i cordai anno 6 numero 10

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mensile per S. Cristoforo a cura del G.A.P.A. Centro di aggregazione popolare Direttore Responsabile: Riccardo Orioles Anno Sesto n• Dieci Novembre 2011 A che serve vivere se non c’è il coraggio di lottare Giuseppe Fava Alleluja, il Boss è stato catturato! 3 Adesso... noi decidiamo! 2 Un quarto di vino ed una gazzosa 5 Ex dogana: “bella senz’anima” 4 TIRIAMOCI FUORI DAL FANGO Ognuno faccia la sua parte per uscire da questo pantano Marcella Giammusso N on è una metafora, ma gli italiani sono completamenti sommersi dal fango! In tutti i sensi. Dalle inondazioni avvenute in Liguria, dove per l'incuria e la superficialità delle istituzioni sono morte parecchie persone sotto il fango prodotto dagli straripamenti dei fiumi. Al dissesto finanziario dello stato italiano che sta buttando sulla strada centinaia di migliaia di per- sone, creando una nuova generazione di precari e producendo un'ulteriore classe sociale di poveri che non riescono a vivere. Tutto ciò non si è verificato all'improvviso, ma è il risultato di una cattiva politica che viene propinata agli italiani da anni e che giorno dopo giorno, anno dopo anno ha messo in atto delle norme e leggi che hanno salvaguar- dato poche persone ricche ed hanno portato grandi ristrettezze economiche a chi vive di stipendio, di pensione e soprattutto a chi lavora saltuariamente e viene sfruttato da gente senza scrupoli. È vero, siamo arrivati a questo punto non solo per la cattiva politica ita- liana ma anche per un sistema finanziario mondiale che non funziona più e che i colossi economici ed i grandi potenti del mondo insistono a portare avanti anche a costo di ridurre all'osso stati come la Grecia, l'Italia, la Spagna. Un sistema finanziario che arricchisce sempre di più chi è già ricco ed impoverisce ulteriormente chi è povero. Un sistema che si basa sulle spe- culazioni finanziarie e che non produce nulla, anzi preleva dall'apparato pro- duttivo. Adesso siamo alla resa dei conti. E allora ognuno faccia la sua parte per uscire dal pantano. I politici facciano veramente i politici, i magistrati conti- nuino a fare i magistrati, la società civile prosegua a pretendere una demo- crazia che viene calpestata continuamente. Una democrazia che, contrariamente a quello che sta succedendo in tutta l'Italia, negli ultimi mesi ha avuto due momenti di trionfo a Catania. - L'elezione per la prima volta di un Procuratore esterno alla Procura etnea, chiacchierata per i legami con i poteri forti della città, nella nomina del Dottor Giovanni Salvi, proveniente da Roma. - L'approvazione del Regolamento Attuativo dello Statuto Comunale, con cui i cittadini potranno contribuire alle decisioni dell'Amministrazione cit- tadina. Obiettivi raggiunti grazie ai solleciti ed alle continue pressioni fatte dalla società civile Catanese, fra cui anche il Gapa. Adesso il Governo faccia le dovute riforme per recuperare le somme che coprano il debito pubblico. Ma le faccia nel modo più giusto e democratico esigendo maggiori imposte ai possessori dei grossi patrimoni, tassando le rendite finanziarie provenienti dalle speculazioni delle Borse, riducendo le grosse spese militari, eliminando le spese ed i costi per i privilegi dei parla- mentari e di tutto l'apparato direttivo dello stato, eliminando gli sprechi. Basterebbe tutto questo per risollevare la nostra economia e riportarla agli stessi livelli degli altri stati europei. Invece no, finora si è pensato solo a spremere sempre più la popolazio- ne, mettendo la gente con le spalle al muro… Adesso non c'è proprio più niente da spremere! foto: Archivio Giovanni Caruso

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I Cordai Anno 6 Numero 10

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mensile per S. Cristoforo a cura del G.A.P.A. Centro di aggregazione popolare

Direttore Responsabile: Riccardo Orioles Anno Sesto n• Dieci Novembre 2011

A che serve viverese non c’è il coraggiodi lottare

Giuseppe Fava

Alleluja, il Boss è stato catturato! 3Adesso... noi decidiamo! 2 Un quarto di vino ed una gazzosa 5Ex dogana: “bella senz’anima” 4

TIRIAMOCIFUORI DAL

FANGOOgnuno faccia la sua parte per uscire daquesto pantano

Marcella Giammusso

Non è una metafora, ma gli italiani sono completamenti sommersi dalfango! In tutti i sensi. Dalle inondazioni avvenute in Liguria, dove per

l'incuria e la superficialità delle istituzioni sono morte parecchie personesotto il fango prodotto dagli straripamenti dei fiumi. Al dissesto finanziariodello stato italiano che sta buttando sulla strada centinaia di migliaia di per-sone, creando una nuova generazione di precari e producendo un'ulterioreclasse sociale di poveri che non riescono a vivere.

