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Le professioni musicali a.a. 2017-2018 95 Il direttore d’orchestra L'orchestra Le prime esperienze Se è vero che nell'antichità e nel Medioevo agivano in particolari occasioni (feste, balli, cerimonie nelle corti) gruppi strumentali, possiamo cominciare effettiva- mente a parlare di Orchestra con il Cinquecento, epoca in cui la musica strumen- tale iniziò a svilupparsi secondo criteri anche autonomi rispetto a quella vocale. Si assisteva, allora, ad una produzione che da un lato privilegiava la letteratura autonoma di strumenti atti alla produzione polivoca (organo, clavicembalo, liuto), dall’altro favoriva il formarsi di gruppi quanto mai eterogenei, sulla base delle effettive disponibilità ambientali e delle circostanze. Il termine Concerto oltre a indicare una forma inizialmente vocale e strumentale (i Cento concerti ecclesiastici di Ludovico Grossi da Viadana, ad esempio) significò anche quello di raggruppamento di strumenti. La eterogeneità dei “Concerti” durò a lungo. Ancora nel 1607 per il suo Orfeo Monteverdi prevedeva un organico quanto mai variabile e nutrito: 2 gravicembali 2 contrabbassi di viola, 10 viole da brazzo , 1 arpa doppia, 2 violini piccoli alla francese, 3 chitarroni, 2 organi, di legno, 2 viole basse, 5 tromboni, 1 regale, 2 cornetti, 1 flautino alla vigesima seconda, 1 clarino, 4 trombe sordine, arpe, cete- roni, flautini. Parrebbe una accozzaglia di strumenti. In realtà il compositore non li usava tutti insieme, ma all’interno privilegiava diverse formazioni minori. Lo stesso Monteverdi, nel Combattimento di Tancredi e Clorinda faceva invece ricorso ad un concerto a 4 parti di viole che si proponeva come un esempio inte- ressante di orchestra d’archi con tanto di effetti speciali come il tremolo e il pizzi- cato. E nel 1634 Stefano Landi nel Sant’Alessio riuniva un complesso formato da violi- ni I, violini II, violini III, violone (oltre a strumenti per il b.c. come arpe, liuti, tiorbe, lira e clavicembalo). Prendeva insomma corpo l’orchestra d’archi che sa- rebbe stata la base del primo Barocco. L’orchestra barocca L’Orchestra barocca, nei primi decenni del Settecento può essere formata (non sempre tutti gli strumenti sottoelencati sono presenti) da: 2 oboi, 1 oboe d’amore, 1 oboe da caccia, 1 fagotto 2 corni, 2 trombe 2 timpani - 1 clavicembalo 6 violini, 3 viole, 2 violoncelli, 1 contrabbasso

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Il direttore d’orchestra L'orchestra Le prime esperienze Se è vero che nell'antichità e nel Medioevo agivano in particolari occasioni (feste, balli, cerimonie nelle corti) gruppi strumentali, possiamo cominciare effettiva-mente a parlare di Orchestra con il Cinquecento, epoca in cui la musica strumen-tale iniziò a svilupparsi secondo criteri anche autonomi rispetto a quella vocale. Si assisteva, allora, ad una produzione che da un lato privilegiava la letteratura autonoma di strumenti atti alla produzione polivoca (organo, clavicembalo, liuto), dall’altro favoriva il formarsi di gruppi quanto mai eterogenei, sulla base delle effettive disponibilità ambientali e delle circostanze. Il termine Concerto oltre a indicare una forma inizialmente vocale e strumentale (i Cento concerti ecclesiastici di Ludovico Grossi da Viadana, ad esempio) significò anche quello di raggruppamento di strumenti. La eterogeneità dei “Concerti” durò a lungo. Ancora nel 1607 per il suo Orfeo Monteverdi prevedeva un organico quanto mai variabile e nutrito: 2 gravicembali 2 contrabbassi di viola, 10 viole da brazzo , 1 arpa doppia, 2 violini piccoli alla francese, 3 chitarroni, 2 organi, di legno, 2 viole basse, 5 tromboni, 1 regale, 2 cornetti, 1 flautino alla vigesima seconda, 1 clarino, 4 trombe sordine, arpe, cete-roni, flautini. Parrebbe una accozzaglia di strumenti. In realtà il compositore non li usava tutti insieme, ma all’interno privilegiava diverse formazioni minori. Lo stesso Monteverdi, nel Combattimento di Tancredi e Clorinda faceva invece ricorso ad un concerto a 4 parti di viole che si proponeva come un esempio inte-ressante di orchestra d’archi con tanto di effetti speciali come il tremolo e il pizzi-cato. E nel 1634 Stefano Landi nel Sant’Alessio riuniva un complesso formato da violi-ni I, violini II, violini III, violone (oltre a strumenti per il b.c. come arpe, liuti, tiorbe, lira e clavicembalo). Prendeva insomma corpo l’orchestra d’archi che sa-rebbe stata la base del primo Barocco. L’orchestra barocca L’Orchestra barocca, nei primi decenni del Settecento può essere formata (non sempre tutti gli strumenti sottoelencati sono presenti) da:

2 oboi, 1 oboe d’amore, 1 oboe da caccia, 1 fagotto 2 corni, 2 trombe 2 timpani - 1 clavicembalo 6 violini, 3 viole, 2 violoncelli, 1 contrabbasso

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L’Orchestra classica

Nel periodo classico (intorno alla fine del Settecento) l’Orchestra è formata da: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti 2 corni, 2 trombe 2 timpani 14 violini, 6 viole, 4 violoncelli, 2 contrabbassi Anche in questo caso l’organico soprariportato va inteso in senso generale. Ad esempio, nella Sinfonia in sol minore K 550, Mozart rinunciò alle trombe. E Beethoven nella Sinfonia n.3 aggiunse un corno, nella n.5 inserì l’ottavino, il controfagotto e tre tromboni (con conseguente ampliamento degli archi) e nella Nona concepì un organico assai più ampio, comprendente: 1 ottavino, 2 flauti, 2 oboi 2 clarinetti, 2 fagotti, 1 controfagotto 2 corni in re e in sib basso 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni timpani, triangolo, piatti, grancassa archi soli e coro L’orchestra romantica

L’organico-tipo di un’orchestra di metà Ottocento è: 1 ottavino, 3 flauti, 3 oboi, 1 corno inglese 3 clarinetti, 1 clarinetto basso 3 fagotti, 1 controfagotto 4 corni, 4 tube wagneriane 4 trombe, 4 tromboni, 1 tuba 1 tam-tam, 1 campane tubolari, 2 piatti, 1 glockenspiel, 1 xilofono

