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Guida alla sicurezza sul lavoro Alessandro Foti Guida operativa alla costruzione e gestione del Modello 231 Strumenti pratici per il professionista tecnico Nel CD Rom esempi applicativi utilizzabili nell’ambito dei Modelli 231

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Guida alla sicurezza sul lavoroAlessandro Foti

Guida operativa alla costruzione e gestione

del Modello 231

Strumenti pratici per il professionista tecnicoNel CD Rom esempi applicativi utilizzabili

nell’ambito dei Modelli 231

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A Silvia e Micaelala mia forzae il mio faro nella nebbia

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SOMMARIO

capitolo 1.GENERALITÀ ................................................................................19

1.1. Introduzione ..................................................................191.2. Termini, definizioni e acronimi ...............................................24

1.2.1 Termini, definizioni e acronimi generali ...........................251.2.2 Termini, definizioni e acronimi

riferibili alla linea guida UNI EN ISO 19011:2012 .................271.2.3 Termini, definizioni e acronimi

riferibili alla norma UNI EN ISO 14001:2004 ......................311.2.4 Termini, definizioni e acronimi

riferibili al Regolamento (CE) n. 1221/2009 cd. EMAS III .........341.2.5 Termini, definizioni e acronimi

riferibili alla norma BS OHSAS 18001:2007 .......................381.2.6 Termini, definizioni e acronimi

riferibili alla Linea guida UNI INAIL SGSL 2001 ...................43

capitolo 2. IL DECRETO LEGISLATIVO 231/2001 E I REATI PER LA SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO ......................49

2.1. Introduzione ...................................................................492.2. Art. 25-septies del D.Lgs. 231/01 ...........................................53

2.2.1 Premessa.............................................................53

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GUIDA OPERATIVA ALLA COSTRUZIONE E GESTIONE DEL MODELLO 231

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2.2.2 Reati presupposto ...................................................562.2.2.1 Omicidio colposo ...........................................562.2.2.2 Lesioni personali colpose ..................................62

2.3. Case Study in Appendice alle nuove Linee Guida di Confindustria in tema di omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro ...65

capitolo 3.IL DECRETO LEGISLATIVO 231/2001 E I REATI AMBIENTALI ..............71

3.1. Introduzione ...................................................................713.2. Art. 25-undecies del D.Lgs. n. 231/01 ......................................74

3.2.1 Reati presupposto ...................................................783.3. Case Study in Appendice alle nuove Linee Guida

di Confindustria in tema di reati ambientali .............................. 1053.3.1 Considerazioni generali ........................................... 1063.3.2 Aree a rischio e controlli preventivi: alcuni esempi ............. 109

capitolo 4. LE ATTIVITÀ PROPEDEUTICHE ALLA COSTRUZIONE DEL MODELLO 231 ....................................... 113

4.1. Introduzione ................................................................. 1134.1.1 Premessa........................................................... 1134.1.2 Passi operativi per la realizzazione

di un sistema di gestione del rischio ............................. 1184.1.2.1 Inventariazione degli ambiti aziendali di attività ...... 1224.1.2.2 Analisi dei rischi potenziali .............................. 1254.1.2.3 Valutazione/costruzione/adeguamento

del sistema di controlli preventivi ...................... 1264.2. Risk assessment e management: identificazione della attività

e i processi sensibili – Analisi dei Rischi ................................. 127

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4.2.1 Il risk assessment e la gestione dei rischi ....................... 1274.2.2 Il risk assessment in ambito 231 ................................. 1294.2.3 La metodologia proposta ......................................... 1324.2.4 La pesatura dell’impatto e della probabilità ..................... 1324.2.5 Una best practice di settore: la metodologia di risk assessment

e risk management richiamati dal documento CoSO ........... 1354.3. Gap Analysis: individuazione delle carenze

del sistema di controllo esistente ......................................... 1474.3.1 Gap Analysis, la valutazione dei controlli esistenti ............. 147

4.3.1.1 Il ruolo della funzione .................................... 149

capitolo 5.LA COSTRUZIONE DEL MODELLO 231 PER I REATI RELATIVI ALLA SALUTE, SICUREZZA E AMBIENTE ....................................... 153

5.1. Introduzione ................................................................. 1535.1.1 Una possibile proposta di impostazione di un efficace

Modello Organizzativo Gestionale e di Controllo (MOG) ....... 1665.2. Redazione dei protocolli 231 ............................................... 174

5.2.1 Introduzione ........................................................ 1745.2.2 Reati 231 in tema di salute e sicurezza sul lavoro .............. 175

5.2.2.1 Salute e sicurezza sul lavoro e D.Lgs. 231/2001 in sintesi ............................. 175

5.2.2.2 I reati in materia di salute e sicurezza del lavoro (art. 25-septies D.Lgs. 231/2001) ....................... 178

5.2.2.3 Salute e sicurezza sul lavoro secondo il D.Lgs. 81/2008 ... 1805.2.3 Reati 231 in tema ambientale .................................... 191

5.2.3.1 Il D.Lgs. 231/2001 e l’estensione ai reati ambientali ....1915.2.3.2 I reati ambientali specificamente inclusi nell’ambito

del D.Lgs. 231/2001 ..................................... 1955.2.3.3 La tutela dell’ambiente secondo il D.Lgs. 152/2006... 197

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GUIDA OPERATIVA ALLA COSTRUZIONE E GESTIONE DEL MODELLO 231

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5.2.4 Verifica dei fornitori e norme generali di salvaguardia ......... 2065.2.5 Elaborazione protocolli di condotta da parte di Società

di Consulenza - Un settore specifico ............................. 2085.2.5.1 Nel settore dei contratti con la pubblica

amministrazione ......................................... 2085.2.5.2 Nel settore della consulenza strategica e direzionale . 2125.2.5.3 Condotta di società di consulenza certificate

(ad esempio: certificazione ISO 9001) .................. 2135.2.6 Nei rapporti con i partner contrattuali e commerciali .......... 214

5.2.6.1 Contenuto minimo dei protocolli di condotta relativi ai rapporti con i partner contrattuali .................... 215

5.3. I protocolli 231 attraverso i sistemi di gestione aziendale ................................ 2175.3.1 Premessa........................................................... 217

5.3.1.1 Elementi fondamentali dei sistemi di gestione ........ 2205.3.2 Sistemi di gestione integrati. Vantaggi ed obiettivi............. 228

5.3.2.1 A) Integrazione organizzativa............................ 2295.3.2.2 B) Integrazione per tematica ............................ 2305.3.2.3 C) Integrazione per processi ............................. 231

5.3.3 Il ruolo del “rappresentante della direzione” di un sistema di gestione integrato .............................. 232

5.4. Progettazione e implementazione di un SGSL conforme alla norma BS OHSAS 18001:2007 e propedeutico alla prevenzione dei reati 231 .... 2345.4.1 Requisiti generali (§ norma: 4.1) ................................. 2345.4.2 Politica per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro (§ 4.2) .......... 2345.4.3 Pianificazione (§ 4.3) .............................................. 235

5.4.3.1 Identificare i pericoli, valutare e controllare i rischi (§ 4.3.1) ........................... 236

5.4.3.2 Significato della valutazione ............................ 2405.4.3.3 Aspetti soggettivi della valutazione .................... 2415.4.3.4 I soggetti della valutazione .............................. 242

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5.4.3.5 Valutazione ............................................... 243

5.4.3.6 Normativa e requisiti di legge (§ 4.3.2) ................ 2455.4.3.7 Definizione degli obiettivi

e gestione dei programmi (§ 4.3.3) ..................... 2455.4.4 Attuazione e funzionamento (§ 4.4) .............................. 249

5.4.4.1 Risorse, ruoli, responsabilità, impegno e autorità (§ 4.4.1) ....................................... 249

5.4.4.2 Principali responsabilità di legge ....................... 2515.4.4.3 Servizio di Prevenzione e Protezione ................... 2525.4.4.4 Medico Competente (MC) ............................... 2525.4.4.5 Supporti esterni (servizi e consulenti) .................. 2585.4.4.6 Competenza, addestramento

e consapevolezza (§ 4.4.2) ............................... 2595.4.4.7 Comunicazione, partecipazione

e consultazione (§ 4.4.3) ................................. 261

5.4.4.8 Documentazione (§ 4.4.4) ................................ 262

5.4.4.9 Controllo dei documenti (§ 4.4.5) ....................... 263

5.4.4.10 Controllo operativo (§ 4.4.6) ............................. 266

5.4.4.11 Preparazione e risposta alle emergenze (§ 4.4.7) ...... 2725.4.5 Verifica (§ 4.5) ..................................................... 275

5.4.5.1 Misure delle prestazioni e sorveglianza (§ 4.5.1) ...... 275

5.4.5.2 Valutazione del rispetto delle prescrizioni (§ 4.5.2) .... 2765.4.5.3 Analisi degli incidenti, Non Conformità

e Azioni Correttive e Preventive (§ 4.5.3) ............... 276

5.4.5.4 Controllo delle registrazioni (§ 4.5.4) ................... 281

5.4.5.5 Audit interni (§ 4.5.5) .................................... 2825.4.6 Riesame da parte della Direzione (§ 4.6) ........................ 286

5.4.6.1 Elementi in ingresso ..................................... 2875.4.6.2 Elementi in uscita ........................................ 289

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GUIDA OPERATIVA ALLA COSTRUZIONE E GESTIONE DEL MODELLO 231

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5.5. Progettazione e implementazione di un SGSL conforme alla linea guida UNI INAIL e propedeutico alla prevenzione dei reati 231 ............... 2925.5.1 Premessa........................................................... 2925.5.2 Finalità (§ della LG: A) ............................................. 2935.5.3 Sequenza ciclica di un SGSL (§ B) ................................ 2945.5.4 La politica per la sicurezza e salute sul lavoro (§ C) ............ 2965.5.5 Pianificazione (§ D) ................................................ 2975.5.6 Struttura e organizzazione del sistema (§ E) ..................... 298

5.5.6.1 Il sistema di gestione (§ E.1) ............................ 298

5.5.6.2 Definizione dei compiti e delle responsabilità (§ E.2) ....299

5.5.6.3 Coinvolgimento del personale (§ E.3) ................... 301

5.5.6.4 Formazione, addestramento, consapevolezza (§ E.4) ... 3015.5.6.5 Comunicazione, flusso informativo

e cooperazione (§ E.5) ................................... 302

5.5.6.6 Documentazione (§ E.6) .................................. 3035.5.6.7 Integrazione della salute e sicurezza nei processi

aziendali e gestione operativa (§ E.7) .................. 3055.5.7 Rilevamento e analisi dei risultati

e conseguente miglioramento del sistema (§F) ................. 307

5.5.7.1 Monitoraggio interno della sicurezza (§ F.1) ............ 307

5.5.7.2 Caratteristiche e responsabilità dei verificatori (§ F.2) ...308

5.5.7.3 Piano del monitoraggio (§ F.3) ........................... 309

5.5.7.4 Riesame del sistema (§ F.4) ............................. 3105.6. Progettazione e implementazione di un SGA conforme alla norma

UNI EN ISO 14001:2004 o al Regolamento EMAS e propedeutico alla prevenzione dei reati 231 ............................................. 3115.6.1 Introduzione ........................................................ 3115.6.2 I Sistema di Gestione Ambientali - Norma UNI EN ISO 14001

e Regolamento EMAS ............................................. 314

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5.7. Procedure semplificate per l’adozione dei MOG nelle PMI .............. 3325.7.1 Premessa........................................................... 3325.7.2 Introduzione ........................................................ 3345.7.3 Politica aziendale di salute e sicurezza,

obiettivi e piano di miglioramento ............................... 3355.7.3.1 Piano di miglioramento .................................. 337

5.7.4 Rispetto degli standard tecnico strutturale di legge relativi attrezzature, impianti, luoghi di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici (Art. 30, comma 1, lett. A), D.Lgs. 81/2008) ... 337

5.7.5 Attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di prevenzione e protezione conseguenti (Art. 30, comma 1, lett. B), D.Lgs. 81/2008) ..................... 339

5.7.6 Attività di natura organizzativa, quali gestione delle emergenze e primo soccorso (art. 30, comma 1, lett. c), D.Lgs. 81/2008) .. 340

5.7.7 Gestione appalti ................................................... 3435.7.8 Riunioni periodiche di sicurezza e consultazione

dei rappresentati dei lavoratori per la sicurezza ................ 3445.7.8.1 Comunicazione e rapporto con l’esterno ............... 3445.7.8.2 Consultazione e partecipazione ......................... 344

5.7.9 Attività di sorveglianza sanitaria (art. 30, comma 1, lett. d), D.Lgs. 81/2008) ...................... 345

5.7.10 Attività di informazione e formazione dei lavoratori (art. 30, comma 1, lett. e), D.Lgs. 81/2008) ...................... 345

