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I sistemi di welfare dell’Est asiatico a confronto: tra
produttivismo e diritti sociali
Ijin Hong *
Politiche del lavoro, inclusione sociale e modelli di capitalismo
Paper per la IX Conferenza ESPAnet Italia
“Modelli di welfare e modelli di capitalismo.
Le sfide per lo sviluppo socio-economico in Italia e in Europa”
Macerata, 22-24 settembre 2016
* Research professor, Yonsei University, Seoul (Corea del Sud) / [email protected]
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***Questa e` una versione draft, si prega di contattare l’autrice per eventuale citazione***
Abstract
Gli ultimi venti anni sono stati testimoni di uno sviluppo prodigioso delle politiche sociali in Asia.
Se all’inizio questi cambiamenti hanno interessato solo il Giappone, in seguito altri paesi dell’est e
del sud-est asiatico sono stati veloci nell’introdurre nuove iniziative di welfare nella regione. Questo
articolo si propone di tracciare delle distinzioni su questo tema, anzitutto chiarendo i motivi per cui
e` controproducente classificare l’intera area all’interno di una tipologia di welfare asiatica
denominata ‘produttivista’; in seconda analisi, spostando il focus su Giappone, Corea del sud e
Taiwan come i paesi asiatici dai sistemi di welfare meglio definiti; e, infine, nelle conclusioni,
tracciando uno stato dell’arte per l’analisi di questi casi, con prospettive di sviluppo per la ricerca
sulle politiche sociali in Asia in chiave comparata.
Parole chiave: produttivismo, est asiatico, assicurazione sociale, spesa sociale, ricerca comparata
Introduzione
Fino a tempi recenti, diversi leader di vari paesi in Asia erano stati restii all’idea di uno stato sociale
generoso, considerato un incentivo all’accidia oltre che un costo troppo oneroso per le finanze
pubbliche (Economist 2012). Cosi`, se durante gli anni ’70 lo stato sociale ‘dalla culla alla tomba’ in
Inghilterra era stato bollato come ‘eikoku byo’ (malattia inglese) in Giappone, in tempi piu` recenti
Lee Kwan Yew (fu primo ministro di Singapore dal 1959 al 1990) descrisse il welfare state in termini
di “sistema debilitante... che mette in pericolo il contare su se stessi”, mentre Chung (ex direttore
dell’istituto di ricerca quasi governativo KIHASA, in Corea del sud), dal canto suo, osservava a inizio
anni 2000 come “nei welfare states occidentali il concetto di ‘uguaglianza’ puo` creare un
atteggiamento passivo che potrebbe portare alla depressione economica”, facendosi promotore di un
sistema di welfare minimo che punta all’equilibrio fra crescita economica e spesa sociale (Hong 2006).
Al momento in cui si scrive (2016), tuttavia, la situazione appare radicalmente cambiata, e politiche
sociali di vario tipo vanno insediandosi in pianta stabile in diversi paesi asiatici: il Giappone e` stato,
dopo la Germania, uno dei primi paesi a introdurre un’assicurazione per la cura a lungo termine degli
anziani; il fondo individuale di risparmio per la previdenza (CPF) in Singapore e` in larga parte
finanziato dallo stato, e sussidi sottoforma di rimborsi fiscali sono disponibili per le categorie a basso
reddito che risiedono in abitazioni a basso costo (Economist 2012); la conciliazione famiglia-lavoro
viene affrontata in maniera esplicita con l’erogazione di servizi per l’infanzia su base universale in
Corea del sud, e tramite una generosa politica di congedi genitoriali in Taiwan (Hong, Kang, Lee
2016). Persino stati ancora in via di sviluppo economico ricorrono a iniziative importanti contro la
poverta`, come avviene con la politica Jamkesmas in Indonesia, avviata nel 2008, che assicura la
copertura dei servizi sanitari per le famiglie a basso reddito, e l’assistenza pubblica per i cittadini
indigenti nelle zone urbane in Cina, introdotta nel 1999 ed estesa nel 2007 alle zone rurali (Economist
2012).
E` indubbio, dunque, che vari cambiamenti hanno interessato le politiche sociali in quest’area: se un
approccio residualista verso il sociale, puntato sullo sviluppo economico ai primi tempi aveva
inizialmente spinto vari studiosi a chiedersi se per caso non esistesse un ‘quarto’ regime di welfare
asiatico (Esping-Andersen 1997), oggi questi sistemi di welfare sembrano voler fuoriuscire
dall’involucro ‘produttivista’ delle origini, in cerca di nuovi modelli di partecipazione e giustizia
sociale (Kim 2008). E` lecito, dunque, porsi i seguenti interrogativi: che tipo di cambiamento e`
avvenuto negli ultimi anni, e quali paesi sono stati direttamente interessati? Se una transizione e`
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avvenuta, qual’e` stata la sua portata? Ha ancora senso dibattere di un distinto ‘quarto’ regime di
welfare asiatico, come Esping-Andersen (1997) sembrava suggerire, ormai venti anni fa?
Questo articolo si propone di tracciare distinzioni importanti all’interno di questo presunto ‘quarto’
regime di welfare asiatico (Esping-Andersen 1997, Hort and Kuhnle 2000, Jacobs 2000), nella
consapevolezza che i paesi afferenti a quest’area geografica si stanno gradualmente distaccando
dall’originaria ottica residuale e produttivista del welfare, in convergenza con le tematiche e i dilemmi
dei welfare states europei. In tal senso, le politiche sociali diventano uno strumento per la
competizione democratica, e le problematiche dell’invecchiamento, la segmentazione del mercato del
lavoro, la poverta`, la disuguaglianza, e i diritti sociali diventano una preoccupazione comune per i
paesi al di la` del continente euroasiatico.
Sulla base della letteratura specializzata che e` fiorita nel corso degli ultimi venti anni, tra scambi
sempre piu` fitti e collaborazioni tra studiosi occidentali e asiatici, questo articolo si propone di
chiarire alcuni punti importanti e temi chiave su un ambito di studi che si e` sviluppato forse troppo
precipitosamente per poter essere delineato appieno nella sua complessita` (Choi 2007).
