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1 IL BILANCIO DI COMPETENZE QUALE INNOVATIVO STRUMENTO DI HUMAN RESOURCE DEVELOPMENT PER LE IMPRESE DEL MERCATO GLOBALE Prof. Massimo FRANCO Professore Ordinario di Organizzazione Aziendale Università degli Studi del Molise Dott. Nicola D’ANGELO Professore a contratto di Comportamento Organizzativo Università degli Studi del Molise 1. Abstract Il presente lavoro di ricerca si pone come obiettivo l’integrazione dei quattro modelli di approccio al bilancio delle competenze esposti da Levy- Leboyer (1996). Tale tentativo si prefigge di superare i limiti impliciti nei modelli summenzionati e tenta di utilizzare lo strumento “Bilancio di competenze” diversamente da quanto finora praticato nel contesto nazionale. Difatti, tale strumento non vuole essere indirizzato solo ai soggetti in cerca di occupazione, ma si cerca di utilizzarlo come strumento di gestione e sviluppo del personale. Attraverso tale utilizzo è possibile ottenere una duplicità di vantaggi. Per i lavoratori e per le aziende. L’obiettivo dei lavoratori consiste in una maggiore consapevolezza del proprio bagaglio di competenze e nella possibilità di ridefinire il proprio status lavorativo; quello delle aziende, invece, mira ad utilizzare parte dei risultati che derivano da tale strumento per programmare uno sviluppo personale e professionale del lavoratore o per modificare la microstruttura del lavoro rendendo maggiormente efficace ed efficiente l’utilizzo delle proprie risorse umane. Per tutti questi motivi, il contenuto del bilancio di competenze è stato articolato in modo che accanto ai normali strumenti di rielaborazione e sviluppo delle competenze possedute dai lavoratori si affiancassero strumenti diversi, finalizzati per lo più alle fasi di selezione e valutazione del personale.

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IL BILANCIO DI COMPETENZE QUALE INNOVATIVO STRUMENTO DI HUMAN

RESOURCE DEVELOPMENT PER LE IMPRESE DEL MERCATO GLOBALE

Prof. Massimo FRANCO Professore Ordinario di Organizzazione Aziendale

Università degli Studi del Molise

Dott. Nicola D’ANGELO Professore a contratto di Comportamento Organizzativo

Università degli Studi del Molise

1. Abstract

Il presente lavoro di ricerca si pone come obiettivo l’integrazione dei quattro modelli di approccio al bilancio delle competenze esposti da Levy-Leboyer (1996). Tale tentativo si prefigge di superare i limiti impliciti nei modelli summenzionati e tenta di utilizzare lo strumento “Bilancio di competenze” diversamente da quanto finora praticato nel contesto nazionale. Difatti, tale strumento non vuole essere indirizzato solo ai soggetti in cerca di occupazione, ma si cerca di utilizzarlo come strumento di gestione e sviluppo del personale. Attraverso tale utilizzo è possibile ottenere una duplicità di vantaggi. Per i lavoratori e per le aziende. L’obiettivo dei lavoratori consiste in una maggiore consapevolezza del proprio bagaglio di competenze e nella possibilità di ridefinire il proprio status lavorativo; quello delle aziende, invece, mira ad utilizzare parte dei risultati che derivano da tale strumento per programmare uno sviluppo personale e professionale del lavoratore o per modificare la microstruttura del lavoro rendendo maggiormente efficace ed efficiente l’utilizzo delle proprie risorse umane. Per tutti questi motivi, il contenuto del bilancio di competenze è stato articolato in modo che accanto ai normali strumenti di rielaborazione e sviluppo delle competenze possedute dai lavoratori si affiancassero strumenti diversi, finalizzati per lo più alle fasi di selezione e valutazione del personale.

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2. Il concetto di competenza

Il concetto di competenza rappresenta l’oggetto di studio di moltissimi campi di indagine: dalle discipline pedagogiche, alla formazione professionale e manageriale, allo studio e analisi delle carriere professionali, dalla gestione della risorsa uomo nelle organizzazioni, alla psicologia differenziale o vocazionale, all’orientamento professionale e alle varie forme di counseling. In tali ambiti di ricerca e d’intervento prendono corpo modi di pensare la competenza che veicolano modelli diversi di persona e di lavoratore, che attribuiscono più o meno rilevanza all’esperienza, che differenziano i livelli di valutazione e che predefiniscono il campo di applicazione concreta.

L’etimologia del termine competenza (competentia, tardo latino) rimanda non tanto al possesso di contenuti conoscitivi specifici bensì alle dimensioni di “appropriatezza”, “armonia” e “corrispondenza” attraverso le quali l’individuo si mette in relazione con le richieste del contesto lavorativo. Da un punto di vista teorico (Boyatzis, 1982; McClelland, 1985; Sparrow e Boam, 1992; Spencer e Spencer, 1993), l’approccio per competenze ha visto un forte sviluppo che ha determinato un proliferare di definizioni teoriche e di applicazioni aziendali. In sintesi, è però possibile individuare due approcci contrapposti.

Il primo filone, razionale-strategico sistemico, insiste sull’individuazione di competenze a livello aziendale, da cui derivare le competenze necessarie ai singoli per potere operare (Rullani, 1994; Nonaka e Takeuchi, 1995; Prahalad e Hamel, 1990); in questo modo si afferma l’idea che una organizzazione crea conoscenza e questa possa essere archiviata e diffusa. In pratica, le competenze del personale vengono dedotte dalle “core competence” dell’ente. Secondo Pralahad e Hamel le competenze distintive (core competences) sono quelle che distinguono l’azienda e ne determinano il vantaggio competitivo.

Secondo questo approccio, è importante evidenziare le competenze distintive aziendali, che permettono di offrire uno specifico vantaggio al cliente. Le competenze richieste ai singoli sono dedotte dalle competenze core aziendali; il percorso logico di questo approccio è centrato sulla definizione dei processi aziendali nel cui ambito si definiscono i ruoli e da essi si derivano i comportamenti. Il merito di questo approccio è quello di considerare le competenze aziendali come un processo di apprendimento attraverso il quale l’organizzazione costruisce la sua identità, e un sistema di conoscenze e comportamenti collettivi (Boldizzoni e Manzolini, 2000).

