i re magi  · i tre re, usciti dai loro regni, seguivano la stella che li precedeva e avanzava...

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I RE MAGI “I Re Magi”, bassorilievo del Duomo di Fidenza (Parma), sec. XII Quando sul Monte Vaus, nel giorno della nascita di Gesù, fu vista levarsi una stella più lucente e brillante del sole, i Tre Re, per vie diverse, si misero in cammino: quello fu il primo pellegrinaggio della storia cristiana. Nel centro della stella si distingueva l'immagine di un bambino sormontato da una croce; dall'interno dell'astro si dice risuonasse una voce: «Oggi è nato il Re dei Giudei, colui che è l'attesa delle genti e il loro Signore. Andate a cercarlo e adoratelo!». Il Monte Vaus va identificato con il Sabalān, la cima più alta dell'Azerbaigiān, nella Persia nord-occidentale; la tradizione latina medievale chiama il Vaus, "Monte della Vittoria" e fu davvero una vittoria quel fenomeno di re e pastori, di umili e potenti che, sulla via verso Betlehem (Betlemme), si scoprirono uguali. NÉ SPOSE, NÉ AMANTI Partì Melchiar (Melchiorre), re di Nubia e d'Arabia. Era il più piccolo di statura dei tre, non ebbe spose né concubine e rimase vergine per tutta la vita. Dal regno di Godolia e di Saba partì Balthasar (Baldassarre), il mediano d'altezza, anch'egli vergine per tutta la vita; infine partì Jaspar (Gaspare), il più alto dei Tre Re, scuro di pelle come il nero colore degli Etiopi: anch'egli vergine e privo di regine o concubine, era re di Tharsis e di Egriseula, l'isola dove la mirra cresce su piante dalla forma di spighe abbrustolite. www.fratellofrancesco.org

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Page 1: I RE MAGI  · I Tre Re, usciti dai loro regni, seguivano la stella che li precedeva e avanzava quando loro, con tutto il seguito, avanzavano, e si fermava quando si fermavano

I RE MAGI

“I Re Magi”, bassorilievo del Duomo di Fidenza (Parma), sec. XII

Quando sul Monte Vaus, nel giorno della nascita di Gesù, fu vista levarsi una stella più lucente e brillante del sole, i Tre Re, per vie diverse, si misero in cammino: quello fu il primo pellegrinaggio della storia cristiana.

Nel centro della stella si distingueva l'immagine di un bambino sormontato da una croce; dall'interno dell'astro si dice risuonasse una voce: «Oggi è nato il Re dei Giudei, colui che è l'attesa delle genti e il loro Signore. Andate a cercarlo e adoratelo!».

Il Monte Vaus va identificato con il Sabalān, la cima più alta dell'Azerbaigiān, nella Persia nord-occidentale; la tradizione latina medievale chiama il Vaus, "Monte della Vittoria" e fu davvero una vittoria quel fenomeno di re e pastori, di umili e potenti che, sulla via verso Betlehem (Betlemme), si scoprirono uguali. NÉ SPOSE, NÉ AMANTI

Partì Melchiar (Melchiorre), re di Nubia e d'Arabia. Era il più piccolo di statura dei tre, non ebbe spose né concubine e rimase vergine per tutta la vita.

Dal regno di Godolia e di Saba partì Balthasar (Baldassarre), il mediano d'altezza, anch'egli vergine per tutta la vita; infine partì Jaspar (Gaspare), il più alto dei Tre Re, scuro di pelle come il nero colore degli Etiopi: anch'egli vergine e privo di regine o concubine, era re di Tharsis e di Egriseula, l'isola dove la mirra cresce su piante dalla forma di spighe abbrustolite.

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I Tre Re, usciti dai loro regni, seguivano la stella che li precedeva e avanzava quando loro, con tutto il seguito, avanzavano, e si fermava quando si fermavano.

Seguendo strade differenti, i Tre Re attraversarono villaggi e città: era tempo di pace e nessuno chiudeva le porte. Le genti li vedevano avvicinarsi quasi in un chiarore di giorno, e tutti rimanevano stupefatti per l'imponenza dei loro cortei.

Le vie sconosciute, i corsi d'acqua, i deserti, le paludi, le montagne si trasformavano al loro passaggio in vie pianeggianti. E al trivio sotto il Calvario, a due miglia da Gerusalemme, i Tre Re si incontrarono al diradarsi della nebbia che s'era levata.

Parlavano lingue diverse, venivano da Paesi lontani, ma s'intesero e capirono di avere la stessa meta.

Al levarsi del sole i Tre Re cercano il Bambino: «Dov'è il Re dei Giudei?». Tornarono indietro e, seguendo la stella, arrivarono a Betlehem senza bisogno di cibo o

bevande, e senza dare foraggio agli animali. Colà i Tre Re incontrarono i pastori, la primizia dei Giudei, e conobbero altri re, la

primizia dei Gentili. I Tre Re portavano per tutti, doni provenienti dalla “Casa di Salomone” e dal suo

Tempio, appartenuti una volta ad Alessandro, figlio di Filippo di Macedonia, e alla Regina di Saba; e poi avevano vasi preziosi, oro, argento, gemme.

I Tre Re entrarono a Betlehem verso l'ora sesta, quindi a mezzogiorno: il viaggio era durato tredici giorni.

La stella si era fermata sopra un tugurio e illuminava la spelonca, che fungeva da mangiatoia per le bestie.

E lì c'era Gesù, un paffuto neonato di tredici giorni, tra le braccia della madre. Maria, florida nel corpo e bruna di pelle e di capelli, aveva il capo avvolto in un panno di

lino e non appena scorse i Tre Re si coprì con un mantello bianco.