Tutto ciò non si è verificato all'improvviso, ma è il risultato di una cattivapolitica che viene propinata agli italiani da anni e che giorno dopo giorno,anno dopo anno ha messo in atto delle norme e leggi che hanno salvaguar-dato poche persone ricche ed hanno portato grandi ristrettezze economiche achi vive di stipendio, di pensione e soprattutto a chi lavora saltuariamente eviene sfruttato da gente senza scrupoli.

È vero, siamo arrivati a questo punto non solo per la cattiva politica ita-liana ma anche per un sistema finanziario mondiale che non funziona più eche i colossi economici ed i grandi potenti del mondo insistono a portareavanti anche a costo di ridurre all'osso stati come la Grecia, l'Italia, laSpagna. Un sistema finanziario che arricchisce sempre di più chi è già riccoed impoverisce ulteriormente chi è povero. Un sistema che si basa sulle spe-culazioni finanziarie e che non produce nulla, anzi preleva dall'apparato pro-duttivo.

Adesso siamo alla resa dei conti. E allora ognuno faccia la sua parte peruscire dal pantano. I politici facciano veramente i politici, i magistrati conti-

nuino a fare i magistrati, la società civile prosegua a pretendere una demo-crazia che viene calpestata continuamente.

Una democrazia che, contrariamente a quello che sta succedendo in tuttal'Italia, negli ultimi mesi ha avuto due momenti di trionfo a Catania.

- L'elezione per la prima volta di un Procuratore esterno alla Procura etnea,chiacchierata per i legami con i poteri forti della città, nella nomina delDottor Giovanni Salvi, proveniente da Roma.

- L'approvazione del Regolamento Attuativo dello Statuto Comunale, concui i cittadini potranno contribuire alle decisioni dell'Amministrazione cit-tadina.

Obiettivi raggiunti grazie ai solleciti ed alle continue pressioni fatte dallasocietà civile Catanese, fra cui anche il Gapa.

Adesso il Governo faccia le dovute riforme per recuperare le somme checoprano il debito pubblico. Ma le faccia nel modo più giusto e democraticoesigendo maggiori imposte ai possessori dei grossi patrimoni, tassando lerendite finanziarie provenienti dalle speculazioni delle Borse, riducendo legrosse spese militari, eliminando le spese ed i costi per i privilegi dei parla-mentari e di tutto l'apparato direttivo dello stato, eliminando gli sprechi.

Basterebbe tutto questo per risollevare la nostra economia e riportarla aglistessi livelli degli altri stati europei.

Invece no, finora si è pensato solo a spremere sempre più la popolazio-ne, mettendo la gente con le spalle al muro… Adesso non c'è proprio piùniente da spremere!

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ADESSO... NOI DECIDIAMO!

iCordai / Numero Dieci

di Giovanni Caruso

L'intervista che leggerete di segui-to, a Mirco Viola dell'associazio-

ne "CittàInsieme" e del comitato "NoiDecidiamo", serve a far conoscere avoi lettori questo "nuovo strumento"istituzionale che ci permetterà di pra-ticare la democrazia partecipata dalbasso.

Per noi cittadini e cittadine e asso-ciazioni di società civile è una grandevittoria politica che viene dalla base equesto è molto importante in una cittàdove "la cattiva politica" l'ha fattasempre da padrona.

Inoltre vi invitiamo, se vorrete, aproporre, attraverso questo giornale,petizioni e referendum per incomin-ciare a utilizzare questo strumentodemocratico che ci appartiene.

Nel 1995 il Consiglio Comunale di

Catania sancì lo Statuto Comunale,

ma solo il 26 ottobre 2010 è stato

approvato il regolamento attuativo,

grazie anche al "Comitato Noi

Decidiamo".

Quali vantaggi avranno i cittadini

e le cittadine di Catania con questo

atto tanto atteso?

Non rimarranno più inascoltati. Inostri concittadini potranno final-mente fare sentire in modo forte echiaro la loro voce, le loro richieste,le loro proposte. Avranno, anzi,hanno la possibilità di far pesare laloro opinione nella risoluzione deiproblemi della città e di contribuirealle decisioni che li riguardano.

Nel titolo IV dello Statuto

Comunale si parla di diritti esercita-

bili da cittadine e cittadini, quali

sono e quale riscontro concreto

vanno a vantaggio della cittadinan-

za?

