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I VECCHI E I GIOVANI

LE TRAGEDIE

STRUMENTI PER LA SCUOLA

A cura di Laura Giurdanella

PERCORSI DIDATTICI

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INDICE:

GUIDA ALL’OPERA …………………………………………………………………………4

I Vecchi e i Giovani Dalla storia al romanzo……………………………………………7

1. PIRANDELLO E NOI……………………………………………………….....……………………………8

2. PIRANDELLO COMMENTA PIRANDELLO…………………………………...…. ………………………...9

3. RACCONTARE PIRANDELLO………………………………………………..…………………………...10

3.1 I personaggi: dalla storia al romanzo……………………………………………….……………………..10 3.2 La storia nei Vecchi e i giovani………………………………………………………..……………………..14 3.3 Dal dramma storico al dramma interiore dei personaggi…...………………………………………………16

4. ATTIVITÀ……………………………………………………………….....……………………………..18

4.1 Il vocabolario dei personaggi……………………………………………….…….……………………….18

I Vecchi e i Giovani Storia dei sentimenti………………………………………………19

1. PIRANDELLO E NOI……………………………………………………….....…………………………..20

2. PIRANDELLO COMMENTA PIRANDELLO…………………………………...…. ……………………….21

3. RACCONTARE PIRANDELLO………………………………………………..…………………………...23

3.1 Don Flaminio Salvo e la figlia Dianella……………………………………………….……………………23 3.2 La mancata relazione……………………………………………….…………..…………………………27

4. ATTIVITÀ……………………………………………………….....……………………………………..29

4.1 Lo spazio semantico della relazione.……………………………………….…….……………………….29 4.2 La relazione genitori-figli……………………………………………………….………………………..29

Diana e la Tuda Quanto conta l’immagine?..................................................................31

1. PIRANDELLO E NOI……………………………………………………….....…………………………...32

2. PIRANDELLO COMMENTA PIRANDELLO…………………………………...…. ……………………….33

3. RACCONTARE PIRANDELLO………………………………………………..…………………………...34

3.1 Atto primo……………………………………………….……………………………………………….34 3.2 Atto secondo……………………………………………….……………………………………………..36

3.3 Atto terzo……………………………………………….………………………………………………...38

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PERCORSO DIDATTICO I VECCHI E I GIOVANI. DALLA STORIA AL ROMANZO

1 Questa pagina può essere riprodotta esclusivamente per uso didattico - © CINUM

4. ATTIVITÀ……………………………………………………….....……………………………………..40

4.1 Tavola rotonda.…………………………………….…….………….……………………………………40 4.2 Laboratorio di scrittura: dall’immagine alla parola.….…….………….……………………………………40

La tragedia pirandelliana…………………………………………………………………42

1. PIRANDELLO E NOI……………………………………………………………………………………...43

2. PIRANDELLO COMMENTA PIRANDELLO………………………………………………………………..44

3. RACCONTARE PIRANDELLO………………………………………………..…………………………...45

3.1 Tra antico e moderno…………………………………….………………………………………………..45 3.2 Oltre il testo………………………………………………….…………………………………………...46

4. ATTIVITÀ……………………………………………………….....……………………………………..47

4.1 Tavola rotonda.…………………………………….…….………….……………………………………47 4.2 Laboratorio di scrittura: dall’immagine alla parola.….…….………….……………………………………47

Enrico IV Pirandello per Ruggeri……………………………………………………….48

1. PIRANDELLO E NOI……………………………………………………….....………………………….49

2. PIRANDELLO COMMENTA PIRANDELLO…………………………………...…. ………………………50

3. RACCONTARE PIRANDELLO………………………………………………..…………………………...51

3.1 Ruggero Ruggeri, l’attore che ha ispirato Pirandello……….……………………………………………….51 3.2 Sul palcoscenico: Pirandello fra gli attori…………………….……………………………………………51

3.3 Il «divino» Ruggeri……………………………………….………………………………………………..53 3.4 Oltre il testo…………………………………………….……………………………………….................54

4. ATTIVITÀ……………………………………………………….....……………………………………..55

4.1 Confronto.….…………………………………….…….………….……………………………………...55 4.2 Transcodificazione del testo letterario.….…….………….…………………………………….………….55

RINGRAZIAMENTI ………………………………………………………………………...56

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PERCORSO DIDATTICO

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GUIDA ALL’OPERA

Ogni Percorso Didattico è quadripartito e si svolge attorno ad un determinato tema relativo alle opere trattate

sul sito dell’Edizione Digitale.

Nella prima parte – intitolata

Pirandello e noi – si punta a

suscitare l’interesse del lettore,

mettendo in luce i motivi di

grande attualità dei testi di

Pirandello in rapporto al tema

scelto. Come a dire: “Stai desto,

lettore, quest’opera parla di te,

dice qualcosa a te, al tuo oggi!”.

Dopo aver suscitato l’attenzione

e aver azionato il ‘gancio

emotivo’, viene presentata

un’altra zona del percorso, dal

titolo Pirandello commenta Pirandello, nella quale, di volta

in volta secondo il filo

conduttore individuato,

vengono offerte alcune delle

dichiarazioni d’autore relative

all’opera in questione. Si può

ascoltare così la parola di

Pirandello sui suoi stessi testi.

In questa sezione le Presentazioni online fungono da introduzione.

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PERCORSO DIDATTICO

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Nella terza parte – Raccontare Pirandello – si narrano il testo

teatrale, il romanzo, la novella

attraverso documenti testuali,

audio, video, ecc., nell’ottica

specifica della questione posta al

centro del percorso. Si entra così

in un contatto vivo con l’opera,

con le sue strutture, i suoi

problemi, le sue domande aperte.

Nella quarta parte si

propongono una serie di

Attività rivolte agli allievi delle

scuole medie superiori, utili a

sostenere il lavoro didattico degli

insegnanti. Si tratta di proposte

di scrittura, di messa in scena, di

riflessione critica, ecc.

Qui trovano spazio differenti icone per segnalare gli strumenti e materiali a disposizione.

I percorsi sono dotati di attività finali per sviluppare competenze trasversali.

Lo studio del vocabolario di Pirandello consente una comprensione profonda dei testi.

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PERCORSO DIDATTICO

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Ecco le icone che troverete durante la lettura dei percorsi:

Albero genealogico Attività

Audiolibro Avanti

Avvia la presentazione

Fonti storiche Galleria

Lettera

Presentazione

Ricerca Statistiche Teatro

Testo

Timeline

Topografia letteraria

Video

Video editing

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PERCORSO DIDATTICO I VECCHI E I GIOVANI DALLA STORIA AL ROMANZO

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I Vecchi e i Giovani Dalla storia al romanzo

PERCORSI DIDATTICI

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PERCORSO DIDATTICO I VECCHI E I GIOVANI DALLA STORIA AL ROMANZO

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1. PIRANDELLO E NOI

I vecchi e i giovani sono il romanzo più lungo che Pirandello abbia mai scritto. Vi si racconta la storia d’Italia nei decenni successivi all’Unità: le sue speranze, le sue tensioni, i suoi fallimenti. La forza del libro risiede nel nesso fortissimo che Pirandello istituisce tra la politica e il corpo. Sulla scena del romanzo interagiscono giovani e vecchi, corpi vecchi e corpi giovani; la loro relazione positiva o il loro irrimediabile contrasto costituiscono il filo rosso di tutta la vicenda. Come a dire che non c’è politica senza corpo e che la politica si capisce a partire dai corpi: un tema oggi attualissimo, in tempi di ‘biopolitica’. Ma non solo. Pirandello guarda alla storia italiana facendone emergere alcuni aspetti critici – la corruzione delle classi dirigenti, la passione sfrenata per il potere, il disinteresse per la cosa pubblica –, che sono ancora oggi mali del nostro paese e forse della politica tutta in Occidente. Ma per capire a pieno il romanzo e coglierne l’attualità è necessario conoscere a fondo gli avvenimenti degli anni post-unitari, qui illustrati attraverso una serie di documenti testuali e audiovisivi.

Clicca sull’icona per accedere alla presentazione Timeline.

Clicca sull’icona per accedere alla Topografia letteraria.

Clicca sull’icona per visualizzare l’Albero genealogico dei principali personaggi del romanzo.

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PERCORSO DIDATTICO I VECCHI E I GIOVANI DALLA STORIA AL ROMANZO

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2. PIRANDELLO COMMENTA PIRANDELLO

In un’intervista rilasciata nel 1911 a Rosso San Secondo, Pirandello parla del suo romanzo in via di completamento. Lo scrittore agrigentino sembra cogliere a pieno la (presunta) diversità di questa sua opera rispetto alle precedenti, proprio per la vastità e il carattere squisitamente storico del testo (aspetto che ha fatto sì che parte della critica la considerasse «un passo falso» della produzione narrativa pirandelliana). Quello che ormai considera, dopo il saggio del 1908, il proprio della sua arte – ovvero l’umorismo – è presente nei Vecchi e i giovani, ma secondo Pirandello non vi riveste un ruolo preponderante.

«Corriere di Sicilia», 25-26 luglio 1911

L’opera nuova di un umorista siciliano

─ E l’altro romanzo? ─ I vecchi e i giovani? Sto per finirlo: dovetti dare l’ultima parte alla «Rassegna contemporanea» che lo pubblicò, abbreviando alla meglio, perché strozzato dal tempo: ora rifaccio quest’ultima parte e presto il romanzo sarà anch’esso pubblicato. ─ So che ci tiene molto. ─ Sì, perché rappresenta la mia maggior fatica e per la mole e per la vastità della visione e per la complessità dell’organismo pieno di figure, pieno di vicende, pieno di passioni varie e orizzonti. Rappresento in esso tutto lo sfascio morale che dopo l’entusiasmo del risorgimento italiano seguì negli anni funesti che preparano i fasci siciliani e i fatti della Banca romana, romanzo pieno di dolore, in cui passano tre generazioni di uomini: i vecchi borbonici, i figli di essi, i giovani liberali, i giovanissimi. Io non parteggio per nessuno. Contemplo questo vasto svolgersi di passioni. ─ È un’opera dunque che esce fuori dalla sua linea d’arte abituale. ─ Ne esce per la sua natura stessa, per la sua vastità e per la molteplicità delle figure e dei sentimenti che naturalmente non mi consentivano di restar sempre umorista. Figure profondamente umoristiche ci sono nel romanzo, c’è per esempio quella di un contadino siciliano, Mauro Mortara, patriota che ha dato alla patria tutto quello che ha potuto dare, senza secondi fini e che quando viene a Roma, proprio nel momento in cui la capitale era un vero pantano di fango, egli ancora infatuato vede tutto bello, grande, immenso, e piange ride e non sa di essere fra l’onta e la vergogna; quando se ne accorge, perché si trova presente all’arresto di Roberto Auriti, che senza saperlo si è trovato impigliato nei tristi fatti della Banca, allora butta a terra le medaglie, le calpesta, torna in Sicilia indignato. Ma tante altre figure completamente tragiche vi sono nel libro e tanti episodi sono così dolorosi che l’umorismo è stato per essi naturalmente sorpassato. […]

Rosso di San Secondo

Interviste a Pirandello. «Parole da dire, uomo, agli altri uomini», a cura di Ivan Pupo, prefazione di Nino Borsellino, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2002, pp. 101-102.

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PERCORSO DIDATTICO I VECCHI E I GIOVANI DALLA STORIA AL ROMANZO

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3. RACCONTARE PIRANDELLO

3.1 I personaggi: dalla storia al romanzo

Sin dagli anni immediatamente successivi alla pubblicazione de I vecchi e i giovani la critica ha individuato nei personaggi del romanzo familiari, amici di Pirandello o anche esponenti politici dell’epoca. Per iniziare, intanto, dietro ai sentimenti di amarezza per il fallimento delle speranze risorgimentali di Stefano e Rocco Auriti si celano Stefano Pirandello e Rocco Ricci Gramitto. Il primo è il padre dell’autore (di cui porta il nome) che aveva combattuto con Garibaldi nell’impresa dei Mille seguendolo fino in Aspromonte; il secondo, lo zio materno, figlio di Giovanni Ricci Gramitto (nonno materno di Pirandello), organizzatore dei moti del 1848 a Palermo.

Stefano, padre dello scrittore.