5.7.11 Attività di vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori (art. 30, comma 1, lett. f), D.Lgs. 81/2008) .................................................... 346

5.7.12 Acquisizione di documentazioni e certificazioni obbligatorie per legge (art. 30, comma 1, lett. g), D.Lgs. 81/2008). .......... 347

5.7.13 Periodiche verifiche dell’applicazione e dell’efficacia delle procedure adottate (art. 30, comma 1, lett. h), D.Lgs. 81/2008). ....................................................... 348

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GUIDA OPERATIVA ALLA COSTRUZIONE E GESTIONE DEL MODELLO 231

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5.7.13.1 Sorveglianza/monitoraggio o misurazione dell’adozione delle procedure/modelli ................................. 348

5.7.13.2 Indagine su infortuni, incidenti e situazioni pericolose .... 3495.7.13.3 Non conformità, azioni correttive ed azioni preventive ... 350

5.7.14 I sistemi di registrazione (art. 30, comma 2, D.Lgs. n. 81/2008) .... 3505.7.15 Organizzazione delle funzioni aziendali (competenze tecniche

e poteri associati) per garantire la valutazione, gestione e controllo dei rischi (art. 30, comma 3, D.Lgs. 81/2008) ....... 351

5.7.16 Un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello (art. 30, comma 3, D.Lgs. 81/2008) ............................... 352

5.7.17 Strumenti di controllo, vigilanza e aggiornamento del Modello (art. 30, comma 4, D.Lgs. 81/2008) ................ 3545.7.17.1 Audit interno di sicurezza................................ 3555.7.17.2 Programmazione dell’audit .............................. 3555.7.17.3 Identificazione degli auditor interni ..................... 3565.7.17.4 Conduzione dell’audit .................................... 3575.7.17.5 Riesame .................................................. 358

5.8. Il Codice Etico ............................................................... 3605.8.1 Premessa........................................................... 3605.8.2 Alcuni spunti metodologici ....................................... 3615.8.3 Contenuti minimi del Codice etico (o di comportamento)

in relazione ai reati dolosi previsti dal D.Lgs. n. 231/2001 ..... 3645.8.4 Contenuti minimi del Codice etico (o di comportamento)

in relazione ai reati colposi previsti dall’art. 25-septies del D.Lgs. n. 231/2001 ............................................ 366

5.8.5 Contenuti minimi del Codice etico (o di comportamento) in relazione ai reati ambientali previsti dall’art. 25-undecies del D.Lgs. n. 231/2001 ............................................ 368

5.9. Modello di Organizzazione e Controllo 231 – Parte Generale ........... 3695.10. Modello di Organizzazione e Controllo 231 – Parte Speciale

per i reati relativi alla salute e sicurezza sul lavoro ...................... 372

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5.11. Modello di Organizzazione e Controllo 231 Parte Speciale per i reati ambientali ...................................... 374

5.12. Il sistema di controllo preventivo e la relazione di Procure, Deleghe e Nomine ............................. 3755.12.1 Il sistema di controllo preventivo ................................ 3755.12.2 Principi generali del sistema preventivo ......................... 3765.12.3 Poteri e responsabilità ............................................ 3775.12.4 Redazione di Procure, Deleghe e Nomine ....................... 379

5.13. Definizione del Piano di Formazione e Comunicazione aziendale ....... 3805.13.1 Introduzione ........................................................ 3805.13.2 Piano di Comunicazione e Formazione verso i dipendenti ...... 3825.13.3 Piano di Comunicazione verso

i collaboratori e le parti interessate.............................. 383

capitolo 6.LA COSTITUZIONE DELL’ORGANISMO DI VIGILANZA NELLA PREVENZIONE DEI REATI 231 RELATIVI A SICUREZZA, SALUTE, E AMBIENTE .......................................... 385

6.1. Introduzione ................................................................. 3856.2. Le caratteristiche dei componenti dell’organismo

di vigilanza e ruolo del componente tecnico .............................. 3906.2.1 Premessa........................................................... 3906.2.2 Individuazione dell’organismo di vigilanza ...................... 391

6.2.2.1 Composizione dell’organismo di vigilanza .............. 3916.2.2.2 Compiti, requisiti e poteri dell’organismo di vigilanza ...3916.2.2.3 Utilizzo di strutture aziendali di controllo esistenti

o costituzione di un organismo ad hoc ................. 4016.2.2.4 Obblighi di informazione dell’organismo di vigilanza ....4116.2.2.5 Profili penali della responsabilità dell’organismo

di vigilanza ............................................... 414

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GUIDA OPERATIVA ALLA COSTRUZIONE E GESTIONE DEL MODELLO 231

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6.2.2.6 Possibili criteri per la scelta dei componenti dell’OdV ...4156.2.2.7 Modelli di OdV ........................................... 4186.2.2.8 La responsabilità imputabile ai membri

dell’Organismo di Vigilanza ............................. 4226.2.2.9 Il ruolo e la responsabilità del professionista tecnico

esterno che collabora con la Società nei Modelli 231 ...4246.3. Svolgimento dell’attività dell’OdV, flussi informativi e segnalazioni .... 429

6.3.1 I compiti dell’Organismo di Vigilanza ............................ 4296.3.2 I flussi informativi e le segnalazioni.............................. 4326.3.3 Un esempio di best practice istituzionale - “Linee guida

per gli organismi di vigilanza” della Regione Lombardia ....... 4366.3.3.1 Premessa ................................................. 436

capitolo 7.IL SISTEMA DISCIPLINARE PER SANZIONARE I REATI RELATIVI ALLA SALUTE, SICUREZZA E AMBIENTE ...................................... 443

7.1. Introduzione ................................................................. 4437.1.1 Premessa .......................................................... 4437.1.2 La funzione preventiva del sistema disciplinare ................ 4467.1.3 I principi del sistema disciplinare ................................ 4477.1.4 Il sistema disciplinare rispetto ai sottoposti .................... 4487.1.5 Il sistema disciplinare relativo ai soggetti apicali .............. 4497.1.6 Il sistema disciplinare relativo ai terzi ........................... 450

7.2. Il sistema sanzionatorio nel contratto collettivo nazionale del lavoro .............................. 4517.2.1 Il potere disciplinare nell’ordinamento italiano ................. 4517.2.2 La diligenza ed il dovere di obbedienza del lavoratore ......... 4527.2.3 La predeterminazione delle norme disciplinari

(il cd. codice disciplinare) ......................................... 4537.2.4 L’obbligo di contestazione dell’addebito in via preventiva ..... 454

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7.2.5 Le caratteristiche della contestazione: tempestività, specificità, immutabilità, forma scritta .......................... 455

7.2.6 Il diritto di difesa del lavoratore .................................. 4567.2.7 L’adozione del provvedimento disciplinare ...................... 4577.2.8 L’applicazione della sanzione ..................................... 4587.2.9 La “proporzionalità” delle sanzioni ............................... 4597.2.10 Il licenziamento disciplinare ...................................... 4607.2.11 L’impugnazione della sanzione ................................... 461

7.3. Il sistema sanzionatorio nella legislazione vigente - Aspetti generali .. 4647.3.1 Reati Salute e sicurezza e il sistema sanzionatorio ............. 4697.3.2 Reati Ambientali e il sistema sanzionatorio ..................... 472

7.4. Il sistema disciplinare e sanzionatorio ai fini dei reati per la salute, sicurezza e ambiente nei Modelli 231 - Esempi applicativi .............. 4817.4.1 Il sistema disciplinare e sanzionatorio ai fini dei reati

per la salute, sicurezza e ambiente nei Modelli 231 - Esempio 1 ... 4817.4.2 Il sistema disciplinare e sanzionatorio ai fini dei reati

per la salute, sicurezza e ambiente nei Modelli 231 - Esempio 2 ... 484

capitolo 8.LE ATTIVITÀ DI MONITORAGGIO E AUDIT DEL MODELLO PER I REATI RELATIVI ALLA SALUTE, SICUREZZA E AMBIENTE ....... 495

8.1. Introduzione ................................................................. 4958.2. Gli audit nell’ambito dei sistemi di gestione

delle norme volontarie ..................................................... 4998.2.1 Premessa........................................................... 4998.2.2 La linea guida UNI EN ISO 19011:20012

I principi generali dell’audit ...................................... 5008.2.3 Gli audit nei sistemi di gestione salute e sicurezza sul lavoro –

BS OHSAS 18001:2007 e OHSAS 18001:2008 .................. 5058.2.3.1 Requisito 4.5.5 “Audit interno”

nella norma BS OHSAS 18001:2007 ................... 505

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GUIDA OPERATIVA ALLA COSTRUZIONE E GESTIONE DEL MODELLO 231

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8.2.3.2 Il requisito 4.5.5 “Audit interno” nella linea guida OHSAS 18002:2008 .................. 506

8.2.4 Gli audit nei sistemi di gestione salute e sicurezza sul lavoro – La linea guida UNI INAIL SGSL ................................... 513

8.2.4.1 Il requisito “F.1 Monitoraggio interno della sicurezza” nella LG UNI INAIL ....................................... 513

8.2.5 Gli audit nei sistemi di gestione ambientali – Norma UNI EN ISO 14001:2004 e la linea guida UNI EN ISO 14004:2005 ...... 514

8.2.5.1 Il requisito 4.5.5 “Audit interno” nella norma UNI EN ISO 14001:2004 .................. 514

8.2.5.2 Il requisito 4.5.5 “Audit interno” nella linea guida UNI EN ISO 14004:2005 ............. 515

8.2.6 Gli audit nei sistemi di gestione ambientali - Regolamento EMAS ................................ 516

8.2.6.1 Il requisito “Audit ambientale interno” nell’Allegato III del regolamento EMAS ................ 516

8.3. Gli audit nell’ambito delle procedure semplificate per le PMI .......... 519

8.3.1 Premessa........................................................... 519

8.4. Le caratteristiche degli auditor per verificare i Modelli 231 e il ruolo del professionista tecnico ....................... 529

8.4.1 Introduzione ........................................................ 529

8.4.2 Le caratteristiche degli auditor secondo la linea guida UNI EN ISO 19011:2012 e la gestione degli audit per i sistemi di gestione salute, sicurezza e ambiente ......... 530

8.4.2.1 Generalità ................................................ 530

8.4.2.2 Determinazione della competenza dell’auditor per soddisfare le esigenze del programma di audit ... 531

8.4.2.3 Definizione dei criteri di valutazione dell’auditor ...... 538

8.4.2.4 Selezione del metodo appropriato di valutazione dell’auditor ............................................... 538

8.4.2.5 Conduzione della valutazione dell’auditor .............. 540

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8.4.2.6 Mantenimento e miglioramento della competenza dell’auditor ........................... 540

8.4.2.7 Guida ed esempi illustrativi delle conoscenze e abilità degli auditor specifiche della disciplina ...... 540

8.4.2.8 Guida supplementare destinata agli auditor per la pianificazione e la conduzione di audit .......... 545

8.4.3 Caratteristiche del professionista tecnico che ricopre il ruolo di auditor 231 ................................ 5568.4.3.1 Regolamento tipo per il riconoscimento

e la qualificazione dell’auditor 231 Scopo e campo di applicazione ......................... 556

8.4.4 La certificazione della figura dell’auditor 231 (A 231) e del Responsabile del Gruppo di Verifica 231 (RGVI 231)...... 562

capitolo 9. ELENCO DEI REATI-PRESUPPOSTO DELLA RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA DEGLI ENTI EX D.LGS. N. 231/2001 ................... 565

9.1. Aggiornato alla data del 18 aprile 2014 (ultimo provvedimento inserito: art. 1 L. 17 aprile 2014 n. 62) .............5659.1.1 I reati in sintesi .................................................... 5659.1.2 I reati in dettaglio ................................................. 568

CONTENUTO DEL CD ROM .......................................................... 651

BIBLIOGRAFIA ........................................................................... 657

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1.1. Introduzione

Il decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, recante “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’art. 11 della L. 29 settembre 2000, n. 300” ha introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento la responsabilità in sede penale degli enti, che si aggiunge a quella della persona fisica che ha realizzato materialmente il fatto illecito.

L’ampliamento della responsabilità mira a coinvolgere nella puni-zione di taluni illeciti penali il patrimonio degli enti e, in definitiva, gli interessi economici dei soci, i quali, fino all’entrata in vigore della leg-ge in esame, non pativano conseguenze dalla realizzazione di reati commessi, con vantaggio della società, da amministratori e/o dipen-denti. Il principio di personalità della responsabilità penale li lasciava, infatti, indenni da conseguenze sanzionatorie, diverse dall’eventuale risarcimento del danno, se ed in quanto esistente. Sul piano delle con-seguenze penali, infatti, soltanto gli artt. 196 e 197 cod. pen. preve-devano (e prevedono tuttora) un’obbligazione civile per il pagamento di multe o ammende inflitte, ma solo in caso d’insolvibilità dell’autore materiale del fatto. L’innovazione normativa, perciò, è di non poco con-to, in quanto né l’ente, né i soci delle società o associazioni possono dirsi estranei al procedimento penale per reati commessi a vantaggio o nell’interesse dell’ente. Ciò, ovviamente, determina un interesse

capitolo 1.