Il titolo IV dello Statuto comunalecontiene la risposta al problema sem-pre più avvertito da tutti: la mancan-za di un'attiva e cosciente partecipa-zione del cittadino. Il nostro Statuto è

stato uno dei primi in Italia ad avereprevisto al suo interno una gammamolto ampia e diversificata di stru-menti attraverso i quali tutti i cittadi-ni possono partecipare attivamentealla vita della città. Si va dal dirittodi udienza (secondo il quale tutti icittadini hanno il diritto di esserericevuti dagli amministratori e dagliuffici comunali ed a tal fine ilSindaco, gli assessori ed i dirigentidegli uffici sono tenuti a fissare ed arendere pubblici i giorni e gli oraririservati al ricevimento del pubblico)al diritto di petizione (secondo cuicinquecento cittadini possono pre-sentare una petizione al consigliocomunale per sollecitarne l'interven-to in questioni d'interesse generale;tali petizioni devono essere esamina-te in apposita seduta consiliare, datenersi almeno ogni tre mesi; e qua-lora il consiglio comunale non riten-ga di aderire all'indicazione conte-nuta nella petizione, la deliberazioneconclusiva dell'esame deve essereespressamente motivata ed adegua-tamente pubblicizzata), fino ad arri-vare al più incisivo dei diritti cheabbiamo: il diritto di referendum (ilComune ammette referendum abro-gativi, consultivi e propositivi inordine a questioni d'interesse gene-rale e relativamente alle materie disua esclusiva competenza; il referen-dum abrogativo è indetto su richiestadi tre consigli di circoscrizione o deltre per cento dei cittadini iscritti nelleliste elettorali per l'elezione del con-siglio comunale. Il risultato del refe-rendum vincola l'amministrazione).

Oltre alla facoltà dei cittadini e

cittadine ad esercitare tali diritti

quali funzioni hanno nell'espletare

questi diritti le associazioni di volon-

tariato?

Il nostro Statuto consente l'eserci-

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zio di questi diritti non soltanto ai sin-goli cittadini, ma anche alle associa-zioni. Per fare qualche esempio: 3associazioni possono presentare unapetizione al Consiglio comunale persollecitarne l'intervento su questionidi interesse generale, senza passaredalla raccolta di 500 firme; 5 asso-ciazioni hanno il diritto di proporreuno schema di deliberazione consilia-re, evitando di raccogliere le 1000firme richieste per l'esercizio delmedesimo diritto da parte dei singolicittadini.

L'esercizio del diritto di referen-

dum propositivo/consultivo/abroga-

tivo, oltre al grande valore della par-

tecipazione diretta e democratica dei

cittadini, può realmente cambiare in

concretezza quelle cose che non

danno nessun vantaggio alla città?

Il diritto di referendum è certamen-te lo 'strumento di partecipazione' piùinteressante poiché, rispetto agli altri,obbliga l'Amministrazione a darecorso alla volontà popolare emersadalla consultazione referendaria. Edè questo principalmente il motivo peril quale non tutte le materie di com-

petenza comunale possono essere sot-toposte a referendum propositivo,consultivo o abrogativo. Le materieescluse sono: i provvedimenti nellematerie relative ad elezioni, nomine,designazioni, revoche, decadenze edalla disciplina giuridica del persona-le; i provvedimenti relativi a tributi edespropriazioni per pubblica utilità; iregolamenti interni; il bilancio pre-ventivo ed il conto consuntivo; gli attidi mera esecuzione di norme statali oregionali; gli atti inerenti la tutela diminoranze etniche o religiose; i que-siti che hanno formato oggetto diconsultazione referendaria nel prece-dente triennio; ogni altro atto o prov-vedimento sottratto alla disponibilitàper legge o per sua natura.

Fatta eccezione per quelli rientran-ti nelle suddette materie, tutti i prov-vedimenti posti in essere dagli organipolitici dell'Amministrazione cittadi-na (Giunta e Consiglio comunale)possono essere messi in discussionequalora il 3% dei cittadini iscrittinelle liste per l'elezione del Consigliocomunale decida di esercitare il dirit-to di referendum.

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3iCordai / Numero Dieci

Ma le Istituzionidove sono state?

testo e foto di Emanuele Basile

26ottobre 2011, dopo 18 anni siè interrotta la latitanza di

Giovanni Arena Capo del clan omo-nimo. Era legato alla coscaSantapaola, inserito nella lista deitrenta latitanti più pericolosi d'Italia.

Sfuggito all'operazione "OrsaMaggiore" contro il clanSantapaola, è stato condannato perun omicidio che ha commesso nel1989; fra le tante accuse anchedetenzioni di armi e spaccio didroga. La cattura è avvenuta a pochipassi dal "palazzo di cemento". Eranascosto al secondo piano di unappartamento nel quartiere Librino."Siete stati bravi questa volta, sonovent'anni che sono nascosto qui den-tro".

Arena, secondo gli inquirenti, haavuto un ruolo nell'incendio dellaStanda avvenuto il 18 gennaio 1990,accusa da cui è stato prosciolto.Inoltre è stato condannato all'erga-stolo il 28 maggio del 2003 nel pro-cesso Orione 5 per l'omicidio diMaurizio Romeo appartenente allafamiglia Ferrera (cavaduzzu), fattoad Aci Castello il 31 ottobre 1989.

