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Gli autoriAlberto Barbieri, Giulia Anita Bari, Serena Fondelli, Laura Del Matto, Mariarita Peca. Il capitolo L’analisi giuridica è a cura di Asgi e Ltpd (Salvatore Fachile, Chiara Pittaluga, Enrica Rigo, Cecilia Momi).

Il team Medu sul terreno Giulia Anita Bari (coordinamento), Serena Fondelli e Laura Del Matto (medici), Boubker El Hafian, Lamine Bodian, Rachid Bensadi, Ibrahim Guene, Mamadou Dia (mediatori culturali).

Il team Medu di RomaAlberto Barbieri e Mariarita Peca (coordinamento), Francesca Fasciani (comunicazione), Roseli Petry (amministrazione).

Fotografia in copertina Serena Fondelli e Mariarita Peca.

Immagini all’interno del rapporto Fotografie del team di Medu.

Un vivo ringraziamento alla Flai-Cgil, a SOS Rosarno, alla Caritas, all’Osservatorio Migranti Basilicata, alle as-sociazioni Fuori dal Ghetto e InMigrazione per la preziosa collaborazione; a Coldiretti, Confagricoltura e alleistituzioni locali e regionali per il costruttivo confronto; ad Anselmo Botte, Giovanna Basile, Francesco e Maria,Rosa, Giovanni, Gabriele, Giuseppe, Arturo, Toni, Nino e Gervasio per il supporto amico e costante; a Har-bhajan Ghuman per la calorosa accoglienza presso il tempio sikh di Sabaudia; ad Antonello Mangano peraver contribuito con la sua analisi a questo rapporto; a Salvatore Fachile, Enrica Rigo, Chiara Pittaluga eCecilia Momi per il percorso fatto insieme; allo staff e ai volontari del progetto Un camper per i diritti di Medu.

Un ringraziamento particolare alla Fondazione Con il Sud, alla Fondazione Charlemagne, alla FondazioneNando Peretti e a Open Society Foundations per aver creduto in questo progetto e averlo sostenuto; ad Asgie Ltpd per aver contribuito alla sua realizzazione.

Medici per i Diritti Umani desidera, infine, ringraziare tutti coloro che hanno collaborato all’indagine fornendoinformazioni e testimonianze. In particolare, gli uomini e le donne, italiani, africani, bulgari, romeni incontratiin questo lungo viaggio nel Meridione d’Italia che, accettando di raccontare la propria storia, hanno contribuitoin modo fondamentale alla realizzazione di questo rapporto.

Per informazioni:Medici per i Diritti Umani [email protected] www.mediciperidirittiumani.org

Medici per i Diritti Umani (MEDU) è un’organizzazione umanitaria e di solidarietà internazionale senza finidi lucro, indipendente da affiliazioni politiche, sindacali, religiose ed etniche. MEDU si propone di portareaiuto sanitario alle popolazioni più vulnerabili, nelle situazioni di crisi in Italia e all’estero, e di sviluppare,all’interno della società civile, spazi democratici e partecipativi per la promozione del diritto alla salute edegli altri diritti umani. L’azione di Medici per i Diritti Umani si basa sulla militanza della società civile, sul-l’impegno professionale e volontario di medici e altri operatori della salute, così come di cittadini e profes-sionisti di altre discipline.

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INDICE

PREFAZIONEDue o tre nomi che nessuno pronuncia di Antonello Mangano

INTRODUZIONE

METODOLOGIA

MAPPA PROGETTO TERRAGIUSTA

I LUOGHI D’INTERVENTOCALABRIA - Piana di Gioia Tauro

La raccolta degli agrumi nella Piana dimenticata1.1 Il contesto

1.2 Lʼintervento di Medu

1.3 Il lavoro nero tra cottimo e giornata

1.4 Lʼaccoglienza tra tende, fabbriche e casolari abbandonati

1.5 La salute e gli ambulatori STP

1.6 Conclusioni

INTERVISTEIntervista a Elisabetta Tripodi Sindaco di Rosarno

Intervista ad Angelo Politi Direttore provinciale Confagricoltura Reggio Calabria

TESTIMONIANZE

CAMPANIA - Piana del SeleLo sfruttamento dei braccianti nella “California d’Italia”2.1 Il contesto

2.2 Lʼintervento di Medu

2.3 Lavoro grigio e caporalato

2.4 La salute e la mancata integrazione

2.5 Conclusioni

INTERVISTEIntervista a Salvatore Loffreda Direttore federazione provinciale Coldiretti Salerno

Intervista ad Anselmo Mario Botte Segreteria Confederale Cgil Salerno

TESTIMONIANZE

BASILICATA - Vulture-Alto BradanoLa raccolta del pomodoro tra lavoro grigio, caporalato e tentativi di accoglienza3.1 Il contesto agricolo

3.2 Lʼintervento di Medu

3.3 Dalla zappa alla raccolta “a cassone”

3.4 La vita tra casolari e centri di accoglienza

3.5 Le condizioni di salute e lʼambulatorio “stagionale” di Venosa

3.6 Lʼesperienza della Task Force della Regione Basilicata

3.7 Conclusioni

INTERVISTEIntervista a Pietro Simonetti Responsabile Task Force della regione Basilicata

Intervista a Gervasio Ungolo Agricoltore e portavoce dellʼOsservatorio Migranti Basilicata

TESTIMONIANZE

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PUGLIA - La CapitanataCapo free ghetto off, un progetto rimasto inattuato 4.1 Il contesto

4.2 Il lavoro nero tra cottimo e giornata

4.3 La vita in un ghetto

4.4 Lʼesperienza della Task Force della Regione Puglia

4.5 Conclusioni

INTERVISTEIntervista a Guglielmo Minervini Assessore Regione Puglia

Intervista a Padre Arcangelo e Concetta Notarangelo Associazione “Io ci sto”

LAZIO - L’Agro PontinoIl Punjab pontino: irregolarità e sfruttamento tra campi e serre5.1 Il contesto

5.2 Lʼintervento di Medu

5.3 Il lavoro grigio e il pagamento ad ore

5.4 Le condizioni di vita e di salute

5.5 Conclusioni

INTERVISTEIntervista a Marco Omizzolo Sociologo e membro dellʼassociazione In Migrazione Onlus

Intervista ad Alberto Vicinanza Responsabile amministrativo dellʼazienda Agrilatina

TESTIMONIANZE

TERRITORI A CONFRONTONazionalità

Presenza in Italia

Lingua italiana

Istruzione

Status legale

Contratti di lavoro

Caporalato

Condizioni abitative

Integrazione sanitaria

Il profilo epidemiologico

L’ANALISI GIURIDICAL’impatto della Direttiva 52/2009/CE sul fenomeno dello sfruttamento lavorativo tra i braccianti agricoli a cura di Asgi e Ltpd 1. Principi ispiratori della direttiva: tra contrasto allʼimmigrazione irregolare e riconoscimento dei diritti

2. D.lgs 109/12, un esaustivo recepimento degli strumenti introdotti dalla direttiva?

3. I lavoratori migranti nel settore agricolo e lʼambito di applicazione della direttiva

4. Conclusioni

Il recepimento della direttiva 2009/52/CE negli Stati membri

CONCLUSIONI E RACCOMANDAZIONI

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Yacouba, del Niger, non ha mai avuto i documentida quando è in Italia. Ma lavora con un contratto. Sti-pulato con i documenti di un suo amico. Una storia chefa comprendere cosa sono le regole in Italia, quelle che“loro” dovrebbero rispettare. Un magma senza formache si adatta in base alle convenienze, ai rapporti diforza, al cinismo del padrone.

Il contratto, ovviamente, serve al “datore di lavoro”come scudo per le verifiche. È una pura formalità, unpezzo di carta straccia per il lavoratore. Ma, per la con-troparte, è la sicurezza che in caso di controlli neuscirà pulito.

Questo è quello che succede nelle campagne ita-liane. Dove oggi non troviamo quasi mai irregolari marifugiati e cittadini europei. Cioè tutti quelli che ruotanointorno alle richieste d’asilo e che spesso sono costrettia restare in Italia dal regolamento Dublino. Oppure bul-gari e rumeni, membri Ue.

La causa e l’effettoIl rapporto Medu racconta di una vera emergenza

umanitaria. Dal Ghetto di Rignano (Foggia) alle ba-raccopoli-tendopoli di Rosarno (Reggio Calabria)fino all’area di Latina. Sono il frutto di un modo diproduzione che in tutta l’Europa del Sud ha le stessecaratteristiche:• uso intensivo di manodopera migrante altamente ri-

cattabile (a causa di status giuridici precari e as-senza di diritti stabili riconosciuti);

• situazioni abitative al di sotto degli standard minimidella dignità umana (tuguri fatiscenti, tendopolisenza riscaldamenti, baraccopoli, container, ...);

• bassa intensità di capitale e alta intensità di lavoro; • “cultura imprenditoriale” basata sull’illegalità;• necessità di forza lavoro molto flessibile, specie

nelle raccolte (pomodoro, arance, frutta, vendem-mia) per brevi periodi di tempo;

• manodopera organizzata in squadre e capisquadra,con conseguente ricorso al caporalato;

• luoghi di lavoro estremi (stalle, serre, campagne iso-late, spesso in stato vera segregazione);

• violenza endemica: mancati pagamenti e minacce;aggressioni fisiche; razzismo violento di matrice cri-minale; riduzione in schiavitù; persino sfruttamentosessuale.

Gli invisibiliSecondo la retorica umanitaria sono “gli invisibili”.

Oppure gli schiavi. O ancora i disperati. La questionedel lavoro migrante in agricoltura è affrontata quasisempre all’insegna del paternalismo.

Ma gli invisibili delle campagne esistono davvero.Sono le multinazionali del pomodoro e del succo difrutta. Sono i padroni dei vini pregiati. Sono gli interme-diari mafiosi padroni di aziende. E poi i commerciantidella grande distribuzione. Sono anche le agenzie in-ternazionali di fornitura della manodopera.

Personaggi appartenenti all’economia ufficiale chenon hanno timore di contaminarsi con gli abissi dellosfruttamento. E spesso della criminalità. Quello checonta è l’economicità del prodotto. L’assenza di sinda-cato. Il basso costo del lavoro.

I tentativi di premiare le aziende che rientrano nellalegalità, come avvenuto per esempio in Puglia, sonogeneralmente falliti. Pochissimi sono i padroni che ade-riscono, evidenziando che lo sfruttamento e la viola-zione delle regole sono un’abitudine che non siscalfisce con gli “incentivi”.

Ma anche i tentativi di “soccorrere gli schiavi” risul-tano paradossali. Un’operatrice di un’associazioneumanitaria, a proposito di alcuni migranti da inserire neiprogrammi di protezione, disse: “Non sono abbastanzasfruttati per essere tutelati”. In altre parole non esistepiù una difesa ordinaria dei diritti. Solo programmi diemergenza per spaventose violazioni: grave sfrutta-mento, riduzione in schiavitù.

PREFAZIONEDue o tre nomi che nessuno pronunciadi Antonello Mangano

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Rimangono senza protezione il sottosalario, lepaghe non corrisposte, le umiliazioni giornaliere el’eterno ricatto di rimanere senza lavoro.

L’aspetto più spaventoso è la normalità dello sfrut-tamento. Nel Lazio, incredibilmente, si segnala chel’azienda legata alla Camorra è più attenta al rispettodelle regole per evitare controlli e indagini sui patrimoni.La ditta “ordinaria”, invece, usa manodopera gratuitagrazie alle leggi in vigore che costringono a partire conun contratto di lavoro in mano. Regole surreali, mai ap-plicate se non dai truffatori che scambiano il contrattoe il permesso con un debito di migliaia di euro che i la-voratori del Punjab estinguono in anni di lavoro gratuito.Producendo gli ortaggi che andranno a finire nei mer-cati della Capitale.

Il lavoro contrappostoDopo aver visto decine di accampamenti e luoghi

degradati sembra quasi normale associare gli africanialle bidonville delle campagne italiane. E qualcuno fi-nisce col pensare che gli africani non siano in grado divivere in normali appartamenti: «Al loro paese sono abi-tuati così». Niente di più falso. La causa viene scam-biata con l’effetto.

Tantissimi vivevano in case normalissime in cui tor-navano al termine dell’orario di fabbrica. L’impoveri-mento è stato brutale, ma non diverso dal peggiore deinostri incubi. Immaginate un welfare sempre più inde-bolito; genitori che invecchiano e non sostengono più ifigli; padroni che allargano le braccia e sostengono diessere a loro volta sfruttati; pregiudizi che vi colpevo-lizzano.

È quello che sta accadendo al lavoro italiano, unprocesso di lenta e progressiva “rosarnizzazione”. Losfruttamento del migrante è stato solo il laboratorio diun processo che trasforma il cittadino in braccia abasso costo. Un processo che ci ha investito in pieno.

Le campagne sono lontane dai riflettori dei “grandi”media e dagli interessi dei politici. Ma sono anche luo-ghi di elaborazione di risposte ai problemi della casa edel lavoro. Temi che fino a qualche tempo fa sembra-vano lontani per molti italiani.

Ci hanno detto che gli accampamenti di Rosarnoerano un problema umanitario, una questione di sensi-bilità. Oggi quel modello ci ferisce senza distinzioni.Chiamatelo caporalato, chiamatela esternalizzazione.La sostanza è un sistema a strati in cui il livello supe-riore scarica sull’inferiore disagi, costi e problematiche.Oggi quel sistema è la normale economia. Eppurenell’abisso di un dolore e di un degrado apparente-mente senza rimedio, è spesso nata la speranza. Dovetutti vedevano “l’inferno”, c’era la scintilla di nuovi dirittida conquistare per tutti. Solo la ribellione dei migranti(sciopero di Nardò, rivolte di Rosarno e Castel Volturno)ha fatto scoprire agli italiani come viene prodotto il ciboche arriva sulle nostre tavole. E fino a che punto è arri-vata l’erosione dei diritti.

Nonostante quello che dicono i padroni, il sottosa-lario non è frutto della crisi, ma una “opportunità” creatada leggi vessatorie, manodopera ricattabile, debolezzadelle organizzazioni sindacali. E soprattutto dall’ideache il lavoro migrante è un’altra cosa rispetto a quelloitaliano. Addirittura contrapposto.

Nel rapporto si legge che nell’area di Rosarno cisono due o tre grosse aziende del succo d’arancia, glispremitori. La manodopera è gestita da due o tre grossicaporali. In zona operano due o tre grossi commer-cianti. Le multinazionali dell’aranciata, vere oligopoliste,sono appena tre. Sono i nomi che nessuno pronuncia.

In questo elenco c’è una ricchezza concentrata.Non distribuita. In questi numeri la causa del disastroumanitario che osserviamo impotenti ogni inverno.

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Calabria. Un lavoratore agricolo nel casolare dove vive (Medu/marzo 2014)

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Nel 2013 sono stati più di 320mila gli immigrati,provenienti da 169 diverse nazioni, impegnati rego-larmente nelle campagne italiane. Questi hannosvolto circa 26milioni di giornate di lavoro pari al23,2% delle giornate dichiarate complessivamente,tra italiani e stranieri, in quell’anno1. Come ammetteColdiretti, tra le principali organizzazioni degli im-prenditori agricoli in Italia, “gli stessi distretti pro-duttivi di eccellenza del Made in Italy possonosopravvivere solo grazie al lavoro degli immigrati,dalle stalle del nord dove si munge il latte per il Par-migiano Reggiano alla raccolta delle mele della Valdi Non, dal pomodoro del meridione alle grandi uvedel Piemonte”. Ancora, secondo i dati Eurispes, illavoro sommerso riguarda il 32% del totale dei di-pendenti del settore agricolo2, di cui circa 100mila,per lo più stranieri, sono sottoposti a gravi forme disfruttamento e costretti a vivere in insediamenti mal-sani e fatiscenti. La presenza di un numero consi-stente di braccianti stranieri impiegati in modostagionale, soprattutto nella fase della raccolta e neilavori meno qualificati, si inserisce, dunque, all’in-terno di un quadro molto articolato dove l’apporto deilavoratori immigrati risulta decisivo per il funzionamentodell’agricoltura italiana.

In questi anni sono state numerose le indagini e lericerche3 che hanno denunciato condizioni di vita edi lavoro inaccettabili per i lavoratori stranieri nellecampagne d’Italia, in particolare nel Meridione: lavoronero o segnato da gravi irregolarità contributive, sot-tosalario, caporalato, orari eccessivi di lavoro, man-cata tutela della sicurezza e della salute, difficoltànell’accesso alle cure, situazioni abitative ed igienico-sanitarie disastrose. Del resto, un quadro così preoc-cupante è stato segnato a tutti i livelli dall’incapacitàistituzionale di dare risposte credibili. Istituzionispesso obbligate a uscire da un atteggiamento

d’inerzia e indifferenza solo quando la gravità dellaquestione si è affacciata al dibattito nazionale in oc-casione di episodi eclatanti che hanno mostrato “lapunta dell’iceberg”. Pensiamo alla rivolta di Rosarnodel 2010 o al primo sciopero dei braccianti immigratinelle campagne di Nardò nel 2011. Ed è proprio daun primo intervento nella tendopoli/baraccopoli di Ro-sarno, luogo di umiliazione di ogni diritto, che prendeforma nel 2013 il progetto Terragiusta.

In qualità di organizzazione umanitaria indipen-dente, Medici per i Diritti Umani (Medu) si propone diportare aiuto sanitario alle popolazioni vulnerabili e diindividuare e denunciare, a partire dalla pratica me-dica, le violazioni dei diritti umani e gli ostacoli nell’ac-cesso alle cure. Il progetto Terragiusta. Campagnacontro lo sfruttamento dei lavoratori migranti in agricol-tura realizzato da Medu in collaborazione con l’Asso-ciazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi)e il Laboratorio di Teoria e Pratica dei Diritti dell’Uni-versità di Roma Tre (Ltpd) si pone l’obiettivo di promuo-vere la tutela della salute e delle condizioni di lavorodei migranti impiegati nel settore agricolo in alcuni deiterritori più critici del Mezzogiorno d’Italia. L’interventoha anche la specifica finalità di migliorare la cono-scenza, l’accesso e la fruizione dei diritti fondamentalidei lavoratori migranti, in particolare del diritto alla sa-lute e dei diritti sul lavoro. Oltre l’intervento umanitario,il progetto si è proposto di andare a conoscere più inprofondità le dinamiche di ciascun territorio e di capirese qualcosa sta cambiando in questo quadro di emar-ginazione e sfruttamento. Il rapporto Terraingiustanasce proprio da questo lavoro d’indagine.

Per undici mesi, da febbraio a dicembre 2014, leunità mobili di Medici per i Diritti Umani hanno pre-stato prima assistenza medica e orientamento socio-sanitario in differenti territori dell’Italia meridionale e

INTRODUZIONE

1 I lavoratori agricoli stranieri, Romano Magrini (Coldiretti) in Dossier Statistico Immigrazione 2014, a cura del Centro Studi e Ricerche IDOS/Immigrazione Dossier Statistico(ottobre 2014), p. 277.

2 Sottoterra. Indagine sul lavoro sommerso in agricoltura. Eurispes, Uila, 2014, p.7.3 Si veda, ad esempio: I frutti dell’ipocrisia, Medici Senza Frontiere (2005); Una stagione all’inferno, Medici Senza Frontiere (2008); Agromafie e caporalato, a cura dell’Osservatorio

Placido Rizzotto Flai-Cgil (2012 e 2014); Lavoro sfruttato. Due anni dopo, Amnesty International (2014).

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centrale. Seguendo il ciclo delle stagioni agricole, iteam di Medu si sono spostati dalla Piana di GioiaTauro in Calabria alla Piana del Sele in Campania,dal Vulture Alto Bradano in Basilicata all’Agro Pon-tino nel Lazio. Nel periodo estivo è stata inoltre mo-nitorata la raccolta del pomodoro nella Capitanatain Puglia. Sono stati intervistati 788 migranti, deiquali 744 hanno ricevuto assistenza sanitaria per untotale di 876 consulti medici. Asgi e Ltpd hanno inol-tre svolto un’accurata analisi della cosiddetta LeggeRosarno e della sua efficacia nel contrasto dellosfruttamento lavorativo a circa due anni dalla suaemanazione.

Questo rapporto è dunque il frutto di testimonianzee dati raccolti a partire dalla pratica sanitaria sul terreno.Un’indagine che, senza avere la pretesa di essere unlavoro con valenza statistica, può tuttavia rappresentareun valido strumento per la comprensione del fenomenodello sfruttamento dei braccianti immigrati in alcuni ter-ritori significativi del Mezzogiorno d’Italia. In questosenso Terraingiusta vuole essere una fotografia della si-tuazione attuale con le sue criticità più gravi, i tentatividi cambiamento, le poche buone pratiche e le possibilisoluzioni. Un lavoro che, per usare un’espressione diDavide Lajolo, poeta e contadino, ha cercato di “guar-dare l’erba dalla parte delle radici”.

La clinica mobile di Medu durante l’attività di assistenza sanitaria presso un casolare abbandonato nel comune di Taurianova (Medu/marzo 2014)

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Questo rapporto è stato realizzato nell’ambito delprogetto Terragiusta. Campagna contro lo sfrutta-mento dei lavoratori migranti in agricoltura. Il progetto,focalizzato su cinque regioni dell’Italia meridionale ecentrale (Calabria, Campania, Basilicata, Puglia eLazio), ha previsto una fase preliminare in cui, perogni regione, è stata individuata una zona specificad’intervento sulla base dei seguenti criteri: gravitàdelle condizioni di sfruttamento sul lavoro, con parti-colare attenzione alle conseguenze in termini di tuteladella salute; criticità delle condizioni alloggiative e diaccoglienza; carenza di organizzazioni ed enti di tu-tela territoriali. Le zone d’intervento sono state inoltredefinite tenendo conto degli spostamenti che i brac-cianti immigrati effettuano su base stagionale se-guendo il ciclo agricolo.

In tre delle zone individuate è stato poi implemen-tato un servizio medico di prossimità in concomi-tanza con la stagione di maggior afflusso di lavoratorimigranti: la Piana di Gioia Tauro in Calabria (feb-braio-marzo e novembre-dicembre), l’area del Vul-ture-Alto Bradano in Basilicata (luglio-ottobre) e laPiana del Sele in Campania (aprile-luglio). Un teamdi Medu composto da una coordinatrice, un medicoe dei mediatori culturali (questi ultimi individuati inbase alle nazionalità prevalenti nei singoli contesti),si è avvalso di un’unità mobile attrezzata ad ambula-torio per lo svolgimento delle attività quotidiane di as-sistenza medico-umanitaria, operando in strettocollegamento con gli operatori di Asgi (un avvocatoe un consulente giuridico) e del Laboratorio di Teoriae Pratica dei Diritti dell’Università di Roma Tre (un av-vocato coordinatore, un esperto legale e due stu-denti) per quanto concerne il supporto legale e ilmonitoraggio delle prassi di accesso ai diritti. In Pu-glia il team ha realizzato un monitoraggio di tre mesi(luglio-ottobre) nella provincia di Foggia mentre nelLazio una seconda equipe, composta da una coor-dinatrice e da medici ed operatori socio-legali volon-tari, ha svolto un intervento-assessment di unasettimana nell’Agro Pontino.

Nei quattro contesti di intervento diretto (Calabria,Campania, Basilicata, Lazio) il team di Medu ha svoltoun servizio di prossimità a bassa soglia, mappando eraggiungendo gli insediamenti abitativi dei lavoratoriimmigrati, prestando prima assistenza medica, for-nendo informazioni e orientamento socio-sanitario. Attraverso la compilazione di una scheda socio-ana-grafica e di una scheda clinica per ogni paziente visi-tato, il team ha inoltre effettuato un monitoraggio dellecondizioni socio-sanitarie dei lavoratori, con particolareattenzione alla rilevazione dei dati epidemiologici, allarelazione tra condizioni lavorative e condizioni di salute,allo status giuridico, alle condizioni abitative, all’ac-cesso alle cure. Si è altresì proceduto ad una mappa-tura dei presidi socio-sanitari territoriali, individuandoal loro interno servizi che fossero in grado di rispon-dere, in termini di accessibilità e fruibilità, al bisogno disalute dei migranti impiegati in agricoltura.

In ogni contesto sono state raccolte le testimonianzedei migranti e sono state effettuate interviste con i prin-cipali attori coinvolti: esperti e associazioni della societàcivile, rappresentanti delle istituzioni locali e regionali,organizzazioni sindacali e datoriali. Nelle zone d’inter-vento individuate, gli avvocati e i consulenti legali diAsgi e Ltpd hanno svolto attività di formazione rivolteagli operatori socio-legali e alle associazioni locali sullanuova normativa (Legge Rosarno) in tema di sfrutta-mento lavorativo e hanno garantito in modo continuativoconsulenza e tutela legale. In ciascun territorio d’inter-vento, il progetto Terragiusta ha mirato alla creazione diuna rete con la società civile locale attraverso la promo-zione di seminari, laboratori e giornate di confronto.

METODOLOGIA

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ALBANIA

BULGARIA

CROAZIA

TURCHIA

GRECIA

SERBIA

MONTENEGROKOSOVO

SLOVENIA

AUSTRIA

SLOVACCHIAGERMANIA

SVIZZERA

FRANCIAMOLDAVIA

UCRAINA

BOSNIA

ROMANIA

UNGHERIA

ITALIA

MACEDONIALazio

Campania

Calabria

Basilicata

Puglia

TTURCCHHIA

CAMPERMEDU: Roma > Piana di Gioia Tauro > Piana del Sele > Vulture > Agro Pontino > Piana di Gioia TauroCAMPERMEDU: Roma >> > Piana di Gioia TauroGG > Piana del Sele > Vulturee > Agro PontinoAA > di Gioia TaurodPiana d

Roma

Viterbo

Crotone

ReggioCalabria

Rieti

Benevento

Brindisi

Lecce

Taranto

Bari

Potenza

CatanzaroCalabria:PIANA DI GIOIA TAURO

Campania:PIANA DEL SELE

Lazio:AGRO PONTINO

Puglia:CAPITANATA

Basilicata:VULTURE

Napoli

ViboValentia

Foggia

Cosenza

Frosinone

CasertaAvellino

Salerno

Matera

Latina

CROACROACROAZIAZIAZIA

SLOVSLOVSLOVENIAENIAENIA

AUSTRIA

GERMANIA

SVIZSVIZZERAZERA

FRANCIA

ROMAROMAROMANIANIANIA

UNGHERIA

MOLDAVIA

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Capoluoghi

Province

Luoghi d’intervento

Luoghi d’interesse

Lazio: Agro Pontino

Campania: Piana del Sele

Puglia: Capitanata

Basilicata: Vulture

Calabria: Piana di Gioia Tauro

Roma

Viterbo

Cosenza

Crotone

ReggioCalabria

Rieti

Frosinone

CasertaBenevento

Avellino Brindisi

Lecce

TarantoSalerno

Matera

Bari

Potenza

Catanzaro

Latina

Aprilia

San Felice CirceoTerracina

Borgo HermadaSabaudiaBella Farnia

Pontinia

Eboli

Bivio Santa Cecilia

CapaccioCapaccio ScaloCampolongo

Battipaglia

Rosarno

Drosi

Gioia TauroRizziconi

San Ferdinando

San Severo

Rignano Garganico

CerignolaBorgo MezzanoneFoggia

Borgo Tre Titoli

Montemilone

Palazzo San Gervasio

LavelloVenosa

Boreano

Feroleto della Chiesa

Melicucco

TaurianovaPolistena

Giffone

Fondi Napoli

ViboValentia

LatinaFoggia

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PROGETTO TERRAGIUSTALuoghi di analisi e d'intervento

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Calabria. Le condizioni della tendopoli/baraccopoli di San Ferdinando (RC) prima dello sgombero (Medu/febbraio 2013)

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La raccolta degli agrumi nella Pianadimenticata

Nulla cambia a Rosarno, dove di stagione in sta-gione sembra consolidarsi una vera e propria zonafranca di sospensione della dignità e dei diritti per i la-voratori immigrati. Tra gli aspetti più critici rilevati: la-voro nero, sottosalario, strutture di accoglienzainesistenti, degrado e grave carenza di risorse negliambulatori pubblici per i migranti. Lʼ80% dei bracciantiassistiti dalla clinica mobile di Medu vive in insedia-menti precari privi di servizi igienici, acqua ed elettricitàmentre un migrante su cinque è costretto a dormire aterra per mancanza di un letto. Il perdurare di praticheillecite, come quella del caporalato, sʼinserisce in unquadro segnato dalla carenza di credibili programmi dirilancio del settore agricolo in grado di dare respiro al-lʼeconomia locale. Ciò che sembra mancare del tutto,prima ancora di una puntuale pianificazione dellʼacco-glienza stagionale per i lavoratori immigrati, è la volontàpolitica di affrontare quella che è una delle questionidellʼimmigrazione più drammatiche, e anche più vergo-gnose, per il nostro Paese.

1.1 Il contestoÈ una storia di lotte contadine quella di Rosarno e

della Piana di Gioia Tauro. Racconta Giuseppe Lavo-rato, ex-sindaco di Rosarno e storica figura di riferi-mento nella questione sociale della Piana, che “nel1950 mille ettari di bosco selvaggio della Piana diGioia Tauro, ricadenti nel comune di Rosarno, a se-guito di grandi lotte, furono conquistati e divisi tra ibraccianti e contadini poveri, che negli anni successivicon grandi sacrifici riuscirono a trasformarli e a farnemeravigliosi ‘giardini’”4. Negli anni Ottanta la manodo-pera stagionale agricola era ancora quasi esclusiva-mente italiana. “Fino all’85 la frutta si raccoglieva infamiglia, riunendosi tra vicini e con qualche operaio”5.È a partire dagli anni Novanta che nella zona arrivano

le prime comunità di braccianti stagionali, in preva-lenza magrebini, seguiti dai migranti provenienti dal-l’Europa dell’Est6.

Nel tempo il fenomeno si è trasformato, coinvol-gendo negli ultimi vent’anni anche i migranti provenientidall’Africa sub-sahariana i quali costituiscono oggi lagran parte degli oltre duemila braccianti che, da novem-bre a marzo di ogni anno, giungono nella Piana di GioiaTauro per la raccolta degli agrumi. Secondo i dati fornitida Coldiretti Calabria7, un milione di tonnellate di agrumiviene prodotto ogni anno nella regione e sono ottomilagli ettari coltivati ad agrumi. Di questi, il 60% si trovanella Piana di Gioia Tauro e di Rosarno, dove si produ-cono dalle 150 alle 180 mila tonnellate di frutta. Sempresecondo Coldiretti Calabria, sarebbero ottomila i lavo-ratori stranieri impiegati in tutta la regione durante la sta-gione di raccolta, tremila nella sola Piana di Gioia Tauro.

Nonostante nei comuni di Rosarno, San Ferdinando,Gioia Tauro, Rizziconi e Taurianova il fenomeno si ripetaormai da anni con le medesime caratteristiche, nulla

LUOGHI D’INTERVENTOCALABRIA - Piana di Gioia Tauro

Cosenza

Crotone

ReggioCalabria

CatanzaroVibo

Valentia

Cosenza

Crotone

ReggioCalabria

CatanzaroVibo

ValentiaRosarno

Drosi

Gioia TauroRizziconi

San Ferdinando

Feroleto della Chiesa

Melicucco

TaurianovaPolistena

Giffone

4 Questa non è una terra immobile, Giuseppe Lavorato, in Gli africani salveranno Rosarno, Antonello Mangano, ed. terrelibere.org (2011).5 Voi li chiamate clandestini, Laura Galesi e Antonello Mangano, Manifestolibri, Roma (2010), p.29.6 Una caccia lunga vent’anni, Alessio Magro, in Arance insanguinate. Dossier Rosarno, stopndrangheta.it (2010).7 Coldiretti Calabria, produzione arance buona ma pagate solo 3 cent al kg, Adnkronos (25.08.14).

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sembra essere cambiato rispetto alle condizioni mate-riali e ambientali che costituirono l’humus dei dramma-tici fatti di Rosarno del 2008 e del 2010.

Il 13 dicembre 2008 centinaia di lavoratori africanimarciano pacificamente verso il municipio di Rosarnodopo che un ragazzo ivoriano e uno ghanese eranostati gambizzati nella strada provinciale che collegaRosarno a San Ferdinando, nei pressi della ex fabbricaModul System, conosciuta come “la cartiera” 8. Quelladella violenza nei confronti della popolazione migrantenon è una realtà nuova nella Piana. Nel 2007, ad esem-pio, tre africani erano stati feriti nelle campagne di Riz-ziconi e, sempre in quell’anno, Cornelia Doana, unaragazza romena, era stata uccisa a colpi di arma dafuoco per aver lasciato il convivente rosarnese9. Per ifatti del 2008 sarà poi arrestato e condannato AndreaFortugno, un giovane di Rosarno10. “Un’ultima intimida-zione perpetrata per piegare il gruppo straniero alleleggi del pizzo”, riporta la Gazzetta del Sud in queigiorni11, oppure un tentativo di rapina, come già damolti anni i lavoratori stranieri denunciavano di subire12.

Un anno dopo la dinamica si ripete, seppur con con-notati diversi. Giovedì 7 gennaio 2010, sulla statale 18di Rosarno, un ragazzo africano è ferito al basso ventrecon una pistola ad aria compressa. I proiettili proven-gono da una macchina di grossa cilindrata. Lo stessogiorno, qualche ora dopo, sono feriti con le stesse mo-dalità altri due ragazzi africani nei pressi della “Ro-gnetta”, ex fabbrica nel cuore di Rosarno, a pochichilometri dal primo ferimento. In poche ore nella Pianasi diffonde la notizia che vi siano quattro ragazzi africaniuccisi e alcune centinaia di migranti decidono di scen-dere nelle strade di Rosarno dando vita – tra giovedìsera e venerdì mattina - a quella che verrà ribattezzatala “rivolta di Rosarno”: cassonetti rovesciati, auto incen-diate, vetrine infrante e persone del luogo aggredite,questo il bilancio delle prime ore. In quelle successive,si scatena una vera e propria “caccia al nero”: dallestime dell’Osservatorio Migranti Africalabria, sarannocirca 85 gli africani ricoverati presso il pronto soccorsodi Polistena e quello di Gioia Tauro, di cui 12 feriti gra-vemente, e oltre duemila i lavoratori stranieri che, in ungiorno e mezzo, verranno allontanati dall’area13.

8 La Cartiera di Rosarno, Antonello Mangano, il manifesto (10.01.2010).9 Ibidem.10 Via gli immigrati, non i finanziamenti, Raffaella Cosentino, il manifesto (12.01.2010).11 Italia, basta uccidere i neri, Giuseppe Lacquaniti, Gazzetta del Sud (14.12.2008); Gli ivoriani puniti per avere detto no al pizzo, Emanuela Aliberti, Gazzetta del Sud (20.12.2008). 12 Una caccia lunga vent’anni, Alessio Magro, stopndrangheta.it (31/01/2010).13 Si ringraziano per il supporto nella ricostruzione di luoghi ed eventi la Caritas di Drosi e SOS Rosarno.

La tendopoli nella zona industriale di San Ferdinando (Medu/dicembre 2014)

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“A Rosarno sono accadute cose brutte, pesanti”,dichiarerà il Capo dello Stato Giorgio Napolitano pochesettimane dopo l’accaduto14. “Uno scoppio di insoffe-renza che ha mostrato il peggio di ciò che si era accu-mulato nell’animo dei cittadini e degli immigrati. Ènostra responsabilità collettiva di rappresentanti delloStato non aver saputo prevenire ciò che avremmo do-vuto prevenire. Ora dobbiamo evitare che si ripeta e re-spingere luoghi comuni e pregiudizi che indicano laCalabria come luogo di intolleranza e di razzismo’’.

A cinque anni dalla rivolta, le condizioni di vita e dilavoro della maggior parte dei lavoratori stranieri nellaPiana di Gioia Tauro - sulle cui spalle si regge granparte del comparto agricolo della Piana – non hanno,però, subito alcun miglioramento econtinuano ad essere del tutto in-compatibili con quei principi di civiltàche un Paese rispettoso dei diritti fon-damentali della persona dovrebbesempre e comunque garantire.

1.2 L’intervento di MeduIl team di Medu ha realizzato due interventi nella

Piana di Gioia Tauro: il primo nei mesi di febbraio-marzo2014 e il secondo, ancora in corso, da novembre 2014ad aprile 2015, di cui si riportano in questo rapporto idati relativi al bimestre novembre-dicembre 2014.

Nei due periodi, il team ha prestato prima assistenzamedica e orientamento socio-sanitario a 279 cittadinistranieri (196 nel primo bimestre, 83 nel secondo)presso la tendopoli ubicata nella zona industriale di SanFerdinando e in una fabbrica occupata nella stessaarea, in differenti insediamenti isolati nella Piana diGioia Tauro e presso l’ambulatorio per stranieri irrego-lari (STP) di Rosarno. In totale sono state effettuate 384visite, tra primi (279), secondi (90) e terzi (15) accessiper controllo terapia o patologie successive.

I lavoratori agricoli assistiti sono stati in totale 234 ei dati che vengono qui di seguito presentati si riferi-scono esclusivamente a questo gruppo di migranti:

quasi tutti giovani uomini (è stata visitata solo unadonna), di età media 30 anni, provenienti principal-mente da Mali (23%), Burkina Faso (23%), Ghana(15%), Costa d’Avorio (9%), Senegal (7%), Guinea Co-nakry (6%), Gambia (4%), Marocco (3%), Romania(2%) e Ucraina (2%). Il 95% dei braccianti assistiti nondimorava abitualmente nel territorio ed era presentenella Piana di Gioia Tauro esclusivamente per la sta-gione agrumicola.

La maggior parte dei migranti (77%) era in possessodi regolare permesso di soggiorno, mentre il 20% ha di-chiarato di non avere un documento valido e il 3% hapreferito non rispondere. Tra coloro che possedevanoun permesso di soggiorno, il 38% era titolare di un per-

messo per motivi umanitari, il 18% perprotezione internazionale15 e il 12%per lavoro. Altre tipologie di permessodi soggiorno rilevate sono state lacarta di soggiorno (2% dei pazienti), ipermessi per ricongiungimento fami-liare (2) e per motivi di studio (1%). Il3% ha preferito non rispondere.

1.3 Il lavoro nero tra cottimo e giornataI due interventi condotti da Medu hanno riguar-

dato, nel primo periodo, la fase finale della stagioneagrumicola (febbraio-marzo 2014) e, nel secondo, imesi di avvio della stessa (novembre-dicembre2014). Dai dati raccolti, il lavoro nero tra i bracciantidella Piana emerge come fenomeno preponderantein entrambi i periodi, riguardando l’83% dei lavora-tori agricoli. Tale percentuale rimane sostanzial-mente invariata (82%) se si considerano i solipazienti con regolare permesso di soggiorno. In en-trambi i periodi, i braccianti hanno dichiarato di es-sere impiegati in media 3-4 giorni alla settimana conturni di lavoro di circa 8-9 ore e di percepire in media25 euro per una giornata lavorativa. Il 76% di questiha dichiarato di utilizzare i comuni presidi di sicu-rezza (scarpe e guanti da lavoro), ma il 96% ha spie-gato di doverli comprare autonomamente, compresele forbici da lavoro.

Il lavoro nero emerge comefenomeno preponderante

e riguarda lʼ83% deilavoratori agricoli assistiti

14 Intervento del Capo dello Stato Giorgio Napolitano, Reggio Calabria (21.01.2010).15 All’interno di questo gruppo sono stati inclusi quattro richiedenti asilo (2%) e nove ricorrenti contro il diniego della Commissione territoriale per il diritto d’asilo (4%).

