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I primi anni del XX secolo La mise che più di ogni altra incarna l'innovazione nella moda femminile di inizio '900 fu il tailleur, composto da giacca e gonna e confezionato con stoffe tipicamente maschili, generalmente scure, a quadretti o spigate, ispirato alla sobrietà dello stile british. L’inventore della nuova mise, di evidente derivazione maschile e all’inizio riservata a occasioni non formali, fu un sarto inglese: John Redfern (1853-1929) che realizzò il primo tailleur per la principessa del Galles nel 1885. John Redfern si era affermato in Inghilterra come sarto specializzato nella confezione di abiti per il tempo libero. Nel 1881 il figlio, Charles Poynter Redfern,si trasferì a Parigi dove aprì una sede francese della maison. In Italia le prime notizie sulla nuova mise sono state rinvenute nel 1888 nella rivista «Margherita».

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Page 1: I primi anni del XX secolo - lettere.uniroma1.it 6... · Dai primi anni del secolo divenne consuetudine per tante sartorie maschili confezionare anche tailleur o abiti da amazzoni

I primi anni del XX secolo

La mise che più di ogni altra incarna l'innovazione nella moda femminile di inizio '900 fu il tailleur, composto da giacca e gonna e confezionato con stoffe tipicamente maschili, generalmente scure, a quadretti o spigate, ispirato alla sobrietà dello stile british. L’inventore della nuova mise, di evidente derivazione maschile e all’inizio riservata a occasioni non formali, fu un sarto inglese: John Redfern (1853-1929) che realizzò il primo tailleur per la principessa del Galles nel 1885. John Redfern si era affermato in Inghilterra come sarto specializzato nella confezione di abiti per il tempo libero. Nel 1881 il figlio, Charles Poynter Redfern,si trasferì a Parigi dove aprì una sede francese della maison.

In Italia le prime notizie sulla nuova mise sono state rinvenute nel 1888 nella rivista «Margherita».

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Nella città di Roma le prime sartorie a specializzarsi nella confezione di abiti-tailleur furono quelle per uomo che si rifacevano allo stile inglese, come la sartoria Old England. Fondata negli anni ottanta del 1800, la sartoria nel 1901 ampliò i suoi locali e agli abiti su misura per uomo aggiunse la vendita di abiti per signora confezionati con stoffe britanniche. Anche la sartoria Old Scotland di Randanini Pietro & C., attiva fino agli anni venti, dal 1905 si dedicò alla confezione di abitiper donna. Dai primi anni del secolo divenne consuetudine per tante sartorie maschili confezionare anche tailleur o abiti da amazzoni.

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Anche l’haute couture fu alla fine influenzata dai cambiamenti chesi stavano verificando nella società e propose linee più morbide e meno mortificanti per il corpo femminile. Il primo couturier a cogliere questo cambiamento fu il francese Paul Poiret (1879-194. Nel 1906 egli iniziò a creare abiti innovativi che cambiarono radicalmente la silhouette femminile del tempo, grazie all’abolizione del busto e a una linea sciolta e sensuale, ispirata al periodo classico e al Direttorio. In realtà il «rivoluzionario» stile proposto dal gran monsieur, che traghettò l’haute couture parigina nel XX secolo, non fu ispirato da principi pratici o etici ma solo estetici. Qualche anno dopo, infatti, egli realizzò la jupe-entravée, conosciuta in Italia come «gonna zoppicante» che, strettissima alle caviglie, rendeva la deambulazione complessa e ridicola.

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La moda femminile aveva tuttavia imboccato la strada del rinnovamento e anche in Italia l’abito-tailleur era indossato nella vita quotidiana.

Le sue linee sobrie e raffinate furono sapientemente interpretate dalla sarta milanese Rosa Genoni che ideò e cucì tailleur moderni e semplificati, come quelli indossati dall’intellettuale socialista Anna Kuliscioff in alcuni famosi ritratti.

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Rosa Genoni (1867-1954)

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Anna Kuliscioff wearing the tailleur

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All’Esposizione internazionale di Milano del 1906 Rosa Genoni vinse il Gran Premio della giuria per la sezione «Arte decorativa», grazie agli abiti ispirati a opere di celebri artisti del Rinascimento italiano.

L’impegno artistico e politico la vide inoltre protagonista, nel giugno del 1908, del primo Congresso delle Donne italiane svoltosi a Roma, nel quale tenne una relazione sui rapporti tra moda e arte decorativa e, l’anno successivo, ideatrice della nascita del primo comitato promotore per una «moda di pura arte italiana».

Il suo successo raggiunse l’apice tra il 1908 e il 1912, anni in cui anche un magazine americano, il «New York Herald», si interessò all’innovatrice sarta italiana e ne pubblicò le sue creazioni.