Il secondo approccio, di tipo psicologico-individuale, parte dal basso e tende a individuare le competenze dei singoli, al fine di evidenziare quelle

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caratteristiche che contraddistinguono i best performers (Polanyi, 1962; McClelland, 1971; Kolb, 1984; Boyatzis, 1982; Spencer e Spencer, 1993), in funzione del fatto che la conoscenza rimane innanzitutto un fatto personale e i processi di sua condivisione e diffusione trovano fondamento nelle competenze individuali. Per questa ragione, questo approccio che appare più concreto e legato al capitale detenuto sottolinea il ruolo centrale dei sistemi di gestione del personale come agenti dello sviluppo delle competenze individuali.

Tale approccio, centrato sulle competenze individuali, ha generato molte applicazioni operative. McClelland, Boyatzis e Spencer hanno evidenziato come le persone che hanno prestazioni più elevate abbiano competenze diverse dagli altri. Per essi le competenze sono così caratteristiche intrinseche della persona.

Tuttavia, accanto agli approcci statunitensi, vi sono modalità più vicine alle culture organizzative europee, nelle quali non si può prescindere dalle attitudini e dalla struttura della personalità sottesa. È fondamentale, a tal proposito, il contributo fornito da Claude Lévy-Leboyer, che sottolinea come sia necessario operare “una chiara distinzione tra attitudini, tratti della personalità e competenze” (Giovannetti e Ruffini, 2007). I primi due fattori consentono di individuare le caratteristiche delle persone, nonché di spiegarne le loro varianze comportamentali nell’esecuzione di un compito definito; i secondi sono relativi alla messa in azione integrata di attitudini, di tratti della personalità e di conoscenze acquisite per condurre a buon fine una missione complessa nel quadro dell’impresa di cui è parte e in rapporto allo spirito delle sue strategie e della sua cultura (Lévy-Leboyer, 1993; 1996). Ecco che assume rilevanza l’importanza che viene annessa alla stima di sé e all’immagine di sé in quanto hanno una fondamentale funzione nella modalità di “comunicazione delle competenze” (Lévy-Leboyer, 1996). Il modello delle competenze di questo autore è alla base dell’approccio del bilancio di competenze, che nasce e si sviluppa in Francia non tanto come metodica di orientamento, quanto piuttosto come azione finalizzata allo sviluppo della professionalità dei lavoratori, strettamente correlata alla formazione continua. 3. Bilanci di competenze e correnti teoriche

Il Bilancio di competenze può essere considerato un’occasione grazie al quale il soggetto ha l’opportunità di sviluppare una maggior conoscenza di sé e una maggiore conoscenza dei contesti sociali ed organizzativi in cui è inserito e contestualmente ha la possibilità di negoziare, in primo luogo con sé stesso, un progetto di sviluppo realistico di crescita socio-professionale (Ruffini e Sarchielli, 2001). Il concetto di Bilancio delle competenze nasce e si sviluppa

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in Francia agli inizi degli anni ‘90, dove già nel 1971 era stato sancito il diritto alla formazione continua (Russo, 2001).

In Italia il riconoscimento legislativo del Bilancio delle competenze è giunto solo nel 2003 con la Riforma Biagi, che ha inteso colmare il gap tra realtà aziendale e aspetti normativi, in conformità con gli orientamenti comunitari in materia di occupazione e formazione continua (Russo, 2001). A tuttora, però, manca sia una regolamentazione vera e propria che un riconoscimento sociale del vero valore del suo utilizzo.

L’obiettivo del Bilancio di competenze è quello di permettere agli adulti, occupati o in cerca di occupazione, di individuare le proprie competenze e di definire un progetto professionale che può includere o non includere una formazione.

Quindi, il bilancio di competenze può essere indirizzato ad un duplice target di soggetti: da un lato esso si rivolge a persone che hanno già maturato esperienze lavorative, e che intendono svilupparne nuove o proporsi in altri settori professionali; dall’altro, è diretto a giovani inoccupati che si preparano a entrare nel mondo del lavoro e a coloro che desiderano pianificare un reinserimento lavorativo dopo un periodo di assenza per far ripartire la propria carriera.

Secondo Lemoine (2002) è importante situare i Bilanci di Competenze in una prospettiva maggiormente aziendale. Infatti, è utile mantenere la possibilità data alle persone di trovare uno spazio di riflessione sul loro orientamento professionale. La rapidità dei cambiamenti, la fluidità delle professioni, la flessibilità delle situazioni richiedono l’esistenza di luoghi e tempi nei quali gli individui possano fare il punto, individuare le proprie competenze ed elaborare un progetto di crescita personale e professionale.

Tuttavia, è necessario fare del bilancio un modo di regolare il rapporto tra le aziende e i lavoratori, in quanto esso può rappresentare un aiuto nella gestione delle competenze da parte delle imprese ed una spinta al successo delle trasformazioni del lavoro in corso.

Il rischio sarebbe, infatti, di limitare il bilancio ad una popolazione di non occupati, come sostegno sociale nei periodi di crescita, mentre può svolgere il proprio ruolo in una gestione delle evoluzioni delle competenze all’interno delle stesse aziende (Lemoine, 2002).

La gestione di competenze nuove, che permette alle aziende di svilupparsi, presuppone che si disponga di strutture che permettano agli occupati di definire

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meglio le loro competenze, di sapere con più chiarezza quale formazione professionale sarà la più adeguata per loro in vista di un’evoluzione professionale e di una migliore capacità di rispondere ai cambiamenti della loro azienda.