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Il salario del lavoratore può essere concordato agiornata o a cassetta, dipendendo in quest’ultimo casodal numero di cassette riempite. Solitamente la raccoltadi clementine e mandarini impegna i braccianti nellaprima fase della stagione e viene retribuita a cottimo (1euro a cassetta). Nei mesi di novembre e dicembre2014, infatti, la maggior parte dei lavoratori intervistati(75%) ha dichiarato di lavorare con questa modalità. Laraccolta delle arance, invece, inizia più tardi ed è soli-tamente pagata a giornata, come ha riferito il 61% deibraccianti intervistati nei mesi di febbraio e marzo, mapersiste anche la modalità di pagamento a cottimo(0,45 o 0,50 euro a cassetta). In tutti i casi, quindi, lapaga giornaliera dei braccianti è di circa 25 euro afronte dei 42,96 euro lordi previsti dalcontratto provinciale del lavoro diReggio Calabria16. Il 38% dei lavora-tori intervistati deve inoltre sottrarre aquesto importo circa 3 euro per il tra-sporto verso i campi. Ciò significache i braccianti impiegati nella rac-colta degli agrumi nella Piana perce-piscono, in media, circa il 30% inmeno del salario che spetterebbeloro, oltre a vedersi mancare il versamento delle gior-nate contributive ed essere impossibilitati ad accedereall’integrazione del salario (nonché agli assegni fami-liari, alla malattia, ecc) garantita dalla disoccupazioneagricola.

Il 64% dei lavoratori agricoli assistiti ha dichiaratodi lavorare attraverso l’intermediazione di un caporalela cui nazionalità, come accade in altri territori, corri-sponde in genere a quella dei braccianti. I caporalidella Piana parlano oggi soprattutto le lingue dell’Eu-ropa dell’Est e dell’Africa sub-sahariana, garanti-scono al datore lo spostamento delle squadre dilavoro e ricevono in cambio una cifra giornaliera for-fettaria che, secondo le testimonianze di alcuni mi-granti, si aggira tra i 50 e gli 80 euro, a secondadell’entità della squadra.

Al fenomeno del lavoro nero si unisce quello altret-tanto diffuso delle truffe all’Inps. Ad essere coinvoltesono soprattutto le aziende medio-piccole che impie-gano in nero i braccianti stranieri e poi versano i contri-buti a persone di nazionalità italiana, spesso parenti, oad aziende inesistenti che dichiarano terreni non propri.Già nel 1996 un’inchiesta guidata dalla procura di Palmiaveva svelato una maxi truffa ai danni dell’Inps che peranni aveva erogato decine di miliardi di fondi a falsibraccianti nella Piana di Gioia Tauro. In quell’occasioneerano stati 10mila gli indagati17.

Dagli elenchi dei lavoratori agricoli dell’Inps del2013, nei comuni della Piana risultano iscritti circa ot-

tomila braccianti, di cui il 50% è rap-presentato da stranieri provenientiprincipalmente dall’Europa dell’Est(Bulgaria, Romania) e dall’Africa (Ma-rocco e paesi dell’Africa sub-saha-riana). Nonostante il numero deglistranieri iscritti agli elenchi Inps siaaumentato, rimangono poche le gior-nate lavorative loro attribuite. “Nel mi-gliore dei casi riescono a prendere

gli assegni familiari, ma in pochi raggiungono un nu-mero di giornate tali da poter accedere alla disoccupa-zione agricola”, spiega la Flai-Cgil di Gioia Tauro18.

1.4 L’accoglienza tra tende, fabbrichee casolari abbandonati

Negli anni precedenti la “rivolta” del 2010, le mi-gliaia di braccianti che non riuscivano a trovare altro al-loggio, si distribuivano tra le decine di casolariabbandonati nelle campagne della Piana (comuni diRizziconi e Taurianova), qualche casa in affitto nei cen-tri urbani e alcune grandi strutture fatiscenti, principal-mente ex stabilimenti industriali in disuso. Nel comunedi Rizziconi sorgeva, su un terreno confiscato, l’inse-diamento noto come la “Collina”, composto da duegrandi casolari abbandonati. Nei periodi di massimaaffluenza, nell’area trovavano ospitalità circa 600 per-sone. A Rosarno sorgeva, invece, la “Rognetta”, ex sta-

I braccianti impiegati nellaraccolta degli agrumi

percepiscono, in media,circa il 30% in meno del

salario che spetterebbe loro

16 Contratto provinciale di lavoro per gli operai agricoli e florovivaisti della provincia di Reggio Calabria (in vigore dal 1° gennaio 2012 al 31 dicembre 2015).17 Falsi braccianti italiani e stranieri in nero, Antonio Maria Mira, Avvenire (12.01.10).18 Colloquio telefonico con i rappresentanti della Flai-Cgil di Gioia Tauro (18.02.15).

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bilimento di trasformazione del succo d’arancia cheospitava fra le sue mura senza tetto decine di baracchedi lamiera e circa 400 migranti. Circa 600 trovavanoinoltre rifugio nella Modul System di San Ferdinando,conosciuta come “la cartiera”, costruita con i finanzia-menti della legge 488 per l’agevolazione delle attivitàproduttive nel Mezzogiorno, mai entrata in produzionee poi abbandonata. Nel 2009 la ex cartiera verrà mu-rata su richiesta dei commissari prefettizi di San Ferdi-nando e una parte dei suoi abitanti si sposteràall’Opera Sila, ex oleificio nel comune di Gioia Tauro.Nei periodi di massimo afflusso saranno circa mille i mi-granti accampati nella struttura, dove si dormiva anchenei silos per l’olio.

Nel 2011, con la cartiera murata, la Rognetta di-strutta dalle ruspe dei vigili del fuoco su richiesta deicommissari prefettizi di Rosarno e l’Opera Sila inavvi-cinabile dopo la rivolta del 2010, i braccianti stagionaliin arrivo nella Piana per la stagione agrumicola trovanouna magra accoglienza. Unica risposta delle istituzioniè l’apertura nel gennaio 2011 del campo container incontrada Testa dell’Acqua, comune di Rosarno, ingrado di ospitare circa 120 lavoratori e gestito fino adoggi dall’associazione “Il mio amico Jonathan”, legataalla Chiesa evangelica.

A coloro che non trovano posto nel campo containernon resta che occupare il rudere della Pomona di Ro-sarno, affollare le case del vecchio borgo della città (un“ghetto” che arriverà ad ospitare 200 persone prove-nienti, soprattutto, da Ghana e Nigeria), un grande caso-

lare nel comune di Taurianova o le altre decine di struttureabbandonate nelle campagne della Piana. Circa qua-ranta persone troveranno rifugio anche in una strutturanei pressi dell’ex cooperativa La Fabiana, già abitata daanni. Qualcuno tenterà infine di tornare alla Collina, le cuistrutture saranno poi definitivamente murate.

Nel gennaio 2012 arriva una nuova risposta dalleistituzioni: la tendopoli di San Ferdinando. Allestita dalMinistero dell’Interno nella zona industriale e resa ope-rativa nel febbraio 2012, la tendopoli aveva una ca-pienza di 300 persone ospitate in tende dellaProtezione civile da sei posti ciascuna e come ente ge-store l’associazione “Il mio amico Jonathan”, a cui eragià stato affidato il campo container di Rosarno. Con ilpassare dei mesi, tuttavia, quella che doveva essereuna soluzione abitativa per i lavoratori stranieri dellaPiana, si trasforma in una baraccopoli con più di millemigranti accampati tra le tende blu e rifugi improvvisatidi legno, lamiere e cartone. Da giugno 2012, esauriti i55mila euro stanziati dalla Regione Calabria per lespese di gestione, la tendopoli rimarrà senza ente ge-store e “Il mio amico Jonathan” continuerà a garantirela sua presenza solo nel campo container per circa dueanni a titolo volontario.

Il 17 dicembre 2013, in seguito ad una relazione dal-l’Azienda sanitaria locale19 sulle preoccupanti condi-zioni igienico-sanitarie rilevate, il sindaco di SanFerdinando, Domenico Madafferi, emette un’ordinanzadi sgombero e la tendopoli viene abbattuta. Il nuovocampo di accoglienza che viene allestito dal Ministerodell’Interno – ancora una volta privo di ente gestore –torna ben presto a ricordare immagini di un passato vi-cino: in un luogo che avrebbe dovuto ospitare 450 per-sone, trovano posto un migliaio di lavoratori tra tendeufficiali e decine di baracche auto-costruite.

Nell’ottobre 2014, dopo lo scioglimento per mafiadella giunta comunale di San Ferdinando e in seguitoad una nuova relazione dell’Azienda sanitaria, vengonorimosse le baracche della nuova tendopoli senza tutta-via prevedere un piano di accoglienza alternativo per

Il campo container di Rosarno in contrada Testa dell’Acqua (Medu/dicembre 2014)

19 La relazione dell’Asp del dicembre 2013 certifica l’inadeguatezza del campo di accoglienza ed evidenzia i rischi igienico-sanitari della zona.

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le circa cinquecento persone che restano escluse dauna seppur minima sistemazione. Nello stesso mese, ilComune di Rosarno stanzia circa 19mila euro per la ge-stione del campo container, affidata sempre all’asso-ciazione “Il mio amico Jonathan”.

Si giunge così alla situazione attuale. La rimozionedelle baracche nel campo di accoglienza determina l’oc-cupazione di un edificio abbandonato nella zona indu-striale – la “fabbrichetta” - sprovvisto di servizi igienici edelettricità20, in cui trovano rifugio più di 400 persone e chericorda per molti aspetti le fabbriche occupate prima del2010. La stessa tendopoli continua a vivere una condi-zione di sovraffollamento (più di mille persone presenti agennaio 2015) e precarietà. La fornitura elettrica vienegarantita in modo discontinuo mentreil riscaldamento degli alloggi e dell’ac-qua, come anche la possibilità di cu-cinare gli alimenti, sono affidatiesclusivamente ai numerosi fuochi,bombole a gas e fornelli elettrici accesifuori e dentro le tende. Tale situazionecontribuisce a rendere le condizioni disicurezza dell’insediamento particolar-mente precarie.

Nel dicembre 2014, la RegioneCalabria stanzia 100mila euro per la gestione della ten-dopoli. Una parte di tale finanziamento è affidata allaCaritas che firma una convenzione di cinque mesi - dadicembre ad aprile 2015 - dell’importo di circa 15milaeuro, con i quali garantisce la presenza di quattro ope-

ratori dalle 8 alle 20 per monitorare la situazione nelcampo e fornire un’assistenza di base (pulizia, mate-rassi, coperte, cibo). Gli altri fondi stanziati - dei qualicirca 10mila euro erano già stati utilizzati per lo sgom-bero delle baracche – sono stati utilizzati per il ripri-stino dell’impianto elettrico (che nonostante i lavorieseguiti continua a non funzionare), il pagamento deiconsumi di corrente e l’acquisto di tre container instal-lati in chiusura della stagione agrumicola.

Nulla di nuovo, invece, sull’apertura del “Villaggiodella Solidarietà” in costruzione dal 2012 nel sito dell`exBeton Medma, un bene confiscato alle ‘ndrine, in cuiavrebbero dovuto trovare alloggio circa 200 lavoratoristagionali. Costato quasi due milioni di euro stanziati

dal Ministero dell’Interno e compostoda moduli prefabbricati, il villaggionon è ancora stato ultimato a causadello stop ai lavori seguito ad un’in-terdittiva antimafia.

Ancora più drammatica è la si-tuazione abitativa e igienico-sanita-ria delle centinaia di bracciantistranieri che trovano rifugio nei nu-merosi insediamenti spontanei ecasolari abbandonati sparsi in tutta

la Piana di Gioia Tauro. Gli edifici diroccati e fati-scenti visitati dagli operatori di Medu, sono privi dielettricità (nei casi più fortunati alcuni migranti di-spongono di generatori a benzina), di servizi igienicie di acqua potabile che si trova spesso a centinaiadi metri di distanza. Gli spostamenti quotidiani av-vengono unicamente a piedi o, nonostante la perico-losità delle strade, in bicicletta, vista l’inesistenza diun servizio di trasporto pubblico.

Dei 234 pazienti impegnati nella raccolta degliagrumi visitati da Medu, il 79% viveva in strutture ab-bandonate o presso la tendopoli di San Ferdinando,senza possibilità di accedere ai servizi igienici (se noni pochi messi a disposizione nella tendopoli) né all’ac-qua potabile. Nei casolari, ma anche all’interno dello

La situazione abitativapiù drammatica è quella

delle centinaia di bracciantistranieri che trovano rifugio

nei numerosi casolariabbandonati sparsi in tutta

la Piana di Gioia Tauro

Interno della “fabbrichetta” nella zona industriale di San Ferdinando (Medu/dicembre 2014)

20 Grazie all’intervento dell’associazione SOS Rosarno, dal 6 febbraio 2015 gli abitanti della struttura hanno la possibilità di fruire di un generatore che garantisce l’accensione ditre lampadine al piano terra e due al piano superiore.

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stesso centro di accoglienza di San Ferdinando, l’ac-qua calda per potersi lavare viene riscaldata in grandibidoni di lamiera scaldati sul fuoco. Per dormire, lamaggior parte dei migranti è riuscita a recuperare unletto o una brandina grazie all’attività di distribuzione direti, materassi e coperte organizzata da alcune asso-ciazioni di volontariato come la Caritas. Tuttavia, il 17%dei migranti non ha trovato altra soluzione che dormirea terra. Inoltre, la quasi totalità dei pazienti – ad ecce-zione di coloro che sono riusciti ad accedere ad un’abi-tazione in affitto – non ha a disposizione alcuna fontedi luce, se non, in alcuni casi, quella offerta in modo di-scontinuo da piccoli generatori.

Di fronte a un quadro così disastroso che grava sullavita e il lavoro dei braccianti immigrati,meritano attenzione alcuni progetti einiziative di associazioni della Pianache dimostrano come sia possibilesviluppare validi percorsi di acco-glienza e integrazione anche con ri-sorse limitate. Nel borgo di Drosi, neipressi di Rizziconi, un gruppo di cit-tadini associati nella Caritas locale haavviato dal 2010 un progetto che per-mette di accogliere ogni stagionecirca cento lavoratori immigrati in abi-tazioni sfitte del paese tramite il pagamento di un ca-none minimo. “Dei circa 600 migranti presenti inquest’area, quasi 200 oramai vivono in case in affitto traDrosi e Rizziconi, altri 200 vivono in strutture di campa-gna dove ci sono elettricità e acqua potabile e altri 200nei casolari abbandonati”, raccontano i volontari dellaCaritas, che ogni martedì organizzano una cena inpaese aperta a tutti.

1.5 La salute e gli ambulatori STPTra i pazienti assistiti dall’unità mobile di Medu i prin-

cipali sospetti diagnostici riguardano le malattie dell’ap-parato digerente (23% complessivo), di cui il 36%riferibile a odontopatie che denotano un’importante dif-ficoltà nell’accesso alle cure odontoiatriche per lo statodi indigenza e la non regolare affluenza ai servizi di me-dicina generale e il 27% riferibile a epigastralgie daquadro gastritico. Le malattie dell’apparato respiratoriorappresentano il 21% complessivo dei sospetti diagno-

stici, tra cui principalmente le infezioni delle alte vie re-spiratorie (51%) e le sindromi influenzali (23%), patolo-gie per lo più correlate alla stagione invernale e allostato di precarietà abitativa. Le malattie osteomuscolarie del tessuto connettivo rappresentano il 16% dei so-spetti diagnostici e la maggioranza di queste sono rap-presentate da lombalgie e algie del rachide daaffaticamento correlate alle condizioni di lavoro.

Al quarto posto risultano le patologie cardiocircola-torie (10%), nella totalità dei casi ipertensione arteriosa.In generale, per le malattie croniche nei casi già dia-gnosticati e in cura presso i servizi di medicina gene-rale delle altre regioni si osserva una difficilecompliance alla terapia per la non stanzialità della po-

polazione in oggetto e la difficoltànella fruizione dei servizi. Per coloroche hanno già un medico di base inun’altra regione risulta difficoltosa lascelta di un medico in loco per motiviburocratici legati principalmente al-l’impossibilità di effettuare l’iscrizioneanagrafica in assenza di una resi-denza e alla permanenza prevalente-mente a carattere stagionale. Perquesti pazienti, quindi, l’accesso allamedicina di base, alla prescrizione di

farmaci e alle visite di secondo livello con pagamentodel ticket è garantito solo dal privato sociale, attraversoun Poliambulatorio di Emergency a Polistena.

Interno di un casolare abbandonato nei pressi di Rizziconi. Si dorme e si prepara il cibo in un’unica stanza (Medu/dicembre 2014)

Alcune iniziative delleassociazioni locali

dimostrano come siapossibile sviluppare validipercorsi di accoglienza eintegrazione anche con

risorse limitate

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Al 6% ritroviamo i traumatismi deiquali il 25% è rappresentato da traumie ferite sul luogo di lavoro e il restante75% da traumi incidentali. Gli statimorbosi mal definiti (come il sintomocefalea, dolorabilità generali e di-sturbi di dubbia diagnosi), si riscon-trano anch’essi nel 6% dei casi. Sisottolinea la frequente relazione tra tali disturbi e la ri-chiesta di rassicurazione psicologica. Le malattie dellacute e del tessuto sottocutaneo si ritrovano nel 4% deisospetti diagnostici, di cui il 57% è rappresentato dadermatiti aspecifiche, con sensazione di prurito riferitoprevalentemente dopo la doccia. Il 3% dei sospetti dia-gnostici è riferibile a cause infettivo-parassitarie, dellequali il 62% è rappresentato da micosi cutanee, duecasi di TBC riscontrati nel primo periodo di indagine(uno con TBC miliare già in trattamento e l’altro con so-spetto di TBC polmonare), tre casi singoli di scabbia eun caso di gonorrea riscontrati nel secondo periodo diindagine. Riguardo alla presenza di malattie parassitarie(scabbia e micosi) si rileva un diretto collegamento conla situazione di precarietà abitativa e la condizione so-ciosanitaria dei migranti. Le oftalmopatie rappresentanoil 3% di tutte le patologie così come i disturbi mentali.Sono stati osservati prevalentemente pazienti con sin-tomatologia ansiosa e casi di abuso alcolico.

In generale possiamo concludere come nella gio-vane popolazione assistita siano preponderanti patolo-gie dell’apparato digerente e del sistema respiratoriodirettamente correlate allo stato di indigenza e di pre-carietà sociale e abitativa. Di indubbia rilevanza anchela presenza di patologie muscolo-scheletriche correlateall’attività lavorativa.

Per quanto riguarda l’accesso alle cure, l’offerta delservizio sanitario pubblico presenta molte criticità. Iquattro ambulatori STP per stranieri irregolari avviaticon il supporto dell’associazione Medici Senza Fron-tiere e gestiti dal 2007 dall’Azienda sanitaria provinciale(Asp) soffrono di un progressivo degrado e di unagrave carenza di risorse. L’ambulatorio STP di Rosarno,in particolare, presenta rilevanti problematiche struttu-rali: gli ambienti sono fatiscenti e privi di riscaldamento;i servizi igienici inagibili; le condizioni igieniche generali

molto carenti (mancano, ad esempio,prodotti di base quali il sapone o il di-sinfettante per permettere al medicodi igienizzare le mani tra una visita el’altra); non sono garantite condizioniminime di privacy ai pazienti dal mo-mento che la separazione tra l’ambu-latorio e la sala d’attesa è garantita

unicamente da una vecchia tenda; i farmaci presenti,in più della metà dei casi, sono risultati scaduti; sonodel tutto assenti la carta per il lettino delle visite e i pre-sidi per differenziare e smaltire i rifiuti speciali; non sonopresenti né un telefono, né un fax, né un computer, nétantomeno un rifornimento di carta e penne. Tali ca-renze rendono l’ambulatorio difficilmente fruibile.

Alle problematiche logistico-strutturali rinvenibilianche negli altri tre ambulatori (quello di Taurianova, adesempio, è privo di lettino per le visite), si aggiunge lamancanza in tutte e quattro le strutture di mediatori cul-turali che facilitino la comunicazione tra medico e pa-ziente e, quindi, la cura e l’aderenza alla terapia.Eppure, dalla fase di avvio delle strutture al 2010, i me-dici operanti negli STP erano affiancati da due media-tori culturali: uno per i pazienti provenienti dall’Europadell’Est ed uno per i pazienti di lingua araba. I due me-diatori organizzavano le liste d’attesa, aggiornavano lecartelle cliniche con i dati dei pazienti, fornivano le prin-cipali informazioni riguardanti le procedure d’accessoal SSN e affiancavano il medico durante le visite. Oltreal lavoro ambulatoriale, i due operatori svolgevano unafondamentale attività di outreach sul campo, orientandogli stranieri privi di documenti all’utilizzo delle strutture

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Gli ambulatori pubblici per i migranti sono incondizioni fatiscenti esoffrono di una gravecarenza di personale

Rosarno. L'ambulatorio STP per stranieri irregolari. Ambulatorio e sala d'aspetto sono divisi da una tenda (Medu/dicembre 2014)

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STP. Nel corso degli anni, tuttavia, leore di lavoro dei due mediatori sonostate drasticamente ridotte e, da gen-naio 2013 a febbraio 2014, il servizioè stato definitivamente sospeso permancanza di fondi.

1.6 ConclusioniDi tutti i territori visitati dal team di Medu, la Piana di

Gioia Tauro rappresenta probabilmente quello conmaggiori criticità. Se, al pari degli altri contesti, la per-centuale di popolazione straniera dotata di regolarepermesso di soggiorno è andata aumentando neglianni, tale tendenza positiva si scontra ancor oggi conun’organizzazione del lavoro caratterizzata in modostrutturale da lavoro nero, sottosalario e caporalato. Ilmantenimento di tali pratiche illecite s’inserisce in unquadro di assenza di una chiara politica e programma-zione di lungo periodo del settore agricolo regionale ingrado di dare respiro all’economia locale e di garantirel’accoglienza dei lavoratori stagionali sul territorio, non-ché della quasi totale mancanza di controlli da partedegli organi ispettivi.

Di stagione in stagione, sembra consolidarsi nellaPiana una vera e propria zona franca di sospensionedella dignità e dei diritti per i lavoratori immigrati, manon solo, visto che essa si radica in un contesto dovetutta la popolazione deve ancora troppo spesso subirela pervasiva e capillare presenza della criminalità orga-nizzata a cui si associano gli effetti perversi della malapolitica e del sottosviluppo economico. Uno stato dicose, dunque, che incide gravemente sulla possibilitàdegli stessi cittadini calabresi di fruire a pieno dei propridiritti, tra cui, ovviamente, il diritto alla salute e l’accessoalle cure. La consuetudine a usufruire di strutture pre-carie e servizi pubblici spesso gravemente al di sottodi standard accettabili, determina un inevitabile quantopreoccupante innalzamento della soglia di accetta-zione da parte della popolazione locale, portando lastessa ad avere una percezione attenuata e minimiz-zata dei fenomeni di abbandono e degrado di cui è vit-tima anche la comunità migrante.

Nonostante la gravità della situazione, continua adestare sconcerto il vuoto lasciato dalle istituzioni. A

questo proposito, il recente stanzia-mento di risorse da parte della Re-gione Calabria (100mila euro per lastagione in corso) appare ancoraun’iniziativa ampiamente inadeguatase priva di una strategia organica. Inquesto stato di cose, le organizza-zioni di volontariato sono spesso gli

unici attori a fornire risposte concrete ai bisogni dellapopolazione straniera. Ciò che sembra mancare deltutto, prima ancora di una puntuale pianificazione del-l’accoglienza stagionale per i lavoratori immigrati, è lavolontà politica di affrontare quella che è una delle que-stioni dell’immigrazione più drammatiche, e anche piùvergognose, per il nostro Paese. Una questione cheesige delle risposte credibili e di lungo periodo daparte delle istituzioni, ed in particolare - in un territoriocon problemi sociali ed economici così profondi - dalGoverno e dalla Regione Calabria. Se si ritiene che ilconcetto di comunità nazionale debba avere ancora unsenso, il caso Rosarno non può essere consideratosolo un problema locale ma una questione che inter-pella l’intero Paese.

INTERVISTEIntervista a Elisabetta TripodiSindaco di Rosarno[24 novembre 2014]

Quando i migranti hanno iniziato a venirenella Piana?

È da vent’anni che esiste nella Piana l’immigrazionestanziale e stagionale. Sono soprattutto giovani maschidai 20 ai 30 anni. Saranno circa 1500, tra la tendopolie la città. A Rosarno, infatti, c’è anche un ambulatorioSTP per stranieri irregolari.

Visto l’alto afflusso di manodopera nel ter-ritorio, quali sono le misure di accoglienzamesse in campo?

Si sono fatti molti tavoli di lavoro ma poi non c’è stataprogrammazione per la stagione agrumicola. Quindi,de facto, non è cambiato nulla dall’anno scorso. Ilcampo container in contrada Testa dell’Acqua è sem-

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Il caso Rosarno non puòessere considerato solo un

problema locale ma unaquestione che interpella

lʼintero Paese

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pre aperto. Abbiamo stornato 15mila euro per la ge-stione ed è stato dato per affidamento diretto all’asso-ciazione “Il mio amico Jonathan”, a partire dall’ottobre2014. Per quanto concerne la tendopoli, non si sa cosasuccederà, vediamo cosa farà il nuovo prefetto. Il Vil-laggio della solidarietà, invece, è fermo perché la dittache aveva vinto l’appalto è stata oggetto, nell’ottobre2013, di un’interdittiva antimafia della Prefettura diRoma. Quindi i lavori si sono bloccati. Esiste poi un pro-getto di abitazioni per “categorie svantaggiate”. Sitratta di 34 alloggi per circa 130 persone, finanziato at-traverso fondi europei. Questa tipologia di case, tutta-via, mal si adatta ai requisiti di stagionalità.

Quali misure possono essere adottate perl’alto numero di lavoratori impiegati in neroin agricoltura?

I lavoratori difficilmente possono essere messi in re-gola a causa della crisi del settore agricolo in Italia. Ab-biamo indetto un tavolo con Prefettura e associazionidi categoria. Si sono dette molte parole, ma pochi fatti.

Intervista ad Angelo PolitiDirettore provincialeConfagricoltura Reggio Calabria[27 marzo 2014]

Come mai si parla di crisi del settore agru-micolo?

Le aziende negli anni hanno subito un progressivoinnalzamento dei costi della produzione, in alcuni casianche del 400% per l’aumento dei costi del carburantee per i mezzi tecnici, al contempo, una diminuzione delprezzo di vendita dei vari prodotti. Negli anni Ottanta learance si vendevano a circa 400 lire/Kg, oggi a 0,05euro/chilo. La diminuzione del reddito che ne è derivataha inciso sul mercato del lavoro portando ad una dimi-nuzione dell’assorbimento della manodopera, prima

italiana e di conseguenza anche straniera. Oggi più del30% (e in molti casi fino al 50%) del reddito diun’azienda agricola (ad indirizzo olivicolo – agrumicolo)si basa sugli aiuti diretti comunitari. La riforma della Po-litica Agricola Comunitaria del 2003 ha previsto la pos-sibilità di disaccoppiare gli aiuti alle aziende agricolesenza dovere dimostrare la produzione di derrate, cosache è avvenuta nel 2006 per il settore olivicolo e nel2008 per il comparto agrumicolo; ovvero non sarebbestato più necessario dimostrare una produzione reale,ma solamente, invece, un mantenimento dei terreni inbuone condizioni agronomiche. Rispetto a quest’ultimopunto, come Confagricoltura avevamo formulato unaproposta, non sostenuta dalle altre associazioni di ca-tegoria, per cui si suggeriva di mantenere una percen-tuale di contributo legato alla produzione in modo dagarantire comunque una attività agricola produttivareale. Purtroppo è prevalsa l’opzione degli aiuti direttidisaccoppiati che ha inciso negativamente sia sui red-diti delle imprese agricole che sui livelli occupazionalidel settore21. Come suggeriamo alle nostre aziende, èfondamentale non produrre in monocoltura, ma diffe-renziare le coltivazioni di modo da trovare nuovi spazidi mercato. Ad esempio la coltivazione del kiwi oggi dàun reddito equo, anche se bisogna stare attenti ai livelliproduttivi che potrebbero a lungo termine portare adun contrazione del prezzo di vendita di tale prodotto,come è stato per gli agrumi.

Come si decide il prezzo di vendita degliagrumi?

E’ l’indotto industriale che produce il succo che de-cide il prezzo. Nella sola provincia di Reggio Calabriasiamo arrivati ad avere 2-3 aziende che produconosucco, dalle circa 20 che erano in passato. Adesso ov-viamente i nostri agrumi devono competere con gliagrumi ed il succo concentrato che arrivano dal Brasileo dal Marocco per il fresco, dove ad esempio, con l’at-tuazione di un precedente accordo commerciale si sono

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21 Negli anni Novanta gli aiuti comunitari erano erogati a tutti gli agricoltori che conducevano superfici coltivate con determinati tipi di colture considerate meritevoli di contributoda parte della Comunità Europea. L’aiuto era quindi “accoppiato” alle produzioni. Con il “disaccoppiamento”, invece, l’entità del sussidio non dipende più dal livello di produzionené dalla realizzazione di una qualche produzione. La sola gestione del fattore produttivo terra (come anche la semplice conservazione della sua fertilità attraverso un insieme minimaledi operazioni) costituisce un titolo valido per percepire il cosiddetto “pagamento unico aziendale”. Ciò avrebbe dovuto determinare una semplificazione amministrativa, diminuire ilrischio di reddito dell’attività agricola (vista la sicurezza dell’aiuto) e garantire la libertà dei produttori di scegliere i comparti che promettono migliori risultati, ma ha avuto di fattoripercussioni estremamente negative sul grado di produttività e, di conseguenza, sul numero di lavoratori impiegati nel settore. L’agricoltore di oggi, infatti, che con difficoltà riescea rientrare dei costi di produzione, è messo in condizione di poter percepire il sussidio PAC anche senza produrre affatto. Ciò ha determinato l’abbandono delle produzioni e, diconseguenza, la perdita di posti di lavoro, nonché di un importante patrimonio economico e culturale.

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abbassate del 50% le tariffe doganali,in virtù della legge del libero mercatoe della circolazione delle merci. Conl’UE non sono più possibili politicheprotezionistiche. Le associazioni dicategoria hanno chiesto più volte divalutare, per questi agrumi, alcuni in-dicatori di qualità come ad esempio i livelli di fitofarmaci,ma i controlli rimangono superficiali e non si riesce a di-mostrare la migliore qualità dei nostri agrumi.

Qual è invece la situazione contrattualedei lavoratori agricoli?

Un tempo la percentuale delle aziende agricole cheimpiegava lavoro “in nero” era sicuramente molto piùelevata. Oggi il fenomeno, anche se presente, si è sen-sibilmente attenuato. In passato ci sono state storturedel sistema che hanno penalizzato il nostro settore.Questo, di contro, ha portato ad avere una sorta di “wel-fare” che ha mantenuto la “pace sociale”. In questi anniil sistema contrattuale ha registrato dei passi in avanti esi è trovata una certa sintonia tra le parti sindacali e deilavoratori, non a caso il contratto dei lavoratori agricolie florovivaisti viene rinnovato con regolarità e puntamolto anche sulla tutela e la sicurezza dei lavoratori. Perquanto attiene le aziende agricole associate a Confa-gricoltura22, operano in trasparenza applicando regolar-mente il contratto vigente con le relative retribuzionidagli accordi. Capita spesso comunque che le impresein regola siano anche le più controllate dagli organiispettivi. Da uno studio fatto recentemente dalla nostraorganizzazione abbiamo evidenziato come il costo dellaburocrazia incida negativamente sull’attività delle im-prese in quanto gli imprenditori impiegano in media 100giorni all’anno per autorizzazioni, presentazione do-mande, disbrigo pratiche, etc.

Conosciamo bene la situazione d’acco-glienza dei migranti che ogni anno vengonoa lavorare nel comparto agrumicolo. Ci sonoproposte in merito?

L’accoglienza dei lavoratori non può riguardare solole aziende agricole né le associazioni di categoria, mal’amministrazione pubblica. Tra le imprese a noi asso-

ciate, molte danno ospitalità ai mi-granti, ma ciò non è sempre possibileperché ovviamente ristrutturare emettere a norma gli annessi agricolio i rustici rappresentano una spesache non è più sostenibile. Più volte aivari tavoli istituzionali abbiamo pro-

posto come soluzione quella di far mettere a disposi-zione dai vari comuni della Piana i locali di loroproprietà per provvedere all’accoglienza dei migranti.

TESTIMONIANZEAhmed (43 anni, Marocco)[febbraio 2014]Negli anni mi è capitato di lavorare per caporali ita-

liani e bulgari. Ci trattenevano dai 5 ai 10 euro di pagaal giorno. Prima i caporali erano molto più violenti coni lavoratori. Dopo la rivolta di Rosarno le cose sonocambiate. Oggi a Rosarno ci sono tre grossi caporaliche gestiscono decine di operai. Negli anni questo nonè cambiato. Tutti sanno. A volte i carabinieri passanodavanti a furgoni dei caporali fermi nella piazza di Ro-sarno con dentro i ragazzi che vanno al lavoro, ma nonvengono mai fermati.

Mario e Nino (28 e 29 anni, Guinea Bissau)[marzo 2014]Qui nessuno ci affitta una casa per la stagione. Per

fortuna ora la stagione delle arance è finita e andiamoa Foggia. Lì dobbiamo comunque dormire in una casaabbandonata ma almeno ci pagano di più, anche 3,5euro al cassone. Qui i capi neri prendono 5 euro per ilpagamento della benzina, che vengono trattenuti diret-tamente quando il padrone dà loro i soldi per pagarci.Di solito il capo nero però non lavora con noi nei campi,torna solo a prenderci a fine giornata. L’ultimo lavoroche ho fatto ce lo ha procurato un ragazzo senegalese.Sono 10 giorni che lo chiamiamo al cellulare per farcipagare ma non risponde. Siamo andati dal datore di la-voro che lo ha chiamato. Il senegalese ha risposto di-cendo che lunedì o martedì ci porterà le nostre paghe.Speriamo, anche perché quei soldi ci servono per an-

2322 Secondo quanto riferito dal dott. Politi, gli iscritti a Confagricoltura nella provincia di Reggio Calabria sono circa 1500.

“Non ci sono soluzioni,se chiedi diritti sul lavoro,

non lavori più”

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dare a Foggia. Non ci sono soluzioni, se chiedi dirittisul lavoro, non lavori più.

Ibrahim (24 anni, Costa d’Avorio)[novembre 2015]Sono arrivato a Rosarno nel dicembre 2013. Ho

sempre lavorato senza contratto. La paga è di 22 euroal giorno perché il capo nero per il quale lavoro, che èdel Burkina Faso, trattiene 3 euro per il trasporto aicampi e riaccompagnarci a casa. Per lui lavorano 60operai di varia nazionalità. Viviamo tutti insieme - primain 60, ora in 20 - in una casa di campagna, che lui dicedi affittare per 400 euro al mese e a noi chiede 50 euroal mese. Il capo nero ci minaccia, ci obbliga a lavorarevelocemente altrimenti il giorno dopo non ci fa lavorare.Non vuole nemmeno che parliamo con il padrone ita-liano. Una volta, per esempio, il trattore ha iniziato a farefumo. Avevo capito qual era il problema perché mi eragià capitato e ho provato a spiegare al padrone dov’erail guasto. Lui mi ha ascoltato e il trattore è tornato a fun-zionare. Il capo nero, però, che mi aveva visto parlarecol datore di lavoro, portandomi a casa mi ha detto cheper me, il giorno dopo, non ci sarebbe stato lavoro.

Dalla lettera dei lavoratori africani alla cit-tadinanza di Rosarno

[dicembre 2011]Vogliamo lavorare per vivere, come voi. Siamo in dif-

ficoltà quando non c’è lavoro, come voi. Emigriamo pertrovare lavoro come tanti di voi in passato e ancoraoggi. Abbiamo famiglie, madri, fratelli, figli, come voi.Siamo qui per cercare una vita migliore, non per creareproblemi. Per questo vi diciamo che non dovete averepaura di noi. L’emigrazione è una risorsa, economica,culturale, un’occasione di cui approfittare, noi e voi. Chiin questi giorni ha parlato di noi diffondendo la paura èresponsabile per le sue parole. Noi non ci riconosciamoin quello che si è detto su di noi. Se qualcuno tra noisbaglia, fa soffrire noi più di voi. Ma non vuol dire chetutti sbagliamo. Come quando un italiano sbaglia, nontutti gli italiani hanno colpa. […] Tutti insieme dobbiamotrovare una soluzione perché ci possiamo integrare contutti i cittadini di Rosarno, di Roma, del mondo.

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Lo sfruttamento dei braccianti nella“California d’Italia”

Il ghetto di San Nicola Varco non esiste più ma riman-gono gravi le condizioni di sfruttamento dei migranti imp-iegati in agricoltura nella Piana del Sele. Dalletestimonianze e dai dati raccolti, emerge che sebbenedue migranti su tre siano regolarmente soggiornanti e il60% sia in possesso di un contratto di lavoro, continuanoa perpetuarsi sistemi di sfruttamento pervasivi basati susottosalario, pratiche fraudolente e caporalato. La pagamedia giornaliera è di 32 euro. Le pratiche illegali aidanni dei braccianti vanno dalle irregolarità contributive,quasi la norma sia tra i lavoratori italiani che stranieri,alla vendita di falsi contratti di lavoro che possono ar-rivare a costare seimila euro. Persistono inoltre seriecondizioni di emarginazione socialecon allarmanti ricadute anche sullʼac-cesso alle cure: solo la metà dei mi-granti intervistati in possesso di unpermesso di soggiorno è iscritta alServizio sanitario nazionale. Tale situ-azione risulta tanto più inaccettabilenel momento in cui si produce inunʼarea che, per la ricchezza delle suaagricoltura e per i prodotti di eccel-lenza dei suoi comparti, è statadefinita la “California dʼItalia”.

2.1 Il contestoÈ un’agricoltura d’eccellenza quella della fertile

Piana del Sele, un territorio di circa 500 chilometri qua-drati che si estende a sud di Salerno. Oltre quattromilaimprese agricole23, cinquemila ettari di serre e molticomparti agricoli: dall’olivicolo al vitivinicolo, dal lattiero-caseario all’allevamento, dall’orticultura alla fragolicol-tura e, in special modo, alla produzione d’insalatepronte per il consumo, uno dei settori maggiormente in

espansione con tremila ettari di serrededicate24. Un’economia così varie-gata e in crescita da determinare nel-l’ultimo anno un aumento del 15%dell’export dell’agroalimentare dellaProvincia di Salerno25 e la trasforma-zione di quattrocento ettari di terra innuove serre produttive26.

Poiché le colture e le produzionisono perlopiù in serra, l’attività agri-

cola nella Piana non ha le caratteristiche della stagio-nalità ma, al contrario, si distribuisce nell’arco di tuttol’anno, con picchi nei mesi primaverili ed estivi. Deicirca quattordicimila lavoratori agricoli registrati neglielenchi Inps, circa il 50% è rappresentato da stranieriprovenienti prevalentemente dal Marocco e dai paesicomunitari dell’est europeo come Romania e Bulgaria.La percentuale effettiva di migranti impiegati nelle atti-vità agricole della Piana oscilla, secondo alcune stime,tra il 60 e l’80%27. Tali lavoratori iniziarono ad affluire du-

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LUOGHI D’INTERVENTOCAMPANIA - Piana del Sele

CasertaBenevento

Avellino

Salerno

Napoli

CasertaBenevento

Avellino

Salerno

NapNapoliNapoli

Eboli

Bivio Santa Cecilia

CapaccioCapaccio ScaloCampolongo

Battipaglia

Lʼattività agricola nella Piana non ha lecaratteristiche della

stagionalità ma, al contrario,si distribuisce nellʼarco ditutto lʼanno, con picchi neimesi primaverili ed estivi

23 Registro imprese della Camera di Commercio di Salerno (maggio 2014).24 Intervista a Rosario Rago, Presidente Confagricoltura Salerno (26.06.14).25 Ibidem.26 Intervista a Salvatore Loffreda, Direttore Federazione Provinciale Coldiretti Salerno (14.05.14).27 Interviste a Giovanna Basile, Segretaria Generale Flai-Cgil Salerno (06.06.14) e ad Anselmo Botte, Segreteria Confederale Cgil Salerno (20.06.14).