Nello specifico, le domande di ricerca a cui si tenta di offrire una risposta sono le seguenti:
1. E` utile classificare diversi paesi asiatici entro la stessa tipologia di welfare?
2. Quali sono i paesi asiatici maturati al punto da essere considerati welfare states?
A ciascuna di queste domande sara` dedicata una sezione a parte, seguiranno poi le conclusioni
accompagnate da riflessioni su future prospettive di ricerca.
1. E` utile classificare diversi paesi asiatici entro la stessa tipologia di welfare?
L’ipotesi del quarto modello ‘produttivista’
‘Ritardatari’ nello sviluppo del welfare, vari paesi asiatici sono stati inizialmente trattati come un
blocco unico guidato dal Giappone, caratterizzato da un impetuoso sviluppo economico cui tutto era
subordinato, incluse le politiche sociali. Questo ragionamento, da piu` parti chiamato
developmentalism, trova le sue radici in alcuni studi in lingua inglese sorti tra gli anni ’80 e ’90, volti
ad analizzare la strategia di politica economica in estremo oriente tramite cui e` stata possibile la
transizione da una relativa condizione di sottosviluppo allo status di paesi industrializzati (Johnson
1982, Vogel 1991, Deyo 1992). Nello stesso periodo appariva uno dei primi contributi in lingua
italiana sull’argomento da parte di Shiratori (1993), il quale, collaborando al volume di Maurizio
Ferrera Stato Sociale e Mercato, informava il lettore italiano sulle peculiarita` del welfare state
giapponese, caratterizzato da un forte stato regolatore e un sistema di tassazione progressivo che
garantiva un certo livello di uguaglianza nella societa`.
A questi primi studi e` seguito un intervento di Esping-Andersen, il quale, interrogandosi su come
integrare il Giappone (e, di rimando, la Corea) entro la sua classificazione di regimi di welfare,
suggeriva una possibile collocazione ‘ibrida’ per questi paesi asiatici, a meta` tra il modello
corporativista-conservatore dell’Europa continentale, e quello liberale orientato al mercato di tipo
anglosassone (Esping-Andersen 1997). Questo articolo, pubblicato sul Journal of European Social
Policy, ha dato il via a una serie di discussioni che, a cavallo tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli
anni 2000, si interrogavano sulle caratteristiche istituzionali dei sistemi di welfare in questa regione.
In particolare, il coreano Huck-ju Kwon ha prodotto una serie di articoli che descrivevano il
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sottostrato residualista del welfare mix in Corea e le sue dinamiche di coalizioni di classe (Kwon
1999, 2001, 2003), e il singaporense Mishra Ramesh si e` speso nel delineare le differenze tra i sistemi
di welfare in Singapore e Hong Kong con il resto dell’ est asiatico, con un’attenzione particolare ai
traguardi ottenuti in ambito sanitario (Ramesh 1995, Ramesh e Asher 2000, Ramesh e Holliday 2001).
Fu, questo, un periodo proficuo di scambi di idee tra studiosi occidentali e asiatici, intenti a creare le
basi per un nuovo campo di specializzazione negli studi di welfare (Hort e Kuhnle 2000, Tang 2000).
Un nuovo impulso alla letteratura sui modelli di welfare in Asia, fu dato dal pluricitato studio di
Holliday (2000), il quale, riallacciandosi al primo filone di studi sul developmentalism, proponeva di
integrare la famosa classificazione dei tre regimi di welfare di Esping-Andersen con un quarto
modello, denominato ‘produttivo’. Il ‘capitalismo del welfare produttivista’ (PWC), valido per
Giappone, Corea del sud, Taiwan, Hong Kong e Singapore, veniva proposto in diverse varianti: un
sottogruppo piu` universalista per i primi tre, intermedio per Singapore, e il sottotipo rappresentato
da Hong Kong, piu` orientato al mercato. Pur non essendo un contributo particolarmente solido da un
punto di vista teorico – Holliday perlopiu` criticava all’originale classificazione dei regimi di welfare
la mancanza di un collegamento con le politiche economiche – questo articolo ha dato nuova linfa
all’ipotesi di un welfare asiatico, che e` poi stata elaborata ed articolata ulteriormente da diversi
studiosi nel corso degli anni 2000. Una sommaria lista aggiornata di caratteristiche del ‘capitalismo
del welfare produttivista’ (PWC) puo` essere descritta come segue (Hong 2014):
- Priorita` data allo sviluppo economico come agenda di governo (Chung 2001, Lee e Ku 2007,
Walker e Wong 2005, Tang 2000, Park 2007, Holliday 2000, Ramesh 2004, Takegawa 2009);
- Politiche sociali concepite soprattutto come un mezzo per garantire la riproduzione di una
forza lavoro in salute ed efficiente. In particolare, Gough (2001) si sofferma sull’importanza
centrale accordata alla spesa pubblica per fini educativi e di sanita` pubblica;
- Un approccio autoritario dall’alto verso il basso (top-down) nella distribuzione di diritti
sociali, accordati in un ottica di scambio di servizi in cambio di lealta` politica, con priorita`
garantita ad alcune categorie di collaboratori statali, quali impiegati pubblici e militari (Tang
2000, Walker e Wong 2005, Kwon 1999, Ku e Finer 2007, Park 2007, Peng e Wong 2010)
- La poca rilevanza del movimento di sinistra dei lavoratori, sia sottoforma di partito, che di
sindacati (Wong 2004, Peng e Wong 2010)
- Una bassa spesa pubblica per il sociale, con un ampio coinvolgimento richiesto a famiglie e
settore privato nel welfare mix (Shiratori 1993, Jacobs 2000, Gough 2001, Lee e Ku 2007,
Walker e Wong 2005, Aspalter 2006, Tang 2000, Park 2007), un approccio residualista spesso
supportato da un’ottica confuciana di valori rispetto alla famiglia (Goodman and Peng 1998,
Walker and Wong 2005, Ku and Finer 2007);
- Collegandosi al punto precedente, una scarsita` di servizi sociali mirati alle donne e ai loro
compiti di cura (Park 2007; Walker e Wong 2007);
- Un passato coloniale che influisce su meccanismi di diffusione di policy (il Regno Unito come
modello per le citta` stato di Singapore e Hong Kong, e il Giappone come riferimento per
Taiwan e Corea del sud) (Walker e Wong 2005, Park 2007, Hort e Kuhnle 2000, Gough 2001).