“I Magi” nel particolare dei mosaici che ornano la parete sinistra della chiesa di S. Apollinare Nuovo a Ravenna (metà sec. V)

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TRENTA DENARI

I Tre Re, scesi dai dromedari, baciarono la terra tremanti per l'emozione, e si sentirono invadere da un'ansia fervida, e di tutto quanto avevano portato presero a caso quello che ebbero a portata di mano; ma i Tre Re, di India, Persia e Caldea, seppero ugualmente offrire doni particolari al Re dei Giudei.

Oro, incenso e mirra

Melchiar offrì l'oro, simbolo del tributo e segno della divina maestà e regalità; Balthasar

offrì l'incenso, simbolo del sacrificio e segno della divina potestà; Jaspar offrì la mirra, simbolo della sepoltura dei morti e segno dell'umana fragilità. Ma il dono di Melchiar, l'oro, alludeva a storie lontane...

Melchiar regalò a Gesù un pomo d'oro e trenta denari aurei. Il pomo era appartenuto ad Alessandro Magno: fuso con particelle dei tributi provenienti da tutte le province dell'Impero, Alessandro lo stringeva in una sola mano, come il mondo di cui egli era signore; ma quando aveva abbandonato la Persia, il pomo era rimasto là.

Quel globo prezioso rappresentava, nella sua sfericità senza principio né fine, la potenza di colui che regge l'Universo con la sua virtù e la propria straordinaria unicità.

Appena il bambino Gesù ebbe tra le mani il pomo, quello si frantumò riducendosi a una polvere d'oro, che sembrava spargersi dovunque intorno: a significare che l'umiltà di Gesù e l'irripetibile unicità della sua presenza avrebbero mandato in mille pezzi le cose vecchie del mondo.

I trenta denari aurei che Melchiar offrì al Signore, erano gli stessi che Abramo aveva portato con sé da Ur, in Caldea, fino a Hebron, e con essi aveva comprato il campo per la sepoltura sua, di sua moglie e dei suoi figli.

Tare, padre di Abramo, li aveva fatti coniare per il re di Mesopotamia, e per quegli stessi denari Giuseppe fu venduto dai fratelli agli Ismaeliti.

Morto Giacobbe, i trenta denari furono inviati alla regina di Saba, per acquistare gli aromi da mettere nel sepolcro di Giacobbe e Giuseppe, e qui furono depositati nel tesoro regio.

La regina di Saba, all'epoca di Salomone, li donò al Tempio di Gerusalemme. Quando gli Arabi conquistarono Gerusalemme, al tempo di Roboamo, gli aurei furono

custoditi nel tesoro del re degli Arabi. Melchiar li prese da lì. Ma durante la fuga in Egitto, Maria smarrì i trenta denari che, insieme agli altri doni

offerti dai Tre Re, teneva avvolti in un panno di lino. Fu un pastore beduino a trovarli; questi, poiché era tormentato da una malattia inguaribile, andò a Gerusalemme dove Gesù lo risanò e lo convertì. Il pastore gli offrì l'involucro contenente quegli antichi doni preziosi e Gesù ordinò che tutto fosse conservato nel Tempio.

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Qui il sacerdote accese l'incenso di Balthasar sopra l'altare, e fece riporre nella stanza del tesoro i trenta denari con la mirra.

Nel terzo giorno prima della Passione del Signore, i Principi dei Sacerdoti prelevarono i trenta denari dal tesoro del Tempio e li diedero a Giuda, a compenso per il tradimento di Gesù.

Della mirra, invece, sì sa che una parte fu mescolata all'aceto offerto a Gesù sulla croce, una parte fu aggiunta da Nicodemo agli altri aromi profumati per il seppellimento del corpo del Re dei Giudei.

Presentati i doni e adorato Gesù, i Tre Re tornarono alle loro terre, ma non c'era più la stella a guidarli: tredici giorni erano bastati a raggiungere Betlehem, occorsero due anni, guide e interpreti, per fare il cammino a ritroso fino ai loro regni.

Erode bruciò le loro navi e mise a soqquadro le regioni cha attraversavano. Passò il tempo... I Tre Re conobbero dai racconti che circolavano, tutti i fatti della vita di

Gesù, i Suoi Atti, i Suoi miracoli, la Sua predicazione.

L'apostolo Tommaso, li incontrò «ancora sani e vecchi» quando si recarono presso di lui con tutti i loro popoli per farsi battezzare.

I Tre Re da allora, diffusero il Verbo di Cristo, con l'apostolo Tommaso consacrarono, sul Monte Vaus, una cappella al Re dei Giudei, e decisero di ritrovarsi colà ogni anno.

Ai piedi della montagna i Magi fecero edificare una città, Sava, la più nobile e ricca dell'India e di tutto l'Oriente, a sud-ovest di Teheran e a nord-ovest di Qom; e a Sava c'era la casa del "Prete Giovanni" o "Prete Gianni", il signore degli Indi, pastore di genti convertite, che aveva ereditato il nome dal modello di Giovanni il Battista e Giovanni Evangelista. Infine l'apostolo Tommaso ordinò arcivescovi i Tre Re ed essi, a loro volta, ordinarono vescovi e preti in tutte le Indie, dove regnarono a lungo.

“I Re Magi” in ciò che resta del Presepe monumentale presso la Basilica romana di S. Maria Maggiore,

di Arnolfo di Cambio (fine sec. XIII)

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L’ULTIMO PRESAGIO

Quando nell'India Superiore, dove si era trasferito a predicare, l'apostolo Tommaso morì, i Tre Re convocarono da tutte le loro terre vescovi, preti, nobili e genti e dissero loro di seguire l'esempio di Tommaso, diffondendo ovunque la parola e i gesti di Gesù senza più dubitare di nulla.

E furono i Tre Re a eleggere il primo "Patriarca Tommaso", capo religioso, scegliendo Giovanni di Antiochia, compagno di Tommaso.

Questi diventò guida di genti dell'India e dell'Oriente cristiano, a luì anche i Tre Re versavano il tributo delle decime.