Come pratica, il bilancio di competenze si trova al punto di congiunzione di diverse correnti teoriche :

o la corrente dell’orientamento scolastico (Batini e Giaconi, 2006): il bilancio si avvicina in primo luogo ai percorsi di orientamento scolastico e professionale già esistenti per i giovani e gli adolescenti scolarizzati. Molti aspetti coincidono, come il fatto di interessarsi ad una persona in particolare, di consentirle l’accesso alla documentazione sulle professioni e sulle opportunità formative, di utilizzare dei test per individuare le potenzialità o gli ambiti di interesse;

o l’approccio clinico (Rossi e Bastianelli, 1988): il bilancio è simile ad una pratica clinica nel senso che corrisponde ad un approccio personalizzato. Ogni individuo è trattato come un caso unico, originale e gli viene prestata un’attenzione particolare. Vi si ritrovano anche i metodi clinici basati sull’ascolto, sul colloquio approfondito, sul dialogo e su una sollecitazione a facilitare la riflessione personale dell’interessato, considerando che la sa soggettività può essere chiarita e costituire il punto di partenza di una ristrutturazione interna;

o l’approccio interattivo (Bruner, 1975a; 1975b; 1977; 1981; 1982; Camaioni, 1978; Harré, 1986): nel bilancio di competenze si arriva ad una situazione in cui si verifica un’interazione forte tra il consulente e il soggetto interessato. Questa relazioni si instaura fin dal primo momento e si rafforza nel corso del tempo. Si può dunque considerare il bilancio come una situazione di interazione o di comunicazione interattiva; questo approccio può essere chiarificatore nella misura in cui la relazione è centrale. In altre parole, è necessario che la comunicazione e il peso della relazione non si sposti eccessivamente su uno dei due poli;

o il riferimento al modello di “emprise” analitica (Pages et al., 1979): un altro approccio che si colloca sempre nel quadro delle nozioni d’interazione, dell’ambito psico-sociale e del sistema d’interazioni, è definito con la denominazione di “emprise” analitica. Questa nozione permette di trattare le situazioni in cui dei soggetti umani si trovano ad essere studiati, osservati scientificamente, analizzati nel loro comportamento o nelle loro caratteristiche e quindi meglio conosciuti, da altri o talvolta da loro stessi (Lemoine, 1994). S’ipotizza che questa

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conoscenza su di sé crei una componente relazionale forte e coinvolgente, trasformando le interazioni in corso. La nozione di “emprise” esprime questa determinazione esercitata da un polo sull’altro e indica che questo concetto scaturisce dall’attività di analisi scientifica esercitata da altri. Poiché il bilancio di competenze riguarda delle informazioni che si riferiscono direttamente alle persone, può essere considerato partendo da questo modello teorico e ciò sotto vari aspetti: la raccolta di informazioni su di sé, l’attenzione su di sé, gli strumenti di osservazione, la variazione di influenza e la restituzione dei risultati.

4. Modelli di sviluppo di un bilancio di competenze

Le diverse correnti teoriche sopra richiamate hanno dato vita e influenzato i successivi modelli di sviluppo dei bilanci di competenze. In tale senso, risalta la classificazione di Levy-Leboyer (1993) che, ripresa sostanzialmente da tutti gli autori italiani che hanno esaminato il tema del bilancio, ha costituito e costituisce un faro di riferimento nella lettura dell’esistente. Muovendo da questa classificazione, che scaturiva dalle analisi concrete di ciò che gli operatori di bilancio mettevano in atto quando si accingevano a svolgere questo compito, si può dare l’avvio successivamente ad una riflessione critica e pervenire ad un modello integrato di grande Bilancio di competenze sulla base delle sperimentazioni già effettuate da Di Fabio (2002; 2004 ).

I modelli che Levy-Leboyer ha ravvisato sono:

o l’approccio relazionale, come intervento non direttivo centrato sulla persona. Le direttrici di riferimento sono la Psicologia Umanistica, per cui il focus attentivo è sulla relazione interpersonale;

o l’approccio differenziale, fondato sulla misurazione delle differenze interindividuali e nel postulato dell’esistenza di caratteristiche stabili, misurabili che siano abilità, conoscenze, tratti della personalità, atteggiamenti, o valori, e pertanto prevedendo l’utilizzo di strumenti di misurazione;

o l’approccio ergonomico-esperto, dove il campo privilegiato di intervento consiste nel mettere in relazione la competenza con la prassi operativa utilizzata, con l’esperienza professionale, con la concretezza;

o l’approccio basato sull’immagine di sé, che consiste nel facilitare la riflessione e rendere esplicita e consapevole l’immagine di cui la persona è portatrice, favorendo allo stesso tempo l’integrazione di nuove

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informazioni in modo che ci sia un’azione di conferma o una modifica propositiva dell’immagine di sé della persona.

Proprio valutando i contenuti di ciascun modello si è deciso di spostare l’attenzione verso un modello che potesse integrare e massimizzare i contributi di ogni prospettiva. Difatti, prendendo in esame gli assunti dei quattro modelli individuati da Levy-Leboyer ci si rende conto come ognuno di essi faccia riferimento ad una prospettiva unica che necessariamente mostra dei punti deboli rispetto ad aspetti fondamentali per l’esplosione di un valido Bilancio di competenze (Di Fabio, 2002; 2004). Di conseguenza, operando un’integrazione ponderata delle quattro prospettive si è in grado di dare robustezza scientifica al modello di intervento del Bilancio di competenze.

Per quanto riguarda il modello relazionale, è chiaro come l’esplicitazione delle esperienze individuali sia fondata innanzitutto sulla qualità della relazione che si instaura tra i partecipanti al progetto.

Il modello differenziale permette di aumentare la consapevolezza di sé da parte dell’individuo attraverso delle prove scientifiche oggettive proposte al soggetto, senza tuttavia scendere in una dimensione diagnostica bensì secondo un’ottica propositiva di lettura ed interpretazione dei risultati.

L’approccio ergonomico poi permette di garantire al Bilancio di competenze una realistica lettura delle competenze acquisite e sviluppate nel corso della propria vita da parte del soggetto, favorendo così una chiara consapevolezza di elementi che prima non erano stati sufficientemente presi in considerazione perché non visti, perché impliciti o dati per scontati.