In definitiva, a dispetto del fatto che mercato e famiglia si sono spesso fatti carico dei servizi sociali
in sopperimento alle mancanze del settore pubblico (principio allargato di sussidiarieta`), lo stato
stesso, nel coordinare e controllare consapevolmente tutte le attivita` produttive (si pensi ai
finanziamenti statali alle grandi imprese in Giappone e Corea del sud, rispettivamente keiretsu e
chaebol), ha storicamente esercitato un ruolo importante nel determinare spazi d’azione per mercato
e famiglia, spesso sotto la guida di regimi autoritari e antidemocratici. Esistono dunque alcuni tratti
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comuni in sottofondo, riassumibili a grandi linee come un forte intervento dello stato nell’economia,
e un deficit democratico che ha impedito alle classi lavoratrici di lasciare la loro impronta nelle
politiche sociali dell’area, diversamente dalle strategie di ‘coalizioni di classe’ che si sono riscontrate
altrove in Europa (Esping-Andersen 1990, Pierson 2007). In poche parole, i diritti sociali in Asia,
diversamente da come avvenuto storicamente nel Regno Unito (Marshall 1950), hanno, in molti casi,
preceduto quelli politici e civili, in un’ottica di scambio e legittimazione politica di regimi autoritari
e anti-democratici (Kwon 1998).
Ad oggi, prevale una visione critica su un modello onnicompresivo ‘produttivista’ (Peng e Wong
2010). Se e` possibile, da un lato, collegarlo alle origini del welfare in Asia, la sua indeterminatezza
presenta tuttavia parecchie lacune, tra cui incertezza nei paesi da includervi (Choi 2007), nonche`
criteri di inclusione giudicati incoerenti, selettivi e poco sistematici (Kim 2008: 112). Ad avviso di
chi scrive, il problema di fondo e` l’eccessiva ampiezza del raggio di inclusione del modello
produttivista, che si traduce in una grande variabilita` nei livelli di istituzionalizzazione dei diversi
sistemi di welfare: da una parte, c’e` il Giappone con un PIL dedicato alla spesa sociale che supera il
20%, in linea con la maggioranza dei paesi OCSE; dall’altra, paesi della ‘terza ondata’ quali il
Vietnam e l’Indonesia, si affidano ancora troppo allo sviluppo economico in se` e per se` nel garantire
la distribuzione delle risorse in un’ottica economica di trickle-down.
Livelli di istituzionalizzazione del welfare in Asia
Pur non disponendo di un metro di misurazione per la spesa sociale paragonabile ai dati OCSE, e`
possibile farsi un’idea sulla situazione attuale delle istituzioni di welfare in Asia, facendo riferimento
ai dati della Banca Asiatica dello Sviluppo (ADB). Limitatamente al 2009, la Banca ha calcolato la
spesa sociale complessiva in termini di assicurazione sociale, assistenza pubblica e incentivi per il
mercato del lavoro (soprattutto prestiti per il microcredito destinato alle famiglie povere), dividendo
quanto ottenuto per il totale dei potenziali beneficiari, ed esprimendo il risultato finale come prodotto
dell’indice di generosita` moltiplicato per l’ampiezza della copertura del sistema di welfare1 (ADB
2013). Questa misura standardizzata e` stata denominata Indice per la Protezione Sociale (SPI), e la
raccolta di questi dati in una prospettiva comparata in diversi paesi asiatici ha rilevato diversi gradi
istituzionalizzazione del welfare nell’area, come si evince dalla seguente tabella.
1 Ad esempio, se la generosita` del benefit corrisponde al 20% sopra la soglia della poverta`, e la copertura
complessiva raggiunge meta` della popolazione, lo SPI corrisponderebbe a 0,200 X 0,500 = 0,100 (ADB
2013: xii)
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[Tab. 1] The Social Protection Index, Social Protection Expenditures as % of GDP, and GDP
per capita 2009
Paese SPI* Spesa sociale (%
PIL)
PIL pro capite a
prezzi attuali ($)
Giappone 0.416 19.2 39,714
Corea del sud 0.200 7.9 17,110
Singapore 0.169 3.5 35,514
Malesia 0.155 3.7 6,915
Cina 0.139 5.4 3,734
Vietnam 0.137 4.7 1,130
Tailandia 0.119 3.6 4,151
Indonesia 0.044 1.2 2,335
Laos 0.026 0.9 904
Cambogia 0.020 1.0 731
*I valori SPI sono stati calcolati per l’anno 2009 (ADB 2013)
Fonte: ADB (2013), WB, Taiwan
Come da [tab. 1], il grado di protezione sociale risulta piu` elevato in Giappone, dove sia il livello di
spesa sociale e la copertura complessiva si presentano entrambe a livelli avanzati. A livelli
paragonabili seguono la Corea del sud e Singapore, seppur a una certa distanza.2
Se si paragonano le diverse componenti del SPI suddividendo l’area per regioni, si vedra` che, anche
solo osservando dati relativi al 2009, i paesi dell’area dell’est asiatico tendevano a mostrare un piu`
elevato grado di istituzionalizzazione, dato il maggior peso delle assicurazioni sociali all’interno dei
rispettivi sistemi di welfare (figura 1).
[Fig. 1] Indice di Protezione Sociale per categoria e regione, 2009
2 Secondo i dati ADB (2013), anche la Mongolia presenta alti livelli di SPI, paragonabili a quelli della Corea
del sud. Tuttavia, se si considera il livello del PIL in questo paese la spesa sociale complessiva ne risulta
ridimensionata.
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Fonte: ADB (2013: 28)
Spostando l’attenzione ai livelli di copertura, si notera` come Giappone, Singapore e Corea del sud
rappresentano si confermano come ala piu` avanzata in Asia, sia in termini di PIL complessivo che
per l’universalismo delle rispettive politiche sociali (figura 2). Si ricorda al lettore che Taiwan e Hong
Kong non sono incluse nell’analisi della Banca Asiatica per lo Sviluppo in quanto non sono
formalmente riconosciuti come stati indipendenti. Hong Kong, pur mantenendo molte caratteristiche
anglosassoni date dalla colonizzazione britannica, e` stata annessa alla Cina nel 1997, mentre Taiwan
e` oggetto di contesa tra il governo dell’isola e la Cina continentale.