Per anni Melchiar, Balthasar e Jaspar continuarono a incontrarsi nella città di Sava, poi, qualche tempo prima del giorno della Natività del Signore, videro ancora la stella: era il loro presagio di morte.

Melchiar morì a 116 anni, nell'ottavo giorno della Natività; Balthasar morì a 112 anni, cinque giorni dopo, nella festa dell'Epifania; Jaspar morì a 109 anni, sei giorni più tardi.

Furono sepolti l'uno accanto all'altro, in posizione come se dormissero. La stella rimase viva nel cielo, finché i loro corpi non andarono altrove. Il successore dei Tre Re, che ereditò i loro regni, le terre e al quale obbedivano

arcivescovi, vescovi, preti, patriarchi e genti, fu il Prete Giovanni (o Gianni). Nel breve racconto del Vangelo di Matteo (II, 1-12) tutto questo non è narrato, eppure

da lì inizia una lunga avventura sulle tracce di quei Tre Re, personaggi storici e uomini devoti, la cui vita cambiò profondamente a seguito di quell'esperienza eccezionale.

E subito si mise in moto la circolazione delle voci raccolte, nel tempo, in opere come gli apocrifi Atti di Tommaso (sec. III) e l'Opus imperfectum in Matthaeum (secc. IV-VI), che stanno alla base della tradizione latina medio-occidentale, articolata nei molti rivoli di testimonianze che punteggiano, dall'Alto al Basso Medioevo, le differenti componenti dell’emozione.

L'episodio del viaggio ha trovato eco in autori come lo Pseudo-Agostino, Enrico di Liegi, Ludolfo di Sassonia; le origini orientali affiorano nelle pagine di Marco Polo, di Jacopo da Varagine, Enrico di Liegi; la regalità dei personaggi è ricordata dalla Cronaca pseudo-Dionisiana, dal Libro di Colonia; il momento dell'Epifania acquista sacralità nei commenti di Ambrogio, Fulgenzio di Ruspe, Gregorio Magno.

Nomi, opere... ma soprattutto un incircoscrivibile circuito di "voci", dove s'intersecano notizie e passaggi orali, che stanno alla base di questa immensa leggenda sorta intorno a un accadimento vero, e vera anch’essa in tutti i suoi sviluppi.

Finché un giorno, un priore dell'Ordine dei Carmelitani di Kassel, nella Germania centrale, di nome Giovanni di Hildesheim, decide di mettere ordine nel fitto reticolo di quelle storie, e scrive, fra il 1364 e il 1374, la Historia Trium Regum, rifacendosi anche all'Historia scolastica di Pietro Comestore (1100-1 179).

La ricostruzione dell’episodio qui presentata, nasce dalla contaminazione dei molti testi della tradizione mediolatina, dove è fortissima l'identica contaminazione fra le testimonianze orali e la letteratura dei primi secoli.

A questa va aggiunto il grande contributo emotivo e visivo offerto dalle immagini: mosaici, pitture rupestri, miniature nei manoscritti e affreschi hanno tutti "letto" la storia dei Tre Re, utilizzando anche le brevi notazioni, riguardanti, ad esempio, il loro abbigliamento, presenti in testi assai diffusi, quali l'Historia di Agnello di Ravenna (sec. IX) o dello Pseuso-Beda.

Tutti questi elementi servono a umanizzare e storicizzare una vicenda che unisce il sacro momento della natività a quello laico del pellegrinaggio dei Re; è un tema che sintetizza l'incontro tra due mondi, quello degli uomini e quello di Dio, che giustamente ha trovato larghissimo consumo nei particolari effimeri dell'individuo, improvvisamente partecipe di

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un fatto che muta il senso della storia e le motivazioni stesse d'esistenza per l'uomo medievale e non.

Così, il Medioevo entra dentro le vicenda: la segue, l'amplifica, l'arricchisce d'informazioni e "voci", che servono a fare più uomo il Cristo e più santi i Tre Re: di questo s'impossessa anche la letteratura agiografia e ogni atto di quei protagonisti viene rappresentato come coronamento d'un ruolo storico esemplare.

Non esiste mai un solo modo d'intendere la storia dei Tre Re, ma tutto quello che la compone, da provenienze molteplici, concorre a farne una serie telescopica di "oggetti" e di comportamenti, che sono ingresso a molte gallerie d'enigmi: dall'età tardoantica a tutto il Medioevo e oltre, si fissa nel pellegrinaggio dei Tre Re la ricerca dell'uomo in viaggio verso la conoscenza di Dio.

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TRE PERSONAGGI IN CERCA DI AUTORE

I Re Magi in viaggio

La più bella fiaba del mondo e di tutti i tempi l'ha raccontata un autore che scriveva in aramaico verso il 70 d.C, al tempo più o meno in cui le armate romane di Tito distruggevano Gerusalemme.

Il testo originale non ci è pervenuto: ma esso fu tradotto presto nel più diffuso e conosciuto idioma del bacino mediterraneo del tempo, il greco.

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Si tratta di quello che conosciamo come Vangelo di Matteo (2, 1-12), tanto vicino e complementare rispetto ad altri due dei quattro Vangeli canonici, cioè a quelli di Marco e di Luca.

Soltanto Matteo, tuttavia, ci narra come, essendo nato Gesù in Betlemme di Giudea al tempo di re Erode III il Grande, giunsero là alcuni magusàioi venuti «dall'Oriente» in cerca del «Re dei Giudei», del quale avevano scorto «la stella».

Erode, convocati i sacerdoti e i saggi d'Israele, chiese loro dove sarebbe nato il Messia: essi risposero che ciò sarebbe avvenuto in Betlemme, com'era stato annunziato dal profeta Michea.

Il re ricevette allora segretamente i magusàioi e li interrogò sulla stella, prima di congedarli, raccomandando loro di fargli sapere dove fosse il Bambino in modo che anch'egli potesse recarsi ad adorarlo.