Due anni appresso era nuovamente al suo fianco ad Aspromonte. Ma non volle farsi pigliare prigioniero e preferì tornarsene in Sicilia. Il suo compagno d'armi e amico (un'amicizia nata nel corso delle imprese garibaldine) Rocco Ricci Gramitto, girgentano, preferì invece, ad Aspromonte, consegnarsi alle truppe regie. Lo portarono a San Benigno, dove scontò sei mesi di carcere. Rocco era il futuro cognato di Stefano. I Ricci Gramitto costituivano certamente la famiglia più antiborbonica del girgentano. Giovanni Ricci Gramitto era stato un valente avvocato, uno degli organizzatori dei moti del 48 palermitano separatista, ministro del Governo di Ruggiero Settimo. Quando il re di Napoli ripigliò il potere, Giovanni Ricci Gramitto fu escluso dall'amnistia e iscritto nelle liste di proscrizione con l'approvazione personale del sovrano. Dovette scapparsene a Malta, spogliato di tutto. Aveva quattro figli màscoli, Francesco, Rocco, Vincenzo, Innocenzo, e tre figlie femmine, Rosalia, Caterina e Adriana. Caterina, futura madre di Luigi Pirandello, aveva allora tredici anni. Poco dopo, la moglie e i figli di Giovanni lo raggiunsero in esilio, partendo con una tartana da Porto Empedocle. E Pirandello di quel viaggio, e dei giorni dell'esilio, scriverà sull'eco del racconto materno nel 1915. Vivono con la carità che fa loro uno zio, il fratello canonico di Giovanni, di idee diametralmente opposte che

continua nella pagina successiva

Appena Garibaldi arrivò in Sicilia, [Stefano] corse ad arruolarsi tra i volontari garibaldini. Si fece tutte le battaglie, dal ponte dell'ammiraglio in poi, meritandosi, venticinquenne, fama d'eroe. A Palermo, in via Papireto, si trovò completamente solo e allo scoperto sotto la fucileria borbonica. Non si mosse, non si mise al riparo: continuò a sparare imperterrito. Garibaldi si accorse di quel giovane coraggioso, impegnato in una sfida pazzesca. E corse lui stesso a dargli man forte, mettendolo fuori pericolo. Dopo questo episodio, Stefano si arruolò stabilmente e seguì il Generale fino al Volturno.

Garibaldi ferito nell’Aspromonte.

Rocco Ricci Gramitto, garibaldino crispino,

zio di Luigi Pirandello.

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PERCORSO DIDATTICO I VECCHI E I GIOVANI DALLA STORIA AL ROMANZO

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Apprendiamo quindi che donna Caterina Laurentano, rappresenta nella realtà la madre di Pirandello, Caterina Ricci Gramitto (sorella di Rocco), che già da bambina era cresciuta in un ambiente intriso di fervente spirito patriottico.

Che differenza tra il Principe suo padrone e questo don Cosmo! che differenza poi fra entrambi questi fratelli e la sorella donna Caterina Auriti, che viveva – vedova e povera – a Girgenti!

Da anni e anni tutti e tre erano in rotta tra loro. Donna Caterina Laurentano aveva seguito lei sola le nuove idee del padre; e poi si diceva che, da

giovinetta, aveva recato onta alla famiglia, fuggendo di casa con Stefano Auriti, morto poi nel Sessanta, garibaldino, nella battaglia di Milazzo, mentre combatteva accanto al Mortara e al figlio don Roberto, che ora viveva a Roma e che allora era ragazzo di appena dodici anni, il più piccolo dei Mille.

Luigi Pirandello, in Coraggio, Titina!, I vecchi e i giovani, parte I, cap. I.

continua dalla pagina precedente

canterà il Te Deum in cattedrale per il ritorno di Ferdinando Secondo di Borbone lo stesso giorno nel quale Giovanni parte per Malta. A Bùrmula, Malta, Giovanni muore a quarantasei anni, consunto per la disperazione, e la lontananza dalla sua terra. Prima di spirare, raduna allato al suo letto moglie, figli, figlie e fa loro giurare che impiegheranno tutte le energie, la vita stessa, alla liberazione dai Borboni.

Andrea Camilleri, Biografia del figlio cambiato, Milano, Rizzoli, 2001, pp. 28-29.

Lo stivale insanguinato di Garibaldi. Cimelio lasciato da Rocco,

luogotenente di Garibaldi nell’Aspromonte, a

Pirandello che ne fece dono al Municipio di

Roma. Oggi è esposto al Museo Centrale del

Risorgimento al Vittoriano.

Caterina Ricci Gramitto,

madre di Luigi.

Genova. Caserma di San Benigno. Rocco Ricci Gramitto, terzo seduto da sinistra, insieme ad ex-prigionieri dell’Aspromonte.

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PERCORSO DIDATTICO I VECCHI E I GIOVANI DALLA STORIA AL ROMANZO

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Nel personaggio di Don Flaminio Salvo, industriale emergente ambizioso e senza scrupoli «che dagli affari di banco e dai tanti negozii a cui attendeva, non aveva mai un momento libero» è possibile rintracciare il profilo del suocero di Pirandello, Don Calogero Portolano, ricco socio del padre Stefano. A lui, nel 1905, i giovani coniugi Pirandello avevano chiesto un aiuto economico considerate le ristrettezze finanziarie in cui versavano.

Clicca sull’icona per visualizzare l’Albero genealogico della famiglia Pirandello.

I numerosi personaggi rappresentano anche le diverse posizioni politiche che si intrecciano nella trama del romanzo. Proseguendo allora nella disamina dei personaggi, ci imbattiamo in Francesco D’Atri, ministro del tesoro con un nobile passato da garibaldino. Chiara è l’allusione a Francesco Crispi, mazziniano militante nelle fila di Garibaldi coinvolto nello scandalo della Banca romana, in quanto ministro del tesoro del governo Giolitti. Insieme a lui, è compromesso anche l’onorevole Rocco De Zerbi, nel romanzo Corrado Selmi.

La minacciata denunzia dei disordini di questa Banca costernava pertanto Corrado Selmi forse più che per sé, per Roberto Auriti. Ma la grave costernazione gli era in parte ovviata dalla fiducia che il Governo aveva interesse, per tante ragioni, a impedire che lo scandalo scoppiasse. Egli sapeva bene che questo scandalo non avrebbe prodotto soltanto il fallimento d’una Banca, ma anche il fallimento della coscienza del paese. L’appoggio del Governo alla sua rielezione, non ostante che Francesco D’Atri fosse al potere, e l’appoggio alla candidatura di Roberto Auriti lo raffermavano in quella fiducia.

Luigi Pirandello, in Viaggiatore senza bagaglio, I vecchi e i giovani, parte I, cap. VI.

Il cav. Cao sapeva bene che nessuno avrebbe osato di mettere in dubbio l’illibatezza di Francesco D’Atri; ma poteva darsi che, per via della moglie, fosse coinvolto anche lui nella rovina del Selmi, che pareva ormai a tutti irreparabile.

Eppure, eccolo lì: passeggiando per lo scrittojo e non ricordandosi più evidentemente né di chi stava ad aspettarlo né della esposizione finanziaria, Sua Eccellenza pareva soltanto impensierito d’un pianto infantile angoscioso che, nel silenzio della casa, arrivava fin lì, da una camera remota, non ostanti gli usci chiusi. Già una volta egli si era recato di là a vedere che cosa avesse la figliuola. […]

Luigi Pirandello, in Mezzanotte, Eccellenza…, I vecchi e i giovani, parte II, cap. I.

Francesco Crispi.

Francesco Crispi.

Girgenti. Dimora di campagna di Calogero Portolano, con

terrazze, giardini e frutteti che si riversano sulla Valle dei

Templi.

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PERCORSO DIDATTICO I VECCHI E I GIOVANI DALLA STORIA AL ROMANZO

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A dare del filo da torcere ai due politici arriva Spiridione Covazza che, una volta scoperto lo scandalo, decide di renderlo pubblico in parlamento e alla stampa (anche estera), ricalcando esattamente le mosse del deputato Napoleone Colajanni.

Era il deputato repubblicano Spiridione Covazza, che in quei giorni aveva scritto male, su una rassegna francese, dell’organamento delle forze proletarie in Sicilia. Vedendosi sfuggito da tutti, con quel gesto pareva dicesse: – Incredibile! – Ma pur doveva sapere che il suo torto era quello di veder tante cose che gli altri non vedevano, e di dare ad esse quel peso che gli altri ancora non sentivano, perché nel calore della passione ogni cosa par che si sollevi con chi la porta in sé. Illusioni: bolle di sapone, che possono a un tratto diventar palle di piombo. Lo sapevano bene quei poveri contadini massacrati a Caltavuturo.

Aveva scritto su quella rassegna francese ciò che in coscienza credeva la verità; al solito suo, rudemente e crudamente. Ma volevano dire ch’egli provasse un acre piacere nel porre innanzi così, fuor di tempo e di luogo, le verità più spiacenti, nello spegnere col gelo delle sue argomentazioni ogni entusiasmo, ogni fiamma d’idealità, a cui pur tuttavia era tratto irresistibilmente ad accostarsi.

Luigi Pirandello, in Non conclude, I vecchi e i giovani, parte II, cap. II.

Napoleone Colajanni.

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3.2 La storia nei Vecchi e i giovani

Clicca sull’icona Audiolibro per ascoltare l’incipit dell’opera. Le letture tratte da I Vecchi e i giovani sono curate da Marialaura Garrotto.

Il romanzo inizia a Girgenti, «paese morto» e dove «tutto deperiva in lento e silenzioso abbandono», nel periodo delle prime lotte dei Fasci siciliani (1893). Qui vive il vedovo sessantacinquenne Ippolito Laurentano, principe del feudo di Colimbètra, conservatore di fede borbonica e clericale che dispone di «una guardia di venticinque uomini con la divisa borbonica», capeggiata da Placido Sciaralla. In occasione delle elezioni politiche del 1893 prenderà in moglie, con un matrimonio d’interesse che sancisce l’unione della borghesia affaristica e dell’aristocrazia latifondista, la cinquantenne Adelaide, sorella di Flaminio Salvo, ricco proprietario di miniere.

Il fratello del principe, don Cosmo, fedele invece alla figura del padre Gerlando, esule del Risorgimento, vive appartato a Valsanìa, osservando con distacco filosofico e scettico i suoi contemporanei. Per le questioni di carattere pratico si serve di Mauro Mortara, un vecchio garibaldino convinto degli ideali patriottici, «il quale, approfittando della dabbenaggine di don Cosmo, a cui certo i libracci di filosofia avevano sconcertato il cervello, vi stava da padrone, né sopra di lui riconosceva altra signoria».

Tra le braccia di Mauro era morto a Milazzo nel 1860 Stefano Auriti, eroe della patria e sposo di donna Caterina, la terza dei Laurentano. Costei, rimasta vedova, decide di vivere lontana dai parenti rifiutando con orgoglio gli aiuti economici che le offre il fratello principe. Chiusa nel suo dolore condivide la propria amarezza con il figlio, Roberto, che svolge a Roma la professione di avvocato ed è cresciuto con gli stessi principi liberali dei genitori. Il ragazzo, che aveva assistito a soli dodici anni alla morte del padre sul campo di battaglia, cercherà di continuare l’opera paterna impegnandosi in politica e candidandosi alle elezioni, una volta ritornato a Girgenti.

Tra le fila della fazione opposta si candida invece l’avvocato Ignazio Capolino, uomo di fiducia di Flaminio Salvo. Capolino vincerà la competizione a spese di Roberto Auriti, rimasto vittima di una campagna diffamatoria. Il clima di tensione che fa da sfondo a tali fatti è dato dalla protesta sociale di contadini e zolfatari per le difficili condizioni lavorative a cui sono sottoposti.

Don Ippolito Laurentano, dalla miniserie TV I vecchi e i giovani (Rai, 1979), per la regia di Marco Leto.

Don Cosmo Laurentano.

Donna Caterina Laurentano.

Don Ippolito Laurentano, dalla miniserie TV I vecchi e i giovani (Rai, 1979), per la regia di Marco Leto.

Donna Caterina Laurentano.

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PERCORSO DIDATTICO I VECCHI E I GIOVANI DALLA STORIA AL ROMANZO

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Dopo la sconfitta, Roberto Auriti ritorna a Roma e viene coinvolto nello scandalo della Banca romana (1892-1893), in quanto prestanome dell’amico deputato Corrado Selmi per un prestito di quarantamila lire mai restituito. Il giovane viene arrestato, mentre la madre muore di crepacuore. Le speranze delle nuove generazioni vanno in frantumi.

A Roma, intanto, Corrado Selmi, finita una sciagurata storia d’amore con donna Giannetta Montalto, moglie del ministro D’Atri, avendo saputo dell’arresto di Roberto sceglie di togliersi la vita dopo aver lasciato un biglietto che scagiona l’amico.

Alla catastrofe romana fa da pendant il precipitare degli eventi in Sicilia. Flaminio Salvo, per sottrarlo all’amore della figlia Dianella, invia in missione presso gli zolfatari in rivolta Aurelio Costa, in compagnia di Nicoletta Capolino, amante di Flaminio, invaghita del ragazzo. Come previsto, Aurelio e Nicoletta muoiono uccisi dagli operai: Flaminio realizza il suo desiderio di onnipotenza mentre Dianella impazzisce.