GENERALITÀ

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di quei soggetti (soci, associati, ecc.) che partecipano alle vicende patrimoniali dell’ente, al controllo della regolarità e della legalità dell’o-perato sociale.

Quanto alla tipologia di reati cui si applica la disciplina in esame, il legislatore delegato ha operato inizialmente una scelta minimalista rispetto alle indicazioni contenute nella legge delega (L. n. 300/2000). Infatti, delle quattro categorie di reati indicate nella L. n. 300/2000, il Governo ha preso in considerazione soltanto quelle indicate dagli artt. 24 (Indebita percezione di erogazioni pubbliche, Truffa in danno dello Stato o di altro ente pubblico o per il conseguimento di erogazioni pub-bliche e Frode informatica in danno dello Stato o di altro ente pubbli-co) e 25 (Concussione e Corruzione), evidenziando, nella relazione di accompagnamento al D.Lgs. n. 231/2001, la prevedibile estensione del-la disciplina in questione anche ad altre categorie di reati. Tale relazione è stata profetica, giacché successivi interventi normativi hanno esteso il catalogo dei reati cui si applica la disciplina del decreto n. 231/2001.

La Legge 3 agosto 2007, n. 123, con l’introduzione dell’art. 25-septies nell’impianto normativo del D.Lgs. n. 231/2001, ha infatti ulteriormen-te esteso l’ambito applicativo della responsabilità amministrativa degli enti ai reati di omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime che si verifichino a seguito della violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative alla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro.

Infine, tenuto conto degli obiettivi di questa pubblicazione, è stato emanato il decreto legislativo 7 luglio 2011 che recepisce la normativa comunitaria in materia ambientale e di tutela penale dell’ambiente, rea-lizzando la delega conferita con la Legge comunitaria del 2009. Il legisla-tore si è limitato peraltro ad emanare le norme strettamente necessarie a garantire l’adempimento agli obblighi europei, senza riordinare, come da molti era auspicato, l’intera materia dei reati ambientali.

In relazione alla Direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambien-te, il legislatore delegato ha esteso l’attuale apparato sanzionatorio inserendo le fattispecie sanzionate dalla Direttiva assenti nell’ordina-mento italiano: uccisione, distruzione, prelievo o possesso di esem-plari di specie animali e vegetali selvatiche protette (art. 727-bis, c.p.)

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GENERALITÀ

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e distruzione o deterioramento di habitat all’interno di un sito protetto (art. 733-bis, c.p.).

Ben più significativa è invece l’altra novità introdotta dal Decreto: l’estensione della responsabilità degli enti ai sensi del Decreto 231 ad alcuni reati ambientali: le Direttive comunitarie hanno infatti imposto agli Stati membri dell’Unione di estendere alle persone giuridiche la responsabilità per i reati ambientali commessi a loro vantaggio. Per questa ragione sono state individuate come “sensibili” ai sensi del Decreto 231 alcuni reati ambientali già in vigore, oltre ai due nuovi rea-ti in precedenza individuati: ne è così scaturito l’art. 25-undecies del Decreto 231, che ha determinato la necessità di revisione dei previgenti modelli organizzativi, nonché nuovi carichi di lavoro per gli Organismo di Vigilanza.

Pesanti sono anche le sanzioni, giacché per alcuni reati ambientali (non tutti) il giudice potrà applicare l’aspra misura delle sanzioni inter-dittive, oltre alle rilevanti sanzioni pecuniarie previste per tutti i reati sensibili.

Sotto il profilo dei soggetti destinatari è importante ricordare che la legge indica “gli enti forniti di personalità giuridica, le società fornite di personalità giuridica e le società e le associazioni anche prive di perso-nalità giuridica” (art. 1, comma 2). Il quadro descrittivo è completato dall’indicazione, a carattere negativo, dei soggetti a cui non si applica la legge, vale a dire “lo Stato, gli enti pubblici territoriali nonché gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale” (art. 1, comma 3). Come si vede, la platea dei destinatari è molto ampia e non sempre è iden-tificabile con certezza la linea di confine, specialmente per gli enti che operano nel settore pubblico.

È opportuno ricordare che questa nuova responsabilità sorge soltan-to in occasione della realizzazione di determinati tipi di reati da parte di soggetti legati a vario titolo all’ente e solo nelle ipotesi che la condotta illecita sia stata realizzata nell’interesse o a vantaggio di esso. Dunque, non soltanto allorché il comportamento illecito abbia determinato un vantaggio, patrimoniale o meno, per l’ente, ma anche nell’ipotesi in cui, pur in assenza di tale concreto risultato, il fatto-reato trovi ragione nell’interesse dell’ente.

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L’art. 6 del provvedimento in esame contempla tuttavia una forma di “esonero” da responsabilità dell’ente se si dimostra, in occasione di un procedimento penale per uno dei reati considerati, di aver adottato ed efficacemente attuato modelli di organizzazione, gestione e controllo idonei a prevenire la realizzazione degli illeciti penali considerati. Il siste-ma prevede l’istituzione di un organo di controllo interno all’ente con il compito di vigilare sull’efficacia reale del modello. La norma stabilisce, infine, che le associazioni di categoria possono disegnare i codici di comportamento, sulla base dei quali andranno elaborati i singoli modelli organizzativi, da comunicare al Ministero della Giustizia, che ha trenta giorni di tempo per formulare le proprie osservazioni.

Evitando di occuparci della natura giuridica e dell’inquadramento dogmatico delle soluzioni raccolte dal legislatore, qui giova soffermare l’attenzione sugli aspetti pratici, che possono interessare gli operatori coinvolti dal provvedimento di legge, soprattutto per gli aspetti formali del Modello e ancora di più per il ruolo che il professionista tecnico può giocare in alcuni particolari reati cd. “tecnici”, quelli cioè relativi alla sicu-rezza e salute sul lavoro e alle tematiche ambientali.

Va sottolineato, in proposito, che l’“esonero” dalle responsabilità dell’ente passa attraverso il giudizio d’idoneità del sistema interno di organizzazione e controlli, che il giudice penale è chiamato a formula-re in occasione del procedimento penale a carico dell’autore materiale del fatto illecito. Dunque, la formulazione dei modelli e l’organizzazione dell’attività dell’organo di controllo devono porsi come obiettivo l’esito positivo di tale giudizio d’idoneità. Questa particolare prospettiva finali-stica impone agli enti di valutare l’adeguatezza delle proprie procedure alle esigenze di cui si è detto, tenendo presente che la disciplina in esame è già entrata in vigore.

È opportuno precisare che la legge prevede l’adozione del modello di organizzazione, gestione e controllo in termini di facoltatività e non di obbligatorietà. La mancata adozione non è soggetta, perciò, ad alcu-na sanzione, ma espone l’ente alla responsabilità per gli illeciti realiz-zati da amministratori e dipendenti. Pertanto, nonostante la ricordata facoltatività del comportamento, di fatto l’adozione del modello diviene obbligatoria se si vuole beneficiare dell’esimente. Facilita l’applicazione

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GENERALITÀ

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dell’esimente, soprattutto in termini probatori, la documentazione scrit-ta dei passi compiuti per la costruzione del modello.

Come già detto, l’applicazione delle sanzioni agli enti incide diretta-mente sugli interessi economici dei soci. Talché, in caso d’incidente di percorso, legittimamente i soci potrebbero esperire azione di responsa-bilità nei confronti degli amministratori inerti che, non avendo adottato il modello, abbiano impedito all’ente di fruire del meccanismo di “eso-nero” dalla responsabilità.

Allo scopo di offrire un aiuto concreto alle imprese ed associazio-ni nella elaborazione dei modelli e nella individuazione di un organo di controllo, sono state emesse diverse Linee Guida da vari soggetti asso-ciativi o professionali che contengono una serie di indicazioni e misure, essenzialmente tratte dalla pratica aziendale, ritenute in astratto idonee a rispondere alle esigenze delineate dal D.Lgs. n. 231/2001.

Tuttavia, data l’ampiezza delle tipologie di enti presenti e la varietà di strutture organizzative da questi di volta in volta adottate in dipendenza sia delle dimensioni, che del diverso mercato geografico o economi-co in cui essi operano, non si possono fornire riferimenti puntuali in tema di modelli organizzativi e funzionali, se non sul piano metodologi-co. Le Linee Guida mirano pertanto a provvedere concrete indicazioni su come realizzare tali modelli, non essendo proponibile la costruzione di casistiche decontestualizzate da applicare direttamente alle singole realtà operative.

Tra queste la più importante per il mondo industriale rimangono le Linee Guida di Confindustria, approvate ed emesse in prima edizione nel marzo 2002, riviste poi nel 2008 a seguito dell’introduzione dei reati per la salute e sicurezza sul lavoro. All’esito di un ampio e approfondito lavoro di riesame, Confindustria ha completato i lavori di aggiornamen-to delle Linee Guida per la costruzione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001. La nuova versione adegua il precedente testo del 2008 alle novità legislative, giurispru-denziali e alle prassi applicativa nel frattempo intervenute, mantenen-do la distinzione tra le due Parti, Generale e Speciale. In particolare, le principali modifiche e integrazioni della Parte generale riguardano: il nuovo capitolo sui lineamenti della responsabilità da reato e la tabella di

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sintesi dei reati presupposto; il sistema disciplinare e i meccanismi san-zionatori; l’organismo di vigilanza, con particolare riferimento alla sua composizione; il fenomeno dei gruppi di imprese. La Parte speciale, dedicata all’approfondimento dei reati presupposto attraverso appositi Case Study, è stata oggetto di una consistente rivisitazione, volta non soltanto a trattare le nuove fattispecie di reato presupposto, ma anche a introdurre un metodo di analisi schematico e di più facile fruibilità per gli operatori interessati.

Come previsto dallo stesso D.Lgs. n. 231/2001 (art. 6, comma 3), il documento è stato sottoposto al vaglio del Ministero della Giustizia che in data 21 luglio 2014 ne ha comunicato l’approvazione definitiva.

L’acquisizione dei contenuti desunti da varie Linee Guida settoriali, unitamente a best practice di Modelli già presenti sul mercato e ancora di più dall’esperienza maturata in questi anni come società tecnica coin-volta nella costruzione e/o adeguamenti dei Modelli ai reati “tecnici” in fase iniziale, ovvero al monitoraggio dell’adeguatezza ed effettività dei modelli nel ruolo di Organismo di Vigilanza o di consulente tecnico che opera per conto dell’OdV, ha dato l’ispirazione per la costruzione di que-sta pubblicazione che unisce aspetti conoscitivi “generali” ad aspetti tecnico-operativi con esempi pratici.

Si precisa che alcuni stralci riportati nella pubblicazione sono stati estratti o mutuati ed adattati direttamente da Linee Guida emesse da associazioni di categoria o da Modelli considerati best practice dispo-nibili sulla rete internet o dei quali si ha la piena proprietà. I riferimen-ti bibliografici delle fonti utilizzate sono tutte disponibili nel capitolo “Bibliografia”a pagina 679.

1.2. Termini, definizioni e acronimi

I termini, le definizioni ovvero gli acronimi, laddove derivanti o ricon-ducibili ad una norma o ad una linea guida ufficialmente e universalmen-te riconosciuta, mantengono i riferimenti numerici dei paragrafi originali per una più semplice correlazione tra la presente pubblicazione e la norma di riferimento.

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capitolo 2.

IL DECRETO LEGISLATIVO 231/2001 E I REATI PER LA SALUTE

E SICUREZZA SUL LAVORO

2.1. Introduzione

L’art. 9 della L. n. 123/2007 ha introdotto nel D.Lgs. n. 231/2001 l’art. 25-septies, che estende la responsabilità amministrativa degli enti ai reati di omicidio colposo e lesioni personali colpose gravi o gravissime, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro.

L’intervento normativo è particolarmente rilevante perché per la pri-ma volta viene prevista la responsabilità degli enti per reati di natura colposa.

Tale circostanza impone un coordinamento con l’art. 5 del decreto, che definisce il criterio oggettivo di imputazione della responsabilità dell’ente, subordinandola all’esistenza di un interesse o vantaggio per l’ente.