Infine, l’approccio basato sull’immagine di sé permette al soggetto di acquisire consapevolezza delle proprie potenzialità, professionali e non, grazie all’integrazione di informazioni che vengono rispolverate e messe in evidenza in modo da allargare il campo visivo e il concetto di sé. 5. Il modello proposto

Sulla base dei concetti teorici esposti sopra, l’idea progettuale sottostante tale percorso di ricerca si sostanzia nel tentativo di integrazione dei quattro modelli esposti da Levy-Leboyer (1996). Tale tentativo si prefigge di superare i limiti impliciti nei modelli summenzionati. Inoltre, la prospettiva adottata si discosta notevolmente dalla concezione di Bilancio di competenze così come solitamente sviluppato nel contesto nazionale. Difatti, tale strumento non vuole essere indirizzato solo ai soggetti in cerca di occupazione, ma è utilizzato come strumento di gestione e sviluppo del personale. Attraverso tale utilizzo è

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possibile ottenere una duplicità di vantaggi. Infatti, a partire dall’utilizzo di uno strumento unico qual è il Bilancio di competenze, l’obiettivo che ci si propone è quello di articolare i contenuti di tale strumento in modo che i risultati possano giovare sia al lavoratore sia all’azienda. L’obiettivo dei lavoratori consiste in una maggiore consapevolezza del proprio bagaglio di competenze e nella possibilità di ridefinire il proprio status lavorativo; quello delle aziende, invece, mira ad utilizzare parte dei risultati che derivano da tale strumento per programmare uno sviluppo personale e professionale del lavoratore o per modificare la microstruttura del lavoro rendendo maggiormente efficace ed efficiente l’utilizzo delle proprie risorse umane.

Per tutti questi motivi, il contenuto del bilancio di competenze è stato articolato in modo che accanto ai normali strumenti di rielaborazione e sviluppo delle competenze possedute dai lavoratori si affiancassero strumenti diversi, finalizzati per lo più alle fasi di selezione e valutazione del personale.

Seguendo tale impostazione metodologica è stato possibile sviluppare due insiemi di output ben definiti, di cui beneficiano le due categorie di soggetti interessati. Il primo gruppo di risultati, indirizzato ai lavoratori, consiste in un bilancio delle competenze all’interno del quale sono evidenziati tutti gli aspetti che li caratterizzano dal punto di vista delle capacità sviluppate, delle conoscenze possedute, degli stili comportamentali adottati, della personalità manifestata, delle motivazioni che li spingono ad agire, dei valori che li guidano, delle preferenze lavorative che li attraggono e delle possibilità di sviluppo personale più logiche e coerenti. Il secondo output, invece, consiste in una serie di indicatori che consentono ai responsabili del personale di comprendere appieno le potenzialità degli individui che si trovano a gestire all’interno delle organizzazioni.

Per poter operare il tentativo di integrazione dei diversi approcci teorici esposti in precedenza (Levy Leboyer, 1996), si è deciso di inserire all’interno del bilancio di competenze del progetto di ricerca in questione, tutte le variabili considerate da ognuno degli approcci individuati da Levy Leboyer. In questo modo è possibile poi riuscire ad identificare il vero obiettivo che ogni soggetto si propone di raggiungere durante la propria vita professionale. Difatti, la prestazione è causata dall’intenzione personale a fornire la prestazione, tramite l’azione. L’intenzione di agire (l’obiettivo), quindi, diviene un fattore determinante dell’azione (Locke, 1968). L’elemento più importante per la costruzione di un Bilancio di competenze riguarda la corretta definizione di un obiettivo professionale. Difatti, non è sufficiente formulare un obiettivo professionale per poterlo raggiungerlo. Per raggiungerlo è necessario formularlo in modo corretto e reale puntuale (Lemoine, 2002). Le variabili che

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permettono di identificare in modo inequivocabile l’obiettivo di ogni soggetto e i relativi strumenti di misurazione sono i seguenti:

o la personalità. Di fondamentale importanza risulta lo studio della personalità, ossia dell’insieme delle caratteristiche psicologiche che definiscono l’unicità di una persona e che influenzano il modo con cui essa interagisce con gli altri e con l’ambiente (Tosi et al., 2000). Per fare questo ci si è evvalsi dello strumetno psicometrico denominato Big Five, che permette di identificare e valutare cinque grandi tratti della personalità (Costa e McCrae, 1985; Caprara e Barbaranelli, 1996). In aggiunta, si è cercato anche di valutare il locus of control dei partecipanti al progetto. Per Locus of control si intende la convinzione che un soggetto ha rispetto al fatto che ciò che accade loro sia controllato da fattori esterni o da fattori interni, tramite i loro stessi sforzi (Rotter, 1966). Lo strumento utilizzato è stato proprio quello ideato e già validato da Rotter. In base a tale modello, una persona convinta che i risultati della propria attività siano controllati da altri, possiede un locus of control esterno, mentre una persona con un elevato controllo sui risultati personali, possiede invece un locus of control interno;

o la motivazione. Per motivazione si intende l’insieme dei motivi che ci spingono ad agire, che sono in relazione a diversi obiettivi e interessi e che sono guidati da processi cognitivi ed emotivi (Pilati, 1995a). La motivazione è un elemento chiave della scelta professionale perché è la fonte di quell’energia che stimola ad esercitare le capacità, ad affrontare gli ostacoli e ad impegnarsi per raggiungere gli obiettivi. Ogni persona è spinta da motivazioni diverse nel lavoro: chi per lo stipendio, chi per l’autorealizzazione, chi per la carriera, chi per aiutare gli altri. La motivazione è tanto più forte, quanto più profondo è il valore che si attribuisce all’obiettivo che si intende raggiungere. Capire il significato profondo, la missione, la finalità della propria attività lavorativa, permette di costruire un obiettivo professionale alimentato da una forte motivazione. Per comprendere appieno l’insieme delle motivazioni che spingono ad agire i partecipanti al progetto sono stati utilizzati alcuni degli strumenti di misurazione della motivazione maggiormente affermati nella pratica manageriale. Nello specifico si è proceduto alla somministrazione del questionario sulla valutazione dei fattori igienici e motivazionali sviluppati da Herzberg (1966), debitamente revisionato ed aggiornato, ed il questionario di valutazione dei motives dominanti (Teoria dell’Achievement-Potere-Affiliazione) sviluppato da McClelland (1965);

o le capacità e stile personale. Le capacità sono l’insieme delle caratteristiche intellettive dell’individuo, delle abilità (mentali, meccaniche