[Fig. 2] Copertura del SPI e PIL pro capite, 2009
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Fonte: ADB (2013: 47)
Note: Le cifre dell’asse orizzontale sono espresse in logaritmi. Il R al quadrato della
regressione e` 0,193 e il parametro del log del PIL per capita (la variabile indipendente) e`
statisticamente significativo con un valore t del 2,81.
Ricapitolando, una comune matrice produttivista puo` essere plausibilmente ipotizzata per le origini
del welfare in Asia. Tuttavia, lo sviluppo e la maturazione di questi sistemi di protezione sociale
hanno seguito diversi percorsi, che possono essere suddivisi in tre ondate successive: precursore fu il
Giappone, il quale, gia` alla fine del 19simo secolo, si ritagliava prepotentemente un posto accanto
alle tradizionali grandi potenze occidentali con i suoi successi economici e politici3, gettando le basi
del suo sistema di welfare negli anni ’70 (Takegawa 2009); a partire dagli anni ‘60-‘70, si assisteva
invece alla precipitosa crescita economica delle cosiddette quattro ‘tigri asiatiche’ (Vogel 1991):
Corea del sud, Taiwan, Hong Kong e Singapore, che entravano nell’olimpo dei paesi avanzati
nell’arco di un trentennio, e sviluppando le rispettive politiche sociali tra gli anni ’90 e primi anni
2000. Piu` recentemente, una terza ondata di sviluppo economico sarebbe costituita da Vietnam,
Thailandia, Malesia e Indonesia, i quali, insieme alla Cina, sono riusciti, nel corso degli ultimi anni,
ad aumentare il PIL al ritmo del 4-6% all’anno, con picchi di oltre il 10% (Economist 2012, World
Bank 2016). Paesi come la Cina e l’Indonesia, ad esempio, anche dovutamente alle loro grandi
3 Vittoria nella guerra contro la Cina nel 1894, contro la Russia nel 1905, ambizioni imperialistiche del
colonialismo in Asia.
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dimensioni, presentano una spesa sociale ridotta e problemi nel riscuotere i contributi sociali e
nell’identificare le persone in stato di bisogno (Economist 2012).
Ne consegue che un modello ‘produttivista’ di welfare (Holliday 2000), mal si adatta nell’analizzare
in toto un contesto dinamico e non ancora pienamente sviluppato come quello del sud-est asiatico.
Questo puo` essere problematico per i paesi della ‘terza’ ondata in particolare. Esistono, tuttavia, dei
welfare states piu` istituzionalizzati all’interno di questa categoria. Molti autori, Esping-Andersen in
primis, hanno piu` volte dichiarato che occorreva tempo per far maturare questi sistemi di welfare, le
cui istituzioni non erano ancora pienamente ‘cristallizzate’ (Esping-Andersen 1997, Choi 2013).
Sebbene il processo di maturazione e l’invecchiamento demografico in molti di questi paesi sia ancora
in una fase di transizione, si possono iniziare a delinare alcune traiettorie di cambiamento che
consentono di distinguere meglio quali, tra questi stati, piu` si avvicinano ai welfare states di tipo
europeo.
2. Quali sono i paesi asiatici maturati al punto da essere considerati welfare states?
L’est asiatico: Giappone, Corea del sud, Taiwan
Consultando la letteratura specializzata nel corso degli anni, si osserva una certa convergenza di
opinioni sul piu` elevato livello di istutizionalizzazione del welfare nel gruppo – che denomineremo
dell’est asiatico – comprensivo di Giappone, Corea del sud e Taiwan, basato su un sistema di
assicurazioni sociali e copertura universale in presenza di societa` etnicamente piu` omogenee.
Questo modello si distaccherebbe da Hong Kong, Singapore e Cina, piu` orientati verso sistemi di
protezione sociale che puntano alla protezione individuale in senso residuale basato sul mercato (Peng
and Wong 2012, Esping-Andersen 1997, Kim 2008, Ramesh 2004, Hort and Kuhnle 2000, Jacobs
2000).
Secondo Peng e Wong (2008) il blocco dell’est asiatico ha seguito diversi stadi di evoluzione4:
superando una prima fase developmentalist negli anni ’60 e ’70, dove le politiche sociali erano
residuali e usate come strumenti per facilitare lo sviluppo industriale, e` poi subentrata una fase di
democratizzazione (anni ’80 e ’90), durante la quale i temi legati al welfare iniziavano ad affacciarsi
nell’arena elettorale; infine, nella fase del postindustrialismo, tra gli anni ’90 e dagli anni 2000 in poi,
la matrice produttivista coesisteva con politiche sociali che favorivano lo sviluppo del capitale umano.
La crisi economica asiatica del 1997 sarebbe servita come un punto di svolta, o window of opportunity,
del dare nuovo impulso alle riforme sociali nell’area (Hudson & Hwang 2013, Peng & Wong 2008).
Per quanto riguarda gli sviluppi successivi e le direzioni di cambiamento ci sono parecchie voci
contrastanti: alcuni studiosi ritengono che non ci siano sostanziali modifiche a un approccio di base
residuale e produttivo (Aspalter 2006, Holliday 2000, 2005, Hwang 2012 e Yang 2013); altri
ritengono che il quadro sia poco chiaro e ancora in via di sviluppo (Hong 2014, Choi 2013); infine,
Kim (2008), limitatamente al caso coreano, ritiene che ci siano stati dei chiari migioramenti in termini
di redistribuzione e giustizia sociale, che hanno permesso una maturazione delle istituzioni di welfare
rispetto all’iniziale involucro di produttivismo.
4 Questa sequenza temporale si adatta soprattutto ai casi di Corea e Taiwan. Il Giappone inizio` a costruire
un sistema di welfare piu` comprensivo gia` a partire dal 1973 (Takegawa 2009), entrando nell’era
industriale gia` a partire dalla fine degli anni ’80 (Hwang 2012).