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1 grancassa, 1 tamburo militare, 2 timpani 2 arpe, 30 violini, 12 viole, 10 violoncelli, 8 contrabbassi Anche in questo caso l’organico va assunto come possibile, ma non obbligatorio. Schumann, ad esempio nella sua Sinfonia n.3 utilizzò: 2 flauti, 2 oboi 2 clarinetti, 2 fagotti 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni timpani archi E nel 1837 nel suo Requiem, Berlioz ampliò sensibilmente l’organico: 210 voci 4 flauti, 2 oboi, 4 clarinetti, 12 corni 8 paia di timpani, grancassa, tam-tam, piatti - 108 archi Nel Tuba mirum, disposti ai quattro angoli della sala, intervennero 4 gruppi: 4 cornette, 4 tromboni, 2 tube a nord 4 trombe, 4 tromboni a est e a ovest 4 trombe, 4 tromboni, 8 oficleidi a sud Prima del podio I più antichi antenati del direttore d’orchestra possono essere individuati nel cori-feo che guidava i cori nelle tragedie greche e nel primicerio medioevale che ba-sandosi sulla chironomia guidava le Scholae cantorum nell’esecuzione del canto gregoriano. Nel Cinquecento i complessi corali e i concerti strumentali erano guidati in gene-re dal praecentor o dal «maestro dei concerti»: ricorreva a movimenti della mano oppure a percussioni con una verga sul leggio o con il piede a terra. La battuta “rumorosa” (ovvero con il piede a terra) era usata soprattutto nella musica strumentale. E rimase in uso anche in epoca successiva, pur con qualche modifica. Lully (1632-1687) , ad esempio, dirigeva battendo a terra un grosso ba-stone. Si racconta che un giorno eseguendo il proprio Te Deum davanti al Re, col-pì per errore il proprio piede, l’infezione che ne sortì fui deleteria tanto che il mu-sicista ne morì! Già nel Cinquecento, comunque, si usava anche una bacchetta. Ad esempio, il «Concerto delle Dame» aveva una propria maestra che usava appunto la bacchet-ta. Con l’avvento dell’opera e con l’uso del basso continuo, cominciò ad affermarsi nel Seicento la figura del maestro al cembalo (maestro di cappella) che realizzava il basso continuo e nello stesso tempo teneva d’occhio le parti vocali. Contemporaneamente la crescente importanza assunta dagli archi, pose in evi-denza il primo violino, tanto che venne configurandosi una sorta di doppia dire-zione: il maestro di cappella curava l’esecuzione con particolare riguardo alle voci, il primo violino (in Germania ancora oggi chiamato Konzertmeister) si occupava invece degli strumentisti.

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La prassi dei teatri italiani – ha scritto Antonio Rostagno1 riferendosi ancora al Settecento e al primo Ottocento - prevedeva consuetamente due distinte competen-ze: il «maestro al cembalo» insegnava e coordinava le parti vocali (in alcuni casi i-struiva i cori ) e il «primo violino capo e direttore d'orchestra» curava l'esecuzione; quest'ultimo dirigeva l'orchestra (o meglio guidava l'orchestra nell'assecondare i cantanti) facendo i principali segnali con l'archetto, suonava i passi più rischiosi e raddoppiava qualunque elemento in difficoltà, o a tratti teneva il tempo battendo l'archetto sul leggio. Come testimonia Alberto Mazzucato, questa prassi implicava un'imprecisione negli attacchi simultanei e nelle dinamiche e una difficoltà nel se-guire le libertà agogiche dei cantanti. Intorno al 1850 si alzano le prime voci contro questa prassi: Lauro Rossi sull'«Omnibus» di Napoli indica l'utilità di adottare l'unificazione delle mansioni di concertatore e direttore, già praticata oltralpe, a cui fanno eco Mazzucato, Luigi Felice Rossi e Angelo Catelani sulla «Gazzetta» di Ricordi.

Il direttore moderno Il concetto della direzione d’orchestra intesa in senso moderno nacque all’inizio dell’Ottocento quando alla figura del compositore abituale presentatore delle pro-prie opere, del maestro al cembalo e del primo violino conduttore, si sostituì un direttore in senso integrale, non adibito cioè direttamente alla esecuzione e in-terprete anche di opere altrui. Se Beethoven ancora diresse le proprie sinfonie, Schubert non salì mai sul podio e Mendelssohn diresse alcune delle Sinfonie di Schumann. Scomparso il maestro al cembalo, l’intervento di un musicista adibito esclusiva-mente alla direzione, senza preoccupazioni di dover maneggiare uno strumento, era resa necessaria sia dall’ampliamento dell’orchestra, sia da una scrittura sem-pre più complessa. Vale la pena citare una lettera scritta da Haydn il 17 ottobre 1789 come accom-pagnamento a tre sue Sinfonie:

Ora vorrei umilmente chiedervi di dire al Kapellmeister del Principe che queste tre sinfonie, a causa dei loro numerosi effetti particolari, andrebbero provate almeno una volta attentamente e con una speciale concentrazione, prima dell’esecuzione2.

Dalle raccomandazioni di Haydn si deduce che allora non c’era la consuetudine di “provare” secondo la nostra moderna concezione. Oltre agli aspetti tecnici, la nascita del direttore in senso moderno è da intendersi anche in un’ottica culturale. Come è noto il Romanticismo segnò la nascita del concetto di “storia” legato in campo musicale all’idea di repertorio, di indagine del passato e di riscoperta di autori delle epoche precedenti. Se fino al Settecento si era “consumata” la musica del tempo e raramente si era andati a recuperare pa-gine di epoche precedenti, con il Romanticismo il guardare al passato divenne prassi naturale. Nacque così la moderna figura dell’interprete.

1 A. ROSTAGNO, Verdi e Mariani in Giuseppe Verdi genovese, a cura di Roberto Iovino e S. Verdi-no, Libreria Musicale Italiana, Lucca 2000, p.34. 2 In CHARLES ROSEN, Lo stile classico, Feltrinelli, Milano 1979, p. 167.

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Tra gli iniziatori della nuova pratica direttoriale si segnala Johann Friedrich Rei-chardt (1752-1814) a cui viene attribuita l’adozione della bacchetta. Ignaz Franz Mosel, direttore del “Musikfest” a Vienna nel 1812 usava un’asticciuola, altri colleghi ricorrevano a un rotolo di pelle mentre molti preferi-vano mantenere l’archetto. Beethoven probabilmente utilizzava un fascicolo di musica arrotolato. Carl Maria von Weber introdusse la bacchetta a Dresda nel 1817; Spohr nello stesso anno a Francoforte. Spontini, nella sua veste di direttore all’Opera di Ber-lino dal 1820, usava due bacchette, di differente lunghezza, che alternava duran-te le esecuzioni, impugnandole a metà e non alla base; Mendelssohn, infine, la in-trodusse al Gewandhaus di Lipsia nel 1835. Al suo primo concerto il 4 ottobre 1835 era presente Schumann che ne scrisse3:

Era un piacere vedere come Meritis [Mendelssohn] indicava già prima con l’occhio le diverse sinuosità dello spirito della composizione, dalla più fine alla più forte sfumatura e come beato Meritis si librava innanzi al tutto, mentre alle volte si in-contrano maestri che minacciano di bastonare con lo scettro la partitura, l’orchestra tutta e il pubblico.

A Parigi ebbe un ruolo fondamentale Francois Antoine Habeneck che svolse fun-zioni di concertatore e direttore alla «Societé des Concerts» del Conservatorio di Parigi dal 1828 al 1848. Fu lui, nell’arco di alcuni anni, a far conoscere ai parigini l’intero ciclo delle sinfonie di Beethoven. Va ricordato che per molto tempo i direttori dell’Ottocento non si servirono della partitura che per il loro studio privato; sul podio in realtà utilizzavano la parte del primo violino sulla quale avevano annotato le entrate dei vari strumenti. In campo operistico, si aggiungeva alla parte del primo violino un rigo per i recitati-vi cantati. In seguito all’Opera di Parigi (e poi in altri teatri) fu adottata una particolare no-tazione riassuntiva, detta del violon principal: comprendeva un rigo superiore con la parte del primo violino, uno inferiore per il basso e in mezzo un duplice rigo con la riduzione delle altre parti orchestrali e un altro rigo semplice per le entrate dei cantanti. Carl Maria von Weber Carl Maria von Weber (1786-1826), pianista, compositore, autore della prima o-pera “romantica tedesca” (Der Freischütz , Il franco cacciatore) fu un autorevole direttore d’orchestra. Fu Kapellmeister in diverse città: Breslavia (1804), la corte di Stoccarda (1807-1810), l’Opera di Praga (1813-1816), l’Opera di Berlino (1816-1817), Dresda (dal 1817). In tale veste si prodigò non solo per lanciare l’opera te-desca in contrasto con l’imperante scuola italiana, ma per migliorare la qualità degli allestimenti lirici.

3 M.BRUNI, Direzione d’orchestra, voce in DEUMM, Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti, diretto da Alberto Basso, Il Lessico, vol. II,Utet, Torino 1983, p.45.

