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Il cuore e la fede Luciano Folpini Centro culturale Kairòs Aderente al progetto Culturale della Cei Gavirate - Edizione gennaio 2018 Il piacere di amare

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Il cuore e la fede

Il cuore e la fede

Luciano Folpini

Centro culturale Kairòs Aderente al progetto Culturale della Cei

Gavirate - Edizione gennaio 2018

Il piacere di amare

Il cuore e la fede

Sommario 1 Una premessa .............................................................................. 1

2 Un’emozione speciale ................................................................... 3

2.1 La processione ............................................................................................... 3

2.2 Una riflessione ............................................................................................... 4

2.3 La mia esperienza .......................................................................................... 5

3 I bisogni di ogni uomo .................................................................. 8

3.1 La dimensione ultraterrena ............................................................................ 9

3.2 La testimonianza dei volontari ....................................................................... 9

3.3 Il dubbio, pane quotidiano ........................................................................... 11

3.4 La testimonianza degli scienziati .................................................................. 11

3.5 Le emozioni passano, i sentimenti vanno coltivati ....................................... 14

4 La pratica della religione e le emozioni ....................................... 17

4.1 La proposta cristiana .................................................................................... 18

4.2 Il luogo e la preghiera cristiana .................................................................... 19

4.3 Perché cominciare da Gesù .......................................................................... 21

4.4 Le emozioni in una vita con Gesù ................................................................. 21

4.5 L’incredulità degli ebrei................................................................................ 26

5 Rivivere il Vangelo ...................................................................... 32

5.1 Rivivere la Pasqua ........................................................................................ 35

5.2 Rivivere la Resurrezione ............................................................................... 41

6 La fede in Cristo, oggi ................................................................. 45

6.1 I tempi e i perché della fede......................................................................... 46

6.2 La fede è comunitaria .................................................................................. 50

6.3 Un fede matura ............................................................................................ 52

6.4 La fede e la contemplazione ........................................................................ 54

6.5 La fede difficile ............................................................................................. 55

6.6 Una fede semplice ....................................................................................... 56

6.7 La vita dei primi cristiani .............................................................................. 57

6.8 Una fede bambina ....................................................................................... 58

Il cuore e la fede

6.9 La fede dormiente........................................................................................ 58

6.10 Una fede incompiuta ................................................................................ 59

6.11 Una sfida ................................................................................................... 60

La poca fede è la rovina della società ............................................................. 61

La ricerca delle emozioni ................................................................................ 63

7 Le liturgie comunitarie ................................................................ 64

7.1 La messa e l’eucarestia ................................................................................ 64

7.2 Gli altri sacramenti ....................................................................................... 67

7.3 La confessione o riconciliazione ................................................................... 69

7.4 Le testimonianze .......................................................................................... 70

La testimonianza di un confessore ................................................................. 70

Le testimonianze dei fedeli ............................................................................. 71

8 Le emozioni straordinarie individuali .......................................... 74

8.1 I fenomeni straordinari ................................................................................ 74

8.2 La mistica cristiana ....................................................................................... 75

Le visioni di San Paolo Apostolo ..................................................................... 76

Le visioni di Francesco d’Assisi ....................................................................... 76

Angela da Foligno ........................................................................................... 77

Filippo Neri ..................................................................................................... 77

Maria Esperanza Medrano de Bianchini ......................................................... 78

Maria di Gesù di Agreda e la leggenda indiana (Maria Coronel -+1665) ......... 78

Le bilocazioni di Padre Pio .............................................................................. 79

9 Le processioni popolari ............................................................... 81

9.1 Le processioni locali e della Settimana Santa ............................................... 81

9.2 L’Entierro nella storia ................................................................................... 83

Le confraternite e la legittimazione della storia ............................................. 84

Il culto della Beata Vergine Addolorata .......................................................... 85

La banalizzazione dell’Entierro ....................................................................... 87

La diffusione dell’Entierro durante la Settima Santa ...................................... 88

9.3 Riscoprire lo spirito dell’Entierro per emozionarsi ....................................... 93

10 Il mio percorso cristiano ............................................................. 95

11 Bibliografia ............................................................................... 100

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12 Informazioni ............................................................................. 101

12.1 Notizie sull’autore ................................................................................... 101

12.2 Libri pubblicati ........................................................................................ 101

12.3 Libri storici .............................................................................................. 102

12.4 Contatti e Informazioni ........................................................................... 102

Il cuore e la fede

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1 Una premessa

Compito di ogni religione, per la comune origine e il comune destino di ogni uomo, è quello di unirsi alle altre nel rispetto e nell’ascolto per comprendere quanto c’è di buono e santo in ognuna di esse, per favorire la cooperazione e la speranza in una civiltà dell'amore, basata sui valori universali di pace, solidarietà, giustizia e libertà, ognuna secondo le sue convinzioni profondamente orientate verso Dio, fonte di bontà, rispetto, armonia e pace.

Ognuna cerca di rispondere alle sfide del progresso scientifico e tecnico senza una dimensione morale che cerca di impedire che le convinzioni e la pratica religiosa sia-no affidate alla libera coscienza delle persone che lavora per una fraternità universa-le mediante la tolleranza, il dialogo e la cooperazione, perché il mondo non resti pri-vo di quella speranza che è la linfa vitale del cuore umano.

Ogni religione propone del-le certezze che però non possono eliminare in ogni uomo la sete di raggiunge-re la Verità che può appar-tenere solo a Dio.

Lo spirito umano, è stato creato per possederla, e senza di essa non riusci-rebbe a vivere, così come senza l’aria che respira.

Perciò deve impegnarsi nella continua ricerca del senso dell’esistenza, senza cadere negli errori dei sen-

si, dell'immaginazione, dell'intelletto, delle inclinazioni dell'anima, delle sue passioni e senza accontentarsi di luoghi comuni preconfezionati poiché nessuno, senza l’aiuto di Dio, può raggiungere la certezza della Verità che gli consente di discrimi-nare tra ciò che è giusto e ciò che non lo è, per separare le azioni consentite da quel-le dalle quali deve astenersi.

Per approfondire questo grande tema, ho scritto alcuni libri partendo soprattutto dalla visione cristiana della storia.

Questo libro, nato per completare un percorso iniziato nei miei libri precedenti, per la mia condizione di salute, si è evoluto quasi in un testamento spirituale, non tanto perché abbia dei tesori nascosti da rivelare, ma semplicemente per raccontare la mia esperienza, nella speranza che possa aiutare qualchedun altro che si trovi nelle mie condizioni, a dare un senso alla sua vita, io che sono un cristiano normale che ha

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scelto la fede in Gesù e continua a cercare di raggiungerne la sua piena maturità.

In alcuni libri precedenti ho approfondito le origini del cristianesimo, cercando le prove storiche sulla venuta di Gesù Cristo e sulla vita delle prime comunità cristiane, e poi l’ho confrontata con altre fedi.

In questo modo avevo cercato di soddisfare la mia ragione, che ha bisogno di cose concrete per credere, ma ho tralasciato il bisogno del cuore di raggiungere il pieno amore spirituale per Gesù Figlio di Dio o come lui si definiva: Figlio dell’Uomo, che potesse emozionarmi e farmi sentire con continuità momenti di piena felicità.

Già un primo passo l’avevo fatto col libro La via della Felicità che ha battuto il sen-tiero della contemplazione, ma ora volevo evidenziare le ragioni del cuore.

Non c’è uomo che non ricerchi la felicità, ma questa non è uno stato permanente, ma è fatta di tanti momenti in cui cerchiamo di percorrere vari sentieri per raggiun-gerla.

Quando ho deciso di individuare quale sen-tiero imboccare per raggiungerla, non sa-pevo da dove comin-ciare, e allora passai in rassegna quei mo-menti in cui avevo provato le emozioni più forti e mi sorpresi a ricordare quel Ve-nerdì Santo vissuto a Mendrisio.

Ne è risultato un libro intenso che consiglio di leggere a piccole dosi, anche perché è opportuno far seguire a ogni lettura una propria breve riflessione, dedicandogli un breve tempo ogni giorno in modo conti-nuativo.

Siccome poi il protagonista è Gesù, ho trovato molto utile leggerlo con a fianco una sua immagine, quella che più lo rappresenta secondo la mia sensibilità, per vederlo nella mia immaginazione nella realtà da lui vissuta in modo da sentirmi a lui vicino pronto a imitarlo per dare alla mia vita spirituale una reale concretezza.

Io per l’occasione ho preferito un’immagine di Gesù misericordioso che perdona l’adultera.

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2 Un’emozione speciale

2.1 La processione Era il Venerdì Santo del 2011, che richiamato dalla sua fama, mi trovavo su una tri-bunetta piazzata nel punto centrale del percorso della processione della sepoltura di Gesù, l’Entierro, mentre una folla rumorosa di turisti affollava la piazzetta dell’antica cittadina svizzera di Mendrisio.

Al calar del buio furono spente le luci e un improvvi-so suono di trombe fece ca-lare un silenzio inaspettato e assoluto. Subito dopo, da una stretta via laterale si sentirono le note di una gra-ve marcia funebre che mi fece accapponare la pelle, suonata da una banda che lentamente avanzava alla testa di un lungo corteo di figuranti.

Alla calda e discreta luce dei trasparenti appesi lungo le

strade, unita a quelle delle fiaccole, lanterne e lampioni, portati dai 500 figuranti si-lenti delle confraternite, delle fanciulle biancovestite e degli angioletti, ognuno col suo specifico oggetto o immagine della Passione, avanzava lentamente il corteo.

I gruppi opportunamente distanziati erano alternati con altre due bande che aumen-tavano il senso di dramma che si stava respirando, e raggiunse il culmine quando apparve su una tavola la figura del Cristo Deposto che stava per essere tra-sportato al sepolcro.

Quel Cristo Deposto, con i terribili segni delle tor-ture subite, mi fece commuovere e il mio cuore prese a battere ve-loce pensando a quante sofferenze quel corpo aveva sofferto anche per il male che ancora oggi

Entierro a Mendrisio

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compiamo.

Chiudeva il corteo, la statua della Madonna Addolorata seguita dal gonfalone nero del comune e da un piccolo corteo di fedeli.

Mentre il corteo lasciava la piazzetta, riprese velocemente il vociare dei turisti che comunque rimasero in attesa del ritorno della processione. Al ritorno della proces-sione il silenzio ritornò, ma ebbi l’impressione che non si fosse creato quello stesso patos che aveva provocato il primo passaggio.

Mi fu allora spontaneo chiedermi:

Ma questi cosa sono venuti a fare: a vedere, uno spettacolo o vivere un dram-ma? Finita la processione cosa si saranno portati a casa?

2.2 Una riflessione Mentre lentamente andavo a riprendere la macchina per tornare a casa, cominciai a riflettere su cosa avevo assistito e quale valore avesse avuto per la mia fede.

Le forti emozioni, che avevo provato, erano sorte inaspettate e improvvise, e aveva-no provocato in me una forte partecipazione al dramma cui avevo assistito.

Rimase in me la nostalgia di sperimentarle ancora, e un’orma di affetto per Gesù, in modo ben diverso e più maturo di quanto mi fosse capitato per altre rappresenta-zioni delle Passione cui avevo assistito.

Fui sicuro di non essere stato il solo a provarla, ma che anche se fossi tornato ad as-sistervi tutti gli anni, sarebbe pur sempre stato un evento raro che non poteva au-mentare la mia fede, e tanto meno convertire qualcuno, ma al più poteva essere oc-casione per riflette e domandarsi:

La fede basata sulla ragione può arrivare sino al cuore?

Spesso mi è capitato di ascoltare gente che dichiara di aver perso la fede perché quando prega non sente niente nel suo cuore, non prova alcuna emozione, come se questo fosse un sigillo di garanzia delle cose spirituali.

Certamente il cuore è segno di calore sincero per una fede, ma il suo collegamento con essa è un mistero, come quando ci s’innamora improvvisamente di una persona apparentemente scelta tra tante altre senza una seria motivazione.

Ma perché questo accade? Cosa fa scattare il colpo di fulmine?

Sono in molti che hanno tentato di darne una spiegazione, ma forse quelle più cre-dibili sono quelle che fanno riferimento a un percorso precedente, in parte incon-scio, che ha formato nella mente un modello che quando lo riconosciamo fa scattare inaspettato il colpo di fulmine.

Io allora ho deciso di ripercorre il mio lungo cammino di fede per ripensare alla mia esperienza, per mettere in luce i miei momenti più significativi e capire come ab-biamo influito sulla mia fede.

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2.3 La mia esperienza La mia esperienza religiosa, cominciata da bambi-no, è stata molto lineare.

Vivevo in un quartiere periferico di Milano, in una famiglia cattolica insieme ad altri due fratelli mino-ri. Da bambino ricevevo quei libretti dove si vedo-no due simpatici personaggi, uno, un angelo che ti

suggerisce di fare il bravo per fare contento Gesù, e l’altro un demonietto che ti invita a fare quello che ti pare.

Poi don Piero Uggeri, il quasi parroco dei gi-rovaghi milane-si, con fare pa-terno e sempre sorridente, invi-tava noi bambini a volere bene a Gesù per essere felici e ad amare la comunione, la cre-sima e il rosario come i modi migliori per in-contrarlo.

Poi durante le medie, ci fu un periodo in cui rimasi senza una guida, fui preso dal giocare, e la mia fede si ridusse all’andare a messa la domenica sollecitato dai miei genitori.

Questo fa meditare sulla grande importanza che hanno le guide nella formazione dei giovani e fanno compren-dere i comportamenti che oggi assumono tanti di loro che sono lasciati a se stessi.

Poi avvenne l’incontro con due grandi sacerdoti di vec-chio stampo, prima don Franco Monticelli, di appena 11 anni più grande di me, per tutti più un fratello maggiore che un padre, che fece di-ventare la mia fede un impegno di vita e mi fece da padre quando mi venne a man-care, poi anche con don Aldo Mauri diventato nostro parroco, che mi aiutò a com-prendere quale fosse la mia vocazione.

A 15 anni avevo cominciato a lavorare per aiutare la famiglia che viveva con lo sti-

Mia mamma con me

Don Piero

Mio papa con me

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pendio di mio padre impiegato, mentre la sera andavo alla scuola serale.

Quando ne avevo 19, mio padre morì ancor giovane a 49 per una malattia allora incurabile, proprio nel momento in cui avevo iniziato un rapporto maturo con lui.

A 25 ero diventato autosufficiente e così decisi di costruirmi una famiglia con Luciana, il mio unico e grande amore, e per oltre 40 anni pen-sai a fare bene il mio dovere di padre, lavora-tore e cittadino.

Il grande impegno lavorativo mi occupava qua-si tutto il tempo, per cui la fede la vivevo in modo sentito ma con una pratica limitata quasi

al minimo, per cui era raro che pensassi ai grandi temi della vita anche perché mi ba-stava quello che avevo ricevuto, e la fine del mio percorso mi sembrava ancora lon-tana.

Fu soltanto quando vendettero a una mul-tinazionale la ditta in cui lavoravo, che tro-vai opportuno lasciare l’azienda e decidere a 61 anni di andare in pensione e stabilirmi a Gavirate. Qui mi trovai a dover reinven-tare la mia vita.

Mi aspettavo che in una realtà più piccola, ci fosse maggior vivacità culturale e mag-

giore partecipazione, ma presto mi accorsi che in fondo il clima non era molto diver-

Luciana con don Francesco

Don Aldo

Gavirate

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so da quello di Milano, anche se qui stabilire delle relazioni è più facile.

Allora fondai il Centro Culturale Kairòs, ma presto mi accorsi che, non facendo parte di nessun gruppo, mi era molto difficile portarlo avanti, per cui decisi di trasformalo in un Centro Culturale Virtuale, sfruttando la mia lunga competenza informatica.

Cominciai a scrivere libri basati su ricerche storiche e alcuni articoli sulla vita locale che hanno sviluppato in me una grande curiosità e mi hanno portato a fare una grande quantità di ricerche e riflessioni in diverse direzioni, comprese quelle della fede, che non potevo tenere solo per me.

Presto lo scrivere divenne la mia grande passione, che poi mi aiutò a sopportare la grave malattia che a 73 anni mi aveva colpito.

Approfondendo vari temi, mi accorsi presto che non bastava indagare sugli aspetti storici per comprendere cosa aveva dato un senso alla mia vita, per cui cercai di ar-rivare a una sintesi delle mie esperienze e delle conoscenze di fede per svilupparla e renderla più matura.

Così mi sono concentrato sulla ricerca delle vie che la fede percorre per arrivare al cuore e sulla verifica se questa fosse un bisogno reale e importante per ogni uomo.

Noi fidanzati

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3 I bisogni di ogni uomo

Nella ricerca dei bisogni di ogni uomo, appare subito evidente che, prima dei bisogni spirituali, ogni persona debba soddisfare quelli che la natura gli ha messo al primo posto, ossia quelli chiamati primari, che permettono di sopravvivere soddisfando il desiderio di un benessere minimo che consiste nel non avere fame e sete, e avere un posto per riposare e vivere in salute.

Solo dopo possono emergere i bisogni collegati alla stirpe, che fanno sentire ogni individuo, parte di una storia di un gruppo che gli dà sicurezza e protezione, gli con-sente di partecipare con azioni che diano continuità della sua comunità come la ge-nerazione di figli e lo sviluppo delle conoscenze e delle capacità, in un clima collabo-rativo in cui ognuno si senta stimato protagonista, possa esprimere le proprie capa-cità e talenti per ottenere: prestigio e successo, ossia tutte cose che quando sono pienamente realizzate, possono permettere di provare momenti di felicità.

Le difficoltà per soddisfare questi bisogni, hanno portato alla costituzione delle fa-miglie che semplificano la struttura sociale, formano gruppi di persone che si suddi-vidono i compiti, stabiliscono regole che aiutano a superare i propri limiti e i nume-rosi problemi con l’impegno di tutti.

Così ognuno può superare i propri limiti, fatti di paure ed emozioni, consce e incon-sce derivate dall’esperienza, che gli impediscono di agire razionalmente e lo porte-rebbero a costruire muri dietro di cui nascondere il proprio intimo.

Con la ragione comunque ognuno cerca di superarli e di adattarsi all’ambiente, an-che a costo di fare scelte dispendiose o dolorose contrarie al proprio volere, che non gli permettono di essere quello che vorrebbe essere.

L’unico modo per crescere è prendere coscienza dei propri limiti e con coraggio, au-

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tenticità, maturità e forza, mostrarsi quello che si è, creando rapporti sinceri basati su un amore e un affetto sincero, e non sulle apparenze, per tentare di raggiungere la felicità anche in presenza di problemi, grazie alle capacità, cultura e mezzi di cui siamo dotati.

Molti si esaltano cercando di lottare per la felicità, anche se non sempre chi lotta vince, ma la lotta da sola già apre a una nuova consapevolezza che permette di arri-vare a conoscere se stessi, capire le ragioni degli altri, e guardare le cose in modo nuovo se sappiamo aprirci alla compassione.

Un grande maestro indiano insegnava che le cose che avrebbero potuto di-struggere la razza umana sono: la politica senza principi, il progresso senza compassione, la ricchezza senza lavoro, l'apprendimento senza silenzio, la reli-gione senza compassione e il culto senza consapevolezza. L'arte della felicità riconsegnerebbe la politica ai valori, il progresso alla giusta distribuzione dei beni, la ricchezza alla fatica, l'apprendimento al gusto della curiosità, la reli-gione alla passione per l'uomo, il culto al senso del sacro.

3.1 La dimensione ultraterrena Poi, soddisfatti i bisogni naturali, ogni uomo avverte di avere anche una dimensione spirituale, che lo induce a credere a una realtà ultraterrena superiore a quella uma-na, spesso chiamata Dio, che sfugge all’osservazione della scienza e si manifesta in numerosi modi che fanno maturare il desiderio di comunicare con essa.

Per soddisfare questo desiderio, ogni uomo tenta di mettersi in contatto con essa e si aspetta di avvertire nel suo cuore una risposta dalle religioni o dalle filosofie, che comunque riceve ma non riesce a identificare e valutare proprio per la sua natura.

La mancanza di certezze assolute procura dubbi e obbliga ognuno a esaminare le proprie sicurezze, emozioni e atteggiamenti, pur sapendo che prima del termine del-la vita nessuno può giungere alla verità assoluta, ma si deve accontentare di pezzi di verità che comunque gli permettano di fare scelte coerenti e constanti, che gli con-sentano di non cadere nella disperazione di chi lotta per il nulla.

3.2 La testimonianza dei volontari Il volontariato è un esempio concreto dei bisogni spirituali dell’uomo poiché è fre-quente nelle comunità dei credenti e dei non credenti.

Secondo i credenti questi comportamenti sono il frutto dei doni del creatore che so-no offerti a tutti, anche se non tutti arrivano a riconoscerli e accoglierli come tali.

Secondo il non credente primatologo Frans De Waal, esiste una forma di moralità in alcuni primati che poi sarà adattata dalle religioni, dimostrando che pertanto cre-denti e non credenti condividono la stessa eredità biologica.

La solidarietà negli atei e negli agnostici, appare spontanea, perché è imposta solo dalla fede nell’uomo e non ha alcuna motivazione ultraterrena, avendo ogni essere

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umano la capacità di immede-simarsi nelle emozioni e nei sentimenti altrui, facendo proprie le loro sofferenze, do-lori e disagi, anche se poi le vicende della vita possono fortemente attenuarle e far prevalere l’egoismo.

Gandhi aveva una splendida dotazione di questi doni e li ha fatti fruttare meraviglio-samente, mentre Madre Te-resa di Calcutta aveva an-ch'essa la stessa dotazione, ma aveva anche una meravi-gliosa dotazione dei beni della redenzione, che le consentivano di riconoscere negli ultimi di Calcutta il volto di Cristo e la portavano a dedicarsi loro con un amore senza limiti, quello con cui sapeva di essere amata da Gesù.

Un altro esempio è di mons. Jean De Menasce, che racconta:

Io, ebreo, avevo 22 anni, studiavo a Parigi, ero ateo anarchico.

Domandai al sindacato se potessi fare qualcosa con loro per i poveri.

Mi chiesero se avevo la tessera del sindacato.

Non mi feci più vedere.

Andai dal parroco della zona in cui avevo stanza e gli dissi:

io sono ateo, anarchico, mi accet-ta a fare qualcosa con lei per i po-veri?

Devo essere per sempre ricono-scente a quel sacerdote che mi ac-colse a lavorare con lui senza far-mi mai una parola di religione, perché me ne sarei andato.

Il Signore in seguito lo raggiunse, si convertì al cristianesimo, diven-ne sacerdote, lavorò moltissimo per i poveri promuovendo in Italia le Scuole di servizio sociale, morì canonico di San Pietro.

Gandhi

Jean De Menasce

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3.3 Il dubbio, pane quotidiano Martini in un incontro con Eugenio Scalfari, che gli aveva esposto i suoi dubbi, gli ri-spose:

Lei cerca il senso della vita. Lo cerco anch'io. La fede mi dà questo senso, ma non elimina il dubbio. Il dubbio tormenta spesso la mia fede.

È un dono, la fede, ma è anche una conquista che si può perdere ogni giorno e ogni giorno si può ricon-quistare.

Il dubbio fa parte della no-stra umana condizione, sa-remmo angeli e non uomini se avessimo fugato per sempre il dubbio. Quelli che non si cimentano con questo rovello hanno una fede poco intensa, la met-tono spesso da parte e non ne vivono l'essenza.

La fede intensa non lascia questo spazio grigio e vuoto. La fede intensa è una passione, è gioia, è amore per gli altri e anche per se stessi, per la propria indi-vidualità al servizio del Signore.

Il Vangelo dice: ama il tuo prossimo come ami te stesso. Non c'è in questo messaggio la negazione dell'amore anche per sé, l'amore, se è vera passione, opera in tutte le direzioni, è trasversale, è allo stesso tempo verticale verso Dio e orizzontale verso gli altri. L'amore per gli altri contiene già l'amore verso Dio.

3.4 La testimonianza degli scienziati Spesso la cultura moderna usa la scienza in modo improprio per cercare di afferma-re l’inesistenza delle religioni, o quanto meno, per seminare dubbi su quanto affer-mano, ma non tiene conto del parere di numerosi scienziati credenti come William Daniel Phillips, vincitore del premio Nobel per la fisica nel 1997, che ha scritto:

Molti credono che la scienza, e la religione siano nemici inconciliabili. Io sono uno scienziato ordinario e una persona di fede religiosa e per molti questo mi rende in contraddizione: uno scienziato serio che crede seriamente in Dio.

Mentre la maggior parte dell’attenzione dei media va agli atei che affermano che la religione è una sciocca superstizione, e va ai creazionisti altrettanto in-tegralisti che negano l’evidenza chiara dell’evoluzione cosmica e biologica, la maggioranza delle persone che conosco non ha alcuna difficoltà ad accettare la conoscenza scientifica e mantenere la fede religiosa.

Scalfari con Martini

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Come fisico ho bisogno di prove concrete, esperimenti riprodu-cibili, e una logica rigorosa per supportare qualsiasi ipotesi scientifica, ma io posso credere perché credere in Dio non è una questione scientifica e la scien-za non è l’unico modo utile per guardare alla vita.

Come fisico, vedo un universo ordinato, bellissimo, in cui quasi tutti i fenomeni fisici possono essere compresi da poche sem-plici equazioni matematiche, che se fosse stato costruito in modo leggermente diverso, non avrebbe mai dato vita a stelle e pianeti. E non vi è alcuna buona ragione scientifica per cui l’universo non avrebbe dovuto es-sere diverso.

Molti buoni scienziati hanno concluso da queste osservazioni che un Dio intel-ligente deve avere scelto di creare l’universo ma ci sono anche altri buoni scienziati atei che lo negano. Entrambe le conclusioni sono posizioni di fede.

Il filosofo Anthony Flew, prima ateo, ha deciso che, sulla base di elementi di prova, bisogna credere in Dio ma io trovo questi argomenti suggestivi ma non conclusivi.

Io credo in Dio perché sento la presenza di Dio nella mia vita, perché riesco a vedere le prove della bontà di Dio nel mondo, perché credo nell’Amore e per-ché credo che Dio è Amore, ma questo, non mi rende una persona migliore o un fisico migliore di altri.

Certamente non sono libero dai dubbi su Dio, perché alle domande sulla pre-senza del male nel mondo, la sofferenza dei bambini innocenti, la varietà del pensiero religioso, e altre mi lasciano cosciente della mia ignoranza.

Ciò nonostante, credo più a causa della scienza che a dispetto di essa, ma alla fine soltanto perché io credo. Come ha scritto Paolo agli Ebrei:

La fede è certezza di cose che si sperano, dimostrazione di cose che non si vedono. (Eb.11,1)

La sua opinione è simile a quella di Antonio Zichichi che ha scritto: È opinione comune che le leggi dell'universo scoperte dalla scienza siano in conflitto con quelle imperscrutabili di Dio.

La contrapposizione tra fede e scienza rappresenta uno dei dilemmi più lace-

Daniel Phillips

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ranti del nostro tempo; un dramma che conobbe il suo primo controverso atto con Gallileo Galilei.

Eppure non esiste alcuna scoperta scientifica che pos-sa essere usata al fine di mettere in dubbio o di nega-re l'esistenza di Dio.

Galilei, era credente e consi-derava la scienza uno straordinario strumento per svelare i segreti di quella na-tura che porta le impronte di Colui che ha fatto il mondo.

E credenti erano James Clerk Maxwell e Max Planck, due padri della fisica contempo-ranea, uomini che hanno scoperto nuovi orizzonti sulle leggi dell'universo grazie allo studio di particelle infinitamente piccole.

Le conquiste della scienza non oscurano le leggi divine, ma le rafforzano, con-tribuendo a risvegliare lo stupore e l'ammirazione per il meraviglioso spettaco-lo del cosmo, che va dal cuore di un protone ai confini dell'universo.

Nessuna scoperta scientifica ha messo in dubbio l'esistenza di Dio.

La scienza è fonte di valori che sono in comunione, non in an-titesi con l'insegnamento delle Sacre Scritture, quindi con i va-lori della Verità Rivelata.

Nessun ateo può quindi illuder-si di essere più logico e scienti-fico di chi crede.

Chi sceglie l'Ateismo fa quindi un atto di fede nel nulla.

Credere in Dio è più logico e scientifico che credere nel nul-la.

James Clerk Maxwell

Max Planck

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3.5 Le emozioni passano, i sentimenti vanno coltivati Quando si parla di bisogni, bisogna tener conto che conoscenze ed emozioni alimen-tano i sentimenti che orientano i comportamenti, come ben spiega Zygmunt Bau-man in un’intervista in cui racconta come sia possibile amarsi e rimanere insieme tutta la vita con la propria moglie anche in questo tempo, com’era normale sino a qualche generazione fa, mentre oggi è invece diventata una rarità, una scelta invi-diabile o folle, seconda dei punti di vista.