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Esistono comunque anche modi piu` diretti (per quanto arbitrari) di determinare vicinanza o meno
allo status di welfare state. Mi riferisco qui alla presenza o meno delle assicurazioni sociali e al
superamento di una determinata soglia di spesa sociale come percentuale del PIL. Continuero` a far
riferimento ai casi dell’est asiatico, come suggerito dagli studi sovracitati: Giappone, Corea del sud e
Taiwan.
Assicurazioni sociali
Hicks e altri (1995) hanno proposto di classificare un paese come “welfare state” se questo adotta
almeno tre delle quattro classiche misure di welfare: pensioni, sanita`, assicurazione per gli incidenti
sul lavoro, e sussidio di disoccupazione. Ciascuna singola politica non sarebbe strettamente
necessaria per rientrare nella categoria, ma si suppone che almeno due di queste condizioni sarebbero
condivise da tutti gli stati sociali. Pur trattandosi di una classificazione datata, puo` essere di aiuto
nel capire se e a che livello le assiucurazioni sociali nell’est asiatico sono andate maturando. La [tab.
2] fornisce, a colpo d’occhio, una sommaria cronologia dell’introduzione delle principali
assicurazioni sociali in Giappone, Corea del sud e Taiwan.
[Tab. 2] Introduzione delle principali assicurazioni sociali in Giappone, Corea del sud, Taiwan
Giappone Corea del sud Taiwan
Periodo di inizio
consolidamento del
welfare state
1973 1998 2000
Incidenti sul lavoro 1911 1964 2001
Pensioni 1941 – 1958 1960 – 1988
Pensione di base:
2007 - 2014
2008 (prima erano
solo pensioni in
blocco)
Assicurazione
sanitaria
1922 – 1959 1963 (su base
volontaria) – 1976
(copertura
obbligatoria)
1953 (Assicurazione
sul Lavoro) NHI:
1995
Disoccupazione 1974 1995 - 1998 Assicurazione sul
lavoro (2003)
Pubblica assistenza 1932 1961 - 2000 1980 - 2010
Politiche per la
famiglia
Assegni famigliari
(1971-74); servizi per
l’infanzia (1994);
congedo genitoriale
(1991)
2009 - 2013 Assegni famigliari
(2006), legislazione
ECEC (2012)
Servizi sociali Assicurazione per la
cura a lungo termine
(1997)
Assicurazione per la
cura a lungo termine
(2008)
Servizi pubblici per la
promozione
dell’occupazione
(2003); Proposta di
11
legge per cura per gli
anziani (2015)
Fonte: Shiratori (1993), Takegawa (2009), Hwang (2012), Peng e Wong (2010), MOHW (2015),
Hong (2006), Hong, Kwon e Kim (2015), Choi (2012), Park e Osawa (2013).
Se si considera che un sistema di assicurazioni sociali completo e` in vigore in tutti questi paesi,
l’ipotesi di trovarsi di fronte a welfare states risulta effettivamente corroborata.
In Giappone, l’amministrazione dell’occupazione americana del dopoguerra esercito` pressioni sul
governo conservatore affinche` riducesse il livello di disuguaglianza nella societa` per prevenire
l’emergere del nascente movimento dei lavoratori e dei partiti di sinistra (Choi 2012). Le origini del
welfare in Giappone furono dunque caratterizzate da una strategia developmentalist della ‘politica del
doppio reddito’, che consisteva nella piena occupazione, l’impiego a vita, un elevato tasso di
progressivita` delle imposte sui redditi e una strategia di sviluppo industriale mirata a specifici settori
ad alta produttivita`, finanziata dai fondi di risparmio postale e pensionistico (Shiratori 1993, Choi
2012). In questo contesto, si gettavano le basi delle assicurazioni sociali per pensioni e salute,
precedute dall’assicurazione contro gli incidenti sul lavoro, legislata durante gli anni della rivoluzione
industriale, e la pubblica assistenza, uno dei programmi piu` antichi del welfare giapponese. Nel 1973,
in parte dovutamente alla concorrenza indiretta subita dal governo del partito liberal-democratico
(LDP) dai partiti d’opposizione alla guida delle grandi citta`, si apri` una stagione di espansione del
sistema di welfare: introduzione di assegni famigliari, compartecipazione statale al pagamento
dell’assicurazione sanitaria, pensioni indicizzate ai prezzi al consumo, e aumento della copertura e
dei sussidi contro la disoccupazione (Hwang 2012). Questa fase espansiva ebbe pero` breve vita e fu
presto rimpiazzata dalla retorica produttivista di un residuale ‘welfare in stile giapponese’, in accordo
con le maggiori imprese industriali. Nel corso degli anni ’80 di ebbe una ripresa dello sviluppo del
welfare, sempre per la concorrenza indiretta subita dal partito LDP al governo, spesso costretto a
prestar ascolto alle proposte del rivale Partito Social Democratico (SDP) (Choi 2012). Gli anni ’90 e
2000, complice anche una prolungata recessione economica e una politica neoliberista che ha
provocato un aumento del lavoro atipico, sono stati caratterizzati da tagli al tradizionale impianto di
assicurazioni sociali (soprattutto sottoforma di pensioni ridotte e incremento dei pagamenti out-of-
pocket in ambito sanitario) e al contempo da una fase espansiva per i servizi sociali, riassumibili, da
una parte, nell’ Angel Plan (1994), che mirava ad espandere la disponibilita` di servizi per l’infanzia
a prezzi accessibili, e, dall’altra, nell’introduzione di una nuova assicurazione per la cura a lungo
termine per gli anziani, introdotta nel 1997 e iniziata a regime nel 2000, altra dimostrazione
dell’attivismo nel campo del welfare da parte del partito LDP (Hwang 2012, Park e Osawa 2013). La
maggiore longevita` della storia del welfare giapponese non ha veramente giovato al paese: una
congiuntura economica negativa, l’invecchiamento demografico e l’aumento della domanda di
welfare hanno sottoposto il paese a troppe pressioni, come se la fase di crescita e quella dell’austerita`
nelle politiche sociali coesistessero nello stesso arco di tempo (Takegawa 2009). Aumenti nella spesa
sociale non sono stati di grande aiuto nel risolvere i limiti di una coperta troppo corta, come ad
esempio il caso dell’insufficienza di servizi per l’infanzia con lunghe liste d’attesa testimonia (Hong,
Kang e Lee, in lavorazione).