I magusàioi ripartirono dunque, seguendo la stella, che li precedette sino a fermarsi sul luogo dov'era il Bambino: dopo averlo adorato, aprirono i loro scrigni, e gli offrirono oro, incenso e mirra.

Quindi, avvisati in sogno di non tornare da Erode, rientrarono al loro Paese per un'altra strada.

QUESTI SCONOSCIUTI

Una scena dolce, cara, familiare e al tempo stesso esotica e misteriosa. Centinaia dì sculture, affreschi e pale d'altare ce la narrano in infinite fascinose varianti; ogni anno nei presepi delle nostre case ricostruiamo l'evento centrale di quella che è la manifestazione ("Epifania") di Gesù come Dio, come Re e come Uomo.

Eppure molte cose non tornano. Siamo abituati a chiamare "re" i "Magi" a conoscerne nomi (Melchiorre, Gaspare,

Baldassarre), a ritenere tradizionalmente che almeno uno di loro sia nero, a vederli seguire una cometa.

Nulla di tutto ciò nel testo di Matteo: i suoi magusàioi vengono genericamente «dall'Oriente», non se ne conoscono né nome né numero, e a guidarli è una semplice stella.

Da dove giungono i molti elementi non riconoscibili nel testo evangelico e affermati viceversa attraverso una lunga tradizione? E perché mai il racconto dei magusàioi è solo in Matteo? Forse perché è un'aggiunta nel testo greco di Matteo, assente nel testo aramaico (scomparso), che era quello utilizzato da Marco, da cui passò a Luca? O forse si trattò di un episodio "censurato" dagli altri evangelisti in quanto considerato ambiguo e compromettente?

In effetti, un minimo d'imbarazzo dinanzi ai "Magi" la tradizione cristiana l'ha sempre mantenuto.

In Toscana, dove - specie a Siena - la venerazione per i "Tre Santi Re" è forte e diffusa, il singolare di magi (nominativo plurale latino: al singolare magus) suona vernacolarmente “magio”: non solo per una questione fonetica - l'equivoco tra g gutturale e g dolce - ma anche per una ripugnanza ad attribuire a figure tanto care e pie l'inquietante qualifica di "mago".

Che i primi pagani giunti a venerare il Salvatore fossero dei maghi ha turbato, da sempre, la coscienza cristiana: eppure il fatto stesso che essi avessero conseguito la rivelazione della sua nascita attraverso l'osservazione delle stelle, suggeriva che le cose stavano proprio così.

D'altro canto, i Magi figuravano anche altrove, nel Nuovo Testamento, e sono presentati in una luce - giusto o sbagliato che sia - non positiva.

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Appartiene a tale categoria anche quel Simone che, negli Atti degli Apostoli, propone a Pietro di acquistare per mezzo di denaro la forza che permetteva all'apostolo di compier miracoli.

E, da Simon Mago (come l'ha chiamato Dante), si definiscono "simoniaci" quanti fanno traffico venale di valori spirituali.

A questo punto è necessario sapere chi fossero questi magusàioi e capire se e in che misura siano stati nel giusto i traduttori latini del Nuovo Testamento - e lo stesso S. Gerolamo, che alla fine del sec. IV tradusse le Scritture direttamente dall'ebraico in latino - proponendo di identificarli nei Magi.

“L’adorazione dei Magi”, particolare della decorazione musiva del Battistero di Firenze

I RE INDOVINI

I magusàioi, al tempo di Gesù, erano indovini-astrologi d'origine genericamente "caldea" quindi siro-mesopotamica: e, per la Giudea, la Caldea era senza dubbio a Est: che il testo di Matteo sostenga, quindi, che essi venivano «da Oriente» è un po' banale ma non errato, per quanto vada sottolineato che, all'epoca e per uno scritto vicino-orientale, quel termine "Oriente" non aveva le risonanze misteriose che può assumere alle orecchie di noi occidentali moderni.

Ma la parola magusàios era termine semicorrotto, passato dal persiano mogû o magû attraverso l'aramaico mogusha, a indicare quei semiciarlatani che in qualche modo si rifacevano all'antica scienza dei Magû, la tribù meda seguace di Zarathustra, che deteneva il monopolio di rituali e pratiche a carattere magico-astrologico-divinatorio nel mondo persiano mazdaico.

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Ma una più restrittiva interpretazione propone che già durante l'impero persiano achemenide i "Magi" - chiamiamoli d'ora in poi senz'altro così -, colpiti nel sec. VI da una condanna del gran re Serse, in quanto esponenti del culto "daivico" (cioè del sistema mitico-religioso prezoroastriano), si sarebbero sparsi per la Caldea, degradando al livello di ciarlataneria e di stregoneria la loro scienza originariamente sacrale.

Da qui la fama ambigua di quella che poi - dal loro nome - i Greci hanno chiamato maghèia e i latini magia.

Plutarco nel suo De Iside et Osiride, aveva parlato della concezione dualistica propria del mazdaismo persiano e dei riti dai magi officiati in onore dei due grandi Principi della Luce (Ahura Mazda) e delle Tenebre (Angra Mainyu): per la verità anch'egli lasciava irrisolto il grande tema dell'effettivo rapporto tra magi e ortodossia zarathustriana.

Oggi si tende a pensare che, in realtà, i magi si proponessero come una casta sacerdotale-sapienziale, all'interno della quale, con i segreti del rito e dell'osservazione degli astri, si custodiva il nucleo di un messaggio in grado di superare il dualismo maz-daico, riconducendo Luce e Tenebra a un originario principio superiore, Zurvan Akarakana (il "Tempo Increato"), signore di tutte le cose.

L'idea del tempo che ciclicamente si rinnova, conduceva il mazdaismo, detto appunto "zurvanita", alla costante attesa messianica di un «soccorritore divino», il ruolo del quale sarebbe stato quello di aprire ciascuna era di rinnovamento e di rigenerazione, dopo la fase di decadenza che l'aveva preceduta.