Il criterio dell’”interesse” risulta tuttavia incompatibile con i reati di natura colposa, proprio perché non è configurabile rispetto a essi una finalizzazione soggettiva dell’azione. Pertanto, nelle ipotesi di commis-sione dei reati contemplati dall’art. 25-septies, la responsabilità prevista dal D.Lgs. n. 231/2001 è configurabile solo se dal fatto illecito ne sia derivato un vantaggio per l’ente, che, nel caso di specie, potrebbe esse-re rinvenuto in un risparmio di costi o di tempi.

Altro profilo di incompatibilità risiede nel mancato coordinamento della nuova normativa con l’esimente di cui all’art. 6 del decreto, nel-

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la parte in cui richiede la prova della elusione fraudolenta del modello organizzativo, sicuramente incompatibile con una condotta colposa.

A tal proposito, l’impasse si potrebbe superare facendo ricorso ad una interpretazione che, tenendo conto del diritto di difesa e del princi-pio di uguaglianza, permetta di prescindere da tale prova o, quantomeno di disancorare il concetto di “elusione fraudolenta” dalle tipiche fattispe-cie proprie del Codice Penale e di assumerlo in termini di intenzionalità della sola condotta dell’autore (e non anche dell’evento) in violazione delle procedure e delle disposizioni interne predisposte e puntualmen-te implementate dall’azienda per prevenire la commissione degli illeciti di cui si tratta o anche soltanto di condotte a tali effetti “pericolose”.

Questa interpretazione si fonda sui seguenti presupposti:

a) Le condotte penalmente rilevanti consistono nel fatto, da chiunque commesso, di cagionare la morte o lesioni gravi/gravissime al lavora-tore, per effetto dell’inosservanza di norme antinfortunistiche.

b) In linea teorica, soggetto attivo dei reati può essere chiunque sia tenuto ad osservare o far osservare la norme di prevenzione e pro-tezione. Tale soggetto può quindi individuarsi, ai sensi del D.Lgs. n. 81/2008, nei datori di lavoro, nei dirigenti, nei preposti, nei soggetti destinatari di deleghe di funzioni attinenti alla materia della salute e sicurezza sul lavoro, nonché nei medesimi lavoratori.

c) Nella previsione del codice penale, le fattispecie delittuose contem-plate dagli artt. 589 e 590 sono caratterizzate dall’aggravante della negligente inosservanza delle norme antinfortunistiche. L’elemento soggettivo, dunque, consiste nella c.d. colpa specifica, ossia nella volontaria inosservanza di norme precauzionali volte a impedire gli eventi dannosi previsti dalla norma incriminatrice.

d) Il concetto di colpa specifica rimanda all’art. 43 c.p., nella parte in cui si prevede che il delitto è colposo quando l’evento, anche se pre-veduto ma in ogni caso non voluto dall’agente, si verifica a causa dell’inosservanza di norme di leggi, regolamenti, ordini o discipline.

e) L’individuazione degli obblighi di protezione dei lavoratori è tutt’altro che agevole, infatti oltre alle disposizioni derivanti dal D.Lgs. 81/2008

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e agli altri specifici atti normativi in materia, la giurisprudenza della Cassazione ha precisato che tra le norme antinfortunistiche di cui agli artt. 589, comma 2, e 590, comma 3, c.p., rientra anche l’art. 2087 c.c., che impone al datore di lavoro di adottare tutte quelle misu-re che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica dei lavoratori. Bisogna specificare però che tale norma non può intendersi come prescriven-te l’obbligo generale ed assoluto di rispettare ogni cautela possibile ed “innominata” ad evitare qualsivoglia danno, perché in tal modo significherebbe ritenere automatica la responsabilità del datore di lavoro ogni volta che il danno si sia verificato (Cass. civ., sez. lav., n. 3740/ 1995). Prediligendo, inoltre, un approccio interpretativo siste-matico che valuti il rapporto di interazione tra norma generale (art. 2087 c.c.) e singole specifiche norme di legislazione antinfortunistica (D.Lgs. n. 81/2008), appare coerente concludere che:

- l’art. 2087 c.c. introduce l’obbligo generale contrattuale per il datore di lavoro di garantire la massima sicurezza tecnica, orga-nizzativa e procedurale possibile;

- conseguentemente l’elemento essenziale ed unificante delle varie e possibili forme di responsabilità del datore di lavoro, anche ai fini dell’applicabilità dell’art. 25-septies del D.Lgs. n. 231/2001, è uno solo ed è rappresentato dalla mancata adozione di tutte le misure di sicurezza e prevenzione tecnicamente possibili e con-cretamente attuabili, alla luce dell’esperienza e delle più avanzate conoscenze tecnico-scientifiche.

f) A specificare ulteriormente il generico dettato legislativo, può gio-vare la sentenza della Corte Costituzionale n. 312 del 18 luglio 1996secondo cui l’obbligo generale di massima sicurezza possibile devefare riferimento alle misure che nei diversi settori e nelle diverselavorazioni, corrispondono ad applicazioni tecnologiche generalmen-te praticate e ad accorgimenti generalmente acquisiti, sicché penal-mente censurata è solo la deviazione del datore di lavoro dagli stan-dard di sicurezza propri, in concreto ed al momento, delle singolediverse attività produttive.

g) Il novero degli obblighi in materia antinfortunistica si accresce ulte-

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riormente ove si consideri che secondo la migliore dottrina e la più recente giurisprudenza l’obbligo di sicurezza in capo al datore di lavoro non può intendersi in maniera esclusivamente statica quale obbligo di adottare le misure di prevenzione e sicurezza nei termini sopra esposti (forme di protezione oggettiva) ma deve al contrario intendersi anche in maniera dinamica implicando l’obbligo di infor-mare e formare i lavoratori sui rischi propri dell’attività lavorativa e sulle misure idonee per evitare i rischi o ridurli al minimo (forme di protezione soggettiva).

h) Il datore di lavoro che abbia, secondo i criteri sopra esposti, adem-piuto agli obblighi in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro (sia generali ex art. 2087 c.c. che speciali ex D.Lgs. n. 81/2008 e s.m.i), è responsabile del solo evento di danno che si sia verificato in occasione dell’attività di lavoro e abbia un nesso di derivazione effettiva con lo svolgimento dell’attività lavorativa. La giurisprudenza prevede infatti una interruzione del nesso di causalità tra la condotta dell’agente e l’evento lesivo ogni qual volta la condotta del lavoratore sia da considerare abnorme, ossia strana e imprevedibile e perciò stesso si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro. Conseguentemente rimangono fuori dall’am-bito di rilevanza normativa (ai fini della responsabilità civile e penale) gli infortuni derivanti dalla sussistenza del cd. rischio elettivo ossia il rischio diverso da quello a cui il lavoratore sarebbe ordinariamente esposto per esigenze lavorative ed abnorme ed esorbitante rispetto al procedimento di lavoro e che il lavoratore affronta per libera scel-ta con atto volontario puramente arbitrario per soddisfare esigenze meramente personali.

Il quadro sopra esposto, sia pure in termini di estrema sintesi, rife-rito alla complessità dei presupposti formali e sostanziali della respon-sabilità del datore di lavoro per violazione di norme antinfortunistiche, consente di concludere che di fatto, con l’entrata in vigore della L. n. 123/2007, ogni azienda che registri una consistente frequenza di infor-tuni gravi, dovrebbe considerare inaccettabile il “rischio” di incorrere, oltre che nelle responsabilità di matrice civile e penale tipiche della

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materia, anche nelle ulteriori sanzioni del D.Lgs. n. 231/2001, per il fatto di non aver predisposto ed efficacemente attuato un idoneo Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo.

Con riferimento ai profili di rilevanza ex lege n. 123/2007, il Modello Organizzativo, per essere efficacemente attuato, potrà utilmente esse-re integrato con il “sistema” degli adempimenti aziendali nascenti dagli obblighi di prevenzione e protezione imposti dall’ordinamento legislati-vo e, qualora presenti, con le procedure interne nascenti dalle esigenze di gestione della sicurezza sul lavoro.

2.2. Art. 25-septies del D.Lgs. 231/01

2.2.1 Premessa

Il decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 (Testo Unico Sicurezza sul lavoro – di seguito, “TU Sicurezza (1)”), in attuazione dell’art. 1 della L. 3 agosto 2007, n. 123 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, ha modificato il corpus del D.Lgs. 231/2001 introducen-do, all’art. 25-septies, i reati di omicidio colposo e lesioni gravi e gravis-sime, di cui agli articoli 589 e 590, comma 3 c.p. Con l’art. 25-septies si introduce per la prima volta una responsabilità amministrativa dell’en-te per reati colposi (i.e. omicidio colposo e lesioni personali colpose) in contrapposizione a quella derivante dalle altre fattispecie delittuose richiamate dal D.Lgs. 231/2001 fondate, invece, sull’elemento sogget-tivo del dolo.

In relazione a tali reati colposi, il criterio dell’interesse e/o vantaggio dell’ente nel compimento del reato merita una particolare riflessione. Secondo la dottrina prevalente e le prime pronunce giurisprudenziali, sembra potersi affermare che, in relazione alla commissione dei reati di cui agli articoli 589 e 590, il vantaggio e/o interesse dell’ente si configuri per il solo fatto che i presidi e le misure previsti dalla normativa sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro non siano stati implementati,

1. Il D.Lgs. 81/2008 ha abrogato il D.Lgs. 626/1994 che recava la disciplina relativa alla salutee alla sicurezza nei luoghi di lavoro attualmente contenuta nel citato decreto.

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determinando, in tal modo, un vantaggio economico indiretto per l’en-te. Ci si riferisce, ad esempio, alle spese per i consulenti e/o alla messa a norma in sicurezza degli impianti e/o delle strutture (2). Ciò posto, va tuttavia sottolineato che la responsabilità del datore di lavoro e dell’ente non possono estendersi ai casi in cui il lavoratore rimanga vittima di uno dei reati richiamati dall’art. 25-septies qualora la condotta di quest’ulti-mo non abbia rispettato gli standard generali di prudenza e possa esse-re definita come abnorme (non conforme), in relazione alle mansioni assegnate e alle modalità di esecuzione delle stesse (3).

A fini di completezza, si ricorda che l’impianto normativo del TU Sicu-rezza si articola in una serie di obblighi e precauzioni che il datore di lavoro e i soggetti preposti alla sicurezza aziendale sono tenuti a rispet-tare/implementare al fine di garantire il rispetto della citata normativa. Tra i vari obblighi, è presente anche un generale dovere di formare il personale in materia di igiene e sicurezza sul lavoro (4).

2. La sentenza del Tribunale di Trani del 26 ottobre 2009, ha infatti chiarito che “…omissis…Se l’evento delittuoso infatti è il risultato della mancata adozione di misure di prevenzione,spesso è agevole sostenere che la mancata adozione di tali misure abbia garantito un van-taggio alla società o all’ente, ad esempio nella forma di un risparmio di costi…omissis…Quindi il requisito dell’interesse o del vantaggio è pienamente compatibile con l’illecitointrodotto dall’art. 9, L. 123 dovendosi di volta in volta accertare solo se la condotta che hadeterminato la morte o le lesioni personali sia stata o meno determinata da scelte rientranti oggettivamente nella sfera di interesse dell’ente oppure se la condotta medesima abbiacomportato almeno un beneficio a quest’ultimo senza apparenti interessi esclusivi di altri.

3. Si vedano le sentenza Cass. pen., sez. IV,16422 del 29/01/2007 e Cass. Penale n. 32357/2010.4. I punti cardine della disciplina sono essenzialmente contenuti all’art. 15 del TU Sicurezza

(“Art. 15. Misure generali di tutela.1. Le misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavorosono: a) la valutazione di tutti i rischi per la salute e sicurezza; b) la programmazione del-la prevenzione, mirata ad un complesso che integri in modo coerente nella prevenzionele condizioni tecniche produttive dell’azienda nonché l’influenza dei fattori dell’ambiente edell’organizzazione del lavoro; c) l’eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia possibile, la lororiduzione al minimo in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico; d) ilrispetto dei principi ergonomici nell’organizzazione del lavoro, nella concezione dei posti dilavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e produzione, in particolare al fine di ridurre gli effetti sulla salute del lavoro monotono e di quello ripetitivo;e) la riduzione dei rischi alla fonte; f) la sostituzione di ciò che è pericoloso con ciò che non lo è, o è meno pericoloso; g) la limitazione al minimo del numero dei lavoratori che sono, o che possono essere, esposti al rischio; h) l’utilizzo limitato degli agenti chimici, fisici e biologicisui luoghi di lavoro; i) la priorità delle misure di protezione collettiva rispetto alle misure diprotezione individuale; l) il controllo sanitario dei lavoratori; m) l’allontanamento del lavora-tore dall’esposizione al rischio per motivi sanitari inerenti la sua persona e l’adibizione, ove

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Tali obblighi ricadono sul datore di lavoro che può avvalersi di con-sulenti o delegare a terzi quelli che la legge non gli riserva esplicita-mente (i.e. obblighi non delegabili: valutazione e predisposizione di una relazione che verta sui rischi aziendali; individuazione e designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dei rischi). La delega delle funzioni non esclude tuttavia la responsabilità penale del datore di lavoro in caso di infortunio del lavoratore in quanto il soggetto delegato non è titolare di alcuna posizione di garanzia rispetto all’osser-vanza della normativa antinfortunistica e che opera quale “consulente” in tale materia del datore di lavoro, il quale è e rimane direttamente tenuto ad assumere le necessarie iniziative idonee a neutralizzare le situazioni di rischio (5).