Cos'è che ci spinge a cercare sempre nuove storie? Il bisogno di amare ed essere amati, in una continua ricerca di appagamento, senza essere mai sicuri di essere soddisfatti abbastanza. L'amore liquido è proprio questo: un amore diviso tra il desiderio di emozioni e la paura del legame.

Dunque siamo condannati a vivere relazioni brevi o all'infedeltà ... Nessuno è condannato. Di fronte a diverse possibilità sta a noi scegliere.

Alcune scelte sono più facili e altre più rischiose. Quelle apparentemente meno im-pegnative sono più semplici rispetto a quelle che richiedono sforzo e sacrificio.

Eppure lei ha vissuto un amore duraturo, quello con sua moglie Janina, scomparsa due anni fa. L'amore non è un oggetto preconfezionato e pronto per l'uso. È affidato alle nostre cure, ha bisogno di un impegno costante, di essere rigenerato, ricreato e resuscitato ogni giorno. Mi creda, l'amore ripaga quest'attenzione meravigliosamente.

Per quanto mi riguarda posso dirle: come il vino, il sapore del nostro amore è miglio-rato negli anni.

Oggi viviamo più relazioni nell'arco di una vita, siamo più liberi o più impauriti? Libertà e sicurezza sono valori entrambi necessari, ma sono in conflitto tra loro. Il prezzo da pagare per una maggiore sicurezza è una minore libertà e il prezzo di una maggiore libertà è una minore sicurezza.

La maggior parte delle persone cerca di trovare un equilibrio, quasi sempre invano.

Lei però è invecchiato insieme a sua moglie: come avete affrontato la noia della quotidianità? Invecchiare insieme è diventato fuori moda? È la prospettiva dell'invecchiare a essere ormai fuori moda, perché è identificata con una diminuzione delle possibilità di scelta e con l'assenza di novità.

Quella novità che in una società di consumatori è stata elevata al più alto grado del-la gerarchia dei valori ed è considerata la chiave della felicità. Tendiamo a non tolle-rare la routine, perché fin dall'infanzia siamo stati abituati a rincorrere oggetti usa e getta da rimpiazzare velocemente. Non conosciamo più la gioia delle cose durevoli, frutto dello sforzo e di un lavoro scrupoloso.

Abbiamo finito per trasformare i sentimenti in merci. Come possiamo ridare all'al-tro la sua unicità? Il mercato ha fiutato, nel nostro bisogno disperato di amore, l'opportunità di enormi

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profitti.

E ci alletta con la promessa di poter avere tutto senza fatica: soddisfazione senza la-voro, guadagno senza sacrificio, risultati senza sforzo, conoscenza senza un processo di apprendimento.

L'amore richiede tempo ed energia. Ma oggi ascoltare chi amiamo, dedicare il nostro tempo ad aiutare l'altro nei momenti difficili, andare incontro ai suoi bisogni e desi-deri più che ai nostri, è diventato superfluo: comprare regali in un negozio è più che sufficiente a ricompensare la nostra mancanza di compassione, amicizia e attenzio-ne.

Ma possiamo comprare tutto, non l'amore. Non troveremo l'amore in un negozio. L'amore è una fabbrica che lavora senza sosta, ventiquattro ore il giorno e sette giorni la settimana.

Forse accumuliamo relazioni per evitare i rischi dell'amore, come se la quantità ci rendesse immuni dell'esclusività dolorosa dei rapporti. È così. Quando ciò che ci circonda diventa incerto, l'illusione di avere tante seconde scelte, che ci ricompensino dalla sofferenza della precarietà, è invitante.

Muoversi da un luogo all'altro più promettente, perché non ancora sperimentato, sembra più facile e allettante che impegnarsi in un lungo sforzo di riparazione delle imperfezioni della dimora attuale, per trasformarla in una vera e propria casa e non solo in un posto in cui vivere.

L'amore esclusivo non è quasi mai esente da dolori e problemi, ma la gioia è nello sforzo comune per superarli.

In un mondo pieno di tentazioni, possiamo resistere? E perché? È richiesta una volontà molto forte per resistere. Emmanuel Lévinas ha parlato della tentazione della tentazione.

È lo stato dell'essere tentati, ciò che in realtà desideriamo, non l'oggetto che la ten-tazione promette di consegnarci.

Desideriamo quello stato, perché è un'apertura nella routine.

Nel momento in cui siamo tentati, ci sembra di essere liberi, stiamo già guardando oltre la routine, ma non ab-biamo ancora ceduto alla ten-tazione, non abbiamo ancora raggiunto il punto di non ritor-no.

Un attimo più tardi, se cedia-mo, la libertà svanisce ed è so-stituita da una nuova routine. La tentazione è un'imboscata nella quale tendiamo a cadere

Zygmunt Bauman

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gioiosamente e volontariamente.

Lei però scrive: Nessuno può sperimentare due volte lo stesso amore e la stessa morte. Ci s’innamora una sola volta nella vita? Non esiste una regola. Il punto è che ogni singolo amore, come ogni morte, è unico.

Per questa ragione, nessuno può imparare ad amare, come nessuno può imparare a morire. Benché molti di noi sognino di farlo e non manca chi provi a insegnarlo a pa-gamento.

Nel '68 si diceva: Vogliamo tutto e subito. Il nostro desiderio di appagamento im-mediato è anche figlio di quella stagione? Il 1968 potrebbe essere stato un punto d'inizio, ma la nostra dedizione alla gratifica-zione istantanea e senza legami, è il prodotto del mercato che ha saputo capitalizza-re la nostra attitudine a vivere il presente.

I legami umani in un mondo che consuma tutto sono un intralcio? Sono stati sostituiti dalle connessioni.

Mentre i legami richiedono impegno, connettere e disconnettere è un gioco da bambini.

Su web si possono avere centinaia di amici muoven-do un dito. Farsi degli amici offline è più complicato. Ciò che si guadagna in quantità si perde in qualità.

Ciò che si guadagna in facilità, scambiata per liber-tà, si perde in sicurezza.

Lei e Janina avete mai attraversato una crisi? Come potrebbe essere diversamente? Ma fin dall'i-nizio abbiamo deciso che lo stare insieme, anche se difficile, è incomparabilmente meglio della sua al-ternativa.

Una volta presa questa decisione, si guarda anche alla più terribile crisi coniugale come a una sfida da affrontare.

L'esatto contrario della dichiarazione meno rischiosa: Viviamo insieme e vediamo come va...

In questo caso, anche un'incomprensione prende la dimensione di una catastrofe se-guita dalla tentazione di porre termine alla storia, abbandonare l'oggetto difettoso, cercare soddisfazione da un'altra parte.

Il vostro è stato un amore a prima vista? Sì, le feci una proposta di matrimonio e, nove giorni dopo il nostro primo incontro, lei accettò.

Ma c'è voluto molto di più per far durare il nostro amore, e farlo crescere per 62 an-ni.

Janina

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4 La pratica della religione e le emozioni

Quando avevo cercato di confrontare le religioni e le filosofie osservai che entrambe cercano di organizzare le conoscenze per facilitare i percorsi per raggiungere la feli-cità in un contesto in cui prevalgono i non pensanti che imitano gli stili di vita pro-posti e sviluppano l’indifferenza verso tutte le forme spirituali e di pensiero.

Molte filosofie si basano solo sul ragionamento attorno alla trascendenza, che non lascia spazio alle emozioni, viste a volte come minacce al raggiungimento della veri-tà, invece, a differenza delle filosofie, la fede non è riconducibile a rielaborazioni mentali, ma si nutre di storia, fatti, testi, ricordi, eventi, parole e relazioni che coin-volgono tutto l’essere, a partire dalla coscienza e dalla possibilità di riconoscere nel-la creazione le tracce della presenza del Dio.

Solo con la fede si può rimanere fedeli su cose che la ragione ha accettato, anche quando cambiano i sentimenti.

Per riuscirci occorre esercitarla soprattutto vivendola coscientemente nella vita, poi-ché nessuna credenza sopravvive in modo automatico nella mente se non è alimen-tata da atti concreti, altrimenti sarà persa per inerzia o superbia, anche perché in ogni uomo esistono impulsi maligni che si rivelano solo quando si tentano di prati-care le virtù senza riuscirci, mentre i malvagi non se ne rendono conto solo perché vivono sempre secondo l’istinto.

La preghiera Caratteristica di ogni religione è la presenza della preghiera, che tenta di mettere il cuore e la mente di ognuno a colloquio con la realtà ultraterrena, e spesso si esauri-sce in forme superficiali di pura richiesta, che non tengono conto di quanto la reli-gione scelta proponga, dando luogo così a numerose delusioni.

La preghiera dei credenti non è di un solo tipo e scopo, poiché è un insie-me di strade tracciate e suggerite da altri per entrare nel mistero col giu-sto stato d’animo per soddisfare i propri bisogni.

Invece il non credente, non ha nes-suno cui rivolgersi oltre se stesso, e quindi la sostituisce con una riflessio-ne sui valori universalmente più ac-cettati, e che in qualunque momento possono essere variati, tra cui spicca la pari dignità delle persone.

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4.1 La proposta cristiana Questo libro, volendo riportare solo la mia esperienza, parla solo della proposta cri-stiana nella convinzione che sia la migliore possibile, come hanno mostrato tante grandi spiritualità come: Francesco, Benedetto, Domenico, Antonio, Chiara, Caterina, Teresa, Filippo, Pio, ma anche tanta gente comune, che ha testimoniato, ognuno nel suo tempo, come si possa vivere con gioia la vita e affrontare con serenità le difficol-tà per la speranza di una vita eterna.

Si tratta di una proposta fatta di cose concrete: la storia del popolo ebraico con Abramo, Mosè, i profeti, ma soprattutto di Gesù Figlio di Dio che ci fa conoscere Dio Padre, buono e misericordioso che ha stabilito una Nuova Alleanza, che completa quell’Antica ed è aperta a tutti gli uomini giusti senza alcune distinzione.

La sua essenza è credere che Dio sia venu-to tra noi tramite suo Figlio Gesù per:

Aprirci le porte del suo regno, portare a compimento l’Antica Alleanza stabilita con Mosè; comunicare direttamente con tutti gli uomini per fare comprendere che lui è un Padre ricco di misericordia che ci ha preparato un posto nel suo regno di felicità eterna; e non ci farà mai mancare i suoi doni che ci invia tramite lo Spirito Santo.

Questo messaggio universale, sconvolse le autorità ebraiche che perseguitarono Gesù e lo crocifissero, con lui che accettò di es-sere l’unica vittima per sempre, il capro espiatorio, la vittima ebraica per eccellen-za, su cui tutti gli uomini potessero scarica-re per sempre tutti i loro peccati, per otte-nere il loro perdono dal Padre che conti-nuamente offendiamo col male che compiamo.

Dopo la sua morte, il Padre lo fece risorgere, e lui prima di ascendere a cielo, spiegò agli Apostoli il senso della sua vita tra noi, la speranza della vita eterna, la missione che dovevano compiere, la promessa che mai avrebbe abbandonato gli uomini di ogni tempo e luogo, e a tale scopo nell’Ultima Cena istituì l’Eucarestia che trasforma i nostri doni e le nostre pene nel suo corpo e nel suo sangue, per farne sintesi e par-tecipazione alla sua Passione.

Solo chi accetta questa Verità può scoprire la bellezza del volto e della storia di Cri-sto Figlio di Dio, fattosi uomo di vita buona, bella e beata, libero come nessuno, che ha amato tutti gli uomini come nessun altro nella storia e ci ha fatto conoscere che Dio è gioia, libertà e pienezza.

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Solo così si può vedere crescere nel nostro cuore bisognoso di felicità, la passione e il desiderio di essere discepoli di Gesù, figlio di un Dio che non chiede innanzitutto rinunce, sacrifici, o una vita triste, ma chiede prima di tutto di comprenderlo, cono-scerlo e amarlo. Questo è quanto di meglio si possa richiedere a una fede.

Poi è compito della fede far conoscere che esiste davvero questo Dio bello, deside-rabile, interessante, ben diverso da quello che molti fanno morire di noia nelle chie-se, e spiegare come ci siano misteri troppo grandi, a cominciare da Dio stesso, per essere conosciuti in questa vita, perché si potranno comprendere pienamente solo quando anche noi assumeremo una dimensione spirituale.

La felicità è uno stato dell’anima che la cultura consumistica e falsamente liberale è incapace di dare tramite il benessere fisico anche tentando apparire un’alternativa migliore del cristianesimo che presenta in modo distorto, ossia triste e contrario alla natura umana, mentre la prima cosa che bisogna comprendere è che abbracciarlo significhi vivere una vita autenticamente felice, come dovette spiegare Paolo già 2000 anni fa ai Galati, quando li invitò a non praticare:

fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, ge-losia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere;

per invitarli a raggiungere la felicità vivendo una vita libera dalle passioni malsane ossia amando il prossimo come se stessi, praticando:

amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza e dominio di sé.

4.2 Il luogo e la preghiera cristiana Noi non sappiamo cosa sia conveniente domandare nella preghiera ma sappiamo che è occasione per incontrare Dio col cuore se abbiamo imparato a rivolgersi a lui con umiltà e a mettersi in ascolto di quanto Lui ha già detto nella Bibbia, per lodarlo e ringraziarlo per la vita e gli altri i doni ricevuti.

Sappiamo anche che la preghiera non è uno sforzo di fantasia, non è recitare parole vuote o lette, ma non pensate, che non comunicano, ma può essere anche solo con-templazione di un’immagine o di un pensiero fatta con amore, un confronto con la sua volontà imparando a domandare: cosa vuoi da me qual è la tua volontà? Gandhi diceva: È meglio una preghiera senza parole che tante parole senza preghiera.

Per fare questo è necessario che ci sia un adeguato atteggiamento della mente e del corpo, in un’ambientazione adatta che permetta di prepararsi e concentrarsi per mettersi alla sua presenza e parlare a Lui come si parla con un amico.

Il luogo della preghiera per eccellenza è la chiesa dove la comunità è invitata da Dio soprattutto per la celebrazione della messa che fa memoria del mistero pasquale di Cristo con l'ascolto delle Scritture, la celebrazione dell'Eucarestia, ma anche per le altre liturgie, anche se questo non esclude che si possa pregare in qualunque luogo pur sapendo che non in tutti i luoghi ci si può concentrare con la stessa facilità.

Questo richiede che la struttura e l’arredamento delle chiese favoriscano la parteci-

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pazione dei fedeli alle liturgie, favorendo le relazioni con i vicini e col centro dell’azione liturgica, con dimensioni tali da evitare sia affollamenti eccessivi sia grandi vuoti, forniscano posti comodi che favoriscono l’attenzione e facciano sentire i presenti come una comunità orante, permettano di compiere facilmente i gesti e i movimenti previsti dai riti, in un ambiente con luminosità, acustica e gradini che consentano una partecipazione consapevole anche ad anziani, disabili e bambini.

Purtroppo la modernità mette molte volte a disagio i fedeli costringendoli in am-bienti freddi e spogli per aver confuso il gusto per l'essenziale e la semplicità con la banalizzazione dello spazio invece di limitarsi a evitare un’estetica fatta di fronzoli e

ridondanze per far sentire i fedeli essere una comunità riunita in assemblea per un incontro con Dio, già dopo aver superato la soglia.

Quest’atteggiamento è anche dovuto al fatto che l’arte religiosa è diventata irrile-vante perché ha seguito l’arte moderna nell’astrazione iconoclasta tendente al nulla con un’architettura cattolica contemporanea che ha prodotto molte chiese respin-genti, antipatiche e brutte, tanto da far rimpiangere alcuni antichi arredamenti di cattivo gusto ma almeno pertinenti e far sentire una fatale nostalgia della trascen-denza.

Madonna delle Lacrime - Dongo

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4.3 Perché cominciare da Gesù Nella mia esperienza personale ho raggiunto la certezza che Gesù è l’unico che in modo pacifico, con la forza della sua parola e dei suoi straordinari miracoli, in soli tre anni, ha saputo da solo, col suo insegnamento, cambiare la storia del suo popolo, del mondo occidentale e poi di tutta l’umanità, come afferma l’agnostico Benedetto Croce:

Il cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l'umanità abbia mai com-piuta: così grande, così comprensiva e profonda, così feconda di conseguenze, così inaspettata e irresistibile nel suo attuarsi, che non maraviglia che sia ap-parso o possa ancora apparire un miracolo, una rivoluzione dall'alto, un diret-to intervento di Dio nelle cose umane, che da lui hanno ricevuto legge e indiriz-zo affatto nuovo.

Tutte le altre rivoluzioni, tutte le maggiori scoperte che segnano epoche nella storia umana, non sostengono il suo confronto, parendo rispetto a lei, partico-lari e limitate [...]. E le rivoluzioni e le scoperte che seguirono nei tempi moder-ni, in quanto non furono particolari e limitate al modo delle loro precedenti an-tiche, ma investirono tutto l'uomo, l'anima stessa dell'uomo, non si possono pensare senza la rivoluzione cristiana [...].

La ragione di ciò è che la rivoluzione cristiana operò al centro dell'anima, nella coscienza morale e, conferendo risalto all'intimo e al proprio di tale coscienza, quasi parve che le acquistasse una nuova virtù, una nuova qualità spirituale, che fin allora era mancata all'umanità.

Pertanto, a chi appartiene alla cultura occidentale e va alla ricerca della Verità, do-vrebbe apparire evidente che, prima di fare altre ricerche, sia più che mai opportuna una conoscenza approfondita di Gesù con tutti i suoi aspetti storici, dottrinali, co-munitari, personali e spirituali che hanno grandemente influito a formare la cultura europea e occidentale.

4.4 Le emozioni in una vita con Gesù Gesù è il modello che tutti i cristiani cercano di imitare con sincerità di cuore per provare quelle emozioni che fanno assaporare veri momenti di felicità. È con questa convinzione che, dopo i miei precedenti libri in cui ho cercato in tutti i modi di ap-profondire la conoscenza di Gesù e del cristianesimo, ho voluto approfondire le emozioni che avevano provato lui e chi gli era stato vicino.

Egli venne dopo che la ripetuta infedeltà del popolo ebreo all’Alleanza che aveva stabilito con Dio tramite Mosè in cui, in cambio della sua protezione, prometteva di essere fedele solo a lui unico Dio e ai suoi comandamenti, la Legge.

Dio Padre, vista poi l’infedeltà di Israele, invitò suo Figlio a rivestire la sua natura di-vina con quella umana per giungere sino a noi.

Così, con l’aiuto di Maria e dello Spirito Santo, Egli s’incarnò per divenire un uomo

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autentico e uguale a tutti, ossia con le stesse sensibilità, responsabilità ed emozioni.

Egli visse i primi trent’anni a Nazareth come figlio e operaio modello stando sotto-messo a Giuseppe, che gli insegnò il mestiere di falegname, mentre Maria lo accudi-va trepidante, non sapendo come la sua storia si sarebbe compiuta.

Lui frequentava la sinago-ga, dove imparò a leggere e conoscere la Bibbia. Sicu-ramente ebbe amici con cui crebbe come un giovane al-legro e buon ebreo, e come tutti superò le stesse prove.

Poi, quando venne il suo tempo, sorprendentemen-te cominciò da solo a girare le sinagoghe della Galilea per annunciare che Dio è un Padre misericordioso.

Compì anche numerose guarigioni, e presto si trovò circondato da folle.

Il suo annuncio, ben riassunto dalle beatitudini, esalta i poveri in spirito, e condanna l’ipocrisia di ricchi e sapienti.

Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. (Lc.10,21-24)

Lui non si limitava alle parole, poiché il suo cuore si commuoveva davanti a malati e sofferenti, e allora non si risparmiava nel fare guarigioni, tanto da poter dire ai di-scepoli del Battista, da lui mandati per sapere se era lui il Messia:

Ciechi ricuperarono la vista, storpi e paralitici camminarono, lebbrosi guariro-no, sordi udivano e altri erano liberati dai demoni.

Nei villaggi che incontrava nel suo girovagare, attirava gente che accorreva con en-tusiasmo ad ascoltarlo e a chiedere di guarire i propri malati, anche se non manca-rono posti in cui non lo vollero accogliere.

Non furono pochi anche i momenti in cui non poté resistere dal manifestare con for-za il suo sdegno contro chi usava la religione per imporre pesi ingiusti:

Chi non ricorda la sua furia quando cacciò i mercanti dal tempio? E i tanti guai a voi delle beatitudini?

Davanti all’ingiustizia reagì sempre con forza e fu modello per i suoi testimoni come lo fu per Giovanni Paolo II che urlò ai mafiosi: convertitevi, un giorno

Discorso della montagna -Carl Heinrich Bloch

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verrà il giudizio di Dio, dopo che questi avevano ucciso Rosario Livatino.

A volte i suoi interventi avevano una forza incredibile, come quando liberò un inde-moniato che nessuno riusciva a legare perché spezzava ceppi e catene, e con urli spaventava gli abitanti notte e giorno.

Gesù fece uscire da lui circa duemila demoni che entrarono nel corpo di altrettanti porci che si affogarono nel mare mostrando quanto potesse essere forte il male pre-sente tra gli uomini.

Allora come non comprendere quella gente che non si stancava di seguirlo e per due volte si ritrovò al tramonto in zone desertiche senza cibo tanto da commuovere Ge-sù e portarlo a fare il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci?

Certamente il suo fascino irresistibile, raggiunse anche la Giudea e la Samaria e fece accorrere tanta gente entusiasta anche da lì.

Chi diceva è arrivato un nuovo profeta, chi è tornato Elia, chi è lui il Messia che stia-mo aspettando, o chi credeva che fosse il Battista risuscitato.

Questo spaventò i capi religiosi che temevano potesse mettersi a capo di una rivolta che avrebbe potuto provocare la feroce repressione dei romani, com’era già capita-to con altri prima di lui.

Eppure mai lui si proclamò Messia, chiamava se stesso Figlio dell’uomo, mai spinse alla ribellione contro i romani e mai s’interessò di politica, e ogni volta in cui sem-brava che la folla lo volesse proclamare suo capo, lui si nascondeva poiché era venu-to per portare il Regno di Dio tra gli uomini, per far conoscere chi era e cosa voleva il Padre, combattere l’ipocrisia e i privilegi dei capi, mostrando quanto ingiusto fosse il loro potere. E questo li spaventava ancora di più.

Gli mandarono spie e provocatori per cercare di coglierlo in fallo per poterlo arresta-re e condannare, lui lo sapeva ma non si fermò, anzi rincarò le sue accuse nei suoi discorsi alle folle che sempre di più lo assediavano.

Certamente ebbe anche momenti in cui si divertì, come quando vide il piccolo Zac-cheo arrampicato su un albero per vederlo o vide quelli che scoperchiarono il tetto della minuscola casa in cui si trovava, per calargli un paralitico da guarire.

Attorno a lui si respirava un’atmosfera ricca di entusiasmo e di attesa di qualcosa di grande, tanto che alcuni decisero di seguirlo e divennero suoi discepoli, tra cui poi scelse gli Apostoli ossia quelli che dovevano continuare la sua missione dopo di lui.

Ebbe amici ma anche amiche che aveva guarito e lo sostenevano con i loro averi, e verso le quali provava un profondo affetto come con Maria, Marta e la Maddalena che aveva guarito da sette spiriti.

Chi non vorrebbe emozionarsi come capitò alla Maddalena, quando ebbe il privilegio di essere la prima ad annunciare la sua scomparsa agli increduli Apostoli, che tutta-via corsero speranzosi a verificare di persona?

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Nel giorno dopo il Sabbato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mat-tino, quand'era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepol-cro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto! Uscì allora Simon Pietro insieme all'altro discepolo, e si re-carono al sepolcro. Correvano in-sieme tutti e due, ma l'altro discepo-lo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Chinatosi, vi-de le bende per terra, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, e il suda-rio, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma pie-gato in un luogo a parte. Allora en-trò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. (Gv.20,1-8)

E poi ancor più quando per prima lo vide risorto?

Maria invece stava all'esterno vicino al sepolcro e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l'uno dalla parte del capo e l'altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: Donna, perché piangi? Rispose loro: Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto. Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. Le disse Gesù: Donna, perché piangi? Chi cerchi? Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo. Gesù le disse: Maria! Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: Rabbunì! che significa: Maestro! Gesù le disse: Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va dai miei fratelli e dì loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro. Maria di Magdala andò subito ad annunziare ai discepoli: Ho visto il Signore e anche ciò che le aveva detto. (Gv.20, 11-18)

Gesù era un uomo che si commuoveva sempre davanti: alle persone deboli; alle mamme con i loro bambini che accoglieva e benediceva sempre con tenerezza e in-dicava come modelli da seguire; alle folle di diseredati vessati sia dai romani sia dai loro capi; alla gente che viveva senza alcuna colpa una vita di sofferenze.

Per mostrare che il Padre era sempre con lui, fece anche le risurrezioni della figlia di

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Giairo, del figlio della vedova di Naim e quella di Lazzaro suo caro amico per il quale pianse la prima morte accertata dai sacerdoti, e poi davanti a una grande folla fece risorgere.

Sapeva che aveva poco tempo, per cui riservò poco spazio al suo riposo. La sera si accampava dove capitava con gli Apostoli, alcune donne e discepoli, spiegava loro ogni cosa, li ascoltava e li incoraggiava e certamente avrà anche con loro riso, sorriso e sofferto.

Poi lui, mentre loro dormivano, spesso si ritirava a pregare solo in lunghe veglie not-turne, cadendo in estasi durante le quali colloquiava col Padre che mai gli fece man-care il suo consiglio.

Dopo tre anni, con un processo farsa, lo condannarono a morte come bestemmiato-re, con Dio che non volle intervenire per rispettare la sua missione, malgrado che ai Getsemani lo avesse supplicato:

Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu!

e straziato assistette alla sua morte in Croce. Attorno a Gesù la gente ebbe tante occasioni per sentirsi toccata nel cuore, persino già prima della sua nascita, quando Maria andò a trovare la cugina Elisabetta e il figlio suo nel grembo esul-tò.

Poi, come non immaginare la grande gioia dei pastori e dei magi alla sua nascita? Il suo invito alla gioia era continuo anche nelle sue parabole sul Regno dei cieli, basti ricordare il tesoro nel campo, la perla, il seminatore, al ritrovamento della pecora perduta e il servo fedele.

Molti condivisero con lui la gioia, quando furono oggetto della sua attenzione, come quando: s’invitò a cena alla casa di Zaccheo; si commosse nel guarire l’emorroissa che aveva speso senza successo tutte le sue sostanze per le cure dei medici e le ba-stò toccare con fede il suo mantello per guarire; o la vedova straniera di Tiro che chiese la guarigione di sua figlia; o quando i suoi settantadue discepoli, mandati in missione, tornarono pieni di gioia per quanto avevano fatto.

Per non parlare delle emozioni provate sul monte Tabor, da Pietro, Giovanni e Gia-

Gesù in agonia - Ferdinand Victor Eugene Delacroix

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como nel vedere Gesù spendente e nel sentire la voce nel Padre. Ma non mancarono anche momenti bruschi come quando Pietro si sentì dire:

Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!

Ma certamente anche gli Apostoli provarono grandi emozioni durante l’ultima Pa-squa a cominciare prima con l’ingresso trionfale a Gerusalemme tra la folla in tripu-dio, e poi con l’emozionante Ultima Cena e la tragica Passione.

Poi smarriti, lo lasciarono solo dopo il suo arresto, malgrado che avessero visto le sue lacrime di sangue nell’orto degli ulivi.

Finalmente arrivò la loro l’esultanza dopo la sua Resurrezione, l’Ascensione, e la Pentecoste che con i suoi doni li spinse ad andare entusiasti e senza paura tra la gente a raccontare quello cui avevano partecipato, anche a costo di subire persecu-zioni.

4.5 L’incredulità degli ebrei La vita degli Apostoli con Gesù, raccontata nei quattro inimitabili e straordinari li-bretti del Vangelo sono cronache molto succinte che danno poco spazio ai senti-menti ma sono anche un inno alla gioia e alla speranza di una felicità eterna per chi, dopo un percorso virtuoso, ha vissuto con retta coscienza.

Essi parlano anche di folle entusiaste che seguivano Gesù per cui desta grande sor-presa il fatto che ne riuscì a convertire molto pochi, malgrado che per molti, fosse stato percepito come il Messia tanto atteso.

Gli ebrei Per spiegare l’incredulità degli ebrei, che pure avevano conosciuto quanto Gesù aveva fatto, non si può non accennare alle loro ragioni.

