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INFERNO IRAQ: VOCI DA UN’EMERGENZA UMANITARIA IGNORATA I DOLORI DEL PAESE ESPLOSO MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XL - NUMERO 9 - WWW.CARITASITALIANA.IT Italia Caritas POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA PROSTITUZIONE RAPPORTO NAZIONALE: NON DOBBIAMO GHETTIZZARE POVERTÀ «POLITICA OMOLOGATA, EMARGINATI FUORI MODA» SUDAN LA PACE SULLA CARTA, IN DARFUR SERVE UN NUOVO DIALOGO novembre 2007

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  • INFERNO IRAQ: VOCI DA UN’EMERGENZA UMANITARIA IGNORATA

    I DOLORI DEL PAESE ESPLOSO

    MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XL - NUMERO 9 - WWW.CARITASITALIANA. IT

    Italia Caritas

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    PROSTITUZIONE RAPPORTO NAZIONALE: NON DOBBIAMO GHETTIZZAREPOVERTÀ «POLITICA OMOLOGATA, EMARGINATI FUORI MODA»

    SUDAN LA PACE SULLA CARTA, IN DARFUR SERVE UN NUOVO DIALOGO

    novembre 2007

  • I TA L I A C A R I TA S | N O V E M B R E 2 0 0 7 3

    editoriale di Vittorio NozzaNONVIOLENZA A COLORI, LA SOLIDARIETÀ CI DEVE COSTARE 3parola e parole di Giovanni NicoliniLA REGALITÀ CHE AGONIZZA E CONQUISTA I CUORI LONTANI 5paese caritas di Filippo LombardiUOMINI IN UNA RETE CHE NON RENDE PRIGIONIERI 6

    nazionalePIANETA PROSTITUZIONE: VIGILARE, NON GHETTIZZARE 8di Giancarlo Peregodall’altro mondo di Delfina Licata 12IMMIGRATI, SEI SU CENTO: È IL TEMPO DEL DIALOGO 13a cura della redazione Dossier statistico immigrazionedatabase di Walter Nanni 15CARNITI: «POLITICA OMOLOGATA, I POVERI SONO FUORI MODA» 16di Paolo Briviocontrappunto di Domenico Rosati 21

    panoramacaritas SFRATTI, AIDS, SALUTE MENTALE SERBIA 22progetti LOTTA ALL’AIDS 24

    internazionaleVIVERE E MORIRE IN IRAQ, PAESE DEI MOLTI DITTATORI 26di Khawla EliaPIÙ DI UN QUARTO IN EMERGENZA, NUMERI DI UNA CRISI TERRIBILE 28contrappunto di Alberto Bobbio 30PACE, UN PEZZO DI CARTA: IN DARFUR SERVE DIALOGO 31DONNE TRA VIOLENZA E LIBERTÀ NEL CAMPO CHE SARÀ BARACCOPOLI 32di Giovanni Sartor foto di Paul Jeffrey/Act-Caritasguerre alla finestra di Stefano Verdecchia 35MIGRANTI VERSO L’EUROPA, LA SPINTA È SEMPRE FORTE 36di Oliviero Forti, Ettore Fusaro e Gianmaria Pintocasa comune di Gianni Borsa 39

    agenda territori 40villaggio globale 44

    ritratto d’autore di Rula JebrealLA FIERA DI MOHAMMED, UN EURO È PER IL CAPORALE 47

    IN COPERTINAUna bambina dorme vicino a sua

    madre e al fratello nel campoprofughi di Najaf, in Iraq.L’emergenza umanitaria

    compromette in particolarele condizioni di vita dei minorifoto Ap Photo / Alaa al-Marjani

    AVVISO AI LETTORIPer ricevere Italia Caritas per un anno occorre ver-sare un contributo alle spese di realizzazione di al-meno 15 euro: causale contributo Italia Caritas.

    La Caritas Italiana, su autorizzazione della Cei, puòtrattenere fino al 5% sulle offerte per coprire i costi diorganizzazione, funzionamento e sensibilizzazione.

    Le offerte vanno inoltrate a Caritas Italiana tramite:● Versamento su c/c postale n. 347013● Bonifico una tantum o permanente a:

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    ● Donazione con Cartasì e Diners, telefonando a Caritas Italiana 06 66177001Cartasì anche on line, sul sitowww.caritasitaliana.it (Come contribuire)

    5 PER MILLEPer destinarlo a Caritas Italiana, firmare il primodei quattro riquadri sulla dichiarazione dei redditie indicare il codice fiscale 80102590587

    Mensile della Caritas Italiana

    Organismo Pastorale della Ceivia Aurelia, 79600165 Romawww.caritasitaliana.itemail:[email protected]

    INFERNO IRAQ: VOCI DA UN’EMERGENZA UMANITARIA IGNORATA

    I DOLORI DEL PAESE ESPLOSO

    MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XL - NUMERO 9 - WWW.CARITASITALIANA. IT

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    PROSTITUZIONE RAPPORTO NAZIONALE: NON DOBBIAMO GHETTIZZAREPOVERTÀ «POLITICA OMOLOGATA, EMARGINATI FUORI MODA»

    SUDAN LA PACE SULLA CARTA, IN DARFUR SERVE UN NUOVO DIALOGO

    novembre 2007

    NONVIOLENZA A COLORI,LA SOLIDARIETÀ CI DEVE COSTARE

    editoriale

    dio del Darfur di questi anni. Ed è difficile, quasi impossi-bile, raccontare quanto avviene a Mogadiscio: le parole dasole non bastano a descrivere la furia dei combattimenti,i cadaveri disseminati ai crocicchi delle strade, le casesventrate, ovunque il lamento soffuso della stremata po-polazione civile. La capitale somala è un inferno; in quel-la città dimenticata da tutto e da tutti, è folto lo stuolo dicoloro che a più riprese hanno promesso la pace, disat-tendendo poi con le armi in pugno le attese della gente.

    È possibile, insomma, che il mondo metabolizzi unaserie di genocidi perpetrati in tempi e territori diversi. Lofa spegnendo i riflettori, ignorando l’argomento, parlan-do d’altro. Per la Birmania – tanto lontana, tanto irrile-vante – c’è il rischio che avvenga lo stesso. Le responsabi-lità, è ovvio, sono graduate. Il cinismo e l’indifferenza

    Trainata da una religioneNon è difficile tifare per i monaci bir-mani indossando, una tantum, uncapo d’abbigliamento rosso o aran-cione. Ma quando la solidarietà a di-stanza fallisce, è altrettanto facile di-menticare e ricacciare nell’oblio unintero popolo sottoposto a ferrea dit-tatura (militar-marxista, in questocaso). Non deve finire così, si diconole persone di buona volontà. Eppuresi rischia proprio questo. Il mondopuò lasciar correre un massacro diinnocenti che manifestano pacifica-mente per la democrazia? Può assi-stere al tentativo di annientare com-ponenti etnico-politiche di un pae-se? Può tollerare un genocidio piani-ficato che prosegue da anni? Sì, èpossibile, è la sconfortante risposta.

    Sappiamo, in fondo, che si è ar-chiviato il massacro di piazza Tienan-men, nel 1989; si è assistito all’ucci-sione di ottocentomila persone inRuanda, nel 1994; si tollera il genoci-

    C’è un’immagine che in questo autunno non è passatainosservata. E che ritorna frequentemente alla mente.Viene dal Myanmar e ritrae gruppi di monaci buddisti

    che sfilano silenziosi, sotto la pioggia, per le vie di Yangon, l’excapitale del paese. Camminano con l’acqua alle caviglie, le tu-niche arancioni inzuppate, le teste rasate lucide, lo sguardofiero. Lo sguardo di chi vuol trasmettere un messaggio forte.Destinatario è il regime militare – una dittatura di quelleche l’Occidente dimentica facilmen-te –, contro cui i religiosi hanno an-nunciato di voler continuare la lottanonviolenta, con l’appoggio dellagente, sino al suo crollo.

    Le marce nonviolente si sonosusseguite in varie città e con gesticlamorosi. Sfidando anche la vio-lenta repressione del regime. Alcu-ni monaci hanno sfilato con inmano la tradizionale scodella perle elemosine, capovolta per prote-sta. Il rifiuto di accettare le elemo-sine dai militari e dal loro clan rap-presenta una scomunica simbolica, un’azione forte enonviolenta in un paese, l’ex Birmania, a larga mag-gioranza buddista. Importanti manifestazioni si sonotenute anche a Mandalay, la seconda città del paese,che rappresenta – con le sue pagode lucenti e i nume-rosi monasteri – una capitale spirituale per i buddisti.A Yangon i cortei dei religiosi non hanno dimenticatoAung San Suu Kyi, ultimo premier eletto democratica-mente nel paese ma poi deposta dai militari, pasiona-ria dei diritti umani, Nobel per la pace, da anni agli ar-resti domiciliari: lei ha sostato in lacrime sulla porta dicasa, salutando il corteo che transitava di fronte allasua abitazione. È stata una grande mobilitazione. Unevento di portata tale, che non si vedeva in Myanmarda vent’anni a questa parte.

    I monaci dell’ex Birmaniahanno trascinato il paese

    in una straordinaria e pacifica prova di dignità

    e libertà. Ma il mondoriesce a metabolizzare

    persino i genocidi. Per non dimenticare,

    dobbiamo disporci a qualche sacrificio

    di Vittorio Nozza

    ItaliaCaritas

    direttoreVittorio Nozzadirettore responsabileFerruccio Ferrantecoordinatore di redazionePaolo Brivioin redazioneDanilo Angelelli, Paolo Beccegato, Livio Corazza,Salvatore Ferdinandi, Renato Marinaro,Francesco Marsico, Francesco Meloni,Giancarlo Perego, Domenico Rosatiprogetto grafico e impaginazioneFrancesco Camagna ([email protected])Simona Corvaia ([email protected])stampaOmnimediavia Lucrezia Romana, 58 - 00043 Ciampino (Rm)Tel. 06 7989111 - Fax 06 798911408sede legalevia Aurelia, 796 - 00165 Romaredazionetel. 06 [email protected]. 06 66177205-249-287-505inserimenti e modifiche nominativirichiesta copie [email protected]. 06 66177202spedizionein abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46)art.1 comma 2 DCB - RomaAutorizzazione numero 12478del 26/11/1968 Tribunale di RomaChiuso in redazione il 26/10/2007

    sommario ANNO XL NUMERO 9

  • 4 I TA L I A C A R I TA S | N O V E M B R E 2 0 0 7 I TA L I A C A R I TA S | N O V E M B R E 2 0 0 7 5

    LA REGALITÀ CHE AGONIZZAE CONQUISTA I CUORI LONTANI

    parola e parole

    sè – o forse fuori di sè! – che risponde-va: «Ecco dov’è Dio: è lì in mezzo tra idue... È il piccolo che ancora si dibat-te nella sua agonìa... Lì c’è Dio!». Il gio-vane ebreo sembra dunque aver coltoin quel momento una “presenza”.Che, certo, potrebbe essere la presen-za di un’assenza. Quel ragazzino, pic-colo impiccato, vittima innocente, so-lo nella sua pena assurda, abbando-nato a una morte atroce, potrebbe co-stituire la peggiore accusa nei con-fronti di un Dio che osa essere latitan-te e lontano. Ma è inevitabile coglierenell’identificazione che il giovaneebreo stabilisce tra Dio e il piccolo in-nocente la sconvolgente potenza diuna profezia, alla quale l’Israele fede-le si è tenuto legato fino al riconosci-mento del Messia nel Crocifisso.