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rante gli anni Novanta e il loro numero si è costante-mente accresciuto di pari passo con la contrazionedell’offerta di manodopera locale.

Nel 2009 viene sgomberato il ghetto di San NicolaVarco, un ex mercato ortofrutticolo che accoglieva neipicchi stagionali oltre mille braccianti immigrati, per lamaggior parte irregolari e in condizioni abitative ed igie-nico-sanitarie disastrose. Dopo lo smantellamento delghetto si è assistito ad una progressiva distribuzionedei lavoratori stranieri nel territorio della Piana, ad unparziale miglioramento delle loro condizioni abitative ead un aumento dei migranti in possesso di un regolarepermesso di soggiorno. Ciò è stato in parte determi-nato dalla possibilità di accedere a case in affitto (so-prattutto nelle aree di Capaccio, Bivio Santa Cecilia –Eboli, litoranea Salerno-Paestum) e dalle regolarizza-zioni avvenute in seguito alle sanatorie del 2010 e del2012. Nonostante tale evoluzione, le condizioni di sfrut-tamento dei braccianti rimangono tuttavia estrema-mente preoccupanti.

2.2 L’intervento di MeduNei mesi di maggio e giugno 2014, il team di Medu

ha intervistato 177 migranti e prestato prima assistenzamedica e orientamento socio-sanitario a 133 di essi perun totale di 143 visite. L’ambulatorio mobile di Medu haoperato presso la sede Flai-Cgil di Santa Cecilia (Eboli)e lungo la litoranea Salerno-Paestum (zona di Campo-longo). Delle 177 persone intervistate, l’86% (153) eraimpiegato in agricoltura e i dati che vengono qui di se-guito presentati si riferiscono esclusivamente a questogruppo di migranti. L’87% di essi era composto da uo-mini, l’età media è risultata essere di 36 anni e i princi-pali paesi di provenienza erano il Marocco (84%),l’Algeria (7%) e la Romania (7%). Come rilevato anchenella Piana di Gioia Tauro, si tratta per la gran parte diuna popolazione titolare di regolare permesso di sog-giorno (67% dei casi). Tuttavia, a differenza degli stra-nieri impiegati in agricoltura in Calabria, tra di essi nonvi sono rifugiati né titolari di protezione umanitaria, masoprattutto persone in possesso di un permesso di sog-giorno per motivi di lavoro (60% dei casi). Il numero dilavoratori stagionali incontrati è risultato molto esiguodal momento che il 96% dei braccianti risiedeva stabil-mente nella zona.

2.3 Lavoro grigio e caporalatoDei 153 braccianti stranieri intervistati da Medu, il

60% ha affermato di avere un contratto di lavoro. No-nostante la paga minima giornaliera prevista dai con-tratti collettivi vigenti sia di circa 48 euro lordi, i migrantiintervistati hanno dichiarato di percepire in media 32euro. Per quanto concerne il versamento dei contributisociali, il 64% dei lavoratori agricoli con regolare con-tratto ha dichiarato di vedersi riconosciute un numerodi giornate inferiori a quelle effettivamente svolte, il 17%di non sapere se gli siano state o gli saranno ricono-sciute delle giornate di lavoro a livello contributivo men-tre il 19% non ha risposto alla domanda. Tra i migrantiche hanno affermato di avere un contratto di lavoro,inoltre, il 12% ha ammesso il ricorso al caporale. Talepercentuale sale al 49% tra i lavoratori irregolarmentesoggiornanti (il 12% non ha accettato di rispondere) eal 43% tra quelli che lavorano in nero. Un terzo di tutti ilavoratori intervistati ha, inoltre, dichiarato di dover pa-gare una somma di denaro per poter raggiungere ilposto di lavoro ad un caporale (in media 3,9 euro) o, inDisegni e pensieri sul cemento dell’ex ghetto di San Nicola Varco (Medu/luglio 2014)

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percentuali più ridotte (in media 2,7euro) ad un autista e/o conoscente.

Nonostante, dunque, nella Pianadel Sele più della metà dei lavoratoriagricoli intervistati abbia affermato diessere in possesso di un contratto dilavoro, le testimonianze e i dati raccoltievidenziano un modello di agricolturaancora basato sullo sfruttamento deibraccianti immigrati e sul caporalato. Il lavoro dei brac-cianti resta gravemente sottopagato – in media 32 euroal giorno – nella quasi totalità dei casi con poche diffe-renze rispetto alle condizioni di regolarità o meno delsoggiorno o al possesso di un contratto di lavoro. Lapresenza del contratto di lavoro, del resto, nasconde inmolti casi un pervasivo sistema d’illegalità. Dal punto divista contributivo, emergono gravi irregolarità a dannodei due terzi dei migranti che hanno dichiarato di pos-sedere un contratto di lavoro.

Il fenomeno delle buste paga fittizie in agricolturasembra del resto essere un nodo strutturale e persi-stente che in passato interessava principalmente i la-voratori italiani e adesso, data la percentuale sempremaggiore di lavoratori migranti, anche gli stranieri. Se-condo la Segretaria Generale Flai-Cgil di Salerno “ibraccianti spesso vanno a lavorare in aziende dovenon hanno accesso ai servizi igienici né all’acqua po-tabile, che si devono portare da casa. Per di più, nellabusta paga risulta che hanno lavorato un certo numerodi giornate a 48 euro, la paga prevista dal contratto pro-vinciale, ma in realtà hanno lavorato il doppio dei giornia 25-30 euro. Spesso esiste un vero e proprio accordotra datore e lavoratore: per vedersi riconosciute le 51giornate che permettono di accedere alle indennità didisoccupazione, malattia, maternità, agli assegni fami-liari, il bracciante ne deve lavorare 80, se ne vuole 102,ne deve lavorare 130, per 151 giornate deve lavoraretutto l’anno. Molte aziende sostengono, infatti, chequello che il bracciante percepisce dalla disoccupa-zione vada ad integrare i 48 euro che dovrebbero ver-sargli a giornata”28.

Il fenomeno del caporalato conti-nua, inoltre, ad essere presente inmodo preoccupante soprattutto, manon esclusivamente, tra i bracciantiprivi di permesso di soggiorno dalmomento che quasi i due terzi di essihanno ammesso di essere stati co-stretti a farvi ricorso oppure nonhanno accettato di rispondere alla do-manda. Secondo la Segretaria Gene-

rale Flai-Cgil il fenomeno sembra comunque averassunto negli ultimi anni caratteristiche differenti:“Adesso il caporalato è un reato e in tutta Italia ci sonostati degli arresti, oltre 200 è il dato dell’OsservatorioPlacido Rizzotto. Ma qui il caporalato ha preso un’altraveste: ora si fanno chiamare trasportatori. Sono coloroche nei paesi organizzano gli autobus e portano a la-vorare i braccianti, e che con quegli stessi autobushanno fatto una società, una cooperativa di più auto-mezzi, e li portano nei campi”29.

Sembra inoltre persistere un fenomeno già in atto daoltre un decennio: quello delle truffe ai danni degli im-migrati attraverso la vendita di falsi contratti di lavoro inagricoltura. Sebbene la paura e la condizione di vulne-rabilità impediscano spesso alle vittime di parlarneapertamente, il team di Medu ha potuto raccogliere al-cune testimonianze dirette riguardanti un sistema frau-dolento gestito da reti organizzate di stranieri e diitaliani che sfrutta in particolare i decreti flussi stagio-nali. I migranti, per lo più di nazionalità marocchina, ef-

Quasi i due terzi deibraccianti privi di

permesso di soggiornohanno ammesso di fare

ricorso al caporale oppurenon hanno accettato di

rispondere alla domanda

28 Intervista a Giovanna Basile, Segretaria Generale Flai-Cgil Salerno (06.06.14).29 Ibidem.

Lavoratori marocchini con operatori di Medu presso un insediamento abbandonato(Medu/giugno 2014)

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fettuano il loro primo ingresso nel nostro Paese nel mo-mento in cui alcuni connazionali che risiedono in Italiae fungono da intermediari procurano i nulla osta dellePrefetture a nome di aziende realmente esistenti oanche fittizie. In questo caso i migranti sono obbligatia pagare dai tre ai seimila euro all’organizzazione chegestisce il sistema per trovarsi poi in una condizioned’irregolarità poiché al momento del perfezionamentodella procedura di assunzione, da effettuarsi entro ottogiorni dall’arrivo in Italia, il datore di lavoro risulta irre-peribile. L’altro meccanismo che viene descritto nelletestimonianze è quello della compravendita dei con-tratti di lavoro, indispensabili per il rinnovo del per-messo di soggiorno. In questo caso un contratto puòcostare al migrante dai 500 ai 1.500 euro.

2.4 La salute e la mancata integrazioneTra i pazienti assistiti dal servizio a

bassa soglia di Medu, i principali so-spetti diagnostici riguardano le malattieosteomuscolari e del tessuto connet-tivo (22%, di cui il 42% lombalgie elombosciatalgie da affaticamento) esa-cerbate o generate dall’attività lavora-tiva. Al secondo posto troviamo lemalattie dell’apparato digerente (16%complessivo), di cui il 37% riferibile aodontopatie spesso legate alla diffi-coltà nell’accesso alle cure odontoiatri-che e il 42% riferibile a gastriti da stress e alimentari. Alterzo posto troviamo le malattie del sistema respiratorio(16%), prevalentemente rappresentate da quadri di tipoallergico (47%) correlati alla presenza di allergeni sta-gionali, presenti in natura o ad esposizione lavorativa. Alquinto posto si ritrovano le malattie infettivo-parassitarie(14%, delle quali il 71% micosi cutanee, due casi di her-pes simplex labiale, un caso di ossuriasi e uno di gonor-rea). In particolare, il fenomeno delle parassitosimicotiche appare correlato alla situazione di precarietàsocio-sanitaria dei pazienti e alla tipologia di presidi uti-lizzati durante l’attività lavorativa (prevalentemente stivalidi gomma in ambiente caldo/umido). Risultano assentile malattie infettive da importazione.

Nell’10% dei sospetti diagnostici si ritrovano le ma-lattie della cute e del tessuto sottocutaneo (prevalente-

mente quadri di tipo allergico), e nel 7% i disturbi del-l’occhio (congiuntiviti sierose e problemi della vista). Glistati morbosi mal definiti sono stati rilevati nel 4% deicasi. Nel 3% dei casi sono stati riscontrate patologiedell’orecchio e disturbi mentali (disturbi d’ansia e in-sonnia, iporessia). I traumatismi si ritrovano al 2%, esono rappresentati da traumi da caduta e da ferite ve-rificatisi nel luogo di lavoro.

In generale possiamo concludere come in questocontesto siano preponderanti le patologie direttamentecorrelate all’attività lavorativa e allo stato di precarietàsociale, anche nei gruppi di pazienti che hanno una re-golare iscrizione al Servizio sanitario nazionale.

Per quanto concerne il legame tra salute e condi-zioni di lavoro, il 15,6% dei lavoratori intervistati ha af-

fermato di entrare in contatto direttoo indiretto con fitofarmaci e, nell’80%dei casi, di non fare uso della ma-scherina protettiva. Inoltre l’86% deibraccianti, pur utilizzando presidi disicurezza come guanti e scarpe, èobbligato in quattro casi su cinque aprocurarseli autonomamente poichénon gli vengono forniti, come sa-rebbe d’obbligo, dal datore di lavoro.

Anche dal punto di vista dell’inte-grazione sanitaria e dell’accesso alle cure emergono fortielementi di criticità. Il 50% delle persone regolarmentesoggiornanti intervistate da Medu ha dichiarato, infatti, dinon essere iscritta al Servizio sanitario nazionale e, neicasi già diagnosticati e in cura presso i servizi di medicinagenerale, si osserva una difficile compliance alla terapia.

In relazione alle condizioni abitative, la maggior partedei migranti intervistati risiede in una casa in affitto, inmedia con altri quattro connazionali, mentre l’8% ha di-chiarato di vivere in edifici abbandonati in condizioni igie-nico-sanitarie precarie. Trattandosi per lo più di unapopolazione stanziale che risiede in Italia in media dasette anni (il 25% ha dichiarato di essere nel Paese dapiù di 10 anni), più del 70% degli intervistati ha dimostratoun livello buono o sufficiente della lingua italiana. Ciono-nostante, del 23% che possiede una scarsa conoscenza

I principali sospettidiagnostici riguardano lemalattie osteomuscolariesacerbate o generatedall'attività lavorativa

nei campi

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dell’italiano, oltre la metà è rappresentato da migranti chevivono nel nostro Paese da oltre due anni, a dimostra-zione di fattori di isolamento e di esclusione tutt’ora per-sistenti. Nonostante la lunga permanenza in Italia, inoltre,solo poco più di metà dei migranti regolarmente soggior-nanti è in possesso della carta di identità e, in 12 casi, gliintervistati hanno dichiarato di aver dovuto pagare dai150 ai 300 euro un connazionale o un affittuario italianoper ottenere una dichiarazione di ospitalità e potersi cosìiscrivere all’anagrafe del Comune di residenza.

2.5 ConclusioniNonostante l’espressione più emblematica delle

drammatiche condizioni di vita dei braccianti immigratinella Piana del Sele, il ghetto di San Nicola Varco, nonesista più da oltre quattro anni, l’indagine realizzata daMedu evidenzia il persistere di condizioni di sfrutta-mento ed esclusione nei confronti deilavoratori migranti impiegati in agricol-tura. Tale situazione risulta tanto piùinaccettabile nel momento cui si pro-duce in un’area che, per la ricchezzadelle sua agricoltura e per i prodotti dieccellenza dei suoi comparti, è statadefinita la “California d’Italia”.

Sebbene nel corso degli anni siaprogressivamente diminuito il numero dilavoratori immigrati irregolari o comunque costretti a lavo-rare in nero, l’aumento dei migranti in possesso di un con-tratto di lavoro non ha prodotto in realtà un significativomiglioramento delle condizioni di lavoro. Dietro questodato si cela, nei fatti, un sistema pervasivo basato su sot-tosalario, pratiche fraudolente e caporalato volti a perpe-tuare le medesime condizioni di sfruttamento.

INTERVISTE

Intervista a Salvatore LoffredaDirettore federazione provincialeColdiretti Salerno[14.05.14]

Cosa si produce nella Piana del Sele e qualè lo stato economico di questa produzione?

Nella Piana del Sele si produce la quarta gamma,insalate già pronte, minestroni. L’economia è in cre-scita, ogni anno vengono trasformati in serre produttive400 ettari in più. Il mercato principale è l’Europa delNord (Olanda, Svezia, Germania). Per quanto riguardail campo aperto, le principali colture riguardano angu-rie, fragole e finocchi. Negli ultimi anni la produzionedella zona è aumentata anche perché, grazie all’attività

dei consorzi di bonifica, riusciamo adare acqua alle piante la cui salubritàè certificata. Noi come associazionedi categoria assistiamo 12.000aziende, tra piccole, medie e grandi.

Come mai, nonostante un au-mento annuo della produttivitàdella zona, si registrano gravi ir-regolarità sul fronte dei con-tratti di lavoro dei braccianti?

Il lavoro nero in agricoltura è purtroppo ancora unatriste realtà. I fenomeni di delinquenza come sfrutta-mento e prestanomi esistono e lo abbiamo denunciatoanche noi più volte, ma si tratta di una situazione che,seppur lentamente, migliora rispetto agli anni passati.Il comparto agricolo ha scelto con decisione la stradadel contrasto ad ogni forma di illegalità. Coldiretti Sa-lerno ha assicurato la propria disponibilità, mettendoa disposizione il proprio sistema informatico dei fasci-coli aziendali, per prevenire fenomeni di lavoro nero egarantire un risparmio di risorse ed energie alle forzedi controllo preposte. Interventi mirati e controlli aiu-tano le tantissime imprese agricole sane a non subireconcorrenza sleale da parte di chi mette in atto feno-meni illegali e fraudolenti. Un dato, poi, non va trascu-rato: le nostre imprese agricole, soprattutto quelle dellaPiana del Sele, che rappresentano un’eccellenza as-soluta, hanno migliorato la capacità di intercettare in-

Nel sistema illegale dellacompravendita dei contratti

per il rinnovo del permesso di soggiorno,

un contratto di lavoro puòcostare al migrante

dai 500 ai 1.500 euro

Serre nell’area “trasformata” di Eboli (Medu/giugno 2014)

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genti risorse comunitarie, che si ottengono solo se sihanno requisiti tra cui anche il rispetto delle norme suilavoratori.

Quali sono le principali problematiche cheriscontra nel mondo dell’agricoltura?

Varie sono le problematiche relative alla contrattua-lità in agricoltura, soprattutto per i migranti. A volte i mi-granti vengono in Italia dopo pagamento anche di7000-8000 euro per un pre-contratto che li regolarizze-rebbe, ma in realtà poi le aziende agricole non esistonoe quindi si torna all’irregolarità. Altra problematica è cheè uso pagare per avere un contratto agricolo e poi la-vorare in edilizia dove pagano di più (40 euro/die). Acreare queste tipologie di distorsione è la previdenzaINPS, e quindi la possibilità per l’agricoltore di acce-dere a sussidi di disoccupazione e assistenza socialemolto più facilmente che per altri lavori.

Qui esiste il fenomeno del caporalato? Sesi, lo può descrivere?

Il caporalato è un fenomeno che purtroppo esiste dasempre e, per quanto riguarda questa zona, si inseriscesoprattutto nelle aziende più piccole e meno strutturate,che non hanno certificazione di qualità e che non gesti-scono un marchio che esce sul mercato e che ovvia-mente avrebbe problemi in caso di uno scandalo sullavoro nero. Il caporalato s’inserisce nella modalità diorganizzazione del lavoro: spostamento veloce dellamanodopera data la concentrazione delle attività deicampi e la conseguente mobilità che i lavoratori devonoaffrontare per lavorare. Finché la tipologia del lavoro ri-marrà così organizzata e vi sarà turnover sarà difficilesconfiggere il caporalato, perché questo facilita inoltrelo spostamento interregionale. Il caporalato è poi un fe-nomeno che ormai non lo si ritrova solo in ambito lavo-rativo, ma in tutte le sfere che riguardano le vite deimigranti: dall’abitazione, dagli accompagnamenti dalmedico, agli uffici, ai servizi. Noi abbiamo, presso gli Uf-fici Coldiretti di Corno d’Oro, uno sportello dedicato aimigranti che assistiamo in ogni aspetto, dalla salute, allacasa, al lavoro. Lo chiamiamo, infatti, “ufficio di servizi”,in cui sono garantiti anche gli accompagnamenti e il di-sbrigo di pratiche relative al soggiorno a titolo gratuito.In gran parte abbiamo anche superato le diffidenze deimigranti però certo, c’è ancora molto da fare.

Intervista ad Anselmo Mario BotteSegreteria Confederale Cgil Salerno[20.06.14]

Quando arrivano nella Piana del Sele iprimi braccianti stranieri?

I primi migranti nella zona di Salerno risalgono al1984-85. Provenivano soprattutto dallo Sri Lanka e daCapoverde e svolgevano i lavori di cura nelle famiglieitaliane. I grossi flussi sono iniziati dopo gli anni ’90 e,in agricoltura, verso metà degli anni ‘90. Nella Piana delSele erano soprattutto marocchini, venuti per svolgereattività di commercio. In agricoltura in quel periodo vifu un abbandono delle terre da parte dei lavoratori lo-cali, diminuirono i flussi di braccianti italiani che veni-vano da altre aree (dal cilento, dal potentino, e da altrezone della Campania) e ci fu un travaso di migranti -fra i primi, algerini e marocchini - che smisero le attivitàdi commercio e si dedicarono all’agricoltura. Il trendandò progressivamente crescendo negli anni, manmano che diminuiva la forza lavoro locale, fino al boomdegli anni duemila, quando siamo passati da un 30-40% di braccianti migranti impiegati in agricoltura, al60-70%, forse in alcune zone addirittura l’80%. Oggisono circa 37mila i migranti in provincia di Salerno. Lacomunità più consistente è quella marocchina, seguitadalla rumena e dalla bulgara. In agricoltura ne sti-miamo10-12 mila.

Cosa accade con l’inizio delle sanatorie?Dalla prima sanatoria del 2001 ha inizio la truffa che

si è perpetrata negli anni: l’aver legato la possibilità diottenere il permesso di soggiorno alla presenza delcontratto di lavoro ha creato una mostruosità che èquella di lasciare nelle mani di un datore di lavoro lapossibilità di regolarizzare il migrante. È un vulnus dellanormativa perché il permesso di soggiorno è l’esi-stenza di un migrante, che spesso si è trovato a doverpagare due o tremila euro un contratto di lavoro per re-golarizzarsi. Da allora in questo territorio c’è semprestato questo tipo di illegalità. Ogni volta che c’è un de-creto flussi per stagionali, datori di lavoro disonesti,commercialisti e avvocati compiacenti si prestano aquesti prelievi di tangenti che i migranti sono costrettia pagare. E spesso i contratti sono fasulli. Una parte

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dei migranti che entra regolarmente con nulla osta rila-sciati dalla prefettura italiana si trova, infatti, di fronte adatori di lavoro spesso inesistenti.

Quali sono gli altri problemi che riscontrate?Qui la situazione è più simile ad una miscela esplo-

siva. Da una parte, sotto l’aspetto salariale, è cambiatopochissimo dal 2000 ad oggi: quando c’era la lira lagiornata era di 50mila lire mentre oggi si aggira sulle25-28-20 euro. Dall’altra parte c’è gestione del mercatodel lavoro da parte dei caporali, fatta eccezione per lemedie-grandi aziende che continuano a lavorare congli ex dipendenti ogni anno riconfermati. Abbiamo lanuova figura, quella del caporale etnico che ha una ca-ratteristica: oltre a reclutare e controllare forza lavoro èanello di congiunzione per gli ingressi nel paese per-ché in contatto con i connazionali nel paese di origine.Gestire gli ingressi significa alimentare le mafie inter-nazionali. Dietro ad ogni ingresso con il decreto flussi– quindi attraverso un canale legale – c’è un paga-mento di 6-7 mila euro. C’è anche una responsabilitàdelle aziende: dietro ad ogni migrante che lavora conil caporale, c’è un datore di lavoro che non ha rispettatole regole di assunzione. I datori si appellano al fatto chela direzione provinciale del lavoro e i centri per l’im-piego non sono in grado di rispondere alle esigenze dimanodopera, spesso comunicate in tempi brevissimi.Hanno necessità, per esempio, di spostare centinaia dilavoratori da un’azienda ad un’altra dalla sera alla mat-tina. Tuttavia, se si fa una programmazione con i centriper l’impiego qualcosa potrebbe funzionare.

Come funziona lo sportello contro il capo-ralato del Comune di Eboli?

È stato sottoscritto un protocollo con il Comune diEboli e le maggiori associazioni datoriali (CIA, Con-fagricoltura e Coldiretti) per creare uno sportello dicollocamento pubblico in agricoltura in grado di ag-gredire il caporalato su quello che è il suo punto diforza: in poche ore mettere insieme anche gruppiconsistenti di lavoratori e spostarli da un’azienda al-l’altra. Tuttavia è un modello che può funzionare se,oltre alla domanda (i braccianti), c’è l’offerta. Ad oggi,c’è solo un’azienda iscritta e questo è un fatto che ci

deve far riflettere30. Sembra che ai datori di lavoro noninteressi più di tanto la gestione dei lavoratori e delmercato del lavoro, visto che l’hanno lasciata nellemani dei caporali. Dopo questa sperimentazione nonc’è, quindi, più alibi. Se non c’è adesione a questomodello, siamo legittimati a pensare che quello delcaporalato sia un fenomeno che fa comodo a molti,non solo alle piccole aziende.

TESTIMONIANZEAnna (47 anni, Italia)[giugno 2014]Lavoro in agricoltura dall’83. Sono quasi 31 anni

di contributi. Per andare al lavoro prendevo l’autobusun’ora prima. S’iniziava alle 6.45 e si finiva intorno alle14.10. La pausa era di un quarto d’ora, il tempo di an-dare al bagno e mangiare qualcosa. Quest’anno peròsono rimasta scoperta perché, per motivi di malattiaprofessionale, sono stata discriminata da alcuni datoridi lavoro che non mi hanno voluto assumere. Le bustepaga hanno importi diversi rispetto alla giornata chenoi percepiamo: prendiamo 27, 28 o a volte anche 29euro al giorno però la busta paga è di 46-47 euro algiorno e non risponde al salario che noi prendiamonella realtà. Da che io ricordo, le buste paga sonosempre state cosi.

Elisabeta(58 anni, Romania) [maggio 2014]Sono arrivata in Italia nel 2006 dalla Romania. Ho

finito da qualche settimana di lavorare per un pa-drone. Raccoglievo cavoli, mi ci ha portato un maroc-chino. Abbiamo lavorato otto ore al giorno per 26euro. Dovevo pagare anche quattro euro per il tra-sporto. Ho lavorato 25 giorni ma non ho ancora vistoi soldi. Mi ha detto di non fare casino perché lui mipaga piano piano. Ci sono troppi padroni che si com-portano cosi. Non fanno il contratto o quando lo fannonon versano i contributi o, quando vai all’INPS, scopriche non è buono.

30 Questo dato si riferisce al giugno 2014, momento in cui si è svolta l’intervista, ed è rimasto tale fino al febbraio 2015, quando questo rapporto è stato scritto.

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Mohammed (35 anni, Marocco)[giugno 2014]Sono qui da 15 anni. Faccio il bracciante agricolo e

vivo con mia moglie e mia figlia nell’azienda dove lavoro.Lavoro tutti i giorni, anche la domenica, otto-nove ore algiorno nei campi come trattorista. Dò le medicine allepiante ma non ho mai usato la mascherina fino a quandonon ho saputo che respirare queste sostanze fa malealla salute. Il resto del tempo faccio il custode del-l’azienda e del gasolio che c’è in magazzino, che rischiasempre di essere rubato. Mi danno trenta euro al giorno.

Tina (40 anni, Romania) [maggio 2014]Lavoro sei giorni alla settimana,

sette, otto o nove ore al giorno eprendo trenta euro. Ho un contratto dilavoro ma la busta paga è falsa: io la-voro quasi tutto il mese ma il padronemi versa contributi solo per 102 gior-nate all’anno. Poi la paga che c’èscritta nella busta paga è una cosa ma quella cheprendi è un’altra. Nella mia c’è scritto che prendo 48euro al giorno ma io ne prendo solo 30.

Youssef (24 anni, Marocco)[giugno 2014]Faccio parte di una squadra di venti ragazzi: racco-

gliamo finocchi. Abbiamo un unico caposquadra, sem-pre del Marocco, e lavoriamo a cottimo per aziendediverse e in regioni diverse, anche se mi hanno fatto unsolo contratto agricolo annuale. Lavoriamo tutti i giornidalle tre del mattino fino alle sei di sera, spostandocida un campo all’altro. Per ogni autotreno che cari-chiamo con i cassoni di finocchi la squadra prende380-450 euro, quindi in media venti euro a testa. In una

giornata riusciamo a caricare dai treai cinque autotreni. Quando andiamoa lavorare in un’altra regione viviamoin una casa tutti insieme e il capo-squadra trattiene dalle paghe quantoserve per affitto e spese, ma nonsappiamo mai quanto sia di precisoil costo dell’affitto né delle spese.

“Ho un contratto di lavoroma la busta paga è falsa:cʼè scritto che prendo 48euro al giorno ma io ne

prendo solo 30”

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Non guardare male il povero perchè a volte i serpenti muoiono del veleno degli scorpioni. Un proverbio arabo sulle pareti dell’ex ghetto di San Nicola Varco (Medu/giugno 2014)

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La raccolta del pomodoro tra lavoro gri-gio, caporalato e tentativi di accoglienza

Nei mesi che vanno da agosto ad ottobre, lʼarea delVulture-Alto Bradano vede ogni anno un importante af-flusso di migranti impiegati nella raccolta del pomo-doro. Nel corso della scorsa stagione, nonostante glisforzi messi in atto dalla Regione Basilicata attraversolʼistituzione di una Task Force, sono rimaste critiche lecondizioni di vita e di lavoro degli oltre mille bracciantistranieri, provenienti per la gran parte dallʼAfrica subsahariana. A causa della tardiva apertura dei centri diaccoglienza di Palazzo San Gervasio e Venosa, i mi-granti hanno continuato a vivere per gran parte dellastagione in condizioni disastrose allʼinterno di casolariabbandonati privi di acqua, elettricità e servizi igienici.La gran parte dei lavoratori (92%) è dotata di un rego-lare permesso di soggiorno ma, nella maggior partedei casi, viene ancora ingaggiata attraverso la figuradel caporale che trattiene 0,50 euro per ogni cassonedi pomodori riempito. La maggior parte dei migranti haanche affermato di non sapere quante giornate sa-ranno effettivamente dichiarate ai fini contributivi daldatore di lavoro italiano. In previsione della prossimastagione è indispensabile che gli interventi messi inatto dalla Regione superino la dimensione emergen-ziale attraverso modalità di attuazione più incisive etempistiche più adeguate.

3.1 Il contesto agricoloNell’area del Vulture-Alto Bradano, decine di casolari

abbandonati nelle campagne sono ripopolati ogni anno- indicativamente, da luglio a settembre - da più di unmigliaio di braccianti stranieri. Si tratta di giovani lavo-ratori, per lo più del Burkina Faso, che giungono da di-verse regioni d’Italia per cercare impiego nella raccoltadel pomodoro. La storia dei flussi migratori nella zonadel Vulture-Alto Bradano ha inizio nella seconda metàdegli anni Ottanta, quando la raccolta del pomodorocomincia ad attrarre braccianti stranieri provenienti dalMaghreb (tunisini, marocchini, algerini). Nel successivoventennio, si assiste alla graduale sostituzione dellamanodopera locale con quella straniera e sempre più

lavoratori stagionali iniziano ad affollare insediamenti in-formali nell’area di Palazzo San Gervasio.

Nel 1998, a fronte di un numero sempre più consis-tente di lavoratori accampati in strutture abbandonatee prive di servizi, viene aperto un centro di accoglienzache avrebbe dovuto ospitare 200 persone ma che, neifatti, darà rifugio a più di 800 migranti. Nel 2009 il centroviene chiuso per violazione delle norme igieniche e disicurezza e i lavoratori stranieri iniziano ad occuparestagionalmente alcuni casolari abbandonati nell’area dicontrada Boreano e Mulini Matinelle (Comune diVenosa). Nell’aprile 2011 il centro di accoglienza riapresottoforma di Cai (Centro di Accoglienza e Identifi-cazione) per accogliere i migranti della cosiddettaEmergenza Nord Africa ed è poi trasformato in Cie(Centro di Identificazione ed Espulsione), chiuso nel-l’estate dello stesso anno. Oggi sono ripresi i lavori diristrutturazione della struttura grazie a tre milioni emezzo di euro stanziati dall’allora Governo Monti.

I principali comuni interessati dalla raccolta del po-modoro sono Lavello, Palazzo San Gervasio, Mon-temilone e, solo in piccola parte, Venosa, dove prevale ilsettore vitivinicolo. Secondo i dati forniti dalla Task Forceistituita a giugno 2014 dalla Regione Basilicata con l’obi-

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LUOGHI D’INTERVENTOBASILICATA Vulture - Alto Bradano

MateraPotenza

MateraPotenza

Montemilone

Palazzo San Gervasio

Lavello

Venosa

Boreano

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ettivo di migliorare le condizioni di accoglienza e di lavorodei migranti impiegati in agricoltura, sarebbero circa 300le aziende dedite alla produzione del pomodoro e 1.500gli ettari adibiti a tale coltura. Tuttavia, secondo ColdirettiPotenza, è difficile stimare con precisione quanti ettarisiano impiegati poiché, trattandosi di una coltivazione dibreve durata e di “transizione” tra un raccolto e l’altro,molte aziende utilizzano terreni presi in affitto.

3.2 L’intervento di MeduDal mese di luglio alla prima settimana di ottobre

2014, il team di Medu ha prestato prima assistenzamedica e orientamento socio-sanitario a 250 migranti,tutti impiegati in agricoltura, effettuando – tra primi esecondi accessi - 267 visite. L’ambulatorio mobile haraggiunto la maggior parte dei casolari dislocati nellecampagne tra i Comuni di Venosa, Lavello, Palazzo SanGervasio e Montemilone. Nei due insediamenti piùpopolati, il primo in zona contrada Boreano (a circa 20chilometri da Venosa) e il secondo lungo la strada MuliniMatinelle (a pochi chilometri da Palazzo San Gervasio),composti entrambi da una decina di casolari della ri-forma fondiaria, trovano alloggio durante la stagionedella raccolta del pomodoro più di 400 persone per ag-glomerato. Si tratta per lo più di giovani uomini dell’etàmedia di 31 anni, fatta eccezione per alcune donne os-pitate in quattro casolari dedite ad attività di prosti-tuzione o di preparazione dei pasti per i lavoratori. Il96% dei braccianti assistiti non dimorava abitualmente

nel territorio ed era presente nel Vulture Alto Bradanoesclusivamente per la stagione del pomodoro.

In più dell’80% dei casi, i lavoratori visitati da Meduprovenivano dal Burkina Faso e, in percentuali minori,da Costa d’Avorio, Sudan, Ghana, Mali, Sierra Leone,Ciad, Guinea Conakry e Tunisia. Nel 92% dei casi, ipazienti possedevano un regolare permesso di sog-giorno. Nello specifico, il 44% ha dichiarato di essere inpossesso di un permesso di soggiorno per protezioneinternazionale o per motivi umanitari; il 30% ha un per-messo di soggiorno per lavoro subordinato. È statariscontrata, inoltre, una presenza di lavoratori con per-messo per ricongiungimento familiare o per motivi fa-miliari (5%) o con Carta di Soggiorno (4%).

Dei regolarmente presenti, l’84% aveva la residenzain un’altra regione, spesso del Nord Italia oppure inCampania (solo in due casi in Basilicata), e l’81% erain possesso della carta di identità. Si tratta dunque diuna popolazione lavoratrice presente in modo regolaree stabile in Italia (il tempo medio di presenza nel nostropaese è di oltre cinque anni) e che si sposta per breviperiodi di regione in regione, seguendo le stagionalitàdel lavoro agricolo.

3.3 Dalla zappa alla raccolta “a cassone”Durante il periodo d’intervento è stato possibile osser-

vare due fasi distinte delle attività lavorative nei campi: la

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Casolari abbandonati lungo la strada Mulini Matinelle, a pochi km da Palazzo San Gervasio (PT) (Medu/settembre 2014)

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fase di preparazione dei terreni coltivati a pomodoro (at-tività di zappa, pulizia del campo, etc.) da inizio luglio ametà agosto e la fase della raccolta, dalla seconda metàdi agosto fino ad inizio ottobre.

Nel primo periodo hanno fruito dei servizi dell’ambu-latorio mobile 99 persone, di cui solo 8 irregolarmentepresenti mentre il 16%, essendo appena arrivato, nonha risposto alle domande specifiche sul lavoro. I brac-cianti intervistati hanno dichiarato di lavorare in media4,5 giorni a settimana per 7 ore e mezza al giorno e diessere pagati a ora, in media quasi 5 euro, per unguadagno giornaliero di circa 36 euro. Tale guadagno,tuttavia, deve considerarsi al lordo delle spese ditrasporto poiché, in più della metà dei casi, i lavoratorihanno dichiarato di dover raggiungere il luogo di lavoroin macchina o in furgone pagando circa 5 euro per iltrasporto. Inoltre, tre lavoratori su quattro hannoammesso di fare ricorso alla figura del caporale (57%)o non hanno accettato di rispondere (20%). Il caporale,spesso un connazionale31, recluta la manodopera per idatori di lavoro, organizza le squadre di braccianti e iltrasporto. La quota media che il migrante versa al ca-porale risulta difficilmente quantificabile in questa fasedi pre-raccolta poiché estremamente variabile. Il 39%dei braccianti, inoltre, è in possesso di un contratto dilavoro della durata compresa tra i 15-30 giorni e i 3mesi. Tuttavia, più della metà di questi (il 60%) affermadi non sapere se, allo scadere del contratto, riceverà ledovute buste paga con l’equo riconoscimento dellegiornate ai fini contributivi.

Nel secondo periodo hanno fruito dei servizi dell’am-bulatorio mobile 151 persone, di cui solo 8 irregolari. Il28% di questi era appena arrivato e pertanto non harisposto alle domande specifiche sul lavoro. La granparte dei braccianti intervistati ha dichiarato di lavorarea cassone, cioè a cottimo, circa 3 giorni e mezzo a setti-mana, per una media di 7 ore e mezza al giorno. Chi de-termina modi e tempi di coltivazione del pomodoro inquest’area, è l’acquirente finale del prodotto: l’industria

trasformatrice, che ne farà principalmente passate e pe-lati. Ciò che conta, quindi, non è la qualità, bensì la quan-tità, che in queste aree può arrivare anche a mille quintalidi pomodoro per ettaro di terreno. In questo caso, ilguadagno medio giornaliero può essere solo stimatopoiché l’importo dipende da numerose variabili, quali: ilnumero di persone che compongono la squadra, il nu-mero di autotreni (ciascuno con 88 cassoni) previsti perla giornata di raccolta, le condizioni del terreno di raccoltae delle piante. In una situazione ottimale, l’operaio riescea riempire in un giorno in media 20 cassoni da 300 Kgciascuno, mentre, nel caso peggiore, arriva a riempirnecirca 15. Ogni cassone è pagato in media 4,3 euro, perun guadagno medio giornaliero che oscilla tra i 64,5 e gli86 euro. Per ogni cassone riempito, tuttavia, il bracciantedeve consegnare 0,50 euro al caporale, cui fa ricorsol’80% degli intervistati.

Dei lavoratori intervistati nel secondo periodo (rac-colta del pomodoro), il 68% è in possesso di un contrattodi lavoro ma, di questi, quasi il 75% non sa se e quantegiornate lavorative gli verranno riconosciute a livello con-tributivo. Secondo Coldiretti32, il fenomeno del lavoronero sta diminuendo a causa dell’aumento dei controllida parte dell’ispettorato del lavoro e per l’impatto nega-tivo che questo fenomeno ha sui mercati europei. Sem-pre Coldiretti ammette come, nella maggior parte deicasi, il pagamento rimanga a cassone anche per voleredegli stessi lavoratori, nonostante il Contratto Provincialedel Lavoro firmato da tutte le sigle sindacali dei datori dilavoro e dei braccianti agricoli sancisca che, “al fine dievitare lo sfruttamento dei lavoratori, soprattutto extraco-munitari ed il fenomeno del caporalato”, la paga gior-naliera debba essere di 39,67 euro lordi a partire dalprimo gennaio 2014 (Art. 7). Secondo le dichiarazionidei braccianti, in nessun caso è esplicitamente impeditauna pausa al lavoratore durante la giornata ma poichénel lavoro a cottimo il guadagno dipende dal numero dicassoni riempiti a fine giornata, solo il 48% dei lavoratoria cassone effettua una pausa durante il lavoro, a frontedel 72% nel caso di coloro che lavorano a ore.