La Sicilia è in tumulto: il peggioramento della situazione economica e politica, il malcontento generale fanno degenerare gli eventi, al punto che il governo romano decreta lo stato d’assedio nella regione, arresta gli esponenti socialisti e gli aderenti ai Fasci e reprime nel sangue i tumulti. Lando Laurentano, membro del Comitato centrale dei Fasci riesce a scampare alla retata e si dirige verso Porto Empedocle insieme ad un gruppo di amici con cui vorrebbe espatriare. Raggiunge a Valsanìa lo zio don Cosmo Laurentano per prepararsi

all’imbarco. Inconsapevolmente, durante una notte d’inferno, i giovani amici di Lando ‘profanano’ il camerone del generale Laurentano, provocando la fuga sdegnosa di Mauro Mortara, che con le sue medaglie garibaldine sul petto corre in aiuto dell’esercito contro i ribelli. Il suo progetto di ‘difesa’ del sogno dell’Italia unita contro i suoi presenti nemici viene paradossalmente stroncato dai soldati del regno, che gli sparano scambiandolo per un rivoltoso. E qui, su un enigmatico interrogativo finale, il romanzo si chiude: «Chi avevano ucciso?».

Clicca sull’icona Audiolibro per ascoltare la conclusione del romanzo.

Donna Caterina Laurentano e il figlio, Roberto Auriti.

Da destra, Aurelio Costa e Don Flaminio Salvo.

Zolfatari siciliani.

Mauro Mortara.

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PERCORSO DIDATTICO I VECCHI E I GIOVANI DALLA STORIA AL ROMANZO

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3.3 Dal dramma storico al dramma interiore dei personaggi

Ad esprimere al sommo grado nel romanzo l’amarezza per il fallimento degli ideali risorgimentali è donna Caterina Auriti-Laurentano, difensore implacabile del mito garibaldino.

Clicca sull’icona Audiolibro per ascoltare la lettura del brano seguente.

La bocca amara

Donna Caterina Auriti-Laurentano abitava con la figlia Anna, vedova anch’essa, e col nipote, una vecchia e triste casa sotto la Badìa Grande.

[...] I continui, atroci dolori sofferti, la macerazione cupa dell’orgoglio, la fierezza del carattere che, a costo d’incredibili sacrifizii, non s’era mai smentita di fronte alle più crudeli avversità della sorte, le avevano alterato così i lineamenti del volto, che nessuna traccia esso serbava più, ormai, dell’antica bellezza. [...]

Ma soprattutto gli occhi, sotto le folte sopracciglia nere, mostravano la rovina di quel volto: le pàlpebre s’eran rilassate, una più una meno; e quell’occhio più dell’altro socchiuso, dallo sguardo lento, velato d’intensa angoscia, conferiva a quella faccia spenta, cèrea, l’aspetto d’una maschera orribilmente dolorosa. [...] Tutto, tutto aveva sofferto donna Caterina Laurentano, anche la fame, lei nata nel fasto, allevata e cresciuta fra gli splendori d’una casa principesca: la fame, quando, domata la rivoluzione del 1848, a diciotto anni, col primo figliuolo neonato, Roberto, aveva dovuto seguire nell’esilio, in Piemonte, il marito, escluso con altri quarantatré dall’amnistia, e condannato alla confisca dei pochi beni.

[...] Ed era andata a Torino col marito, tutti e due sperduti e come ciechi, a mendicare per quel figlioletto la vita. […]

Anna, a Girgenti, aveva già trovato marito, e donna Caterina – aspettando che Roberto a Roma con la fiamma dell’anima eroica, con le benemerenze sue non comuni e il non comune ingegno si facesse largo e si preparasse un avvenire splendido, degno del suo passato, e la consolasse in fine di tutte le amarezze patite e dell’avvilimento, per cui maggiormente aveva sofferto – era andata a vivere in casa del genero Michele Del Re. La morte di questo, tre anni dopo, la sciagura della figlia, la miseria sopravvenuta di nuovo, quasi non avevano avuto potere di scuoterla da un dolore più cupo e profondo, in cui era caduta. Il figlio, il figlio da cui tanto s’aspettava, il suo Roberto, là, fra il trambusto violento della nuova vita nella terza Capitale, tra la baraonda oscena dei tanti che vi s’abbaruffavano reclamando compensi, carpendo onori e favori, il suo Roberto s’era perduto! Stimando semplicemente dovere sacro quanto aveva fatto per la patria, non aveva voluto né saputo accampare alcun diritto a compensi; aveva forse sperato e atteso che gli amici, i compagni, si fossero ricordati di lui dignitoso e modesto. Poi forse lo schifo lo aveva vinto e tratto in disparte. [...]

Da due giorni – dacché Roberto era arrivato a Girgenti – usciva dalla bocca amara di donna Caterina Auriti questo fiotto veemente di crudeli ricordi, d’acerbe rampogne, di fiere accuse. Guardando il figlio, a traverso le pàlpebre rilassate, con quell’occhio quasi spento, ella si votava il cuore di tutte le amarezze accumulate in tanti anni e rattenute; di tutto il dolore, di cui l’anima sua s’era nutrita e attossicata.

– Che speri? che vuoi? – gli domandava. – Che sei venuto a far qui? E Roberto Auriti, investito dalla furia della madre, taceva aggrondato, a capo chino, con gli occhi chiusi.

Luigi Pirandello, in La bocca amara, I vecchi e i giovani, parte I, cap. III.

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PERCORSO DIDATTICO I VECCHI E I GIOVANI DALLA STORIA AL ROMANZO

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Donna Caterina è però toccata però alla fine della vita dalla presenza al suo letto di morte di Mauro Mortara, l’altro eroe del sogno antico, pervaso però dall’alito di un sentimento che lo anima e potentemente lo separa.

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L’ultima lacrima

Appena Mauro Mortara, arrivato a Girgenti, poté strapparsi dalle braccia di Dianella Salvo, corse di furia alla casa di donna Caterina Laurentano. Vi trovò Antonio Del Re ancora tra le braccia della madre, che invano, stringendolo, scotendolo, smaniando, cercava di spetrarlo.

Come Anna vide entrar Mauro, gli corse incontro, lasciando il figlio: – Che ha? che ha? ditemi voi che ha! Ma il Mortara le scostò le braccia e gridò più forte di lei: – Vostra madre? Dov’è vostra madre? [...] L’ultima crudeltà doveva compiersi così sopra di lei, e, perché fosse più iniqua, per mano stessa dei figli.

Ora, vegliandola e piangendo, i figli le dimostravano, o piuttosto, dimostravano a sé stessi, che non erano stati loro a compierla. Se ella, per tutto ciò che aveva fatto, non poteva pagare per il figlio, bisognava che pagasse così, ora. [...]

Mauro entrò come un cieco nella camera quasi al bujo, chiamando forte, con affanno di commozione: – Donna Caterina... donna Caterina... Restò, davanti al letto, alla vista di quella faccia volta al soffitto, sui guanciali ammontati, cadaverica,

con gli occhi che s’immaginavano torbidi e densi di disperata angoscia sotto la chiusura perpetua delle gravi pàlpebre annerite, con un’ostinata, assoluta volontà di morte negli zigomi tesi, nelle tempie affossate, nelle pinne stirate del naso aguzzo, nelle livide, sottili labbra, non solo serrate, ma anche in qualche punto attaccate dall’essiccamento degli umori.

– Oh figlia... oh figlia... – esclamò. – Donna Caterina... sono io... Mauro... il cane guardiano di vostro padre... Guardatemi... aprite gli occhi... da voi voglio essere guardato... Aprite gli occhi, donna Caterina; guardando me, guardate la vostra stessa pena... Sentitemi: debbo dirvi una cosa... torno da Roma...

La morente, rimasta sola, nell’ombra, immobile su i guanciali ammontati, udì tardi la voce, come se questa avesse dovuto far molto cammino per raggiungerla nelle profonde lontananze misteriose, ove già il suo spirito s’era inoltrato. E da queste lontananze, in risposta a quella voce, tardi venne alle sue pàlpebre chiuse una lagrima, ultima, che nessuno vide. Sgorgò da un occhio; scorse su la gota; cadde e scomparve tra le rughe del collo. [...]

Donna Caterina era morta.

Luigi Pirandello, in L’ultima lacrima, I vecchi e i giovani, parte II, cap. V.

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4. ATTIVITÀ

4.1 Il vocabolario dei personaggi

Come suggerisce il titolo dell’opera, il romanzo si fonda sul confronto di due generazioni, di due espressioni temporali diverse che prendono vita nel corpo dei personaggi, i quali mutano e si evolvono poiché corpo e tempo sono ineluttabilmente legati. Ad una prima osservazione, si potrebbe ipotizzare una netta contrapposizione fra “vecchi” e “giovani”, ma lo studio delle parole

del romanzo (tratte dalle concordanze) rivela quanto la questione sia in realtà più articolata. Sarà proprio l’analisi semantica dei personaggi che ci permetterà di mettere meglio a fuoco la dinamica generazionale. Si propongono qui di seguito le parole con cui Pirandello descrive il corpo dei personaggi.

Don Ippolito Laurentano

Mauro Mortara

Caterina Laurentano

x «barba maestosa»; x corpo «alto, aitante,

bellissimo»; x «occhi» «ceruli»,

«limpidi», «ridenti»; x «labbra» «perfette» e

«giovanilmente fresche»; x «giovanile agilità»; x «bellezza virile»; x «nobiltà altera e serena»; x bellezza «fuori del tempo,

fuori della vita»;

x «vecchio»; x «sveglio»; x «robusto», pur con i suoi

settantasette anni, più di «un giovanotto di venti»;

x «petto irsuto»; x «orecchie» all’erta; x «lunga barba bianca»,

«incolta»; x «braccia», «forti»; x «natura forte»,

«cacciatore di belve feroci»;

x vede «i fili del telegrafo», «la ferrovia» e «il treno»;

x «antica bellezza»; x «palpebre» «rilassate»; x «occhi», uno aperto e

l’altro socchiuso; x «naso» «allungato, affilato

e teso»; x «bocca vizza»; x senza «denti»; x «gote» affossate; x «mento» «aguzzato»; x «altera e indurita» nel

tratto; x «faccia spenta»; x «una maschera» funebre,

«di cera»;

Corrado Selmi

x «giovanissimo ancora» sebbene cinquantenne;

x senza «un pelo bianco»; x «baffi» di «color biondo»; x «capelli» e «occhi»

«naturalmente gai»; x «volto» dall’«aria aperta e

fresca»; x «persistente gioventù»;

Si invitano gli studenti a leggere attentamente le caratterizzazioni dei personaggi e a riflettere alle seguenti domande:

1. In che relazione stanno la giovinezza e la vecchiaia nella storia e nel corpo del medesimo soggetto?

2. L’età anagrafica rispecchia sempre lo spirito del personaggio? 3. Come questi personaggi vivono lo sviluppo delle fasi della

loro vita? 4. Che rapporto esiste nel romanzo fra la nuova generazione e

la vecchia?

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I Vecchi e i Giovani Storia dei sentimenti

PERCORSI DIDATTICI

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PERCORSO DIDATTICO I VECCHI E I GIOVANI STORIA DEI SENTIMENTI

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1. PIRANDELLO E NOI

Nella visione critica più diffusa, I vecchi e i giovani sono un romanzo

essenzialmente storico, dove si descrive il fallimento dell’Italia risorgimentale dopo l’Unità. C’è però un’altra faccia dell’opera, che intreccia la storia collettiva con la storia di relazioni e sentimenti incarnati

nei corpi giovani e vecchi dei personaggi. Pirandello crea un parallelismo

intrigante tra gli avvenimenti del grande scenario romano e la microstoria

di donne e uomini che attraversano la bellezza e la fatica della relazione, e

che si distinguono per la loro capacità di sentimento.

Il romanzo di Pirandello affronta qui le dinamiche profonde riguardanti

tutte le relazioni fondative: tra uomo e donna, tra padri, madri e figli, tra

fratelli e sorelle, tra amiche e amici. Ne viene fuori un affresco

sorprendente, che ancora oggi ci interroga e ci riguarda.

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romanzo.

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2. PIRANDELLO COMMENTA PIRANDELLO Fin dagli inizi dell’opera di Pirandello, la questione della relazione con gli altri è sempre stata centrale:

Si tratta di una visione problematica, esposta negli anni ad una costante duplicità:

Quand'ero matto [...] ero infatti divenuto un albergo aperto a tutti. E se mi picchiavo un po' sulla fronte,

sentivo che vi stava sempre gente alloggiata: poveretti che avevan bisogno del mio ajuto; e tanti e tanti

altri inquilini avevo parimenti nel cuore; né si può dir che gambe e mani avessi tanto al servizio mio,

quanto a quello degli infelici che stavano in me e mi mandavano di qua e di là, in continua briga per loro.

Non potevo dir: io, nella mia coscienza, che subito un'eco non mi ripetesse: io, io, io… da parte di tanti altri [...].

[Matto] in fondo ero io, tale nel mio trattato mi dimostravo. Non me ne sarei accorto, se Marta non mi

avesse prestato i suoi occhiali.

Per curiosità, intanto, coloro che non si vogliono tener paghi di Dio, perché lo dicono fondato

in un sentimento che non ammette ragione, potrebbero vedere in questo mio trattato come io però lo

ragionassi. Se non che, convengo adesso che questo sarebbe un Dio difficile per la gente savia e anzi

addirittura impraticabile, perché, chi volesse riconoscerlo dovrebbe agire verso gli altri come agivo io

una volta, cioè da matto: con eguale coscienza di sé e degli altri, perché sono coscienze come la nostra.