Secondo la legge ebraica è ebreo chiunque sia nato da madre ebrea, o per certe cor-

Maurycy Gottlieb, Ebrei in preghiera durante lo Yom Kippur, 1878, Museo di Tel Aviv

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renti abbia almeno un genitore ebreo. Inoltre oggi quasi tutte le correnti sono aper-te ai convertiti che in passato erano scoraggiati da lunghe e complicate procedure.

Bisogna, come prima cosa, tener presente che la loro conoscenza di Gesù deriva so-prattutto dalla tradizione cristiana, che ha raccolto le testimonianze di chi ci ha pre-ceduto, e dai Vangeli che, se fossero libri di favole, renderebbero il cristianesimo una fede inventata, o quanto meno non di origine divina.

Gli ebrei basano la loro fede sulla Torah che parla al popolo eletto nella sua totalità, da prescrizioni come quella del Sabbato che rafforzano non solo i legami familiari, sono scrupolosi nell’osservanza dei comandamenti, non credono alla divinità di Cri-sto ma sono disposti a riconoscerlo al più come un rabbino ebreo o un profeta. Inol-tre non credono che l’Antica Alleanza abbia bisogno di essere completata.

Per contro la fede dei cristiani è basata sul fatto che gli insegnamenti di Gesù sono ammissibili solo se Egli è Dio, perché vogliono superare la Torah anche a proposito del Sabbato e si rivolgono ai singoli come individui e non come popolo.

Gli ebrei sostengono che le eventuali sue manifestazioni soprannaturali, raccontate dai Vangeli e vantate come prove che Gesù fosse vero Figlio di Dio, non possono co-stituire né una prova della sua messianicità, né una garanzia dell’attendibilità della fede cristiana, né dei vari miracoli, perché non esistono documentazioni storiche o prove di altro genere, come dall’altra parte non esistono per altri profeti a comincia-re da Mosè.

Comunque ancor oggi la quasi totalità degli ebrei non crede che Gesù sia Figlio di Dio e sia il Messia, e alcuni pensano anche che non sia nemmeno esistito, anche perché nessuna delle profezie citate dalla Bibbia è mai stata adempiuta da Gesù e perché il suo insegnamento contraddice radicalmente molti punti fondamentali del-la Torah, quali:

La divinità di Gesù e la sua centralità; le dispute sul Sabbato con la sua funzio-ne sociale; il ruolo della famiglia; quanto prevede la Torah su popolo eletto, politica, laicità dello stato e tipo di universalità; non ha portato la pace univer-sale e l’eliminazione della povertà; predica l’amore per il prossimo invece che la parità di diritto simboleggiata da occhio per occhio, dente per dente.

E ritengono che per mostrare il collega-mento tra Bibbia e Gesù, i cristiani abbiamo distorto il senso delle profezie per adattare la storia a Lui e abbiano raccontato a poste-riori fatti già avvenuti.

Essi sostengono inoltre che comunque già nell’Antico Testamento era previsto che falsi profeti come Gesù, avrebbero avuto la capacità di ingannare il popolo con segni Manoscritti di Qumram

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miracolosi.

Essi comunque non riescono a spiegare come, senza l’aiuto di Dio, abbiano fatto i pochi ebrei convertiti a espandere il cristianesimo così rapidamente dopo la sua morte, nonostante la loro forte opposizione e le persecuzioni.

La storicità A parte il fatto che i Vangeli, anche solo da un punto di vista letterario, sono dei testi straordinari per intensità e originalità che avrebbero richiesto dei geni per inventarli, per comprendere il problema della loro storicità è necessario fare alcune osserva

zioni preliminari.

In generale questo fu un periodo poco documentato quasi privo di documenti origi-nali, Bibbia compresa, in cui è necessario basarsi su copie, indizi, prove indirette e analisi storiche, per valutare la loro storicità.

In base a ricerche di questo tipo, è certo che: i quattro Vangeli, a noi giunti, sono stati scritti tra il 60 e il 100, quando furono composti anche gli Atti degli Apostoli, le lettere di san Paolo, la Didachè; sono di origine apostolica ossia redatti sotto il con-trollo degli Apostoli quando erano ancora in vita; riportano la loro predicazione; fanno riferimento a una comunità quanto mai attiva come si ricava anche da alcun testimonianze non cristiane.

Cornelio Tacito (54-117) riporta la decisione dell'imperatore Nerone di riversare sui Cristiani la colpa dell'incendio che distrusse Roma nel 64.

Nerone s’inventò dei colpevoli e sottomise a pene raffinatissime coloro che la plebaglia, detestandoli a causa delle loro nefandezze, denominava cristiani.

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Origine di questo nome era Christus, il quale sotto l'impero di Tiberio era stato condannato all'estrema condanna dal procuratore Ponzio Pilato. (Annali XV, 44).

Svetonio nella sua opera: Vita dei dodici Cesari del 121; riferendo un fatto accaduto intorno al 50, affermò che Claudio espulse da Roma i Giudei che per istigazione di Cresto erano continua causa di disordine. (Vita Claudii XXIII, 4).

Egli scrisse Chrestus in luogo di Christus, non conoscendo la differenza tra giudei e cristiani, e per la somiglianza tra Chrestòs, che era un nome greco molto comune, e Christòs che voleva dire l'unto, il Messia, dimostrando quindi che a Roma già esiste-va una consistente comunità cristiana che disputava con gli ebrei.

Luciano (120-180) così descrisse i primi Cristiani:

I Cristiani ... tutt'oggi adorano un uomo, l'insigne personaggio che introdusse i loro nuovi riti, e che per questo fu crocifisso … Ad essi, fu insegnato dal loro originale maestro che essi sono tutti fratelli, dal momento della loro conver-sione, e perciò negano gli dèi della Grecia, e adorano il saggio crocifisso, vi-vendo secondo le sue leggi. (De morte Peregrini, 11-13).

Plinio Il Giovane (61-114) governatore romano di Bitnia, Asia Minore, e Ponto, in una delle sue lettere, chiese consiglio a Traiano sul modo più appropriato di condur-re le procedure legali contro le persone accusate di essere Cristiane:

Essi (i cristiani) avevano l'abitudine di incontrarsi in un certo giorno prestabilito prima che facesse gior-no, e quindi cantavano in versi al-ternati a Cristo, come a un dio, e pronunciavano il voto solenne di non compiere alcun delitto, né fro-de, furto o adulterio, né di mancare alla parola data, né di rifiutare la restituzione di un deposito; dopo ciò, era loro uso sciogliere l'assem-blea e riunirsi poi nuovamente per partecipare al pasto, un cibo di tipo ordinario e innocuo. (Plinio, Epistole).

Cui vanno aggiunte alcune testimonianze ebraiche come quelle del giudeo-romano Giuseppe Flavio (37-103 circa), di nobile famiglia sacerdotale, prima governatore della Galilea e comandante della rivolta antiromana, e poi al servizio dell'imperatore Vespasiano e di suo figlio Tito che scrisse:

Anano [...] convocò il sinedrio a giudizio e vi condusse il fratello di Gesù, detto il Cristo, di nome Giacomo, e alcuni altri, accusandoli di trasgressione della

Giuseppe Flavio

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legge e condannandoli alla lapidazione (Ant. XX, 200)

Ci fu verso quel tempo un uomo saggio che era chiamato Gesù, che dimostra-va una buona condotta di vita ed era considerato virtuoso, e aveva come allie-vi molta gente dei Giudei e degli altri popoli.

Pilato lo condannò alla crocifissione e alla morte, ma coloro che erano stati suoi discepoli non rinunciarono al suo discepolato e raccontarono che egli era loro apparso tre giorni dopo la crocifissione ed era vivo, ed era probabilmente il Cristo del quale i profeti hanno detto meraviglie. (Ant. XVIII, 116-119)

Ma anche fonti ebraiche come il Talmud Babilonese (III-IV secolo), collezione di scritti rabbinici, che riporta:

Alla vigilia della Pasqua [ebraica], Yeshu fu appeso. Per quaranta giorni prima dell'esecuzione, un araldo gridava:

Egli sta per essere lapidato perché ha praticato la stregoneria e ha condotto Israele verso l'apostasia. (Talmud Babilonese)

Da queste prime testimonianze di origine pagana ed ebraica appare con certezza che Gesù era esistito veramente e che i cristiani, dopo la sua morte, erano convinti della sua Resurrezione e seguivano il suo insegnamento.

La situazione attuale Poi dopo secoli in cui cristiani ed ebrei ebbero spesso rapporti conflittuali, iniziati da parte degli ebrei già al tempo della chiesa primitiva, col Concilio Vaticano II del 1962, i cristiani hanno fatto passi importanti per favorire rapporti amichevoli con loro, ri-badendo che la fede cristiana ha radici ebraiche e che gli ebrei sono i loro fratelli maggiori permettendo così di avviare importanti collaborazioni sia in campo biblico, con la traduzione unica di quei libri della Bibbia adottati da entrambe le fedi, sia sul piano culturale, sia sociale.

Comunque Israele è ben lontano da diventare quel grande regno di pace aperto a tutti gli uomini previsto dalla Bibbia a causa della situazione sociale e conflittuale che esiste in Palestina, a Gerusalemme e con tutti i paesi mussulmani.

La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me e il tuo trono sarà reso stabile per sempre. (II Samuele 7,17)

Inoltre da un punto di vista storico mentre il popolo ebraico, è pari a circa 14 milioni residenti prevalentemente in Usa e Israele, pratica una fede che è la decima tra le grandi religioni, quella cristiana è la prima e ha raggiunto tutte le nazioni.

Il giudaismo messianico Un accenno particolare va comunque fatto a un movimento sorto nel 1886 come giudaismo messianico nell’ambito degli evangelisti in Inghilterra quando fu fondata la prima congregazione.

Attualmente conta 200 congregazioni negli Usa, 50 in Israele, e altre in altri vari pae-si, con un numero di fedeli stimato superiore alle 500mila unità che professa:

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Le radici sono comuni; Dio non ha mai inteso che la Chiesa fosse separata dalle sue radici ebraiche; Yeshua (Gesù) è il Messia che non ha voluto fondare una chiesa ma ha stabilito un Nuovo Patto che ha consentito ai gentili di essere in-nestati nel popolo ebraico; si ritengono Ebrei a tutti gli effetti; osservano la To-rah; celebrano le feste ebraiche; seguono le tradizioni ebraiche; vedono in Israele la ricostruzione della patria ebraica; praticano la circoncisione; pratica-no il battesimo in età adulta; alcuni celebrano la santa cena una volta al mese come una Pasqua ebraica; la maggior parte evita di mangiare carne di maiale, lardo e frutti di mare; credono nei doni dello Spirito Santo; celebrano alcuni ri-tuali penitenziali legati alla festività del Yom Kippur.

Come si vede si tratta di un movimento più protestante che ebraico, anche se vi par-tecipa anche un piccolo gruppo di ebrei, che incontra l’opposizione sia degli ebrei, sia della Chiesa Cattolica, sia di altre chiese cristiane.

Un po’ come quasi tutte le chiese protestanti, mette al centro la Bibbia e lascia un po’ ai margini il Nuovo Testamento e la persona di Gesù, per privilegiare un rapporto diretto con Dio.

Celebrazione giudeo-messianica del Purim

Chiesa Evangelica Luterana della Santa Maria, San Pietroburgo, Russia

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5 Rivivere il Vangelo

Nella ricerca dell’emozione della fede, scoprii com’era coinvolgente la lettura del Vangelo fatta mettendosi nei panni di quelli che circondavano Gesù, allora mi venne il forte desiderio di provarci ed ebbi l’ispirazione di cercare di mettermi nei panni degli Apostoli, per raccontarla secondo il loro punto di vista e scrissi il libro: L’amico di Gesù. Fu così che sperimentai nuove emozioni tanto, che mentre procedevo a far raccontare e commentare dagli Apostoli gli episodi riportati dai Vangeli, più di una volta arrivai a commuovermi.

Se ad esempio, avessi voluto raccontare con questo stile un episodio del Vangelo semplice come questo:

In quel tempo, Gesù stava insegnando in una sinagoga in giorno di Sabbato. C’era là una donna che uno spirito teneva inferma da diciotto anni; era curva e non riusciva in alcun modo a stare diritta. Gesù la vide, la chiamò a sé e le dis-se: «Donna, sei liberata dalla tua ma-lattia». Impose le mani su di lei e subi-to quella si raddrizzò e glorificava Dio. Ma il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella guarigione di Sabbato, prese la parola e disse alla folla: «Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi guarire e non in giorno di Sabbato». Il Signore gli replicò: «Ipocriti, non è forse vero che, di Sab-bato, ciascuno di voi slega il suo bue o l’asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? E questa figlia di Abramo, che Satana ha tenuto prigioniera per ben diciotto anni, non doveva essere liberata da questo legame nel giorno di Sabbato?» Quando egli diceva queste cose, tutti i suoi avversari si vergo-gnavano, mentre la folla intera esultava per tutte le meraviglie da lui compiu-te. (Lc 13,10-17)

e avessi tentato di mettermi al posto di un Apostolo presente sulla scena, avrei po-tuto raccontarlo così:

Quel Sabbato Gesù era nella sinagoga per spiegare come da consuetudine un testo della Bibbia, ma improvvisamente avvertì la sofferenza di una donna che se ne stava silenziosa in disparte.

Lui la chiamò ma lei sbalordita non si mosse fino a quando non ripeté l’invito.

Arrivò tutta tremante davanti a Lui e senza che lei gli chiedesse nulla, la guarì provocando il suo stupore e la nostra esultanza, ma anche lo sdegno del capo

Evangelario copto

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della Sinagoga che tutti guardammo con un po’ di disprezzo e lui si vergognò.

Come si vede non esiste un solo modo per raccontare lo stesso episodio e quello di mettersi nei panni di un testimone consente di rivivere e partecipare all’episodio e quindi di provare gli stessi sentimenti degli Apostoli.

Gli Apostoli si resero subito conto di essere un gruppo privilegiato, ma non capirono perché avesse scelto proprio loro e per quale scopo.

Erano affascinati dalla sua persona, lo credevano il Messia tanto atteso, si aspetta-vano che, prima o poi, avrebbe proclamato lo Stato di Israele e loro avrebbero avuto un posto di rilievo, ma le sue parole li sconcertavano poiché non andavano nella di-rezione che loro si aspettavano. Non capivano e non mancarono anche di farglielo osservare.

Lui aveva un affetto particolare per loro, ma sembrava non ascoltare i loro consigli, tuttavia mai lo lasciarono, nemmeno Giuda che Lui aveva scelto benché sapesse che fosse ladro e lo avrebbe tradito.

Eppure anche per lui non sono pochi quelli che trovano delle giustificazioni. Secondo alcuni lo tradì apparentemente per denaro, ma nella sua mente voleva soltanto spingerlo a manifestarsi, tanto che non previde che la sua segnalazione di dove l’avrebbero potuto arrestarlo quando era lontano dalla folla, lo avrebbe portato alla morte. Si pentì e restituì il denaro e si suicidò, convinto di non poter ottenere il suo perdono, ma nessuno può sapere se comunque arrivò.

Gli Apostoli, solo dopo la sua Resurrezione e la Pentecoste, capirono quale doveva essere la loro missione e generosamente donarono la loro vita. A loro aveva dato molto, a loro chiese tutto, ma sapeva anche quanto difficile fosse la loro missione, e per questo dedicò a ciascuno particolari attenzioni.

A Pietro riservò un ruolo molto particolare, che non provocò invidie tra gli altri Apo-stoli, che ne riconobbero l’autorevolezza, il coraggio e la generosità:

Gesù fissando il suo sguardo su di lui e gli disse: Tu sei Simone, il figlio di Gio-vanni, ti chiamerai Cefa (Pietra) (Gv.1,42)

Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini. (Lc.5,10)

Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli. Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo. (Mt.13, 18-20)

Poi anche Paolo, l’Apostolo scelto dopo la sua Resurrezione direttamente da Gesù mediate alcune visioni, riconobbe il primato di Pietro, e volle che la Parola che an-nunciava, fosse da lui approvata:

Dopo tre anni andai a Gerusalemme per consultare Cefa, e rimasi presso di lui quindici giorni (Gal.1,18)

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ma volle anche l’approvazione di tutta la primitiva comunità soprattutto da quelli che erano chiamati le altre colonne della chiesa: Giacomo, il fratello del Signore (Gal.

1,19), e Giovanni, l’Apostolo più giovane (Gal. 2,9). Questi erano anche gli stessi Apostoli che ebbero anche il privilegio di assistere alla Trasfigurazione di Gesù:

Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro e le sue vesti di-vennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe ren-derle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e discorrevano con Gesù. Prendendo allora la pa-rola, Pietro disse a Gesù: Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre ten-de, una per te, una per Mosè e una per Elia! Non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento. Poi si formò una nube che li avvolse nell'ombra e uscì una voce dalla nube: Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo! E subito guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con lo-ro. (Mc.9,2-8)

Così, ho capito che per raggiungere una fede piena, fosse necessario sapersi calare nel testo evangelico, leggerlo, non come un libro di storia o di preghiera ma cercan-do di mettersi nei panni dei protagonisti, per tentare di provare le loro stesse emo-zioni e così permettere alla fede di coinvolgere sia la mente sia il cuore.

Ascensione di Tiziano

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5.1 Rivivere la Pasqua Volli allora entrare nel vivo delle vicende della Passione, e dato che il personaggio cui mi sentii più vicino, era Pietro, cercai di rivivere le sue emozioni durante la Pas-sione di Gesù, mettendomi nei suoi panni.

Per rivivere la Passione come la visse Pietro, scoprii che bisogna partire dal momen-to in cui con Giovanni andò a chiedere a Gesù dove volesse passare la Pasqua, e lui indicò il fratello di Barnaba, proprietario dell’orto del Getsemani, dove spesso si fermavamo a riposare quando eravamo a Gerusalemme.

Costui era un ricco notabile di Gerusalemme che credeva in Gesù, ma non lo ri-conosceva pubblicamente per non essere espulso dalla sinagoga, era anche padre di Marco un giovinetto di tredici anni, che poi divenne discepolo di Paolo e Pietro, di cui a 45 anni raccolse la testimonianza nel suo Vangelo.

Era padrone di un palazzo, dove ci offrì un locale all’ultimo piano dove, con l’aiuto dei discepoli, preparammo la tavola per il seder, la tradizionale cena della festa degli azimi celebrata al primo giorno della Pasqua.

Questo locale, poi chiamato Cenacolo, divenne il luogo dove poi ci riunivamo con i discepoli e con Maria, dove Gesù ci apparve più volte e dove ricevemmo i doni dello Spirito Santo nel giorno della Pentecoste.

Lazzaro Dopo che in Giudea avevano tentato di lapidare Gesù, noi ci eravamo rifugiati oltre il Giordano, dove ricevemmo la notizia che l’amico Lazzaro stava morendo e le sue so-relle pregavano Gesù di andarlo a guarire.

Lui per due giorni non si mosse e quando il terzo giorno decise di andare da lui, disse che ormai era morto ed era giunta l’ora di mostrare la gloria del Padre. Noi eravamo molto spaventati, ma Gesù ci rassicurò tanto che Tommaso trovò il coraggio per dire:

Orsù andiamo anche noi a morire con lui. Poi quando Gesù lo risuscitò, il Sinedrio fu così spaventato dall’entusiasmo di molti, che decise di non rinviare oltre l’arresto e l’uccisione di Gesù, ma non durante la festa, per-ché temevano che potessero avvenire tumulti fra il popolo.

Per questo ebbero la collabo-razione di Giuda che per tren-ta monete d’argento, rivelò loro dove si sarebbe ritirato nella notte.

Risurrezione di Lazzaro - Giotto

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Gesù sapeva cosa stava tramando Giuda e cosa lo aspettava, ma voleva anche che questo non dovesse avvenire in un momento qualsiasi, ma durante la festa di Pa-squa, per cui non si fece più vedere in pubblico tra i giudei, ma ci portò nei pressi del deserto vicino alla città di Efraim, in attesa della festa.

Solo sei giorni prima, Gesù decise di ritornare alla casa di Lazzaro dove, durante la cena, Maria, sua sorella gli unse i piedi con un olio molto prezioso che poi asciugò con i suoi capelli scandalizzando Giuda, ma quel gesto lui lo interpretò come anticipo della sua prossima sepoltura.

In quei giorni molti erano i giudei che si recavano al Tempio di Gerusalemme per pu-rificarsi con preghiere, offerte e vittime, e speravano anche di incontrare Gesù cre-dendo che fosse venuto a proclamare finalmente il nuovo regno d’Israele, per cui il suo arrivo a Betania fu risaputo presto e una grande folla accorse dalla vicina Geru-salemme per vedere sia Gesù sia Lazzaro, tanto che il Sinedrio decise di uccidere an-che lui.

Ingresso trionfale a Gerusalemme Gesù dormì presso gli amici e il gior-no dopo decise di andare a Gerusa-lemme, ma prima ancora che entras-se in città sul dorso di un asinello, una gran folla lo accolse in modo trionfale gridando:

Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele!

I farisei erano scandalizzati e rimpro-verano ai sommi sacerdoti di non aver fatto nulla mentre il popolo si schierava dalla sua parte; e invitava-no Gesù a far star zitta quella gente.

Due giorni prima di Pasqua, ci disse: io sarò consegnato ai sommi sacerdoti per essere crocefisso.

ma noi non comprendevamo perché Gesù dicesse così e poi non facesse nulla per evi-tare il suo arresto, ma anzi ogni giorno tornasse al Tempio per continuare il suo inse-gnamento, mentre noi, disorientati da questi avvenimenti così controversi, ci illu-demmo che il pericolo non fosse così imminente, malgrado i suoi tanti annunci.

L’Ultima Cena Così arrivammo alla festa degli azimi, che ricorda e fa rivivere la liberazione del po-polo ebraico dalla schiavitù egiziana. Mentre i discepoli andarono a celebrare la fe-sta presso le loro famiglie, noi Apostoli, che avevano affidato i nostri familiari ai no-stri più stretti parenti che avevano capito quale fosse ora la nostra principale missio-

Ingresso a Gerulemme - Giotto

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ne, eravamo ormai diventati la famiglia di Gesù, per cui andammo con lui nella sala che avevamo preparato.

Giovanni, il più giovane, per il quale Gesù ed io avevano una particolare tenerezza, si sedette dalla parte del cuore. Appena seduto ci disse:

Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia Passione, poiché non la mangerò più, finché essa non si compia il regno di Dio.

Poi ci sorprese ancora una volta. Si alzò e cominciò a lavare e asciugare i nostri piedi, come si usava per accogliere gli ospiti invitati a cena, facendo quello che il padrone di casa era solito far fare ai suoi servi. Io protestai vivamente e gli dissi:

Signore, tu lavi i piedi a me? E lui mi rispose: Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo. Io insistei: Ma tu mi laverai mai i piedi! E lui mi re-plicò: Se non ti laverò, non avrai parte con me. Allora mi dovetti arrendere e gli dissi: allora lavami non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!

Quando ci ebbe lavato i piedi ci disse: Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri.

Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi. Un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi l’ha mandato. Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica.

Poi iniziò la cena con una benedizione: Benedetto Tu, o Signore Dio nostro Re del mondo per la vite e per il frutto del-la vite, per i prodotti dei campi e per la terra bella buona e spaziosa che volesti dare in retaggio ai nostri padri perché mangiassimo dei suoi frutti e ci sazias-simo delle sue bontà.

ma subito dopo Gesù apparve profondamente commosso e quasi a fatica ci disse: In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà.

Ci guardammo l’un l’altro sgomenti, non sapendo di chi dovessimo sospettare e allo-ra feci un cenno a Giovanni che gli chiese:

Signore, chi è? Rispose allora Gesù: È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò e intinto il boccone, e lo diede a Giuda Iscariota.

E poi rivolto a lui gli disse: Quello che devi fare fallo al più presto. Preso il boccone, egli subito uscì. Ed era notte. (Gv.13,4-30).

Uscito, senza che noi capissimo cosa andasse a fare, Gesù prese il pane e, pronunzia-ta una benedizione, lo spezzò e ce lo diede dicendo:

Prendete e mangiate; questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me.

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Le sue parole erano sempre av-volte nel mistero e ci misero in ansia anche perché noi ne ca-pimmo il significato solo dopo la sua Resurrezione, ma lui capì che eravamo tristi e per consolarci ci disse:

Ancora un poco e non mi vedrete; un po’ ancora e mi vedrete. Voi piangerete e vi rattristerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete af-flitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia e da quel giorno non mi do-manderete più nulla.

Io mi sentii ribollire il sangue e gli dissi: Perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!

cui mi fecero eco anche gli altri Apostoli, ma lui triste rispose: Darai la tua vita per me? In verità, in verità ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non mi abbia tradito tre volte.

Ma io pregherò per te che non venga meno la tua fede, e tu una volta ravve-duto, conferma i tuoi fratelli.

Allora non ebbi il coraggio di replicare, anche perché sentivo che qualcosa di grave stava per capitare.

Poi ci fece un riepilogo dei suoi insegnamenti, pregò il Padre per noi e per tutti quelli che avrebbero creduto in lui; ci ricordò che andava a prepararci un posto nel suo re-gno; che chi aveva visto lui, aveva visto il Padre; ci invitò a osservare la sua parola per rimanere nel suo amore; ci assicurò che avrebbe inviato il Consolatore a portarci i suoi doni; e che lui sarebbe stato sempre al nostro fianco.

Si arrivò così alla fine della cena, quando Gesù rese grazie, prese il calice e disse: Bevetene tutti perché questo è il sangue della Nuova Alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati.

Poi, dopo aver cantato l'inno, andammo nell’orto degli ulivi.

La passione Gesù mi apparve più silenzioso del solito, anche se fece quello che aveva già fatto tante altre volte quando si ritirava a pregare. Ma poi dopo aver fatto sedere gli altri Apostoli, volle che io, Giacomo e Giovanni stessimo più vicino a lui e ci disse:

La mia anima è triste fino alla morte, restate qui e vegliate con me

Noi eravamo spaventati per la tremenda angoscia che gli leggevamo sul suo volto

Cena di Emmaus - Pontormo

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mentre lui prostrato a terra, poco discosto, pregava dicendo: Padre mio, se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà. (Mt.26,42)

Evidentemente anche il Padre la lesse e allora mandò un angelo al suo fianco a con-solarlo. Gesù venne anche da noi a cercare conforto per ben tre volte ma ogni volta ci trovò addormentati malgrado gli sforzi che avevamo tentato per rimanere svegli, mentre lui, preso dall’angoscia, pregava sempre più intensamente con lacrime di sangue che uscivano dalla sua fronte e cadevano a terra.

Poi improvvisamente venne Giuda con un folto gruppo di soldati, per arrestarlo e condurlo nel palazzo di Anna, suocero del sommo sacerdote Caifa.

Tutti ci spaventammo, io con una spada cercai di reagire e con un colpo di spada ta-gliai un orecchio a un servo del sommo sacerdote chiamato Malco, ma Gesù mi invi-tò a riporre la spada e glielo riattaccò e poi disse:

Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano.

Allora tutti fuggimmo via. Io e Giovanni ci ritrovammo a una certa distanza a seguire il triste corteo e notammo che le guardie avevano visto Marco, che evidentemente ci aveva seguito senza che noi ce ne fossimo accorti, che era avvolto solo da un lenzuo-lo e li seguiva. Cercarono di bloccarlo, ma quello svelto lasciò nelle loro mani il len-zuolo e fuggì via nudo.

Giunti alle porte del Tempio, Giovanni, che aveva delle conoscenze, mi fece entrare con lui nel cortile, dove nel frattempo Caifa aveva riunito il Sinedrio per dare luogo a un processo farsa in cui la condanna era già scritta prima ancora di cominciare.

Giunto il mattino, lo condussero al Pretorio da Pilato, il solo che aveva l’autorità per emettere le condanne a morte, che lo interrogò e non trovò motivo per condannarlo, e allora cercò in vari modi di liberalo.

Nel frattempo io trovai il modo di rinnegarlo davanti ai servi del tempio per ben tre volte e solo quando sentii cantare il gallo e incrociai il suo sguardo, mi ricordai della

sua profezia e uscito all’aperto affran-to, piansi amaramente.

Intanto Pilato, che lo voleva liberare, lo mandò da Erode, ma questi se ne lavò le mani, poi propose lo scambio con Barabba, ma vista l’insistenza della canaglia che i sacerdoti avevano as-soldato per pretendere a tutti i costi la sua crocefissone come bestemmiatore, per evitare disordini si arrese e lo con-segnò ai soldati romani addetti alle esecuzioni che rivelarono tutta la loro

Gesù – Antonello da Messina

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crudeltà prima con la flagellazione, la corona di spine e altri tormenti, e poi durante la salita al Calvario assieme ad altri due malfattori.