In tal senso, il mazdaismo si collega all'attesa messianica che, in forme diverse, si riscontra altresì non soltanto nell'ebraismo e nel cristianesimo (più tardi anche nell'Islam, soprattutto in quello sciita e ismailita), ma anche nel mithraismo, nel buddhismo, nell'induismo soprattutto vishnuista (si pensi alla dottrina dei successivi avatara, le discese di Vishnu nel mondo sotto forme sempre diverse).

Nel mazdaismo si attendevano tre successive, arcane figure di salvatori e rigeneratori del tempo a venire: l'ultimo di essi, il Saoshyant ("Soccorritore"), sarebbe nato da una Vergine discendente di Zarathustra e avrebbe condotto con sé la resurrezione universale e l'immortalità degli esseri umani.

Molte leggende accompagnavano il mito del "Soccorritore": una stella lo avrebbe annunziato, sarebbe stato stella egli stesso, sarebbe scaturito da una roccia come una scintilla di fuoco che sprizza dalla pietra.

SULLA VIA DELL'INCENSO

Sappiamo peraltro da Matteo, che i Magi portarono con loro dei doni. Ciò introduce una variante nell'etimologia della parola che lì designa.

Difatti, nelle Catha (i "Canti", la parte più antica dell'Avesta, la Scrittura sacra mazdaica) il termine maga indica il "dono", sia nel senso propriamente sacerdotale e sacrificale di offerta, sia in quello sapienziale di sapere, di conoscenza divina. E il sacerdote, in quanto "partecipe del dono", è magavan.

L'oro, l'incenso e la mirra recati dai Magi a Gesù, rinvia nella logica testuale di Matteo (una fittissima trama di riferimenti veterotestamentari, volta a comprovare come la nascita di Betlemme adempisse puntualmente le Scritture) agli Arabi, ai Sabei, ai "re delle isole" citati nel Salmo 72: si tratta di prodotti commerciati abitualmente sulla cosiddetta "Via dell'Incenso", che dall'Oceano Indiano risaliva la penisola arabica, recando al mondo mediterraneo le merci dell'Asia orientale, del Corno d'Africa, dell’Arabia felix.

Per la tradizione esegetica cristiana, i Magi sono essenzialmente la primitia gentium, i primi fra i pagani ad aver riconosciuto e adorato il Signore. Per questo il loro culto fu tanto fortunato, diffuso e radicato tra i convertiti d'origine non ebraica.

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Ma da dove venivano, in realtà? Quanto tempo era durato il loro viaggio? Con che mezzi erano giunti? Che itinerario avevano seguito nell'andata, quale scelsero per il ritorno? Quanti erano? Come si chiamavano? A fornire, magari in modo contrastante e ridondante, queste e altre informazioni provvide una lunga serie di testi evangelici apocrifi: il Protovangelo di Giacomo (forse anteriore al sec. V) e il Vangelo dello Pseudo-Alatteo (un testo aramaico derivante dal precedente e datato ai secc. V-VI), il Vangelo arabo-siriaco dell'Infanzia (metà sec. VI), il Vangelo armeno dell'Infanzia - che pone la nascita di Gesù al 6 gennaio e l'arrivo dei Magi al 9, e che fissa a tre il numero dei Magi, li chiama per nome e li definisce come re (Melkon re dei Persiani, Gaspar re degli Indiani, Balthasar re degli Arabi).

IL MONTE DEL SIGNORE

I temi riguardanti la profezia di Zarathustra relativa alla nascita del Soccorritore e alla sua attribuzione a Gesù furono a loro volta sviluppati in testi profetico-esegetici d'origine soprattutto siriaca come il Liber nomine Seth (forse del sec. III), il Libro della Caverna dei Tesori (secc. V-VI), la Cronaca pseudoisidoriana detta anche di Zuqnin (sec. VIII) e il siriaco Liber scholiorum di Teodoro Bar Konai (secc. VIII-IX).

Tali testi furono tutti o in parte, a differenti riprese, tradotti anche in latino: un rifacimento di alcuni di essi è da considerarsi l'Opus imperfectum in Matthaeum, una cui redazione (originaria? ) in greco potrebbe essere del sec. IV, da cui sembra dipenderne una latina redatta in ambiente ariano africano tra i secc. VI e VII.

Da questi testi ha finito con l'affermarsi, anche grazie al soccorso d'una tenace e splendida tradizione iconica - si pensi alla teoria dei Magi nei mosaici di S. Apollinare Nuovo di Ravenna -, la nostra tradizione, sostenuta da un acceso dibatti-to esegetico che dei "Tre Santi Re" ha fatto di volta in volta il simbolo delle tre "razze primigenie" scaturite dai tre figli di Noè, dei tre continenti della vecchia ecumène, dei tre Stati del mondo (i sacerdoti, i guerrieri, i produttori), dei tre momenti dell'esistenza umana (giovinezza, maturità, vecchiaia), dei tre aspetti del tempo (passato, presente, futuro).

Ma il sospetto che nasce dall'esame della più bella fiaba del mondo è che la si sia fino a oggi letta in modo unilateralmente etnocentrico. Da un lato, essa pare davvero presentare il Cristo come punto d'arrivo e d'incontro, momento perfetto, definitivo di tutte le tradizioni e di tutte le religioni. Dall'altro, però, essa lo collega strettamente a Zarathustra, a Mithra, indirettamente anche a Vishnu e a Buddha, in un modo tale da farci chiedere se qualcosa di profondo e fondamentale nella genesi dei sistemi mitico-religiosi tra il sec. V a.C e il VII d.C.

L'Opus imperfectum in Matthaeum parla di un Mons Victorialis al quale ogni mese ascendevano i Magi (in quel testo in numero di dodici: come i mesi dell'anno e gli apostoli), per scrutare le stelle.