    A noi resta il tesoro di una fedeumile e spoglia nella regalità del Figliodi Dio. Una regalità che vuole entrarein ogni piega della storia umana, an-che in quella da cui si penserebbe di

    poter solo fuggire. Una regalità che esprime la sua potenzaa partire da un coinvolgimento totale nella sorte degli ulti-mi, delle vittime, dei bambini che patiscono violenze inau-dite, di persone e popoli che non hanno voce nei consessidella mondanità. Una regalità capace di conquistare cuorianche lontani. La fede disperata del giovane ebreo che ve-de uccidere il suo coetaneo è pegno di una via di ingressonei cuori e nella vita di tutti. Non attraverso seduzioni econcorrenze di regni terreni, ma nella scommessa globaledella vittoria dell’Amore, sino alla Croce, oltre la Croce.

    e tutto il campo dovette assistere al-l’esecuzione della pena.

    Di ritorno dai campi di lavoro,tutti furono costretti a passare da-vanti al triplice patibolo e a guar-dare bene. Wiesel s’accorse subitoche, mentre i due adulti erano giàmorti, il ragazzino si dibatteva an-cora nello strazio dell’agonìa. Con-temporaneamente, sentì dietro asé la voce di un uomo che ponevaincalzanti domande. Domande aDio, in certo modo domande suDio. Domande che volevano sape-re dov’è Dio. In quell’inferno totale, Dio dov’era?

    Esistenza liquidataMolti nostri fratelli ebrei, tra i pochi sopravissuti altunnel dei lager, hanno dichiarato liquidatal’esistenza di un Dio che non ha ascoltato, ha taciuto,ha abbandonato le vittime negli artigli sanguinari esterminatori dei suoi figli. Davanti a quel patibolo,l’uomo si è domandato, e si domanda, dov’è Dio.

    Ma anche il ragazzo Wiesel ha udito una voce dentro di

    Attorno a un ragazzinogiustiziato in un lager

    si levano gli interrogativipiù angosciosi. Essi

    richiamano le paroleattorno a Gesù crocifisso,

    re che non si affidaalle seduzioni terrene,

    ma alla scommessadella vittoria dell’Amore

    La solennità di Gesù Cristo Re dell’universo ci porta quest’anno ad

    ascoltare la memoria lucana del dialogo tra il Signore Crocifisso e i

    due malfattori giustiziati insieme a Lui. Racconta Elie Wiesel, nel li-

    bricino La notte, che gli meritò anni fa il Nobel per la pace, che un tentati-

    vo di insurrezione nel campo di sterminio dove lui, ragazzo, consumava la

    sua tremenda passione, portò a identificare come agitatori due prigionie-

    ri addetti alle cucine e con loro un adolescente, di età forse non diversa da

    quella dello scrittore. I tre vennero condannati all’impiccagione

    Il popolo stava a vedere, i capi invece lo schernivano dicendo: «Ha salvato gli altri, salvi sestesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto». (…) Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava:«Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!». Ma l’altro lo rimproverava (…). E aggiunse:«Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità ti dico, oggi saraicon me nel paradiso». (Luca 23, 35-43)

    editoriale

    hanno le proprie classifiche. E anche i media sono nelnovero, troppo spesso complici dell’insensibilità e dellasmemoratezza generali. Tenere alta l’attenzione è un do-vere fondamentale.

    Quanto alla tragedia che ha insanguinato le stradedel Myanmar, ne deriva certo una grande angoscia e tri-stezza: ma quale straordinario esempio di forza moraleha dato e sta dando quel popolo! Si contano a centinaiadi migliaia gli uomini e le donne che sono pacificamen-te scesi in piazza sfidando (e non di rado incontrando)la morte, la prigione, le percosse, le ferite, pur di ribel-larsi all’ingiustizia, difendere i deboli contro i prepoten-ti, affermare i diritti umani più sacrosanti. Da buddistaquale è, questo popolo sta cantando in maniera eroicaun suo splendido inno alla libertà: una lezione di non-violenza che sarebbe colpevole ignorare, non valorizza-re, specie da parte di noi cristiani.

    È bello, poi, che in prima fila, ci siano figure femmi-nili di così gran rilievo, come Aung San Suu Kyi, da lun-ghi anni confinata agli arresti domiciliari per la sua te-nace opposizione nonviolenta alla feroce dittatura. Enon può sfuggire a nessuno che l’enorme, pacifica,nonviolenta rivolta popolare che viene repressa nelsangue, ha il volto e le tonache di mille e mille religiosi,monache e monaci. Una rivolta popolare per il pro-gresso umano è promossa, voluta, guidata da una reli-gione: così come è accaduto altre volte in molti paesi.Bisognerà farlo sapere ai “maestri” dell’ateo-pensierooggi così in voga, ai tanti loro devoti allievi nostrani, co-sì zelanti nel predicare “morte alle religioni, naturali

    nemiche del progresso” e immancabilmente omaggia-ti a tutti i livelli.

    Perché le sanzioni “mordano”Resta il fatto, però, che la comunità internazionale sem-bra aggirarsi impotente attorno allo scenario della crisibirmana. Anche l’impotenza del mondo è una triste ri-petizione. L’Occidente forse possiede armi spuntate. Mapuò fare molto nei confronti dei propri “amici”, tra iquali ci sono anche militari al potere. Ma le possibilisanzioni, se devono “mordere” i potenti, in modo non-violento, devono costare qualcosa a tutti noi. Perché, al-lora, non minacciare la Cina di boicottare le Olimpiadise non induce il regime di Myanmar a risparmiare almondo una nuova Tienammen e ad aprire un dialogo diriconciliazione nazionale? Perché non bloccare i com-merci con alcuni paesi dell’area (che hanno in Unioneeuropea e Usa i loro partner privilegiati) se non si libe-rano i prigionieri politici? Per tali gesti, assai onerosi, bi-sogna avere a cuore il destino dei popoli lontani, alme-no quanto quello della propria gente.

    Purtroppo, l’impressione è che le manifestazioni co-lorate dal rosso dei bonzi, dal rosa delle monache e dal-l’oro delle pagode suscitino soprattutto emozioni esoti-che, curiosità estetica e non invece forti azioni nonvio-lente, capaci di dare lievito al nostro vivere quotidiano.A Yangon, Mandalay e Sittwe la marcia dei birmani hadecretato, senza appello e in modo nonviolento, che lagiunta militare è nemica del popolo. E noi non dobbia-mo cambiare canale.

    di Giovanni Nicolini

    IC DI OTTOBRE, RITARDI NELLA SPEDIZIONEI lettori di Italia Caritas riceveranno questo numero della rivista a ridosso del precedente, che pure era sta-to “chiuso in redazione” nei tempi previsti. La spedizione del numero di ottobre (8/2007) è stata infatti ri-tardata di circa venti giorni a causa di alcuni problemi tecnici sorti nelle fasi di stampa dei bollettini posta-li modificati e di postalizzazione. Pur non avendo responsabilità dell’accaduto, Caritas Italiana garantisceche il problema non si ripeterà e si scusa con i lettori per l’inconveniente. Augurandosi che essi continui-no a seguire IC con la consueta attenzione, anche nei mesi e anni futuri.

  • Nel 2004 abbiamo cambiato veste.Da allora abbiamo migliorato sempre. Contenuti incisivi. Opinioni qualificate.Dati capaci di sondare i fenomeni sociali.Storie che raccontano l’Italia e il mondo.Un anno a 15 euro, causale “Italia Caritas”

    Occasione 2008ABBONAMENTO CUMULATIVO CON VALORIÈ un mensile di economia sociale e finanza etica promosso da Banca Etica. Dieci numeri annui dei due mensili a 40 euro. Per fruire dell’offerta• versamento su c/c postale n. 28027324

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    un anno con Italia Caritas

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    INFERNO IRAQ: VOCI DA UN’EMERGENZA UMANITARIA IGNORATA

    I DOLORI DEL PAESE ESPLOSO

    MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XL - NUMERO 9 - WWW.CARITASITALIANA.IT

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    SUDAN LA PACE SULLA CARTA, IN DARFUR SERVE UN NUOVO DIALOGO

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    le notizie che contanoPer ricevere il nuovo Italia Caritas per un anno occorre versare un contributo alle spese di realizzazione, che ammonti ad almeno 15 euro. A partire dalla data di ricevimento del contributo (causale ITALIA CARITAS) sarà inviata un’annualità del mensile.

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    Per informazioniCaritas Italianavia Aurelia 796, 00165 Romatel 06.66.17.70.01 - fax 06.66.17.76.02e-mail [email protected]

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    UOMINI IN UNA RETECHE NON RENDE PRIGIONIERI

    dalla vita comunitaria, ogni forma dipovertà.

    La Caritas di Matera-Irsina haprovato a coniugare i due verbi aproposito di un bisogno che troppospesso trova risposte approssimati-ve da parte delle realtà istituzionali.E si è dunque organizzata per legge-re e interpretare i bisogni di circa 35persone richiedenti asilo politico,provenienti prevalentemente daEritrea e Sudan, che nel 2004 vive-vano in situazioni molto precarie inun casolare abbandonato nel borgodi Metaponto, in provincia di Matera. Dall’intercettazio-ne e dalla lettura di quel bisogno è nata un’attivazione,finalizzata non solo a prestare un soccorso immediatotramite la fornitura di viveri, indumenti, materassi equant’altro era necessario per arrecare sollievo a quellepersone, ma anche e soprattutto per organizzare una ri-sposta corale, forte della partecipazione di tutti i sogget-ti operanti nel territorio: dal prefetto al vescovo, dalleassociazioni di volontariato che si occupano di immi-grati alle comunità parrocchiali, dalla provincia allescuole e alle strutture sanitarie. Lo scopo era chiaro: or-ganizzare una soluzione radicale del problema, che pre-vedesse non solo l’assistenza materiale, ma anchel’integrazione culturale e il graduale inserimento dei ri-chiedenti asilo nel mondo del lavoro.

    convenzione, una ex casa cantoniera aPisticci Scalo, trasformata in centro diprima accoglienza, dove si tengonocorsi di lingua italiana, di orientamen-to al lavoro e di formazione per operaidi vari settori (salottificio, manuten-zione del verde, ceramica) in collabo-razione con Ageforma, l’ente di for-mazione provinciale.

    Animare e tessere rete: sono gliimpegni che costituiscono l’ordito ela trama di un modo concreto diagire nella realtà sociale, dando vo-ce ed espressione a ogni soggetto

    sociale e istituzionale, senza assecondare il principiodella delega e senza cadere nell’assistenzialismo dere-sponsabilizzante per tutti, comprese le persone accolte.

    Animare e tessere rete: possono costituire la traduzio-ne di quella comunione ecclesiale che non si esaurisce al-l’interno della comunità cristiana, ma la apre a riconosce-re tutte le energie positive e tutte le potenzialità di benedisseminate nella realtà circostante, e a valorizzarle per farcrescere il senso del bene comune come attenzione al be-ne di tutti. Che nello stesso è un bene che accomuna tutti.