Una folla impressionante accompagnava il triste corteo, tenuta a bada dai soldati romani. C’era gente che piangeva e altra che lo scherniva.

In mezzo a loro c’eravamo mescolati anche noi.

Con l’asta della croce sulle spalle, Gesù, già allo stremo cadde tre volte. Allora i sol-dati, che avevano premura di eseguire la condanna, fermarono Simone un contadino cireneo che veniva dalla campagna, che poi divenne cristiano, e l’obbligarono a por-tate il palo al suo posto. Durante la salita vedemmo che comunque ebbe occasione di consolare delle donne che erano riuscite ad avvicinarlo e piangevano per lui.

Già prima di mezzogiorno tutti e tre erano appesi sulla croce, e su quella di Gesù era esposto il motivo della sua condanna in lingua latina, greca ed ebraica, voluta da Pi-lato e contestata dagli ebrei:

Questi è Gesù, il re dei giudei

e mentre i soldati e i capi lo schernivano, lui ebbe il coraggio di chiedere al Padre: Perdonarli perché non sanno quello che fanno.

Poi il sole si eclissò, si fece buio su tutta la terra e allora tutti si spaventarono e in tut-ta fretta tornarono in città. Così con alcuni discepoli e Maria con le altre donne, riu-scimmo ad avvicinarci alla croce. Lui rivolto alla madre le disse: Ecco tuo figlio; e poi a Giovanni: Ecco tua madre.

Poi emesso un grande gri-do spirò.

Erano le tre del pomeriggio, il ve-lo del tempio si squarciò nel mez-zo, la terra tremò, molti sepolcri si aprirono, molti santi corpi ri-sorsero e girarono tra le mura della città visti da molti, il centu-rione e i soldati di guardia presi da grande timore esclamarono:

Veramente costui era figlio di Dio.

I giudei chiesero che i loro corpi non rimanessero in croce durante il Sabbato e allora i soldati spezzarono le gambe ai due malfattori che così spirarono, mentre arrivati da Gesù, visto che era già morto, trafissero il suo fianco destro con una lancia dalla cui ferita uscì sangue e acqua.

Allora Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo si recarono di nascosto da Pilato per chie-derli di seppellire il corpo di Gesù, che glielo concesse. Loro lo calarono in tutta fretta dalla croce, poiché era vicino il tramonto, lo trasportarono in un nuovo sepolcro vuo-

Maria e Giovanni ai piedi della croce

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to vicino, dove lo avvolsero prov-visoriamente con bende imbevute di mirra, aloe e oli profumati, se-condo le usanze ebraiche, in pre-parazione della sua sepoltura de-finitiva, mentre le donne che era-no venute con Gesù dalla Galilea, osservavano per tornare poi il primo giorno dopo il Sabbato a completare la sepoltura.

Prima che il sole tramontasse, fe-cero rotolare la grande pietra che chiudeva il sepolcro e se ne anda-

rono, mentre la guardia del Tempio lo custodiva per impedire che poi fosse trafugato il suo corpo e i suoi discepoli poi potessero dire che fosse risorto, come più volte Gesù aveva affermato.

5.2 Rivivere la Resurrezione Il giorno dopo il Sabbato, ci riunimmo impauriti al Cenacolo per cercare di capire co-sa dovessimo fare, mentre già all’alba, le donne che dovevano completare la sepol-tura erano andate al sepolcro.

Ci raccontarono che quando giunsero e si stavano chiedendo come far rotolare la grande pietra che chiudeva il sepolcro, ci fu un gran terremoto, apparve un angelo che rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa.

Ma grande fu la sorpresa quando videro che il sepolcro era vuoto. Allora l’angelo dis-se loro: Gesù è risorto andate a dirlo agli Apostoli.

I soldati spaventati e quasi tramortiti corsero ad avvisare i sommi sacerdoti che die-dero loro forti somme perché dichiarassero che suoi discepoli erano ve-nuti la notte e l'avevano rubato mentre loro dor-mivamo.

Quando le donne giunse-ro da noi al Cenacolo a dirci che Gesù era risorto, noi non credemmo né a loro né poi alla Maddale-na, che ci disse anche di averlo anche visto vivo, ma io e Giovanni non po-

San Tommaso - Caravaggio

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temmo resistere dal correre al sepolcro. Giovanni che correva più forte, mi precedet-te ma si fermò sulla soglia ad aspettarmi e insieme entrammo, e vedemmo solo dei teli vuoti.

Nel frattempo due discepoli, che stavano andando verso la campagna, incontrarono Gesù a Emmaus che si fece riconoscere da loro solo quando spezzò il pane. Allora in tutta fretta questi tornarono a Gerusalemme a dirlo a noi, ma anche a loro noi non credemmo.

A noi apparve per la prima volta nel Cenacolo quando eravamo a mensa.

Ci spaventammo molto credendo di vedere un fantasma.

Ma lui ci disse: Pace a voi, e ci rimproverò per la nostra incredulità, ci invitò a guar-dare e toccare le sue ferite, e visto che non bastavano neanche queste, si fece dare un pesce e lo mangiò dicendoci che i fantasmi non mangiano. Fu allora che credem-mo. Quella volta Tommaso non c’era e quando arrivò e gli raccontammo l’accaduto si mostrò incredulo e così dovette aspettare altri otto giorni prima di poterlo vedere e ed essere invitato a mettere le sue mani nelle sue ferite.

Seguirono numerose altre volte in cui apparve in vari luoghi a noi, ma anche ad altri discepoli, nei quaranta giorni dopo la sua Passione, e ogni volta era per lui occasione per aprirci la mente alle scritture e alla comprensione di tutti gli avvenimenti cui ave-vamo partecipato.

Ci diede anche le prime istruzioni su quello che dovevamo fare, ci ricordò di sostituire le vittime per la richiesta di perdono dei peccati, con lui unica vittima, come lui aveva fatto durante l’Ultima Cena con noi. Poi mi diede il mandato di pascere le sue peco-relle.

Al termine di questi giorni ci inviò sul monte degli ulivi, dove ci annunciò che avrem-mo ricevuto il battesimo e i doni dello Spirito Santo, ci diede il mandato di andare in tutto il mondo a predicare il suo Vangelo e poi lo vedemmo innalzarsi nel cielo sino a quando una nube lo nascose alla nostra vista.

Tornammo quindi al Ce-nacolo con Maria, alcune donne e alcuni discepoli, dove decidemmo, me-diante la sorte tra Giu-seppe e Mattia proposti dalla comunità, di sosti-tuire Giuda con Mattia.

Cinquanta giorni dopo la Pasqua, la domenica del-le Pentecoste, detta fe-sta delle settimane,

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mentre eravamo riuniti, sentimmo improvvisamente un grande rombo, e sulle nostre teste vedemmo scendere lo Spirito Santo sotto forma di lingue di fuoco.

Allora fummo pieni di ardore e perdemmo ogni timore, uscimmo in città e ci met-temmo ad annunciare ai Giudei di varie lingue e nazioni, venuti per la Pasqua a Ge-rusalemme, la Resurrezione di Gesù, riuscendo a farci capire da tutti.

Alcuni, vedendo il nostro entusiasmo erano stupiti, mentre altri ci accusarono di es-sere ubriachi.

Allora presi la parola per difenderli e dalla mia bocca, quasi a mia insaputa, pronun-ciai un grande discorso sulla storia della salvezza da prima di Cristo sino alla sua Re-surrezione, e fui così convincente che, con grande nostra sorpresa, circa tremila per-sone ci chiesero di essere battezzate.

Da quel momento ogni giorno ci riunivamo presso il Tempio sotto il portico di Salo-mone, dove abitualmente predicava Gesù, per trasmettere il suo insegnamento e a pregare, consacrare il pane che ogni giorno nelle nostre case spezzavamo.

Poi un giorno, mentre salivo con Giovanni al Tempio, verso le tre del pomeriggio, uno storpio ci chiese l’elemosina, ma noi non possedevano al-cuna moneta e allora mi ven-ne spontaneo dirgli:

Nel nome di Gesù Nazzareno, cammina!

e presolo per mano lo sollevai, tra lo stupore nostro e dei pre-senti.

E questo ci fece scoprire che avevamo ricevuto anche il do-no delle guarigioni.

Ormai attorno a noi si era formato un gruppo di circa 5000 battezzati e questo allarmò il Sinedrio, che ordinò l’arresto mio e di Giovanni.

Ci chiesero con quale autorità noi agivamo e noi rendemmo testimonianza a Gesù Cristo il Nazzareno da loro crocefisso ma ora risorto.

Convinti che fossimo ignoranti e inoffensivi e che non avremmo potuto fare molto, ci rilasciarono, dopo averci ammoniti a non parlare più di Lui.

Noi ritornammo più felici che mai dagli altri fratelli e continuammo la nostra testi-monianza, con guarigioni e liberazioni dai demoni.

Miracolo di san Pietro - Masolino

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Allora il Sinedrio ci fece arrestare insieme con gli altri Apostoli, ma di notte venne un angelo che aprì le porte del carcere e ci fece uscire.

Così noi tornammo al Tempio a predicare.

Vennero allora le guardie e ci riportarono davanti al Sinedrio che, visto che non ac-cettavamo di smettere la nostra attività, volevano metterci a morte.

Fu Gamaliele, uno stimato fariseo dottore della legge, che ricordò come altri prima di noi avevano fatte cose simili ma erano finiti male, perché evidentemente non aveva-no agito secondo il volere di Dio, e loro adesso dovevano lasciarli fare poiché se inve-ce noi avessimo agito secondo il suo volere, loro si sarebbero messi contro di Lui.

Allora il Sinedrio seguì il suo parere, ci fecero fustigare e poi, dopo averci ammonito ancora una volta, ci rilasciarono mentre noi fummo lieti di aver sofferto in suo nome.

Ma la nostra attività dava fastidio a molti e allora cominciarono le persecuzioni, la più grave delle quali fu la lapidazione del diacono Stefano, un grande testimone che senza paura e grande sapienza faceva molte conversioni e guarigioni.

La sua morte fu approvata anche da Saulo, un rabbino di cittadinanza romana, per-ché di Tarso, che divenne il più grande nostro persecutore.

Faceva imprigionare a Gerusalemme uomini e donne discepoli di Cristo, per cui molti fuggirono in altre città così come gli Apostoli che cominciarono a disperdersi in varie direzioni per andare a portare ovunque la Lieta Novella e a battezzare.

Poi avvennero tre fatti importanti:

Il primo fu l’imprevedibile conversione di Saulo, che da persecutore, dopo più ap-parizioni, divenne l’Apostolo delle Genti con l’aiuto di Barnaba, e do-po aver superato la nostra com-prensibile diffidenza.

Poi ebbe un periodo di approfondi-mento della sua fede in cui fui coin-volto anch’io, cui seguirono tre lun-ghi viaggi nell’Asia Minore.

Il secondo evento fu la rivelazione che ricevetti in sogno di non rivol-gerci solo ai giudei ma anche ai pa-gani.

Il terzo fu la scelta di Roma, aperta a tutte le genti, come sede mia de-finitiva, poi anche di Paolo.

Conversione di Paolo - Michelangiolo

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6 La fede in Cristo, oggi

Bisogna premettere che la fede non è un sentimento, ma un atto della volontà che sceglie, tra le proposte d’interpretazione della realtà, quella che più convince per definire i propri comportamenti.

Oggi credere che Cristo sia esistito come uomo, sia più difficile negarlo che affermar-lo, mentre per riconoscere la sua divinità, bisogna ripercorrere il lungo cammino del-la sua Chiesa tramite i suoi tanti testimoni e riconoscere la perfezione del suo inse-gnamento, come ha affermato Ulf Ekman, uno dei pastori e dei leader evangelici più influenti nei Paesi scandinavi, che si è con-vertito al cattolicesimo perché la sua Chiesa:

Ha una fede viva, il grande amore per Gesù, una sana teologia fondata sulla Bibbia e sui dogmi. Abbiamo sperimen-tato la ricchezza della vita sacramenta-le. Abbiamo compreso il senso di una solida concezione del sacerdozio, che mantiene viva la fede della Chiesa e la passa da una generazione all’altra. La forza etica e morale, la coerenza che ha il coraggio di affrontare l’opinione della maggioranza e la gentilezza verso i poveri e i deboli.

Tutte queste cose hanno sfidato i nostri pregiudizi protestanti e abbiamo capito che in molti casi non avevamo alcun fondamento per criticare. Dovevamo conoscere meglio la Chiesa cattolica. È stato Gesù a guidarci a unirci con la Chiesa cattolica.

Pertanto se la ragione arriva a riconoscere che Gesù è realmente esistito, ha detto veramente quelle parole, ha compiuto realmente quei fatti portentosi, perché non dargli la fiducia e tentare di convertirsi al modello di vita che ha suggerito?

Se la ricetta è giusta, prima o poi, ognuno dovrebbe riuscire a vivere nella gioia, pro-vare le stesse emozioni che provarono gli Apostoli, e diventare capace di affrontare il male che può incontrare.

Certamente oggi, è ben chiaro che, essendo la presenza della persona di Gesù fisi-camente impossibile, può sembrare difficile provare le stesse emozioni e certezze che provarono Apostoli, discepoli e suoi contemporanei.

Ma difficile non vuol dire impossibile, anche se comunque impone un cammino di-verso che per alcuni comincia con un’approfondita conoscenza di questo straordina-rio, unico e irripetibile uomo, e del suo immutabile insegnamento che non scolora nei secoli, come invece capita a quelli generati dalla mente umana.

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Comunque visto, che la certezza ognuno la può raggiungere solo alla fine, anche il più scettico, cosa si potrebbe aspettare alla fine?

Un credente ha due possibilità: troverà quel posto che Gesù gli ha preparato nel suo Regno, magari dopo qualche forma di purificazione, o se avesse equivocato il suo in-segnamento, finirebbe nel nulla, ma comunque avrebbe percorso, sicuro e in pace col prossimo, il suo cammino accompagnato e illuminato dalla grande luce dell’amico Gesù.

Mentre un non credente avrebbe vissuto senza speranza pensando che dopo la sua morte ci sarebbe stato il nulla, forse anche praticando volontariamente il male per-ché convinto che mai nessuno lo avesse potuto giudicare, ma potrebbe anche avere dei dubbi e pensare che qualcuno potrebbe alla fine anche condannarlo facendolo vivere nella paura della morte.

Come si vede, vivere nella fede dona una vita pacifica e libera dagli incubi e con la speranza di una vita eterna, una prospettiva che non spaventa nessun uomo di buo-na volontà.

Certo che non basta dire che si crede e poi esercitare la fede in modo personale per scegliere i valori in cui credere, esercitare una pratica minima, o solo usarla come segno di appartenenza a una certa comunità, anche se quello che importa è vivere la propria fede con sincerità ascoltando la propria coscienza.

Certo che quando è vissuta in modo superficiale, è difficile pretendere che la fede sgorghi dal cuore spontaneamente o di provarla a comando. Nessuno ama qualcun altro solo per mezzo della sola volontà, anche se non è difficile sentire testimonianze come queste in cui si pensa di credere solo perché si fanno per abitudine determina-te pratiche in modo superficiale:

Sono sempre stato un cristiano molto rispettoso, leggevo quotidianamente la Bibbia, ma purtroppo le cose sono cambiate. Ho cominciato a interessarmi alla scienza e all'astronomia, e ho notato che sempre di più andavano in contrasto con la parola di Dio.

Mi rendo conto che forse le mie convinzioni erano solo frutto della dottrina impostami da bambino. Da quando mi sono staccato dalla religione cristiana mi sento parecchio libero. Sono convinto che la campagna promossa dal Papa, contro l'uso dei contraccettivi stia pian piano facendo perdere la fiducia dei giovani nella Chiesa.

6.1 I tempi e i perché della fede Ogni fede per essere adottata, salvo eventi eccezionali, si sviluppa essenzialmente in due tempi: quello della conoscenza e quello dell’adozione. Nel primo tempo si cerca di conoscere i fatti, le persone e le situazioni che hanno portato alla sua definizione, mentre nel secondo, se si è attratti da quanto si è conosciuto, e si può decidere di adottarla.

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Il tempo della conoscenza Quello che sorprende nella fede cristiana è lo scoprire che il tempo della conoscenza racconta la storia di un fallito, Gesù, che fu ucciso per le sue idee prima di avere rea-lizzato il suo progetto di conversione del popolo ebraico che aveva perso il senso della sua fede per adottare una serie di comportamenti individuali formali, descritti in buona parte nel Talmud, ben lontani dallo spirito della legge che Dio aveva stabili-to con Mosè, cui Gesù poi ha dato compimento.

Lui riuscì a convincere solo un piccolo gruppo di seguaci di straordinaria modestia che però fuggì nel momento cruciale col suo capo, che lo tradì.

Eppure prima, attorno a lui, si erano radunate grandi folle per ascoltarlo e farsi gua-rire, aveva fatto assistere a fatti straordinari, aveva pronunciato parole convincenti e piene di speranza, che annunciavano che Dio è il Padre misericordioso di tutti gli uomini di buona volontà cui ha preparato un posto nel suo regno dopo la loro mor-te.

Anche il Padre testimoniò più volte pub-blicamente che Gesù era veramente il Fi-glio suo che aveva fatto generare da Ma-ria, per farsi conoscere e per invitare tutti gli uomini a convertirsi.

A Lui aveva dato poteri straordinari e gli aveva reso la sua testimonianza, ma que-ste cose, invece di convincere i capi, lo fecero ritenere un agente del demonio che agiva con la magia e poteva procura-re problemi con i romani, e senza indugio decisero di ucciderlo, come avevano già fatto col Battista.

Da osservare che Gesù era pienamente cosciente del pericolo che stava correndo, perché più volte lo aveva annunciato, ma non fece mai niente per evitarlo, anche se ben sapeva che anche la conversione del suo popolo non sarebbe avvenuta. Così, per porre fine alla sua vicenda, fu ucciso come uno schiavo in modo disonorevole.

Pertanto è più che mai naturale domandarsi: perché quest’uomo che sembrava ve-ramente un gigante del suo tempo, volle comunque accettare di morire al posto dell’agnello pasquale per ottenere il perdono definitivo del Padre per tutte le colpe degli uomini, togliendo senso alla necessità di sacrificare altre vittime, cosa vera-mente rivoluzionaria per quel tempo? Non fu di certo per fare un’azione a favore degli animali, perché nel Vangelo mai si è parlato di loro e anche lui più volte mangiò l’agnello.

Adorazione dei pastori - Guido Reni

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Il perché Ma allora ci si deve domandare: perché è venuto e cosa è servita la sua presenza tra noi? Non ha lasciato alcuno scritto, non ha costruito nulla, e i suoi discepoli impauriti si sono dispersi, allora perché?

Perché i tempi e la logica di Dio, sono ben diversi da quelle degli uomini, infatti la venuta di Gesù era attesa da secoli, e per valutare in modo adeguato il frutto della sua venuta, tanti altri secoli ci sono voluti, anche se da subito sono avvenuti fatti sorprendenti. Infatti, già poco dopo la sua morte, il piccolo gruppo spaventato dei suoi Apostoli, inaspettatamente prese coraggio, malgrado le minacce del Sinedrio, e non smise mai di annunciare che Gesù era risorto, che loro lo avevano visto e mo-strò un’insospettata e straordinaria capacità di comunicare il suo messaggio univer-

sale, compiere guarigioni e liberare gli indemoniati.

Essi si rivolsero, contrariamente alla tra-dizione ebraica, a tutte le genti senza al-cuna distinzione, battezzarono migliaia di persone, fondarono comunità pacifi-che e solidali in diverse città dove cele-bravano la frazione del pane, che diven-ne il segno della loro identità.

Pregavano spesso insieme, ascoltavano la parola di Gesù testimoniata dagli Apo-stoli e dai discepoli, erano tra loro solida-li e sopportarono le persecuzioni di ro-mani ed ebrei.

Gli Apostoli finirono tutti martiri della lo-ro fede, scrissero o fecero scrivere nei Vangeli e nelle loro lettere la loro testi-monianza sulla vita e l’insegnamento di Gesù che è arrivato intatto sino a noi.

È evidente che tutto questo è troppo per degli uomini privi di cultura, se avessero agito solo per loro iniziativa e senza l’aiuto di Dio.

Verificando e analizzando i fatti e le parole delle prime comunità si può avere un quadro chiaro di quale fu l’eredità lasciata da Gesù e arrivare alla piena conoscenza della sua persona e a condividere il suo insegnamento, per arrivare a una fede matu-ra.

Solo chi s’impegna in una ricerca personale non preconcetta, può raggiungere la convinzione che la storia di Gesù non è una leggenda, ma una storia realmente av-venuta e che i fatti raccontati non sono frutto della fantasia degli Apostoli, perché mai avrebbero accettato di morire per delle favole.

Predicazione di Pietro - Masolino

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Il tempo dell’affidamento Poi chi, conosciuta la sua proposta di vita, sperimentato come sia bella, e sia stato affascinato da Gesù, può decidere di adottarla, senza se e senza ma, per affidarsi completamente a lui cercando di imitarlo, ossia comportandosi come un suo disce-polo, avvicinandolo nei sacramenti per trovare un aiuto che dia senso alla sua vita, e traendo dal Vangelo le risposte a tutte le sue difficoltà.

Scelto Gesù come faro, avendo raggiunto una più che ragionevole conoscenza sua e del suo messaggio, il fedele può buttare tutti i dubbi del tempo della conoscenza dietro le sue spalle, per concentrarsi a vivere l’esperienza del tempo della fede, me-diante un atteggiamento che privilegi la lode, il ringraziamento, e la richiesta di per-dono, senza perdersi a chiedere un aiuto materiale o addirittura il miracolo della guarigione.

Padre Turoldo si domandava persino se è giusto nella preghiera andare a chiedere una guarigione, ossia di chiedere a Dio di intervenire nella nostra vi-ta, invece di chiedere la forza di sopportare il dolore con la stessa forza di Cri-sto, e ignorare le risorse che ci sono state donate per sopportarlo e riflettere sinceramente su quanto Dio ci ha donato e ci ha già risposto nella Bibbia.

Come si potrebbe, infatti, pensare a un Dio registra di uno spettacolo, dove gli uo-

mini, che liberamente possono decidere col loro libero arbitrio, e la natura, sono at-tori o burattini che agiscono al suo comando, invece che ascoltare quanto lo Spirito Santo ispira alla loro mente, e comprendere come la natura procede secondo le leg-gi che Dio le ha stabilito?

Solo così ci si può liberare dai pensieri estranei, per rendere la preghiera momento

Cristo dei senzatetto - Martínez Montañés- Siviglia

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di riflessione e purificazione sapendo che Dio non ha bisogno delle parole dell’orante, perché conosce i suoi pensieri prima di lui, e ha già risposto con il Van-gelo secondo la sua logica e non secondo quella legata al tempo presente.

La sua logica è quella che porta alla conversione del cuore, lo apre al prossimo, fa percorrere nella pace un cammino libero dal demonio come pellegrinaggio vero la vita eterna, secondo la missione affidata a ognuno da comprendere nella sua inte-rezza.

Ma una domanda sorge spontanea:

seguendo questa strada siamo certi che la fede possa anche sgorgare dal cuo-re e impregnare di amore i nostri sentimenti?

Certamente non è possibile pensare che noi possiamo vivere col cuore palpitante per Lui in ogni momento della nostra vita, come dall’altra parte avviene quando ci innamoriamo di qualcuno, ma questo modo di vivere offre tante occasioni per esse-re sorpresi ed emozionati soprattutto quando gli doniamo il nostro corpo, come fece Maria, per aiutare il prossimo in difficoltà in cui lo riconosciamo.

6.2 La fede è comunitaria Occorre però tenere presente che i due tempi della fede possono essere compiuti solo se ci si rende conto che, contrariamente all’opinione di molti, la fede cristiana non è solo un fatto personale, ma comunitario, come più volte ricordato da Gesù:

Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché

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senza di me non potete far nulla.

Infatti la fede, oltre a una dimensione individuale, ha anche una dimensione sociale poiché ogni uomo nasce, vive e muore in una società che ha un sistema d’idee, sti-me, norme, costumi, che lo condizionano.

È nelle comunità che è celebrata la Messa che permette a ognuno di far crescere la conoscenza del Signore, e poi di essere suo testimone.

Una comunità non può essere un’assemblea di uomini che hanno solo idee in co-mune alla base dei loro comportamenti, perché altrimenti tutto sarebbe basato sul principio della maggioranza che non potrebbe che produrre verità basate su ragio-namenti umani anche se ispirati alla Bibbia, come capita in molte chiese protestanti.

È così che alcuni sono arrivati alla convinzione che Dio debba giustificarsi a causa di tutte le cose orrende presenti nel mondo e che non possa essere misericordioso se poi lascia andare alla perdizione gran parte dell’umanità.

Non è un caso quindi, che la parabola del buon samaritano sia particolarmente at-traente per i contemporanei che la usano per confrontarsi con i rappresentanti delle religioni, credendo di essere solo loro ad agire secondo in volere di Dio che, se esi-stesse, dovrebbe essere lui, il misericordioso, a inviare qualcuno a versare olio sulle loro ferite.

Così finiscono col rifiutare e abbandonare Cristo per adattare la sua parola alle mode dei tempi snaturandone il senso e il valore, ignorando che Gesù nei Vangeli ha più volte affermato che non si accontenta di un'appartenenza superficiale e formale, ma ha richiesto che tutta la loro vita sia come quella di discepoli che col cuore pieno di gioia hanno deciso di seguirlo andando anche controcorrente.

Nella mia esperienza non sono poche le occasioni in cui ho sentito quanto sia neces-saria la partecipazione a una comunità dove si respiri un clima di fratellanza, dove tutti abbiano la stessa voglia di pregare insieme, gli stessi obiettivi, lo stesso deside-rio di purificazione, la stessa voglia di fare per provare emozioni, sentimenti, cono-scenze ed esperienze su cui maturare la propria crescita spirituale, com’è capitato agli Apostoli nel tempo in cui hanno vissuto accanto a Gesù e come oggi ogni Santa Messa ripropone.

La fede della comunità è incentrata soprattutto nelle liturgie e negli atti di carità comuni, che ripropongono: i gesti e i comandamenti di Gesù con modalità adatte ai tempi ma con un contenuto sempre strettamente collegato ai Vangeli, concentrato su sacramenti e la carità, che in momenti precisi danno la certezza di ricevere la gra-zia di Dio mediante atti concreti e voluti. È per questo motivo che appare evidente che non sia possibile pensare la fede come frutto della lettura, per quanto appro-fondita della Bibbia, poiché è ben poca cosa se non è accompagnata dalla sperimen-tazione della grazia possibile solo con l’imitazione di Gesù, i sacramenti, la preghiera e la carità secondo la sua parola.

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In questo modo i momenti di vita comunitaria si trasformano in fonte per lo svilup-po della fede personale, espressa anche con preghiere proprie che possono portare a momenti d’intimità con Gesù. È da queste premesse che sono arrivato a scrivere e recitare mie preghiere personali, a proporre le contemplazioni e le riflessioni sugli aspetti spirituali della fede come quelli che ho esposto nel libro: La via della felicità.

6.3 Un fede matura Tuttavia, anche quando attirati da Gesù si arriva al tempo in cui ci si affida a Lui sen-za riserve, possono sorgere ancora dubbi, ma questi possono essere superati se si è acquisita la convinzione che non si debbano chiedere spiegazioni su tutto ciò che appare ingiusto perché si sa che ogni fatto va visto secondo la logica di Dio, secondo cui ogni vita, anche la più breve, è un dono di Dio che ha un senso per Lui, per la persona e tutta la comunità. Da notare che la durata di una vita, comunque breve, interessa solo a chi resta.

Questo l’hanno capito le famiglie in cui è capitata una malattia grave a un loro bam-bino, soprattutto quando l’ha portato a una morte precoce difficile da capire, specie quando è accompagnata da tante sofferenze che impegnano tutta la famiglia a stra-volgere le sue abitudini, mostrano l’amore insuperabile dei genitori verso questi figli come nessun altro più fortunato può provare, e invece di farsi travolgere dal dolore, compiono gesti straordinari di solidarietà verso altre famiglie nella stessa situazione.

Quando alla famiglia di Andrea di sei anni comunicarono che aveva una leu-

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cemia, dentro di sé la loro vita non ebbe più significato, l’unica cosa che conta-va era stare vicino a lui, soffrire con lui, gioire per i suoi piccoli progressi, e far-si vedere tranquilli per aiutarlo a stare sereno e dargli la forza di combattere.