Le origini del welfare in Corea del sud sono state caratterizzate da un forte produttivismo
all’insegna del nation-building durante i governi dittatoriali di Chung Hee Park (1961-1979) e Doo-
hwan Chun (1979-1988). Durante questi anni le misure di welfare sono state adottate a fini di
legittimazione dello stato, dando priorita` ai dipendenti statali (inclusi i militari e gli insegnanti) e i
lavoratori della grande industria, la cui produttivita` andava garantita. Non e` un caso che le prime
12
assicurazioni sociali a copertura parziale, e il primo provvedimento a carattere universale,
l’assicurazione medica, risalgano agli anni ’60, durante la prima fase della dittatura Park, in pieno
spirito produttivista. Il Ministero del Welfare aveva di fatto una posizione subordinata rispetto al
Ministero delle Finanze all’epoca (Kim e Choi 2010). In generale, l’economia dello sviluppo in Corea
(ma e` anche il caso del Taiwan) e` cresciuta all’ombra di quella giapponese, o, per dirla con
Cummings (1984: 4) “Taiwan e Corea sono state storicamente i serbatoi delle industrie giapponesi in
declino” (Hwang 2012). Ad esempio, quando l’eccessivo costo del lavoro in Giappone comporto` un
cambio strategico dalla produzione ad alta intensita` di manodopera all’industria pesante dedicata alla
costruzione di macchinari, i coreani furono lesti ad occupare i settori basati sul lavoro intensivo negli
anni ’60-‘70 (Hwang 2012). Gli anni ’80 furono caratterizzati dall’estensione della copertura sanitaria
a lavoratori autonomi e rurali, e dall’introduzione del Sistema Pensionistico Nazionale pensato per i
lavoratori dipendenti del settore privato (1988), una policy a lungo pianificata e sempre rimandata nel
corso degli anni ‘70. La crisi economica asiatica del 1997 rappresento` un grande punto di svolta per
lo sviluppo del welfare in Corea. Originariamente causata dall’accumularsi del debito nelle grandi
imprese coreane (chaebol), impegnate piu` a costruirsi nuove fette di mercato che a lavorare sul
profitto, la crisi comporto` l’intervento del Fondo Monetario Internazionale sottoforma di un
pacchetto d’emergenza di salvataggio, che consisteva in prestiti a condizione di effettuare riforme
che liberalizzassero l’economia coreana. L’amministrazione Kim D.J., primo governo di centro-
sinistra nella storia della Repubblica coreana, adotto` dunque due pesi e due misure, adottando, da
una parte, una serie di riforme neoliberali che avrebbero cambiato volto al mercato del lavoro coreano
con la proliferazione di contratti atipici, e dall’altra, il rafforzamento della gia` esistente assicurazione
contro la disoccupazione, rinominandola ‘assicurazione per l’occupazione’. Il nuovo sistema non solo
estendeva la platea di beneficiari, al contempo attenuando la rigidita` dei criteri d’inclusione; ora
includeva anche al suo interno una serie di iniziative legate alla formazione di competenze e creazione
di posti di lavoro, in una vera e propria prospettiva di workfare. Gli anni dei governi progressisti
(1998-2007) furono anche caratterizzati da una politica di tagli: una serie di riforme ridimensionarono
i tassi di sostituzione delle pensioni pubbliche dal 70% al 40% (Park e Osawa 2013). Per compensare
la caduta del potere d’acquisto dei pensionati, una pensione universale di base fu introdotta nel 2007,
e successivamente modificata con l’introduzione di una prova dei mezzi (2014) durante i governi del
partito di centro-destra Grande Partito Nazionale (GNP). Altre riforme di rilievo durante gli anni di
governo del GNP furono l’assicurazione per la cura a lungo termine per gli anziani (2008) e
l’estensione dell’offerta di servizi per l’infanzia tramite l’introduzione di un sistema di voucher (2014)
(Hong, Kim, Kwon 2015). Il welfare coreano ha conosciuto uno sviluppo molto intenso nel corso
degli anni 2000, soprattutto a seguito della crisi economica del 1997, con discussioni su aspetti quali
la redistribuzione e la giustizia sociale, che ormai superavano di molto l’originale solco produttivista,
in una logica di competizione elettorale ormai bipartisan.
Per quanto riguarda il Taiwan, ci troviamo di fronte all’esempio piu` tardivo nell’introduzione
delle principali assicurazioni sociali: purtuttavia, queste, nell’accezione suggerita da Hicks e colleghi
(1995) sono tutte presenti. Qui spicca il ritardo nell’introduzione della previdenza obbligatoria per i
dipendenti nel settore privato (2008), un aspetto, questo, che tende a incidere su una relativa
condizione di sottosviluppo del welfare in questo paese. In piena logica produttivista, l’assicurazione
sul lavoro del 1953 copriva solo i dipendenti pubblici, i militari, e i lavoratori di alcuni settori
dell’industria.A differenza di Giappone e Corea, l’economia taiwanese non si basa sui grandi
conglomerati industriali, bensi` si concentra sulle preesistenti piccole e medie imprese. Il governo
taiwanese si distingue percio` da quello coreano e giapponese in quanto non esercito` lo stesso ruolo
di controllo e guida nei confronti di banche e grande industria, anche per via di ragioni storiche. Il
primo partito politico taiwanese, il Partito Nazionale (Kuomintang o KMT), era infatti in origine il
governo dell’entroterra cinese, sconfitto dai comunisti durante la guerra civile e ritiratosi nell’isola di
13
Formosa, dove stabili` negli anni ’50 l’attuale Repubblica della Cina5. Il nuovo governo, costituito
da politici e funzionari della burocrazia e intenzionato, originariamente, a riprendere le posizioni
perdute nel continente [cit.], si ritrovo`, invece a insediarsi permanentemente come governo dell’isola,
dovendo in tal modo anche trovare dei compromessi con le popolazioni e le strutture locali.
