembra una derivazione araba dall’originale bizantino Heptapegon, che significa  in greco sette fonti, dovuto alle sorgenti che esistevano allora e che continuano ad essere attive anche oggi. In questa zona, racchiusa in poche centinaia di metri, sono avvenuti episodi tra i più significativi della vita pubblica di Gesù: ‐ lì avrebbe moltiplicato i cinque pani e due pesci per dare da mangiare a una moltitudine   (Cfr. Mt 14,13‐21;  Mc 6,32‐44; Lc 9,12‐17; Gv 6,1‐15) ‐ lì avrebbe pronunciato il Discorso della Montagna che inizia con le Beatitudini   (Cfr. Mt 5,1‐11; Lc 6,17‐26) ‐ lì sarebbe apparso agli Apostoli dopo la resurrezione, quando avvenne la seconda pesca   miracolosa   e confermò San Pietro come Capo della Chiesa (Cfr. Gv 21,1‐23).  La prima cosa che abbiamo visitato è stata la chiesa detta della Moltiplicazione dei Pani e dei Pesci.  Eretta nel 1982 dai Padri Benedettini, il pavimento di mosaico, di fronte all’altare, simbolizza i pani e i pesci e nel transetto ci sono splendidi mosaici che raffigurano uccelli acquatici e piante. Poco distante, sulla riva del lago, si trova la Chiesa del Primato, costruita dai francescani nel 1933 sopra i resti di due chiese più antiche. Entrambe le chiese avevano al centro una pietra chiamata dai pellegrini Mensa Christi, tuttora venerata davanti all’altare, come il posto dove mangiarono Gesù e gli Apostoli. La Chiesa, eretta dai Francescani, ricorda  il  luogo  in cui Gesù, dopo  la  resurrezione, confermò Pietro come pastore supremo della Chiesa ‐ quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro “Simone,  figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?”. “Certo, Signore, tu  lo sai che ti voglio bene”. Gli disse “Pasci  i miei agnelli”. Gli disse di nuovo, per  la seconda volta: “Simone,  figlio di Giovanni, mi ami?”. Gli rispose: “Certo Signore, Tu lo sai che ti voglio bene” Gli disse: “Pascola le mie pecore”. Gli  disse  per  la  terza  volta:  “Simone,  figlio  di Giovanni, mi  vuoi  bene?”.  Pietro  rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse mi vuoi bene?, e gli rispose: “Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene”. Gli rispose Gesù: “Pasci le mie pecore” (Giovanni 21,15‐17).>   

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     Tabgha – Interno della Chiesa del Primato, la Mensa Christi 

     All’esterno della Chiesa del Primato, sul lato sud, si trova una scala scavata nella roccia, dalla quale, secondo la tradizione, Gesù Risorto avrebbe indicato agli Apostoli che erano sulla barca di gettare le reti alla loro destra, come narra Giovanni nel suo Vangelo: “Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò”. Gesù disse loro: venite a mangiare. E nessuno dei discepoli osava domandargli: chi sei?, percè sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro e così pure il pesce.  Era  la  terza  volta  che  Gesù  si manifestava  ai  discepoli,  dopo  essere  risorto  dai morti” (Giovanni 21,2‐14). Al  termine di questa visita,  siamo  saliti  su un barcone che  lentamente ci ha portati a Cafarnao. Appena saliti a bordo è stata issata la bandiera italiana e, tra lo stupore generale, hanno suonato, e noi  cantato,  l’inno  “Fratelli  d’Italia”.  Lungo  il  tragitto  è  stato  rievocato  il miracolo  della  “pesca miracolosa”. Gettate le reti sul lato destro della barca, purtroppo sono stati pescati e issati a bordo soltanto quattro pezzetti di  legno e qualche alga che si era  impigliata nelle maglie della rete, tra l’ilarità di tutti noi. Tutto questo, però, è servito per distrarci e rilassarci, per qualche momento, dalla  impegnativa  attenzione  prestata  durante  le  visite  precedenti. Giunti  a  Cafarnao  abbiamo visitato  i resti di una città che era stata completamente distrutta dagli arabi nel settimo secolo e quando il sito fu acquistato dai Francescani nel 1891, non era altro che una terra incolta cosparsa di pietre  intagliate  “E  tu Cafarnao,  sarai  forse  innalzata  fino al Cielo?  Fino agli  Inferi precipiterai” 

  • (Matteo 11,23).    Interessante è stata  la visita alla casa di San Pietro, scoperta sotto  i ruderi della chiesa bizantina, come attestano le iscrizioni in aramaico, greco e latino dei graffiti sui muri. Sopra è stata eretta dai Padri Francescani una Chiesa moderna, costruita in fretta senza pretese, al fine di impedire  l’esproprio del sito da parte del governo  israeliano. Ma, soprattutto più  interessante, è stata la visita della sinagoga, con ancora delle parti in buono stato. I resti di calcare bianco con le sue  colonne  slanciate,  i  fregi decorati e  i pilastri  incisi, provano  che  si  trattava di una delle più elaborate sinagoghe antiche della Galilea. Qui Gesù incontrò i suoi primi discepoli: Pietro, Andrea, Giacomo, Giovanni e Matteo,  tutti pescatori che  lavoravano sul Mare di Galilea. Gesù, qui e nei dintorni, fece molti miracoli: sanò la suocera di Pietro dalla febbre, resuscitò un bambino, curò un lebbroso, guarì il servo del centurione e “scacciò gli spiriti con la sua parola e guarì tutti i malati” (Matteo 8,16). 