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Weber riorganizzò la tradizionale disposizione dell’orchestra. Desiderando ottenere una fusione e un controllo maggiori. […] Quando giunse a Dresda, trovò l’orchestra nella disposizione piuttosto casuale che aveva mantenuto dai tempi di Hasse: il di-rettore sedeva al pianoforte, al centro e non poteva vedere tutti gli orchestrali, mentre un violoncello e un contrabbasso leggevano la partitura da dietro le sue spalle. Si trattava di un retaggio della prassi esecutiva del basso continuo […]. Il suo progetto prevedeva che gli archi più acuti venissero spostati alla destra del di-rettore, i legni e gli ottoni alla sua sinistra, lasciando gli archi più bassi alle sue spalle e voleva anche avvicinare il podio alla buca del suggeritore. Questa nuova disposizione, che non gli permetteva di vedere tutta l’0orchestra, può sembrare un ben scarso progresso; ma come Weber sottolineò […] la posizione del direttore di un’opera era al centro della rappresentazione da dove poteva controllare sia l’orchestra sia il palcoscenico; la nuova disposizione gli consentiva di essere più vi-cino ai cantanti, di vedere dietro le quinte e all’occorrenza di avere anche un con-tatto, se pure molto discreto con il suggeritore4.

Weber pose inoltre molta attenzione agli aspetti visivi: curò le scene, rivoluzionò i costumi cercando un maggiore collegamento con il dramma rappresentato. Rin-novò le tecniche di illuminazione importando le nuove lampade di Argand e sosti-tuendo così le vecchie candele con i nuovi sistemi di lampade a olio. Aumentò sensibilmente il numero delle prove lavorando con i cantanti anche sul piano del-la recitazione. Hector Berlioz e Richard Wagner Un contributo fondamentale all’affermazione del direttore in senso moderno fu dato da Hector Berlioz e da Richard Wagner. Due artisti dalle visioni estetiche totalmente differenti (e non a caso entrarono in forte polemica), ma accomunati da due elementi: non erano strumentisti, quindi legati ad alcuno strumento in particolare, ingigantirono sensibilmente l’organico orchestrale. Berlioz con il suo Art de chef d’orchestre pubblicato in appendice al Grande trat-tato di orchestrazione (1844) e Wagner con il volume Über das Dirigieren (1869) furono tra l’altro fra i primi teorici dell’arte direttoriale.

Contro l’empirismo dei direttori del suo tempo, […] Berlioz detta innanzitutto la codificazione rimasta poi nell’uso dei gesti indicativi dei vari tipi di misura e sud-divisione, gesti che egli vuole eseguiti con chiarezza e moderazione dalla mano ar-mata di bacchetta. […] La battuta nelle misure irregolari; quella che si richiede per i casi di sovrapposizione di metri e ritmi contrastanti (fra i quali l’autore porta co-me esempio il caso della scena del ballo nel Don Giovanni di Mozart, con le 3 orche-stre trattate in 3 misure differenti); il prolungamento e il troncamento della corona; la parte che nell’esercizio della direzione deve assumere lo sguardo rivolto agli ese-cutori: tali sono, con altri ancora, gli argomenti trattati in questo esauriente com-pendio della pratica direttoriale dove è prescritto: che il direttore, posto su un podio tanto più elevato quanto più ampio è lo schieramento orchestrale, eserciti le sue funzioni in piedi e non seduto (norma questa che per lungo tempo seguitò tuttavia a incontrare una certa resistenza); che egli si serva sempre ed esclusivamente della

4 J.WARRACK, Weber, in J.WARRACK, H.MACDONALD, K.H.KÖHLER, Weber, Berlioz, Mendelssohn, Ricordi/Giunti, Firenze 1989, pp. 37-38.

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partitura e non di parti staccate o di riduzioni; che qualunque rumore prodotto du-rante l’esecuzione, dai colpi di bacchetta sul leggio o dal piede sul podio debba esse-re bandito […]5.

A differenza della trattazione di Berlioz, volta soprattutto a sviscerare aspetti tecnici, quella di Wagner affronta essenzialmente aspetti interpretativi di deter-minate opere, sue e altrui che il musicista conosceva bene per studio ed esecuzio-ne diretta. Va notato che quando la professione del direttore andò sempre più specializzan-dosi, Wagner delegò la presentazione delle proprie opere ad altri artisti formatisi alla sua “scuola” come von Bulow, Hans Richter, Hermann Levi. Hans von Bulow Hans von Bülow (1830-1894) è stato un dei maggiori direttori d'orchestra dell'800, e la sua attività in questo campo fu fondamentale per l'affermazione e il successo di molti famosi compositori, Richard Wagner in testa. Nato a Dresda, in Sassonia, da nobile famiglia, dall'età di nove anni studiò piano-forte con Friedrich Wieck (il padre di Clara Schumann). Nel 1842 ascoltò per la prima volta un'opera di Wagner, Rienzi, e ne ricevette una fortissima impressio-ne. Tuttavia, i suoi genitori insistevano perché egli studiasse legge e non musica, e lo mandarono a Lipsia. A Lipsia, però, Bülow incontrò Franz Liszt e, quando ascoltò la prima del Lohen-grin di Wagner nel 1850 a Weimar, diretta dallo stesso Liszt, decise di ignorare gli ordini dei genitori e tentare invece una carriera nella musica. Ottenne il pri-mo impiego come direttore d'orchestra poco dopo, a Zurigo, su raccomandazione di Wagner, cui si era presentato come fervente ammiratore e che aveva subito ri-conosciuto in lui del talento. Bulow divenne subito sostenitore di quella "musica dell'avvenire" che vedeva i suoi due maggiori esponenti in Wagner e Liszt. A Liszt, di cui divenne allievo nel 1851, lo legavano anche motivi personali: nel 1857 a Parigi, infatti, ne sposò la figlia, Cosima, da cui ebbe due figlie, Daniela e Blandine. Durante gli anni '50 e i primi anni '60 dell'800 fu impegnato come pianista, direttore d'orchestra e scrit-tore, e divenne ben conosciuto in Germania e in Russia. Nel gennaio 1857 eseguì la prima assoluta della Sonata in si minore di Liszt a Berlino, nel marzo 1859 di-resse il Preludio di Tristan und Isolde a Praga, nel luglio 1862 eseguì al pianofor-te i Wesendonck-Lieder a Magonza Nel 1864, Wagner, divenuto il protetto del giovane re di Baviera Luigi II, suggerì al monarca il nome di Bülow quale direttore del Teatro di Corte di Monaco, rite-nendolo l'unico in grado di dirigere le sue opere, e fu in tale carica che egli rag-giunse la massima notorietà. Diresse infatti le prime rappresentazioni di Trista-no e Isotta e I maestri cantori di Norimberga, rispettivamente nel 1865 e nel 1868; in entrambi i casi si trattò di un trionfo. Dal 1867 al 1869 divenne il secon-do Direttore Musicale Generale della Bayerisches Staatsorchester succedendo a Franz Lachner. Nel 1868, Cosima lasciò ufficialmente Bulow per stare con Wa-

5 DEUMM, op. cit., p. 46

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gner del quale era divenuta amante da tempo. Questo tuttavia non incrinò i rap-porti artistici fra Wagner e il direttore d’orchestra. Negli ultimi anni, assieme alla musica di Wagner, Bülow sostenne anche quella di Brahms del quale diresse la prima esecuzione della Quarta Sinfonia nel 1885. Nel 1875 a Boston aveva anche presentato il Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 di Čajkovskij. Fra gli ultimi incarichi si può ricordare la guida dei Berliner Philharmoniker co-me direttore stabile (1887-1892). Angelo Mariani

Faremo pure i nostri complimenti al Signor Mariani Direttore dell’Orchestra per la sua solita bravura nel dirigerla, ma avremmo preferito di vederlo dirigere col suo solito archetto e col violino anziché con quella certa cosa, che non sapevamo che fosse, ma che ci venne detto essere una bacchetta6.