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31 Il caporalato è una pratica tipica delle aree in cui non si sono sviluppati servizi che affiancano l’impresa agricola, dove la monocoltura è dominante e le organizzazioni deilavoratori sono deboli. Oggi, in seguito alla sostituzione dei braccianti italiani con la manodopera straniera, la storica figura del caporale italiano è stata affiancata, e in parte sostituita,dal cosiddetto caporale etnico, un immigrato in grado di interagire con maggiore facilità con operai agricoli della medesima area di provenienza. Dall’intervista a Gervasio Ungolo,Osservatorio Migranti Basilicata (27.10.14).32 Intervista a Francesco Carbone, Direttore della Federazione Provinciale Coldiretti Potenza (22.07.14).

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Dal punto di vista lavorativo, per-tanto, si profila una realtà complessa,per alcuni aspetti in evoluzione, concaratteristiche che in alcuni casi sonostate già rilevate da Medu nella Pianadi Gioia Tauro (Calabria) o nella Pianadel Sele (Campania). In Basilicatasiamo, infatti, di fronte ad una popo-lazione di lavoratori stranierisostanzialmente regolare e dotata,nella maggior parte dei casi, o di un permesso di sog-giorno per protezione internazionale (come la maggiorparte dei lavoratori in Calabria) o di un permesso disoggiorno per lavoro (come in Campania). Nella mag-gior parte dei casi, inoltre, il lavoratore sottoscrive uncontratto di lavoro – soprattutto nel periodo della rac-colta quando i controlli ispettivi sono più frequenti - manon sa se gli saranno versati i contributi per le giornatedi lavoro svolte. Si può quindi parlare, come nel casodella Piana del Sele, di lavoro “grigio”, formalmente re-golare per la presenza di un contratto ma, nei fatti,viziato da irregolarità contributive e salariali.

A differenza della Piana del Sele, tuttavia, dove l’a-gricoltura in serra garantisce una continuità lavorativae, di conseguenza, un progressivo miglioramento dellecondizioni abitative dei lavoratori, nell’area del Vulture-Alto Bradano la breve stagionalità del pomodoro, l’in-capacità del territorio di assorbire la manodopera nel

lungo periodo e l’insufficienza di so-luzioni di accoglienza ad hoc per ilperiodo della raccolta, hanno con-tribuito a mantenere molto precarienegli anni le condizioni di ac-coglienza dei lavoratori stranieri.

Un elemento che, tuttavia, dis-tingue la raccolta del pomodoro dallealtre tipologie di raccolta prese in

esame, sono le paghe. Se in Calabria e Campaniaqueste oscillavano tra i 25 e i 35 euro giornalieri, la ret-ribuzione media giornaliera durante la stagione di rac-colta del pomodoro in Basilicata, invece, varia – al nettodella quota da versare al caporale - tra i 57 e i 76 euro.A fronte di questo dato, è necessario però osservareche il periodo della raccolta è molto breve - dai 30 ai60 giorni – e le condizioni di lavoro particolarmente es-tenuanti. Lavorare il più possibile, in un breve lasso ditempo, per guadagnare il più possibile.

3.4 La vita tra casolari e centri di ac-coglienza

Nonostante l’art.14 del Contratto Provinciale del La-voro attualmente in vigore stabilisca che ai lavoratorimigranti debba essere fornita “un’adeguata sis-temazione abitativa per tutto il periodo della fase lavo-rativa”, nell’ultima stagione il 98% dei lavoratori visitatida Medu ha vissuto in casolari abbandonati privi di

Lavorare il più possibile perguadagnare il più possibile.

La fase della raccolta delpomodoro è caratterizzatada paghe più alte, periodi

brevi e condizioni di lavoroestenuanti

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Alla fine di una giornata di raccolta. Lavoratori in attesa di essere riportati nel casolare abbandonato dove vivono (Medu/settembre 2014)

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acqua, servizi igienici ed elettricità. Nel periodo di mas-simo afflusso, i casolari arrivano ad ospitare fino a 50persone e in alcuni casi, in mancanza di posti letto al-l’interno delle strutture fatiscenti, i braccianti hanno uti-lizzato anche tende da campeggio. Inoltre, nel 77% deicasi, il lavoratore dormiva su un materasso a terra esolo nel 14% su di un letto provvisto di rete.

Per quanto concerne la fornitura di acqua, questaavviene presso alcune fontane che distano solita-mente dai casolari da uno a cinque chilometri o at-traverso un servizio auto-organizzato di distribuzioneche prevede il pagamento di 0,50 euro per 20 litri diacqua. Allo stesso prezzo è possibile ricaricare il cel-lulare. Nel periodo di massima affluenza, che vedela presenza in tutta l’area di più di mille lavoratoristranieri stagionali, vengono auto-costruite negliinsediamenti delle cucine dove i pasti costano dai 2ai 5 euro. Solo alla fine della sta-gione di raccolta 2014 (agosto), leistituzioni hanno installato alcunecisterne di proprietà della Caritas incontrada Boreano, escludendo defacto dall’approvvigionamento diacqua il folto gruppo di braccianti(oltre la metà) che trovava alloggioin altri casolari abbandonati. Le cis-terne sono state rifornite grazie adun accordo tra Regione Basilicata e Acquedotto Lu-cano, che ha concesso gratuitamente il prelievodell’acqua. Un accordo arrivato, tuttavia, con es-tremo ritardo, a stagione quasi conclusa e sospesopoche settimane dopo, in occasione dell’apertura delcentro di accoglienza di Venosa.

Solo alcuni casolari dispongono di energia elettrica,in particolar modo, nelle baracche adibite a luoghi co-muni e di socialità, i migranti ricorrono all’utilizzo digeneratori. A riprova della pericolosità delle strutture,il 3 agosto dello scorso anno un incendio, provocatoprobabilmente dal cortocircuito di un generatore, hadistrutto tre baracche e un casolare in contrada Bore-ano. Tale incidente è avvenuto a poche settimane dalladichiarazione d’inagibilità con la quale, il 18 luglio, ilResponsabile dell’Area Urbanistica del Comune diVenosa attribuiva ai proprietari dei casolari la respon-

sabilità penale per eventuali danni a persone. Ad oggi,solo pochi proprietari hanno denunciato l’occupazionedei casolari e le operazioni di sgombero - in alcuni casidi demolizione - delle strutture, annunciate dalla Giuntadi Venosa e dalla Task Force Basilicata, non sono an-cora state eseguite.

3.5 Le condizioni di salute e l’ambula-torio “stagionale” di Venosa

Sebbene 229 su 250 pazienti visitati (92%) dal-l’unità mobile di Medu fossero dotati di regolarepermesso di soggiorno e fossero stabilmente pre-senti in Italia, solo il 62% era in possesso dellatessera sanitaria. Per quanto riguarda i lavoratori ir-regolarmente presenti (16), al momento della visitasoltanto due di essi erano in possesso del codiceSTP che permette ai migranti irregolari di accedereai servizi sanitari.

I principali sospetti diagnostici deilavoratori assistiti dal team di Meduriguardano nel 32% dei casi le malat-tie osteomuscolari e del tessuto con-nettivo (delle quali nel 90% dei casidolore muscolare da affaticamento),per il 15% malattie dell’apparato di-gerente di cui il 28% rappresentatodalle malattie della cavità orale e il

53% da gastralgie da verosimile quadro gastritico.Sempre nel 15% dei casi sono state riscontrate malattieinfettivo-parassitarie, delle quali il 39% rappresentatoda micosi cutanee e un altro 39% rappresentato dagastroenteriti virali per una piccola epidemia verificatasia Boreano. Sono stati poi riscontrati due casi di scab-bia, due casi di HBV cronica, due casi di acariasi e uncaso di infezione da herpesvirus. Il 14% dei sospetti di-agnostici riguarda le malattie dell’apparato respiratoriodi cui il 62% di natura infettiva del sistema respiratoriosuperiore e il 31% di origine allergica.

Nel 9% dei casi sono stati riscontrati stati morbosimaldefiniti (dei quali il 79% è riferito al sintomo cefalea),e nel 5% alcune malattie dell’occhio: congiuntiviti pu-rulente o allergiche. Il 3 % dei sospetti diagnostici hariguardato le malattie della pelle e del tessuto connet-tivo (due casi di infezioni della pelle, un caso di

Nellʼultima stagione circail 98% dei lavoratori visitati

da Medu ha vissuto incasolari abbandonati prividi acqua, servizi igienici

ed elettricità

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ipercheratosi e due casi di dermatite aspecifica riferitadopo il contatto con l’acqua), il 2% le malattie del sis-tema genitourinario (in particolare cistiti), le patologiedell’apparato cardiocircolatorio (tutti casi di iperten-sione arteriosa) come anche i traumi accidentali o daaggressione.

In generale possiamo concluderecome, anche in questo contesto,siano preponderanti le patologie di-rettamente correlate all’attività lavora-tiva e allo stato di indigenza e diprecarietà sociale e abitativa, anchein relazione al gruppo di pazienti cheha una regolare iscrizione al Serviziosanitario nazionale. Per quanto concerne le malattie in-fettive è importante notare come tra quelle sopraelen-cate non vi siano patologie da importazione, ma visiano invece prevalentemente malattie correlate allecondizioni abitative e di precarietà igienico-sanitaria incui i pazienti vivono.

Il 23 luglio 2014 è stato aperto presso l’ospedale diVenosa un ambulatorio per stranieri attivo un giorno allasettimana dalle 17 alle 20 in cui ha prestato servizio unteam composto da un medico, un’infermiera ed un referente amministrativo dell’ospedale. Aperto a tutti i la-voratori stranieri, indipendentemente dalla regolarità delsoggiorno, l’ambulatorio ha garantito l’accesso alle cure invia temporanea anche a quei lavoratori che avevano giàun medico di base in una diversa regione italiana. Un ap-

proccio, quest’ultimo, che ha permesso di superare il pro-blema del costante ostacolo nell’accesso alla medicina dibase per molti lavoratori migranti stagionali. In due mesisono state effettuate circa 40 visite. Secondo quanto de-scritto dal medico dell’ambulatorio, i pazienti erano tutti uo-mini molto giovani – con un’età media di vent’anni - e

tendenzialmente sani. Nella maggiorparte dei casi i pazienti hanno riferitodolori muscolari e articolari, odontalgiedi varia natura e stanchezza. La princi-pale difficoltà riscontrata dal teamospedaliero è stata quella di far rispet-tare le prescrizioni e di far effettuare levisite di approfondimento.

Per quanto concerne i pazienti visitati da Medu, solouno dei lavoratori visitati ha riferito un incidente sul lavoro ein nessun altro caso è stato riscontrato l’uso di macchinariparticolari. Quanto ai presidi di sicurezza - in particolare, iguanti - questi sono usati dalla quasi totalità dei lavoratori(91%). Tuttavia, come rilevato anche nelle altre regioni diintervento, sono quasi sempre i lavoratori a provvedere alloro acquisto (89% dei casi), nonostante la legge prevedache debbano essere forniti dal datore di lavoro.

3.6 L’esperienza della Task Force dellaRegione Basilicata

Per far fronte alla grave carenza di tutele e di ac-coglienza dei lavoratori stagionali, nel luglio 2014 laRegione Basilicata ha istituito una Task Force, inanalogia con l’esperienza avviata nello stesso peri-odo dalla Regione Puglia. Coordinata da un rappre-sentante della giunta regionale e aperta, con modalitàe tempi diversi, a istituzioni33, amministratori dei co-muni interessati, Acquedotto lucano, organizzazionidi volontariato, organizzazioni sindacali e datoriali34,la Task Force ha avuto il compito di “definire unquadro d’interventi immediati volti a garantire con-dizioni di vita dignitose ai lavoratori immigrati impeg-nati nelle attività agricole in varie aree dellaBasilicata”35.

Una camera da letto all’interno di un casolare abbandonato lungo la strada Mulini Matinelle(Medu/ottobre 2014)

33 Prefetture di Potenza e Matera, Questura di Potenza, Ufficio Lavoro della Regione.34 Confederazione Italiana Agricoltori (Cia), Coldiretti e Confagricoltura.35 Comunicato stampa della Regione Basilicata del 3 giugno 2014.

Solo due delle strutture diaccoglienza previste dallaTask Force regionale sonostate aperte. Ma a stagione

quasi conclusa

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Al fine di raggiungere tale scopo, la Task Force haindividuato come prioritari due interventi. Il primo, rela-tivo al lavoro e volto ad incidere sulle irregolarità regis-trate da anni sul territorio quali l’intermediazioneagricola attraverso la figura dei caporali e il fenomenodel lavoro sommerso; il secondo, relativo all’ac-coglienza. Dopo aver individuato inizialmente quattrospazi nei comuni di Lavello, Palazzo San Gervasio,Montemilone e Venosa, per un totale di circa 800 postiletto, a stagione quasi conclusa sono state aperte duestrutture: la prima, il 4 settembre 2014, nell’ex tabac-chificio di Palazzo San Gervasio di proprietà regionale,con una capienza di circa 300 posti; la seconda aVenosa, il 19 settembre, all’interno di un terreno di pro-prietà privata. Si è trattato, in questo secondo caso, di21 tende dalla capienza totale di 230-250 posti. All’in-terno dei centri sono stati inoltre allestiti fornelli e cucineda campo in modo da dare agli ospiti la possibilità siadi preparare in maniera autonoma i pasti sia di fruiredella mensa a pagamento (costo del pasto 3,5 euro).

Secondo i dati forniti dalla Task Force a fine ottobre2014, i lavoratori ospitati presso i centri di Venosa e Pa-lazzo sono stati complessivamente circa 400. Entrambii centri sono in seguito stati chiusi: a metà ottobre Pa-lazzo San Gervasio e ai primi di novembre Venosa. Lagestione delle strutture è stata affidata alla CroceRossa, che opera in modo volontario, secondo quantoprevisto da un regolamento, la cui versione finale nonè stata resa pubblica né condivisa con le realtà asso-ciative impegnate sul territorio e coinvolte nella TaskForce. In questo senso pare essere mancataun’adeguata comunicazione con tutte le organizzazioni

chiamate a partecipare alla programmazione dell’ac-coglienza stagionale come del resto rimangono pocochiare le modalità di accesso ai centri da parte dei visitatori esterni - siano essi amici/familiari, istituzioni,legali degli ospiti -, di cui non viene fatto cenno nel re-golamento di gestione.

In relazione alla questione lavoro, la Task Force Basilicata ha adottato alcune misure volte ad affrontare leproblematiche che da anni investono il lavoro brac-ciantile. La prima riguarda l’introduzione di un BollinoEtico, una certificazione a cura del Dipartimento Agri-coltura della Regione Basilicata, rilasciata alle aziendedella filiera agricola che dimostrino di non aver fatto ri-corso al lavoro nero e di aver partecipato alle iniziativedella Regione per assicurare il rispetto della legalità edella qualità del prodotto. Non sono ancora disponibili idati relativi alle aziende che fruiranno di tale certificazione.

La seconda misura introdotta riguarda le liste diprenotazione istituite presso i Centri per l’Impiego – condelibera della Giunta Regionale n. 690/201 - da cui leaziende possono attingere i lavoratori scegliendoli in vianominale. I braccianti possono iscriversi a tali liste re-candosi di persona presso i centri per l’impiego dellaBasilicata, attraverso un numero verde collegato al callcenter della Regione, via internet o grazie agli sportellimobili delle associazioni/enti di categoria (Caritas, Cgil).“La prenotazione avrà un doppio vantaggio” – si leggein un comunicato della Regione Basilicata – “per i lavo-ratori, in quanto condizione per entrare nei campi di ac-coglienza e usufruire dei servizi (luce, corrente elettrica,acqua e servizi igienici), e per le aziende a favore delle

La tendopoli allestita nel comune di Venosa. L’area sorge in una zona isolata rispetto alla città(Medu/settembre 2014)

Centro di accoglienza di Palazzo San Gervasio. La “zona notte” allestita in una vasta porzione dell’ex tabacchificio (Medu/settembre 2014)

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quali si stanno prevedendo incentivi economici”36. Se-condo i dati forniti dalla Task Force, confermati dal Cen-tro per l’Agricoltura di Lavello, i lavoratori che si sonoprenotati presso i campi di accoglienza di Venosa e Pa-lazzo San Gervasio, nonché presso il Centro di Lavelloe il Centro per l’Impiego di Melfi sono stati 923. Nellaraccolta del pomodoro 2014, sarebbero stati 914 i lavo-ratori extracomunitari occupati e 212 le aziende cheavrebbero effettuato assunzioni. Sempre secondo laTask Force, l’Ispettorato del Lavoro ha effettuato controlliin 27 aziende, incontrando circa 200 lavoratori, dei qualisolo 8 sono risultati lavorare in nero.

3.7 Conclusioni Nonostante gli sforzi messi in atto dalla Regione Ba-

silicata, rimangono estremamente precarie le condi-zioni di vita e di lavoro dei braccianti stranieri nell’areadel Vulture-Alto Bradano. Le condizioni di accoglienza,ad esempio, hanno continuato ad essere disastrose perbuona parte della scorsa stagione di raccolta a causadella tardiva apertura dei centri di accoglienza diPalazzo San Gervasio e Venosa. I braccianti, nei fatti,hanno continuato a vivere fino a settembre inoltrato incasolari abbandonati privi di acqua, elettricità e serviziigienici. A questo proposito, è necessario sottolinearel’estremo ritardo della programmazione e della succes-siva apertura delle strutture di accoglienza che ha inbuona parte pregiudicato l’efficacia dell’intervento pro-mosso dalla Regione .

Tuttavia, Medu auspica che venga data continuitàall’esperienza della Task Force affinché gli interventimessi in atto dalla Regione superino la logica dell’emer-genza e possano assumere una dimensione strutturale.A questo proposito, in vista della prossima stagione,appare opportuno prevedere sia una tempistica di in-tervento più adeguata sia criteri di gestione dei centripiù trasparenti, in un’ottica di maggiore apertura e coin-volgimento delle realtà locali. É infine auspicabile lamessa in atto di una programmazione di lungo periodovolta al superamento delle strutture di accoglienza de-centrate rispetto ai centri urbani e all’integrazione deilavoratori all’interno delle comunità locali.

Per quanto riguarda la situazione lavorativa, citroviamo di fronte ad una realtà complessa. I brac-cianti sono in genere dotati di un regolare permessodi soggiorno e di un contratto di lavoro ma, nellamaggior parte dei casi, vengono ancora ingaggiatiattraverso la figura del caporale il cui ruolo risultanettamente preponderante nel periodo della raccolta(80% degli intervistati vi fanno ricorso) rispetto aquello della preparazione del terreno (57% vi fannoricorso). Ciò sembra essere determinato da unaserie di fattori: il grande numero di lavoratori che af-fluiscono nell’area durante la raccolta e la necessitàdi spostarli in tempi rapidi da un campo all’altro; ilfatto che, solitamente, chi lavora durante le fasi dipreparazione della terra ha costruito negli anni unrapporto diretto con il datore di lavoro o perché vivestabilmente nell’area o perché si reca in loco in an-ticipo rispetto al periodo di raccolta. La maggiorparte dei migranti ha inoltre affermato di non saperequante giornate saranno effettivamente dichiarate aifini contributivi dal datore di lavoro italiano. A fronte,quindi, di regolari contratti di lavoro permangono co-munque situazioni d’irregolarità e, soprattutto, unapresenza strutturale dell’intermediazione illecita deicaporali.

Nonostante i positivi sforzi messi in atto dalla TaskForce, è dunque necessario leggere la crescita del nu-mero d’iscritti e assunti tramite le liste di prenotazioneanche alla luce del meccanismo più volte denunciatodai braccianti stranieri, secondo i quali i caporali, comedi consueto, raccolgono i documenti delle squadre dilavoro, li consegnano ai datori i quali, a loro volta, is-crivono i lavoratori alle liste e, contemporaneamente, li“prenotano”. Per tanto, quella che pare un’assunzionefatta attraverso le liste di prenotazione, è in realtà un re-clutamento che avviene ancora attraverso la medi-azione del caporale ed è formalizzato attraverso ilsistema di prenotazione, senza che il sistema d’ingag-gio venga intaccato né le condizioni di lavoro migliorate.

Come dichiarato dalla stessa Task Force, un altropasso fondamentale sarà, inoltre, l’implementazionedegli indici di congruità ancora inesistenti in Basilicata,

4036 Comunicato stampa della Regione Basilicata del 25 giugno 2014.

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i quali attraverso il confronto degli ettari di terreno ded-icati alla produzione del pomodoro, i lavoratori ingag-giati e altri indicatori, permettono di verificare il correttoversamento di tutti gli oneri contributivi ai bracciantiimpiegati. Rimane infine una questione aperta quelladell’introduzione, come previsto nel Contratto Provin-ciale del Lavoro di Foggia, di una regolamentazione delcottimo che offra garanzie uguali a tutti i lavoratori alfine di evitare dinamiche di competizione, sfruttamentoed auto-sfruttamento.

INTERVISTEIntervista a Pietro SimonettiResponsabile Task Force dellaregione Basilicata[30.10.2014]

Quando sono iniziati i lavori della TaskForce e quali gli obiettivi che si era prefis-sata? Quali passi sono stati fatti, quali do-vranno essere sviluppati in futuro? Qualisono le principali difficoltà riscontrate?

L’attività della Task Force migranti è iniziata agiugno. Quindi tempi ristrettissimi. La Puglia ha ini-ziato ad aprile. L’obiettivo del progetto: lotta al ca-poralato, allestimento centri di accoglienza, misureper il mercato del lavoro per ottenere assunzioni re-golari con le liste di prenotazione, coinvolgimentodei Comuni, parti sociali e delle associazioni di vo-lontariato. In futuro occorrerà migliorare la funziona-lità dei centri e le condizioni di vita e di lavoro deimigranti con l’eliminazione dei centri abusivi di Bo-reano, S. Lucia e Mattinelle. Le principali difficoltàsono state quelle relative alla individuazione daparte del Comune del centro di Venosa e le pres-sioni del caporalato tese a impedire il trasferimentodei migranti nei centri.

Si parla molto di caporali, ma poco deiveri motori della questione: i datori di la-voro. Qual è stata la partecipazione delle as-sociazioni di categoria? Quanti lavoratori sisono iscritti alle liste di prenotazione?Quanti contratti sono stati registrati?

Le associazioni datoriali e sindacali hanno parteci-pato attivamente mediante le prenotazioni che sonostate 923 mentre le assunzioni effettuate da 212aziende sono 914. Gli occupati nel 2013 sono stati 597da parte di 172 aziende. L’Ispettorato del Lavoro hacontrollato 27 aziende e circa 200 lavoratori dei qualisolo 8 erano in nero. I lavoratori ospitati presso i centridi Venosa e Palazzo, il primo è ancora in attività, sonostati circa 400.

Come mai, fino ad oggi, non sono stati in-trodotti gli indici di congruità? Come si stamuovendo in tal senso la Task Force e qualimisure – in campo lavorativo – potrebbero es-sere introdotte?

L’indice di congruità può essere rilevato attraversogli incroci dei dati in nostro possesso anche se la leggedi contrasto al lavoro nero giace ancora in Commis-sione presso il Consiglio Regionale.

Secondo le rilevazioni fatte, quanteaziende si sono dedicate alla produzione delpomodoro? Quanti ettari di terreno sarebberostati coinvolti?

Gli ettari coltivati a pomodoro sono circa 1.500.

Quali sono le procedure seguite nell’aper-tura e gestione dei Centri di accoglienza?

Gli elementi innovativi introdotti sono stati: le liste diprenotazione, la corretta gestione dei centri e l’ampiapartecipazione di 22 enti, parti sociali, associazioni eaziende. Il regolamento definitivo, a seguito della bozzaapprovata all’unanimità, è stato definito con i Comuni ela Croce Rossa Italiana (Cri) prima dell’apertura dei cen-tri ed esposto negli stessi. La Cri è stata individuata aseguito delle precedenti gestioni e per il fatto che le as-sociazioni e i Comuni non hanno manifestato interesse.Nel 2009 il campo di Palazzo è stato gestito dal Comunecon esiti non positivi, si sono verificate risse e determi-nate disorganizzazioni. Al termine sono spariti reti e 160materassi nuovi di fabbrica acquistati per l’occasionedalla Regione oltre ad altro materiale. Le modalità di ac-cesso al campo sono state decise da tutte le forze nelcorso di un apposito incontro. La completa saturazionedei centri avverrà con l’eliminazione delle strutture abu-sive e la lotta ai caporali indigeni e stranieri e con la con-

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certazione preventiva con i rappresentati delle varieetnie prima dell’inizio della prossima campagna.

Quali sono, secondo Lei, le questioni an-cora aperte?

È certamente necessario un coordinamento con laPuglia anche in relazione agli esiti della campagna 2014.La sconfitta del caporalato passa anche per modifichestrutturali nella raccolta e trasformazione del prodotto,attraverso il finanziamento da parte dei datori di lavorodei centri di accoglienza e con l’applicazione dei con-tratti di lavoro ed una giusta remunerazione del prodotto.

Intervista a Gervasio UngoloAgricoltore e portavoce dell’Osservatorio Migranti Basilicata[08.02.14]

Una fotografia della produzione oggi: chici guadagna?

Quando si parla di Europa in agricoltura si parla diaiuti PAC37 e di accesso a questi da parte degli agricol-tori. Sempre più spesso questa ha generato un’agricol-tura fatta di “fatture” e non di “produzioni” originandosolo giri di partite ma non di frutti. Per accedere a questiaiuti la filiera è organizzata attorno alle OP, le Organiz-zazioni di Produttori, che sono della macro organizza-zioni che contengono anche le cooperative di produttori.Le OP servono a far convergere l’offerta in modo che iproduttori abbiano un potere contrattuale maggiore oquanto meno alla pari verso le industrie di trasforma-zione. Ma ben presto, però, queste sono state assogget-tate alle industrie. Così gli unici agricoltori buoni eranoquelli che producevano “carte” a favore delle industriee gli unici a guadagnare in questo sono coloro che svol-gono un ruolo apicale nella cooperativa. L’agricoltore ècosì forzato ad entrare in queste strutture se vuole rice-vere il premio PAC. Se in passato il pomodoro era con-siderato “oro rosso” per chi lo produceva, oggi pochisono i margini di guadagno tanto che spesso il valoredel prodotto coltivato serve a pagare l’investimento eall’agricoltore non rimane altro che l’aiuto europeo.

Quali sono l’entità e le caratteristiche delfenomeno del caporalato lavorativo?

Il caporalato è una pratica tipica delle regioni dell’Italia del Sud e proprio di quelle aree dove non si sonosviluppati servizi che affiancano l’impresa agricola,dov’è forte la monocoltura, dove i sindacati sono debolirispetto allo strapotere della cultura “mafiogena”, della“pacca sulla spalla”, dove si preferisce guardare al-trove, dove si lascia campo ai detentori del consensoelettorale, dove la politica va a braccetto con il più forte,dove sempre più spesso la figura del caporale localeè ben vista per il suo ruolo all’interno della società. Sein passato si pensava fosse una pratica sconfitta (al-meno nel Nord della Basilicata) oggi si ripresenta contutta la sua forza. Determina la filiera del lavoro attra-verso l’organizzazione di una logistica in grado di spo-stare in poche ore un migliaio di lavoratori dai ghetti aicampi, controlla l’affidabilità del lavoro svolto dal brac-ciante, fornisce servizi ai lavoratori e tanto altro. Unavera e propria prestazione d’opera, dove tutto il pesoricade sulle spalle del bracciante che non ha ferie pa-gate, non ha malattia né infortunio, non percepisce ilsussidio di disoccupazione né avrà accesso alla pen-sione, non ha opportunità di rinnovare il permesso disoggiorno se non ripagandosi le giornate lavorate. Le-gato al fenomeno del caporalato, inoltre, è anche la di-namica dell’emergenza con cui si affrontano i problemidovuti alla forte presenza dei braccianti e che, sostan-zialmente, permette agli enti locali di utilizzare finanzia-menti extra in modo non ordinario. L’agricoltore hacomunque lo stesso costo di raccolta sia che il pomo-doro lo si raccolga meccanicamente sia che lo si rac-colga a mano.

È un’attività remunerativa? È un’attività che porta lauti guadagni e, fino a prima

dei fatti di Nardò, aveva un rischio bassissimo. Primadell’introduzione della legge contro il caporalato nel2011, infatti, il caporale andava incontro ad un’am-menda di poche decine di euro. Oggi il rischio è piùalto e i guadagni sono di qualche centinaia di migliaiadi euro composti, da una parte, dall’attività di prelievodiretta sul lavoro del braccianti (0,50 centesimi, o più,a cassone) e, dall’altra, dai costi dei servizi che il la-

37 PAC è l’acronimo di Politica Agricola Comune.

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voratore necessita vivendo nei ghetti e nelle campa-gne (trasporto, cibo, ecc). Spesso al caporalato si ac-compagna l’attività dello sfruttamento sessuale.

Qual è l’analisi dell’OMB in merito ai lavoridella Task Force?

L’idea di una Task Force nasce in seguito ad un in-contro pubblico organizzato dalla Caritas a Venosa du-rante la presentazione del Rapporto Diocesano relativoalle attività da loro svolte sul campo nel 2013. Alla pre-sentazione è invitato il Presidente della Regione Basi-licata, Marcello Pittella, e l’assessore regionale allaSalute, che in quella sede si danno appuntamento perla nascita di un gruppo che ragionasse sull’emergenzapomodoro 2014. In questo gruppo siedono i soliti notidelle istituzioni pubbliche. Lo stesso Simonetti, coordi-natore della Task Force, è stato il Presidente dellaCommissione Immigrazione all’epocadella chiusura del Centro di Acco-glienza di Palazzo San Gervasio, ap-pellato dallo stesso quale “bancomatdella manodopera”. Le varie parti,anche se con visioni diverse tra lororispetto al tema, speravano almenoquesta volta nella tenuta delle pro-messe fatte e nella disponibilità di tro-varsi di fronte un interlocutore. Ma ciò evidentementenon è stato. Per fare un esempio, nonostante l’OMBavesse partecipato ai tavoli della Task Force, non èstato per noi possibile entrare nei centri di accoglienzadi Palazzo San Gervasio e Venosa, gestito come un“campo militare” chiuso dalla Croce Rossa, senza con-divisione né chiarezza del regolamento del centro. Se,quindi, i proposti dichiarati dalla Task Force eranobuoni poi sul campo si è rilevato quello che noi teme-vamo e cioè che la gestione dei fondi non ha brillatoper trasparenza, la Task Force si è ritirata dalle respon-sabilità che sono state addossate ai Comuni sprovvistidi mezzi e risorse, c’è stata poca efficacia e poca vo-lontà a voler agire su altre prerogative (come i trasporti,il miglioramento della spesa economica), sono statispaventati i braccianti con continue minacce di sgom-bero dai casolari e, allo stesso tempo, diffuse tra loropromesse poi non mantenute. Pochi sono stati i servizidiretti e molti di questi non dovuti all’azione della TaskForce ma all’impegno dei volontari. Ancora oggi regi-

striamo che l’acqua ai braccianti di Boreano è arrivatasolo dopo pressioni tra i braccianti e il comune di Ve-nosa, sulla Strada Mulini Matinelle non arriva l’acqua.Sui trasporti grazie al gruppo “Fuori dal Ghetto” si èriusciti a istituire una linea Boreano-Venosa mentredalla Regione ci dicono ancora che non è possibileistituire nuove linee, e tanto altro.

Quali azioni potrebbero disinnescare que-sto fenomeno?

In una terra dove il deserto è la caratteristica predo-minante, una goccia di acqua è sufficiente a far fiorireun seme. Siamo lontani da una cultura inclusiva tale dapermettere che l’altro possa essere il mio vicino dicasa. Ogni sforzo che tende ad includere è vanificatocontinuamente da chi fa fortuna sulla discriminazionedell’altro. Nel nostro piccolo non mi inventerei niente di

nuovo ma adotterei le stesse politicheche hanno permesso di sconfiggere ilcaporalato negli anni settanta. Ma inrealtà si è distanti dal volerlo fare al-trimenti dovrei pensare che ci sonodelle incompetenze molto gravi neiposti di governo.

TESTIMONIANZEHamadou (37 anni, Burkina Faso)agosto 2014Sono nato nel ’77 in Burkina. Sono qui da quattro

anni e ho sempre lavorato in campagna. Ora zappo esistemo i campi prima della raccolta del pomodoro. La-voro sei giorni alla settimana per circa otto ore al giorno.Mi hanno fatto il contratto agricolo per un mese, ma chimi trova il lavoro è il capo nero. Mi pagano cinque eurol’ora per zappare e, un’ora di zappa ogni giorno, serveper pagare il trasporto per andare a lavorare.

Yakuba (28 anni, Niger)settembre 2014Sono in Italia dal 2008. Non ho documenti perché

non li ho mai avuti. Lavoro qui da qualche settimana,quasi tutti i giorni, otto ore al giorno. Non faccio lapausa, così posso fare più cassoni. Mi pagano 3,5 euroal cassone e devo pagare 5 euro per il trasporto al ca-

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“Mi hanno fatto il contrattoagricolo per un mese, machi mi trova il lavoro è il

capo nero”

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porale che organizza la squadra di lavoro. A lui devodare anche 0,50 euro per ogni cassone di pomodoroche riempio. Qui quasi tutti lavorano con il contratto e,anche se io non ho il permesso di soggiorno, lavorocon il contratto anch’io perché me lo faccio fare con idocumenti di un amico.

Adam (32 anni, Sudan)settembre 2014Sono in Italia dal 2003, sono un rifugiato politico. Qui

alla raccolta quest’anno non si lavora molto. Io fino adoggi ho lavorato due giorni alla settimana per circasette ore al giorno. Faccio una piccola pausa mentrelavoro. Mi pagano 3,5 euro e devo pagare 5 euro per iltrasporto. Mi hanno fatto un contratto, ma non credoverseranno i contributi. Quando ho finito qui vado a farela raccolta delle olive in Sicilia, vicino a Palermo. Pa-gano 3,5-4 euro a cassetta. Lì saremo circa mille per-sone e il reclutamento si fa in piazza.

Mamadou (50 anni, Burkina Faso)settembre 2014Durante il lavoro di raccolta del pomodoro vivevo nel

ghetto, in un casolare abbandonato. Ma ora il lavoro èfinito e ho deciso di spostarmi al Centro di accoglienzadi Venosa. Mi sono spostato anche perché un giorno,al ghetto, la Caritas ci ha detto che ci avrebbero sgom-berato da qui e avevo paura. In tenda siamo in otto per-sone. Cuciniamo quello che ci piace di più, abbiamodei fornelli elettrici. Non mi piace il posto perché fafreddo e non ho le coperte, ma dicono che porterannoil riscaldamento. Per ora ho portato la mia coperta dalcasolare. La cosa strana è che i miei amici che vivonoda un’altra parte non possono entrare. Se voglio incon-trarli, devo uscire fuori dal cancello. Non so perché, nonso quale sia il regolamento del Centro, nessuno me l’haspiegato. Quello che so è che per entrare devi dare iltuo tesserino di riconoscimento. Io sono il numero 70.In questi tre giorni in cui sono stato al Centro ho lavo-rato un giorno. Il caporale mi è venuto a prendere qui.Ho voglia di tornare al ghetto. Qualcuno dice che chiu-deranno presto il centro. Non so dove andrò.

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Vita quotidiana presso il ghetto di Boreano, nel comune di Venosa (Medu/luglio 2014)

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Capo free ghetto off, un progetto rima-sto inattuato

Nel territorio della provincia di Foggia storicamenteconosciuto come la Capitanata sono oltre 20mila i mi-granti provenienti dallʼEuropa dellʼEst e dallʼAfrica im-piegati nel settore agricolo, che si dedicano durantetutto lʼanno alla raccolta di frutta e ortaggi e, nei mesiestivi, da luglio a settembre, alla raccolta del pomo-doro. Sono questi i mesi in cui si registra il picco di pre-senze di lavoratori immigrati, circa 6mila dei qualicostretti a vivere in insediamenti precari fatti di casalifatiscenti e baraccopoli, in condizioni igienico-sanitarieestremamente critiche. Il reclutamento dei lavoratoristranieri avviene in modo sistematico attraverso la fi-gura del caporale e il rapporto di lavoro è di norma ca-ratterizzato da sottosalario, cottimo e irregolaritàcontrattuali e contributive. Nel corso della scorsa sta-gione, una Task Force della regione Puglia ha cercatodi dare una risposta concreta a questi gravi problemiattraverso azioni mirate ad incidere su lavoro, acco-glienza, assistenza sanitaria, trasporti, tutela legale,contrasto del caporalato e sostegno alle imprese eti-che. Nonostante il coinvolgimento di diversi attori dellasocietà civile nellʼelaborazione e nellʼimplementazionedellʼiniziativa “Capo free ghetto off”, i risultati appaionoperò ad oggi assai limitati. Il piano è rimasto in granparte “un libro dei desideri” anche a causa di gravi ca-renze sia negli aspetti della pianificazione sia in quellipiù propriamente operativi.

4.1 Il contestoDa luglio a ottobre 2014, il team di Medu, in conco-

mitanza con l’intervento socio-sanitario svolto in Basili-cata, ha realizzato un monitoraggio delle condizioni divita e di lavoro dei braccianti nel territorio storicamenteconosciuto come la Capitanata, corrispondente all’at-tuale provincia di Foggia. Qui sono oltre 20mila i mi-granti provenienti dall’Europa dell’Est e dall’Africa

regolarmente impiegati nel settore agricolo38 dediti, du-rante tutto l’anno, alla raccolta di frutta e ortaggi (angu-rie, olive, patate) e, nei mesi estivi (circa da luglio asettembre), alla raccolta del pomodoro. Sono questi imesi in cui si registra il picco di presenze di lavoratoriimmigrati presso il noto ghetto di Rignano Garganico,sorto circa 15 anni fa, e presso altri insediamenti spon-tanei nelle località limitrofe.

Nonostante la crisi economica degli ultimi anni, ilcomparto agricolo pugliese è rimasto molto competi-tivo, con 1.940 imprese con marchio registrato (dato re-lativo al 2012) che rappresentano il 2,6% del datonazionale. Si tratta nella maggior parte dei casi di microimprese con meno di dieci addetti39. Nel 2013 le espor-tazioni sono aumentate del 4,9% rispetto all’anno pre-cedente e, nel 2014, l’aumento complessivo del valoreaggiunto nel settore agricolo è stato del 2,4%, con unincremento della produzione di olive e frumento40.

Inoltre, nel corso degli ultimi anni (2007-2013) si èassistito sia ad un aumento della Superficie Agricola

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LUOGHI D’INTERVENTOPUGLIA - La Capitanata

Brindisi

LecceTaranto

BariFoggia

Brindisi

LecceTarantontonto

BariFoggia

San Severo

Rignano Garganico

CerignolaBorgo MezzanoneFoggia

Borgo Tre Titoli

ggia

38 Agricoltura e lavoro migrante in Puglia, Flai-Cgil, a cura di Leonardo Palmisano e Domenica Casella, p. 26-27.39 Rapporto Banca d’Italia-ISTAT (2014) in: Agricoltura e lavoro migrante in Puglia, cit. p.14.40 Ivi, p.13, 15.

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Utilizzata (Sau) e all’introduzione di nuove colture (inparticolare olive e frumento), che ad un cambiamentoqualitativo, con il ricorso crescente all’agricoltura bio-logica41. D’altra parte, in assenza di industrie di trasfor-mazione, i prodotti, in particolar modo il pomodoro,vengono trasportati e lavorati in Campania negli stabi-limenti attivi nelle province di Salerno, Napoli e Caserta.