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e psicomotorie), del livello di conoscenze (generiche e specifiche, esperienziali), e del grado di utilizzo della tecnologia nello svolgimento delle attività. Si tratta quindi di un insieme di sequenze mentali e comportamentali interrelate messe in atto al fine di raggiungere un risultato. Gli individui hanno capacità diverse ed essendo la performance composta da diversi componenti (multidimensionale), ne consegue che una persona, per svolgere un’attività, un compito, deve possedere le capacità richieste per ogni componente della performance (Tosi et al., 2000). Il proprio stile nel lavoro è il modo in cui un soggetto fa le cose. Si possono avere le stesse capacità e conoscenze di un’altra persona, ma ogni soggetto sarà sempre un individuo unico e particolare nel modo in cui fa quello che fa, mettendo nel lavoro qualcosa che è solo suo (Antoni e Giaconi, 2006). Il complesso di knowledge possedute dai soggetti partecipanti al progetto è stato determinato grazie all’analisi delle esperienze professionali, formative e personali del soggetto ed i relativi ambiti tematici che sono stati affrontati ed appresi nel loro sviluppo. Le capacità dei partecipanti al progetto sono state evidenziate tramite uno strumento definito “bilancio delle esperienze” grazie al quale è stato possibile raccogliere le esperienze accumulate nel corso degli anni da parte di tutti i soggetti e definire i profili di capacità prevalenti da essi posseduti (Antoni e Giaconi, 2006). Per valutare lo stile personale dei soggetti coinvolti nel progetto è stato utilizzato uno strumento di rilevazione che consente al soggetto di scegliere liberamente quale profilo di stile personale, tra i 16 disponibili, risponde maggiormente alla visione che egli ha di sé stesso in relazione al lavoro che svolge, individuando anche i punti di forza e di debolezza che lo contraddistinguono. Tuttavia, successivamente, evitando di specificare le sue finalità, è stato somministrato un questionario composto da quattro sezioni corrispondenti a quattro dimensioni predefinite che ha consentito di tracciare esattamente il profilo più rispondente alle caratteristiche dei partecipanti al progetto. In questo modo, attraverso uno strumento di controllo, è stato possibile eliminare tutti i possibili errori di distorsione e di interpretazione (Antoni e Giaconi, 2006);

o gli interessi. Nel lavoro è possibile esercitare le proprie capacità in campi del sapere diversi, più comunemente chiamati settori. Possono essere identificati indicando dei beni materiali oppure dei servizi. Scegliere il settore in cui applicare le proprie capacità è una questione di interesse. L’interesse infatti rappresenta la disposizione d’animo che permette di rivolgere la propria attenzione verso un determinato campo del sapere favorendone l’apprendimento. A differenza delle capacità, che si acquisiscono soprattutto svolgendo determinate attività, la conoscenza di uno o più settori passa soprattutto attraverso l’interesse e lo studio (Antoni e Giaconi, 2006). Fare un bilancio dei settori (Antoni e Giaconi, 2006),

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quindi, significa capire in quali campi del sapere un individuo desidera applicare le proprie capacità in modo da comprendere anche se un eventuale trasformazione delle mansioni o cambiamento organizzativo possano essere maggiormente efficaci ed efficienti per un dato soggetto. L’insieme degli interessi dei partecipanti al progetto è stato valutato mediante un’autovalutazione guidata denominata “Pagine Gialle”, ideata da Antoni e Giaconi (2006);

o i valori. Un valore è una credenza duratura che una specifica modalità di condotta o uno stato finale della propria esistenza sia personalmente o socialmente preferibile a opposte o contrarie modalità di condotta o stato finale della propria esistenza (Rokeach, 1973). In sostanza, essi riflettono ciò che un individuo ritiene giusto o sbagliato o ciò che “dovrebbe essere” per un individuo. Conoscere ed esprimere i valori lavorativi permette di compiere consapevolmente, e in modo più motivato, la scelta professionale, garantendo che il lavoro possa essere in armonia con i propri atteggiamenti e le preferenze più profonde. Questo permette inoltre di capire accuratamente i valori lavorativi, descrivendo allo stesso tempo le risorse più importanti possedute, quelle che riescono a mettere in sintonia con la visione lavorativa del capo, dei colleghi e spesso di tutta l’organizzazione. Ai fini dello sviluppo del bilancio delle competenze proposto in questa sede sono stati individuati i valori personali, sia terminali sia strumentali, mediante l’utilizzo di uno strumento ideato dallo psicologo Milton Rokeach (Rokeach Value Scale; Rokeach, 1973). I valori terminali di un soggetto riguardano le preferenze di una persona relativamente ai “fini” che devono essere conseguiti, gli obiettivi individuali che si vorrebbero raggiungere nel corso della propria vita. I valori strumentali riflettono i mezzi per raggiungere i fini desiderati, sulla base dell’importanza relativa assegnata ai valori terminali. I valori strettamente lavorativi dei soggetti che hanno partecipato al progetto di ricerca sul Bilancio delle competenze, invece, sono stati individuati sulla base di un questionario ideato da Antoni e Giaconi (2006), che ha permesso di identificare il grado di sviluppo di cinque grandi categorie valoriali (creatività, sicurezza, carriera e avanzamento, autonomia/indipendenza, relazioni sociali), in modo da tracciare un quadro ben preciso rispetto alle loro competenze relazionali;

o la modalità e l’ambiente di lavoro. La modalità di lavoro è il tipo di rapporto di lavoro e l’orario che si desidera avere. Ha a che fare con le dimensioni del tempo, dell’appartenenza, dell’autonomia. Inoltre, le proprie competenze complessive hanno una forte interazione con l’ambiente in cui ci si trova a lavorare, e sono tra le cause maggiori, e spesso meno indagate, della realizzazione professionale. L’ambiente in cui