    Così oggi parlano i volti e le storie delle persone ac-colte. E testimoniano la gioia di essere incappati in unarete che non li rende prigionieri, ma che li libera per es-sere pienamente persone, protagoniste del loro destino,anche in una terra straniera.

    Comunione oltre la comunitàTra le attività di integrazione, alcunesono risultate particolarmente efficacie significative: dal 2005 la Caritas dio-cesana è entrata a far parte del Siste-ma di protezione per richiedenti asiloe rifugiati (Sprar) del ministero dell’in-terno e da settembre 2005 gestisce unprogetto per conto della provincia, de-nominato “Provinciaccoglie”, avendoottenuto in gestione, attraverso una

    Trentacinquerichiedenti asilo.

    Strappati a un casolaree divenuti centro di

    un progetto di accoglienza e integrazione. La Caritasha intercettato il bisogno,

    poi ha promosso un’ampiamobilitazione. E il territorio

    non s’è tirato indietro…

    paese caritasdi Filippo Lombardi

    direttore Caritas Matera-Irsina

    Animare e tessere rete: due verbi a cui la Caritas lega molte delle

    sue attività, le quali risultano tanto più significative, quanto più

    partono dalla lettura dei reali bisogni di un territorio e coinvol-

    gono tutti i protagonisti della vita sociale ed ecclesiale. Questi due ver-

    bi sono entrati a far parte dello stile e del metodo con cui Caritas in-

    terviene, non per fare opera di supplenza, ma per suscitare corre-

    sponsabilità nel rispondere alle attese delle tante persone che vivono

    un disagio sociale, una qualche forma di esclusione o emarginazione

  • toraggio nel settore dello spettacolo. Particolare attenzio-ne è attribuita a una serie di misure volte alla protezionedei minorenni: dalle campagne informative sul fenomenodella prostituzione minorile e sul reato con cui è sanzio-nato il cliente, alla necessità di prevedere l’inescusabilitàper il cliente dell’error aetatis, fino a precise misure di pre-venzione e tutela delle vittime.

    Da parte del mondo dell’associazionismo, forte è statala preoccupazione di evitare divieti, multe e forme di ghet-tizzazione in quartieri a luci rosse e appartamenti, che ri-schiano di spostare, dimenticare, rimuovere il fenomenonella sua realtà, oltre che di trascurarne la complessità e direndere più difficoltosi gli interventi sociali. In questo sen-so, se si è accettato come extrema ratio il divieto di prosti-tuzione nei pressi di alcuni luoghi pubblici particolar-mente significativi (scuole, chiese, ospedali), non è stataaccettato dall’associazionismo – anche se è entrato nellarelazione – il divieto di prostituzione sulle strade e sullepiazze, benché a tale misura i sindaci debbono giungere,sempre secondo la relazione dell’Osservatorio, dopo averutilizzato tutti gli strumenti di mediazione e di tutela so-ciale disponibili e dopo aver considerato le competenze e

    (Caselli prima e Grasso oggi). Tale misura è stata ulterior-mente rafforzata ed estesa anche ad altre forme di tratta(per lavoro e accattonaggio) dall’articolo 13 della legge 228del 2003, a testimonianza del suo valore di “liberazione”delle vittime e scardinamento delle reti criminali.

    Una questione socialeNel capitolo conclusivo la relazione, dopo aver sottolinea-to che la prostituzione è anzitutto una “questione sociale”,presenta un pacchetto di interessanti proposte di azione edi collaborazione tra le diverse istituzioni (enti locali, for-ze di polizia, associazionismo) anche per il futuro. Oltre aribadire l’impegno per la protezione e l’integrazione dellevittime, rafforzando anche un lavoro di osservazione sulterritorio da parte delle prefetture, si auspica un aumentodi risorse per i programmi di protezione sociale e per iprogetti di cooperazione internazionale, anche attraversola costituzione di un fondo nazionale.

    Sul piano della prevenzione e del contrasto, si chiededi rafforzare le misure connesse alla nuova legge sulla trat-ta del 2003, sviluppando strumenti di cooperazione di po-lizia internazionale, ma anche forme di controllo e moni-

    8 I TA L I A C A R I TA S | N O V E M B R E 2 0 0 7 I TA L I A C A R I TA S | N O V E M B R E 2 0 0 7 9

    nazionaleschiavitù moderne

    l 2 ottobre, dopo alcuni mesi di lavoro intenso, è stata presentata alla stampa la prima rela-zione conclusiva dell’“Osservatorio sulla prostituzione e sui fenomeni delittuosi ad essaconnessi”. Istituito dal ministero dell’interno con decreto del 18 gennaio 2007, presiedutodal sottosegretario Marcella Lucidi, l’Osservatorio ha visto la partecipazione di rappresen-tanti di diversi ministeri, delle forze dell’ordine e dell’arma dei carabinieri, di associazionied enti che operano nel mondo della prostituzione, tra cui Caritas Italiana.

    La relazione, forse per la prima volta a quasi cinquant’anni dalla legge Merlin (ratificata il 20 feb-braio 1958), offre al parlamento italiano un’analisi approfondita del fenomeno della prostituzionenel nostro paese, inserendola anche nel quadro della legislazione europea. La prima evidenza è cheil fenomeno si propone come “globale” (interessa infatti almeno 40 mila persone, che “esercitano”in Italia proveniendo da 54 paesi del mondo) e “policentrico” (si manifesta all’aperto, al chiuso, incasa e sulle strade). Esso nasconde condizioni di miseria, violenza, sfruttamento e tratta e crea al-cune volte situazioni di paura, non sempre giustificata, e di ripulsa sociale su alcune strade e in al-cuni quartieri di periferia, soprattutto nelle città. Nigeria, Romania, Moldavia e Ucraina sono le na-zionalità d’origine più frequenti delle donne prostituite; ma sono in aumento anche cinesi, bulga-re, russe, colombiane e tailandesi, soprattutto nei luoghi chiusi, meno visibili e raggiungibili da per-corsi di tutela. È un mondo popolato da persone non soloadulte, ma anche da minori; non solo immigrate, ma an-che in situazione di mobilità continua: cambiano luogo, sitrasferiscono da una città all’altra in Italia, passano da unpaese all’altro in Europa. È un fenomeno in continua evo-luzione, sia sul versante delle donne prostituite che deiclienti: questi ultimi sempre più giovani.

    La relazione sottolinea la connessione stretta tra pro-stituzione, traffico e tratta degli esseri umani, oltre che larilevanza penale della prostituzione minorile. Non sonofenomeni nuovi: già alla chiusura delle 256 case di tolle-ranza attive in Italia nel 1958, tra le migliaia di donnec’erano molte minorenni e provenienti da diversi paesieuropei. E già negli anni Cinquanta si parlava, in relazio-ne alla prostituzione, in vari paesi e europei e non solo, diuna vera e propria “tratta delle bianche”.

    Articolo 18 poco valorizzatoLa relazione dell’Osservatorio non si limita a fotografare ilfenomeno sul duplice versante delle vittime e dei clienti.Mette a fuoco anche le alcune azioni di sostegno dispie-gate nel territorio nazionale: le unità di strada (realtà mol-to importanti, per costruire percorsi di informazione, di

    tutela della salute e di reinserimento sociale); i centri diascolto e gli sportelli di tutela legale; i programmi di pro-tezione sociale (disposti dalle istituzioni ma purtroppoancora molto deboli, pur avendo già interessato alcunemigliaia di vittime, sia in ordine alle risorse che in relazio-ne alla provvisorietà di programmi che non si tramutanoin servizi stabili nel territorio e negli enti locali); il numeroverde sulla tratta; i progetti di cooperazione internaziona-le, per lo più legati al rimpatrio.

    Una particolare attenzione è dedicata dalla relazioneall’applicazione dell’articolo 18 del decreto legislativo286/98, che in quasi dieci anni ha consentito ad almeno 4mila donne di avere un titolo di soggiorno per protezionesociale: da una parte ha permesso di costruire un percorsoalternativo di vita e di tutela delle vittime, d’altro canto hainnescato percorsi giudiziari per colpire sfruttatori e asso-ciazioni di trafficanti. Si tratta di una misura sociale effica-ce e completa, unica nel panorama europeo, anche se pur-troppo poco valorizzata da alcune questure, o utilizzata so-lo in collegamento all’aspetto penale della denuncia, no-nostante due richiami di ministri dell’interno (Pisanu pri-ma e Amato oggi) e due richiami di Procuratori antimafia

    di Giancarlo Perego

    I

    PIANETA PROSTITUZIONE:VIGILARE, NON GHETTIZZARE

    Prima relazione dell’Osservatoriovoluto dal ministero dell’interno, cui partecipa anche Caritas. Analisi di un fenomeno globale e policentrico. Le proposte: rafforzare il lavoro sociale. Ed evitare le rimozioni

    CINQUANT’ANNIDOPO

    LA MERLINSecondo i dati

    dell’Osservatoriodel ministerodell’interno,

    in Italia“esercitano”

    54 mila persone,provenienti

    da circa 40 paesidel mondo

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  • I TA L I A C A R I TA S | N O V E M B R E 2 0 0 7 1110 I TA L I A C A R I TA S | N O V E M B R E 2 0 0 7

    nazionale

    schiavitù moderne

    le collaborazioni del mondo associativo e delle forze di vi-gilanza e di polizia del territorio.

    Libertà e responsabilitàIn conclusione, l’Osservatorio ha realizzato un lavoro im-portante e interessante intorno alla prostituzione. Perquesto mondo, che in quasi cinquant’anni è cambiatomolto quanto a storie e volti, valgono ancora, però, dueparole, che sintetizzano il contenuto della legge Merlinsulla “abrogazione della regolamentazione della prostitu-zione e lotta allo sfruttamento della prostituzione altrui”:libertà e responsabilità. Libertà: perché il corpo è il voltodella persona, della donna, e non può diventare merceper nessuno e per nessun motivo, e la relazione sessuale è

    ono stata vent’anni in Africa. Ma gli schiavi li ho tro-vati in Italia». Valeria Gandini, missionaria combo-niana, ha vissuto a lungo in Nigeria e Sudan. Poi,agli inizi degli anni Ottanta, è rientrata a Verona. E lìha trovato le vittime della tratta. «Schiave dei nostri

    tempi», le definisce senza sfumature. Le incontra al centrodi ascolto della Caritas diocesana, quando vengono a chie-dere aiuto e poco alla volta si raccontano, finché qualcunatrova pure il coraggio di denunciare i propri sfruttatori. Op-pure sulla strada, lungo la statale 11 che collega Verona aPeschiera, intorno alla stazione, o tra i capannoni dell’areaindustriale, quando esce la sera con i volontari dell’asso-ciazione Papa Giovanni o della Ronda della Carità.