Visti i volumi di produzione, in Puglia risulta fonda-mentale l’apporto della manodopera straniera. Nellamaggior parte dei casi si tratta di lavoratori stagionaliprovenienti da altre province dell’Italia del Sud (comeNapoli, Caserta, Cosenza, Catanzaro, Reggio Calabria,Catania, Ragusa e Siracusa). Una parte, invece, arrivadirettamente da altri paesi quali Romania e Polonia42.Nell’anno 2013, secondo quanto emerge dagli elenchianagrafici, sono stati 39.599 gli stranieri impiegati inagricoltura nella Regione, con un aumento del 4% ri-spetto all’anno precedente43. Si stima, inoltre, che sianooltre 40mila i lavoratori, in prevalenza stranieri, impie-gati in nero, con picchi altissimi nella stagione estivaper la raccolta del pomodoro. Nel primo semestre del2014, su 923 ispezioni effettuate, più della metà dei la-voratori stranieri (572) risultava in posizione di nero as-soluto, nonostante il periodo in esame non includessela stagione estiva, quella cioè in cui è maggiore il ri-corso alla manodopera straniera44. Ciò si registra inparticolare nella provincia di Foggia, la prima in Italiaper numero di stranieri impiegati in agricoltura (il 6,4%sul totale nazionale45).

4.2 Il lavoro nero tra cottimo e giornataI lavoratori agricoli di origine straniera presenti in Pu-

glia si concentrano prevalentemente nella provincia diFoggia dove, nel 2013 erano 21.168 i migranti impiegatiin agricoltura, regolarmente registrati, cui si aggiunge-vano circa 15-20mila lavoratori in nero, provenienti per

lo più dal Ghana e dalla Nigeria46. Le nazionalità piùrappresentate tra i migranti registrati erano quelle del-l’Europa dell’Est, in particolare Romania (11.204) e Bul-garia (3.803) e i paesi dell’Africa (2.948), soprattuttoMarocco, Mali, Tunisia, Ghana, Costa d’Avorio, BurkinaFaso, Senegal, Guinea e Nigeria47.

Secondo il rapporto della Flai-Cgil Agricoltura e La-voro Migrante in Puglia48, il reclutamento dei lavoratoristranieri nel foggiano avviene in modo sistematico attra-verso la figura del caporale e il rapporto di lavoro è dinorma caratterizzato da sottosalario, cottimo e irregola-rità contrattuali e contributive. In quei casi in cui sonostipulati contratti di lavoro, infatti, è denunciato un nu-mero di giornate di lavoro nettamente inferiore rispettoal numero delle giornate realmente svolte, indicandouna persistenza sia di lavoro nero che di lavoro grigio,ossia viziato da irregolarità salariali e contributive49. Se-condo quanto emerge dagli elenchi anagrafici le gior-nate di lavoro svolte dai lavoratori stranieri registrati nel2013 in Puglia sono state oltre due milioni. Si tratta, inmedia, di 53 giornate per lavoratore, con una differenzatra lavoratori comunitari (42 giornate in media) ed extra-comunitari (72 giornate in media), ma al 59% dei lavo-ratori stranieri sono stati versati contributi per meno di51 giornate, la soglia minima per ottenere diritti di assi-stenza e disoccupazione50. Foggia, in particolare, è la

41 Ivi, p.19-21.42 Agromafie e Caporalato. Secondo rapporto, a cura dell’Osservatorio Placido Rizzotto Flai-Cgil, p.368.43 Agricoltura e lavoro migrante in Puglia, cit., p.26.44 Ivi, p.64.45 Immigrazione Dossier Statistico 2013. Dalle discriminazioni ai diritti, a cura del Centro Studi e Ricerche IDOS (2013).46 Agricoltura e lavoro migrante in Puglia, cit., p. 27 e 64.47 Ivi, p.36.48 Si veda nota 34.49 Ivi, p.104.50 Ivi, p.39, 40.

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Tra le baracche del ghetto di Rignano (Medu/luglio 2014)

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provincia dov’è più basso il numero medio di gior-nate lavorative dichiarate (39 a persona).

Sempre secondo il rapporto citato,la giornata lavorativa può durare finoa 10-12 ore, la paga giornaliera èquasi sempre a cottimo ed ammontaa 3-3,50 euro a cassone da tre quintali(solo in pochi casi si riscontra unapaga a cassone di 4 euro). In unagiornata di dodici ore un lavoratoreriesce a riempire di solito una decinadi cassoni per 25-30 euro al giorno.Da tale cifra, tuttavia, lo stesso deve sottrarre il costodel trasporto operato dai caporali (circa 5 euro), quasisempre imprescindibile a causa dell’isolamento dei luo-ghi di vita e l’assenza di mezzi pubblici51.

4.3 La vita in un ghettoDurante la stagione della raccolta del pomodoro,

sono circa seimila i lavoratori migranti impiegati in agri-coltura nella provincia di Foggia che vivono in insedia-menti precari. Si tratta di casali fatiscenti, baracche,tende52 in cui le condizioni di vita e quelle igienico-sani-tarie sono estremamente critiche, soprattutto nei mesi dimassimo afflusso. Medu ha visitato ripetutamente il prin-

cipale insediamento nell’area della Capitanata cono-sciuto con il nome di “Gran Ghetto di Rignano”, tra i Co-muni di Foggia, San Severo e Rignano Garganico. Sorto

più di 15 anni fa e isolato nelle cam-pagne della Capitanata, il Gran Ghettoè popolato durante l’anno da circa 400persone e raggiunge, nei mesi estivi,picchi di 1.500 migranti provenientidell’Africa sub-sahariana, in partico-lare da Nigeria, Senegal, BurkinaFaso, Ghana, Costa D’Avorio e Mali.

Di legno, cartone, plastica e la-miera, le abitazioni del Gran Ghetto sono distribuite infila ordinata, lungo strade sterrate che s’intersecano inun reticolato. I bagni chimici e l’acqua potabile sono for-niti dalla Regione attraverso il comune di San Severo,ma manca un sistema di smaltimento dei rifiuti e le abi-tazioni sono prive di riscaldamento, elettricità e reti fo-gnarie. Sebbene i materiali usati siano estremamentepoveri, le abitazioni sono costruite con maestria e i localiospitano spesso attività economiche informali: ristoranti,bar, macellai, negozi di abiti e di attrezzi e club notturni.Oltre al lavoro agricolo, infatti, molti migranti si dedicanoad altre attività economiche come l’affitto di posti letto(di solito 30 euro per una stagione, secondo quanto ri-

51 Ivi, p.83.52 Ivi, p. 99.

Oltre al Gran Ghetto, sonopresenti unʼaltra decina

dʼinsediamenti di migranti,costituiti, in alcuni casi, da baracche e, in altri, da casali abbandonati

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Lavoratore agricolo rientra nella casa abbandonata dove vive presso il ghetto di Rignano (Medu/luglio 2014)

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levato dagli operatori del Camper dei diritti della Flai-Cgil), la ristorazione (3 euro in media per un pasto), lavendita di generi alimentari, di abiti e di attrezzi da la-voro, la riparazione di automobili.

Oltre al Gran Ghetto, sono presenti un’altra decinad’insediamenti costituiti, in alcuni casi, da baracche e,in altri, da casali abbandonati. Tra questi: il “GhettoGhana House” in zona Borgo Tre Titoli, a 10 chilometrida Cerignola, che ospita più di 800 persone nel periodoestivo tra casali fatiscenti, tende e baracche; il “Ghettodei bulgari”, nei pressi di Borgo Mezzanone, a circa 20chilometri da Foggia, con accampamenti dispersi cheospitano circa 600 persone provenienti per lo più dallacittà bulgara di Sliven. Si tratta di uomini, donne e interefamiglie, per lo più rom, impiegate in diversi lavori agri-coli, in particolare nei mesi da marzo a ottobre. Semprea Borgo Mezzanone sono circa 500 i migranti che vivonoall’interno di piccole strutture prefabbricate presso lapista dell’ex aeroporto militare attiguo al Cara (Centrodi accoglienza per richiedenti asilo) e circa 150 i cittadinirumeni che trovano rifugio in un’altra baraccopoli. Piccoligruppi di persone vivono, inoltre, disseminati nei casolariabbandonati nelle campagne di tutta la provincia.

Fino al 2014, l’unico intervento di accoglienzamesso in atto dalle istituzioni è stato la predisposizione,da parte della Regione Puglia, di alcune strutture ricet-tive denominate “alberghi diffusi”, introdotte nel 2006-2007 in seguito alla Legge Regionale n° 28/2006.Attualmente ne esistono tre (a Foggia, Cerignola e SanSevero) in grado di accogliere complessivamente circa

230 persone e gestiti da alcune associazioni attraversofinanziamenti della Regione. Uno di questi, Casa San-kara, è stato assegnato all’associazione “Libera” eospita anche richiedenti asilo e rifugiati all’interno delsistema Sprar53. I migranti accolti in queste strutturepartecipano alle spese di vitto e alloggio con un con-tributo economico giornaliero.

4.4 L’esperienza della Task Force dellaRegione Puglia

Nel 2013 la Regione Puglia ha avviato un percorsovolto all’elaborazione di una proposta congiunta di as-sociazioni, enti di tutela, istituzioni, sindacati, aziende,organizzazioni datoriali, per il superamento del Ghetto edello sfruttamento lavorativo. Il primo passo è stato l’ap-provazione, ad aprile 2014, della Delibera “Capo freeghetto off” e la conseguente istituzione di una Task Forcecoordinata dal Servizio Politiche giovanili e Cittadinanzasociale – Ufficio Immigrazione, in collaborazione con laPrefettura di Foggia e con il coinvolgimento di cinqueAssessorati (Welfare, Lavoro, Risorse Agroalimentari, Bi-lancio, Sviluppo economico). Alla Task Force viene affi-dato il compito di elaborare una strategia finalizzata almiglioramento delle condizioni lavorative e abitative deimigranti impiegati in agricoltura, collaborando con i varisoggetti portatori d’interesse. La Delibera viene presen-tata come una “risposta di dignità”, un tentativo di affron-tare il problema in modo articolato, tenendo conto dimolteplici aspetti interconnessi: lavoro, accoglienza, as-sistenza sanitaria, trasporti, tutela legale, contrasto delcaporalato e sostegno alle imprese etiche.

In relazione al problema abitativo, il piano elaboratodalla Task Force prevede lo smantellamento del Ghettoentro la stagione estiva 2014 e la sua sostituzione con“un piano di accoglienza diffusa dei lavoratori migrantistanziali e una rete distribuita di aree attrezzate per l’ac-coglienza dei migranti stagionali”. Vengono, pertanto,elaborate soluzioni diversificate in base al tempo di per-manenza dei lavoratori: per gli stagionali è previsto ilpotenziamento degli “alberghi diffusi” e l’allestimentodi cinque tendopoli gestite dalla Protezione civile,ognuna in grado di ospitare 250-500 persone. Alle as-sociazioni di volontariato viene affidato il compito diUn omaggio a Thomas Sankara all’entrata di casa Sankara a San Severo (Medu/settembre 2014)

53 Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati.

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svolgere attività di orientamento legale, tutela sanitariae socializzazione all’interno dei campi-tendopoli. Per gliabitanti stabilmente presenti, invece, si prevede la co-struzione di un eco-villaggio in grado di ospitare 400persone e per cui viene richiesto l’uso di un terreno diproprietà demaniale di 20 ettari nelle campagne di SanSevero, da affidare a cooperative miste costituite da ita-liani e migranti.

Per quanto riguarda il lavoro, vengono introdotte al-cune misure volte ad affrontare i problemi del lavoronero e grigio e a contrastare il capo-ralato. In primo luogo, sono istituite leliste di prenotazione presso i Centriper l’impiego ed è introdotto un si-stema di incentivi per le aziende cheassumono i lavoratori dalle liste diprenotazione. In particolare, il si-stema prevede un incentivo di 300euro per le aziende che assumonoper almeno 20 giorni con regolarecontratto e di 500 euro per i datori che assumono peralmeno sei mesi o 156 giornate lavorative nel biennio.Viene inoltre creato e promosso il marchio etico “Equa-pulia” al fine di “favorire i prodotti provenienti da im-prese che garantiscano rapporti di lavoro regolari el’accoglienza dei lavoratori migranti”.

Tuttavia, l’esecuzione del piano per lo smantella-mento del Ghetto e il trasferimento dei suoi abitanti,previsto per il mese di luglio, è più volte rimandato. Dauna parte, i braccianti rifiutano di essere trasferitipresso le tendopoli per timore di subire ricatti da partedei caporali o dei datori di lavoro e di perdere opportu-nità d’impiego, visto che il reclutamento avviene all’in-terno del Ghetto. Inoltre, anche le attività economicheinformali che è possibile svolgere nel ghetto, in assenzadi controlli, rappresentano un’importante fonte di sus-sistenza che verrebbe meno presso le tendopoli o altrestrutture di accoglienza istituzionali. Non è poi da tra-scurare l’importanza dei legami sociali e delle relazionidi mutuo aiuto all’interno dell’insediamento che garan-tiscono un sostegno nei momenti di maggiore difficoltà.

Durante i mesi estivi, pertanto, né il Ghetto di Ri-gnano né gli altri insediamenti informali sono stati ri-mossi. D’altra parte, l’ipotesi di un trasferimentomassivo e immediato dei suoi abitanti, nel pieno dellastagione della raccolta e in assenza di alternative du-rature, appariva già da principio piuttosto irrealistica.La prevista creazione delle cinque tendopoli rimane in-fatti largamente inattuata. L’unica struttura che viene al-lestita nel mese di agosto, ma solo per un breveperiodo, è una tendopoli in cui hanno trovato alloggiocirca 30 persone provenienti da un casale fatiscente. Il

Ghetto, invece, a stagione conclusacontinua ad ospitare circa 400 per-sone. Nel febbraio 2015, tuttavia, unincendio ne ha distrutto numerosebaracche dimostrando ancora unavolta, secondo i rappresentanti dellaFlai-Cgil, “le insostenibili condizioni divita cui sono costretti centinaia di la-voratori migranti, in una situazione didegrado, insicurezza, insalubrità e il-

legalità che avrebbero richiesto da tempo un interventorisolutivo delle istituzioni”54.

Per quanto riguarda le condizioni di lavoro, secondoi dati della Flai-Cgil di Foggia a fine stagione eranocirca 700 i lavoratori iscritti alle liste di prenotazione. Diquesti sono stati circa 50 gli assunti in piccole aziendesensibili, di cui una afferente alle associazioni “Libera”e “Art Village”. Nel complesso, quindi, il dato relativoalle assunzioni attraverso le liste per l’impiego è statomolto negativo, al punto da indurre la Flai a chiederneil temporaneo congelamento.

4.5 ConclusioniNel corso della scorsa stagione, la Regione Puglia

ha cercato di mettere in atto una strategia organicacontro lo sfruttamento dei lavoratori stranieri impiegatiin agricoltura attraverso un piano che affrontasse inmodo articolato e strutturale le radici del problema. No-nostante il coinvolgimento di diversi attori della societàcivile nell’elaborazione e nell’implementazione delPiano Regionale, i risultati appaiono però ad oggi assai

Il dato relativo alleassunzioni attraverso le

liste per lʼimpiego previstedalla Task Force è stato

molto negativo: 50 assuntisu 700 lavoratori iscritti

54 Dichiarazioni di Daniele Calamita, Segretario generale Flai-Cgil Foggia (10.02.15).

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limitati: il Ghetto di Rignano esiste ancora e così il si-stema del caporalato; le tendopoli non sono stateaperte perché i lavoratori si sono opposti al trasferi-mento; dei molti lavoratori che si sono iscritti alle listedi prenotazione, un’esigua percentuale è stata assuntadalle aziende.

Diverse sono le analisi sulle ragioni dello scarsoesito dell’iniziativa. Secondo la Flai di Foggia, l’insuc-cesso è da attribuirsi ad una “sciattagine culturale dif-fusa”, dal momento che neanche le imprese coinvoltenel percorso hanno rispettato gli impegni presi, e ad unprofondo radicamento della cultura dell’illegalità. Altriattori sociali impegnati da molti anni nel territorio, comel’associazione “Io ci sto” lo attribuiscono alla mancanzadi controlli efficaci e a ragioni di convenienza: ai datoridi lavoro converrebbe assumere in nero piuttosto cheaccettare gli incentivi e rispettare gli obblighi contrat-tuali. Inoltre, sostiene sempre “Io ci sto”, “il progettodella Task Force prevedeva tempi di esecuzione moltobrevi e il percorso aveva coinvolto prima le istituzioni,poi le organizzazioni della società civile e, solo in ul-timo, i lavoratori. Tutto al contrario, dunque”.

La Regione Puglia, d’altro canto, continua a garan-tire la fornitura di acqua ed elettricità presso il GranGhetto e, nonostante le criticità riscontrate, ha manife-stato la volontà di continuare ad impegnarsi nel “per-corso di legalità” che ha coinvolto attori istituzionali,imprese, lavoratori, enti di tutela e organizzazioni dellasocietà civile55.

Un piano teoricamente valido ma, nei fatti, gra-vemente carente sul piano operativo e della piani-ficazione. Un piano che, per ora, è rimasto un“libro dei desideri”.

INTERVISTE

Intervista a Guglielmo MinerviniAssessore Regione Puglia [20.02.15]

Quando sono iniziati i lavori della TaskForce e quali gli obiettivi che si era prefissata?

Preliminarmente è da chiarire che l’istituzione dellaTask Force non è all’interno del progetto regionale“Capo free-ghetto off”, nel senso che è antecedente alprogetto citato, ma ha iniziato i lavori sollecitata dall’av-vio delle attività progettuali. Per quanto riguarda il pro-getto “Capo free-ghetto off”, è un progetto articolato supiù fronti, con diverse azioni che ha visto coinvolti ilmaggior numero di assessorati, proprio perché bisognaagire su più terreni e a livello trasversale. È un progettomolto ambizioso e cerca di avere uno sguardo d’in-sieme su tutti i pezzi della catena dello sfruttamento eun’unica strategia di contrasto; vuole sottrarre ossigenoa tutto ciò che alimenta e rende possibile lo sfruttamentoe l’illegalità diffusa, contrastare il lavoro sommerso conazioni di controllo capillare, costruire un “patto sociale”tra istituzioni e società. Perciò il progetto ha coinvoltodiverse istituzioni, i sindacati, l’associazionismo, i mi-granti, etc. Nel progetto abbiamo predisposto un bollinoetico da rilasciare alle aziende che dimostrano di nonricorrere al lavoro nero nella raccolta del pomodoro. Ab-biamo previsto dei contributi economici per quelleaziende che sceglievano i propri lavoratori da liste diprenotazione, con l’idea di spezzare la mediazione delcaporalato e, allo stesso tempo, abbiamo chiesto piùed efficaci controlli per sanzionare duramente chi ricorreal lavoro nero. Abbiamo additato pubblicamente esenza paura le aziende che non volevano sottoscrivereil protocollo, dalla Princes all’Auchan.

5055 Intervista a Guglielmo Minervini, Assessore alle Politiche giovanili, Trasparenza e Legalità (20/02/2015).

Le tende vuote del centro di accoglienza allestito a San Severo (Medu/settembre 2014)

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Quali passi sono stati fatti in termini di ac-coglienza e di lavoro? Quali sono le principalidifficoltà riscontrate?

È stata istituita presso l’azienda Fortore una strutturatemporanea per i lavoratori stagionali, le altre previsteda progetto non è stato possibile attivarle per varie que-stioni tra cui indisponibilità dei luoghi individuati, indi-sponibilità dei lavoratori per la lontananza dai luoghi diraccolta. Le persone presenti al Ghetto non si sono re-cate presso la struttura sia per paura di perdere le gior-nate lavorative, seppure al nero, sia per paura diperdere quello che è diventata la loro casa. Il progettoprevede l’attivazione di agenzie d’intermediazione abi-tativa per garantire con diverse azioni sui territori il di-ritto all’abitare degli stanziali. In termini di lavoro, per laprima volta, i migranti si sono iscritti alle liste di preno-tazioni, ma purtroppo nessuno di loro è stato assuntodalle liste di prenotazione. Una grande difficoltà è statasicuramente la necessità di garantire il trasporto ai luo-ghi di raccolta, da aggiungere alla scarsa collabora-zione delle aziende.

Cos’è previsto per la prossima stagionedel pomodoro?

Al momento non si può che procedere con il lavoroappena iniziato sulle imprese, essendo appunto questolo snodo principale della questione. È necessario con-tinuare ad insistere sulla legalità, sulla convenienzadella legalità anche utilizzando la certificazione etica estimolare il mercato all’acquisto etico, procedere concontrolli continui e capillari. È il momento per rilanciarecon ancora maggiore determinazione e costanza. Ilvero punto cruciale riguarda le aziende di produzionee occorre un lavoro di lungo periodo, fatto d’incentivi edeterrenti, di azioni di contrasto e repressive affinchéle aziende agricole si convincano che la competizionesi vince sulla qualità, anche etica, del prodotto e nonsullo sfruttamento del lavoro.

Si parla molto di caporali, ma poco dei verimotori della questione: i datori di lavoro.Qual è stata la partecipazione delle associa-zioni di categoria? Sono stati chiamati al ta-volo di discussione anche i trasformatori,determinanti nella definizione del prezzo delpomodoro?

Durante la fase iniziale del progetto ci sono statimoltissimi incontri anche con le associazioni di catego-ria e sono stati invitati più volte anche i trasformatori.Dopo vari incontri è stato sottoscritto un atto d’impegnopresso la Prefettura di Foggia.

Esistono in Puglia gli indici di congruità?Vengono utilizzati per controllare indiretta-mente la regolarità della manodopera as-sunta?

In Puglia esistono gli indici di congruità ma non ven-gono utilizzati per i controlli perché per adesso la spe-rimentazione in atto è solo relativa alle tabelle ettarocolturali in possesso degli organi ispettivi.

Secondo le rilevazioni fatte, quanteaziende si sono dedicate alla produzione delpomodoro? Quanti ettari di terreno sarebberostati coinvolti?

Non abbiamo questi dati a disposizione.

Quanti lavoratori si sono iscritti alle listedi prenotazione? Quanti contratti sono statiregistrati?

I lavoratori iscritti sono stati diverse centinaia, ma icontratti registrati non hanno riguardato le persone chevivono presso il “ghetto” di Rignano.

Vista la contiguità tra territorio pugliese elucano, secondo Lei non sarebbe importanteun coordinamento con le attività della TaskForce Basilicata? Inoltre, visto l’interessa-mento anche di forza lavoro italiana, non sa-rebbe importante porre in essere pratiched’inclusione, integrazione e dialogo tra ma-nodopera straniera e locale?

Un tavolo di coordinamento con la Regione Basili-cata sarebbe auspicabile anche perché molti migrantisi spostano continuamente tra le due regioni e sarebbepossibile ipotizzarlo già per la prossima stagione. Moltilavoratori stagionali vivono oramai stabilmente nellecampagne, nelle case abbandonate a ridosso dei con-fini tra le due regioni. Ci sono già stati contatti con al-cuni amministratori lucani che hanno condiviso le azioniavviate con il progetto “Capo free-ghetto off”. Perquanto riguarda la seconda domanda sarebbe un pas-

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saggio politico e sociale fondamentale, perché oggi leforme di esclusione dal mondo del lavoro, lo sfrutta-mento delle persone, l’erosione dei diritti fondamentaliriguardano tutti, migranti e locali. Questo pero può es-sere un obiettivo non a breve periodo, perché presup-pone un lavoro culturale profondo che allo stato attualemanca. Grande contributo potrebbero darlo le organiz-zazioni sindacali.

Secondo Lei è possibile sconfiggere il ca-poralato senza mettere in discussione gli at-tuali modelli di produzione?

Il lavoro nero è una piaga del sistema economico eproduttivo. Assolutamente no. Il caporalato, lo sfrutta-mento lavorativo di migranti e non, la neo schiavitù nonpossono essere sconfitti senza mettere in discussione

gli attuali modelli di produzione.

Intervista a Padre Arcangelo eConcetta NotarangeloAssociazione “Io ci sto”[24.09.14]

Che tipo di attività svolge l’associazione“Io ci sto” e in quali contesti agisce?

“Io ci sto “ è un’esperienza di volontariato organiz-zata da sette anni dai missionari scalabriniani in colla-borazione con molte realtà del territorio. Nei mesi estivi,volontari da tutta Italia, e non solo, si turnano per portareavanti una scuola informale di italiano, una ciclofficinae una radio negli agglomerati abitativi del cosiddettoghetto di Rignano, nelle strutture disseminate alle spalledel Centro di accoglienza per richiedenti asilo di BorgoMezzanone e in altri luoghi come Orta Nova, in provinciadi Foggia. In generale, in tutti luoghi dove la presenzamigrante stagionale è forte. I campi estivi organizzati vo-gliono essere un facilitatore di incontro.

Qual è la composizione dei luoghi dove in-tervenite?

In prevalenza si tratta di uomini con un’età media ditrent’anni. Le nazionalità sono molto varie, al ghetto diRignano principalmente africani sub-sahariani.

Se si potesse fare un bilancio del primoanno del Progetto “Capo free - Ghetto Off”,quale sarebbe?

Il progetto “Capo free-Ghetto off” è un progetto am-bizioso che si scontra con una cultura locale di sfrutta-mento lavorativo. I suoi limiti vanno letti soprattutto neitempi ristretti in cui lo si voleva realizzare. Per sconfig-gere lo sfruttamento del lavoro ci vogliono tempi moltolunghi e va affrontato soprattutto attraverso la creazionedi una cultura imprenditoriale. Si deve affrontare il pro-blema del lavoro per poter parlare di condizioni abitativemigliori. Se i lavoratori possono avere un contratto di la-voro e una paga degna possono scegliere dove abitare.

Secondo voi com’è stato percepito il pro-getto dagli abitanti dei ghetti?

Molti non hanno percepito in toto il progetto. Il timoredi molti era che, trasferendosi lontano dalla zona in cuisolitamente vivono, avrebbero perso i contatti con i ca-porali, ma anche con i contadini. Il trasporto è un nodoimportante che nelle tendopoli previste dalla Regionenon era stato garantito.

Quali misure potrebbero essere messe inatto per la risoluzione effettiva della que-stione “caporalato”?

Ad esempio si potrebbe lavorare sulla regolarizza-zione dei contratti di lavoro e la semplificazione dell’ac-cesso alla residenza, sull’aumento dei controlli da partedelle istituzioni, sulla creazione di nuovi posti di lavorocon nuove forme imprenditoriali in cui i migranti possanoessere attori principali. A questo sarebbe necessario af-fiancare una maggiore conoscenza dei diritti come la-voratori e, quindi, un potenziamento delle capacità diautoliberazione dalla schiavitù. Il tutto attraverso l’impe-gno delle istituzioni e il coordinamento con le associa-zioni. Infine, sostenere coloro che denunciano i datoridi lavoro strozzini, con progetti di tutela ed accompa-gnamento. Questo è il lavoro svolto dalla Caritas di Fog-gia con il Progetto Presidio e da “Io ci sto”.

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Il Punjab pontino: irregolarità e sfrut-tamento tra campi e serre

Da almeno un ventennio la provincia di Latina è unadelle aree agro-alimentari più importanti dʼItalia in quantoa presenza di lavoratori stranieri, in arrivo per lo più dalPunjab indiano e dallʼEuropa dellʼEst. Concentrati soprat-tutto nellʼarea meridionale dellʼAgro Pontino, i sikh delPunjab indiano rappresentano uno dei gruppi più impor-tanti dellʼarea in termini di presenze. Si tratta di una co-munità strutturata, composta principalmente da migrantistanziali, per lo più uomini, anche se negli ultimi anni si èregistrato un aumento della presenza femminile in se-guito ai primi ricongiungimenti familiari. Il 99% dei mi-granti assistiti da Medu, tutti di nazionalità indiana, era inpossesso di un regolare permesso di soggiorno e il 70%era impiegato nel settore agricolo. Tra di essi solo il 14%ha dichiarato di lavorare in nero. Dʼaltra parte, la condi-zione dei migranti indiani nella zona dellʼAgro Pontino di-mostra come il possesso di un contratto di lavoro, inmolto casi non tuteli affatto il lavoratore straniero dal su-bire pratiche lesive dei propri diritti. Tra gli aspetti più cri-tici, oltre ai tempi di lavoro, al sottosalario e alleirregolarità contributive, vi è il fenomeno del caporalatoche in questo territorio arriva in alcune situazioni ad as-sumere le caratteristiche di una vera e propria tratta diesseri umani. Per quanto riguarda lʼintegrazione, se lagran parte dei lavoratori intervistati era regolarmenteiscritta al Servizio sanitario nazionale (78%), quasi lametà di essi aveva una conoscenza scarsa o nulla dellalingua italiana pur risiedendo nel nostro Paese da oltrecinque anni nei due terzi dei casi.

5.1 Il contestoDa almeno un ventennio la provincia di Latina è una

delle aree agro-alimentari più importanti d’Italia perquanto riguarda la presenza di lavoratori stranieri. Nelleprincipali aree produttive - come Aprilia, Borgo Hermada,Fondi, Latina, Sabaudia, Terracina – l’economia agricola

è legata principalmente alla raccolta di frutta e ortaggi (acampo aperto e in serra), alla floricoltura nelle zone co-stiere, alla viticoltura e all’allevamento di bovini nelle zonecollinari. La produzione è svolta da lavoratori italiani e dastranieri stanziali e stagionali - in arrivo, soprattutto, dalPunjab indiano e dall’Europa dell’Est (Romania, Polonia,Albania) - che hanno gradualmente sostituito la comunitànordafricana, la più numerosa fino agli anni Ottanta56. Atali lavoratori si aggiungono flussi interregionali prove-nienti dalla provincia di Caserta (soprattutto Mondragonee i comuni della Baia Domitiae), da alcune zone agricoledell’Italia del Nord (come Cuneo, Asti, Ravenna, Ferrara)o da Roma, come pendolari57. Dei circa 20mila lavoratoriagricoli impiegati nella zona – di cui solo 12mila regolar-mente registrati negli elenchi Inps - gli stranieri rappre-sentano circa il 50%58.

In termini di presenze, la comunità dei sikh del Pun-jab indiano - formalmente composta da 12mila personema, secondo alcune stime, il numero potrebbe esserenotevolmente superiore59 - è una delle più importantidella provincia nonché la seconda comunità sikh in Ita-

LUOGHI D’INTERVENTOLAZIO - L’Agro Pontino

Roma

Viterbo Rieti

Frosinone

Latina

Roma

Viterbo Rieti

Frosinone

LatinaLatina

Aprilia

San Felice CirceoTerracina

Borgo HermadaSabaudiaBella Farnia

Pontinia

Fondi

Lati

56 Intervista a Marco Omizzolo, sociologo e membro di In Migrazione Onlus (14.02.15).57 Agromafie e caporalato. Secondo rapporto, a cura dell’Osservatorio Placido Rizzotto Flai-Cgil (2014), pag.178 e ss.58 Dati Flai-Cgil di Latina.59 2014 - Doparsi per lavorare come schiavi, Rapporto InMigrazione Onlus (2014), p. 1.

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lia per dimensioni60. Concentrata so-prattutto nell’area meridionale del-l’Agro Pontino e in quella limitrofa alParco Nazionale del Circeo (cinque-mila indiani vivono nella sola localitàdi Borgo Hermada), si tratta di unacomunità composta principalmente da migranti stan-ziali, per lo più uomini, anche se negli ultimi anni si èregistrato un aumento della presenza femminile in se-guito ai primi ricongiungimenti familiari. Nonostante lapresenza stanziale, corposa e strutturata con luoghi diculto (tre templi a Sabaudia, Latina e Fondi), rappre-sentanti e associazioni giovanili, le interazioni con il ter-ritorio e con la popolazione locale sono molto limitate.Ciò si riflette anche nel livello di conoscenza della lin-gua italiana che, come emerge anche da dati raccoltida Medu, è generalmente basso.

5.2 L’intervento di MeduNel mese di settembre 2014, il team di Medu ha

svolto un’attività di monitoraggio e assistenza socio-sa-nitaria presso il tempio sikh Gurudwara di Sabaudiadove, ogni domenica, si riuniscono almeno duemilapersone. Nell’arco dei cinque giorni d’intervento, Meduha visitato 82 persone (65 uomini e 17 donne), tra cui57 lavoratori agricoli con età media di 39 anni. Tutti ipazienti erano provenienti dall’India, in particolare dallaregione del Punjab, e di religione sikh. I dati che ven-gono qui di seguito presentati si riferiscono esclusiva-mente al gruppo di migranti impiegati in agricoltura. Perquanto concerne lo status giuridico, il 68% dei lavora-tori agricoli aveva un permesso di soggiorno per motividi lavoro, il 16% era titolare di carta di soggiorno, il 12%di un permesso per ricongiungimento familiare. Solouna persona risultava essere irregolare. Tutti i bracciantirisiedevano stabilmente nella zona.

In merito alla permanenza nel territorio italiano, il67% dei lavoratori ha dichiarato di essere arrivato nelnostro Paese da più di cinque anni. Di questi, in par-ticolare, quasi la metà è presente da più di dieci manessuno ha la cittadinanza italiana. Il 30%, invece, ha

dichiarato di essere in Italia da duea cinque anni mentre solo il 3% dameno di due. In generale, quindi, sitratta di persone stabilmente pre-senti in Italia, ma che spesso hannoottenuto il permesso di soggiorno e

un contratto di lavoro solo successivamente, in mediatre anni dopo l’arrivo in Italia. Tra i migranti intervistati,il 56% ha dimostrato una conoscenza buona o suffi-ciente della nostra lingua, il 32% un scarsa cono-scenza mentre il 12% non parlava affatto l’italiano. Il2% del campione aveva inoltre un’istruzione universi-taria, il 54% aveva frequentato la scuola secondaria,il 33% la primaria e il 4% risultava analfabeta.

5.3 Il lavoro grigio e il pagamento ad oreI lavoratori agricoli intervistati da Medu (54 uomini

e 3 donne) hanno dichiarato di essere impiegati perlo più nella piantumazione e nella raccolta di ortaggie fiori in campo aperto o in serra, o di lavorare cometaglialegna. Il 5% ha affermato di essere impiegatonelle stalle. L’86% dei braccianti aveva un contrattodi lavoro, nell’11% dei casi con una durata superioread un anno. In media sono nove i mesi d’impiegoall’anno rilevati e otto le ore medie di lavoro quoti-diano, nonostante le diverse disposizioni previstenel Contratto Provinciale del Lavoro (Cpl)61. Il 21%,inoltre, ha affermato di lavorare per più di dieci oregiornaliere.

Un migrante su cinquelavora più di dieci ore

al giorno

Visita medica nel camper di Medu (Medu/settembre 2014)

60 Punjab, Rapporto In Migrazione Onlus (gennaio 2013), p. 2.61 L’art.12 del Contratto Provinciale di Lavoro, valido dal 01.01.12 al 31.12.15, prevede che l’orario di lavoro debba essere di 39 ore settimanali, pari a 6,30 ore giornalieredistribuite in sei giorni (esclusa la domenica) o a 7 ore per cinque giorni e 4 ore il sabato.

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La modalità di pagamento più diffusa è quella a ore,che riguarda oltre l’80% delle persone intervistate, conuna paga oraria media di 4,5 euro. La paga giornalieraoscilla in oltre la metà dei casi tra 32 e 36 euro, circa il30% in meno di quella prevista dal Cpl62. Inoltre, il 67%ha dichiarato di essere pagato dal datore di lavoro, il7% da un intermediario indiano, mentre il 24% degli in-tervistati ha preferito non rispondere.

Secondo l’associazione InMigrazione63, nell’AgroPontino l’intermediazione di manodopera è una praticadiffusa e strutturata. Vi sono esempi di caporalato “clas-sico”, nel caso in cui il caporale - italiano o straniero -fornisca manodopera alle aziende e venga pagatodalle stesse attraverso il trattenimento di una quota dalsalario destinato ai lavoratori. In al-cuni casi l’intermediario recluta i lavo-ratori direttamente nei paesi diorigine. Ciò avviene attraverso rap-porti con la criminalità organizzata -sia locale che transnazionale - ingrado di agevolare l’arrivo dei lavora-tori. Si tratta, quindi, di un caporalatoche abbraccia l’intero ciclo del lavoro- dal reclutamento, al trasporto, alladeterminazione del salario - e che uti-lizza forme proprie della tratta.

Il reclutamento avviene nei piccoli villaggi del Pun-jab da parte di connazionali che vendono a chi desi-dera spostarsi “pacchetti” che includono il bigliettodel viaggio, l’alloggio, il permesso di soggiorno e illavoro. Il pacchetto ha costi diversi in base alle pos-sibilità economiche della famiglia, in media dai quat-tromila agli ottomila euro a persona. Chi non puòaffrontare il costo, contrae un debito con i reclutatoriche verrà pagato in Italia con i primi salari ricevuti. Intale caso si configura una dinamica propria dellatratta di esseri umani. La dipendenza dal debito con-tratto, infatti, rende il lavoratore particolarmente vul-nerabile e disposto ad accettare qualsiasi condizionedi lavoro. Nella catena di sfruttamento sono coinvolti

non solo i reclutatori del Punjab e di altri Stati limitrofi,ma anche imprenditori delle aziende dell’Agro Pon-tino in cerca di manodopera a basso costo.

Sempre secondo InMigrazione64, a tale pratica ille-cita si aggiungono le truffe legate al rilascio o al rinnovodel permesso di soggiorno. Non di rado infatti. i datoridi lavoro e gli intermediari chiedono al lavoratore cifreingenti (dai quattro ai seimila euro) per la stipula di uncontratto di lavoro indispensabile per il rilascio e per ilrinnovo del permesso di soggiorno. Se il lavoratore nondispone di tali cifre, è costretto a lavorare senza perce-pire alcun compenso fino a sanare il debito contratto.A tal proposito, l’8 gennaio 2014 presso il Tribunale diLatina si è conclusa con il rinvio a giudizio la prima

udienza preliminare di un processoche vede imputati un imprenditoreitaliano, proprietario di un’aziendaagricola a Fondi (LT), e quattro inter-mediari (tre cittadini indiani e un pa-kistano), con l’accusa di falsitàdocumentali e sfruttamento dellacondizione di irregolarità. Sembra in-fatti che i cinque imputati estorces-sero ingenti cifre ai lavoratori stranieri– in prevalenza indiani sikh – in cam-

bio dei documenti (falsi) utili per il rilascio del permessodi soggiorno. Per la prima volta inoltre, un’associazionee un sindacato si sono costituiti parte civile insieme ailavoratori – 30 indiani e un marocchino – che hannochiesto giustizia.

Secondo i dati raccolti da Medu, il 65% dei lavo-ratori con contratto di lavoro ha dichiarato di vedersiriconosciuti i contributi per un numero di giornate la-vorative inferiore a quelle effettivamente svolte, il 4%di non vederseli riconosciuti affatto, il 10% di non sa-pere se usufruirà dei contributi e il 6% dei migrantinon ha risposto alla domanda. Solo il 15 % dei lavo-ratori intervistati ha affermato di usufruire di tutti icontributi previsti.

La modalità di pagamentopiù diffusa è quella a ore,

che riguarda oltre lʼ80% deilavoratori sikh intervistati,

con una paga oraria media di 4,5 euro

62 Secondo il Contratto Provinciale di Lavoro, la paga minima giornaliera per gli operai agricoli e florovivaisti della Provincia di Latina dovrebbe essere di 52,36 euro lordi.63 Intervista a Marco Omizzolo, sociologo e membro di InMigrazione Onlus (14.02.15).64 Ibidem.

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5.4 Le condizioni di vita e di saluteI lavoratori agricoli incontrati nell’Agro-pontino pre-

sentano un’età media superiore a quella degli altri con-testi (39 anni) e una significativa prevalenza di malattiecroniche. I principali sospetti diagnostici riguardano lemalattie osteomuscolari (22%), in particolare dolori mu-scolari da affaticamento e quadri artrosici, le patologiedel sistema cardiocircolatorio (17%) e le malattie del-l’apparato respiratorio (17%, in prevalenza infezionidelle alte vie respiratorie). Seguono le patologie dellacute e del tessuto sottocutaneo (11%, prevalentementedermatiti), le malattie dell’apparato digerente (8%, pre-valentemente malattie da reflusso gastroesofageo) e idisturbi dell’occhio (8%, congiuntiviti). Nel 6% dei casisono state rilevate patologie endocrine nutrizionali e delmetabolismo (in particolare casi di diabete) e malattieinfettivo-parassitarie (un caso di micosi cutanea, uncaso di herpes zoster e un caso diHCV cronica). Seguono infine le pato-logie genitourinarie (3%) e gli statimorbosi mal definiti (3%).