Scriveva così il giornale satirico «La Maga», il 28 dicembre 1852, recensendo la prima esecuzione genovese di Rigoletto al Teatro Carlo Felice. Per la prima volta un direttore d’orchestra utilizzava, dunque, nel teatro genove-se, la bacchetta al posto dell’archetto. Angelo Mariani (Ravenna, 1821 – Genova, 1873), è stato il primo grande direttore d’orchestra italiano nel senso moderno del termine.

Le sue prime esperienze sono, secondo l'uso corrente, come primo violino direttore alla maniera di Rolla, Festa, Petrini-Zamboni, Angelini. Dopo esperienze in piazze minori anche come direttore di banda, esordisce a Milano nelle stagioni estive dei teatri Carcano e Re dirigendo, fra il 1846 e il 1847, I due Foscari, Nabucco, I Lom-bardi, Ernani e Giovanna D'Arco. Secondo Mariani in quel momento iniziò «pro-priamente la mia carriera di direttore d'orchestra». La conoscenza con Verdi, allora residente a Milano, avvenne probabilmente in queste occasioni; il 2 luglio 1846 Muzio scrive a Barezzi sull'ottima esecuzione dei Due Foscari, senza però nominare Mariani7.

A Genova l’artista si presentò per la prima volta il 15 maggio 1852 dirigendo Er-nani e, pochi giorni dopo, Roberto il diavolo di Meyerbeer. Il successo fu notevole e al termine della stagione, Mariani, soddisfatto del lavoro e del soggiorno geno-vese, accettò l’offerta del Comune di Genova e fu nominato direttore della Civica orchestra. Mantenne l’incarico fino alla morte avvenuta nel 1873. Abitava in Pa-lazzo Sauli in Carignano, nello stesso palazzo dove nel 1867 affittò un apparta-mento Verdi. I due furono dunque per molti anni vicini di casa e amici strettissi-mi. L’epistolario di Verdi ne è una dimostrazione: molte le lettere indirizzate al direttore d’orchestra e relative sia ad aspetti musicali, sia a questioni diverse,

6 R. IOVINO, La critica verdiana: dai giornali genovesi dell’Ottocento in Giuseppe Verdi genovese, op. cit., p. 131 7 A. ROSTAGNO, op. cit., pp. 34-34.

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come ad esempio, la richiesta di informazioni durante la seconda guerra di indi-pendenza. Basta citare, a titolo d’esempio, le due seguenti lettere8:

Ad Angelo Mariani. S. Agata 27 Maggio 1860 Car.° Mariani [...] Evviva dunque Garibaldi. Per Dio è un uomo veramente da inginocchiarsi da-vanti! Fin che resti a Genova dammi frequenti notizie delle cose di Sicilia che m'in-teressano assai. E perché questo scrivere non ti sia di molto peso alla sera prima di coricarti scrivi sopra un pezzettino di carta le notizie che saprai, getta la lettera in buca ed amen [...]. Allo stesso. Busseto 7 Ottobre 1860 Car.° Mariani […] Ma dimmi di altra musica, la quale (domando scusa a tutti voi altri figli di A-pollo) mi interessa assai più. Oh scusate scusate! Come vanno le Crome e biscrome di Cialdini, Persano, Garibaldi etc. etc.? Tu m'avevi promesso di scrivermene, e, te-staccia, l'hai dimenticato. Quelli son Maestri! e che Opere! e che Finali! a colpi di cannone! [...].

L’amicizia fra i due artisti si incrinò negli ultimi anni di vita di Mariani per ra-gioni artistiche e personali. Mariani si rifiutò di dirigere Aida al Cairo e ci furono incomprensioni fra i due relativamente alla realizzazione della Messa da Re-quiem in ricordo di Rossini progettata da Verdi (in collaborazione con altri autori) ma mai realizzata. In più, Verdi ebbe probabilmente una relazione con la cantan-te Teresa Solz (da lui scelta come interprete di Aida) che era l’amante di Mariani. Al di là dei difficili rapporti umani, Mariani fu uno straordinario interprete ver-diano, ma ebbe proficui contatti anche con la musica wagneriana: si deve a lui, nel 1871 a Bologna, la prima esecuzione in Italia di un’opera del grande composi-tore tedesco, Lohengrin; l’anno dopo, sempre a Bologna, diresse la prima italiana di Tannhauser. Carlo Felice – L’Orchestra Civica Il 30 settembre 1850 venne costituita al Carlo Felice l’Orchestra Civica, affidata per la direzione a Giovanni Serra che l’anno dopo assunse la direzione della Scuo-la Civica (oggi Conservatorio N.Paganini) e che nel 1852, come si è già ricordato, lasciò l’incarico a Mariani. Il Consiglio Generale del Comune, nella seduta del 7 maggio 1850 aveva stilato un «Regolamento di istituzione di un’Orchestra Civica destinata al servizio dei Teatri appartenenti alla città e dipendente dall’Amministrazione comunale di Genova».

L’Orchestra – recitano gli articoli 3 e 4 – è composta di un Maestro di Cappella e di n. 56 professori dei quali n. 36 effettivi e n. 20 soprannumerari… I professori effet-tivi sono: 1 Primo Violino Direttore d’orchestra; 1 Primo violino di spalla con obbli-go di suonare gli a-solo; 1 primo violino dei secondi per le opere; 1 primo violino per i balli; 1 primo violino dei secondi per i balli; 5 primi violini; 4 secondi violini; 1

8 G. VERDI, Lettere, op. cit., rispettivamente p.397 e p.399.

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prima viola; 1 seconda viola; 1 primo violoncello per le opere; 1 secondo violoncello e primo per i balli; 1 altro violoncello; 1 primo contrabbasso per le opere; 1 secondo contrabbasso e primo per i balli; due altri contrabbassi; 1 primo clarinetto per le opere e balli; 1 secondo clarinetto; 1 primo oboe con obbligo di suonare anche il corno inglese; 1 secondo oboe; 1 primo flauto; 1 secondo flauto con l’obbligo di suo-nare anche l’ottavino; 1 primo fagotto; 1 secondo fagotto; 1 primo corno; 1 secondo corno; 1 prima tromba; 1 seconda tromba; 1 primo trombone.

I doveri dei Professori erano sintetizzati agli articoli 6 e 7:

Tutti i Professori effettivi sono obbligati a servire il Teatro Carlo Felice o quello do-ve si porterà lo spettacolo in tutte le campagne teatrali, sia d’opera e ballo che di rappresentazioni drammatiche, qualunque sia per esse la loro durata. In caso pe-raltro di apertura simultanea di due teatri saranno sempre addetti allo spettacolo principale. Essi sono pure obbligati a prestare l’opera loro nelle altre feste ed acca-demie straordinarie che all’Amministrazione Comunale occorresse di dare nel tea-tro o nelle sale del ridotto, nelle tre funzioni sacre che saranno determinate dalla città e finalmente nella processione solenne del Corpus Domini… Tutti i Professori effettivi sono anche tenuti a riunirsi sei volte l’anno in quelle sere che saranno sta-bilite dal sindaco nelle sale del Ridotto per ivi esercitarsi nell’eseguire pezzi scelti di musica…

I Professori soprannumerari (gli attuali precari) erano tenuti a suonare nelle sta-gioni di Carnevale e di primavera. Nelle feste e accademie straordinarie, nelle tre funzioni sacre e nella Processione solenne del Corpus Domini. L’articolo 11 specificava:

Il Maestro di Cappella deve andare di buona intelligenza col primo Violino Diretto-re d’Orchestra affinché gli spettacoli, le accademie e le funzioni di Chiesa possano avere l’esecuzione più perfetta. Deve fare le prove al cembalo di tutte le opere come pure presenziare e dirigere con ogni premura tutte quelle che delle opere stesse o di qualsiasi altro pezzo di musica si fanno in orchestra… Sarà quindi obbligato sot-to la sua responsabilità a fare eseguire tutti gli spartiti per intiero senza omettere, variare o accorciare alcun pezzo di musica senza un espresso preventivo concerto col Sindaco della città (!). Per evitare poi che non abbiano a moltiplicarsi ed a pro-lungarsi troppo le prove delle opere, prima che si comincino quelle d’orchestra do-vrà farne eseguire una della sola musica per ogni spartito ad oggetto corregger le parti.