    A Verona sono almeno un centinaio ogni notte, secon-do gli operatori. Più altrettante al chiuso, nelle discoteche,

    nei night, negli appartamenti. La maggior parte arriva daipaesi dell’est, in particolare da Romania e Moldavia. Unbuon numero anche dai quegli stessi villaggi africani chesuor Valeria aveva visitato da missionaria. «Nei villaggi ru-rali della Nigeria ho conosciuto donne straordinarie, ca-paci di sopportare fatiche inimmaginabili per crescere i fi-gli, fiere e dignitose anche nella povertà – racconta la reli-giosa –. Per questo vedere giovani umiliate ogni notte sul-le nostre strade, mi offende doppiamente».

    Di quelle donne, le ragazze trattate in Italia spesso sonole figlie o le nipoti. Secondo le associazioni, a prostituirsisono persone sempre più giovani. A volte anche minoren-ni. Quindicenni, sedicenni, ingannate con la falsa promes-sa di un lavoro in Europa, poi vendute a chi le traffica. Altrevolte non del tutto ignare di quello che viene loro chiesto difare una volta arrivate a destinazione. Tutte, comunque,schiave. Costrette a vendersi per ripagare il debito che han-

    no contratto per emigrare. Controllate giorno e notte dailoro sfruttatori. Percosse, se non guadagnano abbastanzao se provano a fuggire. Merce di scambio per il racket, checon i loro corpi accumula profitti enormi, poi reinvestitinegli altri mercati illegali: droga e armi.

    Una “lucciola”, dieci clienti«La tratta è la forma moderna della schiavitù – sottolineasuor Valeria –. Ed è una forma forse peggiore di quella an-tica, perché non si limita a impossessarsi dei corpi, maesercita il proprio potere su qualcosa di più intimo eprofondo, le credenze, i sentimenti, gli affetti, i pensieri».Per questa ragione suor Valeria è convinta che per scon-figgere il traffico lo stato possa e debba fare di più, intensi-ficando le indagini per colpire la rete criminale che traffi-ca le donne. Ma non solo. La repressione deve esser ac-compagnata da una battaglia culturale e di formazione.

    «Per ogni prostituta ci sono almeno dieci clienti ogni not-te – sottolinea –. Sono quasi tutti italiani. Per lo più sono inostri ragazzi e i nostri mariti. Bisogna dire a loro che ognivolta che vanno con una prostituta non solo tradiscono leloro fidanzate e mogli, ma danno una mano ai criminali».

    Da questi presupposti nacque, due anni fa, “Stop allatratta - Libera la vita”, campagna di sensibilizzazione checoinvolse l’intera diocesi veronese. La scintilla fu un fattonoto alle cronache cittadine come “l’eccidio della Crocebianca”, una brutta storia in cui persero la vita due poli-ziotti, una prostituta e il suo aguzzino. Da allora la cittàreagì. La Caritas, l’associazione Papa Giovanni XXIII e laComunità dei Giovani promossero una serie di iniziative digrande impatto. Manifesti, spot, fiaccolate. La mobilitazio-ne generale ha portato anche alla creazione di un tavolo dicoordinamento, che ha visto come anima e ispiratrice ilprefetto. Non a caso, una donna: Italia Fortunati.

    Suor Valeria, tornata dall’Africa: «Ma le schiave sono in Italia»Missionaria comboniana, opera al centro d’ascolto di Caritas Verona. «Le ragazze prostituite da noi sono figlie di donne coraggiose. Parliamo ai nostri uomini…»

    un gesto d’amore importante, che non può essere regola-mentato se non da una coscienza retta e informata. Il cor-po di nessuno può essere relegato in “case chiuse” o in“spazi” lontani: è un bene relazionale, che aiuta a costrui-re la comunità. Responsabilità: se il corpo di ogni personaè un valore va difeso e tutelato, soprattutto se sfruttato, inogni occasione. La comunità e la città devono essere unluogo sicuro per il corpo. La città e i cittadini non possonoabbandonare il corpo di nessuno in una situazione di di-sagio. E nessuno può non avvertire la responsabilità di di-fendere un corpo “trafitto”, indifeso, piccolo.

    Il corpo non può essere salvato che da relazioni positi-ve, di attenzione e mediazione, di cura e protezione: nonpuò entrare in logiche di mercato (che lo “usa”), o essere

    gestito da logiche urbanistiche (che separano poveri e ric-chi, cittadini e immigrati), o essere consegnato a logichedi sicurezza (che considerano una vittima un pericolo).

    Dal lavoro dell’Osservatorio, anche attraverso la me-diazione con una politica che purtroppo oggi esibisce ten-denze securitarie e deve fare i conti con un’opinione pub-blica poco informata e spesso schizofrenica nelle richie-ste, sono insomma uscite proposte importanti e non sem-plificanti: istanze in grado di delineare un percorso per lecittà, per gli enti locali, ma anche per il mondo dell’asso-ciazionismo, delle scuole, dell’informazione, delle forzedell’ordine. L’obiettivo è indurre tutti alla “vigilanza” sulvalore del corpo di tutti, nel rispetto di un patto socialeche riconosca anzitutto il valore della libertà di coscienza,

    ma aiuti anche a far crescere, a partire dal corpo, la re-sponsabilità nei confronti di chi, prostituta o cliente, è vit-tima, è debole, è insicuro, è solo.

    L’impegno di 70 Caritas diocesane, che ogni annoascoltano e aiutano con i loro operatori, i loro volontari ei loro servizi almeno un migliaio di donne, accompagnan-dole in un percorso di tutela sociale e dei propri diritti, neiprossimi anni dovrà diventare sempre più, anzitutto al-l’interno delle comunità cristiane, un lavoro culturale dieducazione alla responsabilità di tutti. Per riconoscere,senza condanne sterili, i volti e le storie della prostituzio-ne. E raggiungere insieme un bene comune che non sa-crifichi, segreghi o si limiti a punire qualcuno, per il be-nessere e il decoro dei più.

    «Sdi Francesco Chiavarini

    Persone denunciate per il reato di tratta [art. 601 Codice penale]

    2007

    2006

    2005

    20040 50 100 150 200

    70

    129

    157

    126

    Persone denunciate per i reati di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione [art. 3 L.75/58]

    2007

    2006

    2005

    20040 1000 2000 3000 4000

    774

    2874

    2706

    2460

    Nazionalità dei denunciati per sfruttamentodella prostituzione - anno 2006 [art. 3 Legge 75/58]

    POLONIAEQUADORBULGARIAMOLDAVIA

    SERBIA E MONTENEGROREP. DOMENICANA

    COLOMBIANIGERIABRASILE

    LUOGO IGNOTOCINA POPOLARE

    ALBANIAROMANIA

    ITALIA

    2223242528

    5062

    129152

    186201

    287301

    11440 200 400 600 800 1000

    Nazionalità delle vittime del reato di sfruttamentodella prostituzione - anno 2006 [art. 3 Legge 75/58]

    ITALIAROMANIAALBANIA

    CINA POPOLARELUOGO IGNOTO

    NIGERIABRASILE

    MOLDAVIASERBIA E MONTENEGRO

    BULGARIAUNGHERIASVIZZERA

    COLOMBIAEQUADOR

    0 25 50 75 100 125 150 175 200

    FONTE: PRIMA RELAZIONE CONCLUSIVADELL’“OSSERVATORIO SULLA PROSTITUZIONE

    E SUI FENOMENI DELITTUOSI AD ESSA CONNESSI”

  • e condivide con il Giappone quello a livellomondiale. Nel nostro paese è attribuibile alledonne immigrate circa la metà dell'incremen-to della natalità registrato tra 1995 e 2005: es-se hanno in media 2,45 figli a testa, contro1,24 delle donne italiane, che per giunta par-toriscono il primo figlio a 31,3 anni, quattro inpiù rispetto alle straniere.

    Processo di strutturalizzazioneNel 2006 la quota d’ingresso di nuovi lavoratori è statafissata inizialmente a 170 mila unità, ma le domandesono state più del doppio e hanno posto in evidenza leipocrisie riguardo ai meccanismi di incontro tra do-manda e offerta: si continua a presupporre che i lavora-tori stranieri aspettino dall’estero la loro chiamata,mentre è risaputo che, in attesa di essere ufficialmenteassunti, hanno già cominciato a lavorare in Italia, con laconseguente “clandestinizzazione” per via legale di unagran massa di lavoratori.

    Dall’analisi delle 540 mila domande di assunzionepresentate nel biennio 2005-2006 emergono una nettaprevalenza del settore domestico (quasi il 49% delle do-mande) e, seppure a distanza, di quello edile (quasi il18%); la ridotta incidenza delle richieste di personale aelevata professionalità (appena 1.200 domande per di-

    I TA L I A C A R I TA S | N O V E M B R E 2 0 0 7 1312 I TA L I A C A R I TA S | N O V E M B R E 2 0 0 7

    nazionalestranieri in italia

    IMMIGRATI, SEI SU CENTOÈ IL TEMPO DEL DIALOGO

    rigenti e simili); l’alta concentrazione in determinateprovince, soprattutto Roma (oltre 50 mila) e Milano (ol-tre 37 mila). Quanto ai paesi di origine dei lavoratori, alprimo posto della graduatoria si trova la Romania (oltre130 mila domande), seguita a grande distanza da Ma-rocco (50 mila), Ucraina e Moldavia (35 mila a testa), Al-bania (30 mila), Cina (27 mila), Bangladesh (20 mila),India (13 mila), Sri Lanka e Tunisia (circa 10 mila a te-sta).

    Una così forte crescita comporta problemi, ma ga-rantisce benefici ancora più consistenti. Gli immigratisoddisfano le esigenze occupazionali dell’Italia e inci-dono per più del 6% sul Prodotto interno lordo. Dalpunto di vista della ripartizione geografica, emergonoalcune tendenze: le aree più forti dal punto di vista oc-cupazionale (nord-ovest, nord-est e centro) conferma-

    a cura della redazione del Dossier statistico Caritas-Migrantes

    i può partire da una comprensibile curiosità: quanti erano i cittadini stranieriregolari in Italia all’inizio del 2007, tenendo conto anche dei minori? La stimadel Dossier Caritas-Migrantes, la cui 17ª edizione è stata presentata il 30 ottobre,a Roma alla presenza del ministro dell’interno Giuliano Amato e in contempo-ranea in venti altre città, indica 3.690.000 unità (su 28 milioni di cittadini stra-nieri censiti in Europa). Da noi l’incidenza è salita al 6,2%, valore più alto ri-

    spetto alla media europea; la stima include tutti i cittadini stranieri, anche se provengonoda un altro stato membro dell’Unione europea o da un paese a sviluppo avanzato. L’Italiasi colloca, con la Spagna, subito dopo la Germania tra i più grandi paesi di immigrazionenell’Ue; per quanto riguarda l’incremento annuale, i due paesi mediterranei non hannouguali in Europa, superando in proporzione gli stessi Stati Uniti.

    L’Italia ha il primato negativo in Europa quanto a invecchiamento della popolazione

    SPresentato il 17° “Dossier statistico Caritas-Migrantes”. Italia prima in Europaper tasso di incremento della presenzastraniera. Le politiche di ingresso continuano a presentare ipocrisie. Nel 2008 interculturalità protagonista

    di Delfina Licata

    FUORI DAI NOSTRI CONFINIUN’ITALIA TRE VOLTE PIÙ GRANDE

    San Marino; in America Latina Ve-nezuela, Uruguay, Cile, Perù, Ecua-dor, Colombia e Messico.