Si sottolinea inoltre che lo stesso art. 30 del TU Sicurezza (“Modelli di organizzazione e gestione”) specifica che il modello di organizzazione e gestione, adottato ai sensi del Decreto 231/01 (MOG), non può dirsi efficacemente attuato qualora non assicuri il funzionamento di un siste-ma aziendale per l’adempimento degli obblighi derivanti dalla normativa sulla tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro (sistema di gestione dei rischi (6).

possibile, ad altra mansione; n) l’informazione e formazione adeguate per i lavoratori; o) l’in-formazione e formazione adeguate per dirigenti e i preposti; p) l’informazione e formazione adeguate per i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; q) le istruzioni adeguate ai lavo-ratori; r) la partecipazione e consultazione dei lavoratori; s) la partecipazione e consultazione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; t) la programmazione delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza, anche attraverso l’adozione di codici di condotta e di buone prassi; u) le misure di emergenza da attuare in caso di primo soccorso, di lotta antincendio, di evacuazione dei lavoratori e di pericolo grave e immediato; v) l’uso di segnali di avvertimento e di sicurezza; z) la regolare manutenzione di ambienti, attrezzature, impianti, con particolare riguardo ai dispositivi di sicurezza in con-formità alla indicazione dei fabbricanti.

2. Le misure relative alla sicurezza, all’igiene ed alla salute durante il lavoro non devono in nessun caso comportare oneri finanziari per i lavoratori.”).

5. Si veda la sentenza della Cass. Penale n. 32357/2010.6. Ai sensi dell’art. 30 del TU Sicurezza un adeguato modello di gestione deve essere imper-

niato sui seguenti punti cardine: (i) rispetto degli standard tecnico-strutturali relativi a attrez-zature, impianti, luoghi di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici; (ii) attività di valutazione dei rischi e predisposizione delle misure di prevenzione e protezione conseguenti; (iii) attività di natura organizzativa, quali emergenze, primo soccorso, gestione degli appalti, riunioni perio-diche di sicurezza, consultazioni dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; (iv) sorve-glianza sanitaria; (v) informazione e formazione dei lavoratori; (vi) vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori;

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Si profila pertanto un sistema “preventivo”, articolato sull’interazione di due differenti modelli gestionali e comportamentali: il primo trae origi-ne dagli obblighi del TU Sicurezza e declina in modo specifico le respon-sabilità e gli oneri dei soggetti direttamente coinvolti nella gestione e nel monitoraggio della sicurezza sul luogo di lavoro; il secondo, il MOG, è costituito da una serie più ampia di obblighi e generiche precauzioni improntate ai doveri di correttezza e trasparenza, sulla scorta del D.Lgs. 231/2001, che comprende, al suo interno, anche la struttura del modello ex TU Sicurezza.

Si ricorda infine il ruolo chiave della formazione del personale, richia-mato sia dal D.Lgs. 231/2001 sia dal TU Sicurezza ognuno per i propri rispettivi scopi e ambiti di applicazione, che si configura come momen-to di partecipazione dei dipendenti alla vita dell’azienda e di accresci-mento della loro consapevolezza sul tema dei diritti e dei doveri di ciascuno.

L’importanza della formazione, oltre al coinvolgimento e alla parteci-pazione dei lavoratori, è stato ulteriormente enfatizzato nell’aggiorna-mento di marzo 2014 dalle Linee Guida di Confindustria.

È importante ora riassumere le fattispecie di reato in tema di salute e sicurezza, le sanzioni previste, i rischi connessi e gli aspetti procedurali.

2.2.2 Reati presupposto

2.2.2.1 Omicidio colposo

Art. 589 - Omicidio colposoChiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.Se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazio-ne stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni.

(vii) documentazioni e certificazioni obbligatorie per legge; (viii) verifiche dell’applicazione e dell’efficacia delle procedure adottate.

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Si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale da:1) soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’art. 186, comma 2, lett. c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni;2) soggetto sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope.Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo,ma la pena non può superare gli anni quindici.

FATTISPECIE PREVISTE DALL’ART. 55 DEL D.LGS. 81/2008

D.Lgs. 81/2008 - Art. 55 - Sanzioni per il datore di lavoro e il dirigente1. È punito con l’arresto da quattro a otto mesi o con l’ammenda da 5.000 a 15.000 euro il datore di lavoro:a) che omette la valutazione dei rischi e l’adozione del documento di cui all’art. 17, comma 1, lett. a), ovvero che lo adotta in assenza degli elementi di cui alle lettere a), b), d) ed f) dell’art. 28 e che viola le disposizioni di cui all’art. 18, comma 1, lettere q) e z), prima parte;b) che non provvede alla nomina del responsabile del servizio di prevenzione eprotezione ai sensi dell’art. 17, comma 1, lett. b), salvo il caso previsto dall’art. 34.2. Nei casi previsti al comma 1, lett. a), si applica la pena dell’arresto da sei mesia un anno e sei mesi se la violazione è commessa:a) nelle aziende di cui all’art. 31, comma 6, lettere a), b), c), d), f);b) in aziende in cui si svolgono attività che espongono i lavoratori a rischi biologici di cui all’art. 268, comma 1, lettere c) e d), da atmosfere esplosive, canceroge-ni mutageni, e da attività di manutenzione, rimozione smaltimento e bonifica di amianto;c) per le attività disciplinate dal titolo IV caratterizzate dalla compresenza di piùimprese e la cui entità presunta di lavoro non sia inferiore a 200 uomini-giorno.3. È punito con l’ammenda da 3.000 a 9.000 euro il datore di lavoro che non redige il documento di cui all’art. 17, comma 1, lett. a), secondo le modalità di cui all’art. 29, commi 1, 2 e 3, nonché nei casi in cui nel documento di valutazione dei rischi manchino una o più delle indicazioni di cui all’art. 28, comma 2, lettere c) ed e).4. Il datore di lavoro e il dirigente sono puniti:a) con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 800 a 3.000 euro per la

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violazione degli articoli 18, comma 1, lettere b), e), g), i), m), n), o), p), 34, comma 3, 36, commi 1, 2 e 3, 43, comma 1, lettere a), b) e c);b) con l’arresto da tre a sei mesi o con l’ammenda da 2.000 a 5.000 euro per laviolazione degli articoli 18, commi 1, lettere d), h) e v), e 2, 26, comma 1, lett. b), 43, comma 1, lettere d) ed e), 45, comma 1, 46, comma 2;c) con l’arresto da tre a sei mesi o con l’ammenda da 2.000 a 5.000 euro per laviolazione dell’art. 18, comma 1, lett. c). Nei casi previsti dal comma 2, si applica la pena dell’arresto da quattro a otto mesi;d) con l’arresto da quattro a otto mesi o con l’ammenda da 1.500 a 6.000 euro per la violazione degli articoli 26, comma 1, e 2, lettere a) e b), 34, commi 1 e 2;e) con l’arresto da quattro a otto mesi o con l’ammenda da 2.000 a 4.000 euro perla violazione degli articoli 18, comma 1, lett. l), e 43, comma 4;f) con l’arresto da tre a sei mesi o con l’ammenda da 3.000 a 10.000 euro per nonaver provveduto alla nomina di cui all’art. 18, comma 1, lett. a);g) con la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.500 a 4.500 euro per la violazio-ne dell’art. 18, comma 1, lett. bb);h) con la sanzione amministrativa pecuniaria da 2.500 a 10.000 euro per la violazio-ne degli articoli 29, comma 4, e 35, comma 2; i) con la sanzione amministrativa pecuniaria da 2.500 a 7.500 euro per la violazione dell’art. 18, comma 1, lett. r), con riferimento agli infortuni superiori ai tre giorni;l) con la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 a 3.000 euro per la viola-zione dell’art. 18, comma 1, lett. r), con riferimento agli infortuni superiori ad un giorno;m) con la sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 500 euro per ciascun lavo-ratore, in caso di violazione dell’art. 26, comma 8;n) con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 1.000 a euro 3.000 in caso diviolazione dell’art. 18, comma 1, lett. s);o) con la sanzione amministrativa pecuniaria di euro 500 in caso di violazionedell’art. 18, comma 1, lett. aa).5. L’applicazione della sanzione di cui al comma 4, lett. i), esclude l’applicazionedelle sanzioni conseguenti alla violazione dell’art. 53 del testo unico delle dispo-sizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124.

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capitolo 3.

IL DECRETO LEGISLATIVO 231/2001 E I REATI AMBIENTALI

3.1. Introduzione

Il decreto legislativo 7 luglio 2011, n. 121 (entrato in vigore il 16/08/2011) ha dato attuazione a due direttive CE (sulla tutela penale dell’ambiente e sull’inquinamento provocato dalle navi) introducendo nel codice penale due nuovi reati (l’art. 727-bis c.p., uccisione, distruzio-ne, cattura, prelievo, detenzione di esemplari di specie animali o vege-tali selvatiche protette e l’art. 733-bis c.p., distruzione o deterioramento di habitat all’interno di un sito protetto) ed inserendo l’art. 25-undecies nel decreto legislativo 231/2001.

Il decreto legislativo 7 luglio 2011 recepisce la normativa comunitaria in materia ambientale e di tutela penale dell’ambiente, realizzando la delega conferita con la Legge comunitaria del 2009. Il legislatore si è limitato peraltro ad emanare le norme strettamente necessarie a garan-tire l’adempimento agli obblighi europei, senza riordinare, come da mol-ti era auspicato, l’intera materia dei reati ambientali.

In relazione alla Direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambien-te, il legislatore delegato ha esteso l’attuale apparato sanzionatorio inserendo le fattispecie sanzionate dalla Direttiva assenti nell’ordina-mento italiano: uccisione, distruzione, prelievo o possesso di esem-plari di specie animali e vegetali selvatiche protette (art. 727-bis, c.p.) e distruzione o deterioramento di habitat all’interno di un sito protetto (art. 733-bis, c.p.).

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Ben più significativa è invece l’altra novità introdotta dal Decreto: l’estensione della responsabilità degli enti ai sensi del Decreto 231 ad alcuni reati ambientali. Le Direttive comunitarie hanno infatti imposto agli Stati membri dell’Unione di estendere alle persone giuridiche la responsabilità per i reati ambientali commessi a loro vantaggio. Per questa ragione sono state individuate come “sensibili” ai sensi del Decreto 231 alcuni reati ambientali già in vigore, oltre ai due nuovi rea-ti in precedenza individuati: ne è così scaturito l’art. 25-undecies del Decreto 231, che ha determinato la necessità di revisione dei previgenti modelli organizzativi, nonché nuovi carichi di lavoro per gli Organismo di Vigilanza.

Pesanti sono anche le sanzioni, giacché per alcuni reati ambientali (non tutti) il giudice potrà applicare l’aspra misura delle sanzioni inter-dittive, oltre alle rilevanti sanzioni pecuniarie previste per tutti i reati sensibili.