Il primo violino direttore d’orchestra aveva il compito di prendere i tempi dal Ma-estro di Cappella per farli poi rispettare dall’orchestra con precisione; inoltre era responsabile della esatta esecuzione della musica. Il primo violino, oltre ad ese-guire gli assoli doveva sostituire il primo violino direttore d’orchestra in caso di sua assenza. Gli aspetti disciplinari erano invece chiariti nell’articolo 14: ogni professore era tenuto ad osservare il silenzio in orchestra e ad eseguire con tutta esattezza la propria parte. Doveva presentarsi in teatro mezz’ora prima l’inizio dello spettaco-

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lo, non poteva accettare altri impegni per i giorni e le ore di spettacolo nè farsi rimpiazzare: ogni assenza doveva essere giustificata. Paganini e l’Orchestra del Ducato di Parma Della poliedrica figura artistica di Niccolò Paganini, l’attività di direttore d’orchestra è forse quella meno conosciuta e approfondita. Si può ricordare che nel 1821, a Roma, Paganini era intervenuto in aiuto dell’amico Rossini dirigendo alcune recite dell’opera Matilde di Shabran. Ma l’impegno maggiore come direttore, l’artista lo profuse negli ultimi anni di carriera, quando, rientrato in Italia dopo il tour europeo, accettò, nel 1834, l’incarico a Corte nel Ducato di Parma (città dove aveva acquistato Villa Gajone, per farne la sua residenza stabile). Il 25 ottobre 1834 Paganini era stato ammesso alla presenza di Maria Luigia e il 14 novembre successivo si era esibito in un concerto benefico, affiancato da alcuni giovani cantanti parmigiani al loro debutto. Il successo era stato tale che Maria Luigia lo aveva invitato a suonare per lei in occasione della festa per il suo com-pleanno, il 12 dicembre successivo. Nel 1835 avviò la direzione dell’Orchestra. Il 23 dicembre lo stesso artista scrisse soddisfatto a Germi9:

Le mie due sinfonie il Guillaume Tell ed il Fidelio da me dirette il 12 a Corte, fece-ro fanatismo; e rimasero convinti intorno alla direzione di un maestro. […] La Cor-te mi ha fatto l’onore di nominarmi pure della Commissione Teatro, delegato alla musica e nulla si fa senza la mia approvazione. Dalle 3 lezioni date all’orchestra ed avendo fatte cambiare le lancie [sic] agli strumenti da fiato, eccellente effetto pro-duce nell’opera i Puritani.

Il 5 gennaio 1836 ancora a Germi in stile stringato, quasi telegrafico10:

L’orchestra fanatismo. Io felice per avere ottenuto quanto potevo desiderare. Sono però tuttavia occupatissimo perché nulla muove senza il mio consiglio, per l’onorevole carica di direttore in capo del globo armonico come membro della Commissione di detto Tea-tro…

Il soggiorno alla corte di Maria Luigia è legato ad una riforma dell’Orchestra cui Paganini mise mano con entusiasmo e che fallì per la forte opposizione contro cui dovette misurarsi. Alla Corte di Maria Luigia, Paganini iniziò a mettere a frutto l’enorme esperienza maturata all’estero. Il Genovese si era esibito con molte orchestre, aveva potuto verificare la validità dell’organizzazione di certe strutture europee: basta pensare alla già citata Societè des Concerts du Conservatoire di Parigi, diretta da Habe-neck. Paganini aveva constatato l’enorme divario esistente nella gestione della musica fra l’Europa (proiettata verso un mercato imprenditoriale) e l’Italia (lega-ta ancora a schemi di derivazione settecentesca).

9 E.NEILL, Paganini, Epistolario, Comune di Genova, Siag ed. Genova, 1982, p.192 10 E.NEILL, op. cit., p. 193.

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La riforma tentava di allineare Parma a Vienna e Parigi. Un sogno, naturalmen-te, irrealizzato, ma interessante perché evidenzia l’intelligenza non solo artistica, ma anche pratica e organizzativa di Paganini. Il musicista affidò l’orchestra a un direttore unico, togliendo tale responsabilità al primo violino come era prassi.

In tutte le orchestre principali in Vienna, Berlino, Monaco, Parigi, Londra – osservò Pa-ganini11 – evvi un maestro collocato in modo da comunicare i suoi pensieri ai cantanti e all’orchestra. Egli ha lo spartito sott’occhio posto sopra un pianoforte o tavolino di cui si vale all’occorrenza con la mano sinistra. Egli sta in piedi, dà i movimenti, marca le bat-tute, serve di cronometro, avverte coll’occhio ed è il centro dell’unità…

Fissò poi l’organico strumentale ispirandosi alle sinfonie beethoveniane e preve-dendo una serie di sostituti e di aggiunti. Il Progetto si articolava in 39 articoli nei quali erano elencati organico, mansioni, diritti e doveri di ciascuna compo-nente del complesso. Altri 13 articoli vertevano invece sulle “Penali da imporsi al-le trasgressioni del presente regolamento”. Il regolamento rimase inattuato e Pa-ganini preferì lasciare l’incarico. Le dieci regole di Richard Strauss Richard Strauss (1864-1949) ha affiancato alla sua straordinaria attività creati-va (si citano oltre ai poemi sinfonici, opere come Salome, Der Rosenkavalier, Ca-priccio) un intenso lavoro direttoriale, avviato come assistente di Hans von Bu-low. Nel 1928 annotò nell’album di un giovane direttore d’orchestra le seguenti “Dieci regole auree”12:

1. Ricordati che non fai musica per il tuo piacere, ma per la gioia dei tuoi ascoltatori. 2. Quando dirigi non devi sudare, solo il pubblico deve riscaldarsi. 3. Dirigi Salomè e Electra come se fossero state scritte da Mendelssohn: musica di Elfi 4. Non lanciare mai sguardi incoraggianti agli ottoni; solo una breve occhiata per da-re un’entrata importante 5. Al contrario, non perdere mai d’occhio i corni e i legni: se li senti vuol dire che suo-nano già troppo forte. 6. Se ritieni che gli ottoni non suonino abbastanza forte, smorzali ulteriormente di due gradi di intensità 7. Non basta che sia tu a distinguere ogni parola del cantante, tu che conosci quelle parole a memoria: è il pubblico che deve poterle seguire senza fatica. Se non capisce il testo, dorme. 8. Accompagna sempre il cantante in modo che possa cantare senza sforzo. 9. Se credi di aver raggiunto la massima velocità in un prestissimo, raddoppia la ve-locità 10. Se avrai la bontà di tener conto di tutti questi miei suggerimenti, il tuo bel talento e le tue grandi capacità faranno di te sempre la pura delizia dei tuoi ascoltatori.

11 M.CONATI, Paganini e Parma,in AA.VV. Incontri con la musica di Paganini, Atti del seminario di studi a cura dell’Istituto di Studi Paganiniani, Genova, 5-6 marzo 1982 – Comune di Genova, Sagep, 1984, p. 92. 12 R.STRAUSS, Note di passaggio, Edt, Torino 1991, pp.75-76.