    L’emigrazione è una questionenazionale: coinvolge le regioni italia-ne ricche quanto quelle povere. Dalsud provengono 2 milioni di cittadiniitaliani residenti all’estero (55,7% de-gli espatriati), dal nord 1 milione(29,8%) e dal centro mezzo milione(14,5%). Tra le regioni d’origine, spic-cano Sicilia (600 mila unità), Campa-nia (quasi 400 mila), Calabria, Puglia eLazio (300 mila), mentre da Lombar-dia e Veneto sono partiti in 250 mila.

    Flussi complementariIl Rapporto, giunto alla seconda edi-zione, si propone di contribuire asanare la frattura determinatasi tral’Italia rimasta a casa e quella anda-ta all’estero. Perché questi legamivengano rinsaldati, è necessario chegli italiani rimasti in patria non con-tinuino a pensare che i connaziona-

    li all’estero sono una realtà residuale del passato; al con-trario, essi possono offrire un prezioso supporto al pro-tagonismo dell’Italia in un mondo globalizzato. A lorovolta, le collettività italiane all’estero sono invitate aproporsi in maniera più coinvolgente.

    Le esperienze fatte dagli italiani in terra altrui, inol-tre, dovrebbero influire sugli orientamenti da seguirenel decidere le nostre politiche sull’immigrazione,portando a eliminare i comportamenti che nel passa-to hanno fatto soffrire amaramente i nostri migranti.«Non c’è un’emigrazione buona e una cattiva – ha av-vertito monsignor Piergiorgio Saviola, direttore gene-rale della Fondazione Migrantes –, ma una comple-mentarità tra le due, che il nostro paese deve riuscire acomporre».

    L’Italia che guarda all’Italia fuori dai suoi confini è tre volte più po-polosa rispetto a quella che vive in patria. Rispetto ai 58 milionidi cittadini residenti, ci sono infatti 3.568.532 italiani che hanno

    conservato la cittadinanza pur essendosi stabiliti all’estero (dati Aire,aprile 2007), a cui si aggiungono tra i 60 e i 70 milioni di oriundi (figli, ni-poti e pronipoti) e più di 100 milioni di cittadini stranieri interessati allecose italiane. I dati sono forniti dal Rapporto italiani nel mondo 2007,promosso dalla Fondazione Migrantes, realizzato dalla redazione delDossier immigrazione Caritas-Migrantes, presentato in quattrocittà italiane a inizio ottobre (Info:www.rapportoitalianinelmondo.it).

    Secondo lo studio, gli italiani al-l’estero sono destinati ad aumentare,e notevolmente, in seguito alla ri-acquisizione della cittadinanza daparte di centinaia di migliaia di per-sone, che hanno già presentato do-manda nei consolati. La presenza ita-liana all’estero si concentra in preva-lenza nell’area euroamericana: sono9 emigrati su 10, più della metà in Eu-ropa (2.043.998 persone, il 57,3%),più di un terzo in America (1.330.148,34,3%). Essa però tocca tutti i continenti: in Oceania ci so-no 119.483 nostri concittadini (concentrati in Australia, alungo importante sbocco dei nostri flussi), in Asia 26.670(anche in seguito ai nuovi flussi migratori, per lo più di fi-gure altamente qualificate), in Africa 48.223 (perlopiù la-voratori nei cantieri delle proprie aziende).

    Tra le destinazioni, tre paesi (Germania, Argentina eSvizzera) ospitano mezzo milione e più di italiani, se-guiti dalla Francia (350 mila espatriati), mentre altriospitano circa 200 mila (Belgio, Brasile, Stati Uniti) o 100mila italiani (Regno Unito, Canada, Australia). Seppurecon numeri ridotti, inoltre, sono tanti i paesi da consi-derare capitoli importanti della nostra storia emigrato-ria: in Europa per gli insediamenti permanenti Austria,Lussemburgo e Paesi Bassi, per i frontalieri Monaco e

    Il secondo “Rapporto italiani

    nel mondo” proponedati e analisi

    sulla diffusione e le attività dei nostri

    concittadini all’estero.Siamo presenti in tutti

    i continenti, soprattuttoin America ed Europa. E il numero aumenterà

    dall’altro mondonazionale

  • esclusione socialepolitiche socialidatabase

    adeguati alle esigenze odierne: so-lo lo 0,4% delle abitazioni non di-spone di un gabinetto interno e lo0,7% di acqua calda. Il 12,4% dellefamiglie, però, ritiene di vivere inun’abitazione troppo piccola ri-spetto alle proprie esigenze.LA CRISI DEGLI AFFITTI. Negli anniSettanta per il 60% degli affittuari ilpeso dell’affitto non superava il10% del reddito disponibile; menodel 9% erano le famiglie con un’in-cidenza dell’affitto sul reddito su-periore al 20%. Negli anni 2000, so-no solo il 23% le famiglie in affittoper le quali il rapporto tra canonedi locazione e reddito non superail 20%. Attualmente il 45% dei nu-clei in affitto destina al canone piùdel 25% del reddito disponibile.

    Pochi affittuariSul problema del mercato degli affit-ti, un’indagine realizzata nel 2007 dalCensis per conto del Sunia (sindaca-

    to inquilini della Cgil) evidenzia che sono 4 milioni 180mila le famiglie che vivono in affitto, pari al 18,7% delle fa-miglie (erano il 20,3% nel 2004), mentre in Europa la per-centuale di famiglie in locazione supera anche il 40%.

    Nel periodo 1999-2006, l’incremento dei canoni dilocazione è stato pari al 112%: si pagano in media1.600 euro al mese per 100 metri quadri nel centro diRoma e Milano, 2.200 a Parigi, 4.000 a Londra, solo 900a Berlino. Il 76,4% delle famiglie in affitto ricade nellafascia di reddito sotto i 20 mila euro, il 20% tra i 20 milae i 30 mila, solo il 3,5% dispone di un reddito familiaresuperiore ai 30 mila euro. Nelle grandi città, dove i ca-noni sono molto più alti, le famiglie in affitto con red-dito sotto i 10 mila euro sono il 24,5% contro il 18,1%dei centri con meno di 250 mila abitanti.

    Che in Italia esista un’emergenza casa è circostanza confermatanon solo dall’impennata dei mutui che ha messo in difficoltàtante famiglie, ma anche da due recenti rapporti di ricerca, che

    presentano informazioni aggiornate sul fenomeno. Dal primo Rap-porto sulla condizione abitativa in Italia, predisposto dalla societàNomisma per conto del ministero delle infrastrutture, emergono in-teressanti dati a proposito di alcuni argomenti.PROPRIETÀ E MERCATO DEI MUTUI. Il 14% della popolazione italiana risie-de in un’abitazione in affitto; sono proprietari della casa in cui vivono

    MUTUO, QUANTO MI COSTI!E L’EDILIZIA POPOLARE FRENAdi Walter Nanni

    l’80% degli italiani. Nel 2006 il 13,8%delle famiglie proprietarie pagavaun mutuo consistente: in media458 euro al mese (il 4,5% in più ri-spetto al 2005). Pur in presenza disegnali di sofferenza, nel 2006 sonostati comunque accesi 404.276 mu-tui per la casa, il 2,9% in più rispettoal 2005. Risulta in crescita il nume-ro di famiglie in difficoltà nel paga-mento del mutuo: nel primo trime-stre 2007 l’aumento è stato del 7,3%rispetto al trimestre precedente.LE RISORSE DELL’EDILIZIA POPOLARE. Ilpatrimonio abitativo pubblico comprende circa 1,4 milionidi alloggi. Anche se di notevoli dimensioni, esso è margi-nale, se raffrontato alla consistenza dell’edilizia sociale deipaesi europei occidentali (ad esempio Olanda, Svezia,Germania). La produzione di alloggi a totale carico dellostato, circa 34 mila unità per anno negli anni Ottanta, si ènotevolmente ridotta: nel 2004 le abitazioni di edilizia po-polare ultimate in Italia sono state 1.900. Il 50% delle abi-tazioni popolari risultano edificate prima del 1981.LA SITUAZIONE DEGLI SFRATTI. Nel 2006 sono stati 43.395 iprovvedimenti esecutivi emessi, 100.287 le richieste disfratto e 22.189 le esecuzioni effettuate. Il numero disfratti in scadenza il 14 ottobre era intorno a 2.600.UNA BUONA QUALITÀ ABITATIVA. Sono poche le abitazioniche non raggiungono gli standard qualitativi minimi,

    Due indaginiconfermano che

    le spese per la casaincidono sempre più

    sui bilanci delle famiglieitaliane. Intanto

    le amministrazionipubbliche costruiscono

    sempre meno abitazioni.Ma la qualità

    degli alloggi è buona

    nazionale

    14 I TA L I A C A R I TA S | N O V E M B R E 2 0 0 7

    nazionalestranieri in italia

    agli immigrati, nel reciproco interesse, è infatti un im-perativo, ribadito dalla proclamazione del 2008 comeAnno europeo del dialogo interculturale. “È un invito –ricorda nell’introduzione al rapporto monsignor Vitto-rio Nozza, direttore di Caritas Italiana e membro del Co-mitato di presidenza del Dossier – a costruire l’Europa el’Italia del futuro in simbiosi con gli immigrati. La diver-sità può diventare uno stimolo in grado di perfezionarela nostra crescita (…): pur restando attaccati ai valoridella nostra tradizione e salvaguardando, naturalmente,i principi costituzionali e la nostra fede, siamo chiamatiad aprirci ai valori di cui gli immigrati sono portatori, inun rapporto di reciproco scambio. (…) In questo nostroimpegno il passato non è in grado di offrirci soluzionipreconfezionate, perché i modelli “classici” di integra-zione sono da rivedere. In Europa, inclusi i grandi paesidi immigrazione del dopoguerra, si è diventati tutti ap-prendisti e bisogna andare alla ricerca di soluzioni in-novative, tra l’altro attivando un dialogo costante anchecon i paesi di origine. Non si tratta solo di adottare deci-sioni su meccanismi riguardanti l’ingresso, il soggiorno,il mercato occupazionale, ma anche di concordareobiettivi validi per una società interculturale e interetni-ca. Le radici cristiane dell’Europa, seppure al termine diun lungo e tortuoso processo, hanno favoritol’affermarsi della tolleranza e della democrazia ed evi-denziato la necessità di un sano concetto di società lai-ca. Bisogna valorizzare questo grande passato per riu-scire a garantire un adeguato clima di accoglienza e diconvivenza: è quanto ci raccomanda la Chiesa, da sem-pre sensibile alle esigenze degli immigrati. Una convi-venza così impostata potrà essere d’esempio anche aipaesi di origine, incentivando in loco dibattiti sulla di-gnità della persona e sulla tutela dei suoi valori”.

    no il loro ruolo di traino delle domande e degli ingressie, tuttavia, registrano un ridimensionamento delle per-centuali d’aumento rispetto alla popolazione già inse-diata; il sud presenta flussi in entrata che, seppur corri-spondenti al 12%-14% degli ingressi totali registrati neidue anni, sono destinati a fare aumentare, se conferma-ti, la quota percentuale della popolazione straniera; leisole, sbocco di appena uno ogni 25 lavoratori entrati inItalia, sono caratterizzate da un andamento stabile.

