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ArchigraficA paperback 5 il Collettivo Latrones ArchigraficA edizioni periodico mensile ottobre 2010 Informazione resistente

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il Collettivo Latrones

ArchigraficA edizioni periodico mensile ottobre 2010

Informazione resistente

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ArchigraficA paperbackcollana periodica mensile

letteratura, noir, storie napoletanedirettore: Giacomo Ricci

ebook n.5, ottobre 2010Collettivo Latrones, Informazione resistente© Copyright Collettivo Latronesall over the worldhttp://www.archigrafica.orgebook stampato in digitale nel mese di ottobre 2010Furore, via Lamaro, 5 - Costa d’Amalfi (SA)ISSN: 1974 - 2843per informazioni mail to: [email protected]

avvertenzaQuesto ebook è per uso personale. È consentita la sua diffusione così come è, cioè integro e a patto che non sia smembrato o modificato in alcuna sua parte e si rispetti la proprietà intellettuale dell’autore. In ogni caso vanno esplicitamente citati l’edizione, la fonte e l’autore.Ne è vietata tassativamente la stampa su carta.ù

Illustrazione in copertina di Marco Giagnotti

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Foto dall’album “VENDEMMIA ASPRINIO” di Salvatore Di Vilio.

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Foto dall’album “RICERCA ANNI ‘80” di Salvatore Di Vilio.

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Foto dall’album “IN DISMISSIONE” di Salvatore Di Vilio. Ex St. Gobain. Caserta.

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Centurano è un quartiere periferico di Caserta, incastonato tra la frazione di San Clemente e il Parco Cerasola, chia-mato così perché fi no all’inizio degli anni ottanta era una jungla di cerase, ossia

ciliegie. Di quegli alberi è rimasto solo la malia nei racconti beati degli anziani. Null’altro. Al posto dei tronchi e delle fronde è arrivato il grigio armato del cemento. All’armonia dei frutteti si è sostituita la monotonia dell’edilizia post-terremoto. Palazzi tutta ingegneria e poca architettura, caserme dis-messe e polvere di calcare tra gli interstizi. Sono cresciuto qui, e ricordo le gru roteanti sopra di me, le mine che brillavano sotto il Santuario di San Mi-chele, i tir carichi di inerti che sfrecciavano nella notte, come fanno ora gli auto compattatori stra-carichi di immondizia. A Natale, un’improbabile stella cometa sulla ciminiera della Cementir e le luminarie per la Festa di San Bartolomeo, santo martire, patrono ideale di questa città trafi tta da

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tre secoli, capoluogo dell’unica provincia mai sciol-ta nella storia della Repubblica italiana, nell’anno V dell’Era fascista. Secondo l’audace di Predappio - Benito Mussolini – quella terra “paludosa, step-posa, malarica, era abitata da una popolazione che fi n dai tempi dei romani aveva una pessima reputa-zione ed era chiamata latrones”. Per pigrizia, o forse è puro masochismo, non mi sono mai spostato da Centurano. Qui sono nato, cresciuto e pasciuto, come si dice dalle nostre parti. E in tutti questi anni, strano a dirsi, non ho mai incontrato Vincenzo Fagnani. Siamo quasi coetanei, e abbiamo abitato per almeno quattro lustri a trenta metri di distanza. Avevamo amici in comune, frequentavamo più o meno gli stessi posti (che poi a Caserta si contano sulle dita di una mano monca di un uomo mutilato da un petardo), ma non ci siamo mai incrociati, nemmeno sfi orati. Ci ha presentati Emanuele Abbate, professore di Grafi ca all’Istituto Professionale “Mattei”, presso il

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quale Vinz si è diplomato per poi laurearsi allo IED e trasferirsi in Germania in cerca di migliore sorte. Come me, Vinz è un irrequieto, un incendiario. Di quelli che però lodano del fuoco le virtù purifi canti, piuttosto che quelle disintegranti. Amiamo comu-nicare, non a caso facciamo due mestieri tutto sommato simili, seppure utilizzando mezzi e canali diversi: io il giornalista, lui il graphic designer. Ed è per questo che il nostro primo lavoro è stata una tavola di graphic journalism su Castel Volturno che è stata pubblicata su Internazionale. Fu un gran bel colpo, non c’è che dire. Chissà dove saremmo arrivati, io e lui, fregandocene di tutto. Io avevo pubblicato già qualche racconto in delle antologie di narrativa. Lui stava per trasferirsi a Berlino, visto che campare di grafi ca in Italia è praticamente impossibile. Insomma, due mezzi sfi gati che volevano fare di più, di meglio e di mol-to più diffi cile: creare una banda, un gruppo, un pulviscolo. Io ci avevo provato già due volte, a quel