Ad un certo punto il clanSantapaola gli sta stretto e passa allafamiglia Sciuto-Tigna alleata delclan Cappello, storico rivale di CosaNostra. Secondo l'accusa il passag-gio è dovuto all'espansione del mer-cato della droga. Fino a poco tempofa il boss avrebbe avuto il controlloassoluto dello spaccio di stupefa-centi nella torre C3 ("palazzo dicemento") a Librino.

Il suddetto boss non è il solo aessere finito in inchieste giudiziarie,anche la moglie Loredana AgataAvitabile di 55 anni considerata la"Zarina" della struttura sita in VialeMoncada 3, la centrale dello spac-cio di Catania, che produce un girod'affari illecito da capogiro.

La cosca Arena aveva la sua basenella torre C3, che è uno dei simbo-li del fallimento di questa città; èl'immagine del fallimento imprendi-toriale perché gli imprenditori cihanno speculato, è la rappresenta-zione del fallimento di tutte leIstituzioni che, pur sapendo cosasuccedeva, non hanno fatto nullaper migliorare il mio quartiere, dovevive un quarto della popolazione diCatania; esse se ne sono dimentica-te tranne durante le campagne elet-

torali e le votazioni. In questi anni i vari politici, Enzo

Bianco, Umberto Scapagnini,Raffaele Stancanelli, hanno promes-so tante cose a Librino, ma maimantenute. Alcuni di loro hannoinaugurato in pompa magna il teatroMoncada che avrebbe dovuto essereun centro di aggregazione culturaledel quartiere ma che, poi, invece, èstato lasciato in situazione di assolu-to degrado, vandalizzato, risistema-to con fondi pubblici, e poi vanda-lizzato nuovamente, più volte, infi-ne del tutto abbandonato.

Riguardo a Giovanni Arena, egliin questi 18 anni, da latitante, è statoprotetto sia dalla famiglia sia dagente del rione di Librino. Si presu-me che qualcuno, all'interno delquartiere sapeva che il boss abitavaindisturbato all'interno della propriacasa a Librino.

È vero che parte degli abitanti del

mio quartiere è omertosa. Ci sonodue tipi di omertà: l'omertà cheviene dalla paura, perché se in certiposti ci fosse la presenza del lavoro,della consapevolezza derivante dauna maggiore cultura e di spazisociali (a volte basterebbe anche unsemplice campo da calcio dove ibambini di certi quartieri potesserogiocare), se esistessero associazionicattoliche meno interessate (vedi ilcaso di Villa Fazio, in passato datain gestione a un prete che la tenevasempre chiusa a chiave e oraanch'essa vandalizzata e abbando-nata) e se avessero luogo interventipiù democratici e meno invadentidelle forze dell'ordine, che nei tantiBliz fatti nel palazzo di cemento percercare armi e droga hanno rotto lecase a tanta gente della struttura chenon c'entrava niente con la Mafia; indefinitiva se esistesse davvero loStato, la gente non avrebbe motivodi avere paura, perché si sente pocotutelata da ogni parte, e quindi diessere omertosa.

Il secondo tipo di omertà derivadal fatto che la Mafia per alcunisoggetti, in assenza dello Stato chenon offre alternative, costituisceuna sorta di "protezione" e "lavoro"che dispensa forme di sopravviven-za, l'unico sbocco possibile.

Alleluia, il boss è stato catturato.Ma, il vero problema è che nonbasta la cattura di un boss per eli-minare quasi trent'anni di degrado,sarebbe ora che tutte le Istituzionisi prendessero davvero le lororesponsabilità, dopo aver fattoscempio di una zona un temporicca d'acqua, di aranceti e uliveti eincontaminata, dopo promesse nonmantenute, dopo aver abbandonatoun quarto di Catania al propriodestino.

AllEluIA, Il BOSS è StAtO CAtturAtO!

stessa cosa per avere la stessa rispostae infatti il minuscolo contadino fececon il pugno chiuso un piccolo gesto,per significare l'amore. Ma con quelriso il suo gesto non era volgare, anzistranamente pieno di tenerezza. Edimmi - Pitorru - tu sai fare all'amore?- Signorsì capitano! Ogni sera primadi dormire! La domenica anche quan-do mi sveglio! - E tua moglie che dice?- Mia moglie è contenta … - Ma tu achi vuoi bene più di tutti? - Io vogliobene prima a mia moglie, poi ai mieifigli Paolo e Turiddu e poi alla casa …

E poi a chi vuoi bene? - Poi voglio piùbene ai muli! E poi? E poi al duce". [… ] Una bomba polverizzò la casa diAngelo Pitorru e in lampo morirono lamoglie, i due figli e i due muli. [ … ] Ilcarro armato continuava a corrergliincontro e Angelo Pitorru continuò adandare incontro al carro armato, alzò ilfucile ed esplose insieme i due colpi,l'ufficiale restò con le braccia spalan-cate in cima alla torretta, col petto ed ilviso sfondati dalla lupara e quasi nellostesso attimo il carro armato travolseAngelo Pitorru e lo schiacciò".