Chi facesse veramente cosí e alle altre coscienze attribuisse l'identica realtà che alla propria, avrebbe per

necessità l'idea d'una realtà comune a tutti, d'una verità e anche di un'esistenza che ci sorpassa: Dio. Ma

non per la gente savia, ripeto.

[...] — E lei dunque, — ribatteva Marta, — non ha fatto male soltanto a sé, ma anche agli altri.

Ne conviene? Non pensando a sé, non ha pensato neanche agli altri. Doppio male! E non ne segue che

tutti coloro che pensano soltanto a sé e fanno in modo di non aver mai bisogno d'alcuno, per questo

soltanto dimostrano di pensare anche agli altri? Che farà lei adesso? Ha bisogno degli 2215 altri, ora. E

crede che sarà per tutti un beneficio il dover mostrarsi grati?

Luigi Pirandello, Quand’ero matto..., Novelle per un anno.

Ma ora pensavo:

«E gli altri? Gli altri non sono mica dentro di me. Per gli altri che guardano da fuori, le mie idee, i miei

sentimenti hanno un naso. Il mio naso. E hanno un pajo d’occhi, i miei occhi, ch’io non vedo e ch’essi vedono. Che relazione c’è tra le mie idee e il mio naso? Per me, nessuna. Io non penso col naso, né bado

al mio naso, pensando. Ma gli altri? gli altri che non possono vedere dentro di me le mie idee e vedono

da fuori il mio naso? Per gli altri le mie idee e il mio naso hanno tanta relazione, che se quelle, poniamo,

fossero molto serie e questo per la sua forma molto buffo, si metterebbero a ridere».

Luigi Pirandello, Uno, nessuno e centomila, cap. IV.

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Tutto sempre nell’ottica di un primato della vita e del sentimento:

«Quadrivio», 18 marzo 1934

Perché è stata proibita in Germania La favola del figlio cambiato?

[...] Poi il discorso volge intorno al teatro e all’opera del Maestro. Pirandello parla con calore dei suoi ideali artistici, della moralità della sua opera che è tutta un’esaltazione della vita e dei più alti valori umani.

– Mi fanno sorridere quei critici che parlano del mio cerebralismo! Ma non si sono accorti

che io sono un passionale, che tutte le mie cose sono profondamente sofferte? Ma se in ogni

mia opera c’è, per così dire, un calcio alla cerebralità? È sempre la vita che trionfa con le sue forze vive. [...]

Luigi Chiarini

Interviste a Pirandello. «Parole da dire, uomo, agli altri uomini», a cura di Ivan Pupo, prefazione di Nino

Borsellino, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2002, pp. 537-538.

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3. RACCONTARE PIRANDELLO

3.1 Don Flaminio Salvo e la figlia Dianella

Flaminio Salvo è un ambizioso imprenditore borghese,

proprietario di terre, banche e ricche miniere di zolfo. È il despota

della città di Girgenti e tutti lo riveriscono per il ruolo che ricopre.

Privo di scrupoli, agisce da abile e cinico burattinaio, tramando

intrighi sia sul versante familiare che su quello politico: per

cominciare, giunge a imparentare la sorella cinquantenne Adelaide

con l’aristocratico Ippolito Laurentano costringendoli ad un matrimonio inconsistente, privo di reali sentimenti se non di

infelicità e incompatibilità.

Il suo bieco progetto si estende anche alla figlia, alla dolce e

delicata Dianella, che «nella voce pareva avesse la gioja dell’aria pura e del sole, quella stessa gioja che tremava nella gola delle allodole».

Il suo corpo è segnato da un pallore che le conferisce una nota di

levità quasi diafana. La dolce creatura ci lascia intravedere un

orizzonte vitale

opposto a quello

paterno, in cui

regnano l’incanto per la natura, l’intesa con il cuore puro

dei vecchi, l’allegra contiguità con i suoi

padri dell’anima (anzitutto Mauro,

ma anche Ippolito

Laurentano), il

rispetto dell’altro, la prossimità e la

sensibilità di spirito.

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Capace di una tenera amicizia con il burbero patriota, Mauro Mortara, Dianella ammansisce i suoi temibili

cani come se accarezzasse, con il tocco delle sue mani, il loro padrone.

Un moto di simpatia e d’intesa la lega anche al vecchio Laurentano che la ricambia amorevolmente, colmando con la sua giovine freschezza il dolore della lontananza del figlio Lando.

Don Ippolito Laurentano smontò dalla vettura con giovanile agilità. Vestiva da mattina e aveva in capo

un cappello avana dalle ampie tese. Baciò il fratello e subito si trasse indietro a osservarlo. [...]

Quando ricomparve sul terrazzo, don Ippolito levò le braccia:

– Ah, sia lodato Dio! così va bene!

Monsignore e Dianella ridevano. [...]

[...] Disse il Principe, ridendo. – E di’ un po’, Mauro? dov’è? non si fa vedere? – Uhm! – fece don Cosmo. – Sparito! Non ne ho più nuova da tanti giorni, da che abbiamo l’onore... – Io so dov’è, – disse Dianella, inchinando graziosamente il capo al complimento di don Cosmo, che

volle interrompere. – Sotto un carubo giù nel vallone... Ma, per carità, non deve saperlo nessuno! Noi

abbiamo fatto amicizia...

– Ah sì? – domandò don Ippolito, ammirando con occhi ridenti la gentilezza e la grazia de la fanciulla.

– Con quell’orso? – È un gran pazzo! – sentenziò gravemente don Cosmo.

– No, perché? – fece Dianella.

continua nella pagina successiva

Tuttavia, da due giorni, Mauro Mortara era meno aggrondato e [...] Mauro, senza volerlo, volse in giro

uno sguardo per vedere se donna Dianella fosse già per la vigna.

In pochi giorni, da che era a Valsanìa, s’era rimessa quasi del tutto; si levava per tempo, ogni mattina; aspettava che il padre partisse con la carrozza, e veniva a raggiunger lui là per la vigna, e gli domandava

tante cose della campagna [...].

In pochi giorni Dianella aveva fatto il miracolo: l’orso era domato. L’aria del volto, la nobiltà gentile e

pure altera del portamento, la dolcezza mesta dello sguardo e del sorriso, la soavità della voce avevano

fatto il miracolo, pianamente, naturalmente, andando incontro e vincendo la ruvidezza ombrosa del

vecchio selvaggio.

Parlando, a volte, ella aveva nella voce e negli sguardi certe improvvise opacità, come se, di tratto in

tratto, l’anima le si partisse dietro qualche parola e le andasse lontano lontano, chi sa dove; smarrita, se tardava a ritornarle, domandava: – “Che dicevamo?” – e sorrideva, perché ella stessa non sapeva

spiegarsi ciò che le era avvenuto. Spesso anche, a ogni minimo tocco rude della realtà, provava quasi un

improvviso sgomento, o piuttosto l’impressione di un’ombra fredda che le si serrasse attorno, e aggrottava le ciglia. Subito però cancellava con un altro dolce sorriso il gesto ombroso involontario,

sgranando e ilarando gli occhi, rinfrancata.

– Perché mi si dovrebbe far male? – pareva dicesse a sé stessa. – Non vado innanzi alla vita, fiduciosa

e serena?

La fiducia le raggiava da ogni atto, da ogni sguardo, e avvinceva.

Anche quei tre mastini feroci del Mortara bisognava vedere che festa le facevano ogni volta! Si voltavano

anch’essi, or l’uno or l’altro, a guardare verso la villa, come se l’aspettassero. E Mauro, per non allontanarsi troppo, s’indugiava a esaminare ora questo ora quel tralcio, i cui grappoli, tesori gelosamente

custoditi, aveva già mostrati quasi a uno a uno a Dianella, gongolando accigliato alle lodi, ch’ella gli profondeva tra vivaci esclamazioni di meraviglia [...].

Luigi Pirandello, in Alba torbida, I vecchi e i giovani, parte I, cap. V.

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Dianella è l’icona di un diverso modo di entrare in rapporto con gli altri e con il mondo ed è questo mondo,

che la voce narrante oppone anche al vano cercare di don Cosmo, l’ordine mirabile entro cui si muove.

continua dalla pagina precedente

– E guardi poi chi lo dice, Monsignore! – esclamò il Principe. – Non so che pagherei per assistere,

non visto, alle scene che debbono avvenire qua fra tutti e due, quando son soli...

Don Cosmo approvò col capo ed emise il suo solito riso di tre oh! oh! oh! – Dev’essere uno spasso! – aggiunse don Ippolito.

Dianella guardava con piacere, con indefinibile soddisfazione quel vecchio, a cui la virile bellezza, la

composta vigoria, la sicura padronanza di sé davano una nobiltà così altera e così serena a un tempo;

indovinava il tratto squisito ch’egli doveva avere senza il minimo studio e però senz’ombra d’affettazione, e soffriva nel porgli accanto col pensiero sua zia Adelaide di così diversa, anzi opposta

natura: ridanciana, scoppiante e rumorosa. Che impressione ne avrebbe egli ricevuta tra poco? [...]

Entrò Monsignore e poi donna Nicoletta e poi Dianella e il Salvo e il segretario del vescovo e anche

don Cosmo: il Principe volle entrare per ultimo. Quando si fece nel terrazzo, sorprese i dolci occhi di

Dianella che lo aspettavano, indagatori. Istintivamente rispose a quello sguardo con un lievissimo

sorriso.

– Bell’uomo, no? – disse piano a Dianella Nicoletta Capolino. – Non ci sarà punto bisogno

d’accorciargli la barba, come dice Adelaide. – Accorciargli la barba? – domandò Dianella.

– Sì, – riprese l’altra. – Ci ha fatto tanto ridere in carrozza, con la paura della barba lunga del Principe.

– Che avete da dire voi due là? – saltò a domandare a questo punto donna Adelaide. – Ridete di noi?

Ridono di me e di voi, caro Principe. Ragazzacce! Ma non c’è che fare: siamo qua per questo; oggi è la nostra giornata... Come alla fiera!

Luigi Pirandello, in Purché non piova..., I vecchi e i giovani, parte I, cap. VII.

Appena uscito dalla camera il padre, ella si nascose il volto tra le mani e pianse, pianse

impetuosamente, muta, frenandosi. Le parve che il padre si fosse divertito a straziarle il cuore, come un

gatto col topo. [...]

Dianella tornò a nascondersi il volto tra le mani. Nel vuoto angoscioso, fissando l’udito, senza volerlo, nel fitto, continuo scampanellìo dei grilli, le parve ch’esso nel silenzio diventasse di punto in punto più intenso e più sonoro [...].

Scoprì il volto: come un sogno le apparve allora la pace abbandonata della campagna, lì presente,

all’umido e blando albor lunare. E un fresco rivo inatteso, di tenerezza, le scaturì dal cuore; e altre

lagrime le velarono gli occhi. [...]

Tra quei grilli e quegli alberi e quella luna e quei monti non era forse un concerto misterioso, a cui gli

uomini restavano estranei? Tanta bellezza non era fatta per gli uomini, che chiudevano stanchi, a

quell’ora, gli occhi al sonno; sarebbe durata tutta la notte non veduta più da alcuno, nella solitudine della campagna, quando anch’ella avrebbe chiuso la finestra. [...]

E Dianella chiuse la finestra: lasciò aperto appena appena uno scuro e, attraverso quello spiraglio, con

le mani congiunte innanzi alla bocca, pregò silenziosamente per tutta quella bellezza rimasta fuori,

animata a un tratto a gli occhi di lei dallo spirito di Dio, che gli uomini offendevano con le loro torbide e

tristi passioni. Volgendo un ultimo sguardo al viale innanzi a la villa, scorse un’ombra che vi passeggiava, un cranio lucido sotto la luna. Don Cosmo? Lui.

Ah, immerso, là, nello spirito di Dio, egli forse non lo sentiva! Andava a quell’ora su e giù per il viale, con le mani dietro la schiena, assorto tuttavia, certo, nelle sue buje e vane meditazioni.

Luigi Pirandello, in In agguato, I vecchi e i giovani, parte I, cap. V.

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La «bella e buona» Dianella, il cui nome ricorda la dea greca, è però vittima del padre «lupo», una mera

pedina da collocare a suo di lui piacimento. A nulla vale il suo sentimento nei confronti dell’ingegnere Aurelio Costa che era cresciuto con lei, poiché il padre «crudele» è disposto ad ogni espediente purché volto

all’accrescimento del suo patrimonio. Flaminio, senza troppi «rimorsi», infrange spudoratamente il sogno

d’amore della «reginetta» di Colimbètra, causando in un primo momento la morte del giovane Costa e poi la follia della figlia, per la quale, perseverando nei suoi intrighi di alleanze matrimoniali, vorrebbe combinare le

nozze con Lando Laurentano.

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3.2 La mancata relazione

Leggiamo da un estratto del romanzo quanto la vita di Flaminio manchi alla relazione per una scelta

determinata, che separa il corpo dal sentimento e rende la scena del contatto un teatro infinito, uno spazio di

finizione programmata. Il «freddo» Flaminio non incontra mai l’altro e l’assenza del calore di padre è come «un’ombra fredda» che serra l’esistenza di Dianella e le riempie l’animo di «gelo».