Lì avrebbero avvistato l'astro all'interno del quale era un fanciullo sormontato da una croce.

Infiniti testi iconici occidentali ripetono quest'evento. Ma nel Seistan, tra Iran e Afghanistan, ogni anno ancor oggi i "parsi" - gli ultimi eredi dei mazdei - si riuniscono ai piedi del monte Usida (il Kuh-i-Khwga, il "Monte del Signore" dell'Avesta), là dove sta il lago Hamun, nel quale, secondo il XIX yast (inno) avestico, sarebbe stato sparso il seme del profeta Zarathustra.

I parsi celebrano la loro riunione al principio dell'equinozio di primavera, che equivale al tempo in cui, secondo la tradizione cristiana, la Vergine concepì il Cristo.

Usida, Mons Victorialis, nell'Avesta, il Soccorritore è chiamato anche "il Vittorioso".

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IN PROCESSIONE SEGUENDO LA STELLA

DOPO LA TRASLAZIONE DELLE RELIQUIE A COLONIA, IL CULTO DEI TRE RE SI DIFFUSE OVUNQUE, MA A MILANO ANDÒ PERDENDO VIGORE. FlNO ALL'EPIFANIA DEL 1972

Il Duomo di Colonia (Germania). All’interno, in un’arca, sono conservate le spoglie dei Re Magi

L’11 giugno del 1164 partiva da Milano un corteo, ordinato da Federico Barbarossa, con

l'incarico di trasferire le reliquie dei Magi a Colonia: lo guidava Rainaldo di Dassel, arcivescovo di quella città.

Era la conclusione del lungo assedio condotto dall'imperatore, ma per il culto dei Magi si trattava invece dell'inizio di un nuovo, glorioso ciclo, come mostrano le parole entusiastiche del cronista Giovanni di Hildesheim: «L'arcivescovo trasferì pubblicamente e con i debiti onori i corpi dei Tre Re e le altre reliquie in Colonia, ed essi furono accolti da tutto il popolo e devotamente collocati nella chiesa di S. Pietro. E, a mezzo loro, il Signore fino ai dì nostri, opera molti prodigi. E popoli diversi, venendo da lontani Paesi, li visitano e li venerano devotamente».

Sino ad allora le reliquie erano state custodite nella chiesa di S. Eustorgio, a Milano; tuttavia, le origini della loro presenza e del culto a esse tributato nella città lombarda sono tutt'altro che chiare.

La memoria della leggenda antica, infatti, è affidata ad autori rispetto a essa assai tardi, spesso indotti alla narrazione proprio dagli avvenimenti che avevano portato al trasferimento delle reliquie a Colonia.

La tradizione vuole che verso la fine del sec. IV, il nobile greco Eustorgio si recasse a Milano come inviato di Costantino, venendovi acclamato vescovo grazie alle sue opere meritorie. Recatosi a Costantinopoli per domandare l'approvazione dell'imperatore, egli aveva ricevuto in dono da S. Elena le reliquie dei Magi.

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Numerose le varianti della leggenda e delle vicende miracolose che accompagnarono la traslazione: tuttavia, esse lasciano immutato il nucleo del racconto, che si conclude con l'arrivo nei pressi della città; qui la cassa contenente le sacre reliquie diviene così pesante da costringere Eustorgio a fermarsi e fondare, come spinto da un richiamo divino, la chiesa che prenderà il suo nome.

Sulle origini della diocesi milanese abbiamo diverse notizie; sappiamo che essa assunse una struttura definitiva e una funzione propulsiva a partire dal sec. IV inoltrato, sotto il vescovato di Ambrogio; tuttavia, la fondazione della Chiesa locale dovrebbe esser ben più antica e, al pari di quanto mostrano diverse città del Midi francese, il cristianesimo sarebbe stato praticato soprattutto all'interno delle colonie di orientali.

UNA PRESENZA ANTICA Due vescovi milanesi sono ricordati col nome di Eustorgio: il primo morto nel 331, il

secondo nel 518. E’ difficile dire se davvero al primo dei due si debba la traslazione; non è solo il carattere

fantastico del racconto a impedire di trovarvi prove certe; si rimane anche stupìti di fronte all'assenza di cenni nelle fonti coeve o comunque poco posteriori a una vicenda di tale rilevanza.

A Milano la tradizione delle reliquie dei Magi e della translatio da Costantinopoli sembra aver raggiunto una vera importanza solo in occasione della loro perdita a favore di Colonia.

Tuttavia, nella città lombarda vi sono tracce dell'antichità di tale presenza: la chiesa di S. Eustorgio era sempre stata conosciuta come chiesa dei Santi Re e, pur essendoci ignota la data della sua prima fondazione, sappiamo invece per certo che essa fu riedificata fra i secc. VII e VIII.

Al suo interno, il quinto capitello a destra della navata centrale, già illustrava la leggenda di Eustorgio. Se l'antichità della presenza delle reliquie a Milano è dunque un dato certo, altrettanto non si può dire del culto, che probabilmente aveva subìto nei secoli un netto declino, oppure non aveva mai raggiunto una decisa popolarità.

In effetti, per tutto l'Occidente il culto dei Magi sembra aver preso avvio proprio a partire dal sec. XII, come testimonia la produzione iconografica che, con l'eccezione delle testimonianze paleocristiano-tardoantiche o di chiara influenza bizantina, non trova frequenti raffigurazioni dei Magi prima del romanico.

Nel Duecento sarà poi la Legenda Aurea di Jacopo da Varagine, tradizionale e inesauribile fonte per gli artisti dei secoli successivi, ad aumentare la loro fama in Occidente. Nella divulgazione della leggenda, e conseguentemente del culto dei Magi, ebbe però un ruolo non secondario proprio il trasferimento delle reliquie a Colonia.