4 iCordai / Numero Dieci

Il “Siciliano” GiuseppeFava

Mi piace mettere "il siciliano"prima del suo nome e cognome,

perché, così, lo sento più vicino a me,che sono pure io siciliano come lui.

Pippo Fava ha scritto pagine di sto-ria siciliana che in tanti hanno già lettoe che tutti dovrebbero leggere, perchéservono, servono a crescere nelladeterminazione ad essere liberi, a guar-dare in faccia la realtà e a volerla cam-biare.

Servono per rintracciare la bellezzadelle anime, la direzione della speran-za, l'origine della volontà ed il piaceredi assecondarla. I suoi "ragazzi" de "Isiciliani" hanno avuto la fortuna di fre-quentare la più affascinante scuola divita e di giornalismo. Noi abbiamo,oggi, la fortuna di rileggere, tra le tante

altre, alcune righe tratte da un suo deli-zioso romanzo "La ragazza di luglio. Ilgirasole edizioni. Valverde. 1993 in cuiPippo Fava racconta di Angelo Pitorruquando stavano arrivando gli Alleati,nel 1943, per liberarci.

"Angelo Pitorru è l'uomo più picco-lo del paese, così piccolo che non lohanno voluto nemmeno per fare il sol-dato … hanno preso anche gli orbi egli sciancati ma Pitorru non potevaproprio servire a niente. Fa tutti i lavo-ri più umili della campagna, come unabestia, miete, semina, raccoglie leolive, le fascine, il letame. Non sa leg-gere e scrivere, è proprio come un ani-male. (Il capitano Belcore) ogni sera sidivertiva anche lui con Pitorru. Dicevache quella bestia umana era l'essereumano più intelligente del paese. -Pitorru … e qual è la cosa più belladella vita? Ogni sera gli chiedeva la

SChEGGE DI STORIA CATANESE a cura di Elio Camilleri

Apre il nuovo spazioespositivo al Porto:occasione sprecata

di Salvo Ruggieri, foto Andrea Pujades

"Bella senz'anima" avrebbe canta-to Riccardo Cocciante.

L'edificio dell'ex dogana è un palazzodi fine '800, situato dietro gli archidella marina, la cui competenza spettaall'Autorità Portuale. Ricordo l'edifi-cio fatiscente e chiuso che mi trovavodi fronte prima di entrare "o portu". Siera ragazzini e con due canne da pescada 4 lire ed un po' di gamberettoniuro,niuro comprato alla piscaria con1000 lire, si andava alla ricerca delmare a bordo di un motorino. E sì, per-ché passata la dogana, e fatto un cennodi saluto alle guardie, che nonostante ildivieto ti facevano passare, il marenon lo trovavi subito.

Erano diversi anni che non passavoda lì. Una rinfrescata alla facciata, e

l'ex dogana sembrava già un'altra cosa.Entro e mi fermo subito ai dettagliarchitettonici: perfetto il connubio trafuturistico e passato. Gli elementi inacciaio e vetro danno alla struttura unaleggerezza che fa da contraltare al

volume massiccio dell'edificio. Aimiei piedi l'onnipresente basolato lavi-co, mi dice che sono a Catania, nel suoporto, e non quello di Genova,Livorno, Barcellona.... a Catania. Mail rapimento estatico dura ben poco.Sposto la mia attenzione agli spaziespositivi... Ma quale! Negozi, sem-plici negozi che potrei trovare in qual-siasi centro commerciale, questa voltadi qualsiasi città. Una parafarmacia,qualche boutique di souvenir e poi,non credo ai miei occhi un piccolocasinò, di quelli con le macchinette edi video-poker che ti mangiano gli sti-pendi, le pensioni. Correndo mi affret-to a cercare la "Città del gusto", quegli