     Cafarnao – I resti della Sinagoga 

      All’uscita del sito di Cafarnao c’era ad aspettarci il pullman per il trasferimento a Magdala, piccola cittadina  sulla  sponda  occidentale  del  Lago  di  Tiberiade,  paese  di Maria Maddalena  (il  nome 

  • Maddalena  deriva  da  “Magdala”). Qui  abbiamo  pranzato  a  base  di  pesce,  pescato  nel  lago  di Tiberiade. Finito di mangiare ci è stata consentita una breve sosta digestiva per poi proseguire sul vicino Monte  delle  Beatitudini. Questa  è  la  collina  dalla  quale Gesù  declamò  quello  che  viene definito il “discorso della montagna”, durante il quale, secondo Matteo (Mt.6,5‐13), Gesù insegnò a pregare il “Padre Nostro”. Sulla sommità è stata costruita nel 1935, dai Frati Francescani, la Chiesa delle Beatitudini. Di forma ottagonale richiama le nove beatitudini di cui otto sono riportate sulle pareti dell’ottagono e la nona sulla cupola. Il paesaggio crea un anfiteatro naturale che degrada fino alla riva del lago, un quieto paradiso con una magnifica vista. La pace che si respira in questo luogo ha raggiunto il culmine quando ci siamo accomodati all’interno del parco, all’ombra di alberi secolari e Don  Silvio ha  celebrato  la  S. Messa.  Infine,  con grande  soddisfazione d’animo, abbiamo  fatto rientro all’albergo di Nazareth per cenare e scambiarci insieme le nostre sensazioni provate durante questa bellissima giornata.   

     Monte delle Beatitudini – La Basilica 

      

    Quando la biancheria della tua vicina ti sembra sporca, prova a dare una ripulita alle

    lenti dei tuoi occhiali.

    Notizia sensazionale: l’effetto serra non deve far più paura, perché sarà mitigato dal

    raffreddamento sempre più avvertibile dei rapporti internazionali.

  • Il 30 marzo il gruppo dei giovani preadolescenti della nostra parrocchia ha compiuto l’ultimo gesto della professione di fede insieme ai loro coetanei del decanato di Luino.

    Al mattino li abbiamo visti partecipare copiosi alla santa messa delle 11 e poi ad un pomeriggio di svago con pic-nic al campo sportivo di Poppino.

    Per completare la preparazione al gesto, il decanato di Luino, insieme a tutta la diocesi di Milano (8500 ragazzi), ha poi partecipato al consueto pellegrinaggio a Roma.

    Due sono stati i momenti più importanti dal punto di vista spirituale: la S. Messa in Vaticano presieduta da S.E. Card. Angelo Comastri, Arciprete della Basilica di San Pietro il 22 aprile, e l’incontro con Papa Francesco durante l’udienza generale mercoledì 23 aprile.

    La S. Messa con il Card. Comastri era solo per i ragazzi della Diocesi di Milano ed è stato entusiasmante essere lì nella Basilica tutti insieme a due passi dalla tomba di Pietro.

    Il Cardinale ci ha fatto riflettere sul fatto che ciascuno di noi ha un dono che va fatto fruttificare, forti

    dell’amore che Dio ha per noi. Ha fatto poi rabbrividire quando come esempio ha parlato della vita umile e semplice di San Giovanni Paolo II. Con che preponderante passione ha portato avanti la sua fede quando era Vescovo di Cracovia anche a rischio della propria vita. E ancora, non curante di sé nelle ultime ore di vita già moribondo, contro il parere di medici e quelli che si occupavano di lui, si è alzato quell’ultimo mercoledì, in occasione dell’udienza perché non voleva deludere la gente che in piazza si stava già riversando per pregare per lui.

    Altro forte momento di partecipazione per i ragazzi è stata l’udienza con Papa Francesco. Quella mattina siamo usciti presto dall’albergo, per poter occupare un posto vicino alle transenne dove forse il Papa sarebbe passato con la papamobile.

    Così è stato. Dopo due ore di attesa, di cui una sotto la pioggia, è passato e con nostra grande meraviglia si è fermato proprio davanti a noi, sorridendo e benedicendo la folla di persone. Tutti lo chiamavamo: “Francesco” e lui ci ha guardato, sorriso, benedetto e poi è andato avanti per non deludere e concedersi anche a quella fiumana di gente che quel giorno stava lì con noi in san Pietro.

    Per sempre resterà nei nostri cuori la frase ripetuta con lui per tre volte: Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Questo il compito di tutti noi essere portatori di Vita.