Certamente non godeva di un potere finanziario o industriale equivalente a quello coreano o
giapponese, in fitta corrispondenza con le rispettive chaebol e zaibatsu (poi keiretsu). Il Kuomintang
ha esercitato un governo dittatoriale fino all’abolizione della legge marziale nel 1987 che segnava
l’inizio della democrazia nel paese, causando uno sviluppo molto lento delle politiche sociali: tutto
quello che era reminiscente di idee comuniste e socialiste veniva decisamente respinto, dovutamente
ai traumi legati alla guerra civile cinese. L’unica misura di welfare inclusiva in quegli anni fu
l’assicurazione sanitaria nazionale (1995), la quale, combinando i precedenti schemi
dell’assicurazione per il lavoro e quella per gli impiegati pubblici (1958), copriva anche a lavoratori
autonomi e agricoltori (Hwang 2012). In Taiwan, piu` che la crisi economica asiatica, fu il ricambio
politico a rappresentare la vera finestra di opportunita` per un welfare piu inclusivo, avvenuto nel
2000 con la storica sconfitta elettorale del partito di governo KMT e l’inizio del governo di Chen
Shui-bian, a capo del Partito Democratico Progressista (DPP). Fino ad allora la campagna elettorale
in Taiwan era stata dominata dall’indipendenza dalla Cina e lo sviluppo economico, ma ora si
aprivano nuovi spazi per l’entrata in agenda delle politiche sociali (Rigger 2001: 125). Fu cosi` che
nel 2001 fu introdotta la prima legislazione formale sull’assicurazione contro gli incidenti sul lavoro
(cit.), e nel 2002 fu introdotta la nuova Assicurazione sul Lavoro, iniziata a regime nel 2003. La
riforma del precedente sistema introduceva una serie di incentivi per chi riusciva a trovare impiego
prima dello scadere del periodo di erogazione dell’assegno di disoccupazione, nonche` una serie di
politiche attive dell’impiego e l’obbligo di registrazione alle liste di chi cerca lavoro presso gli uffici
pubblici (Hwang 2012). Una vera spina nel fianco nel sistema di protezione sociale in Taiwan era
rappresentato dalle carenze del sistema pensionistico, che prediligeva pensioni in blocco (lump-sum)
e la discrezionalita` nel partecipare allo schema per le aziende con meno di cinque impiegati, un vero
problema se si considera il gran numero di piccole e medie imprese nel paese (Hwang 2012). Anche
per via di un terribile terremoto che colpi` l’isola nel 1999 con piu` di 2000 vittime, l’allocazione di
risorse per l’avvio di un’assicurazione sulle pensioni dovette attendere il 2008. In tempi piu` recenti,
e con i frequenti ricambi politici di destra e sinistra al potere, un maggiore impegno nel garantire
protezione per il nuovo rischio sociale della conciliazione lavoro-famiglia lo si puo` trovare nei
recenti cambiamenti che estendono il congedo genitoriale fino a due anni con un rimborso pari al 60%
del precedente stipendio (Tsai 2012).
Spesa sociale
Un altro criterio per determinare l’appartenenza o meno a un evoluto sistema di protezione sociale
puo` essere rappresentato dalla spesa sociale come percentuale del PIL. Pierson (2007: 108), in
proposito, ha suggerito che il superamento della soglia del 3% del PIL per la spesa sociale potrebbe
essere utilizzata come criterio discriminante. Come si vede dalla [fig. 3], tutti e tre i paesi considerati
hanno superato questa soglia gia` a partire dagli anni ’80, e sono stabilmente sopra il 5% di spesa
complessiva, parzial eccezione fatta per Taiwan, che, pur essendo entrato nell’area del 5% sin dal
1995, non mostra evidenti trend di crescita, a differenza di Corea e Giappone (MFRC 2015).
5 Attualmente non politicamente riconosciuta dalle maggiori organizzazioni internazionali. Si tratta di un
grande punto di frizione nelle relazioni internazionali in Asia.
14
[Fig. 3] Trend di spesa sociale nell’est asiatico, 1980-2014 Unita`: % del PIL
Fonte: Rielaborazione da OECD (2014) e MFRC (2015)
Ma quali sono le voci dominanti di spesa? Analizzando i dati per settore di policy come da [fig. 4],
relativi al 2011, si notera` che in tutti e tre i paesi, il sistema sanitario occupa una porzione rilevante
di spesa, come ci si puo` aspettare dalle logiche di sviluppo produttivista in origine. Anche se
l’impegno per le politiche attive per il lavoro e contro la disoccupazione sembrano rimanere a livelli
modesti, i servizi per le famiglie sembrano vieppiu` acquistare rilevanza nel panorama di welfare
nell’est asiatico. Il Giappone spende molto di piu` rispetto agli altri due paesi, tuttavia qui potrebbe
essere lecito sospettare l’influenza di uno stadio piu` avanzato di invecchiamento demografico, dato
che piu` della meta` della spesa destinata al welfare in Giappone e` occupata dalle pensioni.
Potrebbero dunque avere ragione vari studiosi che asseriscono che la spesa sociale e` destinata ad
aumentare anche nel caso di questi nuovi arrivati della ‘seconda ondata’, per l’invecchiamento
demografico che affligge l’intera regione (Jacobs 2000, Yang 2013). In quest’ottica, il fatto che in
Taiwan si stenti a superare una spesa sociale attestata intorno al 5%, potrebbe essere spiegata dal fatto
che varie circostanze, ideologiche e sociali, hanno impedito di imbarcarsi nell’impegno delle pensioni
fino all’ultimo.
[Fig. 4] Spesa sociale per settore di policy, 2011
Unita`: % PIL
0.0
5.0
10.0
15.0
20.0
25.0
1980 1985 1990 1995 2000 2005 2009 2010 2011 2012 2013 2014
Giappone Corea del sud Taiwan OECD
15
Fonte: OECD (2015), MFRC (2015)
Ad ogni modo, seguendo il criterio di Pierson (2007), anche la spesa sociale sembra essere
sufficientemente elevata da permetterci di considerare l’ala avanzata dei sistemi di protezione sociale
rappresentata dall’est asiatico come dei veri e propri welfare states.