spazi dedicati all'eccellenza culinaria,ai prodotti tradizionali della nostraterra. Salendo le scale però mi imbattoin un'enorme affiche, che di sicilianoforse ha solo le mandorle del contornodegli occhi. Moroboshi si chiama ilristorante... Ma certo, ora che ricordoquante persone hanno portato aCatania questo nome, fosse anche unpeccoro: Affio Moroboshi, TuriMoroboshi, Iano Moroboshi...Continuo a salire le scale, facendomiindicare la strada da quella scritta cheormai è divenuta un'ossessione "Cittàdel gusto, città del gusto...". Si diceche funga principalmente da grandescuola di cucina, centro di formazioneper chef. Mi scontro ancora con qual-che winerie e qualche bar dagli internisfarzosi. La vista da qui, col mare d'ar-gento al calar del sole, è mozzafiato...e c'è malu tempu! Caspita un drinkqua, io non posso permettermelo! Ilproprietario è un po' liscio, scherzandodice che vuole dei soldi in cambio delpermesso per le foto. Col capello sba-razzino attira le attenzioni della miaamica spagnola. Tutto sommato è sim-patico. Lo congedo, e continuo la miacorsa... Trovo finalmente un negozioche mette in mostra prodotti locali. E'un consorzio dell'Anapo. Porca mise-ria, ma l'Anapo, non è in provincia diCatania... Vabbè meglio di niente.Dopo una miriade di porte superateleggo "Gambero rosso". Questi qui,sono nati come compagni, pubblican-do un supplemento su Il Manifesto perdiversi anni. Poi come ogni buoncomunista, si sono imborghesiti e sonodiventati una S.r.l.

Si fa avanti una signorina sorriden-te che chiede spiegazione sulla miapresenza lì. Con molta simpatia mi

mostra le cucine, tutte avvenieristichee super high-tech. Parliamo un po' deicorsi. Mi dice che all'inizio partirannosolo quelli a durata breve, tre lungheore sotto la guida di un esperto chef,per gente disposta a pagare soli 60 €...Ou, però alla fine ti porti a casa quelloche hai cucinato. Pensa a quanti mari-ti contenti, e quanti ragazzi presi per lagola! Poi le parlo delle polemiche sca-turite rispetto al progetto: cancia culu-ri, letteralmente. Quasi mi butta fuori."Basta buttare fango su ogni cosa chesi fa, in questa città non si può smuo-vere un chiodo! Sapeste quanti proble-mi ci ha fatti la sovrintendenza!".Decido che è meglio cambiare aria.Cerco il cine-teatro e il museo deipupi, che hanno permesso di avere alcentro l'appellativo "culturale". Portesbarrate: chiusi. Forse in questa nostracittà, c' è gusto solo per chi ha un po'di soldi da spendere. È la cultura del-l'apparire!

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mente hanno cambiato tipo di cliente-la. Mentre prima era legata strettamen-

te al quartiere adesso è allargata a per-sone che vengono da varie parti dellacittà, attratti oltre che dai piatti tradi-zionali anche dal buon prezzo. Negliultimi anni si è visto un rifiorire delle"putie", adesso trasformate in trattorie,che stanno recuperando la loro funzio-ne di luogo di incontro nei vari quar-tieri della città, però a differenza di

prima sono frequentati da ambo i sessie da una diversa clientela. Fra le pochebotteghe rimaste una si trova nel cuoredel nostro quartiere in via Belfiore. Unlocale piccolo dove non ci sono tavoli-ni per la clientela ma bensì un pianod'appoggio in marmo sul quale ci sipuò addossare per bere un pò di vino emangiare qualcosa. Un'altra anticabottega si trova nella parte bassa di viaPlebiscito gestita dalla signora CastelliNatalina. "Questa è una nuova gestio-ne" dice la signora "siamo aperti daoltre un anno, e la nostra osteria è fre-quentata da una diversità di persone,anche da famiglie intere e persino dastranieri. E' gestita alla vecchia manie-ra come nelle antiche putie, abbiamoun buon rapporto con la clientela e ciimpegniamo a creare sempre nuoveiniziative per far aumentare i frequen-tatori del locale." La signora continua:"c'è cu abbessa e c'è cu spascia", rife-rendosi alle vecchie gestioni della bot-tega, mentre con orgoglio si vanta diaver ravvivato l'osteria. Ancora oggi aPutia è il solo punto di incontro esocializzazione in un quartiere privatodi qualsiasi centro di svago e di aggre-gazione. Un luogo, dove mancanospazi verdi, teatri, biblioteche, cinema,palestre e spazi di incontro, impediscela crescita dei cittadini.

5iCordai / Numero Dieci

Ancora oggi a Putiaè punto di incontroe socializzazione

testo e foto di Paolo Parisi

"APutia" era la tipica osteriaCatanese, frequentata esclusi-

vamente da uomini. Lì si gustavanobuoni piatti casalinghi e si bevevavino. Mangiare qualcosa era la scusaper poter bere un bicchiere di vino. Leosterie si trovavano nelle strade mag-giormente praticate da persone, luoghidi passaggio dove venivano raggiunticon facilità. Erano frequentate dagente che lavorava nelle vicinanze eandava lì a pranzare nella pausa dilavoro, oppure da uomini che la sera siintrattenevano a cenare a fine di unagiornata di fatica. Uova sode, cardi conpastella fritti, muso e piede di porco,carciofi arrostiti sulla brace, polipi edaltre pietanze venivano mostrati nellavetrinetta di esposizione, il tutto eraservito al tavolo come antipasto eaccompagnato da un bicchiere di vino,che se eri fortunato era di buona qua-lità. Se invece volevi bere qualcosa dileggero ordinavi un quarto di vino eduna gazzosa.