Don Flaminio Salvo e la figlia Dianella,

dalla miniserie TV I vecchi e i giovani (Rai, 1979), per la regia di Marco Leto.

Come un ruscello...

Dianella non s’affrettò quella mattina di raggiunger Mauro nella vigna. Quello sguardo acuto e duro che

il padre, nell’ira, le aveva rivolto d’improvviso, mentre il Costa parlava del pericolo da cui il figlio

era minacciato in Aragona, la aveva profondamente

turbata; le aveva in un baleno richiamato alla

memoria un altro sguardo, ch’egli le aveva rivolto tanti anni addietro, quand’era morto il fratellino e la madre era impazzita.

Aveva undici anni, lei, allora.

E più della morte del fratello, più della sciagura

orrenda della madre le era rimasta indelebile

nell’anima l’impressione di quello sguardo d’odio, che a lei – ragazzetta ancor quasi ignara, incerta e smarrita tra i giuochi e la pena – aveva lanciato il

padre, nel cordoglio rabbioso:

– Non potevi morire tu invece? – le aveva detto chiaramente quello sguardo.

Così. Proprio così. E Dianella comprendeva bene adesso perché il padre non avrebbe esitato un

momento a dar la vita di lei in cambio di quella del fratello.

Tutte le cure e l’affetto e le carezze e i doni, di cui egli di poi l’aveva colmata, non eran valsi a scioglierle dal fondo dell’anima il gelo, in cui quello sguardo s’era quasi rappreso e indurito. Spesso se n’adontava con sé stessa, sentendo che il calore dell’affetto paterno non riusciva più a penetrare in lei, quasi respinto istintivamente da quel gelo.

Per qual ragione seguitava egli ormai a lavorare con tanto accanimento? ad accumulare tanta

ricchezza? Non per lei, certamente; sì per un bisogno spontaneo, prepotente della sua stessa natura; per

dominare su tutti; per esser temuto e rispettato; o fors’anche per stordirsi negli affari o per prendersi a

suo modo una rivincita su la sorte che lo aveva colpito. Ma in certi momenti d’ira (come dianzi), o di stanchezza e di sfiducia, egli lasciava pur vedere apertamente, che tutte le sue imprese e i suoi sforzi e la

vita sua stessa, per lui, non avevan più scopo, perduto l’erede del nome, colui che sarebbe stato il continuatore della sua potenza e della sua fortuna. Da un pezzo, convinta di questo, Dianella, pur non

sapendo neanche immaginare la propria vita priva di tutto quel fasto che la circondava, aveva

cominciato a sentire un segreto dispetto per quella ricchezza del padre, di cui un giorno (il più lontano

possibile!) ella sarebbe stata l’unica erede, per forza e senza alcuna soddisfazione per lei. Quante volte, nel vederlo stanco o irato, non avrebbe voluto dirgli: – “Basta! Lascia! Perché la

accresci ancora, se dev’esser poi questa la fine?” – E altro ancora, ben altro avrebbe voluto dirgli, se con

l’anima avesse potuto parlare all’anima del padre, senza parole, senza cioè che le labbra si movessero e

udissero gli orecchi.

continua nella pagina successiva

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PERCORSO DIDATTICO I VECCHI E I GIOVANI STORIA DEI SENTIMENTI

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continua dalla pagina precedente

Da quanto aveva potuto intendere col finissimo intuito e penetrare con quegli occhi silenziosamente

vigili o da certi discorsi colti a volo senza volerlo, ella aveva già coscienza che la ricchezza del padre, se

non al tutto mal’acquistata, aveva pur fatto molte vittime in paese. Crudele con lui la sorte, crudele la

rivincita ch’egli si prendeva su essa. Voleva tutto per sé, tutto in suo pugno: zolfare e terre e opificii, il commercio e l’industria dell’intera provincia. Perché? perché, se lavorava senza più amore e quasi senza

più scopo? perché gravare su le spalle esili di lei – figlia... sì, amata, ma non prediletta, quantunque

rimasta sola – fardello esoso, tutte quelle ricchezze, che molti forse maledicevano in segreto e che certo

non le avrebbero recato fortuna?

Dispetto e anche sgomento, talvolta, ne sentiva Dianella, prevedendo purtroppo che il cuore forse le

sarebbe rimasto schiacciato sotto quel cumulo d’oro. Eppure s’era illusa, fino a poco tempo fa, che il padre l’avrebbe lasciata libera nella scelta; che anzi egli

stesso la avesse ajutata a scegliere, beneficando colui che, da ragazzo, gli aveva salvato la vita.

Vispo e fiero, bruno, come fuso nel bronzo, coi capelli ricci, neri e gli occhi pieni di fuoco, Aurelio Costa

le era apparso la prima volta, a tredici anni; ed era stato poi per tanto tempo suo compagno di giuoco, suo

e del fratellino. Essi non capivano allora l’abisso ch’era tra loro. Ma poi […].

Luigi Pirandello, in Come un ruscello, I vecchi e i giovani, parte I, cap. V.

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PERCORSO DIDATTICO I VECCHI E I GIOVANI STORIA DEI SENTIMENTI

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4. ATTIVITÀ

4.1 Lo spazio semantico della relazione

Come abbiamo visto, alcune delle pagine più belle del romanzo sono dedicate alla tenera amicizia

fra il burbero patriota, Mauro Mortara, e la delicata Dianella, capace di domare l’«orso» con la

freschezza e il candore del suo animo. Si ascolti integralmente l’audiolibro dell’ultimo brano proposto (capitolo V della Prima parte del romanzo) e si individuino i campi semantici e lessicali,

rappresentati qui sotto, relativi alla relazione, ai gesti d’affetto, le parole di dolcezza, il vocabolario del dono, ecc.

Clicca sull’icona Audiolibro per ascoltare il brano che segue, a cura di Marialaura Garrotto.

4.2 La relazione genitori-figli

Le dinamiche affettive tra Don Flaminio Salvo e la figlia Dianella pongono la questione, così

attuale, del rapporto tra genitori e figli. In un dialogo fra pari, in cui l’insegnante fungerà da facilitatore, gli alunni potranno trarre ispirazione dalle lettere proposte di seguito per dar vita a un

dialogo immaginario tra un genitore e un figlio, rappresentandolo mediante il canale che più

reputano opportuno (es. lettera, intervista, articolo di giornale, fumetto, cortometraggio, workshop ecc.) per

approfondire uno degli aspetti costitutivi di questa relazione.

Clicca sull’icona per rileggere le lettere che Pirandello invia alla figlia Lietta (28 aprile 1922; 28

aprile 1923; 5 aprile 1923).

Clicca sull’icona per leggere un estratto della Lettera al padre di Franz Kafka, scritta nel 1919 e

pubblicata postuma nel 1952.

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PERCORSO DIDATTICO I VECCHI E I GIOVANI STORIA DEI SENTIMENTI

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Si suggeriscono Sony Vegas Pro, AVS Video Editor, Camtasia (per creare ad es. un’intervista

con due schermi paralleli), l’applicazione Pixton (per creare facilmente fumetti digitali),

InDesign (per realizzare manualmente template per articoli di giornale), InDesignSkills o

Freepick (per scaricare modelli predefiniti) o Microsoft Office Publisher (per grafiche di editing

preimpostate o di base).

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PERCORSO DIDATTICO I VECCHI E I GIOVANI. DALLA STORIA AL ROMANZO

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Diana e la Tuda

Quanto conta l’immagine?

PERCORSI DIDATTICI

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PERCORSO DIDATTICO DIANA E LA TUDA QUANTO CONTA L’IMMAGINE?

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1. PIRANDELLO E NOI

All’interno del laboratorio di scrittura pirandelliano si colloca in un angolo

meno esplorato la tragedia Diana e la Tuda. Pirandello vi era molto legato,

anche a motivo del contesto biografico in cui essa fu concepita. Sono gli anni

dell’intenso e controverso rapporto con Marta Abba, attrice prediletta della

compagnia del Teatro d’Arte dell’agrigentino.

La tragedia nasce appunto all’incrocio tra scrittura pirandelliana e i

suggerimenti dell’interprete-musa, Marta, appunto. Il suo centro ideale è la

grande questione dell’apparire, quello che oggi chiamiamo ‘immagine’ e che rappresenta un aspetto essenziale della vita di tutti.

Entriamo allora nel mondo di Diana e la Tuda da una duplice via d’accesso: il

rapporto tra Pirandello e la Abba e la stringente attualità della tragedia.

Clicca sull’icona Presentazione per accedere all’introduzione dell’opera.

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PERCORSO DIDATTICO DIANA E LA TUDA QUANTO CONTA L’IMMAGINE?

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2. PIRANDELLO COMMENTA PIRANDELLO

Pochi giorni dopo la prima a Zurigo (20 novembre 1926), Pirandello rilascia un’intervista al quotidiano italiano «Il Popolo di Roma».

«Il Popolo di Roma», 21-22 novembre 1926

La nuovissima tragedia e i tre teatri di Stato

In Diana e la Tuda ho voluto riprendere in pieno gli elementi fondamentali del mio teatro […]. Ho messo in scena un vecchio scultore [Nono Giuncano, ndr] che, avendo già intuito l’inutilità dello sforzo di tutta la sua vita per creare una forma che della vita risenta le vibrazioni reali, ha distrutto tutte le sue

statue che egli aveva foggiato nel suo lungo travaglio di artista e vive maledicendo la sua inutile arte.

Accanto a lui, ma sicuro di sé e anche fidente nelle proprie forze e nella propria arte, vive un suo

diletto allievo, un giovane scultore [Sirio Dossi, ndr], di grande ingegno, al quale il vecchio artista non osa

comunicare il proprio tormento.

Il giovane scultore sta lavorando intorno ad una statua di Diana. Posa per lui, Geltrude, la Tuda, una

fanciulla, nel bellissimo corpo della quale la giovinezza sorride con tutte le sue grazie. La Tuda ama lo

scultore. Ella si è perduta per lui; gli si è data con abbandono completo, con passione ardente e cerca di

collaborare con tutta la sua anima, oltre che con tutta l’armoniosa bellezza delle sue forme, sotto lo sguardo cupo del vecchio scultore. Il vecchio odia la statua. Egli ama, in un silenzio quasi astioso, la bella Tuda e

odia la statua che ne vuol imprigionare la bellezza, il movimento, la vita. E Tuda stessa sente che la materia

che l’artista vuole impressionare delle sue forme non vibra, non vive. Tutta presa da questo angoscioso tormento, ella un giorno, in uno spasimo d’amore, fa per gettarsi contro la statua, quasi per entrare in lei, per trasfonderle, con la sua vita, la vita che l’artista non può darle. Lo scultore, vedendola così precipitare contro la statua, teme che ella voglia distruggere l’opera sua e si scaglia, brandendo lo scalpello, contro la fanciulla. Ma il vecchio artista, che è presente alla scena, arresta

lo slancio del suo allievo, l’afferra per la gola e lo strozza. Si distrugga pure la statua, muoia il suo autore, ma viva la giovinezza, il movimento, la vita, che è Tuda…

Interviste a Pirandello. «Parole da dire, uomo, agli altri uomini», a cura di Ivan Pupo, prefazione di Nino Borsellino,

Rubbettino, Soveria Mannelli, 2002, pp. 337-338.

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3. RACCONTARE PIRANDELLO

3.1 Atto primo

È giunto adesso il momento di conoscere da vicino la storia di Diana e la Tuda. Lo faremo mediante uno

storytelling interattivo, un racconto in cui parole e video si susseguono e si integrano. Iniziamo dalla visione della

prima scena.

Il giovane scultore Sirio Dossi è ossessionato dalla realizzazione di una

statua di Diana, con cui desidera esaltare l’immagine della bellezza

immortale. Posa per lui Tuda, una giovane modella, costretta a lunghe ed

estenuanti pose dall’artista che la vorrebbe immobile e rigida, priva di

movimento.

Clicca sul Frame per visualizzare l’incipit della tragedia. (La fonte per tutti i video della rappresentazione teatrale Diana e la Tuda è la seguente:

http://www.e-performance.tv/2013/03/dianae-la-tuda.html)

Sirio, artista fanatico dell’arte, è perseguitato dall’idea della perfezione della sua creazione estetica a tal punto da

rendersi insensibile ai sentimenti di chi lo circonda, in una condizione di accesa passione per l’arte e di freddezza

umana, celata nella natura del suo nome (Sirio è una stella bianca luminosissima, il cui nome greco significa sia

‘bruciante’ che ‘splendente’). È questo l’atteggiamento che egli pretende da Tuda. E giunge così a irritarsi al

solo pensiero che la sua modella possa diventare fonte di ispirazione anche per altri artisti. Tuda gli risponde

provocandolo:

Tuda: Ne sei geloso? Ma quando un artista vuole una modella tutta per sé, sai che fa? la sposa, caro!