Con l’introduzione dell’art. 25-undecies si estende la responsabilità “amministrativa” degli enti alla materia ambientale. Tale responsabilità sorge in seguito alla commissione dei reati ambientali espressamente indicati. Quelli più rilevanti per le aziende sono previsti dal decreto legi-slativo 152/2006:

Tab. 3.1 - Reati ambientali introdotti nei reati 231

In materia di scarichi di acque reflue

Art. 137, comma 2Scarico di acque reflue industriali contenenti sostanze pericolose (Tab. 5 e 3/A All. 5 Parte III) senza autorizzazione o con autorizzazione sospesa o revocata

Art. 137, comma 3

Scarico di acque reflue industriali contenenti sostanze pericolose(Tab. 5 e 3/A All. 5 Parte III) in violazione delle prescrizioni autorizzative o comunque impartite dall’Autorità competente

Art. 137, comma 5, primo periodo

Scarico di acque reflue industriali con superamento dei limiti di scarico fissati dalle Tab. 3 e 4 All. 5 Parte III in relazione alle sostanze pericolose di Tab. 5 All. 5 Parte III ovvero dei limiti più restrittivi fissati dall’Autorità competente

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Tab. 3.1 - Reati ambientali introdotti nei reati 231

Art. 137, comma 5, secondo periodo

Scarico di acque reflue industriali con superamento dei limiti di scarico fissati in relazione alle sostanze pericolose di Tab. 3/A All. 5 Parte III

Art. 137, comma 11Violazione del divieto di scarico su suolo, sottosuolo e acque sotterranee

Art. 137, comma 13Scarico in mare da parte di navi o aeromobili di sostanze o materiali vietati

In materia di rifiuti e bonifiche

Art.  256, comma 1, lett. a) Gestione illecita di rifiuti non pericolosi

Art. 256, comma 1, lett. b) Gestione illecita di rifiuti pericolosi

Art. 256, comma 3/1 Discarica abusiva

Art. 256, comma 3/2 Discarica abusiva per rifiuti pericolosi

Art. 256, comma 4Inosservanza delle prescrizioni o assenza dei requisiti per iscrizioni/comunicazioni

Art. 256, comma 5 Miscelazione vietata

Art. 256, comma 6/1 Deposito temporaneo illecito di rifiuti sanitari pericolosi

Art. 257, comma 1Omessa comunicazione di inquinamento. Omessa bonifica con superamento delle CSR

Art. 257, commi 1 e 2Omessa bonifica con superamento delle CSR per inquinamento da sostanze  pericolose

Art. 258, comma 4/2 Predisposizione/utilizzo di certificato di analisi falso

Art. 259, comma 1 Traffico illecito di rifiuti

Art. 260, commi 1 e 2 Attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti

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Tab. 3.1 - Reati ambientali introdotti nei reati 231

Art. 260-bis, comma 6Predisposizione/utilizzo di certificato di analisi falso nel SISTRI

Art. 260-bis, comma 7/2Trasporto di rifiuti pericolosi senza la copia cartacea della Scheda SISTRI – Area movimentazione

Art. 260-bis, comma 7/3 Utilizzo di certificato di analisi falso durante il trasporto

Art. 260-bis, comma 8/1-2Trasporto di rifiuti con copia cartacea della Scheda SISTRI – Area movimentazione fraudolentemente alterata

In materia di emissioni in atmosfera

Art. 279, comma 5Emissioni in atmosfera con superamento dei limiti, con contestuale superamento dei valori limite di qualità dell’aria

A questi reati si aggiungono quelli previsti:

• dall’art 727-bis e 733-bis del codice penale, precitati;

• dalla L. 150/1992 sul commercio di specie animali e vegetali protettee di mammiferi e rettili pericolosi (art. 1 comma 1 e 2, art. 2 comma1 e 2, art 3-bis comma 1, art. 6  comma 4);

• dalla L. 549/1993 recante misure a tutela dell’ozono stratosferico edell’ambiente (art. 3 comma 6);

• dal D.Lgs. 202/2007 sull’inquinamento provocato dalle navi (art. 8comma 1, 2, art. 9 comma 1, 2).

3.2. Art. 25-undecies del D.Lgs. n. 231/01

1) In relazione alla commissione dei reati previsti dal codice penale, siapplicano all’ente le seguenti sanzioni pecuniarie:

a) per la violazione dell’art. 727-bis la sanzione pecuniaria fino a due-centocinquanta quote;

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b) per la violazione dell’art. 733-bis la sanzione pecuniaria da cento-cinquanta a duecentocinquanta quote.

2) In relazione alla commissione dei reati previsti dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si applicano all’ente le seguenti sanzioni pecu-niarie:

a) per i reati di cui all’art. 137:

1) per la violazione dei commi 3, 5, primo periodo, e 13, la sanzio-ne pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;

2) per la violazione dei commi 2, 5, secondo periodo, e 11, la san-zione pecuniaria da duecento a trecento quote.

b) per i reati di cui all’art. 256:

1) per la violazione dei commi 1, lett. a), e 6, primo periodo, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote;

2) per la violazione dei commi 1, lett. b), 3, primo periodo, e 5, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;

3) per la violazione del comma 3, secondo periodo, la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote;

c) per i reati di cui all’art. 257:

1) per la violazione del comma 1, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote;

2) per la violazione del comma 2, la sanzione pecuniaria da cento-cinquanta a duecentocinquanta quote;

d) per la violazione dell’art. 258, comma 4, secondo periodo, la san-zione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;

e) per la violazione dell’art. 259, comma 1, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;

f) per il delitto di cui all’art. 260, la sanzione pecuniaria da trecento a cinquecento quote, nel caso previsto dal comma 1 e da quattro-cento a ottocento quote nel caso previsto dal comma 2;

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g) per la violazione dell’art. 260-bis, la sanzione pecuniaria da centocin-quanta a duecentocinquanta quote nel caso previsto dai commi 6, 7, secondo e terzo periodo, e 8, primo periodo, e la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote nel caso previsto dal comma 8, secon-do periodo;

h) per la violazione dell’art. 279, comma 5, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote.

3. In relazione alla commissione dei reati previsti dalla L. 7 febbraio 1992, n. 150, si applicano all’ente le seguenti sanzioni pecuniarie:

a) per la violazione degli articoli 1, comma 1, 2, commi 1 e 2, e 6, comma 4, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote;

b) per la violazione dell’art. 1, comma 2, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;

c) per i reati del codice penale richiamati dall’art. 3-bis, comma 1, della medesima L. n. 150 del 1992, rispettivamente:

1) la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote, in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena non superiore nel massimo ad un anno di reclusione;

2) la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote, in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena non superiore nel massimo a due anni di reclusione;

3) la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote, in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena non superiore nel massimo a tre anni di reclusione;

4) la sanzione pecuniaria da trecento a cinquecento quote, in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena superiore nel massimo a tre anni di reclusione.

4. In relazione alla commissione dei reati previsti dall’art. 3, comma 6, della L. 28 dicembre 1993, n. 549, si applica all’ente la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote.

5. In relazione alla commissione dei reati previsti dal decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 202, si applicano all’ente le seguenti sanzioni pecuniarie:

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IL DECRETO LEGISLATIVO 231/2001 E I REATI AMBIENTALI

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a) per il reato di cui all’art. 9, comma 1, la sanzione pecuniaria fino aduecentocinquanta quote;

b) per i reati di cui agli articoli 8, comma 1, e 9, comma 2, la sanzionepecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote;

c) per il reato di cui all’art. 8, comma 2, la sanzione pecuniaria daduecento a trecento quote.

6. Le sanzioni previste dal comma 2, lett. b), sono ridotte della metà nelcaso di commissione del reato previsto dall’art. 256, comma 4, deldecreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

7. Nei casi di condanna per i delitti indicati al comma 2, lett. a), n. 2), b),n. 3), e f), e al comma 5,lettere b) e c), si applicano le sanzioni inter-dittive previste dall’art. 9, comma 2, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, per una durata non superiore a sei mesi.

8. Se l’ente o una sua unità organizzativa vengono stabilmente utilizzatiallo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissionedei reati di cui all’art. 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152,e all’art. 8 del decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 202, si applicala sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensidell’art. 16, comma 3, del decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231.

Le norme richiamate dall’art. 25-undecies del D.Lgs. 231/2001 sono:

- art. 727-bis c.p.;

- art. 733-bis c.p.;

- D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, artt. 137, 256, 257, 258, 259, 260,260-bis, 279;

- Legge 7 febbraio 1992, n. 150, artt. 1 e 3-bis;

- Legge 28 dicembre 1993, n. 549, art. 3;

- D.Lgs. 6 novembre 2007, n. 202, artt. 8 e 9.

Come già riportato al paragrafo 2.2, a pagina 53, relativa ai reati in tema di salute e sicurezza, è importante ora riassumere le fattispecie di reato in tema ambientale, le sanzioni previste, i rischi connessi e gli aspetti procedurali.

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capitolo 4.

LE ATTIVITÀ PROPEDEUTICHE ALLA COSTRUZIONE DEL MODELLO 231

4.1. Introduzione

4.1.1 Premessa

L’art. 6, comma 2, del decreto 231 indica le caratteristiche essenziali per la costruzione di un modello di organizzazione, gestione e controllo. In particolare, le lettere a) e b) della disposizione si riferiscono espres-samente ad alcune attività correlate ad un processo di sana e prudente gestione dei rischi.

Fermo restando l’esigenza che ogni impresa costruisca e mantenga in efficienza il proprio sistema di gestione dei rischi e di controllo inter-no, anche in ottica di “compliance integrata”, di seguito si propone un approccio coerente con i principali framework di riferimento in tema di controllo interno e di gestione dei rischi (1).

Le fasi principali in cui il sistema di prevenzione dei rischi 231 dovreb-be articolarsi sono le seguenti:

a) l’identificazione dei rischi potenziali: ossia l’analisi del contesto aziendale per individuare in quali aree o settori di attività e secondo

1. Ci si riferisce, in particolare, all’Internal Control Integrated Framework (CoSO Report) emes-so dal Committee of Sponsoring Organizations Commission (CoSO) del 1992 e aggiornato nel maggio 2013 in materia di sistema di controllo interno e all’Enterprise Risk Management Framework (c.d. ERM), anch’esso emesso dal CoSO nel 2004 in materia di gestione dei rischi.

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quali modalità si potrebbero astrattamente verificare eventi pregiudi-zievoli per gli obiettivi indicati dal decreto 231. Per “rischio” si intende qualsiasi variabile o fattore che nell’ambito dell’azienda, da soli o in correlazione con altre variabili, possano incidere negativamente sul raggiungimento degli obiettivi indicati dal decreto 231 (in particolare all’art. 6, comma 1, lett. a); pertanto, a seconda della tipologia di reato, gli ambiti di attività a rischio potranno essere più o meno este-si. Per esempio, in relazione al rischio di omicidio colposo o lesioni colpose gravi o gravissime commessi con violazione delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro, l’analisi dovrà verosimilmen-te estendersi alla totalità delle aree ed attività aziendali;

b) la progettazione del sistema di controllo (cd. “protocolli” per la programmazione della formazione e attuazione delle decisioni dell’en-te), ossia la valutazione del sistema esistente all’interno dell’ente per la prevenzione dei reati ed il suo eventuale adeguamento, in termini di capacità di contrastare efficacemente, cioè ridurre ad un livello accettabile, i rischi identificati. Sotto il profilo concettuale, ridurre un rischio comporta di dover intervenire - congiuntamente o disgiunta-mente - su due fattori determinanti: i) la probabilità di accadimento dell’evento e ii) l’impatto dell’evento stesso.

Il sistema delineato, per operare efficacemente, deve tradursi in un processo continuo o comunque svolto con una periodicità adegua-ta, da rivedere con particolare attenzione in presenza di cambiamenti aziendali (apertura di nuove sedi, ampliamento di attività, acquisizioni, riorganizzazioni, modifiche della struttura organizzativa, ecc.), ovvero di introduzione di nuovi reati presupposto della responsabilità dell’ente in via normativa.

Un concetto nodale nella costruzione di un sistema di controllo pre-ventivo è quello di rischio accettabile. Nella progettazione di sistemi di controllo a tutela dei rischi di business, definire il rischio accettabi-le è un’operazione relativamente semplice, almeno dal punto di vista concettuale. Il rischio è ritenuto accettabile quando i controlli aggiuntivi “costano” più della risorsa da proteggere (ad esempio: le comuni auto-mobili sono dotate di antifurto e non anche di un vigilante armato).

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LE ATTIVITÀ PROPEDEUTICHE ALLA COSTRUZIONE DEL MODELLO 231

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Nel caso del decreto 231 del 2001 la logica economica dei costi non può però essere un riferimento utilizzabile in via esclusiva. È pertanto importante che ai fini dell’applicazione delle norme del decreto sia defi-nita una soglia effettiva che consenta di porre un limite alla quantità/qualità delle misure di prevenzione da introdurre per evitare la commis-sione dei reati considerati. In assenza di una previa determinazione del rischio accettabile, la quantità/qualità di controlli preventivi istituibili è, infatti, virtualmente infinita, con le intuibili conseguenze in termini di operatività aziendale.

Del resto, il generale principio, invocabile anche nel diritto penale, dell’esigibilità concreta del comportamento rappresenta un criterio di riferimento ineliminabile anche se, spesso, appare difficile individuarne in concreto il limite.

Riguardo al sistema di controllo preventivo da costruire in relazione al rischio di commissione delle fattispecie di reato contemplate dal decre-to 231, la soglia concettuale di accettabilità, nei casi di reati dolosi, è rappresentata da un:

sistema di prevenzione tale da non poter essere aggirato se non FRAUDOLENTEMENTE

Questa soluzione è in linea con la logica della “elusione fraudolenta” del modello organizzativo quale esimente espressa dal decreto 231 ai fini dell’esclusione della responsabilità amministrativa dell’ente (art. 6, comma 1, lett. c, “le persone hanno commesso il reato eludendo frau-dolentemente i modelli di organizzazione e di gestione”).