I frequentatori del locale erano opersone senza famiglia oppure uominiche non avevano un buon rapporto conle mogli e stavano lì fino ad ubriacarsi.A volte assistevi alla scena nella qualevedevi le donne che aggredivano i pro-pri mariti perché invece di rientrare acasa stavano nella putia a spenderesoldi ed oziare e naturalmente nonmancava di assistere a momenti di vio-lenza familiare. Botte da orbi! Eraanche un posto di incontro dove sisocializzava, si scambiavano le espe-rienze, si discuteva di politica, di lavo-

ro, e si parlava (o si sparlava) di cono-scenti o di vari personaggi del quartie-re, fra una giocata a scopa, a tre sette obriscola, il tutto accompagnato da unbicchiere di vino. Restando dentroquesti locali si aveva modo di ascolta-re tante storie personali, comunquestorie di vita.

A San Cristoforo vi erano tante"putie" che gradualmente sono scom-parse, nonostante la resistenza deigestori che hanno cercato di cambiarequalcosa per trattenere la continuaemorragia di clientela. Adesso le"putie" a San Cristoforo sono pochissi-me si possono contare sulla punta delledita di una mano. Nelle poche botte-ghe che ancora oggi esistono non sivedono più né le tradizionali botti dilegno ma bensì dei cilindri in acciaioinossidabile, né quei tavoli anneriti dal

tempo e dall'usura ma tavoli nuovi. Negli ultimi anni le osterie gradual-

uN quArtO DI vINO ED uNA gAzzOSA

Redazione “i Cordai”Direttore Responsabile: Riccardo OriolesReg. Trib. Catania 6/10/2006 nº26Via Cordai 47, [email protected] - www.associazionegapa.orgtel: 348 1223253

Stampato dalla Tipografia Paolo Millauro,

Via Montenero 30, Catania

Grafica: Massimo Guglielmino

Foto: Giovanni Caruso, Andrea Pujades, Paolo

Parisi

Hanno collaborato a questo numero:Giovanni Caruso, Toti Domina, Marcella

Giammusso, Paolo Parisi, Sonia Giardina, Elio

Camilleri, Salvo Ruggieri, Emanuele Basile,

Giulio Traversi

iCordai / Numero Dieci6

di Giulio Traversi

L'auto correva e se ne fotteva degli stop, ma traf-fico a quell'ora non ce n'era niente, Scibilia potevaguidare come Schumacher. S'arrestò sotto l'inse-gna dell'agenzia ippica, c'era Santo con le manidentro le sacchette che aspettava.

Il vento fischiava e trascinava il mondezzaio perstrada.

"Sali, amunìnni" apostrofò Scibilia. Santo Buscemi aprì la portiera posteriore del-

l'auto e s'infilò dentro. C'era una ragazza seduta davanti e si chiamava

Concetta. Aveva gli occhi verdi, a guardarla sem-brava ascoltare i violini del Teatro Massimo. Erabedda e a Santo acchianò issofatto tanticchia difame arretrata. La taliava di tre quarti mentre l'au-to schizzando sopra le pozzanghere strappavacarta stagnola. Lei era femmina come la pelleabbronzata di una cubana, come il tavolo da biliar-do, come la panna e il cioccolato. L'Etna inveceera alta e una bava di sangue gli colava dallabocca. L'auto correva, i rettilinei incrociavanorotatorie. Scibilia ci furriava intorno tanto per bab-baniare. Si divertiva, si sganasciava dalle risate agirarci tondo tondo come fanno le lancette dell'o-rologio. Ma Concetta stava muta e i secondi scor-revano come il suono del marranzano. Lei taliavafuori, dal finestrino. A destra e a sinistra svettava-no certi palazzoni disposti a schiera, scatolonicupicupi da paura: s'alzavano sopra dirupi di cam-pagna e spianate in cemento.

Quando giunsero sul luogo dell'appuntamentonon c'era ancora nessuno. Scibilia scese dall'auto,sputacchiò, abbassò la cerniera, tirò fuori l'uccelloe urinò contro i blocchi di cemento posizionati alcentro della carreggiata. Poi s'abbissò i calzoni,tornò dentro l'abitacolo e s'addormentò. Se Scibiliasi coricava per notte, era preda dell'angoscia piùnera. Si dimenava sopra il materasso come la codamozzata di una zazzamita. Era una lotta impari. Lamente furriava effetto random. L'insonnia se laportava di dietro da quando si era messo nel traffi-co di Santalucia, e si scantava che qualcuno entras-se senza dire permesso e gli faceva la festa dentrocasa. La moglie s'era ormai abituata a quell'inquie-tudine nervosa, infatti a metà nottata prendeva il