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si lavora ha caratteristiche fisiche e umane che, cambiando da posto a posto, possono rendere molto diverso, nella realtà, un identico profilo professionale. Questa componente del Bilancio delle competenze è stata individuata grazie allo sviluppo di una check list riportante le caratteristiche ambientali ed ergonomiche di un ambiente di lavoro che maggiormente rispondono alle preferenze dei soggetti (Antoni e Giaconi, 2006). Tuttavia, i risultati derivanti da tale valutazioni sono state successivamente ponderate con i risultati ottenuti dal questionario dei fattori duali di Herzberg (1966), precedentemente illustrato, permettendo quindi di comprendere il valore che i diversi soggetti assegnano alle condizioni ambientali durante lo svolgimento del proprio lavoro;

o le qualità personali e i punti deboli. Le qualità personali sono i punti di forza che portano ad eccellere in termini di performance ed efficienza sul lavoro. I punti deboli rappresentano i propri difetti e limiti. La loro valutazione permette di definire obiettivi professionali realistici e concreti che tengano conto delle proprie limitazioni (Antoni e Giaconi, 2006). L’individuazione delle qualità personali e dei punti deboli è stata sviluppata conducendo i soggetti verso la scelta di aggettivi che essi ritenessero maggiormente rispondenti al proprio profilo e mettendoli successivamente in relazione rispetto al profilo professionale ricoperto e quello auspicato da parte del soggetto.

6. Lo sviluppo della ricerca

La ricerca ha preso spunto da un progetto denominato Fo.R.Um. ideato e sviluppato dalla Cosmo Servizi S.r.l., società di servizi della sede molisana dell’Associazione degli Industriali. L’intento iniziale era quello di valutare l’impatto che alcune azioni formative sviluppate nell’ambito di tale progetto avevano avuto sui dipendenti delle aziende che avevano preso parte all’iniziativa. Tuttavia, si è deciso di comune accordo con la Cosmo Servizi S.r.l. e l’Associazione degli Industriali di sperimentare un modello di bilancio delle competenze innovativo e integrativo degli approcci sopra esposti, che rappresentasse uno possibile strumento di gestione e sviluppo delle Risorse Umane.

Da un punto di vista applicativo, data la complessità delle attività da svolgere per la costruzione e la sperimentazione di un nuovo bilancio delle competenze il progetto ha previsto la partecipazione di soli sei lavoratori, tre dei quali occupati presso l’azienda Eye Health, due presso l’azienda Megapixel e uno presso l’azienda Microloop, quest’ultime entrambe appartenenti al Gruppo Aziendale Cow Group. Data la delicatezza e la riservatezza delle informazioni trattate, alle aziende e ai soggetti partecipanti sono stati assegnati

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nomi di pura finzione. Tuttavia, le attività realizzate dalle stesse imprese e le caratteristiche dei soggetti desunti dai bilanci delle competenze risultano veritieri e rispondenti alla realtà.

Il centro Eye Health nasce nel 1992 e fornisce prestazioni di oculistica in convenzione con il sistema sanitario regionale. Attualmente impiega circa 15 unità. L’organizzazione interna prevede una struttura gerarchica poco sviluppata verticalmente, in quanto dal Direttore Generale e Sanitario dipendono tutti i responsabili di funzione (Coordinamento Sanitario, Personale, Acquisti, Accettazione, Sicurezza, Qualità). Uno dei ruoli cardine è ricoperto dalla coordinatrice sanitaria che organizza e dispone le attività da svolgere da parte del Responsabile delle Sale operatorie e dei ferri, del Responsabile della Sala laser e dei farmaci e dei Tecnici Ortottisti.

Il Cow Group è una holding formata da cinque società e si occupa principalmente di estrazione e produzione di materiali per l’edilizia. Le sue origini risalgono alla seconda metà del secolo scorso quando si occupava prevalentemente delle attività di estrazione e frantumazione della pietra e della produzione e commercializzazione di inerti e conglomerati. Le cinque aziende che formano il gruppo impiegano in totale circa 150 unità lavorative.

Il progetto è stato sviluppato nell’arco di circa tre mesi, durata questa prevista e consolidata nella pratica dei bilanci di competenza (Levy-Leboyer, 1993; 1996; Sarchielli, 1997; Salvatici e D’Angelo, 1999; Russo, 2001; Lemoine, 2002; Alby e Mora, 2004; Antoni e Giaconi, 2006; ).

Le fasi attraverso le quali è stato sviluppato il bilancio delle competenze sono state tre (Lemoine, 1994):

o fase di accoglienza: cioè una fase preliminare-esplorativa, all’interno della quale si verifica la possibilità di realizzare un’attività di bilancio sulla base della natura del problema e dei bisogni del soggetto. Viene analizzata la domanda e si ricerca l’esplicitazione delle motivazioni che afferiscono al piano sociale, personale e professionale dell’individuo e che sono all’origine della domanda. Gli obiettivi di questa fase sono: confermare l’impegno del lavoratore beneficiario nel processo di sviluppo; definire ed analizzare la natura dei suoi bisogni; informarlo delle condizione di svolgimento del bilancio e dei metodi e delle tecniche che verranno utilizzate nel corso del procedimento;

o fase di analisi del potenziale: cioè una fase investigativa che si fonda su un’esplorazione attenta e approfondita delle risorse personali e professionali del soggetto per aumentare il suo livello di consapevolezza e

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per far emergere i suoi punti di forza e di debolezza. Gli obiettivi di questa fase sono: analizzare le motivazioni e gli interessi personali e professionali dell’individuo; identificare le sue competenze e le sue attitudini professionali e personali e le sue conoscenze generali; determinare le sue possibilità di evoluzione professionale;

o fase di elaborazione del progetto finale: cioè la fase conclusiva che prevede la restituzione al soggetto attraverso dei colloqui personalizzati. Gli obiettivi sono: conoscere da parte del beneficiario i risultati dettagliati prodotti dalla fase investigativa; identificare i fattori suscettibili di favorire od ostacolare la realizzazione di un progetto professionale o di formazione; prevedere le principali tappe della messa in opera del progetto.