    In Italia, in ogni caso, agiscono fattori che hanno re-so l’immigrazione radicata e indispensabile: il “proces-so di strutturalizzazione” si alimenta del numero rile-vante delle presenze, ma anche di ritmi d’aumento so-stenuti, provenienza da una molteplicità di paesi (poli-centrismo), distribuzione differenziata ma diffusa intutto il territorio nazionale, “normalizzazione” demo-grafica (equivalenza numerica dei due sessi, prevalenzadei coniugati sui celibi e sui nubili, elevata incidenza deiminori), persistente fabbisogno di forza lavoro aggiun-tiva, aumentata tendenza alla stabilità e crescente esi-genza di spazi di partecipazione.

    La necessità di regolamentare i flussi non deve dun-que portare a identificare nelle restrizioni l’essenza del-la politica migratoria: essa, al contrario, si sostanzia spe-cialmente di adeguate procedure di ammissione e diuna grande attenzione all’integrazione. Tuttavia l’areadell’irregolarità, quando è troppo estesa, rende la so-cietà meno disponibile all’accoglienza, perciò è indi-spensabile un’analisi non pregiudiziale, che individui lepiste praticabili per ridimensionare il fenomeno.

    Integrazione, siamo tutti apprendistiIl 17° Dossier contiene un ampio approfondimento sultema dell’interculturalità. Progettare il futuro insieme

    I TA L I A C A R I TA S | N O V E M B R E 2 0 0 7 15

    Soggiornanti stranieri per continente di provenienza [2006]

    Europa Africa Asia America Oceania Apolidi/altri Totale

    49,6% 22,3% 18% 9,7% 0,1% 0,3% 3.690.052

    1.829.982 822.191 662.748 356.144 4.023 14.964 3.690.052

    Motivi delle presenze degli immigrati regolari [aggiornata a fine 2006]

    Motivi Presenze % Motivi Presenze %

    Motivi di lavoro 2.083.470 56,5 Motivi religiosi 70.152 1,9

    Motivi familiari 1.312.587 35,6 Residenza elettiva 51.204 1,4

    Motivi di studio 107.427 2,9 Altri motivi 65.212 1,8

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    nazionalerapporto sull’esclusione

    In Italia la percezione di insicurezza è fondata?

    Le misure di contrastodell’esclusione sono

    efficaci? Meglio tutelarepensionati o precari?Parla Pierre Carniti, già presidente della

    Commissione nazionaled’indagine sulla povertà

    Ha diretto un sindacato nazionale. Hapresieduto la (da poco riconvocata)Commissione nazionale d’indagine sul-la povertà. Si è sempre battuto, da parla-mentare, per l’affermazione dei dirittidei deboli. Chi più di Pierre Carniti puògiudicare con autorevolezza, oggi in Ita-

    lia, il grado di fastidio con cui ampie componenti delpaese guardano a intere categorie di marginali, e il tor-pore che frena le politiche di contrasto della povertà?

    Lavavetri, mendicanti, girovaghi, prostitute: di-battito politico, mass media e senso comunesembrano ormai decisi a considerarli un proble-

    ma di ordine pubblico, anziché soggetti che in-terpellano le politiche sociali. Questo orienta-mento le sembra giustificato da una reale emer-genza criminale?

    Soprattutto nelle strade delle grandi città è cresciutala presenza di un popolo dolente. Un popolo compo-sto da vittime del bisogno, ma anche dello sfrutta-mento da parte di organizzazioni criminali. Questapresenza è stata utilizzata per alimentare una diffusapercezione di insicurezza, che chiede sempre più insi-stentemente di essere tacitata con misure rassicuran-ti. Tanto meglio se drastiche. Indipendentemente dal-la loro plausibilità ed efficacia. Poco importa chel’allarme sicurezza non trovi riscontro nei dati sui cri-

    mini. In questioni di tale natura, i dati contano poco.A contare sono le apparenze e le reazioni che si mani-festano nell’opinione pubblica.

    Perché in Italia è avvenuto, negli ultimi anni, unoslittamento di percezione e di giudizio, riguardoa intere categorie di persone marginali?

    Non è una novità di questi tempi bizzarri. Tra i fattoriche influenzano le dinamiche collettive, l’irrazionalitàmantiene un ruolo non secondario. Oggi in Italia levittime di omicidi o atti di violenza sono infinitamen-te meno dei morti e degli infortunati sul lavoro. Per iquali, purtroppo, non si registra alcuna significativamanifestazione di allarme sociale. Quando parlano disicurezza molti fanno un’implicita (forse persino in-consapevole) distinzione tra “noi” e “loro”. Sopporta-no benissimo le disgrazie che riguardano gli altri,mentre ritengono inaccettabile il peso delle propriepreoccupazioni. Ma se la diagnosi è frutto delle emo-zioni e dell’immaginazione, più che dei fatti e dellarealtà, è alquanto improbabile che se ne possa dedur-re una terapia che funzioni. La formula della “tolle-

    ranza zero” (cavallo di battaglia della destra america-na, fatta propria dagli epigoni di casa nostra) non harisolto alcun problema. Spesso li ha addirittura aggra-vati. In proporzione alla rispettive popolazioni, gliStati Uniti hanno oggi un numero di detenuti sei vol-te superiore a quello dell’Italia. Eppure nelle stradedelle loro città scippi, rapine, furti, violenze, assassiniisono aumentati. Ce n’è abbastanza per interrogarsi sucosa si deve intendere per sicurezza.

    La sinistra e le formazioni politiche progressiste,in Italia, hanno tradizionalmente collegato le po-litiche di sicurezza (e addirittura quelle penali)alla necessità di combattere povertà ed esclusio-ne sociale. Oggi assistiamo a un mutamento dif-fuso di cultura politica, o al semplice tentativo diintercettare consenso, in una fase di trasforma-zione della geografia dei partiti?

    Più che un mutamento delle culture politiche, mi sem-bra che si manifesti una tendenza alla loro omologa-zione. Tanto che la stupidità non può più essere consi-derata un requisito esclusivo della destra: se essa puòvantare i suoi Gentilini, la sinistra può contare sui suoiCioni. La conseguenza è che diverse istituzioni si ispi-rano a un modello di sicurezza più orientato sull’e-marginazione e l’esclusione che sulla coesione e la fi-ducia. Le sortite, incluse quelle più eccentriche, chefanno la felicità dei media, riflettono un cambiamentoculturale e politico nell’approccio alla questione dellagiustizia sociale. Tra i fattori che maggiormente hannoinfluito su questo cambiamento, un peso rilevante vaattribuito al persistente riferimento di una parte dellasinistra al mito dell’universalismo puro nelle politichedi protezione sociale; all’affievolirsi (anche in settorisignificativi del mondo cattolico) della determinazio-ne a tradurre in azione politica il valore della solida-rietà; al fascino esercitato dalle politiche liberiste suuna parte consistente della cultura e degli uomini po-litici; alla crescente attenzione verso i ceti medi, moti-vata dal timore di perderne il consenso; all’aumentodelle disuguaglianze in molti paesi, interpretato dallavulgata mediatica come elemento di dinamismo e fat-tore decisivo di successo economico e sociale.

    Lei è stato presidente della Cies (Commissione na-zionale di indagine sull’esclusione sociale) percinque anni. Da poche settimane questo organi-smo è stato riattivato, dopo essere stato a lungo

    «POLITICA OMOLOGATA,I POVERI SONO FUORI MODA»di Paolo Brivio

    PIERRE CARNITIHa cominciato la sua vita pubblicacome sindacalistanel 1957 a Milano,71 anni. Dal 1979 al 1985 è statosegretario generale

    della Cisl: del suo mandato, si ricorda il tenace sostegnoall’“accordo di San Valentino”(1984) sulla scala mobile, in dissenso con la Cgil. Dal 1989 al 1999 è statodeputato europeo per duelegislature, prima per il Psi poi come indipendente nelle file dei Ds, in cui era confluito il movimento dei CristianoSociali, fondato nel 1993insieme a Ermanno Gorrieri. Dal 1994 al 1998 è statopresidente della Commissionenazionale di indaginesull’esclusione sociale (Cies).Oggi presiede la Commissione,promossa dalle presidenze di Camera e Senato e dal Cnel,che condurrà un’indagine sul mondo del lavoro che cambia.

    POPOLODOLENTEVolontarioe ospite in unamensa Caritasa Roma. In Italial’area della graveemarginazionenon è studiata,si amplia quelladella vulnerabilità

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  • I TA L I A C A R I TA S | N O V E M B R E 2 0 0 7 1918 I TA L I A C A R I TA S | N O V E M B R E 2 0 0 7

    “sospeso” per effetto di una scelta del governo, chene ha rivisto composizione e meccanismi. Esigen-ze di contenimento della spesa pubblica o altre ra-gioni possono giustificare il ridimensionamentodi strumenti conoscitivi cruciali, in un paese in cuiuna famiglia su cinque è povera o vulnerabile?

    La parabola della Commissione di indagine sulla po-vertà era evidente da tempo. E non risulta che la suasospensione abbia prodotto reazioni sdegnate. Il per-corso che l’ha caratterizzata si è svolto alla luce del so-le. Fino a una decina di anni fa la Commissione eraun’emanazione della presidenza del consiglio, quindidell’intero governo. Poi è stata ridimensionata a ini-ziativa del ministero degli affari sociali. Infine è stataridotta a pura incombenza statistica. Per la quale nonsarebbe più necessaria una Commissione, perché ba-sta l’Istat. In seguito è successo che l’Istat, con giusti-ficazioni varie, ha deciso che i dati sulla povertà noncostituissero una priorità assoluta. Così, dal 2005, nonsono più stati elaborati. In ogni caso, non sono piùstati resi noti (i dati sulla povertà relativa diffusi ogniottobre dall’Istat, in effetti, derivano da un’indagine suiconsumi delle famiglie, ndr).

    Da anni in Italia non si conduce una rilevazioneufficiale sull’area della grave emarginazione. Per-

    ché il nostro paese sconta gravi ritardi nello stu-dio dei fenomeni di povertà?

    Perché i poveri non costituiscono un argomento di di-battito pubblico. Detto più brutalmente: stanno fuoridella “moda” politica. In una società che esalta i con-sumi superflui, il successo, la notorietà effimera, cheantepone l’apparire all’essere, povertà e fame tendonoa essere nascoste. Persino da chi è costretto a subirle.Questo spiega (anche se non giustifica) perché la po-vertà non assume rilievo politico: non viene conside-rata un problema che riguarda l’intera società, ma es-senzialmente un problema dei poveri. Milioni di per-sone povere costituiscono un esercito discreto, silen-zioso, senza ufficiali né comandanti, che si considera,non senza motivi, abbandonato a sé stesso. È potutocosì accadere, ed è solo un esempio, che nell’indiffe-renza quasi generale nel giro di un solo anno (dal 2003al 2004), in Italia 270 mila famiglie siano scese sotto lasoglia di povertà relativa. La cosa è grave. Lo è partico-larmente quando si verifica in un paese ricco. Ma chisegue il dibattito politico non ricava la sensazione chequesto sia considerato un problema cruciale.