A partire dal Duecento forse, e sicuramente dal Trecento, in molte località si affermò una nuova forma di venerazione per i Magi; si trattava di cerimonie pubbliche che fornivano una dimensione teatrale e spettacolare della liturgia che si svolgeva il giorno dell'Epifania.

Sappiamo, per esempio, che il 6 gennaio a Friburgo, probabilmente proprio in ricordo del passaggio delle reliquie, si svolgevano feste e processioni in cui si celebravano le storie dei Magi.

Nel 1336 anche Milano ebbe una splendida cerimonia in onore dei Santi Re. Nel 1227 la chiesa di S. Eustorgio era passata ai domenicani, che paiono esser stati

importanti promotori dell'evento. Non casualmente, l'Officium stellae, che si svolse con la stessa magnificenza alcuni decenni più tardi, nel 1 390, a Firenze, fu anch'esso organizzato dai domenicani di S. Marco: segno quindi di un interesse dell'Ordine verso la promozione del culto.

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Per Milano conosciamo nei particolari lo svolgimento della processione, grazie alla dettagliata cronaca del contemporaneo Galvano Fiamma; sappiamo che in questa occasione il corteggio non si limitò a muoversi solo nei paraggi della chiesa, come d'uso, ma attraversò buona parte della città, che diveniva così immagine della Terrasanta; esso avanzava accompagnato da uno spettacolo assai articolato e d'impostazione teatrale, che prevedeva il passaggio, oltre che dei protagonisti della leggenda, di animali più o meno esotici, abiti di foggia orientale, insegne d'ogni genere.

TRIONFI REALI La diffusione di tali maestose processioni non doveva rimanere priva di conseguenze

anche per quanto concerne i programmi iconografici relativi alla leggenda dei Magi, che fra Tre e Quattrocento divennero sempre più frequenti.

In Lombardia si distingue in particolare la realizzazione del famoso polittico di Pavia, in avorio, commissionato presumibilmente dai Visconti agli inizi del sec. XV, nel quale si ripercorre per intero la vicenda dei Tre Re.

Il legame tra i Visconti e la programmatica promozione del culto dei Magi, che aveva avuto inizio proprio con l'evento del 1336, non è privo di significato, ma cela anzi, con tutta probabilità, una decisa volontà di propaganda: si ricordi infatti che l'Epifania era tradizionalmente una fra le date predilette dai sovrani di Germania per le incoronazioni; un modello, questo, rinverdito non molti anni prima dall'incoronazione di Enrico del Lussemburgo a re d'Italia, avvenuta nel 1311.

I Magi, oltre che viaggiatori e dunque protettori di pellegrini e viandanti, erano spesso descritti dalla tradizione - orale, letteraria e iconica - come tre re: non stupisce dunque il tentativo dei Visconti, ghibellini, di ricollegarsi a tale tradizione legando il proprio nome e il proprio ruolo a Milano alla diffusione di questo culto.

In conclusione, si può dunque notare come l'emergere della venerazione per i Magi nel Trecento, non appartenga a un progressivo intensificarsi di un culto già presente, ma sia piuttosto un fenomeno di ritorno.

In particolare, il capoluogo lombardo veniva a riscoprire il passato legame con la presenza delle reliquie in S. Eustorgio, ma lo faceva in modo ampiamente artificioso - non diversamente rispetto ad altre città -, dal momento che un fervore del culto senza soluzione di continuità rispetto all'età tardoantica appariva quantomeno improbabile.

D'altra parte, la storia dei culti civici o comunque locali è generalmente una storia non tanto e non solo di continuità, quanto piuttosto di riscoperte e di volute e ricercate reinvenzioni del passato.

Non è un caso, allora, che la devozione lombarda per i Magi abbia seguito, per i secoli successivi al Tre-Quattrocento, la consueta routine che investe la maggior parte dei culti, fatta di alti e bassi, di trasformazioni e anche di lunghissime obliterazioni.

In tempi recenti Milano sembra aver riscoperto ancora una volta i suoi Magi: a partire dal giorno dell'Epifania del 1972, e con il dichiarato intento di riprendere la tradizione dei corteggi tardomedievali, ogni anno si compie una processione che da S. Lorenzo Maggiore conduce a S. Eustorgio.

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CURIOSITÀ

COME ERANO VESTITI I TRE MAGI?

“I Tre Magi”, miniatura dal “Libro di Pericopi di Enrico II (Reichenau, 1007-1012), conservato a Monaco di Baviera

Com'erano vestiti i Tre Re? Le tradizioni orali che stanno alla base dei testi latini dell'Alto Medioevo, fanno

grande confusione tra nomi, abiti e doni. Raggruppando e confrontando le testimonianze, possiamo originariamente "vederli"

così: Melchiar, significando la penitenza, indossava una tunica color violetto e, sopra, un saio, aveva il capo coperto da fascette legate sotto il mento e calzari intessuti di bianco e di violetto. Balthasar, significando la verginità, indossava panni bianchi coperti da una tunica rossa e gialla, e calzari da mugnaio. Jaspar, significando la devozione, indossava una tunica bianca, un saio rosso e calzari violetti.

Le rappresentazioni fornite dalle immagini dipinte o miniate non tengono conto di questo e privilegiano l'abito e il ruolo dei Tre Re, esaltando, pur nell'assorta scena dell'omaggio, la maestà degli arredi.

ALL’HOTEL DEI TRE RE

La strada percorsa dal corteo di Rainaldo di Dassel per condurre le sante reliquie da Milano sino a Colonia, passando attraverso la Svizzera e lungo la valle del Reno, ha recato a lungo tracce evidenti di questo passaggio.

L'arte popolare delle aree interessate dal cammino ha creato infinite immagini - intagliate nel legno, dipinte, ricamate, scolpite nella pietra - dei Tre Re; essa si ispirava tanto al Vangelo di Matteo quanto alla nutrita tradizione apocrifa e leggendaria.