Come chiarito dalla più recente giurisprudenza (cfr. Cass., V sez. pen., sent. n. 4677 del 2014), la frode cui allude il decreto 231 non necessariamente richiede veri e propri artifici e raggiri, che rendereb-bero di fatto quasi impossibile predicare l’efficacia esimente del model-lo. Al tempo stesso, però, la frode neppure può consistere nella mera violazione delle prescrizioni contenute nel modello. Essa presuppone, dunque, che la violazione di quest’ultimo sia determinata comunque da un aggiramento delle “misure di sicurezza”, idoneo a forzarne l’efficacia.

La soglia concettuale di accettabilità, agli effetti esimenti del decreto

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231, va diversamente modulata in relazione ai reati di omicidio colpo-so e lesioni personali colpose commessi con violazione delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro, nonché ai reati ambientali punibili per colpa.

L’elusione fraudolenta dei modelli organizzativi, infatti, appare incom-patibile con l’elemento soggettivo dei reati colposi, in cui manca la volontà dell’evento lesivo della integrità fisica dei lavoratori o dell’am-biente.

In queste ipotesi la soglia di rischio accettabile è rappresentata dalla realizzazione di una condotta in violazione del modello organizzativo di prevenzione (e, nel caso dei reati in materia di salute e sicurezza, dei sottostanti adempimenti obbligatori prescritti dalle norme prevenzioni-stiche), nonostante la puntuale osservanza degli obblighi di vigilanza previsti dal decreto 231 da parte dell’Organismo di Vigilanza (per gli approfondimenti si rimanda al Capitolo 6 a pagina 407).

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Fig. 4.1 - Processo di identificazione del rischio fino alla sua valutazione finale di accettabilità per la prevenzione del reato

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4.1.2 Passi operativi per la realizzazione di un sistema di gestione del rischio

Premesso che i modelli organizzativi devono essere idonei a preve-nire i reati di origine sia dolosa che colposa previsti dal decreto 231, primo obiettivo per la costruzione di un modello organizzativo è la pro-cedimentalizzazione delle attività che comportano un rischio di reato, al fine di evitarne la commissione.

Occorre comunque tenere presente, come accennato sopra, che gli stessi reati possono essere commessi anche una volta attuato il modello. Tuttavia in tal caso, trattandosi di reati dolosi, l’agente deve avere voluto sia la condotta che l’evento (laddove quest’ultimo sia elemento costitu-tivo dei reato). In questa ipotesi il modello e le relative misure devono essere tali che l’agente non solo dovrà “volere” l’evento reato (ad esem-pio, corrompere un pubblico funzionario) ma potrà attuare il suo proposito criminoso soltanto aggirando fraudolentemente le indicazioni dell’ente.

Ovviamente non può pretendersi un livello di prevenzione irraggiun-gibile, vale a dire non proporzionato alla natura dell’ente e al disposto normativo. In particolare, a meno di non voler superare fondamentali principi, quali quello di tassatività - presidio tanto di una corretta applica-zione delle sanzioni amministrative, quanto di quelle penali - le imprese dovranno tendere a porre in essere meccanismi tali da poter essere elusi solo fraudolentemente.

L’insieme di misure che l’agente, se vuol delinquere, sarà costretto a “forzare”, dovrà essere realizzato in relazione alle specifiche attività dell’ente considerate a rischio e ai singoli reati ipoteticamente collega-bili alle stesse (2).

Nell’ipotesi, invece, di reati colposi, deve essere voluta la sola con-dotta, non anche l’evento.

2. Una logica di questo tipo è coerente con i consolidati riferimenti internazionali in tema di controllo interno e di corporate governance ed è alla base dei sistemi di autovalutazione dei rischi (Control Self Assessment) già presenti nelle più avanzate realtà aziendali italiane e, comunque, in rapida diffusione nel nostro sistema economico. Il riferimento internazionale comunemente accettato come modello di riferimento in tema di governance e controllo interno è il CoSO Report.

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La metodologia per la realizzazione di un sistema di gestione del rischio che verrà di seguito esposta ha valenza generale. Il procedi-mento descritto, infatti, può essere applicato a varie tipologie di rischio: legale (rispetto di norme di legge), operativo, di reporting finanziario, ecc. Questa caratteristica consente di utilizzare il medesimo approccio anche qualora i principi del decreto 231 vengano estesi ad altri ambiti.

In effetti, il modello di organizzazione e gestione previsto dal decreto 231 spesso incrocia altri sistemi di prevenzione e gestione di rischi già previsti e implementati nell’organizzazione aziendale.

Per esempio, la legislazione prevenzionistica vigente in materia di salute e sicurezza sul lavoro (D.Lgs. n. 81 del 2008 e successive modifi-che) detta principi cogenti e adempimenti organizzativi obbligatori ai fini della gestione dei rischi. In tal caso, quando l’impresa decide di adottare un modello di organizzazione e gestione, deve assicurare la presenza di un sistema aziendale per l’adempimento delle previsioni del decreto 81 del 2008. In questo modo, l’ente potrà disporre di un sistema di prevenzione e gestione dei rischi in tema di salute e sicurezza sul lavoro complessivamente rispondente alle prescrizioni imposte dal decreto 81 (al fine di eliminare o minimizzare i rischi di malattie professionali e infor-tuni) e dal decreto 231 (per ridurre ad un livello “accettabile” il rischio di una condotta deviante dalle regole poste dal modello organizzativo). Una simile soluzione può consentire una più efficace attività di preven-zione di rischi, con sensibili vantaggi in termini di razionalizzazione e sostenibilità dei sistemi di prevenzione.

Infatti, il legislatore ha seguito un approccio sinergico in tema di sistemi di minimizzazione e gestione dei rischi per la salute e la sicurez-za dei lavoratori, intrecciando la disciplina prevenzionistica del decreto 81 con quella della responsabilità degli enti. L’articolo 30, comma 5, del decreto 81 afferma che i modelli di organizzazione e gestione adot-tati sulla base di alcuni sistemi di controllo del rispetto delle norme in materia di salute e sicurezza dei lavoratori (Linee guida UNI-INAIL del 2001 o British Standard OHSAS 18001:2007) si presumono conformi ai requisiti di idoneità ai fini dell’efficacia esimente dalla responsabilità da reato dell’ente.

Questo non significa che il possesso delle certificazioni volonta-

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rie indicate dalla norma sia di per sé sufficiente a esonerare l’ente da responsabilità da reato in caso di eventuali infortuni o malattie profes-sionali. L’articolo 6, comma 1, lett. a) del decreto 231, infatti, specifica che il modello idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi non deve essere solo adottato, ma anche efficacemente attuato.

Ebbene, come chiarito dalla giurisprudenza, la presunzione di con-formità sancita dall’articolo 30, comma 5, decreto 81 del 2008 può coprire la valutazione di astratta idoneità preventiva del modello, non anche la verifica in ordine alla sua efficace attuazione. Quest’ul-tima non può prescindere dall’osservazione concreta e reale - da parte del giudice - del modo in cui il modello organizzativo è vissuto nell’as-setto imprenditoriale, al fine di verificare se il documento in cui esso consta sia stato effettivamente implementato.

Le considerazioni che precedono valgono a maggior ragione per gli altri sistemi di gestione aziendale, per i quali la legislazione non preve-de alcuna presunzione di conformità. Si pensi, per esempio, ai siste-mi certificati da organismi internazionalmente riconosciuti in materia ambientale.

Se una norma che espressamente stabilisce la presunzione di con-formità del modello (art. 30, comma 5, decreto 81 del 2008) non può valere di per sé a esimere l’ente da responsabilità in caso di concre-tizzazione del rischio reato, perché residua un margine di discreziona-lità giudiziale nel valutare l’effettiva attuazione del modello, a maggior ragione la sola adozione di un sistema di gestione certificato, per di più non assistito da presunzione di conformità, non può mettere l’impresa al riparo da responsabilità da reato.

I sistemi di certificazione, infatti, mirano a migliorare l’immagine e la visibilità delle imprese che li adottano, consolidando il consenso che esse riscuotono sul mercato presso investitori e clienti.

Hanno dunque una funzione diversa dai modelli di organizzazione e gestione previsti dal decreto 231, i quali, invece, servono a prevenire i reati nell’ambito dell’attività dell’ente o comunque a metterlo al riparo da responsabilità per i casi in cui, nonostante l’adozione e l’efficace attuazione dei modelli, tali reati si siano comunque verificati.

Coerentemente, i requisiti di idoneità dei modelli ai fini dell’esclusio-

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ne della responsabilità da reato dell’ente non sono del tutto corrispon-denti a quelli richiesti per ottenere le certificazioni dei sistemi di gestio-ne, ad esempio della qualità, dell’ambiente o della salute e sicurezza sul lavoro. In particolare, l’articolo 6 del decreto 231 prevede l’istituzione di un Organismo di Vigilanza e la predisposizione di un sistema di controlli più elaborato di quelli previsti per il conseguimento o mantenimento di certificazione dei sistemi aziendali.

In ogni caso, implementare un sistema certificato di misure orga-nizzative e preventive è segno di un’inclinazione dell’ente alla cul-tura del rispetto delle regole, che sicuramente può costituire la base per la costruzione di modelli tesi alla prevenzione di reati-presupposto.

Tuttavia, l’adozione di un sistema certificato di gestione aziendale non mette l’ente al riparo da una valutazione di inidoneità del modello ai fini della responsabilità da reato. Di conseguenza, le organizzazioni che abbiano già attivato processi di autovalutazione interna, anche cer-tificati, dovranno focalizzarne l’applicazione - qualora così già non fosse - su tutte le tipologie di rischio e con tutte le modalità contemplate dal decreto 231.

In questo senso, per migliorare l’efficienza dei modelli organizzativi richiesti dal decreto 231, sarà importante valorizzare la sinergia con la documentazione (articolata di solito in manuali interni, procedure, istru-zioni operative e registrazioni) dei sistemi aziendali in materia antinfor-tunistica (UNI-INAIL o OHSAS 18001), ambientale (EMAS o ISO14001), di sicurezza informatica (ISO 27001) e di qualità (ad esempio ISO 9001, nonché le altre norme volontarie distinte per tipologia di prodotti e/o servizi offerti).

La gestione dei rischi, dunque, è un processo maieutico che le imprese devono attivare al proprio interno secondo le modalità ritenute più appropriate, pur sempre nel rispetto degli obblighi stabiliti dall’or-dinamento. I modelli che verranno quindi predisposti ed attuati a livel-lo aziendale saranno il risultato dell’applicazione metodologica docu-mentata, da parte di ogni singolo ente, delle indicazioni qui fornite, in funzione del proprio contesto operativo interno (struttura organizzativa, articolazione-territoriale, dimensioni, ecc.) ed esterno (settore econo-mico, area geografica, contesto naturalistico, ecc.), nonché dei singoli

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reati ipoteticamente collegabili alle specifiche attività dell’ente conside-rate a rischio.

Quanto alle modalità operative della gestione dei rischi, soprattutto con riferimento ai soggetti o funzioni aziendali che possono esserne concre-tamente incaricati, le metodologie possibili sono sostanzialmente due:

• valutazione da parte di un organismo aziendale che svolga questa attività con la collaborazione del management di linea;

• autovalutazione da parte del management operativo con il supporto di un tutore/facilitatore metodologico.

In entrambi i casi menzionati il supporto consulenziale esterno all’ente è propedeutico al buon esito del processo di analisi, sia per la conoscen-za specifica di metodologie validate che per l’indipendenza dai processi aziendali che facilita una visione scevra da condizionamenti interni.

Secondo l’impostazione logica appena delineata, di seguito verran-no esplicitati i passi operativi che l’ente dovrà compiere per attivare un sistema di gestione dei rischi coerente con i requisiti imposti dal decreto 231. Nel descrivere tale processo logico, viene posta enfasi sui risultati rilevanti delle attività di autovalutazione poste in essere ai fini della realizzazione del sistema (output/obiettivo di fase).

4.1.2.1 Inventariazione degli ambiti aziendali di attività

Obiettivo di questa fase: mappatura delle aree aziendali a rischio e dei reati rilevanti

Lo svolgimento di tale fase può avvenire secondo approcci diversi: per attività, per funzioni, per processi. Essa comporta il compimento di una revisione periodica esaustiva della realtà aziendale, con l’obiettivo di individuare le aree che, in ragione della natura e delle caratteristiche delle attività effettivamente svolte, risultano interessate dal potenziale compimento di taluno dei reati contemplati dalla norma.

In particolare occorrerà individuare le fattispecie di reato rilevanti per l’ente e parallelamente le aree che, in ragione della natura e delle caratteristiche delle attività effettivamente svolte, risultino interessate da eventuali casistiche di reato. Bisogna avere particolare riguardo alla

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“storia” dell’ente, ovvero ad eventuali accadimenti pregiudizievoli che possano avere interessato la realtà aziendale e alle risposte individuate per il superamento delle debolezze del sistema di controllo interno che abbiano favorito tali accadimenti.