    Elena 

  • quanto ci dicono due versi del vangelo… Giovanni  13,4  “  si  alzò  da  tavola,  depose  il mantello e preso un asciugatoio se lo cinse in vita, versò dell’acqua nel catino e cominciò a  lavare  i piedi ai discepoli”. 

    In questo gesto è racchiuso il progetto di salvezza del Padre al quale si dona liberamente Gesù. Con questo geto Gesù vuole  che anche noi  facciamo della nostra vita un dono d’amore.  

    Dopo aver spezzato il pane “si alza da tavola”, così anche per noi  la S. Messa ci deve spingere fuori, deve  sollecitarci  all’azione.  Se  non  ci  si  alza  da tavola  la  comunione  con  il  Signore  rimane incompiuta.  La  celebrazione  dell’eucaristia  deve essere di domenica in domenica una ripartenza; ci 

    deve  spingere  fuori nella  comunità  con una  vita operosa al servizio dell’altro ma senza fare troppo rumore  e  con  l’amore per Dio  e  il  prossimo nel cuore e nelle opere. 

    È nutrendoci dello corpo di Cristo che riceviamo la forze di vivere come Lui ci ha insegnato. Anche noi come Gesù dobbiamo deporre prima le festi e far morire dentro di noi tutto quello che ci allontana da  Lui:  l’interesse  personale,  il  calcolo,  il tornaconto  e  poi  indossare  i  panni  dell’umiltà, della semplicità e della generosità.  

    Muniamoci di grembiuli, acqua e brocche per dare passione  all’annuncio  del  Vangelo,  per  dare  la pace vera ed eterna alla nostra speranza!

       

      

    1.  2. Il più bello e importante è stato la partecipazione e collaborazione di parecchi al Triduo Sacro, alla 

    Veglia Pasquale e alla S. Pasqua (la festa che dà origine a tutte  le feste  ‐ prefazio)  in particolare  i ragazzi, chierichetti o apostoli,  le Catechiste,  i cantori ed  i  lettori e Carlo e Alice all'organo e  il nostro Enrico tuttofare e tanti altri ... 

    3. il 50 di Matrimonio di una famiglia per Sant'Angelo  4. I quattordicenni a Roma, una decina,  con  le mamme 

    catechiste che ringraziamo di cuore per il loro impegno e dedizione per i 3 giorni col decanato assieme agli 8500 preadolescenti della Diocesi   

    5. Infine  il  25  aprile  l'esperienza  sia  pur  breve  da  don Lorenzo Milani a Barbiana  (Fi) con don Giorgio e una decina di giovani che ringrazio di cuore per l'aiuto e ia collaborazione 

    25 Maggio ‐ 1ª S. Comunione 

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    Quella del viaggio in un giorno da don Lorenzo Milani, da me tanto desiderato, con don Giorgio e una decina di giovani al riguardo si possono vedere sul forum del sito parrocchiale citazioni e riflessioni. Basti pensare che ad ormai quasi 50 anni dalla sua morte ed in una località sperduta che non si trova sulle cartine d’Italia, scomoda da raggiungere o con sole macchine o piccoli furgoni, non mancano mai parecchi gruppi e persone che lo visitano tutti i giorni …. Avrei moltissimo da dirvi. A me ha fatto e sta facendo moltissimo bene …. 

    Un’altra esperienza di cui vorrei parlarvi è quella di ANGELA G. di Porlezza. 

    Alcuni giorni fa è morto, dopo più di 30 anni di malattia e sofferenza causati da un incidente con la moto, suo fratello Algo e mentre diceva il S. Rosario davanti alla sua bara, ella è uscita  con questo pensiero  “è andato  su dritto  in Cielo  cioè  in Paradiso”  ed a me è venuto spontaneo di dirle anche tu sei sulla stessa strada; per chi non la conosce basti pensare che ha la terza ed ultima figlia di una quarantina di anni gravemente disabile dalla nascita, 5 anni fa le è morto il marito della mia stessa età, aveva 67 anni, dopo alcuni anni di infermità per un ictus. Infine questo fratello Algo da più di 30 anni ricoverato e morto in questi giorni. 

    Infine  ieri  ricorrevano  2 mesi  della morte  di  don  Walter,  parroco  di Porto  Valtravaglia  e  Domo Valtravaglia un bravo,  generoso  ed umile prete. Per chi vuole avere più informazioni  può  accedere  al  sito della  parrocchia  dove  si  possono leggere diverse testimonianze. 

    Per me  questi  sono  segni  di  Cristo risorto  e  vivo  che  fa  i  Santi  della porta  accanto  o  nascosti  come  ha recentemente detto anche papa Francesco. 

    Queste cose  le ho un po’ accennate nelle omelie di queste domeniche perché a me hanno fatto e fanno bene e mi stimolano a “non perdere la speranza”, come tante volte ci incoraggia il Papa. Una preghiera vicendevole 

    don Ilario 

    Don Walter parroco di Domo e Porto Valtravaglia