    Caritas Italiana e Fondazione Zancan hanno pre-sentato il 15 ottobre il loro settimo Rapporto sul-l’esclusione sociale. Vi si sostiene che non è più

    tempo di misure settoriali e che occorre predi-sporre un Piano strategico nazionale di lotta allapovertà. Come devono cambiare e quali prioritàdevono fare proprie, nel nostro paese, le politichedi settore?

    Per delineare un’efficace politica di contrasto dellapovertà bisogna tenere conto che esistono diversi tipidi povertà. La povertà “estrema” è la condizione di chiè senza casa, senza tetto, senza tutto: si tratta di po-vertà prevalentemente urbane, caratterizzate da rot-tura con le reti familiari e relazionali, da caduta delleaspettative, da perdita di valori simbolico-esistenzia-li, da estraniazione rispetto al contesto sociale. La po-vertà “relativa” viene invece misurata utilizzando unindicatore sintetico (e in qualche misura approssima-tivo) costituito dal reddito disponibile, o dalla spesaper consumi, articolato in base al numero dei compo-nenti della famiglia. Infine, la povertà “assoluta” vienemisurata utilizzando un apposito paniere di beni eservizi ritenuti indispensabili. Proprio perché situa-zioni e bisogni sono diversi, è evidente che la stellapolare di una politica contro la povertà deve ispirarsial criterio dell’“universalismo con selettività”: in so-stanza, “servizi per tutti e selettività nei sostegni”, inrelazione alla diversità dei bisogni, anche perché sideve tenere conto dell’entità del debito pubblico e deiconseguenti limiti di risorse.

    Di questa impostazione non c’è traccia nelle at-tuali politiche?

    In coerenza con l’obiettivo di combinare universalismoe selettività, nella fase iniziale del primo governo Prodifurono fatti significativi stanziamenti a sostegno di pre-stazioni selettive: l’assegno al nucleo familiare, il reddi-to minimo di inserimento, l’assegno ai nuclei familiaricon oltre tre figli al di sotto di una determinata soglia direddito. Purtroppo, gli stessi governi di centrosinistrasubentrati al primo hanno inopinatamente deciso dicambiare strada, orientandosi sull’utilizzo del sistemafiscale come strumento unico di redistribuzione pub-blica del reddito. Con la conseguenza di un inevitabileaumento delle disuguaglianze e di un sostanziale ab-bandono di un’efficace politica di contrasto della po-vertà. La questione oggi sembra riproporsi nuovamen-te. Per certi versi in termini aggravati. A giudicare dallecampagne mediatiche e dagli strilli particolarmenteacuti (nei quali si distinguono elusori ed evasori fisca-li), la riduzione della pressione fiscale sembra costitui-

    re una priorità assoluta della politica italiana. Se questepretese verranno assecondate, bisogna sapere che tra iprezzi da pagare c’è quello per cui la povertà, invece diessere una condizione dalla quale si entra e si esce (inrapporto alle circostanze della vita, ma anche all’effica-cia delle politiche di contrasto), finisce per diventareuna sorta di “destino”, segnato dal luogo in cui si nasce,dalla famiglia a cui si appartiene, dal gruppo sociale dacui si proviene. Scongiurare che circostanze sfavorevo-li si trasformino in una condanna, per certi versi irre-versibile, è compito della politica. Cui tocca promuove-re interventi appropriati per correggere i fattori di ri-schio e ricostruire, per chi si è trovato in circostanzesfavorevoli, la speranza di un futuro migliore. Purtrop-po però la politica sembra attratta da altre priorità.

    Nella sua biografia un ruolo centrale è rivestitodalla lunga carriera da leader sindacale. Il sinda-cato oggi appare stretto tra la necessità di difen-dere le pensioni e il tentativo di tutelare l’areasempre più ampia dei lavoratori atipici e precari.In uno scenario di finanza pubblica tutt’altro cheroseo, si devono privilegiare bisogni e diritti deglianziani o dei giovani?

    L’idea che la tutela dei giovani possa essere realizzatasolo a spese dei vecchi, o viceversa, è alquanto eccen-trica, benché sia abbastanza presente nella vulgata me-diatica. Ma essa, oltre a essere priva di fondamento,viene agitata per evitare di dover discutere problemiconcreti. Tra essi, non andrebbe eluso quello relativoalla distribuzione del reddito. A questo riguardo, in Ita-lia le cose non vanno per niente bene. Nell’ultimoquarto di secolo, la quota di reddito destinata al lavoro(sia di coloro che sono in attività che di quanti sono inquiescenza) è drasticamente diminuita, mentre è au-mentata la quota destinata ai profitti. Ed è addiritturaesplosa quella relativa alle rendite. Questo svilupponon è frutto del caso, né una calamità naturale. Una di-stribuzione più equa del reddito può essere perseguita:bisogna volerlo. Se accadesse, ne beneficerebbe la coe-sione sociale, ma anche il tasso di crescita dell’econo-mia, dunque il tasso di occupazione. Ciò conterebbe,per il futuro dei giovani, molto più di una montagna dichiacchiere sconclusionate. E farebbe giustizia del cini-smo di chi esorta i giovani a ritenere che la qualità delloro futuro può dipendere anche dall’indifferenza (chesi può trasformare in disprezzo) verso la condizioneumana e materiale dei vecchi.

    nazionalerapporto sull’esclusione

    SIAMO UOMINIO CRIMINALI?Una donna con un bambinoin braccio chiedel’elemosina ai semafori.Anche contromendicanti e girovaghi moltioggi chiedonol’atteggiamentopolitico della“tolleranza zero”RO

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  • Il paese dell’esclusione, analisi e storie per non rassegnarsi

    Caritas Italiana e Fondazione Zancan hanno datoalle stampe, e presentato ufficialmente a metàottobre, la settima edizione del loro “Rapporto su emarginazione ed esclusione sociale”, che consolida un’iniziativa di analisi e propostasociale destinata ad assumere cadenza annuale. Il settimo Rapporto, intitolato Rassegnarsi alla povertà?, è aperto da un excursus storico sulla povertà in Italia. Il testo si articola in tre parti: nella prima vengono analizzate le condizioni economiche, sociali, politiche e culturali che suggeriscono la necessità di varare,in Italia, un piano organico di lottaalla povertà, capace di superare la logica delle misure settoriali (vedi IC 7/2007,pagine 6-9).

    La seconda parte propone una panoramica su esperienze di contrasto alla povertà operanti nel nostro paese: oltre ad analizzarelegislazioni regionali ed iniziative di enti locali, racconta le prassioperative avviate da tre Caritasdiocesane.

    A Pordenone, l’associazione Nuovi Vicini Onlus, promossa dalla Caritas, conduce, sulla base di un finanziamento comunale, un servizio di orientamento e consulenza economica con la possibilità di effettuare, in aggiunta, microprestiti sociali. A Prato, una storica sensibilità altema della grave emarginazione e dei senzadimora, nonché la presenza di un’altrettantostorica collaborazione tra servizi sociali pubblici,Caritas diocesana e soggetti del privato sociale hanno consentito di consolidare fortemente la rete territoriale, in cui la Caritas esercita una funzione di raccordo e “smistamento” delle situazioni di bisogno intercettate, intessendo attorno a sé una fitta trama di collegamenti operativi da attivare a seconda dei casi. A Messina, infine, la Caritas diocesana

    non può contare su un contesto di disponibilità e collaborazione da parte degli enti locali, come accade negli altri casi: la maggior partedelle funzioni di orientamento, accompagnamentoe assistenza sono svolte all’interno della reteecclesiale.

    Pur nella loro diversità, le esperienze analizzatehanno dimostrato che l’adozione di una logicasistemica, in cui ciascun organismo è chiamato a svolgere la funzione che gli è propria, in un contesto di forte interrelazione reciproca con gli altri enti e di profonda condivisione

    delle finalità da raggiungere, è uno dei presupposti per qualunqueintervento efficace di contrasto della povertà.

    La terza parte del Rapporto,attraverso le stime ufficiali e i datidi 264 Centri di ascolto della retenazionale Caritas riferiti a oltre30 mila utenti nel periodo luglio-settembre 2006 (vedi IC 8/2007,pagina 9), traccia un affrescodel “paese nascosto”. E si concludecon uno studio, accompagnatodal racconto delle storie di vita,sui percorsi di uscita da situazioniacute di povertà.

    Lo studio è stato realizzatoattraverso l’ascolto diretto di 124 ex utenti delle Caritas diocesane in Italia, 53 italiani e 71 stranieri:esso evidenzia che il valore aggiuntonel modello di intervento Caritas

    risiede nell’approccio complessivo alla situazionedella persona in stato di difficoltà, approccioche tenta di coniugare l’aspetto concreto e materiale dell’aiuto offerto in una situazionedi emergenza o di bisogno acuto al sostegnopsicologico e relazionale. Gli intervistati, in effetti,hanno evidenziato la validità dell’aiuto ricevutodalla Caritas non solo in funzione della suaefficacia in sé, quanto piuttosto per la valenzamotivazionale e morale che esso ha saputomanifestare.

    RAPPORTO NUMERO 7Caritas Italiana -Fondazione E. Zancan,Rassegnarsi allapovertà? Rapporto 2007su povertà ed esclusionesociale in Italia, Il Mulino, Bologna, 2007, pagine 258, euro 22

    contrappunto

    l’alimentazione della coscienza civi-ca dei cittadini, la ricezione e il con-fronto di tutte le voci della società. Èil “servizio pubblico”, per il quale larepubblica chiede un canone ai cit-tadini. Ma tale specificità viene me-no nella rincorsa pubblicitaria, chespinge anche la tv pubblica a confor-marsi agli standard che attraggono, onon respingono, l’interesse degli in-serzionisti. E se è vero che in generesenso della misura e stile sono me-glio configurati in campo pubblico,ciò non cambia l’andamento dellecose, finché non si introdurrà unanetta differenza di qualità.

    Un tentativo coerenteC’è un modo per recuperare la diffe-renza fondamentale tra ciò che è ser-vizio e ciò che non lo è? L’esperienzadei nostri vicini europei non offreun’indicazione univoca. Si va dal re-gime di separazione totale (GranBretagna, in parte Grecia), al regimemisto con tre reti (Francia) o con due

    a base federalista e con gestione “sociale” (Germania), ocon assetto commerciale con governo pubblico (Spa-gna). In Italia è in gestazione l’ennesima riforma, che af-fiderebbe il servizio pubblico a una fondazione, nell’in-tento di assicurare una gestione meno afflitta dalle con-tese tra partiti. Come finirà?

    Diranno i posteri. Basterebbe, per ora, tenere una rot-ta che allontani il più possibile il servizio pubblico dal-l’invasività commerciale, gli assicuri la massima autono-mia professionale dal potere politico ed economico, loalimenti con risorse non condizionanti per la program-mazione, ne mantenga il carattere popolare al più alto li-vello di qualità culturale. Quadratura del cerchio? Un ten-tativo coerente e visibile aiuterebbe a sperare.