Queste tre fasi solitamente impiegano dalle 16 alle 24 ore lavorative, alle quali può far seguito una 4° fase chiamata di accompagnamento, a distanza di sei mesi, come eventuale verifica (Alby e Mora, 2004).

Nel dettaglio, i tempi per lo sviluppo del bilancio di competenza per ogni singolo soggetto sono indicati nella seguente tabella: Tab. 1: Tempistica di sviluppo del bilancio di competenze per singola unità.

Fasi Tempi Obiettivi generali Metodi Strumenti

Fase di accoglienza 1 ora

• Accoglienza • Presentazione • Presentazione del

percorso di bilancio

Colloquio individuale Scheda anagrafica

Fase di analisi del potenziale 15 ore

• Esplorazione di sé e delle proprie potenzialità

Colloquio individuale

• prove di

autovalutazione

• prove di problem

solving

• prove di

eterovalutazione

• interviste semi-

strutturate

• interviste a

testimoni

privilegiati

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Fase di elaborazione del progetto finale

8 ore

• Sintesi degli esiti del bilancio

• Analisi dei punti di forza e di debolezza

• definizione del progetto professionale

• Individuazione delle tappe di realizzazione

Colloquio individuale

• Schede

riepilogative

Al fine di una migliore comprensione dei processi aziendali relativi alla gestione e sviluppo delle risorse umane, di seguito viene riportato schematicamente il contenuto di due interviste sviluppate rispettivamente con l’Amministratore Delegato del Cow Group e con il Direttore Generale del centro Eye Health. Tab. 2: Risposte fornite dagli intervistati relativamente alla gestione del personale.

Chi prende le decisioni riguardo le assunzioni? Eye Health Cow group

Direttore Generale Amministratore Delegato Chi prende le decisioni riguardo la trasformazione dei ruoli, compiti e mansioni?

Eye Health Cow group Direttore Generale Capireparto

Amministratore Delegato Chi decide le politiche relative alla formazione dei lavoratori?

Eye Health Cow group Responsabile del Personale A.D.

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Di seguito viene presentata una sintesi dei bilanci di competenza sviluppati seguendo una serie di prescrizioni tassative. Infatti, i nominativi dei partecipanti al progetto vengono indicati utilizzando un nome frutto di fantasia per garantire la riservatezza delle informazioni caratterizzanti il loro profilo.

Inoltre, la sintesi indica:

o i dati anagrafici sintetici dei soggetti;

o l’attuale profilo professionale;

o le competenze, le capacità e gli stili personali dei soggetti senza indicazioni dettagliate delle loro esperienze formative, professionali e personali;

o i suggerimenti per lo sviluppo professionale, con l’indicazione dei fattori che permettono un miglioramento di tale sviluppo, i fattori che inibiscono questo processo e una breve pianificazione formativa.

Tab. 3: Esempio di Bilancio delle competenze.

Dati generali

Maria Rossi

37 anni

Sposata con figli

Occupata con contratto a tempo indeterminato

Esperienza lavorativa attuale

Occupazione

attuale Megapixel Durata 8 anni

Ruolo ricoperto • Aiuto Chimico

• Responsabile della sicurezza

Attività svolte

• Analisi chimico-fisiche dei prodotti

• Relazioni con commerciali e clienti

• Pianificazione, adeguamento e controllo delle prescrizioni

legislative in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro

• Sviluppo P.O.S.

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Competenze possedute

Conoscenze

• Costruzioni

• Tecnologia

• Estimo

• Topografia

• Fisica

• Chimica

• Inglese

• Informatica

• Geologia

• Contabilità generale Chimica

• Tecnica dei materiali

• Diritto

• Teologia

• Organizzazione

• Economia aziendale

• Nozioni commerciali

Capacità

Nel corso della sua formazione scolastica, lavorativa e personale Maria

Rossi ha acquisito una serie di conoscenze piuttosto mirate. Infatti,

tranne alcune esperienze che risultano alquanto diverse rispetto a quanto

sviluppato solitamente, ha acquisito conoscenze soprattutto tecniche che

derivano come diretta applicazione delle conoscenze apprese nel periodo

di formazione scolastica. In definitiva, possiede ottime conoscenze in

tema di progettazione, rilevamenti topografici e geologici, chimica e

fisica. Inoltre, non mancano discrete conoscenze di carattere

amministrativo e commerciale in ambito aziendale.

Le capacità messe in pratica e lo stile personale adottato nel corso della

propria vita sono direttamente conseguenti le esperienze personali e

professionali vissute. Ne risulta che tali capacità e stili sono soprattutto

di carattere investigativo ed esecutivo. In pratica, è una persona con

buone capacità analitiche che tende ad utilizzare per affrontare problemi

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e compiti astratti. Inoltre risulta essere precisa, ben organizzata e lavora

bene in situazioni strutturate. Possiede buone capacità nella gestione

amministrativa di informazioni e dati, le piace lavorare in ambiti dove è

possibile applicare le proprie competenze matematiche e scientifiche.

Per lei è importante che il lavoro le possa offrire la possibilità di

apprendere sempre cose nuove e di circondarsi di persone che abbiano i

suoi stessi interessi. Propende per lavori sviluppati in ambienti di lavoro

strutturati, ad esempio in un ufficio o in una azienda, in cui le regole

siano chiare. Ama lavorare all’interno di un gruppo di lavoro in cui ad

ognuno vengono assegnati compiti e tempi precisi.

Stile personale

Se le capacità indicano le caratteristiche possedute, lo stile personale

indica le modalità mediante le quali Maria Rossi esprime tali

caratteristiche e qualità. In sostanza, lo stile personale è dato dalle

caratteristiche della personalità di un individuo e dal modo con cui egli

si mette in relazione con lo spazio, il tempo, gli altri individui, l’autorità,

il cambiamento. Così, risulta che Maria Rossi è più interessata alla realtà

esterna e agli altri che non al suo mondo interiore. Tende a prendere le

decisioni basandosi sui suoi valori personali, su cosa pensa sia giusto o

sbagliato. In questo ha ben presente anche le conseguenze per gli altri,

che per lei risultano essere molto importanti. Un altro aspetto da

sottolineare riguarda la necessità di capire i sentimenti degli altri ed

entrare in sintonia con loro. Questo la rende una buona osservatrice delle

persone e le permette di comportarsi in modo franco e diretto.