tempo. Il primo vero e proprio Collettivo Latrones nacque nel 2008 da una scissione, un fenomeno frequente qui a Caserta, dove teatri, associazioni, band musicali nascono essenzialmente da fenom-eni divisori. Assieme a una decina di conoscenti, tra cui c’erano architetti, fotografi e artisti, ab-bandonammo un proto-collettivo chiamato Wop, fondato a Santa Maria Capua Vetere, e creammo quasi per ripicca il Latrones. Fu un’occasione persa. Dopo sette mesi ci fermammo. Troppo dif-fi cile, troppo noioso, troppo confuso e soprattutto, troppi di noi. Però il momento era quello giusto. Lo sentivo. Anche Vincenzo lo sentiva. Dovevamo per lo meno provare. E mettemmo in conto anche il fallimento. Come fece Bill Gates fi no a quando creò Microsoft. Così, al terzo tentativo, incredibile a dirsi, è nato nel gennaio 2010 il Collettivo La-trones di cui ora mi accingo a scrivere.

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La seconda insalata mista di giornalismo gonzo e grafi ca addobbica preparata dal duo Iorio-Fagnani, fu un album di tredici fi gurine stile Panini, con tanto di coper-tina e formazione al gran completo. Nulla

di particolarmente originale. Solo che al posto dei benemeriti Cuccureddu-Scirea-Policano-Valderrama remixammo in Photoshop i “santini” segnaletici dei boss del clan dei Casalesi condannati all’ergastolo nel processo Spartacus, così intitolato in onore dello schiavo che proprio a Santa Maria Capua Vetere (terra natia del primo Collettivo ma anche di Enrico Malatesta, padre del movimento anarchico italiano) capeggiò una sommossa di gladiatori sen-za permesso di soggiorno. Perché i boss? Di sicuro perché volevamo sferrare un attacco all’iconografi a della paura mescolata alla stupidità che a sua volta genera omertà e quindi soprusi, malaffare, vio-lenza. Era il radioattivo maggio del 2010, e quella fu la première assoluta del Latrones Risorto di cui

sopra e a seguire. Avevamo un manifesto, un sito internet hand-made, un account Facebook, tutto quello che ci serviva per iniziare. E iniziammo, smulinando come dei Sancho Panza in viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio di Gomorra, ritoccando le icone degli intoccabili, Sandokan, Capastorta, il Ninno e Cic-ciotto e’ Mezzanott’. L’idea di un album di fi gurine, dove all’appello mancavano solo quelle dei due super latitanti Michele Zagaria e Antonio Iovine, nacque su Skype, mentre Maroni si beava del mer-aviglioso Modello Caserta, che consiste nel milita-rizzare un territorio senza però cambiare null’altro. L’album, credo, sarà stato sfogliato da venti o trenta persone al massimo. Di sicuro, nessuno lo ha mai commentato, o condiviso. Ciò nonostante, “avant marsch!!!”, proseguimmo tra alti e bassi. Più passava il tempo, tuttavia, e più era chiaro che ci servivano nuovi Latrones. Gente disposta non solo a crederci in questo progetto, ma a lavorarci. solo a crederci in questo progetto, ma a lavorarci.

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Gente che non ci elogiasse, ma che partecipasse. Volevamo fare tutto e subito. Ma da soli sarebbe stato impossibile, e ne eravamo consapevoli. Anzi. La situazione era statica. Latrones vivacchiava su Facebook e vattelapesca. Ogni tanto qualche vampata. Tante altre volte fuochi fatui. Gente che si avvicinava, ci annusava, e poi ci pisciava sulle scarpe, con garbo e delicatezza, con tanti ossequi e poca misericordia. Stavamo quasi per abban-donare il nostro bimbo down sul monte Taigeto, quando una forza oscura chiamata Fato pigiò il tasto rewind, e ora la nostra storia ritorna al punto di partenza, o giù di lì. In quel pub di Caserta dove il professore Emanuele Abbate introdusse Antonio Iorio a Vincenzo Fagnani, o il contrario, dipende dai punti di vista. Emanuele da anni curava l’Agenzia Mattei, laboratorio di grafi ca pubblicitaria dell’omonimo Istituto. Il poster che ritrae il volto di Roberto Saviano, realizzato con le fototessere degli alunni della scuola e dei cittadini casertani,