Inoltre, considerato che - come già accennato - per rischio si intende una qualsiasi variabile che direttamente o indirettamente possa inci-dere in negativo sugli obiettivi fissati dal decreto 231, nell’ambito del complesso processo di valutazione dei rischi occorre considerare l’in-terdipendenza sistemica esistente tra i vari eventi rischiosi: ognuno di essi, cioè, può diventare a sua volta una causa e generare a cascata il cd. “effetto domino”.

Così, per quel che riguarda ad esempio i reati contro la PA, si tratterà di identificare quelle aree che per loro natura abbiano rapporti diretti o indiretti con le amministrazioni nazionali ed estere, nonché di individuare quei processi che possono assumere carattere strumentale o di suppor-to rispetto alla commissione delle fattispecie di interesse (ad esempio per la creazione di provvista da destinarsi a scopi corruttivi). In questo caso alcune tipologie di processi e funzioni saranno sicuramente inte-ressate (ad esempio le vendite verso la PA, la gestione delle concessioni da amministrazioni locali), mentre altre potranno non esserlo o esserlo soltanto marginalmente. Riguardo, invece, ai reati di omicidio e lesioni colpose gravi o gravissime commessi con violazione delle norme di tute-la della salute e sicurezza sul lavoro, non è possibile escludere in modo aprioristico alcun ambito di attività, dal momento che tale casistica di reati può di fatto investire la totalità delle componenti aziendali.

Nell’ambito di questo procedimento di revisione dei processi e fun-zioni a rischio, è opportuno identificare i soggetti sottoposti all’attività di monitoraggio, tra cui possono rientrare anche coloro che siano legati all’impresa da meri rapporti di parasubordinazione (ad esempio gli agen-ti) o da altri rapporti di collaborazione, come i partner commerciali, non-ché i dipendenti ed i collaboratori di questi ultimi. Sotto questo profilo, per i reati colposi di omicidio e lesioni personali commessi con viola-zione delle norme di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, i soggetti sottoposti all’attività di monitoraggio sono tutti i lavoratori destinatari della stessa normativa.

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A questo proposito, è necessario ribadire l’assoluta importanza che in ogni processo valutativo del rischio vi sia puntuale considerazione delle ipotesi di concorso nel reato.

Inoltre, le osservazioni svolte in relazione alla valutazione del rischio di commissione del reato da parte di consulenti e partner in genere van-no estese a ogni forma di appalto o contratto d’opera e di servizi, in par-ticolare per le fattispecie degli incidenti sul lavoro e dei reati ambientali, ponendo un’attenzione specifica a eventuali interessi di organizzazioni criminali rispetto all’aggiudicazione di queste gare.

Ciò conduce a indicare sin d’ora alcune generali misure di prevenzio-ne, quali:

• compiere un’analisi preventiva dei soggetti da invitare alla gara;

• evitare appalti al massimo ribasso, soprattutto in determinati settori (come per esempio movimento-terre, trasporto conto-terzi, gestio-ne rifiuti, ecc.);

• prevedere il divieto di subappalto o comunque rigorose forme di disciplina dell’accesso allo stesso.

Le considerazioni che precedono esigono un richiamo a importanti strumenti di valutazione, in alcuni casi proprio in questi settori conside-rati maggiormente a rischio.

Si pensi alle previsioni del D.L. n. 1 del 2012 sul rating di legalità, nonché al DPCM del 18 aprile 2013, che disciplina l’istituzione e l’aggior-namento presso ciascuna Prefettura dell’elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa e operanti nei settori maggiormente a rischio, individuati dalla legge 190 del 2012 (cd. white list).

Nel medesimo contesto è opportuno compiere esercizi di due dili-gence tutte le volte in cui, in sede di valutazione del rischio, siano stati rilevati “indicatori di sospetto” afferenti ad una particolare operazione commerciale, come conduzione di trattative in territori con alto tasso di corruzione, procedure particolarmente complesse, presenza di nuovo personale sconosciuto all’ente.

Infine, occorre sottolineare che ogni settore presenta i propri speci-

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LE ATTIVITÀ PROPEDEUTICHE ALLA COSTRUZIONE DEL MODELLO 231

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fici ambiti di rischiosità che possono essere individuati soltanto trami-te una puntuale analisi interna. Una posizione di evidente rilievo ai fini dell’applicazione del decreto 231 rivestono, tuttavia, i processi dell’area finanziaria. La norma, probabilmente proprio per questo motivo, li evi-denzia con una trattazione separata (art. 6, comma 2, lett. c), ancor-ché un’accurata analisi di valutazione degli ambiti aziendali “a rischio” dovrebbe comunque far emergere quello finanziario come uno di sicura rilevanza.

4.1.2.2 Analisi dei rischi potenziali

Obiettivo di questa fase: mappatura documentata delle potenziali modalità attuative degli illeciti nelle aree a rischio

L’analisi dei potenziali rischi deve aver riguardo alle possibili modalità attuative dei reati nelle diverse aree aziendali, individuate secondo il processo di cui al punto precedente. L’analisi, finalizzata ad una corretta progettazione delle misure preventive, deve condurre a una rappresen-tazione, il più possibile completa, di come le fattispecie di reato posso-no essere attuate rispetto al contesto operativo interno ed esterno in cui opera l’azienda.

Anche a questo proposito è utile tenere conto sia della storia dell’en-te, cioè delle sue vicende passate, che delle caratteristiche di altri sog-getti operanti nel medesimo settore e, in particolare, degli eventuali illeciti da questi commessi nello stesso ramo di attività.

In particolare, l’analisi delle possibili modalità attuative dei reati di omicidio e lesioni colpose gravi o gravissime commessi con violazione degli obblighi di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, corrisponde alla valutazione dei rischi lavorativi effettuata secondo quanto previsto dagli articoli 28 e 29 del decreto 81 del 2008. (3)

3. Occorre dunque elaborare un documento di valutazione dei rischi contenente:- una valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori esistenti nel con-

testo aziendale;- le misure di prevenzione e di protezione adottate alla luce di tale valutazione;- il programma delle misure idonee a migliorare i livelli di sicurezza nel tempo e individuare

le procedure per l’attuazione delle misure e, tra l’altro, i ruoli dell’organizzazione aziendale che dovranno attuarle;

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Il CD Rom allegato al presente volume si avvia automaticamente per i sistemi predisposti con autorun. Nel caso non si avviasse, occor-re accedere all’unità CD/DVD (esempio: D:\) ed eseguire il file index.html. Per la corretta visualizzazione su Explorer o su gli altri browser occorre “consentire i contenuti bloccati”.

Il cd rom contiene modelli e esempi di best practice che guidano l’u-tente nelle fasi preparatorie per la costruzione del Modello (risk asses-sment e gap-analysis), nelle fasi di predisposizione del Modello (codice etico, parti generali e speciali, sistema sanzionatorio e disciplinare) e infine nelle fasi di verifica dell’applicazione del Modello (costituzione dell’OdV, monitoraggio e audit del Modello e della sua applicazione.

I documenti sono organizzati secondo le seguenti voci:

Introduzione

Attività propedeutiche alla costruzione del Modello 231

- Gap Analysis: individuazione delle carenze del sistema di control-lo esistente

- Presentazione della metodologia ITACA per l’individuazione del-le carenze del sistema di controllo esistente in azienda in tema di salute e sicurezza sul lavoro prima dell’implementazione del Modello 231 (gap-analysis SSL).

- Allegato 1 - Metodologia ITACA per i reati salute e sicurezza sul lavoro - Modalità operative

CONTENUTO DEL CD ROM

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GUIDA OPERATIVA ALLA COSTRUZIONE E GESTIONE DEL MODELLO 231

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- Allegato 2 - Check-list operativa

- Allegato 3 - Rendicontazione e risultati

Costruzione del Modello 231:

• reati per la salute e sicurezza sul lavoro

- Allegato 1 - Manuale del Sistema

- Allegato 2 - Guida Operativa

- Allegato 3 - Esempio 01 Politica della sicurezza

- Allegato 4 - Esempio 02 Pianificazione degli obiettivi

- Allegato 5 - Procedura Gestionale PGSS01 Struttura e organizza-zione del sistema

- Allegato 6 - Esempio 01/PGSS01 Organigramma aziendale della sicurezza

- Allegato 7 - Procedura Gestionale PGSS02 Flussi comunicativi, formativi e relazionali

- Allegato 8 - Esempio 01/PGSS02 Strumenti dell’informazione

- Allegato 9 - Esempio 02/PGSS02 Progettazione delle attività for-mative

- Allegato 10 - Esempio 03/PGSS02 Scheda per informazione/man-sione dei lavoratori

- Allegato 11 - Esempio 04/PGSS02 Programma di formazione ed informazione

- Allegato 12 - Esempio 05/PGSS02 Richiesta/proposta acquisto sicurezza

- Allegato 13 - Procedura Gestionale PGSS03 Gestione della docu-mentazione

- Allegato 14 - Procedura Gestionale PGSS04 Controlli e verifiche del sistema

- Allegato 15 - Esempio 01/PGSS04 Pianificazione monitoraggio

- Allegato 16 - Esempio 02/PGSS04 Verbale di monitoraggio

- Allegato 17 - Esempio 03/PGSS04 Monitoraggio in autocontrollo a cura del lavoratore

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CONTENUTO DEL CD ROM

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- Allegato 18 – Esempio 04/PGSS04 Piano di attuazione degli inter-venti

- Allegato 19 - Procedura Gestionale PGSS05 Riesame e migliora-mento del sistema

- Allegato 20 - Esempio 01/PGSS05 Riesame del SGSL

- Allegato 21 - Esempio 02/PGSS05 Elenco di controllo azioni pre-ventive e correttive

- Allegato 22 - Procedura Gestionale PGSS06 Gestione degli infor-tuni, degli incidenti, dei comportamenti pericolosi

- Allegato 23 - Esempio 01/PGSS06 Rilevazione infortuni

- Allegato 24 - Esempio 02/PGSS06 Rilevazione incidenti

- Allegato 25 - Esempio 03/PGSS06 Osservazione delle situazioni pericolose e comportamenti pericolosi

• codice etico

- Esempio 1

- Esempio 2

• parte generale

- Esempio 1

- Esempio 2

• parte speciale SSL

- Esempio 1

- Esempio 2

- Esempio 3

- Esempio 4

- Esempio 5

• parte speciale ambiente

- Esempio 1

- Esempio 2

- Esempio 3

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GUIDA OPERATIVA ALLA COSTRUZIONE E GESTIONE DEL MODELLO 231

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• procedure semplificate per adozione dei MOG nelle PMI

- Allegato 1 - Scheda analisi iniziale

- Allegato 2 - Piano di miglioramento - Modulo pianificazione obiet-tivi e attuazione della politica

- Allegato 3 - Elenco normativa applicabile

- Allegato 4 - Scheda manutenzione macchina

- Allegato 5 - Scheda consegna/gestione DPI

- Allegato 6 - Programma annuale di formazione, informazione e addestramento

- Allegato 7 - Registro presenze partecipanti

- Allegato 8 - Scheda formazione/informazione/addestramento lavo-ratore

- Allegato 9 - Registro addestramento lavoratore

- Allegato 10 - Elenco documentazione obbligatoria

- Allegato 11 - Modulo rilevazione: situazione pericolosa – incidente - non conformità

- Allegato 12 - Modulo rilevazione infortunio

- Allegato 13 - Piano di Monitoraggio

- Allegato 14 - Programma degli/dell’audit interno

- Allegato 15 - Piano di audit

- Allegato 16 - Verbale di audit

- Allegato 17 - Riesame periodico del modello organizzativo

- Allegato 18 - Riunione periodica

• Costituzione organismo vigilanzaRegolamento dell’OdV

- Esempio 1Statuti dell’OdV

- Esempio 1

- Esempio 2

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CONTENUTO DEL CD ROM

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• Sistema disciplinareIl sistema disciplinare e sanzionatorio ai fini dei reati SSA nei Modelli 231

- Esempio 1

- Esempio 2

Attività di monitoraggio e audit del Modello 231:

• audit nei sistemi di gestione delle norme volontarie

- Allegato 1 - Check-list per gli audit del sistema di gestione salute e sicurezza conforme alla norma BS OHSAS 18001

- Allegato 2 - Check-list per gli audit del sistema di gestione ambien-tale conforme alla norma UNI EN ISO 14001

• audit nelle procedure semplificate per le PMIAllegato 1 - Programma di audit

Allegato 2 - Piano di audit

Allegato 3 - Verbale di audit

Requisiti di sistema:

Windows Vista, 7 e 8

Internet Explorer 8 e superiore

Microsoft Office Word 97-2003 e successivi

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