Margini di miglioramento

Le situazioni che rappresentano uno stimolo motivazionale importante per Maria Rossi sono

quelle che consentono di

• vedere riconosciuti i propri meriti e i contributi dati al successo di un progetto;

• vedere riconosciuto e legittimato il proprio ruolo;

• focalizzarsi sui risultati e sui contributi dati;

• focalizzarsi sui propri miglioramenti e sviluppi;

• affrontare il lavoro in modo sistematico e con metodo, facendo piani e dandosi obiettivi da

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raggiungere.

Le situazioni da evitare, invece, sono quelle nelle quali:

• gli obiettivi da raggiungere sono vaghi;

• non è possibile applicarsi con un piano e un metodo;

• è necessario assoggettarsi a una supervisione eccessiva;

• non è possibile ottenere dei feedback.

Sostanzialmente, la situazioni lavorativa attuale rispecchia il complesso delle caratteristiche

personali che contraddistinguono Maria Rossi. Difatti, dal punto di vista della personalità

manifestata, delle motivazioni che la incentivano, dei valori che la guidano, delle capacità

sviluppate, degli stili personali adottati, delle conoscenze possedute, dei punti di forza e di

debolezza che la caratterizzano e delle propensioni lavorative mostrate, conducono ad un tipo

di lavoro che possiede molte delle caratteristiche espresse dalle attività attualmente sviluppate.

Tuttavia, deve migliorare le capacità di gestire i cambiamenti e di prendere decisioni in

condizioni incerte e poco chiare.

Proprio in un’ottica di rafforzamento dei punti deboli posseduti e in riferimento al ruolo

attualmente ricoperto si consiglia alla sig.ra Rossi di sviluppare un percorso formativo che le

garantisca una migliore preparazione di base in tema di sicurezza sul lavoro accompagnato da

un periodo sostanzioso di accompagnamento con esperti del settore, in modo da poter gestire in

modo preciso, puntuale, ordinato e concreto le attività previste per le sue mansioni personali.

7. Conclusioni

Il modello progettato e sviluppato in questa sede è stato pensato, progettato e poi sperimentato con l’intenzione di fornire una risposta valida ed efficace alle richieste che provengono sia dai lavoratori che dalle aziende. In questa discussione non si vuole ripercorrere gli aspetti di progettazione o soffermarsi su quelli che emergono complessivamente come aspetti di forza verso la disseminazione del percorso di bilancio delle competenze, quanto piuttosto sollecitare la riflessione comune verso i vincoli e gli aspetti critici che tale modello ha sollevato durante lo sviluppo delle diverse fasi.

La prima categoria di aspetti fa riferimento ad un problema di definizione dello stesso concetto di competenza che appare confuso con altre dimensioni rilevanti come qualifiche e profili professionali, attributi della persona, abilità e conoscenze. L’interesse, da più parti sottolineato, di integrare saperi elevati, tecnici e metodologici con competenze diffuse, acquisite durante il corso della vita, non solo attraverso i luoghi formali di apprendimento ma mediante il

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recupero e la valorizzazione di tutte le esperienze acquisite, implica una riflessione approfondita sullo stesso concetto di competenza che, pertanto, va rivisto e rifondato. Alla luce di tali considerazioni la competenza professionale può intendersi costituita da fattori individuali e soggettivi, dove individuale fa riferimento alle strategie e agli stili cognitivi che costituiscono il proprium della persona, mentre l’aspetto soggettivo rimanda alla soggettività intesa come testimonianza percepita dal singolo e dai significati che ad esso vi attribuisce. Ne consegue il problema relativo alla necessità di rivedere gli attuali modelli di competenza che permangono ancora troppo ancorati a classificazioni che ne richiamano l’acquisizione in luoghi formali e specialistici e poco sensibili a concetti e termini come informali, tacite, di processo.

In secondo luogo, è necessario porre maggiore attenzione alla finalità formativa e non valutativa del bilancio di competenze. Infatti, il bilancio di competenze si colloca spesso in una dimensione valutativa che assomiglia più a quella della selezione, di per sé poco efficace, mentre è opportuno che prevalga una lettura e un’analisi delle storie personali e professionali finalizzate alla decodifica e alla riflessione sulle competenze possedute e su come ri-organizzarle in futuri progetti, anche in vista di un cambiamento individuale.

Inoltre, è necessario che la pratica del bilancio non sia finalizzata necessariamente al fronteggiamento di specifiche transizioni (perdita del lavoro, mobilità, re-ingresso) ma alla realizzazione di un intervento che faciliti la conoscenza di sé stessi e delle proprie risorse e competenze; il bilancio deve essere considerato un diritto della persona a cui può accedere ogni volta che voglia ripensare al proprio futuro, in qualsiasi momento della propria vita professionale e personale. Ma deve anche essere considerato come uno strumento di conoscenza del lavoratore da parte dei responsabili aziendali e di contrattazione del proprio sviluppo economico e professionale.

Infine, è possibile sottolineare due aspetti che i dati raccolti e le impressioni colte dai soggetti che hanno preso parte al progetto hanno evidenziato: da una parte la necessità di elaborare un modello condiviso per la valutazione delle pratiche di bilancio; dall’altra la necessità di arrivare ad un’azione sistemica e regolamentata sul bilancio di competenze alla stregua di quanto avviene in Francia.

Nonostante questo lavoro di bilancio appare allo stato dei fatti compiuto, esso è ancora aperto e sicuramente in evoluzione, affinché si possa tenere in considerazione alcuni aspetti necessari per l’efficacia e la riuscita di azioni di bilancio di competenze: la necessità di integrazione tra i diversi sistemi, l’ancoraggio delle pratiche a solidi e validi modelli concettuali, l’utilizzo di strumenti testati sul campo.

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