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Gustav Mahler Gustav Mahler nacque nel 1860 a Kalischt, nella regione austriaca di Boemia. Dopo aver completato gli studi al conservatorio di Vienna, Mahler ebbe le prime esperienze nella direzione d'orchestra a Bad Hall nell'estate 1880 dove il reperto-rio era l'operetta. Negli anni seguenti continuò la sua carriera di direttore presso altri importanti teatri d'opera dell'Europa centrale: Lubiana nel 1881 dove dires-se anche Il trovatore, Olomouc nel 1883 dove diresse anche Carmen, Vienna e Kassel nell'agosto 1883 dove diresse Der Freischütz, Praga nel 1885, Opera di Lipsia dal 1886 e Budapest nel 1888. Nel 1887 Mahler fu chiamato a sostituire il celebre direttore Arthur Nikisch per il ciclo l'Anello del Nibelungo di Richard Wagner a Lipsia; il grande successo ottenuto contribuì ad accrescere la sua fama ed il suo prestigio come direttore sia fra i critici musicali sia presso il pubblico. Nel 1888 torna a dirigere a Praga e poi girò vari teatri fra i quali Budapest e Am-burgo: lì diresse per la prima volta Tristan und Isolde, poi Tannhäuser e Sigfrido e nel 1892 la prima tedesca di Evgenij Onegin alla presenza di Cajkovskij. Ancora ad Amburgo nel 1894 introdusse Falstaff (Verdi) e Hänsel e Gretel e di-resse la Sinfonia n. 9 di Beethoven. Nel 1897 Mahler, che aveva allora 37 anni, ricevette l'incarico di direttore dell’Opera di Vienna, vale a dire la posizione musicale più prestigiosa dell'Impero austriaco. Il direttore Mahler non è scindibile dal compositore Mahler: obbiettivo morale del primo fu sempre far rivivere le opere e gli autori nel tempo presente. E questo spiega i suoi interventi, spesso criticati, sui libretti, sulle stesse orchestrazioni, sui tagli. Ha sottolineato a questo proposito Ugo Duse13:

Egli cercava nelle opere gli uomini, gli autori, i musicisti e voleva che da esse uscis-sero fuori quali erano stati, in tutta la loro dimensione umana, nella loro grandezza e nei loro difetti, ma senza le delimitazioni extra artistiche arbitrariamente impo-ste dal tempo trascorso. E’ questo, in arte l’unico modo di essere storicisti, di rende-re patrimonio conoscitivo ciò che altrimenti sarebbe pura esibizione archeologica.

Nei dieci anni di direzione all'Opera di Vienna, Mahler rinnovò profondamente il repertorio di quell'istituzione musicale e ne migliorò la qualità artistica, riuscen-do a piegare sia gli esecutori sia gli ascoltatori alla sua visione della musica e dell'arte. Quando egli ricevette l'incarico, le opere più popolari erano il Lohen-grin, la Manon di Massenet, e Cavalleria rusticana; il nuovo direttore decise un nuovo corso più concentrato verso il repertorio del periodo classico, cominciando dalle opere di Gluck e di Mozart, avvalendosi anche della collaborazione del pitto-re Alfred Roller per la messa in scena di originali produzioni del Fidelio, di Tri-stan und Isolde, e del ciclo L'anello del Nibelungo. A Vienna nel 1897 diresse L'Africaine, La sposa venduta, Le prophète, Die Wal-küre, Sigfrido, Il crepuscolo degli dei, Dalibor, Evgenij Onegin e Der Fliegende Holländer, nel 1898 Djamileh, Aida e Donna Diana di Emil von Reznicek, nel 1899 Lo speziale, Die Opernprobe di Albert Lortzing, Der Bärenhäuter di Sie- 13 U.DUSE, Gustav Mahler, Einaudi, Torino 1973, p. 72.

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gfried Wagner, Mignon ed Il demone, nel 1900 la prima assoluta di Es war ein-mal di Alexander von Zemlinsky, Iolanta e Così fan tutte, nel 1901 Rienzi e Le al-legre comari di Windsor, nel 1902 Feuersnot di Richard Strauss, Der dot mon di Josef Forster, Gli Ugonotti e La dama di picche, nel 1903 Euryanthe e Louise, nel 1904 Der Corregidor di Hugo Wolf e Fidelio, nel 1905 Das war ich di Leo Blech, Die Abreise di Eugen d'Albert e Le donne curiose, nel 1906 Die Entführung aus dem Serail e Der Widerspenstigen Zähmung di Hermann Goetz, nel 1907 Ifigenia in Aulide (Gluck) e nel 1908 Tiefland di d'Albert dirigendo 346 recite viennesi. Lasciata Vienna, Mahler approdò al Metropolitan dove debuttò il 1° gennaio 1908 dirigendo Tristan und Isolde con Louise Homer poi Don Giovanni con Antonio Scotti ed Alessandro Bonci, Fyodor Chaliapin e Marcella Sembrich, Die Walküre, Siegfried e Fidelio, nel 1909 Le nozze di Figaro con Geraldine Farrar e La sposa venduta ed infine nel 1910 La dama di picche con Alma Gluck dirigendo in 54 re-cite. Dal 1909 al 1911 fu il direttore musicale della New York Philharmonic. Un impe-gno imponente anche oltreoceano anche se pare che i rapporti siano stati alquan-to turbolenti: l’etica di Mahler non accettava compromessi e gli scontri tanto al Metropolitan quanto in altri teatri statunitensi furono frequenti, fino alla deci-sione, anche per gravi motivi familiari e di salute, di rientrare in Europa. Fra le grandi bacchette del nostro tempo Arturo Toscanini L’impresario Daniele Chiarella stava scopando il vestibolo del suo teatro, l’elegante Politeama Regina Margherita, quando gli si presentò davanti Arturo Toscanini con un aut-aut: raddoppiare i cori in Carmen oppure cercare un altro direttore. Chiarella non aveva un carattere morbido, era famoso per le sue scena-te e per il modo duro con cui trattava direttori, cantanti e strumentisti. Ma il gio-vane Toscanini non era da meno. E quella volta, nella sorpresa generale, a cedere fu l’impresario: non solo vennero raddoppiati i coristi nell’opera di Bizet, ma par-te dell’orchestra fu sostituita nella successiva Mignon. L’episodio risale al 1890 a Genova. Toscanini aveva allora ventitre anni e stava già imponendosi a livello internazionale. Genova era la sua seconda patria. Nato a Parma nel 1867, la sua famiglia, l’anno successivo, si era trasferita a Genova per aprire una nuova sartoria e migliorare le proprie condizioni economiche. Qui nacque la sorella Narcisa che sarebbe mor-ta ad appena 10 anni. Rientrati a Parma, i Toscanini erano tornati poi ancora a Genova nel 1886. La sartoria si trovava allora in vico dei Notari, vicino a via Canneto il lungo in pieno centro storico. Proprio in quell’anno Toscanini si imbarcò per il Brasile come violoncellista in un’orchestra ingaggiata per quelle tournée transoceaniche che fecero la fortuna di tanti cantanti e direttori del tempo, ma che a volte riservavano brutte avventure, specialmente quando a organizzarle erano impresari poco fidati. La “spedizione” cui partecipò Toscanini apparteneva, appunto, a questa categoria. L’impresario per risparmiare aveva scelto un direttore chiaramente incapace e i fischi alle prime recite non si fecero attendere. Così, il 30 giugno di quel fatidico 1886, al

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Teatro Imperial Dom Pedro II di Rio de Janeiro per salvare lo spettacolo e non far fallire l’intera tournée l’agente dovette inventarsi un direttore nuovo: la scelta cadde sul violoncellista Toscanini che nelle prove aveva dimostrato di conoscere l’opera a memoria. Toscanini non si fece pregare, salì sul podio e ottenne un tri-onfo.