Lui iniziò un percorso di terapia lungo e faticoso senza lamentarsi mai, avreb-be voluto andare a scuola, incontrare gli amici, invece, doveva combattere contro un nemico che non gli concedeva tregua e che, purtroppo, vinse. E allo-ra loro diedero vita a una fondazione per aiutare le famiglie che si fossero tro-vate nella loro situazione.

Ma anche gli stessi bambini malati mostrano straordinarie sensibilità, ci danno le-zioni di vita, come nel caso di Giovanna, una bambina coraggiosa che scoprì Martina, un’altra bambina taciturna e spaventata:

Le prese la mano e l’accompagnò sen-za dire una parola nella sua stanzetta. Le mostrò i suoi disegni, il suo letto, le foto del coniglietto lasciato a casa. La bambina silenziosa osservò attenta, non disse ancora nulla, ma la mano stretta in quella della bambina corag-giosa la fece sentire più sicura, meno sola.

Giovanna si definì principessa e decise di trasformare in principessa anche Martina. Le due bimbe si truccarono, si pettinarono come se dovessero an-dare alla festa nel castello del re. Ma giunta l’ora della cena, Martina non ha nessuna voglia di mangiare. Giovanna allora organizza un gioco a premi per farle mangiare qualcosa e aiutare la bambina silenziosa che poi ogni gior-no divenne sempre un po’ meno silenziosa.

Vedere questi bambini superare queste difficili prove con coraggio è anche un inci-tamento a tutti noi a non scoraggiarci nel cercare di superare le nostre sofferenze prodotte dalla natura o dai nostri simili, davanti alle quali noi abbiamo sempre due scelte: disperarci e rinunciare a combattere, oppure accettarle e dare loro il senso che Gesù diede loro con la sua Passione:

Beati voi che siete stati fedeli nella prova.

Dio ci ha dotato delle conoscenze per superare molte di queste prove ma quando queste non sono sufficienti per superarle, noi possiamo sempre chiedere di accettar-le come condivisione della sua Passione e come sconto delle nostre colpe.

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6.4 La fede e la contemplazione Ecco perché per arrivare a una fede matura adottata con convinzione, occorre risco-prire il silenzio e concentrare la nostra attenzione sulla contemplazione della perso-na e della vita di Gesù Figlio di Dio, per andare al cuore della sua proposta e viverla come la migliore possibile, dandogli ogni giorno uno spazio importante di attenzio-ne, tempo e preghiera, per ispirare tutte le nostre attività alle virtù cristiane.

Tuttavia ognuno non può fare da solo e necessita di alimentare la sua fede per vive-re una pace interiore, partecipando alle liturgie comunitarie, accostandosi con rego-larità ai sacramenti, prestando il suo corpo per consentire a Gesù di esercitare il suo amore per il prossimo, improntando i nostri rapporti alla pace, alla condivisione e al-la solidarietà. Solo così l’esperienza della fede esercitata con amore ogni giorno può farci sentire forti emozioni provenire dal nostro cuore.

Il modello da seguire è quello che Gesù ci ha insegnato nell’unica preghiera che ci ha proposto, e dove non a caso, usa il noi e mai l’io, perché per rivolgersi a Dio e chia-marlo affettuosamente, con così tanta familiarità e con tutti i nostri dubbi: Padre Nostro che sei nei cieli, ci vuole il coraggio di tutta una comunità unita che si sostie-ne reciprocamente.

Poi si potrà anche dire: Sia fatta la tua volontà come in cielo e così in terra; suppli-candolo così di non lasciarci vivere senza il suo aiuto, accettando di sottometterci al-la sua volontà senza la pretesa di giudicare tutto quello che succede, come ribadia-mo col: dacci oggi il nostro pane quotidiano, in cui dichiariamo di aver bisogno del suo aiuto per ricevere ogni giorno tutto l’indispensabile per vivere con tutto il nostro essere.

Infine ci rendiamo conto di essere dei peccatori che, prima di chiedere il perdono, devono imparare a praticarlo col loro prossimo, dicendo: rimetti a noi i nostri peccati come noi li rimettiamo a nostri debitori.

Sapendo poi che Dio ci mette alla prova per farci maturare e purificare, gli chiedia-mo di evitarci prove cui non sappiamo resistere, o almeno a limitarle, o darci la forza per superarle, e gli chiediamo: non ci indurre in tentazione e liberaci dal male, ossia di non dare spazio al Maligno, oggi presente nelle potenze che governano il nostro mondo, oltre quello che possiamo resistere.

Se il nostro sentimento verso il Signore diventa naturale, sarà per noi facile vivere nella pace, stabilire rapporti affettuosi o almeno amichevoli con tutti quelli che in-contriamo, presentare i nostri problemi a Lui e poi trovare le risposte giuste nel no-stro cuore e abbondantemente emergenti dal Vangelo.

Questo tipo di fede è un cammino che non lascia il tempo e lo spazio a esperienze alternative, perché è concentrato sul tentativo di essere veri discepoli, cominciato prima con la volontà di raggiungere una piena coscienza dei fatti e dei suoi insegna-menti, e poi continuato con la sperimentazione della sua proposta nella vita di ogni

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giorno.

Pertanto quando mi trovo davanti a Gesù, mi sembra quasi un sacrilegio chiedere una guarigione, un posto di lavoro, il cibo, una casa, una promozione, una vittoria, invece di richiedere di convertire il mio cuore e aiutarlo a offrire le mie eventuali sof-ferenze.

6.5 La fede difficile La fede matura non è esclusiva di quelli che vivono dove la loro fede può essere ma-nifestata senza pericolo, ma anche nei paesi dove i cristiani sono perseguitati e cor-rono il rischio del martirio, che Gesù invita a sfuggire quando è possibile:

Quando vi perseguiteranno in una città, fuggite in un'altra. (Mt.10,23)

Ma se questo non è possibile, Gesù cerca di consolare dicendo: Beati voi quando v’insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profe-ti prima di voi. (Mt.5,11-12)

Lui ricorda a quelli che lo testimoniano coraggiosamente nelle situazioni di ogni giorno in presenza di ostilità e di tribolazioni, come pecore in mezzo ai lupi, come sentinelle in mezzo a gente che ignora le parole di Verità del Vangelo, che non biso-gna avere paura di quelli che hanno il potere di uccidere il corpo, ma non l’anima.

Nel suo invito ad amare il nemico non c’è una prova di debolezza ma un modo di of-frirgli l’occasione per convertirsi, senza paura di chi deride, maltratta e coltiva sen-timenti di odio, per cercare sempre il dialogo con sentimenti e atteggiamenti che piacciono a Dio, che mai lascia soli i suoi fedeli troppo preziosi per Lui.

Chiesa distrutta ad Aleppo - Siria

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Tuttavia anche quando la paura costringesse qualcuno a tradirlo, lui non considererà questo tradimento irreparabile e sarà sempre pronto a concedere, a chi gliela chie-de, la sua misericordia.

6.6 Una fede semplice Nella mia esperienza non è raro il caso in cui invidio fedeli che per istinto e senza porsi tante domande, non hanno bisogno del tempo della Conoscenza perché at-tratti direttamente da Gesù, sono diventati suoi discepoli e usano il Vangelo senza esitazione come guida in tutte le situazioni della loro vita. Se ne reso conto anche Tommaso d'Aquino che sostenne:

Una vecchietta sa di più nel campo della fede, che non tutti i filosofi messi in-sieme.

Gesù nelle beatitudini li ha chiamati i poveri di spirito, ossia quelli che sentono sgor-gare dal loro cuore un affetto spontaneo per la sua persona, nella preghiera dichia-rano la loro fede, accettano la vita com’è loro proposta, la vivono con pazienza e fi-ducia, sperando comunque che alla fine troveranno un posto nel suo regno. Il primo esempio di questo tipo di fede l’ha dato Pietro, quando Gesù disse ai Dodici:

Forse anche voi volete andarvene? Gli rispose Simon Pietro: Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna.

Questi vivono nella semplicità e nell’umiltà, fedeli ai doveri del loro stato, sono pa-pà, mamme, nonni, giovani, donne e uomini sposati e non sposati che abitano in mezzo a noi, non fanno notizia, non hanno aureole. Sono testimoni silenziosi dell’amore di Cristo, inseriti nella nostra storia, e vivono con il cuore e la mente una vita buona.

L’esempio luminoso di Giuseppe Moscati Tra questi c’è l’esempio di questo straordinario medico del nostro tempo nella cui bibliografia si legge:

Ricercatore e medico, Moscati dedicava molto tempo alla visita quotidiana mattutina e gratuita degli indigenti dei quartieri spagnoli prima di prendere servizio in ospedale. La sua partecipazione ai problemi dei pazienti era molto viva, tanto che si diceva che dedicasse molto tempo anche alla cura dell’anima dei pazienti, in un tempo in cui prevaleva un distacco assoluto nelle cure e nel rapporto con i malati.

Nel 1906, mentre il Vesuvio eruttava su Torre del Greco, mettendo in pericolo un piccolo ospedaletto succursale degli Incurabili, si recò subito sul posto, con-tribuendo a mettere in salvo gli ammalati, poco prima del crollo dell'edificio.

Nel 1917 rinunciò a una cattedra universitaria e all'insegnamento, per conti-nuare il proprio lavoro in ospedale e restare accanto agli infermi ai quali era molto legato. Moscati dedicò la sua attività e tutta la sua vita alla carità, all'assistenza dei sofferenti, anche nei quartieri più poveri ed abbandonati del-

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la città, aiutandoli economicamente. Per lui scienza e fede non erano in con-trapposizione perché entrambe operavano per il bene dell'uomo.

Nonostante la sua fama si allontanò sempre dalla carriera, dagli agi e dalle ricchezze, prediligendo uno stile di vita semplice, dedicandosi pienamente e in-stancabile ai bisognosi malgrado avesse problemi di cuore. Il 12 aprile 1927, morì di infarto a soli 46 anni.

L’esempio di Antonio Macuse Un altro bel esempio è quello di Antonio del Mozambico, dove una delle parole più usate è condividere. Lui è padre di famiglia con cinque figli, fa il pescatore mentre sua moglie è l’infermiera del quartiere. Entrambi sono credenti che traducono il Vangelo in pratica di vita. Hanno adottato altri cinque figli, anche se la loro abitazio-ne è fatta di solo tre stanze in un palazzo fatiscente dove pare impossibile che rie-scano a dormire e mangiare tutti i giorni in dodici. Eppure Antonio ogni sera tira fuo-ri le stuoie di paglia che stende per terra anche nel corridoio per dare a ciascuno il suo letto e la sua coperta, così tutti, dice, stanno al riparo dalla pioggia:

Siamo in guerra da molti anni e una delle piaghe della nostra città sono i bam-bini abbandonati, i meninos da rua, bambini di strada: non hanno più nessuno, né casa, né genitori. Vivono alla giornata, mangiano e dormono quando e do-ve possono, sono parecchie migliaia, su circa un milione di abitanti. Ma la no-stra gente è buona, le famiglie sono accoglienti: hanno poco, ma quel poco lo distribuiscono volentieri.

Essi in genere vengono dalla campagna, dai villaggi bruciati o assaltati dalla guerriglia, prima o poi riescono a trovare una famiglia che li accoglie. Io ho già cinque figli, ma, d'accordo con mia moglie, ne abbiamo presi altri cinque. Co-me si fa a lasciare un bambino per strada?

Il Signore è buono ci ha sempre aiutati. La comunità e tanti ci aiutano anche per portare i bambini a scuola e sostituirci in casa quando siamo fuori per la-voro. Anche i miei cinque figli più grandicelli si sentono responsabili verso que-sti nuovi fratellini e sorelline. Noi insegniamo a tutti le preghiere cristiane e preghiamo assieme.

6.7 La vita dei primi cristiani La fede dei semplici è la stessa dei cristiani della chiesa primitiva come appare nella lettera a Diogneto, scritta nel II secolo da un discepolo degli Apostoli:

Non credere di poter imparare dall'uomo il mistero della particolare religione dei cristiani che né per regione, né per voce, né per costumi sono da distingue-re dagli altri uomini. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale. La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero di uomini multiformi, né essi aderiscono a una cor-rente filosofica umana, come fanno gli altri.

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Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo: nel vestito, nel cibo e nel resto; testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale.

Si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. Sono poveri, e fanno ricchi molti; mancano di tutto, e di tutto abbondano. Sono disprezzati, e nei disprezzi hanno gloria. Sono oltraggiati e proclamati giusti. Sono ingiuriati e benedicono; sono mal-trattati e onorano. Facendo del bene sono puniti come malfattori; condannati gioiscono come se ricevessero la vita. Dai giudei sono combattuti come stra-nieri, e dai greci perseguitati, e coloro che li odiano non saprebbero dire il mo-tivo dell'odio.

6.8 Una fede bambina Grande dispiacere provo invece quando vedo l’ingratitudine di coloro, soprattutto benestanti, che si presentano davanti a Dio con una fede rimasta bambina solo per fare delle richieste e quando non sentono scendere nel loro cuore alcuna emozione, o non vedono esaudite le loro richieste, abbandonano la fede.

Essi non hanno compreso invece che que-sti sono i momenti in cui iniziare la loro conversione per stabilire un rapporto vero con Dio.

Così non solo perdono l’opportunità di trovare una vita felice ma si accontentano di vivere nell’indifferenza e senza speran-za, o si lasciano prendere dalle sirene che propongono illusioni frutto di cervelloti-che elaborazioni mentali astratte, che solo in apparenza pongono soluzioni facili e il-lusorie basate sulle emozioni, per aderire a comunità da cui è poi molto difficile uscire per i grandi sensi di colpa che riescono a inculcare.

Basti pensare ai Testimoni di Geova e a Scientology.

6.9 La fede dormiente Il caso invece di François Taillandier, scrittore francese, mostra come un’educazione alla fede tradizionale, secondo cui andare in chiesa è naturale come andare a scuola, possa comunque diventare un seme che possa sbocciare.

La sua fede era fragile e superficiale, tanto che raggiunta l’adolescenza ha perso ogni contatto con la Chiesa sino a quando la figura e l’azione di Giovanni Paolo II gli han-no cambiato l’immagine del cattolicesimo che si era fatta.

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Egli scrive:

Intorno all’anno 2000 mi hanno chiesto di scrivere qualcosa su Giovanni Paolo II malgrado non fossi credente!

Così mi hanno quasi costretto a fare una trasferta in Terra Santa con un autista e un fotografo a mia disposizione.

Appena partiti, mi hanno chiesto la mia appartenenza religiosa.

Uno si è presentato come un mu-sulmano, l’altro come un ebreo laicizzato.

Allora mi sorpresi a dire: Sono cattolico!

Nessuno mi aveva mai posto questa domanda e mai avevo fatto un’affermazione simile, anche se avevo sempre avuto un grande attaccamento al cattolicesimo culturale, all’importanza della Chiesa con l’arte cristiana.

Anche da non credente, ero convinto che senza il cristianesimo, la letteratura europea semplicemente non sarebbe mai esistita, che la Chiesa ci aiutasse a essere società e ad avere un legame sociale, a metà strada tra individualismo e comunitarismo.

Questo è il senso dell’andare a Messa, di essere una comunità che lega gli uni agli altri, un legame che alla nostra società manca drammaticamente, come il messaggio del papa trasmetteva.

6.10 Una fede incompiuta Ogni volta che leggo nel vangelo di Luca questo versetto:

Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra? (Lc.18,8).

e vedo il clima culturale che si respira, mi viene la tentazione di pensare che Dio ci voglia abbandonare al nostro destino.

Questo tipo di fede si diffonde sempre di più per pigrizia intellettuale, tradizione, passività o per giustificare desideri e comportamenti malsani, senza nemmeno il tentativo di tentare una ricerca personale, vivendo nell’indifferenza un quasi cristia-

nesimo senza Cristo, e mettendo una maschera da cristiani solo come segno d’identità.

Frequente è vedere gente che ha una conoscenza molto limitata della proposta cri-stiana, ma lascia largo spazio ai miracoli e altre manifestazioni simili per giustificare una fede affidata a fatti straordinari anche se dubbi.

Alcuni arrivano anche a considerare un Cristo che non è Dio Figlio di Dio, ma solo un grande uomo buono morto in croce, e poi danno al suo insegnamento una libera e

François Taillandier

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superficiale interpretazione da cui traggono insegnamenti che concordano con i loro desideri. Essi ignorano che la Chiesa è nata sul sangue dei martiri, ha una tradizione bimille-naria che attinge alla sapienza e all’esperienza di generazioni di credenti e santi che hanno formato un deposito di verità di valore inestimabile non basato sui miracoli, che possono anche capitare, ma non sono mai verità di fede. Ignorano anche che tra gli ultimi pensieri, quasi un testamento di Gesù, ci sono le parole ripetute a ogni eucaristia:

Vi lascio la pace, vi do la mia pace

senza la quale si produce disordine e inquietudine come riporta Giovanni: Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi, e la vostra gioia sia pie-na.

Questi messaggi fanno capire che la profondità della fede cristiana non si ferma a un’azione esterna della Chiesa come organizzazione, ma arriva a quella del popolo dei suoi fedeli che attinge da Dio, tramite i sacramenti, un’apertura esplicita e con-creta all’infinito.

6.11 Una sfida La mia esperienza di fede mi porta anche il coraggio di proporre sfide alle persone esigenti e ricche di pensiero che non credono, di sperimentare la proposta cristiana comportandosi come quelli che credono, per arrivare a una sua approfondita cono-scenza, prima di poterla giudicare.

L’invito propone di iniziare seguendo la via della ragione, acquisire con umiltà e sen-za preconcetti la conoscenza della Buona Novella, fatta studiando la vita e le parole di Gesù, e poi allargare la ricerca agli aspetti storici per raggiungere una ragionevole certezza che Lui sia realmente esistito e che i Vangeli siano un’autentica testimo-nianza della sua vita e di quella dei suoi primi discepoli.

Certo che questo tipo di ricerca non è facile neanche per i credenti, poiché quando la mente si occupa di cose spirituali, vive fantasmi che la deridono, l’avversano, l’inquietano, con le impressioni che inconsciamente le derivano dal vortice di imma-gini che si susseguono e si accavallano senza sosta, spinte dalla stampa, dai desideri, dalle fantasie, dagli istinti, provocando irrazionali eccitazioni, passioni, sofferenze e disprezzo che portano alla negazione dell’esistenza di Dio.

Comunque è una strada che vale la pena di essere tentata perché apre la mente ol-tre i muri dei preconcetti che oscurano anche le cose più evidenti e portano a liete e inaspettate esperienze.

Solo chi non riuscisse a superare questa sfida, malgrado tutti i suoi sforzi, potrebbe pensare che questa proposta non sia la migliore per lui.

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La poca fede è la rovina della società Purtroppo tutti possiamo verificare che una delle principali conseguenze di questa cultura, si riscontra all’interno delle famiglie di qualunque tipo su cui è costruita la società, in cui non si è dato per tempo, sufficiente spazio all’educazione dei senti-menti e all’insegnamento della fede, indispensabili per fare regnare la solidarietà, l’affetto, la dignità, la differenza dei ruoli e delle responsabilità.

Questi valori indispensabili, anche per chi non crede, sono ora considerati da molti obsoleti e fuori luogo, e sull’onda consumistica, si preferisce dare spazio all’egoismo dei singoli che causa fratture, incomprensioni, insofferenze, contrasti e a volte per-sino tragedie.

In questo contesto la crisi tra genitori e figli sembra inarrestabile e dilagante perché senza Dio come si fa a osservare le raccomandazioni di Paolo:

Figli, ubbidite nel Signore ai vostri genitori, perché ciò è giusto … e voi, padri, non irritate i vostri figli, ma allevateli nella disciplina e nell’istruzione del Si-gnore. (Efesini 6:1,4).

Onora tuo padre e tua madre, affinché tu sia felice e abbia lunga vita sulla ter-ra (Efesini 6:2,3).

Questa mancanza di conoscenza fa mancare il dialogo in famiglia e induce i giovani a confidarsi con i propri coetanei inesperti quanto loro, piuttosto che con i propri ge-nitori, spesso assenti e presi anche loro dall’avere tutto e subito e sempre disposti ad accontentare le richieste dei figli, non sapendo come gestire l’insoddisfazione e le ribellioni dei figli, nel timore che possano rifugiarsi con gli amici nei divertimenti, nella droga o nell’alcol.

Non sono quindi il frutto del caso i circa 4000 suicidi che si compiono ogni anno in Italia, di cui 480 riguardano giovani tra i 15 e i 29 anni e rappre-sentano la seconda causa di morte in Italia tra gli adole-scenti che lo compiono dopo un percorso di sofferenze in-sopportabili segnate da: diete sbagliate, insonnia, distacco dalle cose care, di-scorsi sulla morte, calo di rendimento scolastico, abuso di sostanze, cambio improvvisi di comportamento, soprattutto quando i familiari sono poco pre-senti o poco affettuosi.

Essi pongono fine alla loro vita spesso annunciandola sul web, soprattutto con salti nel vuoto, autolesionismo e impiccagione, e più difficilmente con farmaci.

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Un'altra conseguenza di questa cultura è l’aumento della violenza sulle donne, da quando si è separata la sessualità dall’amore, si sono diffuse le convivenze e le unio-ni civili, si è eliminato il vero fidanzamento, si è introdotto il divorzio, che secondo alcuni avrebbe diminuito la violenza sulle donne in quando non serviva più uccidere la moglie per sciogliere un matrimonio indissolubile col così detto divorzio all’italiana, e ci si poteva liberamente unire sia per evitare di sbagliare la scelta del coniuge sia per dare all’unione regole e sbocchi diversi da quelli tradizionali.

Ma i dati smentiscono le previsioni fatte a suo tempo poiché col grande aumento del numero di convivenze e unioni civili, i femminicidi sono aumentati. Ogni anno sono

più di 120 le donne vittime di uomini poiché non si è tenuto conto del cambiamento culturale che ha visto coinvolte persone sempre più giovani con rapporti sempre più provvisori legati solo al piacere e senza alcun progetto di vita.

Questa nuova cultura ha visto sempre più uomini considerare le donne oggetti di lo-ro proprietà esclusiva cui non possono rinunciare, e donne sempre meno attente a conoscere le persone cui si uniscono, anche perché apparentemente il legame può essere sciolto in qualunque momento.

Quando un uomo minaccia, umilia, picchia una donna per costringerla a fare quello che non vuole, con vessazioni fisiche, psicologiche, ricatti economici, minacce, vio-

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lenze sessuali, persecuzioni, le donne dovrebbero reagire subito e non giustificare la violenza, perché questa è un fenomeno che inizia piccolo e quotidiano, e va fermato proprio a questo livello: Un uomo che picchia non ama e va lasciato subito!

È quindi evidente che a questa situazione si deve rispondere non solo sul piano giu-diziario ma soprattutto su quello culturale ed educativo perché mentre oltre il 30% delle donne tra i 16 e i 70 anni dichiara che nel corso della vita ha subito qualche forma di violenza, solo il 7% poi le denuncia anche perché la giustizia si mostra lenta e inadeguata nel proteggere le donne.

La ricerca delle emozioni Senza fede molti sembrano disposti a tutto pur di provare emozioni, com’è capitato ad Alessio di sedici anni morto un sabato sera in un tragico incidente nei pressi di Napoli.

Poco dopo mezzanotte, mentre con la sua potente moto regalatole da padre, anda-va a tutta velocità con un amico, si è scontrato con un’auto a un incrocio.

L’urto tremendo l’ha ucciso, malgrado il casco.

Era considerato un ragazzo buono e generoso, e sul suo profilo aveva scritto:

La moto uccide, è vero. Ma lo stesso lo fa una vita monotona prima di emozio-ni.

E questo non è che uno dei tanti incidenti che capitano il sabato sera e vedono com-plici involontari i genitori, che poi si disperano e provano enormi sensi di colpa.

Eppure i dati parlano chiaro. Mediamente in un anno avvengono il sabato sera o la domenica mattina, 350 incidenti gravi con 175 morti e 601 feriti, causati da condu-centi di età inferiore ai 30 anni.

La causa sta comunemente nell’eccesso di velocità che fa perdere il controllo del veicolo da parte del conducente che, non sempre in pieno pos-sesso delle sue capa-cità a causa di so-stanze che ha assun-to e della stanchezza, cerca a tutti i costi di provare e fare prova-re emozioni ai pas-seggeri, anche loro spesso nelle stesse condizioni, che inve-ce di frenarli li spin-gono a osare.

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7 Le liturgie comunitarie

Come abbiamo visto la fede personale nasce da quella comunitaria spesso mediante i riti durante i quali sono somministrati i sacramenti o si ricordano momenti partico-lari della vita di Gesù, come quelli della Settimana Santa.

Il più importante di questi riti, è la Messa che ripete l'Ultima Cena di Gesù con gli Apostoli, quando si sostituì per sempre a tutte le vittime offerte dagli ebrei a Dio per il perdono dei loro peccati.

Secondo l’usanza ebraica, se Dio le accettava, diventavano sacre e potevano essere sacrificate dai sacerdoti per mangiarle in un banchetto cui erano invitati gli offerenti e al quale partecipava lui stesso tramite il profumo delle frattaglie bruciate che sali-va al cielo.

7.1 La messa e l’eucarestia Nell'Ultima Cena con i suoi Apostoli, la notte in cui fu tradito, Gesù istituì l’Eucaristia, memoriale e sintesi della sua Passione, Morte e Resurrezione, col suo corpo rappresentato dal pane e dal vino, per perpetuare il suo sacrificio fino al suo ritorno alla fine della storia.

Lui aveva offerto liberamente il suo corpo risalito intatto al cielo dopo la sua Resur-rezione, e ora invita la comunità cristiana a incontrarlo per nutrirne loro sia il corpo sia l’anima col pane e col vino, frutto del nostro lavoro, da noi offerti, trasformati dallo Spirito nel suo corpo.

Questo è quindi il sacramento dell’unità della Chiesa al corpo di Cristo, è incompati-bile con le divisioni e non può celebrarla chi non è in pace col suo prossimo.

Gli Apostoli hanno stabilito subito dopo la Pentecoste, che il primo giorno della set-timana, quello della Risurrezione, poi chiamato domenica, dovesse essere il giorno in cui si doveva riunire la comunità in modo simile a come facevano gli ebrei il Sab-bato, per celebrare la Frazione del pane, chiamata poi Messa, ossia assemblea della comunità, per rispondere all’invito di Gesù a rivivere e partecipare alla sua Ultima Cena.

Il cerimoniale, com’è descritto nei testi più antichi del primo secolo dalla Didachè e dai Padri Apostolici, era molto scarno, era riservato solo ai battezzati, cercava di ri-petere l’Ultima Cena di Gesù basata su un pasto vero e secondo il cerimoniale ebrai-co.

Riuniti nel giorno del Signore, spezzate il pane e rendete grazie quando avete confessato i vostri peccati, perché sia puro il vostro sacrificio. Chi è in lite con il suo amico, non si unisca a voi, prima che non si siano riappacificati per modo che non sia profanato il vostro sacrificio (Didachè XIX, 1-2)

Inizialmente era preceduto dalla lettura della Bibbia e dall’omelia, cui potevano ac-cedere anche i catecumeni e i pagani che però dopo le preghiere particolari per lo-

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ro, dovevano allontanarsi.

Al termine della celebrazione, i battezzati potevano portare a casa il pane consacra-to, dove gli anziani, i presbiteri, spezzavano il pane tutti i giorni per tutta la famiglia.

Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli Apostoli e nell’unione frater-na, nella frazione del pane e nelle preghiere. […] ogni giorno tutti insieme fre-quentavano il tempio e spezzavano il pane a casa, prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore. (Att.2,42-46)

Inizialmente il rito si svolgeva in una cena vera e propria ma poi, a causa di alcuni abusi e della grande crescita del numero delle chiese, dei celebranti e dei fedeli, si preferì separare la cena dalla celebrazione dell’Eucarestia, il sacramento per eccel-lenza che significa rendo grazie, e definire regole e formule per la sua celebrazione che fu così strutturata:

introduzione, confessione e remissione dei peccati veniali, liturgia della parola, omelia, offerta dei doni, professione di fede, consacrazione, comunione, con-gedo.

Poi fu introdotto un calendario annuale, il calendario liturgico, con al centro la Pa-squa, ispirato a quello ebraico, che garantisse il rispetto dell’autenticità dei gesti e delle parole di Gesù come erano testimoniati dagli Apostoli.

Questo è lo schema di base per ciascuna celebrazione che nelle sue linee generali è rimasta la stessa in questi ultimi 2000 anni.