A uno sguardo sprezzante di Sirio

Perché? Ti parrebbe disonore? Tanti hanno fatto così. E con certune che non valevano neanche un'unghia

del mio piede. […] Del resto, come m'hai veduta tu da Diana, potrebbe avermi veduta anche lui.

Sirio: Perdio, non lo dire!

Tuda: Un corpo come il mio...

Sirio: Ti darò il doppio, il triplo, quattro, cinque volte di più, purché la smetta! Ti dico che non posso

tollerarlo!

Tuda: E tu sposami!

Sirio: Finiscila!

Tuda: Sarebbe da vedere, caro, se poi ti vorrei io...

Giuncano: Tu, no!

Tuda: Intanto, non mi vuole lui. E allora non c'è gusto a fare la sdegnosa. - Su, caro, andiamo. Del resto,

te l'ho già fatto capire in tutti i modi: mi paghi meglio degli altri, ma non mi piace lavorare con te.

L. Pirandello, Diana e la Tuda (atto primo).

Diana e la Tuda (2013),

Regia: Andrea Bizzarri

Dall’Atto primo (durata 03:56 min.)

Diana e la Tuda (2013),

Regia: Andrea Bizzarri

Dall’Atto primo (durata 03:56 min.)

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Ma Sirio ha come unico obiettivo quello di portare a compimento il

proprio capolavoro. Per questo non si fa scrupoli di sorta e, sebbene sia

fidanzato con Sara, decide seriamente di prendere in moglie Geltrude, la

Tuda, ma per puro interesse estetico ed egoistico.

Clicca sul Frame per visualizzare la scena relativa.

Seppur soddisfatta di aver ottenuto lo status di moglie, Tuda è apprezzata

solo per il suo corpo di modella dagli occhi di Sirio-artista, e di contro è

invisibile al cuore di Sirio-marito. Il loro è un matrimonio in bianco, che

vede, per un verso, la presenza di relazioni extra-coniugali (Sirio con

Sara, Tuda con Caravani) e dall’altro l’assenza di un seppur minimo rapporto autentico tra marito e moglie. Si tratta di una relazione vuota,

inconsistente, priva di vitalità e di calore umano, come tra due statue

inerti. A questa indifferenza Tuda si ribella e rivendica il proprio essere

«di carne», sostenuta anche dal vecchio Giuncano, convinto oramai

dell’irriducibilità della vita a opera d’arte.

Clicca sul Frame per visualizzare la scena relativa.

Diana e la Tuda (2013),

Regia: Andrea Bizzarri

Dall’Atto primo (durata 02:18 min.)

Diana e la Tuda (2013),

Regia: Andrea Bizzarri

Dall’Atto primo (durata 07:14 min.)

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3.2 Atto secondo

Il secondo atto inizia con la scena di Tuda che prova abiti, cappelli e pellicce con una sarta e una modista.

Clicca sull’icona Ricerca per scoprire il significato della parola ‘modista’. (Fonte: www.treccani.it)

La Sarta: E allora

mostra l'abito che ha ancora sul braccio

non dobbiamo neppure tentare d'accomodarlo?

Tuda: No no, non mi parli più di questo! Ha portato le stoffe?

La Sarta: Sì, tante: eccole qua.

Tuda: […] Eccolo qua. Questo. Vede che c'è? Combiniamolo subito, qua, ora stesso, addosso a me. Sì sì:

questo, questo.

Si butta addosso la stoffa e si guarda allo specchio.

Mi piace, sì.

La Sarta: Certo, le sta benissimo.

La Modista. A maraviglia! […] La Sarta: È veramente un piacere vestire un corpo come il suo -

Tuda: - condannato a spogliarsi sempre! - Bisognerebbe ora trovare un pizzo...

La Sarta: Pizzo?

Tuda: Non va neanche il pizzo?

La Sarta: Se guarda i figurini...

Tuda: Non li guardo. Lo metto, vada o non vada. Non ne ha portati?

La Sarta: No, signora.

Tuda: Non importa. Ne ho su io, tanti. […] Aspetti! Mi faccia anche il piacere di farsi dare la pelliccia d'ermellino. […] (alla Modista): Ha portato fiori?

La Modista: Sì, molti.

Tuda: Fiori, fiori. Faccia vedere.

La Giovane della Modista (presentando la scatola): Eccoli.

Tuda (cercando e scartando, finché trova): Questi no, questi no - no no - via, questi, no - ecco, questi - guardi -

appuntati qua così - e poi altri, giù da piedi. Provi, provi.

La Sarta eseguisce

Ecco, così.

La Modista: Eh, sì, benissimo!

Tuda: Sì sì. Senz'altro così. Il mantello! Il mantello!

Alla Giovane della Sarta, alludendo alla statua su cui il mantello d'ermellino sta appeso:

Le domandi il permesso e glielo levi.

La Giovane va a prendere, sorridendo, il mantello e lo pone sulle spalle di Tuda.

La Sarta: Ah, veramente magnifica!

La Modista: Una regina!

L. Pirandello, Diana e la Tuda (atto secondo).

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La concitazione di questo momento e la passione sfrenata per

l’abbigliamento celano in realtà il malessere provocato dal mancato

affetto da parte del marito. Difatti, specchiandosi, la Tuda si riscoprirà

consunta tanto nello spirito quanto nel fisico. E la stessa sorte sarà

riservata alle statue che verranno rivestite di drappi, quasi per occultare

la loro debolezza.

Clicca sul Frame per visualizzare la scena relativa.

Alla fine di questo spettacolo, tragico e comico insieme, arriva anche

Giuncano. Tuda, che vorrebbe vendicarsi della sofferenza infertale da

Sirio e dalla sua amante, gli svela che sarebbe andata con Caravani pur di

farsi giustizia. Poi, pensandoci su, si offre al vecchio scultore, che è però

cosciente della propria incapacità di amare a confronto con la spiccata

vitalità della ragazza.

Clicca sul Frame per guardare il video.

Diana e la Tuda (2013),

Regia: Andrea Bizzarri

Dall’Atto secondo (durata 02:16 min.)

Diana e la Tuda (2013),

Regia: Andrea Bizzarri

Dall’Atto secondo (durata 06:03 min.)

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3.3 Atto terzo

Sirio ha inconsapevolmente ritratto nella statua l’inquietudine della moglie che nel frattempo si è realmente innamorata di lui. Ecco la scena in cui Tuda si riconosce nella scultura:

Tuda, forgiata ormai dall’indifferenza del marito, si ritrova infine cieca

dinanzi all’amore di Giuncano. Da donna della modernità resta smarrita,

disorientata, in una terribile percezione di inconsistenza di sé, una volta

portata fuori dal sogno di Sirio.

Clicca sul Frame per avviare il video.

Tuda […] Guarda! Guardala bene! guardale gli occhi! gli occhi! - e ora guarda qua i miei - vedi? vedi? sono

i miei, là - questi - come me li stai vedendo ora - da pazza - e così, perché me li hanno fatti diventare loro

così - da pazza - tutti e due!

indica Sirio e Sara.

- Ti pare che ci sia amore in questi occhi? Di' di'? […] Giuncano: - fustigata! -

Tuda: Odio c'è, odio, per il supplizio che m'hanno dato loro due! - Non li aveva lei

indica la statua

prima, questi occhi - erano altri, i suoi occhi! - Lui me li ha presi e glieli ha dati: guardala: - E quella mano

là che tocca il fianco - la vedi? - era aperta, prima, quella mano! Vedi, ora? chiusa, serrata, a pugno. Me

l'hanno fatta chiudere, serrare loro così, per resistere al supplizio - e la statua, vedi, anche lei - l'aveva

aperta: ha dovuto chiuderla! - gliel'ho veduta chiudere! - non ha potuto farne a meno! Non è più quella

che lui voleva fare! - Sono io ora là, capisci? […]

L. Pirandello, Diana e la Tuda (atto terzo).

Diana e la Tuda (2013),

Regia: Andrea Bizzarri

Dall’Atto terzo (durata 05:08 min.)

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PERCORSO DIDATTICO DIANA E LA TUDA QUANTO CONTA L’IMMAGINE?

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A questo punto la situazione precipita. Tuda si slancia contro la statua in un impeto folle di fusione con la

materia che l’ha assorbita e Giuncano, per difenderla da Sirio, lo uccide. Il calore di Giuncano non basta a farle aprire gli occhi e a farle spalancare il cuore. Così rimane cieca dinanzi

all’offerta di vita e di amore che il vecchio scultore le fa:

Clicca sul Frame per visualizzare l’epilogo della tragedia.

Che ha fatto? che ha fatto? L'ha ucciso? Oh Dio, l'ha ucciso? Per me?

Giuncano (mormorando, come in una litania): Cecità... cecità...

Tuda (scende i tre scalini; si china su Sirio; gli tocca con una mano la fronte, con l'altra gli cerca la mano): Oh

Dio, no! no! freddo: morto!

Giuncano: Cecità...

Tuda: Ucciso per me, per me che ho la colpa di tutto!

Giuncano: Cecità…

Tuda: Io, io sì, di tutto - perché non seppi essere quella per cui lui mi aveva voluto!

Giuncano: Cecità...

Tuda (indicando con terrore dietro a sé la statua): Quella! Quella!

Giuncano (c. s.): Cecità...

Tuda: Io che ora sono così: niente... più niente…

L. Pirandello, Diana e la Tuda (atto terzo).

Diana e la Tuda (2013),

Regia: Andrea Bizzarri

Dall’Atto terzo (durata 09:37 min.)

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4. ATTIVITÀ

4.1 Tavola rotonda

Dopo aver attraversato l’opera lasciamo ora emergere quelle questioni che rendono Pirandello e

la sua arte intramontabili. In un dialogo fra pari, in cui l’insegnante fungerà da facilitatore, gli alunni potranno rispondere alle questioni somministrate nella Presentazione, crearne di nuove,

intervenire, avanzare ipotesi, gestendo quindi in autonomia il flusso di pensieri, di osservazioni, e

ricondurli al loro vissuto. Il contesto favorirà la costruzione sociale della conoscenza, la condivisione delle

esperienze, lo sviluppo di abilità metalinguistiche nella prospettiva di un apprendimento cognitivo e anche

socio-relazionale.

Clicca sull’icona Presentazione per accedere alla sezione.

4.2 Laboratorio di scrittura: dall’immagine alla parola

I temi trattati in questo percorso riconducono sicuramente gli studenti alla loro esperienza personale.

Molti racconti nascono dal vissuto di chi li scrive: anche chi si cimenta per la prima volta attinge in

qualche modo ai ricordi e agli eventi della propria vita. Si suggeriscano agli alunni le attività qui

riportate:

1. Osserva le immagini relative alla messa in scena di Diana e la Tuda contenute nella Galleria Multimediale

al link seguente:

Clicca sull’icona per accedere alla Galleria;

2. Scegli un personaggio e immagina una storia che possa dargli vita nel contesto della società attuale;

3. Scrivi un racconto, con l’aiuto delle parole chiave di Diana e la Tuda, rappresentate nella pagina

successiva.

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PERCORSO DIDATTICO DIANA E LA TUDA QUANTO CONTA L’IMMAGINE?

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LE PAROLE DI DIANA E LA TUDA

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La tragedia pirandelliana

PERCORSI DIDATTICI

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PERCORSO DIDATTICO LA TRAGEDIA PIRANDELLIANA

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1. PIRANDELLO E NOI

Nel complesso sistema culturale della modernità sono venuti meno i valori tradizionali e tutto pare instabile e transitorio. La crisi e lo smarrimento sembrano a volte farla da padroni. Pirandello sentì profondamente il rischio e il dramma dell’inconsistenza, della mancanza di punti di riferimento e lo espresse nel suo teatro. Accanto a lui e dopo di lui, la letteratura e le arti del Novecento hanno rappresentato questa condizione tragica. Per scoprire in che modo siano state tradotte in immagini queste tematiche, si rinvia alla Presentazione.

Clicca sull’icona Presentazione per accedere alla sezione.

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PERCORSO DIDATTICO LA TRAGEDIA PIRANDELLIANA

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2. PIRANDELLO COMMENTA PIRANDELLO

Siamo personaggi o siamo uomini? Interpretiamo un ruolo o siamo padroni di noi stessi? Viviamo immersi in una realtà che è ingannevole o autentica? Il dubbio che insidia le certezze è il cuore della crisi esistenziale dell’uomo moderno nonché il fulcro del senso del tragico per Pirandello. Tutto si gioca nel rapporto tra le costruzioni fittizie di noi stessi e le lacerazioni che improvvisamente mettono in crisi l’edificio che ci siamo costruiti. In una lettera indirizzata a Filippo Sùrico, direttore del periodico romano «Le Lettere», Pirandello scrive:

Io penso che la vita è una molto triste buffoneria, poiché abbiamo in noi, senza poter sapere né come né perché né da chi, la necessità d’ingannare di continuo noi stessi con la spontanea creazione di una realtà (una per ciascuno e non mai la stessa per tutti) la quale di tratto in tratto si scopre vana e illusoria.