In generale possiamo osservarecome le patologie più frequenti sianoin questo contesto correlate all’attivitàlavorativa, in forma di patologie mu-scolo scheletriche, e a quadri degene-rativi associati in parte all’età e allo stiledi vita. Per quanto riguarda le malattiecardiovascolari, la totalità dei casi ha riguardato l’iper-tensione arteriosa, perlopiù cronica, in cura presso i ser-vizi di medicina generale e con riferita buona aderenzaalla terapia.

La popolazione in studio, in gran parte stabilizzatanel territorio, ha riferito un’elevata affluenza ai servizi dimedicina generale del luogo e una buona compliancealla terapia per le malattie croniche. Al momento dellavisita, infatti, il 78% dei lavoratori agricoli regolarmentesoggiornanti è risultato iscritto al Servizio sanitario na-zionale e usufruiva del medico di base. Non pochi pa-zienti, tuttavia, hanno lamentato difficoltà legate ad unascarsa conoscenza del funzionamento dei servizi e aproblemi di comunicazione con il medico. In relazionealle condizioni di sicurezza sul lavoro, il 92% dei brac-cianti ha riferito di utilizzare guanti e scarpe da lavoro,

i quali nel 52% dei casi sono forniti dal datore di lavoro,nei restanti casi acquistati dai lavoratori stessi.

Per quanto concerne le condizioni abitative, l’88%delle persone incontrate viveva in appartamenti in af-fitto condivisi con i familiari o altri connazionali soprat-tutto nella zona di Sabaudia e nelle località di BellaFarnia e Borgo Hermada, spesso in appartamenti ori-ginariamente destinati a fini turistici, poi abbandonati erilevati da agenzie che li affittano a tre-quattrocentoeuro al mese. I restanti, per lo più impiegati nelle stalle,vivono gratuitamente presso i datori di lavoro.

5.5 ConclusioniSebbene la realtà dei lavoratori migranti dell’Agro

Pontino sia molto distante dalle immagini dei ghetti edelle tendopoli, anche in questo territorio è stato ri-

scontrato un insieme di violazioni,per alcuni aspetti meno evidenti, macertamente gravi. Dietro la regola-rità del soggiorno, che riguarda laquasi totalità dei migranti visitati, sicelano spesso anni di lavoro nero,compravendita dei contratti di la-voro, e in alcuni casi, dinamiche diassoggettamento o di vera e propriatratta. La presenza di un contratto dilavoro nasconde non di rado una re-altà di sottosalario, irregolarità con-

tributive e sfruttamento. Per un quinto dei bracciantiintervistati, ad esempio, l’impegno lavorativo superale dieci ore giornaliere. L’elusione contributiva limita lapossibilità del lavoratore di accedere a diritti e tutelequali la disoccupazione e la previdenza sociale, mapermette alle aziende di risparmiare e al contempo dirisultare formalmente in regola per poter ricevere in-centivi e finanziamenti, in particolare quelli europei.L’intermediazione di manodopera inoltre, non assumele forme del reclutamento a giornata nelle piazze o neighetti, ma comporta un’organizzazione più articolatache in alcuni casi coinvolge più paesi e reti criminalitransnazionali.

L’assenza di conflittualità all’interno della comunità econ il resto della popolazione sembra comunque na-scondere un percorso di integrazione segnato da note-

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Lʼintermediazione dimanodopera è una pratica

diffusa e strutturata siaattraverso la modalità delcaporalato classico sia

attraverso il reclutamentodiretto nel paese dʼorigine

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voli criticità. E’ emersa infatti una preoccupante condi-zione di isolamento dei migranti impiegati in agricoltura,che trascorrono la maggior parte del tempo nei campie le poche ore libere nei luoghi di aggregazione dellacomunità. Se infatti l’integrazione sanitaria sembra averraggiunto livelli soddisfacenti, soprattutto se comparataad altri contesti, altri indicatori risultano assai meno po-sitivi. E’ significativo, ad esempio, che pur trovandoci difronte a un gruppo di popolazione presente in Italia dapiù di cinque anni in quasi i due terzi dei casi, una parteconsistente dei pazienti (43%) avesse una conoscenzascarsa o addirittura nulla della lingua italiana.

INTERVISTE

Intervista a Marco OmizzoloSociologo e membro dell’asso-ciazione In Migrazione Onlus[03.03.15]

Quali sono le caratteristiche dell’agricol-tura nella zona dell’Agro Pontino?

Nella zona dell’Agro Pontino l’agricoltura si sviluppa,sulla costa, a partire dal periodo della bonifica e, ancorprima, nell’area collinare. Fino alla prima metà deglianni Ottanta, il settore agricolo era gonfiato dagli incen-tivi della Cassa del Mezzogiorno. Si trattava di un’agri-coltura di quantità, non di qualità, perché questo era ilrequisito richiesto. Con il successivo crollo dalla Cassadel Mezzogiorno, tuttavia, non c’è stato un investimentonella produzione di qualità e molti piccoli produttori, cuilo Stato prima garantiva un margine di guadagno, sisono trovati a vivere pienamente nel mercato, avendosviluppato capacità produttive ma non imprenditoriali.La grande fortuna che hanno avuto, in tale passaggio,è stata quella di trovarsi un enorme tesoro in casa: gliindiani provenienti dal Punjab. Giunti in provincia di La-tina a metà degli anni Ottanta, gli indiani hanno pro-gressivamente sostituito i migranti nordafricani presentinell’area, soprattutto tunisini e marocchini, inizialmenteimpiegati in agricoltura. Alcuni parlano di “cacciata” deinord-africani ma, secondo me, il fenomeno dovrebbeessere analizzato con più attenzione. Gli indiani, difatto, erano più numerosi ma anche più facili da subor-

dinare, meno consapevoli dei propri diritti e spesso conun ingente debito da ripagare. Così i produttori hannopotuto continuare a produrre molto e a trarre un certoguadagno, pagando poco i lavoratori.

Quali sono le caratteristiche di questoflusso migratorio?

Originariamente si trattava di un flusso quasi uni-camente maschile, di giovani uomini dediti al lavoro edesiderosi di trovare quanto prima un’occupazioneper soddisfare le loro necessità e realizzare il progettomigratorio della famiglia rimasta in Punjab. All’inizioerano poche decine ma l’offerta di lavoro era notevoleperché notevole era ed è la produzione agricola pon-tina. Questa grande richiesta di lavoro ha permessoalla comunità di insediarsi e crescere, contando oggicirca 30mila presenze. Se tra le donne il tasso di im-piego è molto basso, circa il 60% dei lavoratori uominilavora in agricoltura. Vi lavora per necessità, per op-portunità, non per vocazione. All’inizio questa era unacomunità “di sole braccia” perché totalmente scono-sciuta agli autoctoni, cioè a noi italiani. È solo dopo leprime analisi del fenomeno e le prime denunce chesono venuti alla luce fenomeni drammatici quali losfruttamento, il caporalato, la riduzione in schiavitù.Uno sfruttamento che non riguarda solo il lavoro neicampi ma comprende anche un sistema di tratta in-ternazionale di lavoratori radicato e, nella mia espe-rienza, utilizzato da molti imprenditori. Questo sistemafunziona così: il datore di lavoro che ha bisogno di uncerto numero di lavoratori e non li trova in loco, si ri-volge ad un intermediario indiano che ha contatti conil Punjab corrispondendogli una certa cifra, come adesempio mille euro a lavoratore. L’intermediario in-diano fa arrivare i lavoratori dal Punjab e garantisceloro un posto dove vivere e un lavoro. A loro volta, i la-voratori pagano 4-5mila euro all’intermediario, che inquesto modo ne guadagna un totale di 5-6mila a per-sona. Giunti in Italia, i lavoratori saranno impiegati perun certo periodo gratuitamente o con una paga mi-nima, affinché il datore possa rientrare dell’esborsoiniziale di mille euro. Successivamente il lavoratore ini-zierà a lavorare per la stessa azienda per tre, quattro,cinque euro l’ora. Il lavoratore accetta queste condi-zioni, in primo luogo per una condizione di necessità,in secondo luogo per inviare le rimesse a casa.

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Caporale, intermediario, qual è la diffe-renza?

L’intermediario indiano è una figura indispensa-bile perché è colui che organizza la tratta dei lavora-tori dall’India all’Italia, mentre il caporale, che operain loco, può essere sia italiano che indiano. È di solitoitaliano quando si tratta del capo squadra; è indianoquando è il collega di lavoro. Il lavoratore dipendemoltissimo da questa figura, che è sfocata, ambigua,spesso nemmeno percepita come elemento negativodai lavoratori. Spesso, infatti, cedere una cifra delproprio salario al caporale fa “normalmente” partedel “patto lavorativo”.

Quali sono, invece, le caratteristiche dellavoro e le condizioni contrattuali?

Il bracciantato è quasi sempre stagionale e c’è unafascia significativa di lavoro grigio. I lavoratori hannocontratti di 7-8 mesi. Le buste paga sono generalmentefittizie perché rispecchiano ciò che il datore di lavorodecide di scrivere nel libro paga. Il salario reale gene-ralmente non supera i tre-quattro euro netti l’ora, anchese spesso le buste paga indicano altre cifre. Ci sonoanche buste paga formalmente in regola, dove risultache il lavoratore è pagato otto-nove euro lordi all’orama, in realtà, ciò che arriva nelle tasche del lavoratoreè una minima parte. I datori di lavoro sono per lo piùitaliani locali o, in alcuni casi, di origine campana, avolte legati a clan criminali. Sebbene l’agricoltura nellazona di Latina sia un settore in cui le mafie sono radi-cate e speculano, in alcuni casi, paradossalmente, èpiù “sicura” l’azienda mafiosa di quella non mafiosa.Per poter riciclare il denaro sporco, le aziende mafiosetendono infatti a rispettare di più le regole per non ri-schiare di finire sotto la lente delle forze dell’ordine perun reato considerato da loro di minore importanzacome lo sfruttamento della manodopera.

In un report, avete parlato del ricorso aldoping da parte dei lavoratori indiani. Sitratta di un fenomeno diffuso e preoccu-pante?

È un fenomeno molto marginale esploso circa unanno e mezzo fa. Personalmente sono riuscito a rilevare12-13 casi. Preoccupanti erano alcune costanti che ri-guardavano coloro che utilizzavano sostanze dopanti

per ragioni lavorative: erano arrivati da poco, non par-lavano la lingua italiana, avevano pochi riferimenti e la-voravano moltissime ore al giorno per dei veri e proprisfruttatori.

Ci sono stati episodi di rivendicazione daparte dei lavoratori?

Nel 2009 c’è stata la prima vertenza pubblica: perla prima volta, una decina di lavoratori hanno manife-stato davanti ad una cooperativa perché da circa seimesi non ricevevano lo stipendio. Hanno ricevuto mi-nacce da parte del datore di lavoro ma hanno portatoavanti la vertenza. Inoltre, l’8 gennaio scorso si è svolta,presso il Tribunale di Latina, l’udienza preliminare di unprocesso che vede come parte offesa un gruppo dibraccianti - circa 30 indiani e un egiziano - e imputatecinque persone - quattro stranieri (tre indiani e un pa-kistano) e un italiano - accusati del reato di falsità do-cumentali per il rilascio dei permessi di soggiorno conl’aggravante dello sfruttamento della condizione diclandestinità. L’italiano è il proprietario di un’aziendaagricola a Fondi, mentre gli altri imputati sono conside-rati i suoi intermediari. Grazie a questa attività il gruppocriminale otteneva guadagni per diverse decine di mi-gliaia di euro. L’udienza preliminare si è conclusa conil rinvio a giudizio degli imputati e l’ammissione da partedel giudice della costituzione di parte civile dell’asso-ciazione In Migrazione Onlus, di alcuni lavoratori indianie della Flai-Cgil.

Intervista ad Alberto VicinanzaResponsabile amministrativodell’azienda Agrilatina[03.03.15]

Quali sono le caratteristiche della vostraazienda?

L’azienda Agrilatina si trova per il 50% nel Parco na-zionale del Circeo, a Fogliano, e fa agricoltura biodina-mica. Si tratta di una tipologia di agricoltura di qualitàsuperiore a quella biologica, che si propone di lavorareil terreno e le piante non utilizzando sistemi di sintesi,fertilizzanti chimici e quant’altro l’agricoltura tradizionalepropone. Tentiamo quindi di abbinare la creazione dicibi salutari e il rispetto dell’ambiente, cercando di per-

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seguire anche degli scopi etici, quale quello di averedei lavoratori in regola. L’azienda ha infatti circa 50 di-pendenti, sia italiani che stranieri impiegati tutto l’anno.Gli stranieri sono circa la metà, per lo più indiani. Ven-gono assunti con contratti stagionali che vanno dai 3mesi a un anno. Molti lavorano con noi da tanti anni inmodo stabile.

La nostra azienda lavora prevalentemente conl’estero e i nostri prodotti vengono venduti principal-mente sul mercato tedesco, austriaco, olandese. Qual-cosa resta anche in Italia, inparticolare nel nord Italia. La grandedistribuzione tedesca ad esempio èmolto diversa da quella italiana.Quella italiana fa fare da banca ai pro-duttori: fino a poco tempo fa ad esem-pio i pagamenti venivano fatti a 120giorni. Se si pensa che il tempo diproduzione è già molto lungo, in as-senza di guadagni, e poi si aggiun-gono altri 120 giorni per il pagamento, è facile capirecome i tempi di attesa a i costi siano insostenibili. E’ uncircolo vizioso che strozza! Per questo non vendiamomolto in Italia. In Germania invece il pagamento av-viene a 15 giorni.

Come fate a garantire il rispetto dei salarie dei contratti e nello stesso tempo a garan-tirvi un margine di guadagno?

Noi contiamo su una clientela piuttosto fidelizzatache ci richiede il rispetto delle condizioni di lavoro edell’ambiente, garantendo la qualità dei prodotti. Sannogià ad esempio che per garantire il rispetto dei dirittisul lavoro ci sono dei costi e che per il diserbo a manoabbiamo bisogno di manodopera e quindi sono dispo-sti a sostenerne i costi pagando prezzi maggiori. Il rap-porto si è costruito nel tempo. Non si può imporre infattiun decalogo di etica senza pagare un prezzo etico. Noiriusciamo a rispettare le tariffe previste dai contratti na-zionale e provinciale ma a fronte di questo dobbiamochiedere un prezzo sostenibile.

In Italia l’agricoltura biodinamica non prende ancorapiede a livello di consumi. A livello di produzione si. Ilproblema è di cultura e di mentalità. In Germania ad

esempio le persone sono disposte a spendere un po’di più pur di acquistare un prodotto sano.

Leggendo i nuovi indirizzi dell’Unione europea, ap-pare chiaro che i finanziamenti vengono dati solo aquelle aziende agricole che fanno investimenti sul ri-sparmio energetico, l’agricoltura biologica, etc. Quindiva da sé che l’Europa ha assunto questa tendenza e leaziende che non si allineano non avranno alternativeallo sfruttamento lavorativo. Poi ovviamente c’è ancheuna scelta etica da parte dell’imprenditore.

Noi sappiamo che questa è l’agri-coltura del futuro. Ora sembra di nic-chia ma di fatto è in crescita e lastrada, come ho già detto, è giàstata indicata dall’Unione europea.Poi resta fondamentale il lavoro disensibilizzazione, per diffondere unacultura diversa.

TESTIMONIANZEGuninder (34 anni, India)Fino a tre anni fa lavoravo in un’azienda agricola.

Raccoglievo ortaggi per 8-10 ore al giorno, 6 o 7 giornia settimana. Poi ho deciso di denunciare il datore di la-voro che non mi aveva pagato per molti mesi. Insiemea me lavoravano altri dieci indiani ed erano nella miastessa situazione. Oggi non ho più un lavoro o, meglio,lavoro solo saltuariamente.

Kuldeep (37 anni, India)Il mio datore di lavoro mi deve 9mila euro, ma

aspetto ancora senza denunciare. Se denuncio, perdoil lavoro. E poi?

Agamjit (52 anni, India)Ho 52 anni e sono in Italia da 15. Lavoro da molti

anni in una stalla vicino a Cisterna di Latina. Ormai hola Carta di soggiorno e vivo con la mia famiglia. Siamoin sei, tra mia moglie, i figli e i nipoti e tutti viviamo nellacasa del padrone, nei pressi della stalla. Il lavoro è duro,ma mi trovo bene. Guadagno abbastanza per poter vi-vere e il padrone è una brava, bravissima persona.

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“Il mio datore di lavoro mideve 9mila euro, ma aspetto

ancora senza denunciare.Se denuncio, perdo il

lavoro. E poi?”

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Jasmit (32 anni, India)Lavoro nel magazzino di frutta e verdura di una

grande azienda agricola dove mio marito lavora comestalliere. In tutto siamo circa 50 indiani, ma noi donneguadagniamo 3,20-3,50 euro/ora, mentre gli uomini neguadagnano 4,00.

Guninder (37 anni, India)Lavoro presso una grande azienda agricola olan-

dese dove sono impiegati altri 60 indiani, tutti del Pun-jab. Raccogliamo principalmente ravanelli e ci pagano2,90 euro per 100 mazzetti da 15 ravanelli ciascuno.Però devono essere tutti di bell’aspetto e della stessadimensione. C’è sempre qualcuno che ci controllamentre raccogliamo. Credo che le sostanze chimicheche usano nei campi siano molto forti perché a volte,mentre lavoro, fatico a respirare e poi negli ultimi tempianche la pelle si irrita.

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Gli strumenti di lavoro (Medu/agosto 2014)

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Nei quattro contesti di intervento diretto, i migrantiassistiti provengono in gran parte da tre grandi aree:l’Africa occidentale (Calabria e Basilicata), il Maghreb(Campania) e il subcontinente indiano (Lazio). Si ri-scontrano essenzialmente due profili di distribuzionedelle nazionalità. Da una parte, troviamo la massimaomogeneità nell’Agro Pontino, dove la popolazionebracciantile assistita era rappresentata da un’unica na-zionalità, quella indiana, e nello specifico da un’unicaregione di provenienza, il Punjab. In questo caso l’iden-tità etnica è ulteriormente rafforzata dall’appartenenzadi tutti i migranti alla religione sikh. Al polo opposto si

ubica la Piana di Gioia Tauro dove la distribuzione dellenazionalità appare più frammentata ed eterogenea anche se la gran parte dei migranti proviene dalla me-desima macroarea geografica, ossia l’Africa subsaha-riana occidentale. In generale si è potuto osservare chenei territori dove la presenza dei migranti assume ca-ratteristiche stanziali, come nell’Agro Pontino e nellaPiana del Sele, tendono ad essere prevalenti gruppi na-zionali ben definiti. Per contro, nelle aree caratterizzateprincipalmente da una presenza stagionale, i migrantiprovengono per la gran parte da diversi stati dell’Africasubsahariana.

TERRITORI A CONFRONTO*

NAZIONALITA’

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*I dati esaminati in questo capitolo si riferiscono esclusivamente ai migranti che hanno dichiarato di lavorare in agricoltura.

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Mentre nei territori con maggior presenza di lavora-tori stanziali (Piana del Sele e Agro Pontino), oltre il 50%dei migranti assistiti era in Italia da oltre cinque anni,nei contesti dove prevalgono i flussi di mano d’operastagionale come il Vulture Alto Bradano (38%) e soprat-tutto la Piana di Gioia Tauro (24%) tale percentuale è ri-sultata sensibilmente minore. I territori in cui lapresenza dei braccianti immigrati è dunque essenzial-

mente legata al periodo della raccolta, sono anche lezone dove è risultata più alta la presenza di stranieri direcente arrivo nel nostro Paese. Da questa tendenza sidiscosta in parte il dato della Campania, in cui i mi-granti arrivati negli ultimi due anni rappresentano co-munque un gruppo rilevante essendo quasi un quintodi tutti i lavoratori incontrati.

TERRITORI A CONFRONTOPRESENZA IN ITALIA

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Se nel Vulture Alto Bradano e nella Piana del Selecirca tre quarti dei migranti assistiti possedeva una co-noscenza buona o sufficiente della lingua italiana, nellaPiana di Gioia Tauro tale gruppo era rappresentato daidue terzi del totale. Per contro nell’Agro Pontino è statoriscontrato un carente livello di integrazione linguistica,dato che sembra indicare un preoccupante grado di

isolamento sociale, soprattutto se lo si considera allaluce del tempo medio di permanenza nel nostro Paesedi questo gruppo di popolazione. Malgrado, infatti, il97% dei pazienti visitati risiedesse in Italia da più di dueanni ed i due terzi, addirittura, da oltre cinque anni,quasi la metà di essi (44%) aveva una conoscenzascarsa o nulla dell’italiano.

TERRITORI A CONFRONTOLINGUA ITALIANA

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Nei territori del Vulture Alto Bradano e della Piana diGioia Tauro, dove la gran parte dei migranti assistiti pro-veniva dall’Africa subsahariana, oltre il 40% dei pazientisi è dichiarato analfabeta e meno di uno su dieci pos-sedeva un grado di istruzione secondaria. Nella Pianadel Sele, con un gruppo di popolazione proveniente inprevalenza dal Maghreb, quasi un quinto dei pazienti siè dichiarato analfabeta al pari, circa, di coloro che pos-

sedevano un grado di istruzione di scuola secondaria.Un terzo del campione ha invece dichiarato di aver fre-quentato la scuola primaria. Per contro l’Agro Pontino,rappresentato esclusivamente da migranti provenientidal Punjab indiano, presenta un quadro sensibilmentedifferente, in quanto oltre la metà di essi aveva frequen-tato la scuola secondaria e coloro che si sono dichiaratianalfabeti sono risultati essere non più del 4%.

TERRITORI A CONFRONTOISTRUZIONE

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Anche per quanto riguarda lo status legale si osser-vano differenze ben evidenti tra i territori a maggiorflusso stagionale (Calabria, Basilicata) e quelli dove lapresenza dei migranti è prevalentemente stanziale(Campania e Lazio). Nel Vulture Alto Bradano (44%) esoprattutto nella Piana di Gioia Tauro (56%) è risultatamolto consistente la presenza di titolari di protezioneinternazionale o di permesso di soggiorno per motiviumanitari mentre nell’Agro Pontino e nella Piana del

Sele, dove non erano presenti rifugiati, sono stati rilevatisoprattutto permessi di soggiorno per lavoro subordi-nato e, nel caso del Lazio, anche una quota apprezza-bile di permessi di soggiorno di lungo periodo. Lapresenza di migranti irregolari – comunque minoritariain tutti i contesti - è risultata essere più importante nellaPiana del Sele e nella Piana di Gioia Tauro, decisa-mente più modesta in Basilicata e addirittura irrilevantenel Lazio.

TERRITORI A CONFRONTOSTATUS LEGALE

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Per quanto riguarda i contratti di lavoro, il contestodella Piana di Gioia Tauro si differenzia nettamente datutti gli altri territori per l’ampiezza del fenomeno del la-voro nero: l’83% dei migranti assistiti lavorava infattisenza alcun contratto. Nel Vulture Alto Bradano, tra imigranti che hanno accettato di rispondere, coloro chepossedevano un contratto di lavoro erano più del dop-pio rispetto a quelli che lavoravano in nero. L’Agro Pon-tino è risultato essere il territorio dove il lavorosommerso appare meno rilevante (14%) e dove è stato

riscontrato anche un certo numero di contratti della du-rata superiore ad un anno (11%). In Campania infinepiù di un terzo dei braccianti lavorava in nero mentretra coloro che formalmente si trovavano in una posi-zione di regolarità, la durata dei contratti variava nellagran parte dei casi da più di un mese a meno di unanno. E’ da sottolineare come in tutti i territori, la pre-senza di contratti di lavoro nasconde spesso gravi irre-golarità salariali e contributive ai danni dei lavoratori.

TERRITORI A CONFRONTOCONTRATTI DI LAVORO

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* Dal campione risultano esclusi 58 migranti i quali erano appena giunti inBasilicata e pertanto ancora senza impiego

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Il fenomeno del caporalato è presente in modo con-sistente - e in alcuni casi capillare - in tutti i territori d’intervento. Per comprendere appieno l’entità del pro-blema è necessario considerare non solo i migranti chehanno esplicitamente ammesso di fare ricorso a questotipo d’intermediazione illecita ma anche coloro che perun comprensibile timore hanno deciso di non rispondere.Questi ultimi sono stati particolarmente numerosi nel-l’Agro Pontino (25%) e in Basilicata (19%). In generale sipuò affermare che nei territori a forte flusso stagionale,come la Piana di Gioia Tauro e il Vulture-Alto Bradano, lapresenza del caporalato assume caratteristiche più evi-denti e pervasive. Tale fenomeno è comunque presente

con particolari caratteristiche anche nei territori a maggiorpresenza stanziale, come l’Agro Pontino dove in alcunicasi esso abbraccia l’intero ciclo del lavoro a partire dalreclutamento nel paese d’origine. Tale pratica, del resto,non riguarda solo coloro che lavorano in nero ma anchei migranti muniti di contratto, come dimostra il caso dellaBasilicata. Nel Vulture-Alto Bradano, infatti, a fronte di unaprevalenza di lavoro sommerso relativamente bassa, ilnumero di lavoratori che hanno ammesso di ricorrere alcaporale è risultato più alto rispetto a tutti gli altri contesti.In tutti i territori è risultata prevalente la figura del caporaleetnico, proveniente dallo stesso paese o dalla stessaarea geografica dei braccianti reclutati.

TERRITORI A CONFRONTOCAPORALATO

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* Dal campione risultano esclusi 58 migranti i quali erano appena giunti inBasilicata e pertanto ancora senza impiego

**Il campione riguarda esclusivamente il periodo novembre-dicembre 2014poiché nel primo periodo di intervento nella Piana di Gioia Tauro (febbraio-aprile 2014) non è stato possibile raccogliere il dato sul caporalato

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Le condizioni abitative risultano nettamente più cri-tiche nei territori dove la presenza dei braccianti immi-grati ha prevalentemente le caratteristiche dellastagionalità. Se nella Piana di Gioia Tauro quattro lavo-ratori su cinque vivevano in alloggi di fortuna (edificiabbandonati, baraccopoli, tendopoli informali), nel Vul-ture Alto Bradano praticamente tutti i migranti assistiti

si trovavano ad abitare presso edifici fatiscenti e caso-lari abbandonati. In quest’ultimo territorio, infatti, lestrutture di accoglienza sono state aperte solo alla finedella stagione della raccolta del pomodoro. Anchenella Piana del Sele, sebbene non esista più il ghettodi San Nicola Varco, una percentuale minoritaria dibraccianti vive ancora in insediamenti precari.

TERRITORI A CONFRONTOCONDIZIONI ABITATIVE

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Tra i lavoratori regolarmente soggiornanti, l’integra-zione sanitaria appare soddisfacente solo nell’AgroPontino dove circa otto migranti su dieci possiedono latessera sanitaria e fruiscono con una certa continuità

del medico di medicina generale. Per contro sia nellaPiana di Gioia Tauro che nella Piana del Sele circa lametà dei migranti assistiti, pur avendo un regolare per-messo di soggiorno, era sprovvista di tessera sanitaria.

TERRITORI A CONFRONTOINTEGRAZIONE SANITARIA65

65 I campioni presi in esame per ciascun territorio si riferiscono esclusivamente ai migranti in possesso di un permesso di soggiorno.

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I sospetti diagnostici maggiormente rilevati in Cam-pania, Basilicata e Lazio, riguardano le malattie osteo-muscolari, in molti casi correlate all’attività lavorativanei campi. Nell’Agro Pontino, le malattie cardio-vasco-lari sono risultate tra la patologie riscontrate con mag-gior frequenza insieme a quelle osteo-muscolari, inragione sia di un età media dei pazienti più elevata ri-spetto agli altri contesti (39 anni) sia di una maggiorattenzione al controllo di patologie croniche, qualil’ipertensione arteriosa, da parte del gruppo di mi-granti visitati. Nella Piana di Gioia Tauro prevalgono inmaniera evidente le malattie dell’apparato digerente,

seguite dalle infezioni respiratorie acute e dai problemiosteomuscolari, patologie correlate, in gran parte, allecondizioni di grave indigenza in cui i lavoratori si tro-vano durante la stagione invernale di raccolta. Nelcomplesso, non sono state rilevate patologie infettiveda importazione bensì malattie che si instaurano inparticolari situazioni di precarietà sociale, abitativa eigienico-sanitaria dopo l’arrivo in Italia. Nei grafici sonoindicate le percentuali dei principali sospetti diagno-stici/diagnosi, classificati in gruppi e sottogruppi di pa-tologie secondo la classificazione ICD9-CM.

TERRITORI A CONFRONTOIL PROFILO EPIDEMIOLOGICO

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1. Principi ispiratori della direttiva: tracontrasto all’immigrazione irregolare ericonoscimento dei diritti

Con il Decreto Legislativo n.109 del 2012 (cono-sciuto come “Legge Rosarno”), l’Italia ha recepito conritardo66 la Direttiva 2009/52/CE (c.d. Direttiva Sanzioni)del Parlamento Europeo e del Consiglio UE, del 18 giu-gno 2009, che introduce norme minime relative a san-zioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoroche impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno èirregolare e ha inserito, benché con alcune criticità, ledisposizioni attuative della Direttiva 2009/52/CE nell’im-pianto normativo vigente in materia di immigrazione –decreto legislativo n. 286/1998 e successive modifica-zioni (Testo Unico Immigrazione).

La direttiva nasce con l’obiettivo di rafforzare la coo-perazione tra Stati membri nella lotta contro l’immigra-zione non autorizzata e prevede l’introduzione, in tuttigli Stati membri, del generale divieto per i datori di la-voro di impiegare cittadini di paesi terzi privi di regolarepermesso di soggiorno, l’introduzione di un reato pe-nale67 nel caso in cui l’impiego di lavoratori irregolari siaaccompagnato da particolare sfruttamento, da reitera-zione del comportamento vietato, riguardi l’impiego dilavoratori in numero superiore a tre o di lavoratori mi-norenni e quando il datore di lavoro sia consapevoleche il lavoratore irregolare impiegato è vittima dellatratta di esseri umani. Essa stabilisce, inoltre, la previ-sione di norme minime relative alle sanzioni (necessa-riamente efficaci, proporzionate e dissuasive68) e aiprovvedimenti da prendere nei confronti dei datori cheviolino il generale divieto i impiegare cittadini di paesiterzi privi di regolare permesso di soggiorno.

Questo strumento legislativo europeo è stato da moltisalutato con entusiasmo perché ritenuto innovativo con ri-ferimento agli strumenti volti al contrasto dello sfrutta-mento lavorativo dei migranti. Ad un’analisi più attenta,tuttavia, emerge come per il legislatore europeo il pro-blema non sia lo sfruttamento a cui sono facilmente sog-getti i migranti privi di permesso di soggiorno, quantopiuttosto l’immigrazione irregolare e la facilità di accessoal mercato del lavoro informale per i lavoratori in condi-zione di irregolarità.

Un incisivo ed efficace contrasto dello sfruttamento la-vorativo dei migranti che, stante la condizione d’irregolarisul territorio, risultino subalterni in quanto a capacità dicontrattazione e negoziazione delle condizioni di lavoro,non figura pertanto tra gli obiettivi primari della direttivama ne è un risultato solo eventuale.

Anche l’incentivo a denunciare i casi di grave sfrutta-mento lavorativo, tradotto dal legislatore nella previsionedel rilascio di un permesso di soggiorno temporaneo allavittima dello sfruttamento stesso (permesso di soggiornoper motivi umanitari69 ex art. 22 comma 12 quaterT.U.Imm.) che collabori nel procedimento penale, rappre-senta, in realtà, uno strumento finalizzato al consegui-mento dell’obiettivo primario di rafforzare la cooperazionetra stati nella lotta contro l’immigrazione non autorizzata,piuttosto che una misura specificatamente volta al con-trasto del fenomeno dello sfruttamento di lavoratori cheversano in condizioni di fragilità.

Emerge quindi una natura ambivalente della direttiva,che da un lato cerca di andare incontro agli obblighi in-ternazionali previsti, tra gli altri, dal Patto internazionale

L’ANALISI GIURIDICAL’impatto della Direttiva 52/2009/CE sul fenomeno dello sfruttamento lavorativo tra i braccianti agricolia cura di Asgi e Ltpd

66 Con riferimento al mancato tempestivo recepimento della direttiva da parte dell'Italia, deve evidenziarsi come la Commissione europea avesse avviato nel luglio 2011 - dataentro la quale l'Italia avrebbe dovuto conformarsi alle disposizioni comunitarie - una procedura d’infrazione, la n. 0843/2011, contro lo Stato italiano per il mancato tempestivorecepimento della stessa. 67 Art. 9 della direttiva.68 Art. 5 della direttiva.69 Il permesso di soggiorno deve considerarsi rinnovabile e convertibile in permesso di soggiorno per motivi di lavoro.

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sui diritti economici, sociali e culturali della NazioniUnite70, riconoscendo espressamente in capo ai lavora-tori migranti alcuni diritti quali, per esempio, il diritto alleretribuzioni non percepite e ai versamenti previdenziali71,e dall’altro agisce su un fronte diverso, ossia sull’argina-mento del fenomeno della migrazione irregolare rispon-dendo a considerazioni di carattere economico. Ladomanda di forza lavoro fuori dei requisiti amministrativid’ingresso e permanenza regolare nel territorio nazio-nale72, e in generale dei vincoli di legge imposti alla liberacircolazione delle persona, viene vista, infatti, dal legisla-tore europeo come un incentivo alle migrazioni irregolari.

2. D.lgs 109/12, un esaustivo recepi-mento degli strumenti introdotti dalla di-rettiva?

Prima del recepimento della Direttiva 2009/52/CE l’or-dinamento italiano prevedeva già il principale divieto in-trodotto dalla direttiva, quello cioè di impiegare cittadinistranieri il cui soggiorno è irregolare. L’articolo 22, comma12 del Testo Unico Immigrazione stabilisce infatti che l’im-piego di cittadini stranieri in condizione di irregolarità co-stituisca un reato e che sia punito con la reclusione73.

Con il D.lgs 109/12 di recepimento della direttiva, illegislatore del 2012 ha pertanto aggiornato il sopra ci-tato articolo 22, comma 12 del T.U.Imm., con la previ-sione di ipotesi aggravanti nei casi in cui l’impiego di

cittadini stranieri il cui soggiorno è irregolare sia carat-terizzato da particolare sfruttamento74.

Le principali innovazioni introdotte dalD.lgs 109/12 possono così riassumersi: • Il nuovo comma 12-bis introduce delle aggravanti

ad effetto75 speciale nei casi di impiego irregolaredi più di tre lavoratori, di lavoratori minorenni in etànon lavorativa, o nel caso di impiego irregolare ac-compagnato da particolare sfruttamento lavorativo,riconducibile quest’ultimo alle ipotesi di cui all’arti-colo 603-bis del codice penale, terzo comma76.

• Il comma 12-ter introduce in capo al datore di lavoro,una sanzione amministrativa accessoria di tipo pecu-niario77, commisurandola al costo medio di rimpatriodel lavoratore irregolarmente presente sul territorio.

• Il comma 12-quater introduce poi la possibilità – aisensi dell’articolo 13 della direttiva – di rilasciare un per-messo di soggiorno per motivi umanitari (ai sensi del-l’articolo 5, comma 6 del T.U. Imm78), allo straniero cheabbia presentato denuncia di sfruttamento e che coo-peri nel procedimento penale contro il datore di lavoro.

La previsione del rilascio in favore del lavoratore ir-regolare di un permesso di soggiorno per motivi uma-nitari rientra tra le misure volte ad agevolare e

70 Ai sensi dell'art. 7 del Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali delle Nazioni Unite, gli Stati firmatari hanno l’obbligo di rispettare, proteggere e realizzare“il diritto di ogni individuo di godere di giuste e favorevoli condizioni di lavoro”. In particolare, tali condizioni garantirebbero: un equo salario e un’eguale remunerazione per unlavoro di eguale valore; una remunerazione che assicuri a tutti i lavoratori un’esistenza decorosa per essi e per le loro famiglie; la sicurezza e l’igiene sul luogo di lavoro; il riposo,gli svaghi, una ragionevole limitazione delle ore di lavoro, le ferie periodiche retribuite, nonché la remunerazione per i giorni festivi.71 Si veda sul punto la sentenza della Corte di Giustizia nel caso O. Tümer contro Raad van bestuur van het Uitvoeringsinstituut werknemersverzekeringen del 5 novembre 2014.72 L’ingresso in Italia per motivi di lavoro subordinato non stagionale, stagionale e per lavoro autonomo avviene esclusivamente nell’ambito delle quote d’ingresso stabilite conscadenza annuale o triennale dal cosiddetto “decreto flussi”. I visti d’ingresso per motivi di lavoro sono rilasciati entro i limiti di questo contingente numerico. Il rilascio del permessodi soggiorno per motivi di lavoro è subordinato al possesso di un visto d’ingresso per motivi di lavoro in seguito a nulla osta all’assunzione o allo svolgimento dell’attività lavorativarilasciato dello Sportello Unico per l’Immigrazione del territorio dove il lavoratore sarà domiciliato o dove ha luogo la sede di lavoro. Dopo l’ingresso nel territorio nazionale, ilpermesso di soggiorno va richiesto entro otto giorni allo Sportello Unico Immigrazione. Il permesso di soggiorno per lavoro è strettamente collegato alla sussistenza di un impiegoformalmente riconosciuto comunicato dal datore di lavoro all’Inps attraverso il modello Uni Lav.L’esistenza di un contratto di lavoro è la condizione per rinnovare il permesso di soggiorno negli anni successivi. In via generale la normativa prevede che lo straniero, al momentodel rinnovo, debba essere in possesso dei requisiti previsti per l’ingresso.73 Sul punto si veda anche La tutela degli immigrati irregolari vittime di grave sfruttamento in ambito lavorativo. Diritto, Immigrazione e cittadinanza (2010 n.4) Avv. Marco Paggi,Rivista Diritto, immigrazione e cittadinanza.74 Per il reato ex art. 22 comma 12 T.U.Imm è prevista la pena della reclusione da sei mesi a tre anni. La pena è aumentata da un terzo alla metà se il reato è aggravato dallecircostanze di cui al comma 12 bis.75 Sono circostanze ad effetto speciale quelle che comportano un aumento o una diminuzione della pena superiore a un terzo. 76 Reato d’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, terzo comma recita: “Costituiscono aggravante specifica e comportano l'aumento della pena da un terzo alla metà:1) il fatto che il numero di lavoratori reclutati sia superiore a tre; 2) il fatto che uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa; 3) l'aver commesso il fatto esponendoi lavoratori intermediati a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro”.77 In caso di sentenza di condanna per il reato di cui all'art. 22, comma 12 T.U.Imm. 78 La scelta di operare sotto la disciplina del suddetto articolo 5, comma 6, discende dall’esigenza di recepire la disposizione per la quale tali permessi debbono essere “di duratalimitata”, “concessi caso per caso” e “commisurata a quella dei relativi procedimenti nazionali” (cfr. considerando 27 e art. 13, comma 4 della direttiva).

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incentivare la denuncia del datore di lavoro da partedel lavoratore. Si tratta, a ben vedere, di un meccani-smo premiale79 del quale non possono beneficiare tuttii lavoratori irregolarmente presenti sul territorio ma soloquelle categorie di lavoratori irregolari rientranti nellaprevisione normativa di cui all’art. 22, comma 12 bis,ovvero coloro i quali vivono una condizione di partico-lare sfruttamento definita dalla norma attraverso il ri-chiamo di una delle seguenti condizioni: che ilavoratori occupati in numero superiore a tre; che sitratti di i minori in età non lavorativa; che i lavoratorisiano esposti a situazioni di grave pericolo, avuto ri-guardo alle caratteristiche delle prestazioni da svol-gere e delle condizioni di lavoro.