    Chissà se vi sono parlamenti al mondo in cui, come in Italia, interesedute vengono dedicate alla sostituzione di un membro del con-siglio di amministrazione della televisione pubblica. Indice di sen-

    sibilità istituzionale, passione per il bene comune o, più prosaicamente,versione indigena della lotta per il controllo dei media, assillo delle mo-derne democrazie? Di certo, complicazioni simili non esistono nell’areaprivata, dove un cenno del padrone decide ricambi, defenestrazioni, fu-sioni, incorporazioni d’impresa. Ne scaturisce una certa invidia versochi ostenta l’efficacia del metodo delle mani libere. E un argomento a so-stegno della smobilitazione del “pubblico” per affidare al “privato”, anche in questo vitale settore.

    In Italia la partita è complicatadall’esistenza di una colossale tvcommerciale in grado, per l’intrecciodelle figure, di invadere anche il cam-po del pubblico per annetterlo, comeè accaduto, o condizionarlo, comeaccade. E ciò avviene non solo per ciòche concerne gli orientamenti politi-ci nell’area dell’informazione, ma an-che e soprattutto per l’orientamentodei programmi di più largo accessopopolare.

    La constatazione dell’utente co-mune è che tutti i canali si somigliano. Ma, conflittod’interessi a parte, il problema è comune a tutti i paesidell’occidente sviluppato in cui le due versioni televisive,pubblica e commerciale, si sovrappongono e si confon-dono. L’elemento omologatore è la pubblicità: con essala tv commerciale si finanzia interamente mentre quellapubblica ne trae una robusta quota di sostentamento.

    Ma tra tv pubblica e tv privata c’è una differenza fon-damentale quanto al fine. Nel secondo caso, lo scopo è ilcommercio, la televisione lo strumento, a tal punto che seun programma non è appetibile per i clienti (le aziendeche pagano) viene cancellato o non entra neppure in pa-linsesto. Viceversa, la tv pubblica ha (avrebbe?) per mis-sion l’informazione, la cultura in tutte le sue dimensioni,

    SERVIZIO O COMMERCIO?IL BIVIO DELLA TV OMOLOGATAdi Domenico Rosati

    Il parlamento litiga per un posto

    di comando in Rai.Mentre la televisionepubblica si fa sempre

    più prona alle esigenzepubblicitarie. Come

    rendere concreta la differenza tra

    il vendere prodotti e l’essere “servizio”?

    nazionale

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    nazionalerapporto sull’esclusione

  • CHIESABene comune,riflessionedopo Pistoia

    Una delegazione di CaritasItaliana e alcuni membri di Caritas diocesane hannopartecipato alla 45ª Settimanasociale dei cattolici, tenutasi a Pistoia e Pisa da giovedì 18 a domenica 21 ottobre.Nel centenario della suaistituzione, la Settimana ha riflettuto sul tema del benecomune. Caritas Italiana ha richiamato alcune questionidi fondo: la necessità di intendere il benessere nonsolo come risposta ai bisogni,ma come ricerca di qualitàdell’ambiente, delle relazioni,dei consumi e dei servizi;il cambiamento dello statosociale, che non devetrascurare soggetti invisibili,in mobilità, ai margini (nomadi,immigrati, carcerati, senzadimora…); la preoccupazioneche l’aziendalizzazione dei servizi non deprivi famigliee persone di beni che sonocomuni (acqua, salute, casa,ecc); la necessità di sviluppareazioni di cooperazione esviluppo a livello internazionalecome dimensione essenzialeper interpretare la globalizzazione nella logicadella solidarietà. Questariflessione accompagneràil lavoro preparatorio per il Convegno nazionale Caritasdi giugno 2008, coniugandola riflessione sul bene comunecon quella sulle opere-segno.

    AIDS IN ITALIACaritas avviaun percorsodi analisi

    Sono più di 22 mila i malatidi Aids in Italia, 40 milioni nelmondo. Mentre si cerca di farfronte al dilagare dellamalattia nei paesi in via disviluppo, sembra scomparsal’attenzione sulla situazionenel nostro paese. Sono peròdiverse le Caritas diocesane,così come altri organismiecclesiali, impegnate a fiancodei malati. Mentre ci siappresta a celebrare la Giornata mondiale di lottaall’Aids, il 1° dicembre,Caritas Italiana ha avviato un percorso di analisi,riflessione ed elaborazione di proposte, a partire dalleesperienze maturate. Degnadi nota è anche la presenzadi Caritas Italiana ai lavorisempre più stringenti dellaConsulta nazionale Aids al ministero della salute,dove sono in preparazioneuna campagna di prevenzione e progetti di ricerca con l’apporto di numerose associazioni.

    CARITAS - S. EGIDIOSoggetti fragili,ok alla prorogadegli sfratti

    Caritas Italiana e Comunità di Sant’Egidio hanno diffuso,a metà ottobre, un comunicatostampa per esprimerepreoccupazione riguardo allasituazione abitativa di moltefamiglie in stato di povertà e soggette a sfratto. I dueorganismi hanno chiesto al governo “la proroga degli

    panoramacaritas

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    Le quattro dell’Avs:servizio, gratuità, comunitàLa nostra avventura è cominciata a marzo. Siamo state noi le prime quattro ragazze a vivere l’esperienza dell’Anno di volontariato sociale (Avs) nella diocesi di Caltanissetta,nell’ambito del progetto Caritas “Avs, un anno per la pace”.

    Ci è stata data l’opportunità di donare un anno della nostra vita agli altri, facendo l’esperienza della totalegratuità e della vita comunitaria: un anno all’insegnadell’educazione alla solidarietà e all’impegno sociale,una scelta di investimento sulla nostra vita. Ben calatanel contesto pastorale e sociale della nostra città,l’esperienza è finalizzata a promuovere, in diversi ambienti,la cultura della nonviolenza, della solidarietà, della mondialità e della cittadinanza attiva.

    Ognuna di noi è impegnata in una diverso settoredell’attività Caritas (centri d’ascolto, minori, anziani, ecc.), ma tutte partecipiamo alla proposta di educazione alla pace e alla mondialità, che quest’anno, in diocesi, si concretizzanell’iniziativa “Adotta un conflitto”, percorso elaborato per gli studenti degli istituti superiori. Attraverso attività di gestione e risoluzione dei conflitti che si manifestano a partire dal livello interpersonale, per giungere allo scenariomondiale, invitiamo i giovani a elaborare un pensiero criticosulle realtà di conflitto microsociale e macrosociale.

    Le esperienze di servizio si completano con la vitacomunitaria, che è anch’essa un mettersi a servizio, l’una dell’altra, lungo giornate mai uguali alle precedenti. Al mattino ci svegliamo alle 7.30 e facciamo colazioneinsieme; alle 9 raggiungiamo i luoghi di servizio (scuole e centri d’ascolto) cercando di dare il meglio di noi stesse. Poi il rientro a casa, sempre in spirito di cooperazione:insieme prepariamo il pranzo e allo stesso modo rigoverniamola casa. Dopo aver terminato le faccende domestiche ci riposiamo un po’, in modo da essere cariche per affrontarela restante parte della giornata. Intorno alle 16 ci rechiamo di nuovo ai luoghi di servizio (centro minori, “Boccone del povero”, centri d’ascolto). Poi nuovo rientro in comunitàper cena, con uno spazio per discutere gli eventi accadutidurante la giornata e condividere le esperienze fatte.

    Le attività formative e socio-educative del progetto Avs,accanto all’esperienza della vita comunitaria, stannosegnando profondamente la nostra vita. Certamenteraggiungeremo l’obiettivo che il progetto si pone: diventarecittadine attive. E persone capaci di condivisione, nelle piccolecose della vita quotidiana e nei progetti rivolti al territorio.

    Angela Colajanni, Lorella Alù, Valentina Riso, Vania Dauria

    I GIOVANI CHE SERVONO

    ANCH’IO HO DIRITTOIl poster della campagnaCaritas a favore dei dirittidei malati mentali in Serbia

    SERBIAMalati mentali:campagnaanti-stigma

    Caritas Italiana, dodici Caritasdiocesane e Caritas Serbiadal 2000 conducono unprogramma di salute mentale,che ha raggiunto un primoobiettivo con la recentepubblicazione, da parte delministero della salute serbo,della prima “Strategianazionale per la salutementale”: essa recepiscel’idea di un nuovo approcciodi cura, fuori dagli ospedali edentro la comunità, e rafforzaprevenzione e riabilitazione.Ma il forte stigma sociale e culturale verso i malatimentali persiste. Così il 10ottobre, Giornata mondialedella salute mentale, CaritasItaliana ha lanciato a Belgrado una campagna di sensibilizzazione, checoinvolge Caritas Serbia,l’ong toscana Ucodep, la Commissione nazionalesulla salute mentale, ospedalipsichiatrici e la sede serbadell’Oms. “Anch’io ho diritto”è lo slogan-guida: tra le azioni,l’attivazione di gruppi di autoe mutuo aiuto, percorsi per rafforzare le associazionidi familiari, azioni di advocacy.

    sfratti immediata, eimmediati segnali di unanuova politica per la casa,disattesa da molte legislature.In attesa che i provvedimentivarati nella nuova leggefinanziaria possano, in tempirapidi, avviare soluzioni più durature e stabili”. La richiesta era motivata dal fatto che gli effetti dellalegge 9 del febbraio 2007, che ha previsto la derogaall’esecuzione degli sfratti per categorie particolarmentefragili, si erano esauriti il 14ottobre: i beneficiari di taleconcessione (nuclei familiaricon reddito annuo lordoinferiore a 27 mila euro ecomposti da anziani over 65,malati terminali o portatoridi handicap con invaliditàsuperiore al 66%, per untotale di 2.889 procedimentibloccati in Italia), si trovavanosenza protezione giuridicae correvano il rischio di rimanere senza casa.Il consiglio dei ministridi martedì 23 ottobre ha poiprorogato fino al 15 ottobre2008 la sospensione deglisfratti, in attesa che il“Programma casa” inserito infinanziaria divenga operativo.

    I flussi si governano in rete,l’Ue prepara la “carta blu”FLUSSI, DOMANDE VIA INTERNET. Viaggeranno solo on linele domande per i flussi 2007. È la novità principale uscita dal gruppo tecnico che sta definendo il decreto. L’idea è che gli aspiranti all’ingresso possano fare da sé, autenticandosi sul portale del ministero dell’interno, oppure si rivolgano alle associazioni di categoria, che offriranno consulenza e spediranno le domande per via telematica. La seconda viasarebbe la più “sponsorizzata” dal ministero degli interni.

    QUASI 10MILA IMMIGRATI MORTI ALLE FRONTIEREDELL'EUROPA DAL 1988. Sarebbero 9.756 – un terzo dispersi– i migranti morti nel viaggio verso l’Europa dal 1998, secondoFortress Europe, osservatorio sulle vittime dell’immigrazioneclandestina. Sono in gran parte naufraghi, ma anche vittime di stenti nel deserto e di incidenti stradali. Dall’inizio dell’anno,solo nei pressi di Lampedusa sono state 300 le vittime dei viaggi della speranza; nel canale di Sicilia, tra Libia, Egitto,Tunisia, Malta e Italia, sono stati 2.260 i migranti morti e di 1.365 non sono stati recuperati i corpi; altri 553, di cuimetà “dispersi”, sono morti nel mare Adriatico e 64 navigandodall’Africa verso la Sardegna. Sulle tratte verso la Spagna, da Mar