ha fatto il giro del mondo o quasi. Il professore, per affi nità di intenti e di bile incamerata, è stato l’ipotenusa che ha dato un senso compiuto a noi due poveri cateti. Uno di quei piselli di un altro Abate, molto più famoso, Gregor Mendel, scopri-tore della moderna genetica: una linea pura che si è innestata alla perfezione sul terreno confi s-cato dove Latrones affondava timidamente le sue prime radici. Il collettivo, così come ora lo si può conoscere, non lo sarebbe mai diventato senza le foto di Mario Ferrara, Vincenzo Pagliuca, Giovanni Izzo, Raffaele Mariniello, per citarne solo alcuni. O senza l’aiuto di Zen Two, Paske, Dj Jeff, Archiviva, Ofca. Senza i contributi di decine di altri graphic designers tutti casertani. Social posters, foto digi-tali, scritti socialmente utili, cazzeggio online, qualche sporadica azione di guerriglia comunica-tiva: Latrones è di chi lo fa. Da allora, dai giorni termovalorizzati tra alias di ras e fi le jpg, è stato sempre così. I brainstorming av-

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vengono a distanza, su chat, le idee si saldano con catene di San’Antonio di messaggi di posta privata Fb. Ci si bombarda, si prova, si testa, si commen-ta, ci si censura, ci si estranea, e poi si decide. I lavori del Collettivo, quasi sempre, nascono con il contributo di due ostetriche creative, o al massimo tre, alle volte anche quattro o cinque, quanti sono gli affi liati che entrano in sala parto. Col tempo, abbiamo coinvolto quante più persone possibile. Questo è un nostro chiodo fi sso. La contaminazi-one, la pandemia. Lanciavamo degli appelli alla partecipazione sui social networks su temi come l’abusivismo edilizio, l’acqua tossica nel Rione Acquaviva, la Legge Bavaglio, la riapertura della discarica di Terzigno. Spermi progettuali. Spunti. Possibili patchworks su cui operare insieme, in condivisione, nello spirito dell’open source. Qual-cuno ha abboccato all’amo, e sono nate quelle che Emir Kusturica chiamerebbe delle beautiful friendships (come ad esempio nel caso dell’album

Sangobben, che ha gettato i ponti tra due Atlantidi in questa valle di lacrime altrimenti nota come Ca-serta, ossia Salvatore Di Vilio, maestro fotografo di Succivo, e Raffaele Cutillo, architetto delle nostre giovani menti tutt’altro che inertizzate nonostante quindici anni di emergenza rifi uti).

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E ora, dopo aver sintetizzato la genesi, l’antico testamento e il deuteronomio del Collettivo, in queste ultime e rade righe, senza troppi fronzoli, tenterò di spiegare in modo cristallino cos’è il Progetto La-

trones, quali sono i suoi obiettivi e dove vuole ar-rivare. Innanzitutto, Latrones è sangue che schizza al cervello di chi, nella Provincia-Ghetto, si guarda intorno, si interroga, non trova risposte e quindi si indigna. E’ sperimentazione continua, multidisci-plinare, contestuale e astratta. E’ sete di vendetta, proprio mentre le falde acquifere del Rispetto sono inquinate dall’arsenico e dai metalli pesanti. E’ un lupo nella steppa, un cartello con su scritto: “Cave canem”, uno schiaffo in faccia alle parrocchie, alle istituzioni, alle defi nizioni. E’ condivisione, che richiede però partecipazione. E’ un passatempo per no-perditempo. E’ denuncia, ma anche un motto di Bakunin che adoriamo: “L’inizio di ogni rivoluzione è interiore: innanzitutto mi dichiaro

contro me stesso”. E’ un ascensore che ti porta via lontano dal collasso civico che ha tramortito Ca-serta, la Campania, l’Italia. E’ uno scherzo, anche se dannatamente serio. E’ un dito puntato contro le travi e le pagliuzze negli occhi di chi si volta dall’altra parte per non guardare. E’ il rimedio con-tro l’ineffi cienza dei singoli. E’ una acceleratore di particelle del Cern di Ginevra, solo che surriscalda le giornate tutte uguali e non nuclei atomici o par-ticelle subnucleari. E’ chiaro e diretto, non ha pre-tese artistiche, né sogna Biennali di dandy e fi gli di papà sponsorizzate dall’Ente locale che succhia linfa alla cultura giovanile per creare nuove clien-tele. E’ l’inferno degli accidiosi (il peccato capitale di ogni uomo del Sud). E’ il consultorio degli as-piranti kamikaze. E’ prospettiva, il Walhalla delle combinazioni possibili. E’ mozzarella alla diossina, un cementifi cio che potrebbe diventare un incener-itore, un Regio Lagno mai bonifi cato, un impianto di depurazione che non funziona, un immigrato