Un eccellente acquisto nel mondo della musica – si legge in una recensione apparsa il giorno successivo sulla “Gazeta de Noticias”14 - il signor Toscanini ha la fama di essere un prodigio musicale. Conosce a memoria sessanta opere o forse il doppio. Aveva fatto le prove a casa con gli artisti, accompagnandoli al piano senza guarda-re lo spartito che conosceva a occhi chiusi. Sveglio, abile, entusiasta ed energico il signor Toscanini si è rivelato all’ultimo momento un direttore d’orchestra piena-mente attendibile.

Rientrato in Italia, nel 1889 Toscanini si presentò per la prima volta a Genova dove al Politeama Genovese diresse Francesca da Rimini di Cagnoni. Passò poi al Margherita dove, appunto, ebbe rapporti conflittuali con Chiarella, all’epoca il principale impresario teatrale di Genova. Il diktat di Toscanini e il successo arriso ai due allestimenti riempirono le colonne dei giornali del tempo. «Il Trovatore» commentò15:

Un piccolo autocrate al cospetto delle Imprese volle il tempo necessario e i necessari elementi… ve ne fossero molti di questi Direttori di coscienza e di energia! Egli protrasse la prima rappresentazione di tre giorni ma alla pri-ma della Mignon lo spettacolo era singolarmente omogeneo, completo e pro-porzionato.

Il celebre critico De Marzi su «Il Teatro Illustrato» annotò16:

Tutti cantano e non gridano, sentono che rappresentano dei personaggi e non dei mannequins sulla scena. Finalmente assistiamo alla rivendicazione di tanti crimini commessi da tempo in nome dell’arte.

L’aneddoto sullo scontro con Chiarella e le recensioni pubblicate dimostrano l’effetto che Toscanini ebbe sul mondo musicale del suo tempo. Un autentico do-minatore dal podio con una capacità di trascinamento assolutamente straordina-ria. Vediamo alcune tappe importanti della sua carriera. Il 21 maggio 1892, al Teatro Dal Verme di Milano, diresse la prima di Pagliacci, di Ruggero Leoncavallo Nel 1895, nel nome di Wagner, avvenne l'esordio da direttore al Teatro Regio di Torino, con il quale collaborò fino al 1898 e di cui, il 26 dicembre 1905, inaugurò la nuova sala con Sigfrido. Nel giugno 1898 iniziò a dirigere al Teatro alla Scala col duca Guido Visconti di Modrone come direttore stabile, il librettista e compo-

14 In A. CANTÙ, G. TANASINI, La Lanterna magica, Sagep, Genova 1991, p. 140 15 In A. CANTÙ, G. TANASINI, op. cit., p.144 16 In A. CANTÙ, G. TANASINI, op. cit., p.144

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sitore Arrigo Boito vice-direttore e Giulio Gatti Casazza amministratore. Tosca-nini divenne il direttore artistico del teatro milanese e, sulla scia delle innovazio-ni portate dal suo idolo Richard Wagner, si adoperò per riformare il modo di rap-presentare l'opera, ottenendo nel 1901 quello che ai tempi era il sistema di illu-minazione scenica più moderno e nel 1907 la fossa per l'orchestra. Pretese inoltre che le luci in sala venissero spente durante la rappresentazione, proibì l'ingresso agli spettatori ritardatari, vietò alle signore di tenere in testa il cappello e tolse di mezzo i bis; ciò creò non poco scompiglio, dato che i più consideravano il teatro d'opera anche come un luogo di ritrovo, per chiacchiere e far mostra di sé. Il 26 febbraio 1901, in occasione della traslazione delle salme di Giuseppe Verdi e di Giuseppina Strepponi dal Cimitero Monumentale di Milano a Casa Verdi, diresse 120 strumentisti e circa 900 voci nel “Va, pensiero”, che non compariva alla Scala da vent'anni. Nel 1908 si dimise dalla Scala e dal 7 febbraio fu invitato a dirigere presso il teatro Metropolitan di New York. Schierato per l'interventismo, rientrò nel 1915, all'ingresso dell'Italia in guerra, e si esibì esclusivamente in concerti di propaganda e beneficenza. Subito dopo la fine della guerra, nel giro di pochissimi anni si impegnò nella rior-ganizzazione dell'orchestra scaligera (con la quale era tornato a collaborare), che trasformò in ente autonomo. Ancora per spirito patriottico, nel 1920 si recò a Fiume per dirigere un concerto e incontrare l'amico Gabriele d'Annunzio, che con i suoi legionari aveva occupato la città contesa dagli slavi e dal governo italiano. Diresse anche la New York Philharmonic e fu presente al Festival di Bayreuth, tempio di Wagner (1930-1931, dove fu il primo direttore non tedesco e dove si esi-bì gratuitamente, considerandolo un grande onore) e al Festival di Salisburgo (1934-1937). Di idee socialiste, dopo un'iniziale condivisione del programma fascista se ne al-lontanò a causa del progressivo scivolamento a destra di Mussolini, divenendone un forte oppositore. Fu una voce critica nella cultura omologata al regime, riuscendo, grazie all'enor-me prestigio internazionale, a mantenere l'Orchestra del Teatro alla Scala so-stanzialmente autonoma nel periodo 1921-1929. Nel 1926 minacciò di non dirige-re la prima di Turandot se Mussolini fosse stato presente in sala. Nel 1931 subì un’aggressione a Bologna da parte di un gruppo di fascisti. Lasciò dunque l’Italia dove non diresse più fino alla fine della seconda guerra mondiale. Dagli USA continuò a servirsi della musica per lottare contro il fascismo e il nazi-smo, e si adoperò per cercare casa e lavoro a ebrei, politici e oppositori persegui-tati e fuoriusciti dai regimi. Per lui, inoltre, nel 1937 era stata appositamente creata la NBC Symphony Or-chestra, formata dai più virtuosi musicisti americani, che diresse regolarmente fino al 1954 su radio e televisioni nazionali, divenendo il primo direttore d'orche-stra ad assurgere al ruolo di stella dei mass media. Nel 1946 Toscanini, settantanovenne, ritornò in Italia per dirigere lo storico con-certo di riapertura del Teatro alla Scala, ricordato come il concerto della libera-zione, dedicato in gran parte all'opera italiana, e probabilmente per votare a fa-vore della Repubblica. Quella sera dell'11 maggio il teatro si riempì fino all'im-

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possibile; il programma vide l'ouverture de La gazza ladra di Rossini, il coro dell'Imeneo di Händel, il Pas de six e la Marcia dei Soldati dal Guglielmo Tell di Rossini, la preghiera dal Mosè in Egitto sempre di Rossini, l'ouverture e il coro degli ebrei del Nabucco di Verdi, l'ouverture de I vespri siciliani e il Te Deum sempre di Verdi, l'intermezzo e alcuni estratti dall'atto III di Manon Lescaut di Puccini, il prologo e alcune arie dal Mefistofele di Boito. In quell'occasione esordì alla Scala Renata Tebaldi, definita da Toscanini "voce d'angelo". Il 5 dicembre 1949 venne nominato senatore a vita per alti meriti artistici, ma decise di rinunciare alla carica il giorno successivo. Mandò, da New York, un te-legramma di rinuncia all'allora presidente della Repubblica Luigi Einaudi:

È un vecchio artista italiano, turbatissimo dal suo inaspettato telegramma che si rivolge a Lei e la prega di comprendere come questa annunciata nomina a senatore a vita sia in profondo contrasto con il suo sentire e come egli sia costretto con gran-de rammarico a rifiutare questo onore. Schivo da ogni accaparramento di onorifi-cenze, titoli accademici e decorazioni, desidererei finire la mia esistenza nella stes-sa semplicità in cui l`ho sempre percorsa. Grato e lieto della riconoscenza espres-sami a nome del mio paese pronto a servirlo ancora qualunque sia l'evenienza, la prego di non voler interpretare questo mio desiderio come atto scortese o superbo, ma bensì nello spirito di semplicità e modestia che lo ispira… accolga il mio defe-rente saluto e rispettoso omaggio