Tra le formule, quelle più importanti, sono quelle relative alla consacrazione del pa-ne e del vino, che pur subendo alcune modifiche nelle parole usate, rispettano quel-le di Gesù come erano ricordate dagli Apostoli. Queste formule prevedono sempre la richiesta a Dio Padre di inviare il suo Spirito per trasformare il pane e il vino nel corpo di Gesù, e poi la ripetizione delle parole di Gesù che invitano tutti a cibarsene. Una delle formule più diffuse è la seguente:

Veramente santo sei tu, Padre, e fonte di ogni santità. Santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito, perché diventino per noi il corpo e il sangue di Gesù Cristo nostro Signore. Egli, offrendosi liberamente alla sua passione, pre-se il pane e rese grazie, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli, e disse:

Prendete, e mangiatene tutti: questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi.

Dopo la cena, allo stesso modo, prese il calice e rese grazie, lo diede ai suoi di-scepoli e disse: prendete, e bevetene tutti, questo è il calice del mio sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei pecca-ti.

Fate questo in memoria di me.

Mistero della fede.

Molti si domandano come mai la comunione sia fatta quasi sempre, con la sola spe-

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cie del pane consacrato.

Questo è possibile perché anche col solo pane si è sempre in comunione col corpo e il sangue di Cri-sto, poiché lui è presente sacramentalmente sotto ciascuna specie, sia nel pane sia nel vino consa-crati, poiché non ci può essere un corpo senza che vi sia il suo sangue così come non ci può es-sere il sangue senza il suo corpo.

Infatti, già nei primi secoli si cominciò a portare la Comunione agli ammalati solo sotto la specie del pane, per non correre il rischio di versare per strada qualche goc-cia del sangue del Signore.

Significativo è anche l’episodio raccontato da Luca dell’incontro di Gesù con Cleopa e un altro discepolo, che dopo la sua morte erano in cammino per andare a Em-maus, e lo riconobbero a tavola solo quando lui prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò, lo diede loro e poi sparì dalla loro vista.

La consacrazione mette ben in evidenza che il centro della fede non può essere la Bibbia, poiché è sempre stata la persona stessa di Gesù Cristo Figlio di Dio il risorto, poiché:

Se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana an-che la vostra fede. (Atti. 15,14)

Il primo giorno della settimana c’eravamo riuniti a spezzare il pane (Atti 20,7)

Quando vi radunate per mangiare la Cena del Signore (1Cor. 11,20)

Perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati. (Mt. 26,28)

Questi gesti, ripetuti in tutto il mondo e in ogni epoca, possono essere così emozio-nanti da far dire a Padre Pio:

Se la gente capisse il valore di una Messa, ci sarebbe la ressa alla porta delle Chiese per poter entrare!

Ma bisogna anche ricordare, che non fu un fatto improvviso che poté essere equivo-cato, perché Gesù lo aveva anticipato e ben spiegato già in molte altre occasioni:

Il Figlio dell'uomo, non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua

Gesù alla cena di Emmaus - Caravaggio

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vita in riscatto per molti. (Mt.20,28)

Bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.

Dio, infatti, ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna.

Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. (Gv.3,14-17)

Il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero; il pane di Dio è colui che di-scende dal cielo e dà la vita al mondo.

Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete. […]

Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo.

In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita.

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risuscite-rò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera be-vanda.

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui.

Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me.

Chi mangia questo pane vivrà in eterno. (Gv.6,26-58).

In questo modo la Messa è il momento in cui i fedeli diventano una vera comunità che mangia il corpo di Cristo, in un clima di fraternità senza alcuna distinzione di ses-so, razza, origini, censo e cultura.

7.2 Gli altri sacramenti Come per l’Eucarestia si possono considerare anche altri gesti compiuti da Gesù, poi chiamati sacramenti, la certezza che la loro esecuzione consenta alla grazia di Dio di raggiungere i fedeli in momenti precisi.

Infatti, oltre la Messa ci sono altre liturgie comunitarie dedicate alla somministrazio-ne dei sacramenti per certi momenti importanti della vita, in cui si può sentire pros-simo Gesù, se celebrati in modo adeguato, con una sentita partecipazione dei fedeli senza elementi e comportamenti profani.

Si tratta delle celebrazioni di sacramenti, di norma non ripetibili, come quelli d’iniziazione: battesimo, lo stesso di Gesù, e le cresima sul modello della consacra-zione degli Apostoli e discepoli alla Pentecoste e quando affidò delle missioni ai suoi discepoli e agli Apostoli.

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Anche quello speciale dell’Unzione sacra dei malati, fu istituito come vero e proprio sacramento da Gesù Cristo come accennato da Marco.

Allora chiamò i Dodici, e incominciò a mandali a due a due e diede loro potere sugli spiriti immondi […] e partiti, predicavano che la gente si convertisse, scacciavo molti demoni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano (Mc.6,-13)

e raccomandato ai fedeli da Giacomo: Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con l’olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede sal-verà il malato: il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno per-donati. Confessate perciò i vostri peccati gli uni agli altri e pregate gli uni per gli altri per essere guariti (Gc.5,14-15).

Mentre quello del matrimonio nasce dal comando di Gesù agli sposi: Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi. (Mt.19,6).

In tutti è sempre chiaro il momento in cui il segno indica che la grazia compie la sua opera e fa sentire vicini a Dio, come difficilmente può capitare in altre occasioni.

Il cieco nato - Giovanni-Vanzulli

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7.3 La confessione o riconciliazione Grande importanza ha anche il sacramento della confessione, l’unico non comunita-rio, anche se a volte è preceduto da una preparazione comune, quando è celebrato con sincerità e vero pentimento. Il suo scopo è di porre ogni cristiano davanti alla sua vita con tutte le sue colpe e omissioni, per fargli sentire i suoi limiti, misurare la sua fede, dargli l’opportunità di liberarsi dai sensi di colpa e di stimolare la conversione a una vita nuova.

Già gli ebrei quando andarono dal Battista ne avevano sentito la necessità:

Allora accorrevano a lui da Gerusalemme, da tutta la Giudea e dalla zona adiacente il Giordano; e, confessando i loro peccati, si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano. (Lc.3,5-6)

Purtroppo oggi, alla confessione ci si presenta con una buona dose di superficialità dimenticando di presentare la propria vita di peccatori ma di considerare solo i pec-cati non ancora confessati e a ritenerne altri non meritevoli di essere confessati, come i pensieri in cui si cova il male e le omissioni di quando si rimane insensibili al-le sofferenze del prossimo.

Così si riduce di molto la necessità di confessarsi e si finisce col fare, quando va be-ne, confessioni affrettate senza un serio esame di coscienza e senza alcun impegno per il futuro, che invece è indispensabile per rendere valida la confessione.

Infatti se uno si impegna seriamente a non ripetere un peccato e poi lo ripete a cau-sa della sua debolezza sarà perdonato, ma se già pensa volontariamente di ripeterlo dopo la sua confessione, non sarà perdonato.

Da notare che spesso è un’occasione per un fedele con una fede debole di incontra-re da solo un sa-cerdote, per cui può sentire il biso-gno di riavvicinarsi al Signore e conver-tirsi.

Poi con la ritrovata amicizia di Gesù, si può riordinare la propria coscienza, riconciliarsi con il prossimo, riportare serenità in famiglia e ridare un senso alla propria vita.

Gesù e l’adultera - Guercino

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Scrive san Paolo: Dio ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non im-putando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazio-ne.

Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro.

Vi supplichiamo, in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio! Colui che non aveva commesso peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio. (2Cor.5,17-21)

Sant’Ambrogio, scrisse nel suo Esamerone: Il settimo giorno Dio cessò di creare e si riposò, perché finalmente, avendo creato l’uomo, aveva qualcuno cui perdonare!

7.4 Le testimonianze

La testimonianza di un confessore San Ludovico Bertrando, domenicano, ottimo confessore, accolse un giorno la con-fessione di un grande peccatore.

Questi, pieno di timore, diceva un peccato e poi sbirciava la faccia del confessore, per coglierne l’impressione.

Vedeva che il confessore a ogni peccato, anche grave, sorrideva, quasi contento.

Perciò, alla fine, si sentì in dovere di dire:

Padre, ho ancora un altro grosso peccato da confessare.

Dì pure, figliolo.

L’ho fatto proprio durante questa confessione!

Non importa, dì pure.

Riguarda lei.

Non fa nulla, confessalo lo stesso.

Padre, ho avuto un grave giudizio temerario nei suoi riguardi.

Poiché a ogni mio peccato, lei sorrideva, ho pensato che anche lei fosse un grande peccatore e magari più di me!

Il santo confessore rispose: È vero che io sono un peccatore più grande di te; ma sorridevo durante la tua confessione, perché provavo la gioia del padre, che poteva finalmente abbrac-ciare il figlio prodigo! In cielo si fa una gran festa, quando un peccatore si pente e ritorna a Dio.

Il padre disse ai servi: Facciamo grande festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita! (Lc, 15, 23-24).

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Le testimonianze dei fedeli Che le liturgie comunitarie possano far provare autentiche emozioni, lo possiamo anche trarre da semplici testimonianze che fanno comprendere quanto siano utili i sacramenti, se la preparazione è adeguata, per intrecciare le emozioni personali con quelle della comunità.

Stefania e la sua Cresima Io ho deciso di intraprendere questo cammino di confermazione come discesa dello Spirito Santo, quando nel mio cuore è nata l'esigenza di riappropriarmi della parola di Dio. È stato un momento in cui mi si è fatta luce l'esperienza delle cose che mi erano state donate, e ho sentito di essere stata chiamata a fare delle scelte, ad assumere, con decisione, un progetto di vita, a vivere da figlia di Dio e poter donare agli altri quello che avevo ricevuto.

La mia risposta per cominciare doveva partire da un si. Non posso parlare di un'emozione specifica vissuta il giorno della mia cresima poiché tutto il percor-so di preparazione mi ha riservato giornate cariche di emozioni. Mi ha regala-to un entusiasmo nuovo nell'affrontare le difficoltà di incontrare, lungo la mia strada, cuori induriti e ostinati; mi ha regalato una nuova gioia per testimonia-re che quel piccolo seme dello Spirito infuso in noi il giorno del battesimo per mano dei nostri genitori, per mezzo della cresima sia accolto con abbondanza e fatto moltiplicare.

Ho accolto questo grande dono in piena consapevolezza, avvertivo che era il momento di assumermi questa responsabilità, di scegliere Gesù. Ho vissuto il catechismo con altri ragazzi non come un’inutile o sterile esposizione di con-cetti ma attraverso le letture del Vangelo che ci accorgemmo quanto fosse contemporaneo, non fine a se stesso, bensì affiancato alla mia evoluzione spi-rituale, educandomi a una fede di gioia e carità. Ricorderò con grande affetto il buffetto sulla guancia accompagnato da un sorriso paterno fatto per impri-mere, fortemente nel cresimando, il ricordo di aver ricevuto il sacramento.

Inoltre, l'unzione rappresenterà il mio tatuaggio, inteso come scelta definitiva che si mantiene nel tempo, senza alcun pentimento. Spesso sento discutere circa l'età più adatta per ricevere la cresima; naturalmente ognuno assumerà la propria posizione, io però sono felice di aver potuto affrontare la mia inizia-zione in un'età in cui ho acquisito maggiore consapevolezza, decisa nel voler confermare il mio impegno dell'essere testimone di Dio e di adempiere alla mia missione.

Leonardo Mondadori La sua biografia è la storia di un convertito che va a messa ogni domenica, ha un di-rettore spirituale, si accosta ai sacramenti, ha deciso di mettere tutto in piazza e ha affidato a Vittorio Messori di raccontare in un libro la sua Conversione anche a costo di essere considerato fuori moda, perché anche se un solo lettore troverà un po' di

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luce, lui ha raggiunto il suo scopo.

Qualcuno mi dirà che ho un tumore e sto per morire, e allora mi butto sulla religione, ma la malattia non c'entra nulla con la conver-sione, perché la scoperta del tumore è del 1998, e il mio approdo alla fede di ben cinque anni prima.

Sentivo che la mia vita era, piena di errori, due divorzi, tre figli da due donne diverse… Decisi di incontrare un prete eccezionale che ebbe un grande rispetto per me. Cominciai a fidarmi di lui e così mi resi conto di trovare le risposte che cercavo. Mi feci prendere da un grande entusiasmo, volevo cam-biare tutta la mia vita di colpo, ma lui mi frenava:

non avere fretta, mi diceva, Dio non ti chiede l'impossibile, procedi con calma.

Constatai che il Vangelo è davvero il libretto di "istruzioni per l'uso" dell'uomo, Gesù Cristo è davvero la risposta a tutti i nostri interrogativi e la preghiera vie-ne sempre esaudita se chiesta con sincerità e con intenzioni rette. Poi ho sco-perto con gioia immensa la confessione, la mia vera prima comunione e che la chiesa che è rimasta l'ultimo baluardo contro le follie del nostro tempo.

La castità pre-matrimoniale, ad esempio, che permette di donare tutto se stes-so per la prima volta solo dopo le nozze, è un cemento straordinario per un matrimonio, e siamo sicuri che la logica di oggi, per la quale tutto è permesso in questo campo, abbia reso gli uomini più felici? La morte fisica mi fa ancora paura ma mi dico:

Perché mai Gesù si è fatto crocifiggere? O il cristianesimo è un inganno, oppure nella crocefissione c'è la nostra salvezza. Come sarà, questo do-po, io non lo so, ma sono certo che per chi è in pace con Dio sarà molto bello.

Giulio Morrone Il senso di colpa può essere un peso troppo grande da essere sopportato e prima o poi si sente la necessità di ritrovare la pace del cuore e la confessione si dimostra in questo uno strumento insostituibile.

Teresa Bottega, di Santa Teresa di Spoltore (Pescara) madre di una ragazzina di 13 anni e di un bambino di 10, quando aveva 35 anni fu strangolata dal ma-rito nel 1990, dopo una lite violenta. Poi lui accompagnò il bimbo a scuola, tornò a casa, caricò in macchina il cadavere e vagò per ore senza meta prima di buttare il suo corpo in un canale.

Leonardo Mondadori

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L’inchiesta si chiuse con la conclusione che lei fos-se scappata via, i due adolescenti crebbero convin-ti che la madre li avesse abbandonati, il parroco che raccolse il segreto dell’assassino dovette tace-re.

Poi il figlio di quell’uomo morì giovanissimo in un incidente di montagna e lui si convinse che la di-sgrazia sia stata una punizione divina per quello che aveva fatto alla moglie e fu tormentato dai sensi di colpa.

Così, convinto dallo stesso sacerdote, suo amico e guida spirituale, si denuncia e confessa alla giusti-zia dopo 22 anni il suo delitto e racconta la sua vi-ta con i tradimenti con altre donne, i litigi continui, la gelosia di Teresa.

Così il suo rapporto con la moglie divenne insostenibile tanto che lei, pochi me-si prima del delitto, era andata via di casa per un breve periodo.

Così gli fu facile far credere agli inquirenti dell’epoca che forse anche stavolta Teresa si era allontanata volontariamente, come aveva già fatto, ma il rimorso per il suo delitto mai tacque, per cui gli bastò una spinta del sacerdote suo per amico trovare il coraggio della denuncia, ma soprattutto la pace nel cuore.

La bimba cinese Quando i comunisti si erano impadroniti del potere in Cina, avevano arrestato un sa-cerdote e lo avevano incarcerato nella sua canonica, nei pressi della chiesa. Il sacer-dote osservò spaventato dalla finestra i comunisti mentre invadevano l’edificio sacro e si dirigevano al santuario. Pieni di odio, profanarono il tabernacolo e presero il ca-lice gettandolo a terra, spargendo ovunque trentadue ostie consacrate.

Quando i comunisti si ritirarono, forse non avevano visto o non avevano prestato at-tenzione a una bambina di undici anni che, pregando nella parte posteriore della chiesa, aveva assistito a tutto. Di sera la piccola tornò ed eludendo la guardia posta davanti alla canonica, entrò in chiesa. Lì fece un’ora di preghiera come atto d’amore per riparare all’odio. Dopo la sua ora, entrò nel santuario, s’inginocchiò e, chinando-si in avanti, con la lingua ricevette Gesù nella Sacra Comunione (all’epoca non era permesso di toccare l’Eucaristia con le mani).

La piccola continuò a tornare ogni sera, facendo la sua ora di preghiera e poi rice-vendo Gesù Eucaristico sulla lingua. La trentesima notte, dopo aver consumato l’ostia, per caso fece rumore e attirò l’attenzione della guardia, che le corse dietro, l’afferrò e la colpì fino a ucciderla con la parte posteriore della sua arma. A quest’atto di martirio assistette il sacerdote, che sconsolato guardava dalla finestra della sua stanza trasformata in cella di prigionia, e poi ne diffuse la storia.

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8 Le emozioni straordinarie individuali

8.1 I fenomeni straordinari Quando si crede all’esistenza di un mondo invisibile e misterioso non accessibile alla scienza, ci s’imbatte in racconti di manifestazioni ritenute di origine divina, diabolica, frutto di droghe, allucinazioni o invenzioni, raccontati spesso in modo leggendario.

Anche nel cristianesimo sono presenti, oltre alle guarigioni, alcune testimonianze di manifestazioni di questo tipo che però anche quando hanno avuto un riconoscimen-to ufficiale, mai sono imposte come verità di fede, anche se riguardano persone con fama di santità.

Riportiamo qui una breve sintesi di questi fenomeni senza particolari commenti la-sciando poi a ognuno la possibilità di conoscerli e approfondirli, ma già avvertendo che anche fossero autentiche manifestazioni straordinarie, queste non sono mai la via per la fede, salvo nel caso che fossero esperienze dirette, e quindi valide per la persona che le ha provate, avvenute in condizioni certe e non frutto di suggestioni.

Estasi, durante le quali l’estatico, non vede, non ode, non sente, non dorme e non è morto, mentre il suo volto è radiante e come trasportato in un altro mon-do.

Visioni percepite mentre si è vigili o nel sonno o in estasi. Riguardano immagini di realtà soprannaturali che possono essere percepite sia dalla vista, pur rima-nendo invisibili, sia dalla mente anche senza immagini, e possono riguardare og-getti d’insolita e difficile identificazione. Esse potrebbero anche avere origine so-prannaturale, ma quasi sempre si tratta di illusioni, allucinazioni naturali o ingan-ni diabolici.

Locuzioni, ossia messaggi percepiti dall’udito o dalla mente sia durante la veglia sia durante il sonno, che possono spingere a umiltà, fervore, e spirito d’obbedienza, se ritenute divine, mentre diaboliche se spingono verso aridità, in-quietudine, insubordinazione e vanità.

Rivelazioni ossia manifestazioni soprannaturali di verità o segreti nascosti.

Scienza infusa, come nel caso di Caterina da Siena che si racconta avesse appreso istantaneamente a leggere, scrivere, conoscere la Sacra Scrittura e la teologia senza studio alcuno, o anche l’acquisizione di abilità per l’esercizio delle arti.

Ierognosi, ossia la capacità di riconoscere le cose sante.

Luminosità o alone o corona o raggi di luce che alcuni irradiano soprattutto du-rante la contemplazione o l’estasi.

Osmogenesia o profumo di fragranza, che si sprigiona dai Santi, come nel caso di Policarpo, Simone lo stilita, Caterina di Cardoña, Caterina de’ Ricci, Veronica Giu-liani, Giovanna Maria della Croce, Padre Pio da Pietrelcina.

Stigmate, che appaiono normalmente nelle mani, nei piedi e nel costato e a volte sulla testa e sulle spalle, ma possono anche essere invisibili, permanenti, periodi-

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che, transitorie, simultanee o successive. Il primo stigmatizzato di cui si ha notizia è Francesco d’Assisi.

Sudore di sangue attraverso i pori della pelle, o ingiustificata uscita di lacrime.

Incendio d’amore, che riscalda e brucia le carni e le vesti vicino al cuore.

Rinnovamento o sostituzione del cuore con un altro, a volte quello di Cristo stesso, come narrano Caterina da Siena, Maria Maddalena de’ Pazzi, Caterina de’ Ricci, Margherita M. Alacoque e Michele de Sanctis.

Inedia, digiuno o privazione del sonno per tempi molto superiori alle forze natu-rali di sopravvivenza. Pietro d’Alcantara, confidò di aver dormito per almeno qua-rant’anni soltanto un’ora e mezzo il giorno; Macario di Alessandria per vent’anni non dormì mai; Rosa da Lima dormiva anche meno di due ore; Caterina de’ Ricci dormiva un’ora per settimana o due o tre ore per mese.

Agilità, ossia traslazione quasi istantanea da un luogo a un altro, anche molto lontano dal primo.

Bilocazione, ossia presenza simultanea in due posti diversi, come raccontano Pie-tro d’Alcantara, Filippo Neri, Antonio da Padova, Francesco d’Assisi, Antonio da Padova, Francesco Saverio, Paolo della Croce, Alfonso de’ Liguori.

Levitazione, l’elevazione spontanea, normalmente durante un’estasi, del corpo dal suolo, senza appoggio alcuno e senza causa naturale, suo mantenimento e spostamento. È stata attribuita anche a Francesco d’Assisi, Domenico di Guzman, Ignazio di Loyola, Francesco Saverio, Teresa d’Avila, Maria Maddalena de’ Pazzi, Filippo Neri, Giuseppe da Copertino, Pietro d’Alcantara.

Corsa estatica, quando una persona si muove velocemente raso terra.

Sottigliezza, consiste nel passaggio di un corpo attraverso un altro, come nel caso di Raimondo di Peñafort che entrò nel suo convento di Barcellona senza aprire le porte.

Come si vede si tratta di fenomeni molto diversi alcuni, spesso di difficile verifica, ri-portati da testimoni diretti, che la Chiesa non può accettare come prove di fede.

8.2 La mistica cristiana Parlando di fede, non si può evitare di accennare ai mistici, presenti in tutte le reli-gioni, aggettivo che viene da mistero e indica un’esperienza del divino, segreta e na-scosta, riservata solo a quelli che vantano di avere avuto momenti straordinari che li hanno messi in comunicazione diretta col mistero di Dio.

Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. (Gv 14,23)

La loro accettazione deve essere prudente poiché non è facile capire a un osservato-re se i fenomeni procedano da Dio, dal demonio o dall’immaginazione del mistico.

Il mistico appare come persona assente, insensibile a ogni sollecitazione fisica, tutta assorta nella contemplazione e nella preghiera, ma anche che se suoi eventuali mes-saggi ispirassero comportamenti coerenti con la Rivelazione, non sono mai conside-

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rati dalla Chiesa prova di santità per il solo fatto di essere detti da un mistico.

Le visioni di San Paolo Apostolo Conosco un uomo in Cristo che, quattordici anni fa, se con il corpo o fuori del corpo non lo so, lo sa Dio, fu rapito fino al terzo cielo. E so che quest'uomo, se con il corpo o senza corpo non lo so, lo sa Dio, fu rapito in para-diso e udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunziare. Di lui io mi vanterò! Di me stesso invece non mi vanterò fuorché delle mie debolezze. (2Cor.12,2-5)

Le visioni di Francesco d’Assisi La santità di Francesco è indiscussa, ma è anche avvolta in numerose leggende per cui vanno presi con cautela i numerosi i casi che i suoi biografi riportano.

Con alcuni compagni aveva raggiunto la vetta della Verna, dove praticò per diversi giorni una preghiera sempre più ardente. Il 14 Settembre del 1224, giorno dell'Esaltazione della Croce, nelle prime ore del mattino Francesco vide un uomo che stava sopra di Lui, simile a un Serafino con sei ali, le mani distese e i piedi giunti e fissati a una croce. Due delle ali erano distese sulla sua testa, due erano distese come per volare, e due erano avvolte attorno a tutto il cor-po. Quando il beato servo dell'Altissimo vide queste cose, egli fu ricolmo della più grande meraviglia, ma ancora non riusciva a comprendere cosa questa vi-sione significasse. Tuttavia fu pieno di felicità e si rallegrò grandemente per il cortese e benigno sguardo con cui si vedeva guardato dal serafino, la cui bel-lezza era inestimabile ma era contemporaneamente atterrito nel vederlo con-fitto in croce nell’acerbo dolore della passione. E mentre egli era incapace di pervenire a una comprensione di ciò e la stranezza della visione rendeva per-plesso il suo cuore, le sue mani e i piedi apparvero trafitti nel centro da chiodi, le cui teste erano visibili nel palmo delle mani e sul dorso dei piedi, mentre le punte sporgevano dalla parte opposta. Quei segni poi erano rotondi dalla par-te interna delle mani, e allungati nell’esterna, e formavano quasi un’escrescenza carnosa, come fosse punta di chiodi ripiegata e ribattuta. Così pure nei piedi erano impressi i segni dei chiodi sporgenti sul resto della carne. Anche il lato destro era trafitto come da un colpo di lancia, con ampia cicatri-ce, e spesso sanguinava, bagnando di quel sacro sangue la tonaca e le mutan-de.

Un giorno si mise in preghiera per ottenere da Dio l'illuminazione come sareb-be stata la sua vita e quella dei suoi confratelli. Immediatamente si senti inon-dare l'intimo del cuore d'ineffabile letizia e immensa dolcezza. Fu rapito fuori

La mistica santa Gemma Galgani

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di sé e nell'illuminazione divina poté contemplare con chiarezza il futuro. Finita la contemplazione e ritornato pieno di gioia, disse ai suoi frati: Carissimi, con-fortatevi e rallegratevi nel Signore, non vi rattristi il fatto di essere in pochi; non vi spaventi la mia e vostra semplicità, perché, come mi ha rivelato il Signo-re, egli ci renderà un'innumerevole moltitudine e ci propagherà fino ai confini del mondo. Ho visto una grande quantità di uomini venire a noi, desiderosi di vivere con l'abito della santa vita comune e secondo la Regola della beata Re-ligione. Risuona ancora nelle orecchie il rumore del loro andare e venire con-forme al comando della santa obbedienza! Ho visto le strade affollate da loro, provenienti da quasi tutte le nazioni.

Angela da Foligno La stessa cosa vale per questa santa, chiamata Maestra dei teologi, che una volta morti marito e figli, diede tutti i suoi averi ai poveri ed entrò nel Terz'Ordine France-scano, ebbe ad Assisi numerose esperienze mistiche, che il suo confessore frate Ar-naldo riportò in un Memoriale. Essa dedicò la sua vita ad aiutare il prossimo e so-prattutto i suoi concittadini affetti da lebbra.

Ho visto una cosa piena, una maestà immensa, che non so dire, ma mi sem-brava che era ogni bene. E mi disse molte parole di dolcezza quando partì e con immensa soavità e partì piano, con lentezza. E allora, dopo la sua parten-za, cominciai a strillare ad alta voce, o urlare, e senza alcuna vergogna strilla-vo e urlavo, dicendo questa parola, cioè: Amore non conosciuto perché? Cioè, perché mi lasci? Ma non potevo dire, o non dicevo, di più; gridavo solo senza vergogna la predetta parola, cioè: Amore non conosciuto, e perché e perché e perché.

Filippo Neri Quest’originale santo della gioia, il giullare di Dio, è ritenuto l’inventore degli oratori. Nelle catacombe di san Sebastiano, nel giorno di Pentecoste del 1544, ricevette lo Spirito Santo sotto forma di globo di fuoco che gli causò una dilatazione del cuore. Nel 1548, fondò la Confraternita della SS. Trinità dei pellegrini e convalescenti, come scuola di volontariato per la cura degli ammalati e l'accoglienza dei pellegrini dell'anno santo del 1550.

Nel 1551, ordinato sacerdote, girò per le borgate per raccogliere i ragazzi poveri e abbandonati a se stessi, che fece giocare, cantare, e guidò parlando loro al cuore e invitandoli col suo: State buoni se potete! ad aiutarlo nell’assistenza a poveri e ma-lati.

Padre Antonio Gallonio testimonia che la palpitazione che Filippo chiamava “infermità sua”, l’aveva portata per cinquant’anni e lo rapiva talmente in Dio, che li faceva gridar più volte: sono vulnerabile alla carità. Questa straordinaria effusione di Spirito Santo gli aveva dilatato il cuore, come constatò l’autopsia, che constatò che alcune costole erano staccate dallo sterno perché il cuore po-

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tesse avere spazio, costringendo spesso Filippo a gridare nell’estasi: Non posso più, mio Dio, non posso più.

Maria Esperanza Medrano de Bianchini Particolare è la storia di questa mistica nata nel 1928 nel villaggio di San Rafael in Venezuela. Durante l’adolescenza la sua salute continuò progressivamente a peggio-rare. Ebbe anche una nuova malattia che la lascerà parzialmente paralizzata ma che guarì improvvisamente dopo l’apparizione del Sacro Cuore di Gesù.