Conclusioni e prospettive di ricerca
In uno dei primi contributi sui sistemi di welfare asiatici pubblicati in italiano, Shiratori (1993),
delineando gli sviluppi futuri del welfare in Giappone, optava per una prognosi ottimista. Secondo la
sua analisi, erano presenti diversi problemi, quali il bisogno di manodopera per i lavori pesanti che si
collegava al probabile ingresso nel paese, in futuro, di piu` lavoratori immigrati, e il rallentamento
della crescita economica sotto i colpi della globalizzazione. Tuttavia, un’economia solida, un avanzo
commerciale positivo, il cuscinetto di paesi economicamente in crescita di cui il Giappone era
circondato, un alto livello di istruzione generale, e poca organizzazione dei gruppi di interesse in
difesa di specifiche politiche sociali, lasciavano ben sperare nel garantire continuita` a un buon
standard di protezione sociale in futuro (Shiratori 1993). Si e` visto che le cose non andarono proprio
cosi`. Un lungo periodo di deflazione, la prolungata mancanza di alternanza di potere al governo, la
crescita del debito pubblico, l’invecchiamento demografico, e, negli ultimi anni, il disastro umanitario
e ambientale causato dallo tsunami in Fukushima nel 2011 (cit.?) hanno messo a dura prova un
welfare state che si e` ritrovato a perseguire una politica di tagli alle politiche per i vecchi rischi
sociali, e pochi spazi di espansione per i nuovi.
Ma non si tratto` solo di Giappone. Nel corso degli ultimi vent’anni, ci sono stati prodigiosi
sviluppi nel campo del welfare in tutta l’area dell’est e del sud-est asiatico, che hanno consentito di
dirottare le priorita` di policy dallo sviluppo economico produttivista (Holliday 2000) ai diritti sociali
dei cittadini. Questo ha consentito vari stadi di sviluppo (‘cristallizzazione’) delle istituzioni di
welfare, che consentono di distinguere perlomeno tre ondate di sviluppo in Asia: la prima,
0
5
10
15
20
25
Giappone Corea del sud Taiwan
Pensioni di vecchiaia e superstiti Sanita`
Disoccupazione e servizi sociali per il lavoro Servizi sociali per la famiglia
Altro
16
rappresentata dal Giappone; la seconda, che consiste nelle ‘tigri asiatiche’ (Vogel 1991), ovvero
Corea del sud, Taiwan, e le citta`-stato Hong Kong e Singapore; e una possibile terza ondata, che
include vari paesi del sud-asiatico, tra cui Thailandia, Indonesia, Vietnam, e, in ultima analisi, anche
la Cina (Economist 2012).
Il focus di questo articolo e` stato su una parte dei paesi della seconda ondata – Corea del sud e
Taiwan - e sul Giappone, ovvero l’est asiatico. Questa scelta e` stata giustificata dal fatto che, in
questi paesi, un impianto delle assicurazioni sociali si e` ormai stabilito e un certo livello di spesa
sociale e` stato raggiunto (Hicks e altri 1995, Pierson 2007).
Sicuramente Giappone, Corea del sud e Taiwan si sono ritrovati a sviluppare le proprie politiche
sociali in un contesto mondiale molto piu` complesso rispetto a quello affrontato dai welfare states
europei durante i Trenta Anni Gloriosi: i nuovi arrivati si trovavano a fare i conti con la
globalizzazione, le logiche della competizione economica e, non da ultimo, le dinamiche neoliberiste
di flessibilizzazione del mercato del lavoro. Di conseguenza, la struttura delle assicurazioni sociali in
questi paesi e` stata costretta a maturare in maniera spesso incompleta, stretta com’era tra la necessita`
di garantire previdenza sociale da una parte, e protezione dai nuovi rischi sociali, dall’altra; e gravata
da una popolazione in rapido invecchiamento. Tutto cio` e` avvenuto in presenza di economie che
sono rapidamente passate a una fase postindustriale, dove il rallentamento della crescita economica
ha da tempo smesso di garantire un benessere generalizzato in un’ottica di trickle-down. Questi
problemi, unitamente ai meccanismi di competizione elettorale garantiti da democrazie sempre piu`
floride, hanno complicato la crescita di sistemi di welfare che, pur fuoriuscendo dall’originario
involucro produttivista, rimangono ancora incompleti e iniqui per i lavoratori atipici (Hong, Kwon,
Kim 2015). Tuttavia, come si e` analizzato in questo articolo, un’uscita dal ‘capitalismo di welfare
produttivista’ e` effettivamente avvenuta, e problemi sociali, unitamente a strategie di policy,
rappresentano ormai un ambito carico di fitte attivita` e discussioni, aperte a confronti e scambi in
un’ottica comparata con il resto del mondo.
Questi ultimi sviluppi aprono nuovi spazi per collaborazioni di ricerca e dialogo nell’ambito degli
studi sulle politiche sociali in chiave comparata tra paesi occidentali e asiatici. In Italia sono gia`
attive alcune collaborazioni accademiche (Sacchi e Magara 2013), ma si parla ancora poco di questo
argomento. Tuttavia, all’estero sono varie le associazioni di studio e ricerca sui paesi asiatici che si
propongono di migliorare la pianificazione e le performance di policy sulla base di studi comparati.
A livello nazionale, la Japanese Association of Social Policy e la Korean Association of Social Policy
sono ormai delle solide istituzioni che organizzano ogni anno conferenze e incontri, pubblicando
anche riviste specializzate in merito, in lingua originale e in inglese. A livello internazionale, il
network East Asian Social Policy (EASP), le cui conferenze annuali sono gia` giunte all’ottava
edizione, garantisce un proficuo spazio per lo scambio di idee in chiave interdisciplinare tra studiosi
basati in Cina, Corea del sud, Taiwan, Giappone, Hong Kong, Singapore, ma anche per chi risiede in
Europa e si occupa di questi temi. La conferenza annuale ESPAnet Europa del 2015 ha ospitato, per
la prima volta, una sessione speciale sui sistemi di welfare in Asia, e un’edizione speciale del Journal
of European Social Policy e` prevista in uscita per il 2017, avendo a tema proprio l’analisi delle
politiche sociali in chiave comparata tra est asiatico e paesi dell’Europa del sud. Molte sono infatti le
linee di convergenza tra est asiatico e Europa mediterranea, tra bassa fertilita`, femminismo, logiche
corporative e gestione dei rischi sociali, vecchi e nuovi. Non rimane che seguire questi sviluppi,
nell’attesa di un proficuo scambio di idee e crescita accademica, in un’ottica di policy learning.
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