Chi ha capito il giuoco, non riesce più ad ingannarsi; ma chi non riesce più ad ingannarsi non può più prendere né gusto né piacere alla vita. Così è. La mia arte è piena di compassione amara per tutti quelli che s’ingannano; ma questa compassione non può non essere seguita dalla feroce irrisione del destino, che condanna l’uomo all’inganno.

Luigi Pirandello, «Le Lettere», 15 ottobre 1924.

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PERCORSO DIDATTICO LA TRAGEDIA PIRANDELLIANA

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3. RACCONTARE PIRANDELLO

3.1 Tra antico e moderno

Ma non è sempre stato così. C’è stato un tempo in cui gli uomini hanno potuto vivere in maniera serena e rassicurante la loro dimora sulla terra. Un tempo antico in cui ci si poteva sentire eroi e imperatori del proprio mondo. La modernità è la fine di questa condizione. Torniamo dunque al testo del Fu Mattia Pascal e avviciniamoci al famoso “strappo nel cielo di carta” che abbiamo evocato a proposito del Truman Show.

Clicca sull’icona Audiolibro per ascoltare il brano (e termina al min. 2:14). (Fonte: https://librivox.org)

Attraverso le parole di Paleari, Pirandello suggerisce il confronto tra l’Elettra di Sofocle e l’Amleto di Shakespeare. Mentre nella tragedia classica l’eroe, che fa riferimento a un sistema saldo di certezze, va dritto al proprio scopo e si vendica della madre, nella tragedia shakespeariana Amleto, pur volendo vendicare il padre, si mostra incapace di agire, perplesso e travolto da infiniti dubbi, riflettendo le incertezze della sua epoca e dunque la rottura dell’ordine costituito («il tempo è scardinato», dice Amleto). Rispetto alla determinazione dell’eroe classico, come l’Oreste di Sofocle, l’eroe moderno non è più un personaggio unitario. Egli è ormai incapace di vivere e di agire poiché consapevole dell’inconsistenza dei sistemi fissi di valori e privo sostanzialmente di calore umano.

XII: L'occhio e Papiano

— La tragedia d'Oreste in un teatrino di marionette! — venne ad annunziarmi il signor Anselmo Paleari. — Marionette automatiche, di nuova invenzione. Stasera, alle ore otto e mezzo, in via dei Prefetti, numero cinquantaquattro. Sarebbe da andarci, signor Meis. — La tragedia d'Oreste? — Già! D'après Sophocle, dice il manifestino. Sarà l'Elettra. Ora senta un po', che bizzarria mi viene in mente! Se, nel momento culminante, proprio quando la marionetta che rappresenta Oreste è per vendicare la morte del padre sopra Egisto e la madre, si facesse uno strappo nel cielo di carta del teatrino, che avverrebbe? Dica lei. — Non saprei, — risposi, stringendomi ne le spalle. — Ma è facilissimo, signor Meis! Oreste rimarrebbe terribilmente sconcertato da quel buco nel cielo. — E perché? — Mi lasci dire. Oreste sentirebbe ancora gl'impulsi della vendetta, vorrebbe seguirli con smaniosa passione, ma gli occhi, sul punto, gli andrebbero lì a quello strappo, donde ora ogni sorta di mali influssi penetrerebbero nella scena, e si sentirebbe cader le braccia. Oreste, insomma, diventerebbe Amleto. Tutta la differenza, signor Meis, fra la tragedia antica e la moderna consiste in ciò, creda pure: in un buco nel cielo di carta. E se ne andò, ciabattando. Dalle vette nuvolose delle sue astrazioni il signor Anselmo lasciava spesso precipitar così, come valanghe, i suoi pensieri. La ragione, il nesso, l'opportunità di essi rimanevano lassù, tra le nuvole, dimodoché difficilmente a chi lo ascoltava riusciva di capirci qualche cosa.

L. Pirandello, Il fu Mattia Pascal (1904)

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PERCORSO DIDATTICO LA TRAGEDIA PIRANDELLIANA

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3.2 Oltre il testo

Proviamo a misurare la distanza che intercorre fra la tragedia antica e quella moderna leggendo e guardando gli epiloghi di Agamennone, di Amleto e di Diana e la Tuda.

Clicca sulle icone Testo per leggere il testo integrale in lingua italiana o originale. Clicca sull’icona Teatro per visualizzare le scene.

Agamennone, Eschilo

Amleto, Shakespeare Diana e la Tuda, Pirandello

Orestea (2010) Regia: Angelo Tonelli (durata 03:45 min.)

Teatro Astoria di Lerici (Fonte: www.yuoutube.it)

Amleto (2005) Regia: Piero Ferrarini (durata 07:27 min.)

Teatro Dehon di Bologna (Fonte: www.yuoutube.it)

Diana e la Tuda (2013) Regia: Andrea Bizzarri (durata 07:10 min.)

Colosseo Nuovo Teatro di Roma (Fonte: http://www.e-performance.tv)

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PERCORSO DIDATTICO LA TRAGEDIA PIRANDELLIANA

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4. ATTIVITÀ

4.1 Osservazioni linguistiche

Vengono qui proposti di seguito tre grafici, comprendenti le venti parole semanticamente più pregnanti tra le prime cento a più alta frequenza dell’Agamennone di Eschilo, dell’Amleto di Shakespeare e di Diana e la Tuda di Pirandello. Si ricostruiscano i campi semantici fondamentali (es.: il campo semantico del 'morire' in Agamennone), e si isolino le parole statisticamente più rilevanti (es.: ‘sganciare’ in Diana e la Tuda). Si otterrà così una mappa linguistica di ogni tragedia, attraverso cui si potranno mettere in luce i tratti comuni e le differenze fra le tre opere.

Clicca sull’icona Statistiche per visualizzare le liste di parole.

4.2 Riscrittura creativa

Ora chiediamoci: che rapporto c’è tra i finali delle tragedie e l’elenco dei lemmi più frequenti? Si invitino gli alunni a costruire un testo a più mani, inventando liberamente la connessione tra le liste delle parole e le immagini già presenti nel percorso. Gli studenti potrebbero dividersi in gruppi autogestiti, nei quali ognuno avrà il compito di redigere una parte della storia mediante supporti

informatici. La riscrittura creativa mette in gioco abilità di tipo linguistico, cognitivo e pragmatico e ha lo scopo di rendere più familiari i contenuti letterari creando le condizioni per una loro migliore appropriazione.

Per una didattica multimediale con modalità cooperative si propone, tra gli altri, l’utilizzo di strumenti quali Google drive (per la condivisione di documenti e la scrittura creativa a più mani) e Samepage (per la programmazione e l’assegnazione di attività di gruppo, e la condivisione di documenti).

Agamennone, Eschilo Amleto, Shakespeare Diana e la Tuda, Pirandello

Fonte: Thesaurus Linguae Graecae

Fonte: Concordance of Shakespeare’s works

Fonte: Edizione Nazionale digitale Pirandello

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PERCORSO DIDATTICO ENRICO IV PIRANDELLO PER RUGGERI

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Enrico IV

Pirandello per Ruggeri

PERCORSI DIDATTICI

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PERCORSO DIDATTICO ENRICO IV PIRANDELLO PER RUGGERI

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1. PIRANDELLO E NOI

Sei personaggi in cerca d’autore e Enrico IV sono le opere che consacrano Pirandello drammaturgo di fama internazionale. L’Enrico IV negli anni è stato messo in scena da interpreti eccezionali. Si tratta forse dell’opera pirandelliana che più ha sfidato i grandi attori e li ha indotti a scommettere su questo personaggio fascinoso e inquietante. Enrico IV è dunque il punto di osservazione migliore per capire il rapporto tra Pirandello, i suoi drammi e i suoi attori.

Clicca sull’icona Presentazione per accedere alla sezione.

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2. PIRANDELLO COMMENTA PIRANDELLO

Nel dicembre 1923 Pirandello sbarca nel Nuovo Mondo e si reca a New York, dove vengono rappresentati da dicembre a febbraio del successivo anno al Fulton Theatre (che per l’occasione muta il nome in Pirandello’s Theatre) quattro dei suoi drammi. Ecco due interviste a Pirandello alla stampa italiana dell’epoca.

«Corriere della Sera», 8 marzo 1924

Le impressioni d’America di Luigi Pirandello

[…] Quando giunsi a New York, al Pirandello’s Theatre erano in programma la ripresa di Sei personaggi in cerca d’autore, Enrico IV, Così è (se vi pare) e Ciascuno a suo modo. I primi due sono stati rappresentati. Gli altri andranno in scena prossimamente. […]

Ad Enrico IV ho dovuto cambiare il titolo e intitolarlo The Living Mask: la maschera che vive. E sapete perché? Perché tutti credevano che l’Enrico IV fosse quello di Shakespeare che ormai è notissimo. In America non si vede nel teatro il nome dell’autore, ma quelli dell’impresario e degli attori. L’autore scompare. Per me è stata fatta un’eccezione. I manifesti, le réclames luminose, gli annunci dei giornali nominavano il mio impresario e anche me.

― Che accoglienza ha fatto il pubblico alle vostre opere? ― Ottima, superiore alla mia attesa.

Luigi Bottazzi

«L’Ora», 14-15 aprile 1924

Conversando con Luigi Pirandello

[…] Anche in America, come in Italia e in Francia, c’è stata della gente che ha veramente capito lo spirito del teatro pirandelliano. Fra questi un assai noto critico letterario, Stark Joung, che su «The New Republic» si è ampiamente occupato dell’Enrico IV giudicandolo l’opera più profonda del teatro europeo.

― Quale opera è piaciuta di più? ― chiedo a Pirandello, mentre egli cerca di passare ad altro. ― Il successo [di pubblico] è stato maggiore con i Sei personaggi. […] Ma la critica, ed è logico, ha

elogiato Enrico IV per la spiritualità che lo agita e via via lo consuma con un crescendo disperato. A questo successo ha contribuito in maniera speciale la messa in scena che è quanto di più lussuoso si possa immaginare; per l’allestimento scenico sono stati spessi quarantaduemila dollari: una miseria, quasi un milione di lire italiane. E il pubblico accorreva e pagava con piacere […].

Giacomo Gagliano

Interviste a Pirandello. «Parole da dire, uomo, agli altri uomini», a cura di Ivan Pupo, prefazione di Nino Borsellino, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2002, pp. 221-222 e p 236.

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3. RACCONTARE PIRANDELLO

3.1 Ruggero Ruggeri, l’attore che ha ispirato Pirandello

Esempio dell’incontro fra la creatività del drammaturgo e le peculiarità interpretative dell’attore è il rapporto tra Pirandello e Ruggero Ruggeri, per il quale l’autore siciliano compose la tragedia Enrico IV.

Clicca sull’icona Ricerca per scoprire chi era Ruggero Ruggeri. (Fonte: www.carifano.it)

Clicca sull’icona Carteggio per leggere la lettera che Pirandello invia a Ruggeri il 21 settembre 1921. (Fonte: www.carifano.it)

3.2 Sul palcoscenico: Pirandello fra gli attori

Testimonianza della scrupolosità con cui Pirandello seguiva la realizzazione delle sue opere e del magistrale sforzo interpretativo dei suoi attori, in particolare di Ruggeri, è un articolo del 21 febbraio 1922 scritto da Umberto Fracchia su «Il Messaggero», in occasione delle prove di Enrico IV al «Teatro Lirico» di Milano.

«Il Messaggero», 21 febbraio 1922

Una prova dell’Enrico IV

[…] Queste aste disadorne ed usuali saranno domani due picche o alabarde; questi dormienti, due valletti, questo trono sarà il trono di Enrico IV, e questo spazio fra le due fiancate sarà la sala del trono […].

Intorno a questa «tragedia» pirandelliana si è molto discusso [...]. Ora la curiosità del pubblico, che gremirà l’immensa sala del Lirico, quelle alte scalinate da anfiteatro romano, questa platea da Circo equestre, sta per essere appagata […]. Ma Pirandello, a teatro chiuso e vuoto, è ben diverso sa quello che apparirà al proscenio dinanzi alla moltitudine dei suoi ascoltatori e giudici. Seduto in una poltrona di vimini accanto alla buca del suggeritore, con il cappello molle a larghe tese e lisce che incominciò a crearsi una notorietà dalla copertina Bianche e nere or sono circa quindici anni, non ha quel viso sorridente, candido e paterno che conosciamo. La sua maschera vive ore tormentate e tragiche.

È il momento in cui Enrico IV, preso commiato dalla falsa duchessa Matilde di Toscana e dal falso abate di Cluny, si rivolta furibondo di sdegno e disvela improvvisamente la sua terribile lucidità spirituale. – Buffoni! Buffoni! Il grido produce sulla fronte di Pirandello un solco profondo e diritto, un taglio fra le due sopracciglia. Ruggeri, pallido, ansante, la bombetta cacciata sulla nuca, la persona convulsamente raccolta nello spasimo d’ogni nervo, si strappa e torce sul petto i risvolti del soprabito […]. […] gli occhi di Pirandello non sono meno paurosamente dilatati e fissi dei suoi.