A un esame complessivo del D.lgs. 109/12 di rece-pimento, emergono tuttavia delle significative carenze,in termini di esaustiva trasposizione, che suggeriscono- nella misura in cui si voglia scongiurare la riaperturadella procedura d’infrazione da parte della Commis-sione Europea80 nei confronti dell’Italia - la necessitàdi un ulteriore adeguamento del quadro normativo na-zionale alle disposizioni della Direttiva 2009/52/CE81.

Emergono in particolare le seguenticriticità:

1) Il recepimento delle sanzioni ammini-strative e finanziarie previste dalla direttivain caso d’impiego di lavoratori irregolari èstato parziale.

In caso di violazione degli obblighi, la direttiva pre-vedeva sanzioni amministrative e finanziarie, quali:l’esclusione dal beneficio di prestazioni sovvenzioni eaiuti pubblici (compresi i sussidi agricoli e i fondi del-l’Unione Europea gestiti dagli Stati), il rimborso di taliprestazioni, l’esclusione dalle procedure di appalti pub-

blici, la chiusura temporanea o permanente degli sta-bilimenti in cui ha avuto luogo la violazione, il ritiro tem-poraneo o permanente della licenza d’eserciziodell’attività economica82.

Nessuna di tali misure è stata adottata dal D.lgs.109/12, pur essendo di tutta evidenza l’importanza ditale apparato sanzionatorio per gli scopi dissuasiviespressamente contemplati dalla direttiva83. A oggi,l’ordinamento interno prevede, infatti, soltanto la penaaccessoria84 dell’esclusione dal ricevimento di con-tributi economici pubblici in caso di condanna per ilreato di intermediazione illecita e sfruttamento del la-voro85 o per riduzione e mantenimento in schiavitù oin servitù86- limitatamente ai casi in cui lo sfruttamentoha ad oggetto prestazioni lavorative - e non anche incaso di condanna per il reato di assunzione di citta-dini stranieri in condizione di irregolarità ex art.22co.12 T.U.Imm.

Da notare in ogni caso, come la direttiva non leghil’adozione di tali sanzioni finanziare all’accertamentopenale di un comportamento delittuoso da parte deldatore di lavoro. L’approccio penalistico, che legal’applicabilità della sanzione accessoria di tipo eco-nomico alla condanna penale del datore di lavoro, èuna scelta di politica legislativa interna e non è per-tanto richiesto dalla direttiva che prevede l’applicabi-lità delle sanzioni economiche - efficaci, proporzionatee dissuasive - come conseguenza diretta del sempliceaccertamento dell’assunzione da pare di un datore dilavoro di lavoratori privi di permesso di soggiorno. Innessun caso, inoltre, è previsto nella normativa internail rimborso di agevolazioni, finanziamenti, contributi osussidi già percepiti.

79 Si noti la differenza rispetto alla previsione di cui all'art.18 T.U.Imm che non nasce come strumento a carattere premiale.80 Procedura di infrazione n. 2011/0843 aperta a seguito del mancato tempestivo recepimento della direttiva da parte dell'Italia. 81 Si veda sul punto la posizione di Asgi in Sfruttamento lavorativo dei cittadini stranieri: se il Governo non attua le misure necessarie, ricorreremo all’Ue e il documento IlGoverno compia atti concreti per fare cessare subito la perdurante violazione della direttiva 2009/52/UE sullo sfruttamento lavorativo dei lavoratori stranieri.82 Considerando 18 e art. 7 della direttiva. 83 Si pensi, ad esempio, alla fortissima incidenza delle sovvenzioni e/o agevolazioni pubbliche nell’agricoltura, oppure alla rilevanza dell’interdizione dagli appalti nell’edilizia.84 Art. 603 ter c.p. Pena accessoria: interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche o delle imprese, divieto di concludere contratti di appalto, di cottimo fiduciario, difornitura di opere, beni o servizi riguardanti la pubblica amministrazione e relativi subcontratti, esclusione per un periodo di due anni da agevolazioni, finanziamenti, contributi osussidi da parte dello Stato o di altri enti pubblici, nonché dell'Unione europea, relativi al settore di attività in cui ha avuto luogo lo sfruttamento.85 Art. 603 bis c.p.86 Art. 600 c.p.

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2) Il mancato recepimento della sanziona-bilità dell’appaltante.87

In sede di attuazione della direttiva non sono stateintrodotte nell’ordinamento norme specifiche che con-sentano di considerare responsabile anche l’appaltanteper le sanzioni economiche e amministrative eventual-mente dovute dal datore di lavoro, così come previstodall’art. 8. Secondo i lavori parlamentari, le previsionidella c.d. Legge Biagi88 sarebbero, di per sé, sufficientia soddisfare gli obbiettivi della direttiva. Tuttavia, aisensi dell’ordinamento italiano, è garantita la responsa-bilità solidale del committente imprenditore solo perquanto riguarda il pagamento della retribuzione e dellacontribuzione previdenziale, peraltro solamente entro illimite di due anni dalla cessazione dell’appalto.

Non si recepisce, quindi, la previsione della punibi-lità dell’appaltante mediante sanzioni finanziarie, previ-sione che poteva essere un primo e utile passo per laricostruzione delle responsabilità all’interno della com-plessa filiera produttiva agricola e un’occasione peruscire da una concezione punitiva strettamente pena-listica. Anche in tale caso, infatti, la direttiva, nel preve-dere la sanzionabilità finanziaria dei datori di lavoro cheimpiegano manodopera irregolare, prescinde dall’ac-certamento penale. Come già esposto, ai sensi delladirettiva, per applicare le sanzioni finanziarie non è, in-fatti, necessario che vi sia un accertamento in meritoalla commissione di un reato penale ma è sufficienteche sia accertata l’assunzione di lavoratori irregolar-mente soggiornanti sul territorio89.

3) La non univocità e organicità della defi-nizione di sfruttamento lavorativo nel quadrogiuridico interno e l’incompleto recepimentodella nozione offerta dalla direttiva.

L’articolo 2 lett. i) della direttiva fornisce una defini-zione di “condizioni lavorative di particolare sfrutta-mento”. Secondo il legislatore europeo, infatti, esse siravvisano quando si è di fronte a “condizioni lavorative,incluse quelle risultanti da discriminazione di genere edi altro tipo, in cui vi è una palese sproporzione rispettoalle condizioni di impiego dei lavoratori assunti legal-mente, che incide, ad esempio, sulla salute e sulla si-curezza dei lavoratori ed è contraria alla dignitàumana”. Ciò nonostante, l’art. 22 comma 12 bis lett. c)T.U.Imm., per definire lo sfruttamento lavorativo, rinviaal terzo comma dell’art. 603 bis del codice penale e locristallizza quindi in “situazioni di grave pericolo, avutoriguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svol-gere e delle condizioni di lavoro” (pericolo per lo piùinteso come pericolo per la salute e molto difficile dadimostrare in sede probatoria); ovvero, casi di impiegoirregolare di più di tre lavoratori, o di lavoratori mino-renni in età non lavorativa. Tale circostanza denotachiaramente un recepimento volutamente incompletoe inadeguato90 della direttiva e delinea, altresì, un qua-dro normativo interno del tutto privo di coerenza eorganicità91.

Al fine di garantire una nozione di sfruttamento al-meno coincidente con la nozione prevista dalla direttiva,sarebbe stato sufficiente richiamare, oltre che il commaterzo dell’art.603 bis, anche il comma secondo, ai sensidel quale “costituisce indice di sfruttamento la sussi-stenza di una o più delle seguenti circostanze: 1) la sistematica retribuzione dei lavoratori in modo pa-

87 Considerando 22 e art. 8 direttiva “Dato l’alto numero di subappalti in certi settori interessati, è opportuno garantire che almeno l’appaltante di cui il datore di lavoro è undiretto subappaltatore possa essere considerato responsabile del pagamento di sanzioni finanziarie congiuntamente al datore di lavoro o in sua vece. [...]”.88 Ai sensi dell'art.29 secondo comma Dlgs 276/2003 “In caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l'appaltatore,nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quotedi trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, restando escluso qualsiasiobbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell'inadempimento”.89 Art. 3 della direttiva: Gli Stati membri vietano l’assunzione di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare. Alla violazione di tale divieto si applicano le sanzioni e iprovvedimenti previsti dalla presente direttiva. 90 Una parte della dottrina [Masera] ritiene che ai fini del rilascio del permesso di soggiorno, la nozione di grave sfruttamento possa essere interpretata in senso estensivo comerichiesto dal diritto comunitario e quindi in base all’art. 603 bis co. 2 c.p.: qui l’applicazione diretta della norma comunitaria e la disapplicazione di quella interna produrrebbe effettifavorevoli al destinatario (il lavoratore). Del resto, non pare potersi applicare direttamente l’art. 2 della direttiva, posto che questa non può essere direttamente applicabile dal Giudiceinterno ove determini effetti negativi per il destinatario (reo).91 Si confrontino l’art. 22, co. 12 T.U.Imm, l'art. 12 co. 5 T.U.Imm. e l'art. 603 bis c.p.

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lesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o co-munque sproporzionato rispetto alla quantità e qualitàdel lavoro prestato; 2) la sistematica violazione della nor-mativa relativa all’orario di lavoro, al riposo settimanale,all’aspettativa obbligatoria, alle ferie; 3) la sussistenza diviolazioni della normativa in materia di sicurezza e igienenei luoghi di lavoro, tale da esporre il lavoratore a peri-colo per la salute, la sicurezza o l’incolumità personale;4) la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro,metodi di sorveglianza, o a situazioni alloggiative parti-colarmente degradanti. Così facendo, si sarebbe datopotenzialmente accesso, al meccanismo premiale del ri-lascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari,ad un numero molto maggiore di lavoratori vittime disfruttamento e si sarebbe reso l’onere probatorio menogravoso. Sostanzialmente, quindi, la precisa scelta dipolitica legislativa limita fortemente la concreta applica-bilità del principale elemento innovativo contenuto nellaDirettiva 2009/52/CE92.

4) La mancata previsione di strumenti diassistenza al lavoratore migrante e l’ineffica-cia dei meccanismi di agevolazione delle de-nunce.

L’art.13 della direttiva, impone agli Stati membri diprovvedere “affinché siano disponibili meccanismi effi-caci per consentire ai cittadini di paesi terzi assunti il-legalmente di presentare denuncia nei confronti dei lorodatori di lavoro, sia direttamente che tramite terzi” qualisindacati o associazioni, e ciò anche in funzione del re-cupero delle retribuzioni o delle differenze salariali ma-turate. La normativa nazionale non ha tuttavia previstoalcun meccanismo volto ad agevolare le denunce, alcontrario, dai lavori parlamentari si evince come la pos-sibilità di presentare la denuncia attraverso terzi nonsia stata ritenuta coerente con il sistema penalistico e

sia stata pertanto bocciata. Tuttavia, un’effettiva ed ef-ficace agevolazione delle denunce non può prescin-dere dalla disponibilità di misure di assistenza effettivae prolungata alle vittime di particolare sfruttamentonella presentazione delle denunce e per la durata delprocedimento penale (ad es. previsione di specificipercorsi di protezione sociale), anche in considera-zione dei fondati timori di subire ritorsioni93.

5) La mancata ricezione dell’obbligo d’in-formazione a favore del lavoratore migrantee la difficile attuazione delle attività di con-trollo e ispezione.

La direttiva prevede che gli Stati membri mettano inatto meccanismi in favore dei cittadini di paesi terzi as-sunti illegalmente volti a garantire il pagamento di ogniretribuzione arretrata anche in caso di rimpatrio volon-tario o forzato94. Per rendere effettivo tale diritto, la di-rettiva prevede che i lavoratori stranieri ne siano messia conoscenza con apposite campagne informative, siaper ciò che riguarda il recupero della retribuzione cheper quanto riguarda il rilascio del permesso di sog-giorno nel caso di denuncia e cooperazione nel proce-dimento penale. L’obbligo, in tal senso, non sembraessere stato attuato mancando, ad oggi, sia il decretoapplicativo del Dlgs 109/1295 che qualsiasi altro tipo in-tervento volto all’agevolazione dell’emersione delle vit-time.

La specifica previsione di effettuare ispezioni efficacied adeguate sul territorio in base a scelte mirate dellearee e dei comparti produttivi a maggiore rischio disfruttamento di migranti irregolari non ha inoltre trovatoconcreta applicazione. Ai sensi del considerando 28 e30 della direttiva, ai fini di assicurare ispezioni efficaci eadeguate sul territorio, gli stati membri devono mettere

92 Sul punto si veda anche “Tutela degli immigrati irregolari e contrasto allo sfruttamento lavorativo nel Dlgs 109/2012 di recepimento della Dir 09/52/Ce. Difficoltà diinterpretazione.”, Avv. Marco Paggi, Rivista Diritto, immigrazione e cittadinanza (2010 n. 4). 93 Sul punto si segnala anche il progetto Asgi: Look Out – Observatory for the protection of victims of trafficking.94 Ai sensi dell'art. 6 comma 2 della direttiva, [...]gli Stati membri mettono in atto meccanismi volti a garantire che i cittadini di paesi terzi assunti illegalmente: a) possanopresentare domanda, soggetta ad un termine di prescrizione stabilito dalla legislazione nazionale, e ottenere l’esecuzione di una sentenza nei confronti del datore di lavoro per ogniretribuzione arretrata, anche nei casi di rimpatrio volontario o forzato; o b) ove previsto dalla legislazione nazionale, possano chiedere all’autorità competente dello Stato membrodi avviare le procedure di recupero delle retribuzioni arretrate, senza che il cittadino di un paese terzo debba presentare domanda. I cittadini di paesi terzi assunti illegalmente sonoinformati sistematicamente e oggettivamente circa i loro diritti ai sensi del presente paragrafo e dell’articolo 13 prima dell’esecuzione di qualsiasi decisione di rimpatrio. 95 Ai sensi dell'art. 1 comma3 del Dlgs 109/12, “con decreto di natura non regolamentare dei Ministri dell'interno e del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministerodell'economia e delle finanze da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono determinati le modalità e i termini per garantire ai cittadinistranieri interessati le informazioni di cui all'articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2009/52/CE.”.

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a disposizione risorse umane in numero sufficiente. Idati trasmessi dalla Ministero del Lavoro alla Commis-sione Europea96 non sono ad oggi consultabili97 e i datisulle ispezioni italiane che emergono dalla prima comu-nicazione ufficiale dalla Commissione Europea sull’ap-plicazione della direttiva nei paesi membri98 appaionopoco chiari e poco attendibili. Urge quindi un’implemen-tazione su tutto il territorio nazionale di un piano di ef-fettive e costanti verifiche sulle situazioni lavorative deibraccianti agricoli che prevenga lo sfruttamento, checontrasti effettivamente i datori di lavoro e gli interme-diatori e che favorisca la collaborazione nelle indaginidei lavoratori stranieri sfruttati. In riferimento a moltedelle carenze appena esposte, le commissioni parla-mentari hanno spesso segnalato, in sede di discussionedel progetto di legge, le carenze del provvedimento le-gislativo di recepimento, tuttavia il Governo ha sempresostenuto che l’ordinamento italiano fosse già adeguatoa perseguire gli scopi della direttiva99.

3. I lavoratori migranti nel settore agri-colo e l’ambito di applicazione della di-rettiva

L’ambito di applicazione della Direttiva 2009/52/CEsi evince dal combinato disposto dell’art. 1 e dell’art. 2.lett. b). Ai sensi dell’art. 1 “la presente direttiva vietal’impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è ir-regolare al fine di contrastare l’immigrazione illegale”.Ai sensi dell’art. 2 è irregolare lo straniero “presente nel

territorio di uno Stato membro che non soddisfi o nonsoddisfi più le condizioni di soggiorno o di residenza intale Stato membro”. Solo i migranti provenienti da paesinon europei che siano totalmente privi di titolo di sog-giorno possono quindi appellarsi alla direttiva e allenorme di recepimento.

Come risulta da varie ricerche100, il quadro del lavoronelle campagne è profondamente mutato nel corsodegli ultimi anni in particolare per quel che riguarda lostatus giuridico dei lavoratori impiegati e la loro posi-zione contrattuale. Pochi sono oggi i lavoratori stranieritotalmente privi di titolo a risiedere sul territorio e questospiega, in parte, lo scarso impatto della direttiva nel set-tore agricolo, in quanto essa è, come visto, diretta soloai lavoratori privi di permesso di soggiorno.

Secondo alcune rilevazioni effettuate nel 2005101 neimedesimi territori del Sud Italia, al tempo oltre la metàdei lavoratori non era in possesso di un valido permessodi soggiorno. Tra i braccianti agricoli autorizzati a sog-giornare sul territorio, il 23,4% era in possesso di un per-messo per richiesta protezione internazionale102, il18,9% era in possesso di un permesso di soggiorno peraltri motivi (lavoro, studio, famiglia) e il 6,3% degli inter-vistati era titolare del permesso di soggiorno per asilopolitico o del permesso di soggiorno per motivi umani-tari. Nel 2007, in Campania, addirittura il 92% del cam-pione intervistato risultava essere in condizione di

96 Ai sensi dell'art. 14 della direttiva gli Stati membri sono tenuti a trasmettere alla Commissione Europea entro il 1° Luglio di ogni anno una relazione che riporti il numero ed irisultati di ispezioni effettuate 97 Dal rapporto annuale vigilanza del 2012 della Direzione generale per le attività ispettive del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali - che tuttavia è solo uno degli organidi vigilanza assieme al nucleo tutela lavoro dei Carabinieri, al nucleo ispettivo dell'INPS, alla Guardia di Finanza, alla Polizia di Stato, al nucleo ispettivo dell'INAIL - emerge che sultotale delle aziende ispezionate, pari a n. 243.847, il 63% è risultato essere irregolare. Nel periodo gennaio-dicembre 2012 sono stati trovati al lavoro, nel corso degli accertamentiispettivi, n. 1.601 lavoratori extracomunitari privi del permesso di soggiorno, così ripartiti: n. 622 (industria); n. 544 (terziario); n. 254 (edilizia); n. 181 (agricoltura). Nel 2013 (datirapporto annuale vigilanza 2013 Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali) sul totale delle aziende ispezionate, pari a n. 235.122, il 64,78% è risultato essere irregolare. Nelperiodo gennaio-dicembre 2013 sono stati trovati al lavoro, nel corso degli accertamenti ispettivi, n. 1.091 lavoratori extracomunitari privi del permesso di soggiorno, di cui n. 70nel settore agricolo. Nel 2014 (dati rapporto annuale vigilanza dell’attività di vigilanza in materia di lavoro e legislazione sociale, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali) sultotale delle aziende ispezionate, pari a 221.476, il 64,17% è risultato essere irregolare. Nel periodo gennaio-dicembre 2014, sono stati trovati al lavoro n. 1.018 lavoratori extracomunitariprivi di permesso di soggiorno (in lieve flessione, del - 6,7%, a fronte di n. 1.091 accertati nel 2013), di cui n. 73 nel settore agricolo. In ogni caso, i dati elencati appaiono nelcomplesso incompleti e poco attendibili - se comparati con quanto emerge dalle analisi sul campo delle associazioni di tutela - e piuttosto il frutto di una carenza di attività ispettivae di una ripartizione selettiva dei settori da ispezionare. 98 Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo e al Consiglio del 22.05.14. Si veda anche Asgi Sfruttamento lavorativo dei migranti - Il report della Commissione UE.99 Sul punto si segnalano le osservazione Asgi allo schema di decreto legislativo Osservazioni allo schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2009/52/CE erichiesta di audizione e il documento Asgi: Osservazioni allo schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2009/52/CE che introduce norme minime relative asanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (maggio 2012).100 Lavoro sfruttato due anni dopo, Amnesty International (novembre 2014).101 I frutti dell'ipocrisia, Medici senza Frontiere (2005); campione: 770 persone intervistate. I dati non sono tuttavia completamente confrontabili con i dati della presente ricercaperché il campione non corrisponde ai medesimi criteri.102 Permesso di soggiorno che non permette lo svolgimento di attività lavorativa per i primi sei mesi di rilascio.

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irregolarità sul territorio; l’83% nel Lazio, il 50% in Puglia,il 90% in Calabria, 30% in Basilicata, 80% in Sicilia103.

I dati raccolti nell’ambito del progetto Terragiusta ri-feriscono, al contrario, una situazione sostanzialmentediversa: in Basilicata il 92% dei braccianti agricoli ri-sulta oggi titolare di un permesso di soggiorno. Di que-sti, il 44% è in possesso di un permesso di soggiornoper protezione internazionale, motivi umanitari o per ri-chiesta protezione internazionale; il 30% è in possessodi un permesso di soggiorno per motivi di lavoro su-bordinato. Il 5% e il 4% è titolare rispettivamente di per-messo di soggiorno per motivi familiari o di permessodi soggiorno per soggiornanti di lungo periodo. In Cam-pania i lavoratori agricoli sono titolari di un regolare per-messo di soggiorno nel 67% dei casi. Di questi, il 90%è titolare di un permesso di soggiorno per motivi di la-voro. In Calabria il 77% dei braccianti intervistati daMEDU possiede un regolare permesso di soggiorno dicui il 73% è titolare di un permesso per protezione in-ternazionale o per motivi umanitari. Degli 82 lavoratoriagricoli intervistati nell’area dell’Agro Pontino (Lazio)soltanto un lavoratore è risultato essere privo del per-messo di soggiorno mentre 7 intervistati hanno dichia-rato di essersi avvalsi della sanatoria del 2012 (D.lgs.109/12 art.5) ma di non essere a conoscenza dell’esitodel procedimento amministrativo104.

A questi dati, raccolti tra un campione di lavoratoriprovenienti soprattutto da paesi africani, bisogna poiaggiungere il dato che molti dei lavoratori impiegati inagricoltura provengono da paesi, come la Romania ela Bulgaria che oggi fanno parte dell’Unione Europea,pertanto non hanno più bisogno di un permesso di sog-giorno per fare ingresso e soggiornare in Italia. I datiche risultano dalla ricerca sono, del resto, in linea conla stessa relazione tecnica al decreto legislativo 109

che preannunciava uno scarso impatto della direttivasul quadro italiano. I dati ufficiali, riportati dalla relazionetecnica e forniti dagli ispettorati del lavoro nel 2011,parlano addirittura di un’incidenza di lavoratori privi dipermesso di soggiorno pari all’1,27% sul totale delleposizioni lavorative irregolari. Questo quadro e questatendenza appaiono infine confermati dai dati sulleespulsioni amministrative in costante calo105.

I risultati della ricerca mostrano dunque come il qua-dro normativo sia del tutto incapace di cogliere le tra-sformazioni che hanno investito la composizione dellavoro agricolo negli anni. Dal momento che può riguar-dare solo i lavoratori privi di autorizzazione a risiederesul territorio, la previsione del rilascio di un permessodi soggiorno umanitario alle vittime di grave sfrutta-mento lavorativo che denuncino la propria condizione– recepita dall’art. 22 comma 12 quater T.U.Imm.- nonapporta alcun apprezzabile contributo al contrasto delcomplesso fenomeno dello sfruttamento lavorativo deimigranti. Del resto, analizzando i dati forniti dal Mini-stero dell’Interno circa il numero di permessi di sog-giorno ex art. 22 comma 12 quater T.U.Imm rilasciatidalle Questure italiane a seguito dell’entrate in vigoredel D.lgs. 109/12, appare più che evidente che lo stru-mento non possa, ad oggi, considerarsi efficace.

Il Ministero dell’Interno106 riporta infatti di soli ottopermessi di soggiorno rilasciati nell’anno 2013. Nellospecifico sono stati destinatari di un permesso di sog-giorno ex art. 22 comma 12 quater D.lgs. 186/98 unacittadina albanese, un cittadino cinese, un cittadinoegiziano, quattro cittadini marocchini e un cittadinopakistano. Da notare come soltanto due dei lavoratoriinteressati erano occupati delle zone del centro-sudItalia (Latina e Salerno). Nella stessa direzione vannoi dati relativi al primo semestre del 2014107: sono sol-

103 Una stagione all'inferno, Medici senza Frontiere (2008). I dati non sono tuttavia completamente confrontabili con i dati della presente ricerca perché il campione non corrispondeai medesimi criteri.104 Si noti come in alcuni casi la regolarità amministrativa dichiarata dal migrante in relazione alla propria posizione possa basarsi su una percezione che esso stesso ha del propriostatus giuridico, non sempre corrispondente alla reale situazione amministrativa.105 Nel 2012 sono stati intercettati sul territorio 32.512 stranieri in posizione irregolare (di cui effettivamente espulsi/respinti in frontiera n. 15.232), nel 2013 sono stati intercettatisul territorio 28.024 stranieri in posizione irregolare (di cui effettivamente espulsi/respinti in frontiera n. 14.495), nel primo semestre del 2014 sono stati intercettati sul territorio14.062 stranieri in posizione irregolare (di cui effettivamente espulsi/respinti in frontiera n. 6.663). Dati forniti dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza – Direzione Centraledell'Immigrazione e della Polizia delle Frontiere su richiesta dell'Università degli Studi Roma Tre, Laboratorio di Teoria a Pratica dei Diritti.106 Dati forniti dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza – Direzione Centrale dell'Immigrazione e della Polizia delle Frontiere su richiesta dell'Università degli Studi Roma Tre,Laboratorio di Teoria a Pratica dei Diritti.107 Periodo di rilevazione 01.01.2014 – 31.07.2014.

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tanto due i permessi di soggiorno rilasciati a lavoratoriirregolari vittime di particolare sfruttamento lavorativo(un cittadino del Bangladesh impiegato a Venezia, eun cittadino del Ghana impiegato e Caserta).

Non si tratta di registrare semplicemente il fatto chela direttiva trova applicazione in pochissimi casi, ma didenunciare altresì come il doppio binario della repres-sione penale e della tutela della vittima sulla quale sistruttura il quadro normativo non è in grado di coglierele complessità delle relazioni produttive. Se si guardaper esempio al possesso o meno, da parte dei brac-cianti migranti, di un contratto per il lavoro agricolo, lamaggior parte degli intervistati dichiara che il rapportodi lavoro è stato regolarmente denunciato. Tale percen-tuale ammonta addirittura all’86% degli intervistati nelLazio, al 60% in Campania e al 55% in Basilicata, doveil 21% ha preferito non rispondere alla domanda.

Nella grande maggioranza dei casi, il lavoratore nonha alcuna possibilità di controllo circa il riconoscimentodelle giornate effettivamente lavorate ai fini della con-tribuzione previdenziale e al fine della maturazione deirequisiti per l’indennità di disoccupazione, che risultanoquasi sempre inferiori a quelle effettivamente lavorate,così come gli importi delle buste paga. Il contratto a

chiamata108 consente, infatti, al datore di lavoro di de-nunciare le giornate di lavoro solo in un momento suc-cessivo, espediente che è spesso all’origine di falsedichiarazione o di vere e proprie di truffe.

Inoltre, i braccianti intervistati nell’ambito del progettoTerragiusta hanno riferito un orario medio di lavoro com-preso tra le 7 ore e mezza e le 10 ore giornaliere (a frontedelle 6 ore e mezza giornaliere indicate, ad esempio,dall’art.11 del Contratto Provinciale del Lavoro siglato aPotenza nel 2013); una paga giornaliera inferiore al mi-nimo stabilito dai contratti collettivi provinciali109 e la man-cata fornitura di presidi di sicurezza. In altre parole, lapresenza del contratto non garantisce, di fatto, al lavo-ratore il rispetto delle giuste condizioni di lavoro110 conriferimento ad orario, equo salario, sicurezza sul lavoro,riposo indicate dalla direttiva come termine di raffrontodi una palese sproporzione con quanto assicurato ai la-voratori nazionali. Tali condizioni, tuttavia, non riguardanoper l’appunto solo i lavoratori privi di permesso di sog-giorno ma anche i lavoratori regolarmente soggiornantie finanche i cittadini comunitari con contratto di lavoroche non trovano comunque tutela. Sono infine da denun-ciare le molteplici condizioni ambientali di grande diffi-coltà dei lavoratori, imputabili alla mancanza di struttureabitative adeguate, all’isolamento sociale. Tali situazioni

108 Il contratto a chiamata è una forma contrattuale diffusa in agricoltura e consiste in un contratto di lavoro subordinato con il quale il lavoratore si mette a disposizione del datoredi lavoro per svolgere prestazioni di carattere discontinuo o intermittente, individuate dalla contrattazione collettiva nazionale o territoriale, ovvero per periodi predeterminati nell'arcodella settimana, del mese o dell'anno. Nel contratto a chiamata senza indennità di disponibilità il datore di lavoro non è obbligato né ad assumere il lavoratore, né a corrisponderglialcuna somma per compensare la sua disponibilità. La formale stipula del contratto di lavoro a chiamata non determina effetti obbligatori fra le parti, il vero momento perfezionativodel contratto di lavoro è rinviato ad un momento successivo ed eventuale, quello in cui il datore di lavoro effettuerà la chiamata (proposta) ed il lavoratore risponderà positivamente(accettazione) svolgendo la prestazione come avviene in un normale rapporto di lavoro subordinato. Si noti che anche l'obbligo di registrazione del lavoratore nel Libro unico delLavoro e ovviamente l’obbligo di corrispondere la retribuzione ed i conseguenti obblighi assicurativi e previdenziali, nascono solo dalla prestazione lavorativa a seguito di chiamatae non dalla sottoscrizione del contratto. Alla luce delle considerazioni che precedono, tanto l’obbligo di comunicare l’instaurazione del rapporto di lavoro (comunicazione di assunzione)al Centro per l’impiego competente, quanto l’obbligo d’informare il lavoratore degli elementi minimi del rapporto, non possono essere assolti se non dopo che sia sorta effettivamentel’obbligazione contrattuale tra le parti. Con la circolare n. 4 del 2005 il Ministero del Lavoro ha precisato che il datore di lavoro è tenuto a un’unica comunicazione preventiva on-line, mediante il normale modello UniLav, in occasione della stipula del contratto iniziale. Pertanto quello della comunicazione preventiva, senza l’indicazione dei giorni in cui sieffettuerà la prestazione né della durata oraria, risulta l’unico vero obbligo giuridico per il datore di lavoro stipulante che ancora non abbia effettuato “la chiamata”. Il datore di lavoro,una volta effettuata “una tantum” la comunicazione, può omettere, del tutto o parzialmente, di registrare e conseguentemente denunciare all’INPS le giornate effettivamente svolte dallavoratore a chiamata con l’intenzione di evadere i relativi contributi. In caso d’ispezione del personale di vigilanza che accerti le effettive giornate di lavoro, se non è ancora scadutoil termine per la denuncia delle retribuzioni all’INPS di fatto non ci sarà alcuna sanzione. Si aggiunga che al lavoratore, il quale volesse ottenere giudizialmente il riconoscimentodelle sue spettanze economiche e previdenziali relative al rapporto di lavoro intermittente, non basterebbe la prova della sussistenza del contratto di lavoro e della sua disponibilitàa prestare l’attività a favore della controparte, ma dovrebbe dimostrare ogni singola prestazione “a chiamata”, in quanto dalla semplice stipula del contratto non deriverebbe alcundiritto alla retribuzione.109 Dai dati raccolti nella presente ricerca, si evince come la paga giornaliera del migrante bracciante agricolo possa variare, nei diversi territori del Mezzogiorno, da un minimo di25 euro giornalieri (registrati in Calabria) a un massimo di 36 euro giornalieri (registrati in Basilicata) se considerato il pagamento a giornata o a ore – mentre la retribuzionegiornaliera arriva a raggiungere anche gli 86 euro giornalieri se il sistema di retribuzione è quello del cottimo. In tal caso il bracciante è retribuito “a cassone”. Ai sensi dell'art. 7 delContratto Provinciale del Lavoro siglato da tutte le sigle sindacali dei datori di lavoro e dei braccianti agricoli nel 2013 a Potenza, “al fine di evitare lo sfruttamento dei lavoratori,soprattutto extracomunitari ed il fenomeno del caporalato”, la paga deve essere di 38,82 euro giornaliere dal 1 gennaio 2013 e di 39,67 euro giornaliere a partire dal 1 gennaio 2014.Benché nel caso specifico del lavoro prestato a cottimo la retribuzione giornaliera non risulti essere inferiore al minimo stabilito dalla contrattazione collettiva - stante la grandecapacità produttiva della maggioranza della manodopera migrante -, le condizioni globali di lavoro restano molto critiche, in particolare se tenuto conto delle ingenti percentuali didenaro trattenute dal caporale.110 Si veda art. 7 Patto internazionale diritti economici, sociali e culturali Nazioni Unite.

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sono difficilmente inquadrabili all’interno degli schemidelittuosi previsti dal quadro normativo e andrebberopiuttosto affrontate attraverso politiche sociali di medioe lungo periodo, fuoriuscendo dall’ottica emergenzialeall’interno della quale continuano a muoversi le istituzionilocali e nazionali.

Più che di un’alternativa tra lavoro regolare e lavoronero, il settore agricolo sembra dunque caratterizzatoda un’ampia zona di lavoro grigio, sia per quanto ri-guarda la posizione contrattuale dei lavoratori che perla loro condizione giuridica, sempre più stratificata. Talesituazione non è facilmente inquadrabile dagli strumentiprevisti dall’ordinamento, al punto che spesso sem-brano prevalere risposte istituzionali ad hoc. È quantoaccaduto, per esempio, in seguito alla rivolta di Rosarnodel 2010 e alle vertenze che ne sono seguite, volte allaregolarizzazione dei braccianti migranti impiegati nelterritorio calabrese e privi di un regolare titolo di sog-giorno111. Nella motivazione della CommissioneTerritoriale per il riconoscimento della protezioneinternazionale di Crotone si legge:“[...]si ravvisano gliestremi per la trasmissione degli atti al Questore per ilrilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitariex art. 5 comma 6 D.lgs 286/98 posta la condizione divulnerabilità dell’istante scaturita dal vissuto traumaticoe dalle condizioni di forte disagio determinati da quantosuccesso a Rosarno negli ultimi anni”112. Dai dati riferitidalla stessa Commissione Territoriale nell’ambito delprogetto Terragiusta, tra il 2012 e il 2013 sono stati rila-sciati 460 provvedimenti motivati in questo modo.

È chiaro come una motivazione quale quella ripor-tata113, segnali l’esigenza di mettere in campo rispostediverse da quelle previste dall’ordinamento centrate sullarepressione penale dei reati di riduzione in schiavitù esfruttamento lavorativo (cui agli artt. 600114 e 603 bis115)

e su una tutela dei lavoratori solo eventuale e comunquesubordinata al fatto di essere vittima di un reato.

4. Conclusioni Nonostante le profonde trasformazioni che hanno

investito l’agricoltura negli ultimi decenni, e in partico-lare la progressiva sostituzione della manodopera na-zionale con manodopera migrante proveniente sia dapaesi europei che extraeuropei, il settore agricolo nonè stato oggetto d’interventi specifici di politica socialeo di politica del lavoro. La fase di reclutamento dellamanodopera è stata delegata alla politica dei flussi che,poco efficacie anche in condizioni ordinarie, è stata difatto travolta dalla crisi economica e dalle crisi politicheinternazionali degli ultimi anni. Il fabbisogno di mano-dopera, anche stagionale, è coperto solo in parte dagliingressi attraverso i flussi mentre viene soddisfatto so-prattutto dai cittadini di paesi di nuovo ingresso in Eu-ropa, che hanno più facilità di movimento e, in misuracrescente, da richiedenti asilo, titolari di protezione in-ternazionale, titolari di permessi umanitari e così via. Ilprogetto Terragiusta ha messo in luce, da un lato, lacrescente stratificazione e diversità di condizione giu-ridica dei lavoratori migranti impiegati nel settore agri-colo, dall’altro, come le condizioni di sfruttamento e dimaggiore vulnerabilità non riguardino solo i lavoratoriprivi di permesso di soggiorno, ma anche quelli assuntisul presupposto di un’autorizzazione a risiedere sul ter-ritorio e di un contratto lavorativo, nonché gli stessi cit-tadini europei provenienti dai paesi di nuovo ingressocome la Romania e la Bulgaria.

In questo quadro, l’impatto della direttiva 52/2009/CEsul settore del lavoro agricolo appare del tutto trascura-bile. L’impianto ambivalente della direttiva, il cui scopoè, come già ripetuto, il contrasto dell’immigrazione ir-regolare e non dello sfruttamento lavorativo, risulta

111 La vertenza ha coinvolto circa duecento migranti allontanati dalla piana di Gioia Tauro dalle forze dell'ordine, ed ha rivendicato per gli stessi un processo di emersionedall’irregolarità amministrativa, per le gravi violenze subite prima e durante gli scontri e per le gravi violazioni che determinavano la vita lavorativa e sociale dei migranti impiegatiannualmente nella raccolta degli agrumi. 112 Commissione di Crotone decisione dell’08.08.2012.113 Le associazioni coinvolte nella vertenza riportano di circa 150 permessi di soggiorno rilasciati in una prima fase (aprile 2011) dalle Commissioni territoriali di Roma, Casertae Reggio Calabria e di oltre 2000 permessi di soggiorno rilasciati in una seconda fase (giugno 2012) dalle Commissioni territoriali di Caserta e Crotone. Il Laboratorio di Teoria ePratica dei Diritti dell'Università di Roma Tre ha inoltrato formale richiesta alle Commissioni territoriali di Crotone e Caserta per conoscere il numero dei permessi di soggiornorilasciati ai lavoratori impiegati nel settore agricolo e motivati dalla "particolare vulnerabilità" dovuta alle condizioni presenti in zone quali Rosarno. Ad oggi è pervenuta rispostaufficiale solo dalla Commissione territoriale di Crotone che riporta di 460 provvedimenti rilasciati tra il 2012 e il 2013.114 Reato di Riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù.115 Reato d’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.

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ancor più indebolito nella sua trasposizione italiana,che riproduce e cristallizza il doppio binario della re-pressione penale e della tutela della vittima. Si è persacosì l’occasione di recepire i pur limitati strumenti a ca-rattere innovativo previsti dalla direttiva, come le san-zioni di natura finanziaria e amministrativa rivolte,altresì, alla ricostruzione della filiera produttiva, con laprevisione della corresponsabilità dei committenti, o imeccanismi che facilitino il recupero delle retribuzioninon corrisposte.

Le tutela dei diritti dei lavoratori del settore agricolo,visti nella complessità delle relazioni produttive, - checerto non è una priorità del legislatore europeo - risultaancora più indebolita se si guarda al quadro nazionaledove rari e poco efficaci sono stati gli interventi legisla-tivi specifici nell’arco degli ultimi decenni. Il venir menodi ogni filtro rispetto all’incontro tra domanda e offertadi lavoro, a seguito dell’abolizione del collocamentopubblico, ha lasciato il posto, nella prassi, a compor-tamenti illeciti diffusi. L’introduzione nel 2011 del reatodi “Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”,non ha peraltro sortito grandi effetti. La previsione dialte pene edittali116, nonché la difficoltà a costruire ilquadro probatorio117, escludono infatti che lo strumentopenale sia adeguato a colpire comportamenti illeciti dif-fusi che spesso si muovono sul confine tra legalità e il-legalità. Inoltre, dal momento che il reato colpiscesoltanto chi si occupa dell’intermediazione e dell’orga-nizzazione della manodopera, esso finisce per essereuno schermo per gli altri attori della catena produttiva,a partire dagli stessi datori di lavoro, che invece bene-ficiano dei vantaggi economici prodotti dalle condizionidi assoggettamento dei lavoratori.