plaid sopra la seggiola e andava a coricarsi nelsoggiorno. Lui invece non dormiva, si arriminava,e fumava come un turco. Ma il sonno Scibilia lodoveva ricuperare, necessariamente, non potevacampare accussì. Il ricupero lo faceva a lavoro,che si sentiva in una botte di ferro. A lavoro c'erasempre d'aspettare qualcuno, e nell'attesa si facevala pennichella. Gli occhi si chiudevano subito, cosìnon provava manco lo scantazzo se fosse successoqualcosa d'irreversibile; e poi a stare con gli occhiaperti ci pensava sempre qualcun altro più impor-tante di lui, vicino a lui, intorno a lui, perchéScibilia era pagato per scarrozzare qua e là i cri-stiani, e manco parlare doveva. Era diventato unaspecie di automa che sgraccava, pisciava e guida-va, e se stava fermo, si addummisceva.

Anche quella notte poggiò il capo sopra il volan-te e fece un sonno senza sogni. Poi lo scalpitio deicavalli si confuse col chiacchiericcio degli sca-gnozzi, sorse un brusio smorzato dalla clandesti-nità dell'evento, e Scibilia si destò di soprassalto.

"Arrisbigghiati!" sentì dire.Salomone aprì la portiera della macchina e den-

tro non c'erano né Santo né Concetta. "Unn'è me figghia?" sbraitò il padre evidente-

mente incazzato. Scibilia era stordito dal sonno. "Arrisbigghiati, bestia!" L'autista scatarrò una due volte come se gli fosse

andato di traverso qualcosa. "Dove sono andati?"Scibilia s'accorse di essere rimasto solo dentro

l'abitacolo. "Ccà erano!" rispose, e bestemmiò pure. Uscì fuori spalancando la portiera, s'aggiustò i

pantaloni stringendo la cinghia, stirò sul collo ilbavero della giacca perché lo invase una folata divento freddo umido.

"Unni minchia se ne sono andati?" "Buttanazza miseria!" aggiunse Salomone, che

montò sopra il motore giallo limone perché lacorsa era pronta per partire.

"Cetti, Cetti" cominciò a gridare Scibilia. A uno che passava di lì con le mani nelle sac-

chette chiese se avesse visto la figlia di Salomone.Quello non si fermò neanche, alzò le spalle e tiròdritto.

'Fanculo, pensò Scibilia, sta femmina è propriouna zoccola!

I cavalli trattenuti alla cavezza scalpitavano. Ifantini pestavano i piedi sull'asfalto attrunzati dalfreddo. Avevano il numero stampato sopra il giub-botto, stringevano il frustino in mano e indossava-no stivali neri e pantaloni a palloncino. I vari com-pari abbissavano i finimenti del calesse e non sitaliavano tra loro perché ci poteva scappare unparapiglia e spartivano coppa unn'é ghié.

Uno al margine della carreggiata emise unfischio da pecoraio. I calessi si allinearono. Unaltro impugnò la rivoltella e contò alla rovescia. Lavoce alta spadroneggiava. Ruggì il rombo deimotori che era un crescendo rauco. L'uomo con larivoltella puntò la canna alle stelle e premette ilgrilletto.

I cavalli si lanciarono in una corsa forsennata. "Cimarosa, corri!" incitava Salomone sopra la

moto. Cimarosa trottava come il vento, macinavametri e sembrava una lepre. C'erano anche altricavalli che divoravano la strada e allungavano ilcollo, trottavano com'erano abituati a fare di notte,quando la gente dorme e la munnizza è depositatasopra i marciapiedi come fiori al cimitero. Eranoben strigliati quei cavalli, macchine sportive ser-bate al fresco dentro i garage.

I calessi oltrepassarono la prima curva, poi laseconda, ma in fondo al rettilineo si accesero in unmomento due potenti fari che spararono una luceaccecante, e fuori della notte sbucarono le volantidella Police. I fantini allentarono le briglie, balza-rono fuori dai calessi, si sparpagliarono per lacampagna come tanti forsennati. Le sirene rotanticoloravano di ghiaccio l'alba invernale. Quellagente colta in flagranza di reato si vide circondatadagli sbirri e non pareva vero che le guardie simettessero a inseguire anche i cavadduzzi, contutta la delinquenza che c'era in giro a quell'ora.

Furono tutti condotti a Piazza Lanza con le brac-cia conserte. Gli avvocati si arrisvigghiarono incoro, mentre magari si facevano la trummiata mat-tutina. Le luci della città si astutarono davvero perquei vastasi, che adesso si taliavano in facciaammosciati, come i pupi dell'Opera dei pupi quan-do è terminato lo show.

(segue)

CArNE DI CAvAllO - 3^ pArtE