Ma il ricordo di tale transito, al quale fece seguito quello di numerosissimi pellegrini - fra i quali molti appartenenti a nobili famiglie - diretti al santuario di Colonia, ha

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lasciato un'impronta anche nei nomi dei luoghi, in particolare delle locande, degli alberghi e dei punti di ristoro per i viandanti: a significare il particolare patronato dei Magi, a loro volta viaggiatori, su quanti intraprendevano il cammino.

Alberghi intitolati ai Tre Re, alle Tre Corone o ai Tre Mori erano conosciuti e sovente ben quotati in numerose città, fra cui Basilea, Anversa, Augusta e Colonia.

Proprio a Basilea, il famoso Hotel dei Tre Re era così chiamato, perché nel 1027 vi avevano soggiornato Corrado II, suo figlio Enrico III e Rodolfo III; non casualmente, nel 1164 fece sosta in questo magnifico ostello anche i drappello con la cassa delle reliquie dei Magi, fondendo da allora in poi le due regali tradizioni.

DOVE SONO I RESTI DEI TRE MAGI?

“L’arca dei Re Magi” nella Cattedrale di Colonia

La tradizione vuole che i Tre Magi siano sepolti nel Duomo di Colonia, che divenne

uno dei luoghi più amati dai pellegrini. Anche il padovano beato Pellegrino, nel 1257, si recò in quella città per venerarli, e

medesimo percorso effettuò Francesco Petrarca. Della città in cui furono originariamente sepolti, ne parlano il veneziano Marco Polo

nel 1270 e cinquant'anni dopo il francescano Odorico da Pordenone, che dettò le sue memorie nel Convento del Santo, a Padova. «Partendo con le carovane - racconta Odorico - da questa città (Soldania, dove nel tempo estivo dimora il re dei Persiani) andai verso l'India Superiore e dopo molti giorni giunsi nella città dei "re magi", chiamata Cassam, città regale e molto onorata. In verità i Tartari la distrussero gran parte. Per andare da questa fino a Gerusalemme, dove i magi giunsero, non per virtù umana ma miracolosamente, perché arrivarono con celerità, si impiegano cinquanta giorni».

Tanto afferma Odorico, che dal 1320 al 1330 viaggiò fino in Cina, ove rimase tre anni, dettando poi le sue memorie nell'"Itinerarium" a frate Guglielmo da Solagna, nel Convento del Santo, nel maggio del 1330.

Egli testifica: «Vidi e udii molte cose e mirabili che posso narrare veracemente».

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La città di Cassam corrisponde a Kasham, a sud del mar Caspio e di Teheran, nell'attuale Iran, luogo di provenienza dei Magi, che l'apostolo Matteo (2, 1- 23) indica «da oriente».

I territori a oriente della Palestina biblica, infatti, coincidevano con l'impero persiano, ed esistono pochi dubbi sull'origine etnica e sulla religione di appartenenza (sacerdoti astronomi della religione zoroastriana) dei personaggi descritti dall'evangelista.

Il veneziano Marco Polo, ne "Il Milione", cinquant'anni prima (1270), dice di aver visitato le tombe dei Magi nella città di Saba. «In Persia è la città che è chiamata Saba, dalla quale si partiro li tre re che andarono adorare Dio quando nacque.

In quella città sono soppelliti li tre Magi in una bella sepoltura, e sonvi ancora tutti interi con barba e con capegli: l'uno ebbe nome Beltasar, l'altro Gaspar, lo terzo Melquior. Messer Marco dimandò più volte in quella cittade di quegli tre re: niuno gliene seppe dire nulla, se non che erano tre re seppelliti anticamente».

Queste testimonianze paiono dar fondamento storico alla località d'antica sepoltura dei Magi, il cui irrompere nella vita di Gesù non è frutto di una "retroproiezione", come sostiene parte della critica contemporanea. Quasi che l'evangelista Matteo avesse collocato all'inizio della vita di Cristo ciò che sarebbe poi accaduto durante la sua esistenza: Erode e Gerusalemme a contrastarlo, mentre coloro che vengono da lontano (i Magi) ad accogliere il suo messaggio.

Matteo non dà il numero esatto e il nome dei Magi. La tradizione e i Vangeli apocrifi ne individuano tre, in base ai doni da loro offerti (oro, incenso e mirra), mentre i nomi sono stati coniati a partire dal sec. VI.

Assodato che i Magi provenivano dalla Persia, e che fino dall'antichità cristiana ebbero un culto sia in Oriente che in Occidente, come mai i loro resti sono sepolti nel duomo di Colonia?

Giunsero nella città tedesca accolti con esultanza dal popolo il 23 luglio 1164, e anche il “Martirologio romano” ne riporta la memoria al 24 luglio.

La tradizione dice che i loro resti sarebbero stati scoperti da S. Elena, madre di Costantino il Grande, che li fece trasportare nella chiesa di S. Sofia, a Costantinopoli, custodendoli in un prezioso reliquiario.

Poi, a seguito dello scisma d'Oriente, nessuno più si ricordò di loro. S. Eustorgio, vescovo milanese, nel 344, li chiese a Costante, imperatore d'Oriente. Costruita una nuova Basilica romanica, che poi prese il suo nome, le reliquie

trovarono collocazione nella "Cappella dei Magi", all'interno di un grandioso sarcofago di pietra.

Nel 1162 Federico Barbarossa, distrutta la Basilica di S. Eustorgio e parte della città di Milano, asportò le reliquie dei Magi e quelle dei SS. Felice e Nabore, chiestigli dal suo cappellano e consigliere Romulado da Colonia, il quale, ricevutele il 23 luglio 1164, le custodì nella Cattedrale di S. Pietro.

In seguito fu costruita una nuova chiesa per ospitare tali reliquie, deposte in una cassa lignea, rivestita d'argento, il più sfarzoso reliquiario del Medioevo, collocato dietro l'altare maggiore.

(a cura di Paolo Rossi: [email protected])

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