Si era sposata, ebbe sette figli e visse nella regione di Finca Betania dove ebbe a partire dal 1976, 31 apparizioni della Vergine Maria nel corso di 15 anni. Le apparivano le stimmate il Venerdì Santo. Un gran numero di persone l’ha vista levitare durante la Messa e testimonia le sue bilocazioni. Sul luogo della prima apparizione si sono verificate guarigioni miracolose, miracoli eucaristici, luci mistiche e inspiegabili profumi di fiori e il ruscello del luogo della prima appari-zione ha acque ritenute miracolose

Maria di Gesù di Agreda e la leggenda indiana (Maria Coronel -+1665) Questa storia ha dell’incredibile anche perché ha avuto una documentazione impor-tante. Era una religiosa, mistica, scrittrice, della Spagna del XVII secolo nata il 2 apri-le 1602 ad Agreda, dove visse tutti i suoi 63 anni di vita. Faceva una vita di penitenza ed ebbe visioni sia di Gesù con le piaghe sia della Beata Vergine col Bambino Gesù.

Nel 1622 una spedizione guidata da padre Alonso de Benavides, raggiunse il Texas e il New Mexico, e impiantò una missione. Qui vennero inaspettati dei capi degli Xamanas, una delle tribù più grandi e aggressive, che chiesero di in-viare tra loro qualche sacerdote che amministrasse il battesimo e gli altri Sa-cramenti, come aveva chiesto loro una giovane signora vestita d'azzurro, che compariva fra loro predicando il regno di Gesù Cristo, parlava nella loro lingua, compiva prodigi e li esortava a chiamare i missionari.

I francescani nei loro villaggi trovarono enormi croci adornate da fiori e con-statarono che, pur non es-sendo stati mai contattati da alcun europeo, cono-scevano la fede. Poi anche in Arizona e California, trovarono tribù indigene già catechizzate da quella che gli storici chiameran-no The Lady in blue.

L'arcivescovo di Città del Messico, reduce da una vi-sita in Spagna, pensò subi-to alla giovane monaca,

Maria di Gesù di Agreda

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che, pur non essendosi mai mossa dal suo convento, descriveva minuziosa-mente nelle sue lettere l'America, come se le fosse familiare.

Nel 1631 padre Alonso andò in Spagna a far visita a suor Maria de Jesus, che ammise che Dio le aveva concesso di raggiungere l'America con oltre 500 bilo-cazioni, ma non sapeva se vi andava senza o con il corpo.

Scrisse una dettagliata relazione con i nomi di tutti i missionari, il ricordo di episodi e avventure, dove confermava di avere spiegato la fede oltre gli Xama-nas, a molte altre tribù. Questi eventi, furono posti all'esame dell’Inquisizione Spagnola, che sottopose la suora agli interrogatori e concluse che i fatti straordinari erano veri. Ben 34 anni dopo la morte di suor Maria, furono sco-perte tribù che professavano un cristianesimo senza sacerdoti, perché non ne avevano mai trovato uno, ma raccontavano di una misteriosa signora con abi-to lungo azzurro, che dopo essere stata bersagliata con le frecce, illesa li tran-quillizzava e parlava loro.

Essa inoltre descrisse nella grande opera: Mistica Città di Dio alcune visioni riguar-danti la vita della Beata Vergine Maria e la Passione di Gesù, attribuendo gli aspetti più cruenti e inediti ad Ausiliari Egiziani, e la sua discesa agli inferi.

Le bilocazioni di Padre Pio Questo nostro santo contemporaneo, conosciuto da alcuni ancora viventi, pare che facesse un uso corrente della bilocazione per prestare la sua assistenza apparendo in due luoghi contemporaneamente anche distanti centinaia di chilometri. Ecco al-cune delle tantissime testimonianze sulla sua bilocazione.

Una signora, moglie di un armatore ligure, era ospite della figlia a Bologna. Soffe-rente per un tumore maligno a un braccio, mentre era in attesa di essere operata, suo genero inviò un tele-gramma a Padre Pio chiedendo pre-ghiere per la suocera. Quando il telegramma giunse nelle mani di Padre Pio, lei lo vide entrare nella sua stanza per invitarla ad aver fiducia nella Madonna. Le fece un segno di croce nel braccio, e uscì. Il giorno successivo il chirurgo visi-tò la signora ma non trovò traccia del tumore.

Una famiglia americana venne da Fila-delfia a San Giovanni Rotondo, nel 1946, per ringraziare Pare Pio per avere salvato il figlio pilota nel cielo nell'O- Padre Pio

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ceano Pacifico dopo che era stato colpito dai caccia giapponesi. L'aereo era precipitato ed esplose prima che l'equipaggio potesse gettarsi col pa-racadute e soltanto lui riuscì a uscire in tempo dall'aereo ma il suo paracadute non si aprì. Mentre stava precipitando gli comparve un frate che lo prese fra le braccia e lo depose davanti alla sua base. Riconobbe il frate quando inviato in li-cenza a casa si vide mostrare dalla madre la fotografia di Padre Pio alla cui prote-zione lo aveva affidato.

Il Generale Cadorna, dopo la sconfitta di Caporetto cadde in un tale stato di de-pressione da decidere di volerla fare finita. Una sera si ritirò nel suo appartamen-to e diede ordine di non far passare nessuno. Entrato nella sua camera, estrasse una pistola e mentre se la stava puntando alla tempia udì una voce che gli disse: "Suvvia, Generale, non vorrete mica compiere questa sciocchezza?" e scorse un frate. Anni dopo, il generale si recò a San Giovanni Rotondo e con stupore rico-nobbe in quel frate il cappuccino di quella sera. "L'abbiamo scampata bella quella sera, eh generale? gli sussurro Padre Pio.

Un ex ufficiale dell'esercito, racconta che un giorno, sul campo di battaglia, poco distante da lui vide un frate, pallido e dagli occhi espressivi, che gli disse: Signor Capitano, si allontani da quel posto e mentre si allontanava, sul posto dove si tro-vava prima, scoppiò una granata che aprì una voragine.

Padre Pio in bilocazione celebrò una Messa nella Cappella di un monastero di suore in Cecoslovacchia, nel 1951. Dopo la celebrazione della Messa le suore an-darono in sacrestia per offrire al Padre una tazzina di caffè e ringraziarlo per la Messa e l'inaspettata visita, ma nella sacrestia non c'era nessuno.

Il beato don Orione ha dichiarato che nella basilica di San Pietro, alla beatifica-zione di Santa Teresa del Bambin Gesù, c'era anche Padre Pio. Lo vide venire verso di lui sorridendo ma quando giunse a due passi di distanza, scomparve.

Madre Speranza, fondatrice delle Ancelle dell'Amore Misericordioso, raccontò di aver visto Padre Pio, per un anno intero, tutti i giorni a Roma. Eppure è noto che il Padre non è mai stato a Roma, se non una volta per accompagnare la sorella che aveva deciso di entrare in monastero di clausura nel 1917.

Padre Pio, servì la Messa al primate d'Ungheria, in carcere a Budapest, nel 1956. Qualcuno, venuto a conoscenza dell'episodio gli chiese:

Padre Pio, voi gli avete servito la Messa e gli avete parlato, ma allora, se siete stato in carcere, l'avete veduto. Certo, se gli ho parlato l'avrò anche veduto... rispose Padre Pio.

Il vescovo che nel 1910, aveva ordinato sacerdote Padre Pio, fu preparato alla morte da Padre Pio che gli era andato a fargli visita.

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9 Le processioni popolari

Questo libro, che tenta di spiegare come la fede cristiana possa coinvolgere anche il cuore dei suoi fedeli, ha passato in rassegna tutto ciò che proviene sia direttamente dal Vangelo sia dalle liturgie comunitarie, è però iniziato con un’esperienza che nien-te a vedere con la liturgia ma appartiene invece alle manifestazioni popolari che non hanno alcuna liturgia propria, tuttavia possono portare a esperienze emozionanti e significative che possono contribuire ad alimentare la dimensione spirituale.

Naturalmente è evidente che una processione è cosa ben diversa da un Messa o da una celebrazione di un sacramento, poiché in essa, protagonista è il sentimento di

religiosità popolare che cerca modi pubblici, festosi o drammatici per manifestare la propria fede e può anche non trovare l’approvazione di altri fedeli per la stratifica-zione che può avvenire per la continua aggiunta di gesti folcloristici discutibili, che poco hanno a che fare con la spiritualità e il racconto evangelico, ma servono a esal-tare la propria identità piuttosto che propria la fede.

9.1 Le processioni locali e della Settimana Santa Numerose sono le processioni, benedizioni, consacrazioni, esorcismi, venerazione delle reliquie, visite ai santuari, pellegrinaggi, danze religiose, manifestazioni a carat-tere locale spesso legate ai patroni o ad altre ricorrenze, ognuna con una propria fi-

Fiaccolata a Lourdes

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sionomia legata alla tradizione. Quelle della Settimana Santa che comprendono vie Crucis, le processioni dell’Addolorata, della Passione e della Resurrezione, di norma iniziano con la Domenica delle Palme e terminano entro la prima domenica dopo Pasqua, danno un contributo alla fede molto variabile e dipendente dal contesto in cui sono svolte.

La settimana prima della Pasqua, era già oggetto di venerazione nel III secolo, come attesta san Dionigi. Nel secolo successivo fu chiamata la Grande Settimana, poi Set-timana Penosa, e poi Settimana d’indulgenza, perché dedicata alla penitenza dei peccatori. Solo alla fine nel IV secolo fu chiamata Settimana Santa.

In questa settimana, una volta aumentava la severità del digiuno quaresimale, che anticamente spingeva alcuni oltre i limiti delle forze umane, perché durava dal lune-dì mattina fino al canto del gallo del giorno di Pasqua, mentre la maggioranza si limi-tava a non prendere niente per qualche giorno consecutivo, ma soprattutto dal Gio-vedì Santo fino al mattino di Pasqua.

Frequenti erano anche le veglie in chiesa durante la notte, come quella del Giovedì Santo e quella tra il venerdì e il sabato, ma la più lunga era quella del sabato, che du-rava fino al mattino di Pasqua.

Durante la Settimana Santa, era richiesta ai fedeli la sospensione da ogni lavoro, af-

Processione della Settimana Santa - Las Palmas - Spagna

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fare e processo giudiziario, già nel IV secolo quando la cultura era ancora mezzo pa-gana. Poi sotto Carlo Magno, i vescovi ebbero il diritto di chiedere anche la libera-zione dei prigionieri e degli schiavi, allora non obbligatoria e di competenza dei sin-goli applicare.

Frequente poi era la pratica in questi giorni di fare abbondanti elemosine e opere di misericordia.

Le processioni hanno origine da quelle che si svolgevano fin dall’antichità in tutti i paesi e religioni. Gli ebrei già realizzavano processioni per Pasqua, Pentecoste e la Festa dei Tabernacoli, mentre i primi cristiani le usavano per portare i corpi dei mar-tiri al sepolcro.

È certo che le processioni della Settimana Santa, come si realizzano ancor oggi in Spagna, abbiano preso qualche elemento dalle celebrazioni dei trionfi romani.

Tra quelle della Passione, un posto particolare ha quella dell’Entierro, ossia della Deposizione del Corpo di Cristo nel Sepolcro, come quella del Venerdì Santo che mi fece inaspatamene emozionare, malgrado la presenza di molti elementi folcloristici.

9.2 L’Entierro nella storia Questa processione ha origini relativamente recenti e radici profonde, poiché fu ri-chiesta alla confraternita della Vergine Addolorata, da Juana regina di Spagna solo nel 1506 quando improvvisamente morì prematuramente il suo amato marito Felipe I, che s’ispirò alle celebrazioni dell’Addolorata che già si facevano.

Da allora fu ripetuta nei funerali degli imperatori e divenne presto anche un modello ideale ed efficace per molte processioni penitenziali della Settimana Santa soprat-tutto nelle terre sotto il dominio spagnolo, spesso in alternativa alle Vie Crucis e alle processioni dei Dolori della Vergine.

Essa ha un debole collegamento col racconto evangelico dato che quello più lungo di Giovanni parla di un trasporto veloce e quasi segreto:

Dopo questi fatti, Giuseppe d'Arimatèa, che era discepolo di Gesù, ma di na-scosto per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo, quello che in precedenza era andato da lui di notte, e portò una mistura di mir-ra e di aloe di circa cento libbre. Essi presero allora il corpo di Gesù, e lo avvol-sero in bende insieme con oli aromatici, com'è usanza seppellire per i Giudei. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora deposto. Là dunque depo-sero Gesù, a motivo della Preparazione dei Giudei, poiché quel sepolcro era vi-cino. (Gv.19,38-42)

Secondo la mia esperienza questa è attualmente tra le processioni più suggestive della religiosità popolare cristiana, perché può celebrare degnamente la sepoltura di Gesù Cristo in modo essenziale e realistico, ossia solo col trasporto di una sua statua

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con gli evidenti segni delle torture subite, cui può partecipare tutta la comunità sen-za lasciare spazio alla fantasia, per esaltare la sua alta drammaticità e diventare un autentica esperienza di fede.

Spesso questa processione è accompagnata dalla presenza della Vergine Addolorata, e da altre figure, ma queste non sono mai essenziali e non devono comunque di-strarre dalla contemplazione delle ferite del Cristo.

Le confraternite e la legittimazione della storia I gestori principali di queste processioni sono le confraternite in buona parte colle-gate alla venerazione dei Dolori della Vergine, che furono istituite alla fine dell’XI

secolo, con le celebrazioni dei suoi cinque gaudi e cinque dolori, indicati in modo simile ma non uguale da tutte le confraternite, cui nel 1221 fu dedicato a Schönau il primo altare col titolo di Mater Dolorosa.

Questo culto non è lo specchio di una religione triste, come mostra il fatto che ac-canto ai cinque dolori sono anche evidenziati i cinque gaudi, ma quello di un perio-do sventurato in cui guerre, epidemie e grande povertà lasciavano poco tempo alla gioia e richiesero l’istituzione di fratellanze dedite al mutuo soccorso, che nei periodi di pace si occupavano di organizzare gran parte delle feste religiose.

Questa venerazione fa parte di un lungo percorso iniziato nel 93 con i ”Fratelli della

Entierro a Germignaga

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Beata Vergine Maria del Monte Carmelo”, che le costruirono la prima cappella a lei dedicata, nei pressi della fontana del profeta Elia, dove già vivevano alcuni eremiti ebrei in attesa del suo ritorno.

La sua venerazione ha sempre fatto riferimento a Maria, col titolo di Madre di Gesù, come mostrano le più antiche immagini dove è spesso rappresentata con in braccio Gesù bambino. Poi seguirono altre testimonianze di questa venerazione con:

Il papiro egizio del 250 che contiene un’antica antifona;

la Grotta del Latte che la tradizione collega alla fuga in Egitto e dove la Madonna avrebbe perso alcune gocce di latte dal suo seno, dove Cristiani e musulmani usano raschiare le pietre nella grotta edifica nel 385 per mettere la polvere così ottenuta nell’acqua per aumentare il latte materno;

l’icona egiziana della Madonna del Latte del VI secolo, variante dell'iconografia della Madonna col Bambino presente anche nelle catacombe del II e III secolo;

il graffito lasciato da un antico pellegrino prima del concilio di Efeso del 431, che la proclamò Vergine e Madre di Dio (Theo-tokos) unitamente a Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo.

Poi Carlo Magno (742-814) fondò numerosi santuari mariani, che portarono un grande sviluppo del suo culto, e nutrì una profonda venerazione verso di Lei tanto che volle essere sepolto con una sua statuetta sul petto.

Fu in questo periodo che si diffusero soprattutto le immagini delle Vergini severe in trono che poi nel corso del ‘300 portarono alla realizzazione nell'Europa centrale delle piccole sculture con la Madonna che sostiene il corpo di Gesù, denominate Ve-sperbild, ossia immagini del tramonto o del vespero, che hanno ispirato tutte le Pie-tà.

Il culto della Beata Vergine Addolorata La diffusione dell’Entierro tratta dalla venerazione dell’Addolorata, divenne subito popolare, ebbe un grande numero di varianti, liturgie, preghiere, immagini, confra-ternite, processioni, titoli, soprattutto da quando Jacopone da Todi ha scritto nel XIII secolo lo Stabat Mater e altre laudi, una meditazione sulle sofferenze della Madre di Gesù durante la Passione del Figlio.

Prova ne sia la grande varietà di date in cui è stata celebrata, che va dal venerdì do-po la domenica di Pasqua, al primo sabato dopo l'ottava di Pasqua, al venerdì dopo la seconda domenica di Pasqua, al venerdì dopo la terza domenica di Pasqua, al lu-nedì, venerdì, sabato dopo la domenica di Passione, o al venerdì di Passione.

L’uso del titolo di Addolorata le deriva dai serviti che il 15 agosto 1233, dopo l’apparizione a sette fiorentini della compagnia dei Laudesi, istituirono la compagnia di Maria Addolorata, e si ritirarono sul Montesanario nei pressi di Firenze.

Con i Francescani, poi diffusero la sua venerazione in tutta Europa e in tutto il mon-do, con le immagini e le statue, denominate di Nostra Signora dei Dolori o Addolo-

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rata o Solidad, che erano portate in processione nella Settimana Santa.

Nel 1236 i cinque gaudi e dolori erano diventati sette, di norma rappresentati con sette spade nel cuore della Vergine a lutto vestita.

Nel 1304 fu approvata la regola dei Servi di Maria allora presenti in Italia e in Ger-mania, dove nel XIII-XIV secolo la celebrazione dei dolori di Maria è messa al Sabato Santo.

Nel XV secolo, per iniziativa di un giovane francescano, fu istituito il Rosario France-scano che celebra le sette allegrezze di Maria, ufficialmente approvato nel 1422, quando si ebbero le prime celebrazioni nelle liturgiche pasquali.

Nel 1414 il vescovo di Colonia aggiunse a questa liturgia la processione, nel 1423 il sinodo provinciale di Colonia stabilì che la festa fosse celebrata nel tempo pasquale come Della commemorazione dell’angoscia e dei dolori della Beata Vergine Maria, al terzo venerdì dopo Pasqua con una li-turgia ispirata a quelle del XIV secolo dell’Europa centrale incentrate sulla sce-na del calvario e precisamente sulla «rac-comandazione» della Madre fatta da Ge-sù in croce a Giovanni, detta anche della Compassione di Maria ai piedi della cro-ce.

Nel 1446 furono fissate le modalità della recita della Corona dei Sette Dolori.

Poi nel 1482 Sisto IV inserì la liturgia dell’Addolorata nel messale romano con il titolo di «Nostra Signora della Pietà», con messa incentrata su Maria ai piedi della croce.

In Italia nel 1546, in una via di Roma, un dipinto con l’immagine della Madonna versò lacrime e il culto di Maria del Pianto si diffuse nelle Marche a cominciare da Fermo, mentre nel 1565 in Lombardia ci fu un particolare sviluppo della devozione alla Madonna Addolorata nel sud Verbano per opera di san Carlo Borromeo.

Nel 1590 a Palermo fu fondata la Confraternita di Nostra Signora de la Soledad di evidente influenza spagnola, nel 1598 a Bologna fu fondata dai Serviti la prima Con-fraternita dell’Addolorata, con insegna un piccolo scapolare nero.

Nel 1714 la Sacra Congregazione approvò una celebrazione dei Sette Dolori di Maria, il venerdì precedente la Domenica delle Palme.

Solo nel 1600, si cominciò, per iniziativa dei serviti, la venerazione all’Addolorata come festa autonoma non più collegata alla Settimana Santa ma alla terza domenica

Addolorata di Madrid

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di settembre, che poi nel 1913 Pio X fissò definitivamente al 15 settembre, subito dopo la celebrazione dell’Esaltazione della Croce del 14 settembre, ma non più col nome dei Sette Dolori, ma con quello di: Beata Vergine Maria Addolorata.

Questa festa liturgica così ridimensionata, si affermò però solo come memoria litur-gica senza alcuna manifestazione particolare, salvo nelle parrocchie che l’hanno co-me patrona, e questo rischia di farle assumere un aspetto di semplice devozione pri-vata quasi frutto di pio sentimentalismo, dando così grande spazio alle confraternite cui è lasciata la libertà di celebrarla durante la Settimana Santa con la possibilità di arricchirla, ognuna con modalità proprie, quasi in concorrenza l’una con l’altra, per renderla più emozionate e più partecipata ma senza una propria liturgia, con pro-cessioni accompagnate da marce funebri, immagini e figuranti che comunque pos-sono rendere tutto molto emozionante e spettacolare.

La banalizzazione dell’Entierro L’importanza di questa processione durante la Settima Santa e le possibili implica-zioni pastorali, sociali e folcloristiche, spesso però corrono il pericolo di banalizzare questa processione inquinandola con manifestazioni che niente hanno a vedere con la fede.

Alcune di queste processioni puntano sugli aspetti spettacolari, aumentando a di-smisura figuranti, costumi, immagini, bande e rappresentazioni diverse che non permettono di provare emozioni e possono al più essere ritenute di contorno e di ri-chiamo di attenzione per la Settimana Santa, salvo quelle iniziative di carità che spesso fanno parte della preparazione della festa.

Queste considerazioni permettono quindi di non mettere tutte queste processioni sullo stesso piano, e fanno escludere quelle che arrivano a manifestazioni crudeli e sanguinarie ed eccessive come quelli dei battenti che si battono sino a sanguinare o dei crocefissi delle Filippine.

Qui in alcune località, i maschi si mettono una corona di spine sul capo e col petto nudo vanno per le strade flagellandosi fino ad avere il corpo tutto insanguinato per poi tuffarsi nel mare per disinfettarsi, mentre le donne si vestono di nero col capo coperto per rendersi irriconoscibili e camminano scalze sotto il sole cocente per tut-ta la giornata.

Per non parlare poi di San Pedro Cutud, dove durante la Settimana Santa, uomini e donne creano un festival dell’orrore, con gente di ogni tipo ed età, che s’incolonna su una strada sterrata e percorre chilometri seminuda, scalza e con una corona di spine sul capo.

Qui la rivisitazione delle ultime ore della passione di Cristo e della sua morte è rico-struita nei dettagli più macabri con un personaggio che inizia il suo cammino con il bacio di Giuda e poi, dopo la condanna di Ponzio Pilato, trascina la croce fino al colle tra insulti e fustigazioni inferti dal pubblico.

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Il rituale ha messo solide radici nella cultura popolare della zona, anche se è stato sconfessato più di una volta dalla chiesa filippina, perché macabra e insensata, ma continua perché facilita l’afflusso di turisti in zone molto povere.

La diffusione dell’Entierro durante la Settima Santa La sua vasta diffusione, prima come processione dell’Addolorata e poi come Entierro inizia in Sicilia nel 1261 con le confraternite di migliaia di confratelli incappucciati che trasportano il Venerdì Santo le pedane (fercoli, vare) del Cristo deposto e della Vergine Addolorata, la diffusione delle quali si è incrementata con la dominazione spagnola che governò l'Isola fino al 1700.

Le processioni possono essere anche più di una contemporaneamente o in tempi successivi con pedane di diverse scene sia della Bibbia, sia della Passione, frutto di lunghi mesi di scrupolosa preparazione che coinvolgono tutta la popolazione, giova-ni, donne e uomini e provocano anche grandi gesti di solidarietà.

Celebrazioni intense e parteci-patissime per tutta la Settima-na Santa si svolgono a Calta-nissetta, dove sfilano proces-sioni incredibili per maestosità e magnificenza; a Marsala (Tp), il Giovedì Santo si svolge la solenne processione del Cri-sto Morto, con quadri sceno-grafici seicenteschi; a Piana degli Albanesi (Pa), San Fratel-lo (Me), Enna; a Petralia Sot-tana (Pa).

Numerose processioni simili ancor oggi si ritrovano nelle Puglie, dove spiccano quelle del Giovedì e Venerdì San-to di Taranto con tre processioni, la prima detta dei Perdùne, come erano chiamati i pellegrini che andavano a Roma per il Giubileo, che sfilano a piedi nudi dal pomerig-gio del Giovedì fino a notte fonda, poi quella dell’Addolorata, aperta dal suono delle troccolanti, tavolette di legno con denti di ferro, che percorreva quattro chilometri in più di dieci ore e infine quella del Venerdì detta dei Misteri, con 14 gruppi statuari e il simulacro del Cristo morto che sfilano per 40 ore fino all’alba del Sabato Santo.

Poi, in un panorama vastissimo, ricordiamo: la processione dei crociferi a Francavilla Fontana (Br) e Noicattaro (Ba); quella secolare dei Misteri il venerdì a Bisceglie; la processione delle fracchie di San Marco in Lamis (Fg); la processione della mattina del Sabato Santo a Mottola (Ta), e della Desolata a Canosa di Puglia (Bt), quest'ulti-ma seguita da centinaia di donne vestite di nero e volto coperto, che urlano l'inno della Desolata; le processioni ad Andria (Bt) e Gallipoli (Le); la Settimana Santa a

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Troia (Fg) e a san Nicandro Garganico.

In Basilicata a Barile, nel Potentino, al corteo con figuranti si aggiungono anche per-sonaggi pagani, come una zingara, che secondo la tradizione popolare fornì i chiodi per crocifiggere Gesù, e il Moro, caratterizzato da collane appariscenti.

Molto nota è anche la processione dei Misteri a Montescaglioso (Mt), aperta dai mamuni, incappucciati e coronati di spine, cui seguono le confraternite e le sei sta-tue dei misteri. La rappresentazione si snoda per cinque chilometri, capeggiata da tre centurioni a cavallo e da tre bambine vestite di bianco, che simboleggiano le tre Marie. Assieme alle scene più drammatiche, ci sono personaggi biblici.

In Calabria la Settimana Santa di Nocera Terinese (Cz) raggiunge il suo momento centrale durante il Sabato Santo con alcuni flagellanti o battenti che si battono a sangue le cosce e i polpacci. Ma fin dalla domenica delle Palme tutto il paese è coin-volto in una serie di rituali: dalla benedizione delle palme alla cerimonia del Cireneo, fino il mercoledì, quando è esposta la statua dell’Addolorata, per un anno tenuta nascosta in una nicchia velata (caccianu a Madonna) e solo il venerdì uscirà dalla chiesa per la processione serale che finisce a mezzanotte.

Processioni simili si svolgono a Verbicaro (Cs) il Giovedì Santo con la messa che pro-segue dopo mezzanotte, con il rito dei battenti vestiti di rosso che alla fine si lavano nella fontana del paese.

Ci sono poi anche i rituali dell'Affrontata, in cui l’Addolorata incontra il Risorto, a Ba-

Processione dei misteri - san Nicandro Garganico

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gnara Calabra (Rc), Vibo Valentia e Briatico (Vv), Caracolo a Caulonia (Rc), Laino Bor-go (Cs), San Demetrio Corone (Cs) e Pizzo (Vv).

In Campania a Calitri, in provincia di Avellino, la processione del Venerdì Santo è chiamata la processione dei Misteri con i membri dell’arciconfraternita dell’Immacolata Concezione, con capo incappucciato e coronato di spine, che porta-no a spalla una croce fino alla collina del Calvario. Pare che il rito risalga al periodo della prima crociata, quando un cavaliere portò un pezzo della Croce dalla Terrasan-ta. Da ricordare anche le processioni delle tavolate di Lapio (Av), del Cristo Morto a Procida (Na), dei Misteri a Sessa Aurunca (Ce) e quella del Cristo Morto a Sorrento (Na).

A Procida i giovani preparano i Misteri, costruiti, unendo: gesso, foglie, rami, mani-chini, cartapesta e legna, così da realizzare dei caratteristici carri con Gesù nell’orto degli ulivi, della Samaritana al pozzo, del tradimento di Giuda, fino all’Ultima Cena. I Misteri sono portati nella notte tra il Giovedì e il Venerdì Santo, sul punto di parten-za della sfilata (Terra Murata) che inizia alle prime luci dell’alba e si conclude a Ma-rina Grande.

Nel Molise la rappresentazione più sentita è quella di Isernia, dove il Venerdì Santo ha luogo una processione di penitenti incappucciati e con il capo cinto da corone di spine e da cento fedeli che trasportano pesanti croci e statue.

A Sulmona in Abruzzo, le processioni sono organizzate dalla Chiesa di S. Maria di Lo-reto e dall’Arciconfraternita della SS. Trinità, che indossa un vistoso saio rosso por-pora con pettorina bianca e cingolo rosso, simbolo di costrizione e umiltà. Il cuore della processione è costituito dal coro, che intona varie versioni del Miserere e di al-tri canti sacri.

A Chieti la processione del Cristo morto avviene il Venerdì Santo e risale all’842, ed è considerata la più antica d’Italia (il record è conteso da Orte) e vi partecipano centi-naia di figuranti di 13 congregazioni. Seicentesca è la confraternita del Sacro Monte dei Monti, che organizza l’evento; settecentesca la tradizione dei 150 cantori e al-trettanti suonatori che accompagnano la processione degli incappucciati; ottocente-schi i gruppi scultorei della Passione, i cui portatori si tramandano l’incarico di gene-razione in generazione. Famose sono anche le celebrazioni della L'Aquila.