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Il primo vero couturier-artista italiano fu Mariano Fortuny y Madrazo (1871-1949)71, il cui interesse per le arti decorative si manifestò nell’esplorazione di diverse forme d’arte. Sperimentazione artistica nel campo della moda. Nel 1909 brevettò un tipo di stampa policroma ottenuta mediante l’utilizzo di materiali naturali quali la robbia, a cui aggiunse polveri d’oro e argento realizzate con rame e alluminio;allo stesso anno risale il brevetto dell’inimitabile plissé. Celebri gli scialli e le sciarpe Knossos, stampate con motivi ispirati all’arte dell’sola di Creta, e l’abito di Delfi, consistente in un cilindro in seta plissettata che avvolgeva il corpo femminile, ispirato al chitone dell’auriga di Delfi.

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.Aurigia di Delfi (475 a.C.) e Abito Delpho di Fortuny

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Maria Monaci Gallenga (1880-1944)

la prima couturière romana a creare una moda indipendente dai dettami parigni non fu una sarta ma un'artista: Maria Monaci Gallenga per la quale la realizzazione degli abiti rappresentò la sintesi perfetta di rappresentazione plastica e pittorica.

Fin da giovanissima si dedicò alla pittura, ma fu subito affascinata dalle arti applicate e dai lavori di Mariano Fortuny che destarono in lei l'interesse per la sperimentazione nel campo della moda

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Inventò una tecnica di stampa particolare per dipingere i tessuti, eseguita manualmente attraverso l'uso di matrici di legno da lei inventate, con cui realizzò pezzi per l'arredamento, ma soprattutto abiti e accessori.

Caratteristico era il suo modo di sfumare un colore nell’altro, ottenendo un effetto che faceva sembrare il tessuto dipinto, anziché stampato.

Nel 1915 espose i suoi primi lavori alla mostra della Terza secessione romana e alla Panama-Pacific International Exposition di San Francisco, dove si aggiudicò un Gran prix. Dal quel momento, e fino al 1935, le creazioni della Gallenga riscossero un grande successo in Europa e negli stati Uniti, coronato nel 1925 dal Gran prix assegnatole dalla giuria internazionale all'Exposition internazionale des Arts décoratifs et industriels modernes di Parigi.

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Con Maria Monaci Gallenga per la prima volta Roma divenne "esportatrice" di un successo creativo della moda femminile italiana.

Nel 1928, dopo avere aperto una succursale della sua sartoria romana a Firenze, la Gallenga aprì, insieme a Bice Pittonie Carla Visconti di Modrone, una maison a Parigi, in rue Miromesnil, che restò attiva fino al 1934.

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.Dopo l’esperienza di San Francisco del 1915, laferma convinzione della couturière di diffondere le arti applicate italiane nel mondo la portarono a organizzare tra il 1921-22 l’Esposizione d’Arte italiana moderna: mostra itinerante attraverso le città più importanti dei Paesi Bassi e in cui – accanto ai lavori di diversi artisti italiani – venivano presentati abiti, tessuti decorati e cuscini di sua Produzione.

Nel 1925 fu tra le fondatrici, insieme a Galileo Chini, Gino Sensani, Romano Romanelli, Carlo e Fides Testi ed Emanuele Cito di Filomarino, del programma dell’Ente nazionale per l’artigianato e la piccola industria (Enapi), il cui scopo era la divulgazione e il rafforzamento dell’immagine del prodotto italiano nel mondo.

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• L’effetto sortito dalle innumerevoli sartorie e modisterie che sorsero nella capitale dagli anni settanta del 1800, fu la creazione di un clima di competizione che spinse a migliorare la professionalità artigianale: la tecnica sartoriale, il gusto per il capo ben cucito e «alla moda», capace di conquistare la clientela romana più esigente.

• Anche se i sarti romani riproducevano modelli francesi.

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• Ancora a ridosso della grande guerra, fra gli immigrati romani divisi per professione, i sarti occupavano il quarto posto con 183 presenze (dopo i ferrovieri e tramvieri, gli occupati in agricoltura e nell’edilizia).

• Essi provenivano soprattutto dal Lazio, dalle Marche, dall’Umbria e dall’Abruzzo.

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• Roma rappresentava una vetrina internazionale per quegli artigiani capaci di offrire prodotti di alta manifattura e alla moda;

• famose case di moda già affermate in altre città italiane come la sartoria Ventura, fondata a Milano nel 1815 da Domenico Ventura, nel 1924 aprì una succursale romana in Piazza di Spagna.

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• Dall’Abruzzo nel 1913 arrivò Domenico Caraceni, destinato a divenire uno dei sarti più famosi del suo tempo, che ottenne il brevetto reale nel 1931 in quanto fornitore di SAR il Principe di Piemonte.

• Egli annoverò fra i suoi clienti le maggiori personalità dell’epoca, fra cui Giorgio V d’Inghilterra e il duca di Windsor.