La condizione di debolezza giuridica e sostanzialein cui in molti casi versa il lavoratore è determinata dauna serie di fattori complessi che non sono semplicisti-camente riconducibili alla mancanza di permesso di

soggiorno o alla condizione di parte lesa di un compor-tamento delittuoso. Tra le ragioni di vulnerabilità rien-trano sicuramente: la generale difficoltà di un regolareaccesso al mercato del lavoro, stante il fallimentare si-stema dei flussi, e la precarietà del titolo di soggiornoconcepito come interconnesso con il contratto di la-voro; la difficile rinnovabilità dei permessi di soggiornoo la convertibilità dei permessi umanitari in permessidi lavoro, stante le caratteristiche dei contratti di lavoroagricolo a chiamata; la difficoltà di accesso all’iscri-zione anagrafica nei territori di lavoro, in particolare, peri lavoratori titolari di permessi di soggiorno per prote-zione internazionale o umanitaria e la conseguentemancanza di accesso ai servizi sociali e di sostegno118;la pressoché totale mancanza di campagne informativecirca i diritti (retributivi, previdenziali, permesso di sog-giorno ex art. 18 D ed ex art. 22, comma 12 quater) dellavoratore migrante anche privo di permesso di sog-giorno; la carenza strutturale di servizi pubblici di basequali, ad esempio, il servizio di trasporto nelle zone dimaggiore concentrazione di lavoro e i servizi di assi-stenza medica; l’inadeguato e insufficiente interventoispettivo, in particolare con riferimento al controllo dellaeffettiva regolarità e dell’effettivo rispetto dei contratti;la mancanza di politiche abitative specificamente ri-volte ai lavoratori stagionali; l’impossibilità di richiedereil rimborso della contribuzione versata in caso di rientronel paese di origine (introdotta con la c.d. Bossi/Fini); ildivieto di svolgere attività lavorativa nel corso dei primisei mesi dalla presentazione della domanda di prote-zione internazionale.

Alla luce di quanto esposto, appare necessarioconcentrare gli interventi su riforme legislative chepermettano l’introduzione di strumenti specificamenteindirizzati al rafforzamento della posizione giuridica esociale del lavoratore agricolo. In primo luogo, stru-menti che incentivino i lavoratori provenienti sia dapaesi europei che extraeuropei a richiedere e ottenere

116 Pena della reclusione da cinque a otto anni per il reato di cui all'art. 603 bis c.p. 117 L'art. 603-bis prevede in primo luogo lo svolgimento di un’attività organizzata d’intermediazione caratterizzata dallo sfruttamento dei lavoratori mediante violenza, minaccia ointimidazione. La condotta per essere sanzionata deve essere caratterizzata da un’attività con una qualche organizzazione di mezzi o di persone, non bastando un isolato episodio disfruttamento posto in essere senza un minimo di organizzazione. Inoltre, l’attività d’intermediazione, per costituire reato, deve essere caratterizzata dallo sfruttamento dei lavoratoried è necessaria anche l’ulteriore condizione dell’uso della violenza, della minaccia o dell’intimidazione da parte dell’autore del reato. Deve inoltre sussistere l'elementodell’approffittamento dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori e la consapevole volontà da parte dell'autore del reato di approfittare di una condizione di debolezza omancanza materiale o morale del soggetto passivo.118 Si veda sul punto il documento Asgi: Linee guida sul diritto alla residenza dei richiedenti e beneficiari di protezione internazionale.

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la stipula di contratti più tutelanti e il versamento fe-dele dei contributi previdenziali. Ciò permetterebbe allavoratore di accedere più facilmente al rinnovo delpermesso di soggiorno, all’indennità di disoccupa-zione, alla fruizione del sistema previdenziale e al col-locamento lavorativo senza soggiacere ai ricattidell’organizzazione produttiva. Inoltre, appare neces-sario investire le istituzioni locali di obblighi rigorosi intema di politiche abitative e di accoglienza, per supe-rare le emergenze abitative e l’isolamento sociale.

Sul piano delle raccomandazioni, sarebbe riduttivolimitarsi a interventi correttivi del recepimento della di-rettiva 52/2009/CE, mentre appare opportuno dotarsi distrumenti e politiche di settore che agiscano lungo leseguenti direttrici:

• Rispetto al quadro sanzionatorio, sarebbe opportunolimitare le sanzioni penali riservandole ai casi più gravidʼimpiego di manodopera irregolare che integrano losfruttamento lavorativo secondo gli indici dellʼart. 603comma 2 c.p., estendendo, al contempo, per questicasi la punibilità prevista per lʼintermediazione illecitae lo sfruttamento di manodopera anche allʼimpiego di-retto da parte del datore di lavoro. In luogo delle san-zioni penali contro l’impiego di manodopera priva dipermesso di soggiorno, sarebbe auspicabile raffor-zare le sanzioni amministrative e finanziarie e allargarela possibilità di comminarle alla pluralità di soggettidatoriali che compongono la filiera produttiva, in par-ticolare, prevedendo una responsabilità solidale delleaziende committenti quando risulti rilevante il loro con-tributo rispetto all’organizzazione della produzioneagricola. Inoltre, il quadro sanzionatorio può essereefficace solo a fronte di un’intensificata attività ispet-tiva, in particolare nei territori di maggiore concentra-zione di manodopera stagionale. Tale attivitàdovrebbe essere affiancata da specifici e più efficientimeccanismi di controllo dei contratti a chiamata, non-ché da strumenti semplici che consentano lavoratoridi comunicare il totale delle giornate lavorative effet-tuate presso uno stesso datore di lavoro.

• Il quadro sanzionatorio dovrebbe essere bilanciatoda meccanismi volti a rafforzare la posizione giuri-dica dei lavoratori sia rispetto al diritto di risiedere sul

territorio nazionale sia rispetto al rapporto di lavoro.In particolare sarebbe opportuno svincolare il rila-scio del permesso di soggiorno per motivi umanitari(ex art. 22 comma 12 quater Dlgs 286/98) dal pro-cedimento penale, prevedendo il rilascio dellostesso al verificarsi degli indici di sfruttamento elen-cati nell’art. 603 comma 2 c.p. Inoltre, sarebbe au-spicabile estendere la possibilità di richiedere talepermesso di soggiorno anche a coloro che siano inpossesso di altri titoli di soggiorno non rilasciati perattività lavorativa (ad es. visto per turismo, permessodi soggiorno per richiesta protezione internazio-nale). Al fine di agevolare e incentivare l’emersionedal lavoro nero, sarebbe auspicabile prevedere vieefficaci e rapide per il recupero delle retribuzioni,nonché una modalità facilitata per il lavoratore di re-gistrare le giornate di lavoro effettivamente svolte.Contestualmente, si dovrebbero promuovere dellecampagne informative sui vantaggi derivanti dalversamento dei contributi previdenziali anche sulversante del riconoscimento dell’indennità di disoc-cupazione, estendendo la possibilità di cumulo deiversamenti previdenziali con il trattamento pensio-nistico del proprio paese di origine e abrogando ildivieto sancito dalla Legge Bossi-Fini circa la pos-sibilità di rimborso dei contributi versati in Italia. Sa-rebbe poi necessario prevedere meccanismi diflessibilità che facilitino il rilascio e il rinnovo del per-messo di soggiorno anche con i contratti del settoreagricolo, caratterizzati dalla stagionalità e dall’inter-mittenza delle prestazioni. Infine, si segnala l’oppor-tunità di abrogare il divieto di svolgere attivitàlavorativa nei primi sei mesi dalla presentazionedella domanda di protezione internazionale.

• Rispetto allʼaccesso ai servizi erogati dagli enti locali,è senza dubbio prioritario affrontare la mancanza dipolitiche abitative specificamente rivolte ai lavoratoristagionali, questione alla quale fino ad oggi è statariservata una gestione emergenziale (tendopoli,centri di accoglienza) e che invece dovrebbe rien-trare a pieno tra le politiche sociali e del lavoro. Intale direzione, sarebbe auspicabile il coinvolgi-mento degli enti locali, dei datori di lavoro e delleaziende della filiera produttiva nel finanziamentodell’alloggio e del trasporto dei lavoratori stagionali

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per tutta la durata della stagione di semina o rac-colta. Una delle conseguenze dell’approccio emer-genziale con cui è stata affrontata la questioneabitativa, è il mancato accesso da parte di un grannumero di lavoratori migranti all’iscrizione anagra-fica nei comuni di raccolta e la conseguente impos-sibilità di accedere ai servizi di sostegno disponibili.A tal fine, sarebbe auspicabile agevolare i lavoratoriagricoli nella procedura di elezione di domicilio tem-poraneo presso l’anagrafe del luogo di lavoro, conil correlato riconoscimento dei diritti sociali e senzamodificare la competenza territoriale della Questuraai fini del rinnovo del permesso di soggiorno.

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L'Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione (ASGI) riunisce avvocati, docenti universitari, ope-ratori del diritto e giuristi uniti dal 1990 per promuovere la formazione e lo studio dei problemi di caratteregiuridico attinenti all'immigrazione, alla condizione dello straniero, dell'apolide e del rifugiato e alla disciplinadella cittadinanza nell'ordinamento italiano ed europeo, oltre che per informare e assistere i cittadini stranierinell'affermazione e tutela dei diritti fondamentali.

La Clinica del Diritto dell’Immigrazione e della Cittadinanza della facoltà di Giurisprudenza dell’UniversitàRoma Tre (Ltpd) assiste i migranti e i richiedenti asilo nella conoscenza dei propri diritti e nel potenziamentodella loro la tutela, offrendo loro un’assistenza qualificata. Inoltre, il progetto fornisce agli studenti di giuri-sprudenza un’occasione di formazione altamente qualificata e la possibilità di accrescere e implementarele proprie conoscenze pratiche e teoriche sulla legislazione dell’immigrazione e dell’asilo.

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RISPETTO DEI TERMINI DI RECEPIMENTOSin dalla sua adozione la Direttiva 2009/52/CE non è stata accolta dagli Stati membri con entusiasmo. Il termine per ilrecepimento nel quadro legislativo nazionale, fissato al 20 luglio 2011, non è stato infatti rispettato da ben 20 Stati su27 (Austria, Belgio, Bulgaria, Repubblica Ceca, Grecia, Francia, Italia, Cipro, Lussemburgo, Ungheria, Malta, PaesiBassi, Polonia, Portogallo, Romania, Slovenia, Finlandia e Svezia). Il Lussemburgo, insieme all’Italia, ha previsto unperiodo di transizione, durante il quale i datori di lavoro hanno avuto la possibilità di sanare situazioni illegali e rego-larizzare rapporti di lavoro in corso attraverso il pagamento di una sanzione e l’adempimento di alcune condizionifissate dai rispettivi ordinamenti.

AMBITO DI APPLICAZIONEAlcuni Stati (Germania, Grecia, Finlandia, Francia, Malta, Romania e Svezia) hanno scelto di escludere dal divieto di as-sunzione “i cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare e il cui allontanamento è stato differito e che sono autorizzatia lavorare conformemente alla legislazione nazionale”. Altri Stati Membri, al contrario, hanno esteso il divieto ai cittadinidi paesi terzi il cui permesso di soggiorno non permette di svolgere attività lavorativa (Austria, Belgio, Repubblica Ceca,Germania, Estonia, Francia, Finlandia, Ungheria, Lituania, Malta, Romania e Svezia).

INTRODUZIONE DEL REATO PENALEMentre in alcuni Stati (Italia, Belgio, Francia, Finlandia, Italia, Malta, Olanda e Svezia) l’impiego di manodopera irrego-larmente presente sul territorio costituisce di per sé un illecito penale, in altri Stati è necessaria la presenza di almenouna delle circostanze elencate all’art.9 (altrimenti considerate come aggravanti del reato) perché si configuri un illecitopenale. Alcuni Stati hanno poi operato alcune esclusioni delle fattispecie di reato previste ex art.9 co.1 lett. a)-e). In Re-pubblica Ceca, Spagna e Lituania, per esempio, non sono sanzionate le “condizioni di lavoro caratterizzate da particolaresfruttamento” (lett. c), mentre in Romania non è prevista la punibilità nel caso in cui il datore di lavoro sia consapevoleche il lavoratore impiegato è vittima di tratta (lett. d).

PERMESSO DI SOGGIORNO TEMPORANEO DI NATURA PREMIALEDieci Stati (Austria, Germania, Grecia, Spagna, Ungheria, Italia, Lussemburgo, Svezia, Slovenia e Slovacchia) prevedonoil rilascio di un permesso di soggiorno temporaneo.

SANZIONI AMMINISTRATIVENon tutte le sanzioni amministrativa di natura economica sono state ugualmente inserite nelle legislazioni nazionali.Alcuni stati, come il Belgio, la Grecia, la Finlandia e l’Italia, hanno optato, per lo più, per un recepimento parziale dellesanzioni amministrative. Al contrario, Austria, Cipro e Slovacchia hanno recepito tutte le tipologie di sanzioni previstedall’art.7 e aggiunto la possibilità di redigere in forma pubblica una lista dei datori di lavoro condannati per la violazionedi una delle fattispecie in elenco all’art.9.

RECUPERO DELLE RETRIBUZIONI NON CORRISPOSTEAd eccezione di Malta, Lussemburgo e Paesi Bassi, tutti gli Stati si sono dotati di meccanismi in grado di facilitare latutela dei diritti del lavoratore, non tutti hanno tuttavia previsto la possibilità che associazioni o sindacati possanoagire in rappresentanza o in supporto del cittadino straniero nei procedimenti civili o amministrativi. Si distinguonoper la reale volontà di semplificare la burocrazia e di facilitare la realizzazione di tale previsione legislativa, la Francia,la Grecia e il Belgio. In particolare, la Francia ha espressamente demandato il compito di riscuotere la retribuzioneeventualmente non corrisposta ad uno specifico ufficio della pubblica amministrazione (Office Français pour l’Immi-gration et l’Integration).

OBBLIGO DI ISPEZIONI EFFICACI ED ADEGUATENon tutti gli Stati si sono attivati per adempiere l’obbligo delle ispezioni, infatti nel 2013, solo nove Stati membri hannofatto pervenire, in tempo utile, alla Commissione Europea le relazioni sul numero delle ispezioni effettuate (Finlandia,Francia, Ungheria, Lituania, Lettonia, Polonia, Romania, Repubblica Slovacca, Repubblica Slovena), con conseguentiprocedimenti di (pre)infrazione nei confronti degli Stati inadempienti. Nonostante l’adempimento tardivo dei governi, idati raccolti sono spesso incompleti e basati su differenti metodi di acquisizione il che limita notevolmente la possibilitàdi comparazione e analisi dei risultati.

Il recepimento della direttiva 2009/52/CE negli Stati membri

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Basilicata. Un lavoratore attende il furgone che lo riporterà nel casolare abbandonato dove vive (Medu/settembre 2014)

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Il 25 agosto 1989, Jerry Masslo, rifugiato sudafri-cano, veniva assassinato a Villa Literno all’interno in uncasolare fatiscente dove viveva con altri braccianti. Vit-tima, prima di tutto, di un clima di profonda discrimina-zione, Masslo si trovava in Campania per lavorare allaraccolta del pomodoro, portata avanti da migliaia di mi-granti in condizioni disumane. L’opinione pubblica ita-liana scopriva quanto fossero gravi le privazioni deidiritti più elementari per molti nuovi immigrati.

Un quarto di secolo dopo, questo rapporto, frutto diundici mesi d’intervento in cinque territori particolar-mente significativi del Meridione d’Italia, non può checonfermare la drammatica attualità delle condizioni disfruttamento dei lavoratori migranti inagricoltura. In effetti, nessun cambia-mento sostanziale sembra esserematurato, nonostante la questionedelle condizioni di vita e di lavoro deibraccianti immigrati, affacciatasi al-l’attenzione nazionale già negli anniNovanta, abbia assunto una cre-scente rilevanza nel corso degli ultimiquindici anni. Un problema certa-mente complesso, che attraversa tra-sversalmente nodi differenti, dai piùprofondi a quelli più recenti. Una“terra ingiusta”, dunque, che affondale sue radici in una questione meridionale mai risolta.A questo proposito ci sembra opportuno segnalare al-meno tre livelli di analisi, legati tra loro - almeno in parte- da una relazione di causa-effetto, riguardanti in primoluogo una questione socio-economica e culturale, inseconda istanza, l’arretratezza del comparto agricoloe, infine, le condizioni di accoglienza e di lavoro deibraccianti immigrati.

Le problematiche socio-economiche e culturali nonsolo sono le più radicate e quelle che richiedono mag-giori sforzi e tempi più lunghi di cambiamento ma co-stituiscono anche l’humus su cui si innestano le altrequestioni e senza una modificazione delle quali ognipretesa di trasformazione rischia di dimostrarsi irreali-

stica. Tali problemi riguardano tra l’altro il mancato svi-luppo economico, l’inefficienza della pubblica ammini-strazione e il fenomeno della corruzione, il distacco trai cittadini e la cosa pubblica, l’illegalità diffusa, l’infiltra-zione nefasta della criminalità organizzata e della suacultura nei gangli vitali della convivenza civile.

Nel quadro descritto si inserisce la grave arretratezzadel comparto agricolo riscontrata in alcuni territori. Unmodello di agricoltura che in alcuni casi è rimasto indie-tro di mezzo secolo, che rende fragile l’intero sistemaeconomico e non è in grado di misurarsi con la compe-tizione globale, sempre più dominata dalle aziende mul-tinazionali e dal sistema della grande distribuzione. Un

sistema che per sopravvivere nontrova altra alternativa se non quella discaricare le sue inefficienze sull’anellodebole della catena: i braccianti – so-prattutto lavoratori immigrati – e i pic-coli produttori.

Le drammatiche condizioni di ac-coglienza e di lavoro dei bracciantiimmigrati rappresentano, spesso, illogico corollario delle due questioniappena menzionate. Condizioni chesignificano sfruttamento lavorativo egravi violazioni dei diritti fondamentali

di persone che con le loro braccia sostengono interisettori dell’agricoltura italiana.

L’insieme di questi problemi è stato riscontrato nellagran parte dei territori visitati anche se con caratteristi-che non omogenee. Certamente l’agricoltura dellaPiana del Sele, con prodotti di eccellenza e un’econo-mia in espansione, non è paragonabile all’agrumicol-tura della Piana di Gioia Tauro, ormai da anni inprofonda crisi anche a causa di una pesante arretra-tezza produttiva ed organizzativa. È certo però che inentrambi i casi emerge in modo evidente il fenomenodello sfruttamento, anche se in ciascun territorio conspecifiche peculiarità.

CONCLUSIONI E RACCOMANDAZIONI

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Nei territori caratterizzati da forti flussi stagionali

di braccianti, le condizioniabitative ed igienico-

sanitarie sono apparseassai gravi senza alcunsensibile miglioramento

rispetto agli anni precedenti

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Venendo agli aspetti specifici dell’indagine, nei terri-tori caratterizzati da forti flussi stagionali di braccianticome la Piana di Gioia Tauro, il Vulture Alto Bradano e laCapitanata, le condizioni abitative ed igienico-sanitariesono apparse assai gravi senza alcun sensibile miglio-ramento rispetto agli anni precedenti. Baraccopoli e ca-solari fatiscenti rappresentano ancora oggi il drammaticoquadro da “crisi umanitaria” che segna il paesaggio diqueste campagne. In particolare in Calabria, il 79% deimigranti assistiti alloggiava in insediamenti precari prividi qualsiasi servizio mentre in Basilicata viveva in questecondizioni addirittura il 98% dei braccianti.

In tutti i territori, la gran parte deilavoratori stranieri assistiti dal team diMedu era in possesso di un regolarepermesso di soggiorno: per motivi dilavoro nelle aree a maggior presenzastanziale come la Campania e ilLazio, per protezione internazionale omotivi umanitari nei contesti con maggior flusso stagio-nale come la Calabria oppure ancora con caratteristi-che miste in Basilicata. La presenza di lavoratoristranieri in condizioni d’irregolarità è risultata netta-mente inferiore rispetto a quanto rilevato da ricerche

effettuate negli anni passati119: trascurabile nell’AgroPontino e nel Vulture Alto Bradano e ridotta a non piùdi un quarto dei migranti assistiti nella Piana del Sele enella Piana di Gioia Tauro.

Il fenomeno del lavoro nero è apparso in tutta la suanegativa rilevanza nella Piana di Gioia Tauro, dove l’83%dei migranti incontrati dagli operatori di Medu lavoravasenza contratto e dove il comparto agrumicolo appareparticolarmente fragile e frammentato dal momento chel’80% dei produttori non possiede più di due ettari di ter-reno. Tuttavia anche negli altri territori dove i lavoratori con

contratto sono risultati essere la mag-gioranza – circa i due terzi nella Pianadel Sele e nel Vulture Alto Bradano equasi il 90% nell’Agro Pontino – sonostate rilevate diffuse irregolarità contri-butive e salariali. In altre parole, la pre-senza di un contratto non rappresentaaffatto per il migrante la garanzia di un

equo rapporto di lavoro. In particolare in tutti i contesti icontributi dichiarati sono risultati, nella maggior parte deicasi, nettamente inferiori al numero di giornate lavorativeeffettivamente svolte. Anche il salario, sia in presenza dicontratto sia di lavoro nero, è risultato nettamente ridotto

La presenza di un contrattonon rappresenta affatto per

il migrante la garanzia di un equo rapporto di lavoro

119 Una stagione all’inferno, Medici Senza Frontiere (2008).

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Calabria. Un casolare abbandonato nel comune di Taurianova (Medu/marzo 2014)

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rispetto ai minimi giornalieri garantiti dal contratto nazio-nale e dai contratti provinciali di lavoro. Nella Piana diGioia Tauro, ad esempio, a fronte di una paga minimagiornaliera di 42 euro lordi prevista dal contratto provin-ciale, i lavoratori hanno dichiarato in media di percepire25 euro al giorno. Nella Piana del Sele, la paga mediagiornaliera è risultata essere di 32 euro mentre il contrattocollettivo ne prevede 48. Il sottosalario dunque risulta es-sere la regola con una riduzione delle retribuzioni che ingenere va dal 30 al 40%. L’unica eccezione rilevata ri-guarda il cottimo nel Vulture Alto Bradano durante la rac-colta del pomodoro: qui le paghe giornaliere oscillano trai 57 e i 76 euro. Bisogna però conside-rare che in questo contesto - dove il pe-riodo della raccolta è molto breve (dai30 ai 60 giorni) – le condizioni di lavororisultano particolarmente estenuanti inuna logica di sfruttamento e auto sfrut-tamento: lavorare il più possibile perguadagnare il più possibile.

La pratica del caporalato, storicapiaga nelle campagne dell’Italia delSud, è risultata diffusa in tutti i contesti di intervento ein modo particolarmente pervasivo nei territori a mag-gior flusso stagionale come la Piana di Gioia Tauro e ilVulture Alto Bradano dove rispettivamente i due terzie la metà dei migranti intervistati da Medu hanno am-messo di aver dovuto ricorrere a tale tipo di interme-diazione illecita per trovare lavoro. È particolarmentesignificativo, inoltre, che in Basilicata il 38% dei mi-granti non abbia voluto rispondere allo specifico que-sito. Del resto, anche in un territorio come l’AgroPontino dove la quasi totalità dei migranti intervistatipossedeva un contratto di lavoro, un terzo di essi hadichiarato di aver fatto ricorso al caporale (7%) o nonha voluto rispondere (25%). Peraltro in questo territorioil fenomeno si presenta spesso con caratteristiche pe-culiari abbracciando l’intero ciclo del lavoro a partiredal reclutamento nel paese d’origine. In tutti i contestiè risultata prevalente la figura del caporale etnico, pro-veniente dallo stesso paese o dalla stessa area geo-grafica dei braccianti reclutati. In effetti il caporalecontinua a essere una figura funzionale alla catena del-l’organizzazione del lavoro che vede ad un estremo ibraccianti e all’altro il datore di lavoro e l’azienda a cui

“conviene” poter disporre di un intermediatore in gradodi spostare un numero consistente di lavoratori da uncampo all’altro in tempi rapidi. In alcuni contesti, losfruttamento economico ai danni dei braccianti siestrinseca attraverso il pagamento del trasporto neiluoghi di lavoro, in altri, come in Basilicata, attraversola sottrazione di una certa quota della paga giornalieraoppure, come in Calabria, tramite il pagamento daparte del datore di lavoro al caporale di una certa cifraconcordata in funzione dei braccianti messi a disposi-zione in una data giornata

Dal punto di vista sanitario, il teamdi Medu ha incontrato una popola-zione giovane, prevalentemente ma-schile (93%), con un’età mediaoscillante tra i 30 anni nella Piana diGioia Tauro e i 39 anni nell’Agro Pon-tino, e dotata di un patrimonio di sa-lute sostanzialmente integro almomento dell’arrivo in Italia. Le prin-cipali patologie riscontrate, riguar-danti il sistema osteo-muscolare,

l’apparato digerente e l’apparato respiratorio sono risul-tate essere in molti casi correlate alle dure condizioni dilavoro nei campi e alle critiche situazioni di precarietàsociale, abitativa e igienico-sanitaria riscontrate nei ter-ritori di intervento. Per contro, non sono state rilevate pa-tologie infettive da importazione. Per quanto riguarda lasicurezza sul lavoro, presidi come guanti e scarpe dalavoro sono generalmente utilizzati dalla gran parte deibraccianti anche se in Calabria circa un quarto dei la-voratori intervistati ha dichiarato di non farne uso. Tutta-via, contrariamente a quanto previsto dalla normativa,nell’80-90% dei casi sono gli stessi lavoratori a doversiprocurare tali presidi con l’eccezione dell’Agro Pontinodove in circa la metà dei casi è il datore di lavoro a for-nirli. È qui inoltre il caso di segnalare che nella Piana delSele, tra i lavoratori che hanno dichiarato di entrare incontatto diretto o indiretto con fitofarmaci, l’80% ha am-messo di non far uso della mascherina protettiva.

Dal punto di vista dell’integrazione sanitaria, un qua-dro soddisfacente è stato riscontrato solo nell’AgroPontino dove circa nove migranti su dieci regolarmentesoggiornanti possiedono la tessera sanitaria e frui-

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Il caporalato è risultatodiffuso in tutti i contesti di

intervento, seppur concaratteristiche mutevoli e in

modo particolarmentepervasivo nei territori a

maggior flusso stagionale

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scono con una certa continuità del medico di medicinagenerale. Per contro sia nella Piana di Gioia Tauro chenella Piana del Sele, circa la metà dei migranti assistiti,pur avendo un regolare permesso di soggiorno, erasprovvista di tessera sanitaria. Tale criticità appare par-ticolarmente rilevante nel territorio campano dove oltrel’80% dei migranti intervistati da Medu risiedeva in Italiada oltre due anni e oltre la metà da, addirittura, più dicinque anni.

Per quanto riguarda l’accesso all’assistenza sanitariaper i lavoratori stagionali merita una particolare atten-zione l’iniziativa messa in atto in Basilicata. Pressol’ospedale di Venosa, nel Vulture Alto Bradano, viene at-tivato un ambulatorio per stranieri durante la stagionedella raccolta del pomodoro. Aperto atutti i migranti stranieri, indipendente-mente dalla regolarità del soggiorno,l’ambulatorio garantisce l’accesso allecure in via temporanea anche a queilavoratori che hanno già un medico dibase in una diversa regione italiana.Un approccio, quest’ultimo, che hapermesso di superare il problema delcostante ostacolo nell’accesso allamedicina di base per molti lavoratorimigranti stagionali. Per contro appareassai critica la situazione degli ambu-latori per stranieri irregolari (STP) della Piana di GioiaTauro, gravemente degradati e poco fruibili poichésprovvisti di adeguate risorse economiche e umane.

Di fronte, dunque, a un fenomeno di sfruttamentodi così ampie proporzioni, segnato da sottosalario, la-voro nero e lavoro grigio, inadeguata tutela della sa-lute, condizioni abitative spesso disastrose, le rispostedelle istituzioni territoriali e nazionali sono state in que-sti anni del tutto insufficienti. Anche sotto questoaspetto, d’altra parte, l’indagine di Medu ha rilevatodifferenti risposte nelle cinque aree coinvolte. Se alcunicontesti appaiono impermeabili a ogni trasformazione,in altri territori qualcosa sembra cambiare. Nel corsodella scorsa stagione, i governi regionali di Puglia eBasilicata hanno avviato dei piani organici con il pre-ciso obiettivo di migliorare le condizioni lavorative eabitative dei migranti impiegati in agricoltura. Le stra-

tegie messe in campo dalle due Task Force create adhoc, hanno avuto il grande merito di affrontare il pro-blema in tutta la sua complessità tenendo conto deimolteplici aspetti interconnessi: lavoro, accoglienza,assistenza sanitaria, trasporti, tutela legale, contrastodel caporalato e sostegno alle imprese etiche. Nell’av-viare un percorso così impegnativo e complesso, i duegoverni regionali hanno inoltre opportunamente coin-volto i settori della società civile direttamente coinvolti,dai lavoratori alle associazioni, dai sindacati ai datoridi lavoro oltre naturalmente alle Prefetture e alle istitu-zioni locali. Se la volontà di alcuni governi regionali diaffrontare il fenomeno a tutto tondo rappresenta, dun-que, un importante novità - peraltro l’unica strategiapossibile - l’attuazione concreta di piani così articolati

si è rivelata, per molti aspetti, nonall’altezza degli ambiziosi obiettiviche erano stati prefissati.

Venendo a un’analisi più puntualedelle iniziative messe in campo dalledue Task Force nella scorsa stagione,le soluzioni di accoglienza – essen-zialmente tendopoli attrezzate – sonostate attuate o con estremo ritardo, nelcaso della Basilicata, oppure, perquanto riguarda la Puglia, sono stateappena abbozzate senza sortire

alcun impatto. Per quanto riguarda le azioni di contrastoallo sfruttamento lavorativo, l’istituzione delle liste di pre-notazione è risultata del tutto fallimentare in Puglia men-tre in Basilicata, sebbene dal punto di vista strettamentenumerico abbia raggiunto dei risultati rilevanti, sembranon essere stata in grado di intaccare significativamenteil fenomeno del caporalato. Le altre iniziative, come lacreazione del bollino etico per le aziende rispettose deidiritti dei lavoratori, sono rimaste ancora ad uno stadioiniziale e dunque non valutabili. In Puglia, tra l’altro, eranostati previsti anche degli incentivi economici – dai 300 ai500 euro – per chi avesse assunto in regola un certo nu-mero di lavoratori. Nessuna azienda ne ha fatto richiesta,a riprova di quanto le dinamiche legate al lavoro nero eal caporalato siano radicate e, forse, più vantaggiosedegli incentivi. Quella che è parsa mancare, soprattuttoin Puglia ma per certi versi anche in Basilicata, è stataun’adeguata e realistica pianificazione delle azioni da in-

Sebbene alcuni governiregionali abbiano decisodi affrontare il fenomeno nella sua complessità,

lʼattuazione concreta degliinterventi si è rivelata nonallʼaltezza degli ambiziosiobiettivi che erano stati

prefissati

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traprendere, sia in termini di tempistica sia in termini diorganizzazione, rispetto alla grande sfida che ci si eraposti. L’intenzione, ad esempio, di smantellare il Ghettodi Rignano nel mese di luglio, a stagione già cominciata,senza peraltro aver già predisposto in alternativa le strut-ture di accoglienza, testimonia questo stato di cose, e,come era logico prevedere, non ha trovato alcuna attua-zione pratica.

Se, dunque, in alcune regioni come la Puglia e laBasilicata, le istituzioni hanno cercato di affrontare ilproblema, pur con tutti i limiti del caso, la Piana diGioia Tauro, rappresenta invece il paradigma di unasituazione in cui niente sembra cambiare. In un terri-torio dove di stagione in stagione pare consolidarsiuna vera e propria zona franca di so-spensione dei diritti dei lavoratori im-migrati, la fragilità e l’arretratezza delsettore agrumicolo deve fare i conticon i prezzi imposti dalle grandiaziende nazionali e internazionali delsucco d’arancia. È questo il contestodove l’incontro tra il sistema dell’eco-nomia globalizzata e i nodi irrisoltidella questione meridionale producei suoi frutti più nefasti. Prima ancorache adeguate misure di accoglienzaper i lavoratori stagionali sembradunque mancare una chiara e coerente politica regio-nale in grado di rilanciare il settore agricolo. Eppurein un territorio dove l’assenza delle istituzioni regionalie nazionali è così evidente, il team di Medu ha potutorilevare alcune iniziative d’accoglienza esemplarimesse in atto dalla società civile locale. Ad esempio,nel borgo di Drosi, situato nel cuore della Piana diGioia Tauro, un progetto avviato nel 2010, permette diaccogliere ogni stagione oltre cento lavoratori immi-grati in abitazioni sfitte del paese tramite il pagamentodi un canone minimo. In questo senso è opportunosottolineare come i campi di accoglienza – allestiti, ilpiù delle volte, in aree isolate e prive di collegamenti,con costi ingenti e servizi spesso inadeguati - nonpossono rappresentare la risposta al problema allog-giativo dei lavoratori stagionali. Appaiono, per contro,necessarie politiche abitative che evitino di trasfor-mare i lavoratori in “profughi”, favorendo l’integrazione

dei migranti nel territorio anche attraverso il recuperodegli spazi urbani.

Come accennato al principio di questo capitolo, ilproblema dello sfruttamento dei lavoratori migranti inagricoltura e il nodo specifico dei braccianti stagionali,rappresentano certamente questioni assai complesseche vanno ben al di là del perimetro socio-sanitario al-l’interno del quale si è sviluppato l’intervento di Mediciper i Diritti Umani. Tuttavia, da un lato l’azione medico-umanitaria messa in atto ha necessariamente richiestoun’analisi complessiva dei contesti in cui si è andati aoperare, dall’altro, i dati e le testimonianze raccolti apartire dalla pratica sul terreno permettono di formu-lare alcune considerazioni e proposte operative.

Una strategia integratacontro il sistema dello sfrut-tamento

Per quanto riguarda l’approcciocomplessivo al fenomeno, lo sforzoprodotto dai governi regionali di Pu-glia e Basilicata nel mettere in campointerventi che affrontino a 360 graditutti gli aspetti tra loro interconnessi -lavoro, accoglienza, assistenza sani-taria, trasporti, tutela legale, contrastodel caporalato e sostegno alle im-

prese etiche -, va nella giusta direzione e deve esseresicuramente proseguito e rafforzato. La creazione diTask Force regionali con questi obiettivi specifici puòessere utile, non solo nei territori caratterizzati da fortiflussi di lavoratori stagionali, ma anche nei contesti dovela presenza dei lavoratori agricoli è prevalentementestanziale come nell’Agro Pontino e nella Piana del Sele.

Una programmazione di medio e lungoperiodo fuori dall’emergenza

È necessario che tali iniziative non siano estempo-ranee ma rientrino in una programmazione di medio elungo periodo poiché è evidente che la profondità deiproblemi da affrontare - sia dal punto di vista socialeed economico che culturale - non permette soluzioniraggiungibili nell’arco di poche stagioni. A questo pro-posito è necessario che la pianificazione degli inter-venti annuali avvenga sulla base di cronogrammi e

Tra tutti i territori visitati, la Piana di Gioia Tauro

è il luogo dove lʼincontro tra il sistema

dellʼeconomia globalizzata e i nodi irrisolti della

questione meridionaleproduce i suoi frutti

più nefasti

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obiettivi realistici, pena il rischio di fallire nel loro con-seguimento. Ovvero, cosa ancor peggiore, di delegitti-mare l’intero approccio facendolo apparire comevelleitario o non realizzabile. L’esperienza dello scorsoanno nella regione Puglia è stata in questo senso uncaso scuola.

Leggi e investimenti per il rilanciodell’agricoltura

Il rilancio e l’ammodernamento dei processi pro-duttivi e organizzativi in agricoltura sono delle precon-dizioni essenziali per spezzare la catena dellosfruttamento e assicurare condizioni di lavoro digni-tose e sostenibili, soprattutto in territori particolar-mente arretrati come la Piana di Gioia Tauro. In questosenso è ovviamente necessaria una forte iniziativa po-litica che sostenga un equo sviluppo agricolo attra-verso provvedimenti finanziari e legislativi a livelloregionale e nazionale. Solo per restare nel campodell’agrumicoltura sono vari i provvedimenti sul tavolo:dall’innalzamento dal 12 al 20% del succo nelle aran-ciate (appena introdotto), all’indicazione di origine ob-bligatoria nell’etichetta, dalla legge sugli agrumeticaratteristici agli incentivi per le riconversioni.

Una cultura della legalità Al di là della dubbia efficacia di alcuni strumenti giu-

ridici per la repressione dei fenomeni di sfruttamentolavorativo (la cosiddetta Legge Rosarno è analizzata inquesto rapporto nel capitolo a cura di Asgi e Ltpd), af-finché essi non rimangano dei provvedimenti di cartaè essenziale che le istituzioni nazionali e territoriali ga-rantiscano efficaci e capillari controlli da parte degli or-gani ispettivi nell’ambito di una convinta promozionedella cultura della legalità.

Da subito, minime condizioni di acco-glienza per gli stagionali

Sebbene il fenomeno dello sfruttamento dei lavora-tori immigrati in agricoltura abbracci problemi vecchi enuovi di diversa complessità, è necessario affrontare laquestione contemporaneamente a più livelli dal mo-mento che i nodi più profondi e radicati non sono certorisolvibili in breve tempo. In particolare non è ammissi-bile che le condizioni di accoglienza dei lavoratori sta-gionali in Calabria, Basilicata e Puglia continuino a

presentare le disastrose situazioni abitative ed igienico-sanitarie documentate da questo rapporto. In questosenso, è indispensabile che le istituzioni regionali e na-zionali si assumano la piena responsabilità di assicu-rare minime condizioni di accoglienza.

Soluzioni abitative oltre le tendopoli Nel predisporre strutture di accoglienza nei territori

a forti flussi stagionali è fondamentale pianificare unatempistica adeguata (non è ammissibile che i centri diaccoglienza aprano a fine stagione!), soluzioni logisti-che sostenibili in termini di accesso ai luoghi di lavoroe in grado di garantire accettabili standard di libertà econvivenza per i lavoratori. Del resto, sia per quanto ri-guarda i lavoratori stanziali che gli stagionali, piuttostoche ricorrere a soluzioni che accrescono l’isolamentofisico e sociale come i campi o i villaggi d’accoglienzasituati in luoghi decentrati, è opportuno investire in pro-getti che prevedano un’accoglienza diffusa nel territorioe l’integrazione all’interno delle comunità locali comeinsegna la positiva esperienza di Drosi in Calabria.

Garantire l’accesso alle cure all’in-terno del Servizio sanitario nazionale

Per quanto riguarda infine l’assistenza sanitaria ri-volta agli stagionali, Medici per i Diritti Umani ritiene in-dispensabile rafforzare i servizi del sistema pubblicodestinati ai migranti e già presenti sul territorio, renden-doli fruibili oltre che ai migranti con tessera STP anchea quei braccianti con regolare permesso di soggiornoma iscritti al Servizio sanitario nazionale in un’altra re-gione. Le Aziende sanitarie locali devono mettere i loroambulatori in condizione di operare con standard digni-tosi ed adeguate risorse. Nei periodi di maggior afflussodei lavoratori sarebbe inoltre estremamente opportunal’attivazione di servizi mobili di prossimità con compitidi prima assistenza, monitoraggio e promozione dellasalute sui luoghi di lavoro. A questo proposito può es-sere particolarmente prezioso il contributo di organiz-zazioni della società civile, il cui ruolo può essere disupporto, ma mai di sostituzione, nella complessivapresa in carico dei pazienti che rimane responsabilitàdel Servizio sanitario nazionale.

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Basilicata. Centro di accoglienza di Palazzo San Gervasio. I container con i servizi igienici e le docce allestiti nel piazzale antistante al centro (Medu/settembre 2014)

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