[…] Altrettanto si può dire di questo viso solitamente sereno che ora riflette, come uno specchio, con una mobilità straordinaria e così intensamente espressiva, i sentimenti, i pensieri, le parole, gli atti del personaggio nato dalla sua fantasia, che gli appare dinanzi vivo.

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La prima andò finalmente in scena al «Manzoni» a Roma il 24 febbraio 1922: un vero successo, come leggiamo dalla stampa del giorno dopo.

Anche l’aspetto del personaggio era minuziosamente curato e collegato agli elementi della scenografia, agli effetti di luce e alle figure degli altri attori. Per la prima volta nel teatro italiano, Pirandello stesso pensava a scenografie e costumi particolari, disegnati e creati ad hoc per ogni opera allestita. Ma anche gli attori più avvezzi ai grandi palcoscenici mostravano la loro diffidenza. Ecco la reazione di Ruggeri.

continua dalla pagina precedente

Dicono che sia così non solo nei primi incontri con le sue creature, quando si trova, come ora, faccia a faccia con esse e a pochi passi, e le vede materialmente plasmarsi, ma sempre, anche quando ascolta una propria commedia dopo molto tempo e da spettatore lontano, in teatro. […]

Infatti Ruggeri ha appena pronunciato l’ultima battuta del secondo atto (un finale in cui, al tumulto della passione, succede una pacata, sorda, minacciosa calma: un ordine che prepara lo scatenarsi della catastrofe del terzo atto) e non riesce a cancellare dal suo viso i segni del tormento di Enrico e quelli della fatica con tanto sforzo sostenuta. […] Va bene. Pirandello è contento. Si volta verso il teatro vuoto e sembra che lo pensi pieno e tumultuoso. Crede fermamente che Enrico IV prenderà gli spettatori, li costringerà a rivivere il suo dramma d’amore, a sentire pietà per la sua sfortuna e a partecipare alle sue idee sulla pazzia. […]

Gli occhi di Pirandello sembrano commentare: – Ci divertiremo, vedrete, Fracchia… Ma Talli batte le mani e richiama tutti all’ordine. […]

Umberto Fracchia

Interviste a Pirandello. «Parole da dire, uomo, agli altri uomini», a cura di Ivan Pupo, prefazione di Nino Borsellino, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2002, pp. 145-147.

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Ruggeri […] era inorridito all’idea di dover indossare un abito di scena nuovo, disegnato apposta per l’allestimento dell’Enrico IV. Protestava, perché voleva usare il suo solito «costume nero» con cui, diceva, aveva sempre ottenuto tutti i suoi grandi successi e non lo voleva cambiare per tutto l’oro del mondo. E bisognava spiegargli a lungo e con pazienza che la tunica viola che gli avevano preparato si armonizzava con gli abiti degli altri personaggi, e valorizzava gli effetti di luce e dei proiettori. Ma perché poi fosse necessario prendersi tanta briga di tutte queste inezie, era cosa che continuava a sfuggirgli.

Claudio Vicentini, Pirandello. Il disagio del teatro, Venezia, Marsilio, 1993, pp. 125-126.

«Il Corriere della Sera», 25 febbraio 1922

La cronaca è presto fatta ed è lietissima: un pubblico a volte sorpreso, a volte rallegrato, avolte incuriosito, a volte commosso ed esaltato, e, dopo due o tre scene, interamente conquistato. […] Così all’attenzione profonda e silenziosa succedettero, alla fine degli atti, grandi e ripetuti scrosci d’applausi. Cinque chiamate dopo il primo atto, cinque dopo il secondo, sei dopo il terzo. E l’autore si dovette presentare alla ribalta tra i suoi mirabili interpreti.

Renato Simoni

Luigi Pirandello, Maschere nude, Milano, Mondadori, vol. II, 1993, p. 770 («I Meridiani»).

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Clicca sull’icona per accedere alla Galleria e visualizzare alcuni elementi della scenografia e l’abito di scena di Ruggeri.

3.3 Il «divino» Ruggeri

Le capacità interpretative di Ruggeri avevano conquistato tanto il pubblico quanto la critica, e i personaggi da lui interpretati gli sono quasi sempre debitori. Gedda ha definito la sua recitazione «cinica, prodotta da un misto di distacco, di statuarietà, di superiore aristocratica eleganza» (Lido Gedda, L’Enrico IV di Pirandello da H. Prutz a G. Pitoëff, Torino, Tirrenia Stampatori, 1988, p. 76). La sua formazione attorale prende avvio da una educazione prevalentemente classica e da una fine sensibilità lirica che lo accompagnerà nella sua lunga e onorata carriera. Suggeriamo di ascoltare la viva voce di Ruggeri e i suoi virtuosismi vocali nella lettura dell’Enrico IV.

Clicca sull’icona Audiolibro per ascoltare la lettura di Ruggeri. (La fonte relativa all’audiolibro di Ruggeri all’interno del presente percorso didattico è: http://www.studiodiluigipirandello.it/audioteca-digitale/)

I tratti della sua recitazione così definiti dalla critica.

La voce esile era dotata di una frequenza sonora tale da essere perfettamente udita in qualsiasi punto della scala, così che il suono si espandeva uniforme dalla platea alla balconata, eliminando, per via naturale, la differenza classista tra il pubblico delle prime file e il resto dell’uditorio. […]

Aristocratico e sdegnoso Ruggeri lo era sulla scena come nella vita: spirito solitario, schivo, restio ad incontrare amici o a rilasciare interviste […]. Gran signore appariva sul palcoscenico, qualsiasi parte fosse chiamato ad interpretare, sembra infatti che nelle sue mani anche l’opera meno significativa assumesse toni e valore impensabili, grazie alla sola sua arte.

Lido Gedda, L’Enrico IV di Pirandello da H. Prutz a G. Pitoëff, Torino, Tirrena Stampatori, 1988, pp. 77-78.

Amava il trucco sobrio, la recitazione pulita, il rispetto del testo, la massima distinzione, insomma: una elegante educata, appropriata, recitazione. […] E se durante una recita volava qualche fischietto o si avvertiva il nervosismo del pubblico, Ruggeri si fermava, fissava la platea e quando la calma e il silenzio erano ristabiliti, riprendeva a recitare.

Nino Besozzi, Cosa farai quando sarai grande?, Milano, Ceschina, 1965, p. 93.

La recitazione di Ruggeri è, in realtà, in modo apparente e immediato, piuttosto in tono minore: il registro della sua voce è strettissimo (si può dire che non tocca nemmeno l’estensione di un’ottava) e le sue note sono limitate assai spesso al falsetto, se potessero essere indicate secondo la convenzione musicale, le sue parole risulterebbero “sopra le righe”, e la più gran parte con un rispettabile numero di “tagli di gola”. […] È un attore che volentieri definiremmo insinuante: quando parla non ha mai l’aria di affermare, ma piuttosto di suggerire.

Alberto Cecchi, La parete di cristallo, Milano, Bompiani, 1943, pp. 99-100.

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Gobetti ricorda come in Ruggeri:

3.4 Oltre il testo.

Soffermandoci sul monologo di Enrico IV, si propone il raffronto dell’interpretazione di Ruggeri del 1961 (per la regia di Eugenio Salussolia) con quella di Salvo Randone del 1967 (per la regia di Claudio Fino).

Clicca sull’icona Testo per leggere il monologo di Enrico IV. Clicca sull’icona Audiolibro per ascoltare la lettura di Ruggeri. Clicca sull’icona Teatro per visualizzare la stessa scena sul palcoscenico.

Enrico IV, Pirandello

II atto

Ruggero Ruggeri in Enrico IV (1961), Regia di Eugenio Salussolia (II atto, min. 21:15-25:30).

Enrico IV (1967), Regia di Claudio Fino (II atto, durata 06:30). Fonte: www.youtube.it)

la freddezza del calcolo tempera le lusinghe della voce cantata, e il distinguere quasi accentuandole con monotono istinto le finali di parola conferisce al discorso una nobiltà stanca, alleviata talora da scatti di mobilità nervosa.

Piero Gobetti, Un mistico dell’aristocrazia, in Scritti di critica teatrale, Torino, Einaudi, 1974, p. 620.

La sua arte non consiste nel recitare ma nell’interpretare. Ogni personaggio è da lui lentamente assimilato traverso varie letture interrotte sovente da lunghe pause – mesi talvolta – diciamo così digestive. […] I silenzi e le allusioni si preferiscono all’oratoria. […] Il dolore rimane dentro soffocato, conscio dell’inutilità di ottenere sfogo, di chiedere aiuto, di ricevere conforto; rimane dentro a rodere il pensiero, a straziare il cuore, a disperare. Esso è oggi un segreto che si porta in solitudine, con dignità. […] Per questa nuova psicologia Ruggeri ha trovato forme espressive di naturalezza e di vigorosità.

Ermanno Contini, Volto e anima del grande attore, in «Il dramma», n. 324, 1940, p. 26.

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4. ATTIVITÀ

4.1 Confronto

Abbiamo ascoltato la registrazione sonora dell’Enrico IV interpretato da Ruggero Ruggeri. Sulla base dei materiali audio-visivi e dei giudizi critici – inerenti, ad esempio, al tono, alla pronuncia, alle pause o ai gesti, – si proponga agli allievi di comparare le interpretazioni dei quattro attori (Ruggeri, Benassi, Randone e Mastroianni) con la tecnica del brainstorming.

Si invitino, infine, gli alunni ad immaginare di essere i registi di un film tratto dalla stessa tragedia: a quale attore contemporaneo, noto al grande pubblico, affiderebbero il ruolo di Enrico IV? Quali caratteristiche dovrebbe avere dunque l’interprete?

4.2 Transcodificazione del testo letterario

Nella prospettiva della valorizzazione dei canali comunicativi e di una loro interazione, si proponga alla classe, divisa per gruppi di lavoro, la riscrittura del monologo di Enrico IV in chiave moderna e la sua successiva traduzione in un testo cinematografico o musicale mediante l’utilizzo di device audio-visivi. Nel panorama delle tecniche dell’educazione letteraria, quella della transcodificazione

permette agli alunni di riflettere in modo critico sul testo, favorendo tra gli stili cognitivi quelli verbali, visivi e pragmatici; ai docenti di verificare l’abilità di comprensione degli studenti, assistendo alle fasi di elaborazione e riservandosi la possibilità di intervenire, quando necessario, durante il percorso di trasformazione del testo.

Per la condivisione di documenti e la scrittura creativa, si suggerisce, tra gli altri, l’utilizzo di strumenti quali Google drive; mentre tra i software di editing video (montaggio e post produzione) si segnalano: Avidemux (per Windows/macOS/ Linux); AVS Video Editor (Windows); Windows Live Movie Maker (Windows); Free Video Joiner (Windows); iMovie (macOS); Final Cut Pro (macOS); Pinnacle Studio (Windows).

Ruggero Ruggeri

Memo Benassi

Salvo Randone

Marcello Mastroianni

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PERCORSO DIDATTICO

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RINGRAZIAMENTI Per la realizzazione dei Percorsi didattici e il reperimento dei materiali relativi alle Risorse multimediali si ringraziano per l’accoglienza e l’agevolazione nelle ricerche bibliografiche l’Archivio di Stato di Roma,

l’Archivio storico della Camera dei Deputati (in particolare il dott. Paolo Massa, Sovrintendente all’archivio, e

il dott. Paolo Evangelisti, documentarista bibliotecario) e l’Istituto per la Storia del Risorgimento italiano di

Roma (nelle persone del dott. Marco Pizzo, vicedirettore del Museo Centrale del Risorgimento italiano, e del

prof. Giuseppe Monsagrati, membro del Comitato Scientifico dell’Istituto).

Si ringraziano inoltre la prof.ssa Annamaria Andreoli, in qualità di Presidente dell’Istituto di Studi Pirandelliani

e del Teatro Contemporaneo di Roma, la Biblioteca delle Scienze dell’Antichità, Filologico-letterarie e Storico-

artistiche, Biblioteca delle Scienze Giuridiche, Biblioteca delle Scienze Pedagogiche e Psicologiche, Biblioteca

delle Scienze Politiche e Sociali e la Biblioteca Regionale Universitaria Giambattista Caruso dell’Ateneo

dell’Università degli Studi di Catania, la Biblioteca della Società di Storia Patria per la Sicilia orientale e la Casa

Museo Regionale Luigi Pirandello di Agrigento.

Per la cartografia si ringraziano i siti agrigentoierieoggi.it e il prof. Elio Di Bella per le carte storiche della città

di Agrigento e stagniweb.it per le mappe storiche della città di Roma.

Infine, un ringraziamento va alle compagnie teatrali del Colosseo Nuovo Teatro per le scene di Diana e la Tuda,

del Teatro Astoria di Lerici per l’Orestea, del Teatro Dehon-Teatro Stabile dell’Emilia Romagna per l’Amleto e a

Marialaura Garrotto per la voce de I vecchi e i giovani.

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www.librimondadori.it

I vecchi e i giovani, Le tragedieStrumenti per la scuoladi Laura Giurdanella© 2018 Mondadori Libri S.p.A., MilanoEbook ISBN 9788852089572

COPERTINA || GIOIA GIUNCHI