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sui Kalifoo ground, un appartamento occupato nel Parco Saraceno al Villaggio Coppola, un binario morto sull’ex Alifana, un pecora a tre teste nas-costa da un contadino in un capanno a pochi metri di distanza dalla Centrale nucleare sul Garigliano, è 130 colpi di Kalashnikov all’Ob ob exotic fash-ion. E’ consapevolezza e per questo non indica vie di fuga o lozioni miracolose contro il male di vivere nella periferia. Latrones è chi lo fa.

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Come parteciparePartecipare al progetto Latrones è semplicissimo.Ci piace coinvolgere, ma adoriamo essere coinvolti. Per pubblicare i tuoi lavori grafi ci, basta inviare immagini jpg all’indirizzo [email protected]. Ogni elaborato verrà pubblicato sulla nostra pagina Facebook, ma sul sito verrà effettuata una screma-tura.

Per inviare testi da pubblicare, basta scriverli. Che siano racconti, reportages, articoli giornalistici, semplici deliri urbani poco importa: la parola per il Collettivo è un fertilizzante quanto l’immagine.

Per le foto, al momento, selezioniamo solo mate-riale della Provincia di Caserta o della Campania Infelix.

Per i video da postare sul nostro canale youtube, fai come sopra: spediscili.

E’ possibile che dai vostri racconti, o dalle vostre fotografi e possano nascere progetti nuovi, in ogni casi delle collaborazioni tra diversi affi liati: è già accaduto, come nel caso dell’album Sangobben, uno degli esperimenti primordiali del Collettivo maggiormente riusciti.

Per le azioni di guerriglia comunicativa basta orga-nizzarsi. Insomma, basta: siete i benvenuti.

Sito web: www.latrones.com

Facebook: http://www.facebook.com/profi le.php?id=100001072231905

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Foto dall’album “A MARE” di Giovanni Izzo. Litorale domiziano.

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Foto dall’album “10 OTTOBRE 2010” di Giovanni Izzo. Villaliterno.

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Foto dall’album “EINSTURZENDE NEUBAUTEN” di Giovanni Izzo. Demolizione del Villaggio Coppola.

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Emanuele AbbateArchitetto e grafi co. Nasce nel 1962 e da allora vive in Marcianise (CE). Il graphic design lo contagia sin dai tempi dell’università, e dopo la laurea (a Napoli nel 1989) si divide tra architettura e comunicazione, quest’ultima esercitata unicamente come free lance. Dal 1997 insegna Grafi ca Pubblicitaria presso l’Istituto Professionale “Enrico Mattei” di Caserta, dove ha dato vita all’omonima Agenzia, che pubblica periodicamente posters di grande formato dedicati a temi di impegno civile.

Vincenzo V. FagnaniGrafi co e autore di poster. 26 anni, originario di Caser-ta, dal 2006 al 2009 vive e lavora a Monaco di Baviera per l’agenzia Designliga.Alcuni dei suoi lavori sono stati selezionati per il con-corso Good 50x70, il settimanale Internazionale, Play-crew webmagazine, la Islamic world art biennial e il Vibre International Poster Festival di Tehran. Autore

di Mouse Elephant, zine sperimentale distribuita dalla Printed Matter di New York e attualmente in vendita presso la Pro-Qm di Berlino. La sua prima esposizione personale ha avuto luogo a Pesaro nel 2010, seguita da una seconda presso l’ Università di Napoli. Nel set-tembre 2010 partecipa alla mostra Moments of Being presso la Womb Space di New York. Attualmente vive a Berlino dove lavora come grafi co freelance per Leo Burnett. Il suo sito web è www.vincenzofagnani.com

Antonio Marco Iorio è nato a Caserta nel 1980. E’ giornalista professioni-sta e lavora per il gruppo Lunaset. Ha collaborato per diverse testate tra cui L’Articolo, il Denaro e Frammen-ti. Oltre all’attività giornalistica ha pubblicato alcuni racconti su diversi siti internet (tra cui Oltregomorra, Scrittura d’Opposto e Domist), nonché in antologie tra cui “Napoli per le strade” (Azimut) e “Racconti nella rete” (Nottetempo Edizioni). Ha collaborato sin dalla nascita con la rivista Lapsus.

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nascita con la rivista Lapsus.

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