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• Per quanto riguarda la moda femminile, i sarti romani continuarono a riprodurre modelli parigini, ma a Roma iniziarono a sorgere atelier di riconosciuta sartorialità che dopo il conflitto avrebbero imposto uno stile vincente.

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• Il primo couturier ad affermarsi nel firmamento della moda nazionale dell’immediato primo dopoguerra fu Giovanni Montorsi.

• La prima sede della «Casa di prim’ordine G. Montorsi. Tailleur», aperta nel 1915 in via della Vite

• Alla fine del conflitto, nel 1921, la sartoria venne trasferita in via Condotti.

• Per 12 anni sarto di fiducia di Umberto I, negli anni ‘30, incoraggiato dalla moglie, Montorsi si dedica solo alle confezioni per signora e arriva a contare oltre 100 dipendenti tra lavoranti, primière, indossatrici e magazzinieri.

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Gli anni trenta furono per Montorsi gli anni del grande successo nazionale. La maison, come per la sartoria delle Sorelle Botti, arrivò a contare oltre cento dipendenti tra lavoranti, première, indossatrici e magazzinieri: un numero rilevante se si pensa che le imprese artigiane romane occupavano non più di 15 addetti e solo il 2% sfiorava le 50 unità.

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• L’esclusività e la modernità degli atelier più alla moda erano evidenziate dalla cura degli arredi interni.

• Le clienti di Montorsi erano ricevute in locali arredati con pregevoli lavori di ebanisteria e con lucidi cristalli, nei quali si accedeva attraverso una sontuosa sala d'ingresso decorata da Marcello Piacentini.

• La sartoria era organizzata alla maniera di una maison francese, con una serie di laboratori e una sala da tè.

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• Da Montorsi inizia a muovere i primi passi Emilio Federico Schubert, napoletano di nascita, che nel 1938 apre un negozio di modisteria in via Frattina per poi aprire un atelier nel 1940 in via XX settembre.

• Nel secondo dopoguerra fra le sue clienti la duchessa di Windsor, Rita Hayworth, Gina Lollobrigida, e altre dive italiane e straniere.

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• nel periodo fra le due guerre stavano emergendo i primi talenti della moda romana.

• Il commediografo Carlo Veneziani nel 1928 scriveva: «a Parigi nascono ad ogni stagione centinaia di modelli, a Parigi i

nostri industriali vanno a fare scelte due volta l’anno: ma scelgono solo quello che può piacere alle loro clienti italiane: quindi fanno una moda italiana […]. Ammirate le belle signore nei nostri salotti, a teatro, per le strade, pei caffè, sui campi di corse. Hanno modelli che spuntarono sulle rive della Senna, è vero, ma li hanno trasformati, ambientati alle odorose aure ausoniche, se li sono adattati addosso imponendo ad essi le soavi movenze della propria andatura. Questa è la moda italiana».

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Durante gli anni del regime, soprattutto con l’inizio dell’autarchia e il mito dell’autosufficienza economica, il fascismo intraprese molte iniziative atte a stimolare la nascita di una moda nazionale.

• La città eterna, ribalta mondiale della vita nazionale, si prestava ad essere il centro per il lancio di una moda italiana.

• Eventi che avrebbero avuto un’eco internazionale, come i matrimoni reali o quelli di «regime», furono così utilizzati per la campagna propagandistica nel campo della moda.

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• La politica del regime contro uno «stile d’importazione», contribuì all’affermazione delle sartorie romane.

• In realtà i tempi erano maturi per cominciare a raccogliere i frutti di una tradizione artigianale cominciata a metà Ottocento: iniziava a prendere vita la vicenda dell’alta moda romana che ebbe molte donne come principali protagoniste.

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• Uno dei casi più emblematici è quello della sarta Aurora Battilocchi che aprì un atelier nel 1921 ed ebbe come clienti membri di Casa Savoia, dell'aristocrazia e della buona borghesia romana.

• La «strategia commerciale» attuata dalla Battilocchi fu quella di offrire alla propria clientela, insieme a capi comperati a Parigi, una piccola parte realizzata su disegni italiani.

• In essa lavorarono alcune delle future protagoniste della moda romana del secondo dopoguerra: Maria Antonelli e le Sorelle Fontana.

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• Negli anni ‘20 acquisì grande notorietà la sartoria d'alta moda fondata da Nicola Zecca.

• Zecca inizialmente mantenne stretti i legami con la couture francese e i suoi primi modelli ricalcavano lo stile di Vionnet e di Chanel.

• Negli anni dell'Ente Moda, fu fra i primi sarti romani a schierarsi a favore di una moda nazionale, divenendo promotore di un prodotto rigorosamente italiano.

• I suoi modelli divennero molto richiesti dalla borghesia dell'epoca.