Nelle Marche a Urbania, in occasione della Pasqua e della processione, per le vie del centro è possibile ammirare quadri viventi. La processione si svolge portando in cor-teo una statua lignea risalente al 1300, accompagnata da preghiere e note della banda cittadina.

La tradizione di Cantiano (Pu) prevede che la folla (cui si unisce la Turba, una molti-tudine di figuranti in costumi ebraici e romani) si sposti da un luogo all’altro del pae-se per assistere alle scene salienti della Passione: l’Ultima Cena, il processo, la flagel-lazione, l’ascesa al Calvario che si svolge di notte alla luce delle torce e si tiene sem-pre il Venerdì Santo. Importanti sono anche le celebrazioni di Piandimeleto (Pu) e

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Porto Recanati (Mc).

Nel Lazio, si tiene a Orte (Vt), una delle più antiche d’Italia se non la più antica pro-cessione del Venerdì Santo, con le confraternite che sfilano di sera recando croci e simboli della Passione, seguiti da penitenti scalzi che portano catene alle caviglie, dalle piangenti, le Marie nerovestite, e la statua dell'Addolorata. Al termine, i con-fratelli distribuiscono tantissimi fiori che sono conservati dai fedeli.

Oltre alla grande Via Crucis del Venerdì Santo di Roma, guidata dal Papa, ci sono le rappresentazioni di Sezze (Lt) e Tarquinia (Vt).

Quella di Sora è particolarmente commovente ed è tra le più sentite e belle di tutta Italia. La comunità vive l’evento in un’atmosfera particolare con tantissime candele accese lungo il percorso, compiuto in silenzio e preghiera, mentre la Banda accom-pagna il lento incedere del corteo con le struggenti note del canto sorano, dedicato all’Addolorata.

In Umbria sono almeno tre le celebrazioni da ricordare, quelle di Assisi, in cui si ce-lebra il rito della Deposizione del Crocefisso (scavigliazione) e il suo incontro con la Madonna Addolorata, attraverso processioni che coinvolgono la Cattedrale e la chiesa di San Francesco. Poi la processione del Cristo morto di Gubbio il Venerdì Santo, che si snoda nel centro storico tra canti e simulacri; e la Sacra rappresenta-zione di Città di Castello.

In Sardegna i riti della Settimana Santa a Sassari rappresentano una delle espressio-ni più significative dello spirito religioso che perpetua antichissime tradizioni. Le Confraternite si occupano dell’organizzazione delle processioni che si svolgono per le strade del centro storico al ritmo dei tamburi.

Il Venerdì Santo numerosi fedeli partecipano alla processione dell'Arciconfraternita dei Servi di Maria, che porta il simulacro della Madonna Addolorata, mentre a Igle-sias, si svolge una processione notturna tra Venerdì e Sabato Santo, fatta da un pomposo corteo funebre di derivazione spagnola e barocca, che pare quello di un re.

Ad Alghero (Ss) di grande suggestione è l'innalzamento del Cristo sulla croce che av-viene il Giovedì Santo, così come le processioni di Castelsardo (Ss), di Oliena (Nu) e di Aggius (Ot).

In Emilia Romagna c’è la Via Crucis vivente di Frassinoro (Mo), una manifestazione religiosa-popolare tra le più importanti della regione, in cui gli abitanti compongono quadri viventi che raffigurano i vari episodi della Passione di Cristo che risale ai tem-pi della Controriforma. Si tiene ogni tre anni.

In Toscana la processione pasquale di Radicofani è una delle più antiche e suggestive dell'intera Toscana, nota come buia, commemora la morte di Gesù con una proces-sione cui prendono parte 12 fratelli della congregazione di Sant'Agata in cappa rossa e 12 membri della confraternita di Misericordia in cappa bianca.

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Essa raggiunge il suo apice quando arriva alla chiesa di Sant'Agata, dove avviene l'a-dorazione del Calvario, costituito da un apparato di straordinario richiamo, costruito attorno allo splendido altare di Andrea Della Robbia, con una parete di bosso arric-chita da 750 luminarie allegoriche.

In Liguria la processione pasquale di Savona si svolge per le vie del centro cittadino negli anni pari ed è organizzata da sei Confraternite risalenti al tredicesimo Secolo.

Durante la processione sono portati a spalla 15 gruppi lignei policromi, che vanno dal cinquecento al novecento e rappresentano vari momenti della Passione e della Morte di Gesù, che accompagnano l'Arca della Reliquia della santa Croce di Gesù, sormontata dal baldacchino in un trionfo di oro e di argento. I punti di forza di que-sta Processione, oltre a carri, sono i gruppi musicali che eseguono melodie di Pas-sione e brani esclusivi per quest’occasione.

Processioni e tradizioni si svolgono anche a Genova, sia il Giovedì sia il Venerdì San-to; e nel piccolo borgo di Ceriana (Im), dove è allestito un sepolcro con antiche sta-tue lignee a grandezza naturale, e si suonano tipici corni di corteccia, dal suono lu-gubre e intenso.

Non sono molte le celebrazioni pasquali in Piemonte. Fanno eccezione quelle di Romagnano Sesia (No), dove il Giovedì e il Venerdì Santo, ma solo degli anni dispari, si mette in scena la Passione, con quadri viventi che camminano per il paese: è un grande spettacolo all'aperto.

A Vercelli, il Venerdì Santo è invece in programma la Processione delle macchine, na-ta nel 1833 con otto pesanti gruppi scolpiti trasportati a spalla.

In Lombardia l’Entierro era stato diffuso dalla Spagna, molto famoso era quello di Monza, che si ripeté annualmente fino alla soppressione di tutte le processioni, esclusa quella del Corpus Domini, voluta dall’imperatore Giuseppe II nel 1786. Ri-presa nel 1805, grazie alla richiesta di alcuni devoti, fu soppressa definitivamente dal card. Carlo Gaetano Gaisruck (1769–1846). Rimane comunque il preciso e minuzioso cerimoniale di Vertova, in provincia di Bergamo, dove nella processione del Venerdì Santo sfilano Giudei e soldati romani, mentre un fedele rappresenta Cristo, con saio rosso e scalzo, mentre una statua in legno di Cristo con le braccia snodabili, è porta-ta a spalla.

Processioni anche a Bormio (So) e a Mantova, dove il venerdì Santo c’è la cerimonia dell’apertura ed esposizione dei Sacri Vasi, contenenti la reliquia del Preziosissimo Sangue portati per le vie del centro storico.

A Germignaga nel paese sul Lago Maggiore dal 1686 è tenuta la processione serale del Venerdì Santo, una delle più essenziali e sentite, che fa preciso riferimento all’Entierro, è composta da figuranti e dalla Confraternita del SS. Sacramento che trasporta una pesante urna in metallo e vetro, in cui viene adagiato un simulacro li-gneo con braccia mobili di Cristo, che prima della funzione è deposto da una grande

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croce. Qui la Confraternita di santa Marta l’ha gestita e proseguita sino ai primi decenni dell’Ottocento, secondo le norme del sinodo di Milano del 1636, che prevedeva che la processione dovesse essere effettuata in reverente silenzio dopo il vespero, prima dell’Ave Maria.

Ci si doveva astenere dal portare armi, dall’esplodere colpi di arma da fuoco, non potevano essere allestite scene di rappresentazioni sacre con teatri di per-sonaggi della Passione, si escludeva il ricorso a figuranti viventi, e non poteva esser eseguita musica, in special modo con strumenti considerati profani.

Una processione simile era autorizzata anche a Gavirate a partire dal 1760 e proba-bilmente fu tenuta sino 1805 quando furono soppresse tutte le processioni.

9.3 Riscoprire lo spirito dell’Entierro per emozionarsi La grande varietà delle processioni del Venerdì Santo chiamate in vario modo, deri-vate da quelle dell’Addolorata e sono ispirate alla liturgia del giorno, hanno trovato con l’Entierro, il rito della sepoltura che ha ottenuto il più vasto consenso e popola-rità per la capacità di fortemente coinvolgere i fedeli quando non è affollato da segni che possono distrarre dalla sua vera essenza, che è quella della contemplazione del-la morte del corpo di Gesù prima della sua Resurrezione, per comprendere il male

Maria che scappa verso il Cristo Risorto – Pacentro (Aq)

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che gli abbiamo fatto e continuiamo a fargli, e per sollecitare la nostra conversione davanti a così grande orrore.

Per sperimentare questo spirito, è necessario però, che la processione coinvolga tut-ti i fedeli anche prima della processione, che comunque deve essere svolta in modo ordinato e silente con i fedeli che camminano in file singole al margine della strada e non come un gregge. Importante è che si odano solo armonie di bande o cori che inducano a un solenne dolore, come le marce funebri e i miserere, e non distolgano l’attenzione dall’unica figura essenziale, che è la tavola o bara che trasporta una sta-tua realista del Cristo deposto dalla croce, da portare al sepolcro.

Migliorano l’atmosfera, le luci portate a mano da fedeli silenziosi o disposte lungo il percorso, mentre l’eventuale introduzione di figuranti o statue non deve alterare quest’atmosfera di partecipazione, a favore dello spettacolo o di emozioni estranee.

Come si vede una processione di questo tipo è sempre auspicabile e realizzabile ovunque e con uno sforzo limitato per consentire ai fedeli di provare a partecipare direttamente alla Passione e provare le emozioni che provarono i discepoli di Gesù sulla via del Calvario.

Un altro risultato importante di questa processione, è la possibilità di riportare Gesù all’attenzione del grande pubblico con una testimonianza importante mediante una manifestazione essenziale che possa fare riflettere e sia priva di forme che possano essere considerate obsolete se non grottesche, in un contesto civile ricco di piccole e grandi manifestazioni, fatte solo per fare clamore e richiamare l’attenzione della stampa e della rete per le motivazioni più diverse e spesso in forme poco pacifiche e democra-tiche, solo per au-mentare la loro visibi-lità.

Deposizione di Cristo - Caravaggio

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10 Il mio percorso cristiano

Termina così il racconto della mia esperienza di fede che è quella di un comune fe-dele cresciuto nella fede cristiana cattolica, che con Cristo ha dato un senso e valori alla sua vita fortunata vissuta tra casa e lavoro.

Solo dopo il pensionamento ho sentito la necessità di approfondire la mia fede poi-ché il mio percorso mi aveva posto in evidenza la necessità di comprendere meglio la mia meta e di dare un nuovo senso al mio cammino di pensionato, soprattutto dopo il 2012 quando ho scoperto di avere una grave malattia cronica.

La fortuna è stata che ho scoperto nella ricerca storica e nello scrivere una nuova passione che mi ha spinto a pubblicare saggi anche per rispondere alle domande ul-time della vita e a riflettere sul camino che avevo già percorso.

La prima considerazione è stata quella di essere stato contento di avere avuto la for-tuna di aver percorso questo cammino in compagnia di Cristo, alla luce del suo inse-gnamento, per collaborare al grande progetto del Padre, che anche ora considero il più felice che potessi percorrere, e che mi ha portato dopo oltre 50 anni di vita con Luciana a essere circondato dall’affetto di figli e nipoti e non avere odi con nessuno.

La seconda considerazione che ho avvertito, è stata quella di voler approfondire sempre più la storia della Chiesa e di Gesù per raggiungere la pienezza della cono-scenza delle basi della mia fede.

Così ho iniziato a fare ricerche sui primi passi della chiesa primitiva, dei suoi discepoli e sulla vita della Chiesa nei secoli, soprattutto con le prime opere, dedicate all’individuazione della storia della venera-zione di Maria, che è lo specchio popolare della fe-de, alla biografia di san Paolo, che fornisce un qua-dro molto interessante sulla vita e sui riti dei primi cristiani, e allo sviluppo di temi controversi come quello delle origini dei sacramenti e del rapporto con la religione ebraica.

Poi mi sono occupato delle radici cristiane della cul-tura contemporanea.

Questo cammino, concentrato soprattutto sulla sto-ria, però mi aveva allontanato dal cuore del proble-ma che è la persona di Cristo Figlio di Dio, così in occasione dell’esposizione della Sindone mi sono occupato di questo straordinario reperto con un ap-profondimento della Passione che mi ha riservato non poche sorprese.

Come si fa a rimanere indifferenti davanti a questa

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immagine che nessuno è riuscito a falsificare, malgrado tutta la tecnologia di cui oggi si dispone, che rende visibile in modo impressionante il racconto evangelico?

Confronto Sindone e Vangeli (Sito ufficiale)

Sul telo sindonico è visibile un’immagine di uomo morto per crocifissione. L’immagine ha l’inversione di toni chiaro-scuri simili a quelli del negativo foto-grafico, si distingue la rigidità cadaverica e l’assenza di qualsiasi segno di pu-trefazione. Si notano inoltre sul corpo numerosissimi segni di ferite da flagella-zione, la presenza alle mani e ai piedi di buchi da ferita di chiodi, i segni di nu-merose punture sul cuoio capelluto, una grande ferita al fianco sinistro.

La Sindone trova un riscontro diretto nella testimonianza dei Vangeli circa l’esecuzione capitale di Gesù di Nazareth: crocifissione preceduta da flagella-zione, battiture sul volto, incoronazione di spine, uso dei chiodi per la crocifis-sione, una ferita inflitta con la lancia leggera da uno dei soldati, mentre non sono spezzate le gambe. Le stesse caratteristiche ha il liquido fuoruscito dalle ferite prima e dopo il decesso.

Mi sono poi dedicato a un’opera sulla contemplazione delle figure della Trinità e di Maria nel: La via della felicità; per approfondire e descrivere il mio rapporto con la divinità.

Poi ho confrontato la proposta cristiana con quella delle altre religioni, cercando di mantenermi su posizioni prive di preconcetti, giudizi e commenti non necessari alla loro libera interpretazione, per non condizionare chi li avesse letti.

Fu però la scrittura del libro sulla vita del Cristo: L’amico di Gesù, a farmi scoprire un modo nuovo di leggere il Vangelo, che mi fece sentire, come mai prima, così vicino alla persona di Gesù, tanto da invogliarmi a scrivere questo libro che tenta di ridefi-nire i punti fermi del mio cammino di fede dal punto di vista del cuore.

Come ho raccontato, quasi tutta la mia vita è stata dedicata a seguire, sia pure in modo molto imperfetto, il modello proposto da Gesù nei Vangeli senza avere parti-colari dubbi perché questo mi bastava, ma poi con la pensione e con la mia attività per gli Appunti di Viaggio, ho cominciato ad accorgermi della necessità di non stare chiuso nel mio mondo per tentare di cercare di dare la mia testimonianza e le rispo-ste alle domande degli altri costretti a percorsi più contorti perché hanno avuto più difficoltà nel dare un valore alla loro vita, magari a causa di sofferenze o semplice indifferenza.

E così per rispondere loro, sono stato costretto prima a riconsiderare la mia storia, e poi a ridisegnare il mio prossimo futuro concentrandomi solo sulla persona di Gesù Figlio di Dio, di cui sento sempre di più il fascino, alla ricerca di quelle emozioni che nessun ragionamento mi poteva dare.

Così ho cominciato a riorganizzare il mio tempo, anche per il quasi isolamento che m’impone la malattia che m’impedisce di partecipare a incontri affollati, come prima

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facevo, per evitare il più possibile i contagi.

Salvo i giorni di visite e terapie, ogni giorno mi alzo alle sette, recito mie preghiere frutto di lunghe riflessioni, faccio colazione e poi mi reco alla Messa quotidiana, se le gambe me lo consentono, altrimenti la seguo alla Tv.

Poi nel mio studio gestisco la posta, telefono agli amici, gestisco gli Appunti di Viag-gio e aggiorno il mio sito, mi dedico ai miei libri, faccio nuove ricerche, mentre Lu-ciana sbriga le faccende domestiche.

La mattinata termina col nostro unico pasto, che inizio con un ampio segno della croce, per poi fare una pausa, sotto il portico se c’è il sole o in sala, dedicato a legge-re il giornale, un libro o a riposare. Poi il resto del pomeriggio, lo passo a scrivere e correggere i miei libri sino a sera, salvo due brevi pause con Luciana per una meren-da e una tisana.

La sera insieme guadiamo la TV e poi quando andiamo a letto recitiamo insieme un Padre Nostro che chiude ogni nostro eventuale contrasto.

Come si vede sono giorni di apparente e sconcertante normalità, che possono appa-rire monotoni, ma chi mi conosce può comprendere quale sia la mia fede da ciò che racconto e dalla foga nei miei colloqui quando ne parlo.

Inoltre ho avuto momenti in cui ho avuto nei miei rapporti con Dio, sensazioni straordinarie, non tanto nella sua misteriosa dimensione trinitaria, ma nelle sue ma-nifestazioni delle singole persone. Una notte mi sono trovato in cima ad alte monta-gne col cielo senza una nuvola in una zona completamente priva dei riflessi della ci-viltà, e mi sono stupito e incantato nel vedere il cielo fittamente coperto di stelle non avevo mai visto prima facendomi intuire la bellezza e grandezza della Creazione del Padre, tanto da far fatica a staccarmi da quella vista e comprendere quelli che esclamano: Dio sei grande.

In altre occasioni mi sono sentito invece un trombone dello Spirito Santo quando mi ho avuto un impulso inaspettato a prendere la parola in pubblico senza aver né pre-parato né riflettuto alcun discorso, o mi ha inaspettatamente suggerito, specie du-rante le messe feriali, su cosa scrivere.

Invece la vicinanza a Gesù, l’avverto sia durante alcuni momenti delle celebrazioni liturgiche, specie quelle della Settimana Santa, sia dopo la comunione, sia in mo-menti di dubbio quando cerco di ispirarmi a lui, sia nella lettura di alcuni brani del Vangelo.

nel mio studio poi cerco di sviluppare quanto mi è stato ispirato con ricerche su più fonti per verificare ed esprimere in modo efficace e corretto le mie certezze, che na-scono con un fitto lavoro di ricerca che spesso svolgo nel silenzio più assoluto senza alcuna distrazione, musica o tv, tanto è alta la mia concentrazione da non accorger-mi nemmeno quanto passi velocemente il mio tempo anche per comporre una sola pagina.

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Ogni tanto mi sento anche costretto a ripensare qualche brutto episodio della mia vita che mi ha lasciato qualche senso di colpa, per riflettere su come avrei potuto cambiarlo ispirandomi al Vangelo, per potere poi chiedere il perdono con qualche breve preghiera e con nuovi propositi. Però la domanda che oggi più mi si presenta è: quali pensieri e atteggiamenti assumerò alla conclusione della mia vita sino a quando sarò cosciente?

Io oggi penso che di Gesù mi possa fidare e pertanto mi aspetto che avvenga quan-to Lui mi ha promesso:

Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo. (GV.10,9)

Chi mangia questo pane vivrà in eterno. (Gv.6,58).

e conto sulle preghiere di Maria, dei miei cari e sulla misericordia di Dio Padre, cer-to che mi concederà il perdono per quello che ho fatto, pensato od omesso nella mia vita poiché gli sono sempre stato fedele.

Per essere pronto a esprimere col cuore questa domanda cerco di allenarmi ad affi-darmi a Gesù nelle tante situazioni di dubbio o difficoltà che incontro ma soprattutto nello scoprilo nelle persone che incontro.

Io spero che tutti quelli con cui ho dei rapporti e con cui apertamente parlo della mia malattia, comprendano come la fede mi aiuti ad accettarla e mi consenta di vi-vere sereno senza farmi troppo condizionare dai problemi che inevitabilmente sor-gono. Poi spesso sorge spontaneo anche il parlare del cammino che mi resta nella speranza di poter aiutare coloro che, trovandosi nella mia situazione, hanno perso la serenità e rischiano la depressione.

Quando poi scrivo, tengo conto che: verba volant, e scripta manent, per cui nello stendere i miei commenti e scrivere i miei libri, sono cosciente della necessità di leg-gere e rileggere quanto scrivo soprattutto per me stesso, per non essere banale, su-perficiale, prevenuto, ma essere sincero e credibile.

Inoltre mi sforzo di sviluppare i miei rapporti personali con pensieri di solidarietà, condivisione e ascolto degli altri, con risposte che corrispondano a quanto Gesù mi ha insegnato senza tirarlo in ballo in modo improprio o bigotto.

Un altro modo che ho scelto, è quello di esprimere la verità del Vangelo trattando con coraggio e senza timori, temi che paiono poterla metterle in discussione:

Non c'è nulla infatti di nascosto che non debba essere manifestato e nulla di segreto che non debba essere messo in luce. (Mt.10,26)

Infine un argomento importante per me, ma per altri potrebbe non esserlo, è quello della visione mistica che ho avuto due volte in sogno, l’una pochi giorni dopo all’altra, oltre 10 anni fa, prima che la mia giovane cognata morisse, e che allora mi parve potesse essere un messaggio da consegnarle.

In questa visione io mi vedevo lentamente veleggiare per qualche tempo sopra la mia salma distesa tranquilla su un letto, cui piedi c’erano tutti i miei cari che mi os-

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servavano silenziosi e tristi sino a quando improvvisamente mi sentivo come aspira-to velocemente verso l’alto da una figura fatta di bianchissima e splendente luce e mentre salivo, senza poter distinguere alcun particolare, esclamavo: Gesù! Gesù! E mi svegliavo.

Poi provavo una strana dolcezza che mi ha spinto più volte a desiderare di completa-

re la mia vita come in questa mia visione mistica, perché comprende un contatto, anche se imperfetto, con la divinità, che spesso vorrei anche affrettare se non ci fos-se lo strazio dei miei cari che devo abbandonare. Da allora ho una visione serena della morte che me la rende quasi desiderabile.

Cosa posso allora trarre da questa mia esperienza che possa essere utile anche ad altri? È difficile dare suggerimenti validi per ognuno ma al più posso suggerire di cercare di comprendere il cammino che ho fatto per vedere, se qualcosa di quello che ho fatto, scritto e mi ha entusiasmato, possa adattarsi anche a loro, e provare anche a speri-mentarlo senza farsi prendere da facile scoraggiamento o soffocare dai dubbi.

Una prima sperimentazione è quella di mettersi in contemplazione del Cristo depo-sto, riflettendo sulla sua fine che lui aveva più volte anticipato per domandarsi per quale motivo i Vangeli non dovrebbero raccontare una storia vera visto che il prota-gonista non solo non ha fatto nulla per evitare questa sua fine ma abbia persino ac-cettato di farsi così massacrare.

Comunque un consiglio lo posso dare a tutti: Se dubiti che Dio esista … allora è meglio che tu creda in Dio, ti posso assicura-re per la mia esperienza che ne vale proprio la pena!

Cristo deposto – Gavirate (Va)

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11 Bibliografia

Wikipedia

Cathophedia

Treccani

Omelie di papa Francesco e Giovanni Paolo II

Allarme suicidio tra gli adolescenti. Alessandro Malpelo

Confraternite e riti della settimana della settimana santa a Bisceglie, Palmiotti

Conversione. Una storia personale, Vittorio Messori

Dal profondo, Annamaria Panzera

Dizionario di teologia fondamentale, René Latourelle

Doni e fenomeni mistici straordinari, Dio salva

È incedibile, Luciano Folpini

Gesù di Nazaret, Joseph Ratzinger

Gli ebrei messianici, Agostino Masdea

Il culto dell’Addolorata, nella città di Bisceglie, Gianluca Veneziana

I sentimenti vanno coltivati, Zygmunt Bauman

La comunità cristiana dalle origini, Franco Savelli

La confessione un sacramento da riscoprire, Rodolfo Reviglio

La forza della debolezza, Carlo Maria Martini

L’amico di Gesù, Luciano Folpini

La mistica cristiana, Dora Castenetto

La ricerca della verità, Gianfranco Ravasi

La ricerca della verità, Nicolas Malebranche

La ricerca della verità deve essere il fine ultimo di ogni scienza, Augustin Cauchy

La via della felicità, Luciano Folpini

Le chiese contemporanee sono il più grande invito all’ateismo, Bruno Giurato

L'esistenza storica di Gesù, detto il Cristo, Giovanni De Sio Cesari

Le storie dei nostri bambini, Il ponte del sorriso

Perché gli ebrei non credono in Gesù? Sguardo a Sion

Perché io credo in colui che ha fatto il mondo, Antonino Zichichi

Sono uno scienziato serio, che crede seriamente in Dio, William Daniel Phillips

Storicità dei Vangeli canonici e contributo degli apocrifi, Mirko Testa

Una lunga storia di fede, Luciano Folpini

Una nuova religione sorprende l'occidente antico, Massimo Ciceri

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12 Informazioni

12.1 Notizie sull’autore Luciano Folpini è nato a Milano nel 1939, dove ha sempre vissuto, salvo una breve parentesi a Bergamo, e dove per lunghi anni ha svolto il ruo-lo di dirigente.

Dal 2000 risiede a Gavirate in provin-cia di Varese e cura un sito personale in cui pubblica notizie e commenti su questioni di attualità.

Ha pubblicato per conto del centro culturale virtuale Kairòs da lui fonda-to, numerosi articoli, alcuni libri illu-strati della collana: Le radici, una se-rie di saggi divulgativi gratuiti in for-mato elettronico basati su ricerche storiche riguardo i grandi temi della storia, della vita e della fede, oltre alle versioni e-book di alcuni libri sulla storia locale di difficile reperibilità.

12.2 Libri pubblicati Maria nella grande storia. La Vergine Maria raccontata dai testimoni

Storia di una lunga fede. La Vergine Maria e la Passione

Angeli e religioni. Una ricerca del loro culto dalle origini ai nostri giorni

Pene e indulgenze. Una ricerca sulle reciproche influenze

Dalla Pesach alla messa. Una ricerca sulle origini e il significato della messa.

Paolo, il cavaliere disarmato. La vita di san Paolo.

La nostre storie. Un viso una storia

La via della felicità, Dramma in quattro atti

Diario paesano di un povero cristiano, Pensieri, riflessioni e ricerche sui fatti del-la vita

Gavirate, alla ricerca dell’anima

Storie semplici, Interviste a persone che vivono o lavorano a Gavirate

Dialoghi sulla Sindone. Fa fede e la scienza alla ricerca della verità

La trilogia o Le profonde radici dell’Europa moderna. Dalla preistoria alla fine del me-

dioevo. o Storia e scienza alla luce dell'Apocalisse. Lettera ai giovani sul senso della

storia. o L'amore e le sue origini. Eros, matrimonio, famiglia e figli.99

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L’amico di Gesù, una biografia raccontata dai testimoni

Insubria, storie e miti, ricerca sulle origini del mito

Il caffè della speranza, un dramma con un finale inaspettato

Borgo Amico 4.0, una ricerca sulla solidarietà

Gli italiani, questi sconosciuti

È incredibile 1 – La spiritualità

È incredibile 2 – La proposta cristiana

È incredibile 3 – Le proposte alternative

È incredibile 4 – Le chiese scismatiche

Il mistero delle torri, l’era del posto umano e la fine del mondo

Uomini in fuga, storie di spiritualità e conversione

Il divertimento e la nuova gioventù, i giovani si raccontano

12.3 Libri storici Ricordi di un prigioniero di guerra, Luigi Del Torchio

Varese, Garibaldi e Urban nel 1859, Giuseppe Della Valle -1863

Notarelle varesine, Federico Della Chiesa - 1906

Comerio. Un poggio a nord del lago, Paolo Crosta -1986

Le più antiche strade del territorio varesino, Giulio Moroni -1938

La storia di Bogno, Claudio Binda

La chiesa di Comerio ai tempi di san Carlo, Adolfo Passoni - 1984

Gavirate. Incontri di civiltà, Paolo Crosta - 1984

Cenni di storia della Chiesa di Gavirate, Inos Biffi - 1973

Note storiche sulla Parrocchia di Gavirate dal 1500 al 1574, Adolfo Passoni - 1982

San Carlo Borromeo a Gavirate: 1574-1581, Adolfo Passoni - 1983

L'Epoca del cardinale Federico Borromeo a Gavirate: 1589-1636, Adolfo Passoni - 1984

L'Addolorata di Gavirate, Del Torchio Luigi - 1996

Storia della chiesa di Oltrona al Lago, Angela Baila e Roberta Tongini Folli - 2007

Storia dei santi Vitale e Agricola, Luciano Folpini - 2014

Storia della comunità pastorale, Luciano Folpini – 2017

Antonio Rosmini nella conca dei laghi varesini, Luigi del Torchio, 2017

12.4 Contatti e Informazioni Per ogni ulteriore informazione:

contattare l’autore: [email protected] consultare il sito: www.lucianofolpini.eu