Nel 1954 tenne con la NBC il suo ultimo concerto dedicato a Wagner. Morì nel 1957. Herbert von Karajan

[…] uno dei momenti fondamentali della mia formazione è stato il costante sforzo di capire com’è che certa musica a volte possa diventare volgare. E ho visto che è quasi sempre questione di tenere, o non tenere, troppo a lungo le note, o di lasciarsele sfuggire. In ogni caso è sempre da porre in relazione con qual-cosa che può essere cambiato, e questa è sempre stata una mia particolare osses-sione che risale alla prima volta che udii Toscanini dirigere la Lucia, quando venne a Vienna con la Scala. Ero ancora studente, e noi tutti sapevamo della sua venuta e ci preparammo all’evento prendendo la partitura, suonandola al pianoforte, discutendone tra noi e così via. E dopo aver esaminato la partitura, dichiarammo tutti che non riuscivamo a capire perché dovessimo perdere tanto tempo con un’opera così banale. Ma furono sufficienti due soli minuti dell’Ouverture diretta da Toscanini per con-vincerci dell’errore. Era in effetti lo stesso testo che avevamo studiato noi, ma era interpretato da lui con la stessa devozione e lo stesso scrupolo che avrebbe potuto profondere per il Parsifal!. E questo cambiò completamente il mio atteggiamento: nessuna musica è volgare, a meno che non sia suonata in modo che la renda tale. Accade la stessa cosa con tutte le manifestazioni di estetica, compreso il modo in cui si veste una donna: un minimo particolare di troppo, ed è il disastro17.

17 H.MATHEOPOULOS, Maestro, A.Vallardi/Garzanti, Milano 1983, p.236.

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L’austriaco Herbert (von) Karajan (1908-1989) è generalmente considerato uno dei più grandi direttori d'orchestra di tutti i tempi18. È ricordato come il direttore con il maggior numero di incisioni discografiche, in particolare con i Berliner Philharmoniker, che ha guidato per trentacinque anni lasciandoli nel 1989. Si era formato al Mozarteum di Salisburgo, dove era stato incoraggiato dal suo maestro Bernhard Paumgartner a studiare direzione d'orchestra anziché intra-prendere la carriera di pianista. La sua adesione al partito nazista19 ne determinò l'allontanamento forzato dalla scena musicale al termine della seconda guerra mondiale; in seguito diventò di-rettore principale della Philharmonia Orchestra di Londra dal 1949 al 1960, e nel 1954 approdò alla direzione dei Berliner Philharmoniker. Dal 1959 al 1964 ricoprì il ruolo di direttore artistico all'Opera di Vienna; fu ospi-te principale del Teatro alla Scala di Milano fino al 1964, Ospite dell'Orchestra RAI di Roma per alcune sporadiche performance e dal 1969 al 1971 fu il diretto-re principale dell'Orchestre de Paris. Nel 1967 fondò il Festival di Pasqua di Sali-sburgo. Perfezionismo estremo, capacità di ricerca e sperimentazione fecero di Karajan un interprete sempre all'avanguardia sia nei confronti del repertorio classico sia di quello contemporaneo. Il rapporto con i filarmonici berlinesi iniziò a degenerare pian piano quando egli impose l'assunzione della clarinettista Sabine Meyer al fianco di Karl Leister contro il voto orchestrale che non gradiva la presenza della Meyer a causa del suo timbro tipicamente solistico e non orchestrale (le donne erano già state ammesse in orchestra con la violinista Madeleine Carruzzo nel 1981). Il fatto che Karajan stesse pian piano sostituendo la filarmonica tedesca con quel-la viennese (ma in realtà le pessime condizioni di salute divennero un alibi) pro-vocò la rescissione in tronco del contratto di Karajan nel 1984, e da quel momento i Wiener Philharmoniker sostituirono i Berliner Philharmoniker in tutte le pro-duzioni video sino alla fine dell'estate del 1987. Ma i berlinesi attesero la morte del maestro per nominare il nuovo direttore (Claudio Abbado). Nonostante ciò Karajan continuò a esibirsi, dirigere ed incidere prolificamente: all'inizio del 1987 i Wiener Philharmoniker gli proposero di dirigere il celebre Concerto di Capo-danno, mentre nel 1988 diresse Ein deutsches Requiem di Brahms al Grosses Fe-stspielhaus.

18 Nel 2011 un sondaggio effettuato dalla rivista «Classic Voice» tra cento direttori collocò Karajan al terzo posto dopo Kleiber e Bernstein 19 In effetti Karajan si iscrisse al partito e ne trasse non pochi vantaggi in termini di carriera. Eb-be, però, anche rapporti burrascosi con Hitler e con altri esponenti del nazismo. Si può segnalarfe un incidente occorso nel 1940 a Berlino, durante una recita de I maestri cantori di Norimberga alla Staatsoper, in presenza del Führer che sedeva nel palco reale insieme a Eva Braun e del mi-nistro Göbbels. Il baritono Rudolf Bockelmann, che recitava la parte del protagonista Hans Sachs, sbagliò vistosamente un ingresso, forse a causa del fatto di non essere completamente sobrio. No-nostante la pronta reazione di Karajan, il falso ingresso chiaramente non passò inosservato e Hit-ler attribuì la colpa dell'errore al direttore, invitandolo a non dirigere più a memoria; nei succes-sivi concerti Karajan trovò la partitura sul leggio, ma si limitò a capovolgerla e continuò a dirige-re a memoria.

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L'ultima apparizione in pubblico risale al 23 aprile del 1989 nella sala d'oro del Musikverein con un'esecuzione della Settima sinfonia di Anton Bruckner insieme ai Wiener Philharmoniker, da cui in seguito venne tratta l'ultimissima sua inci-sione discografica. I critici e gli appassionati sono generalmente concordi nell'affermare che Karajan avesse il dono di saper estrarre un suono magnifico dall'orchestra. Le sue incisio-ni discografiche appaiono tecnicamente perfette, talvolta, talmente rigorose da apparire quasi asettiche. Criticato per le sue esecuzioni barocche, Karajan ha toc-cato uno dei suoi vertici interpretativi incidendo le nove Sinfonie di Beethoven. La prima integrale risale al 1952-1957 (EMI) con la Philharmonia Orchestra: la lettura è caratterizzata da una propensione per l'aspetto ritmico e nervoso di o-gnuna delle sinfonie, con il culmine emotivo posto non nell'ultima sinfonia, ma nella Settima, in cui il ritmo è evidentemente l'elemento principale di tutta l'in-terpretazione. La cifra interpretativa di questa prima integrale beethoveniana si può individuare nella baldanza ritmica e coloristica di un giovane direttore. Ma la vera maturità la si trova nell'integrale incisa per la Deutsche Grammo-phon, a capo dei Berliner Philharmoniker nel 1962; esse sono tuttora considerate un punto di riferimento per qualunque esecuzione, anche successiva. Va infine ricordato che Karajan giocò un ruolo importante nello sviluppo della tecnologia per la registrazione e la riproduzione audio in digitale (circa 1980). E-gli fu un convinto assertore di questa nuova tecnologia tanto che fu presente alla prima conferenza stampa che annunciava il nuovo formato. I primi prototipi di CD avevano una capacità di circa 60 minuti, ma una leggenda vuole che siano stati portati a 74 per adattarvi la Nona sinfonia di Beethoven diretta appunto da Karajan. Leonard Bernstein

Credo che la maggior parte dei direttori d’orchestra di oggi non pensano più al compositore quando dirigono… E invece ognuno di noi, in ogni concerto, dovrebbe sempre esser certo di avere alle spalle Beethoven o Mozart o Brahms, in modo da esser più responsabile di quel che vien fatto. Il direttore d’orchestra è un musicista alò servizio non solo della musica, in senso generale, bensì innanzitutto al servizio del Compositore. Certo non dimentichiamo che il direttore d’orchestra del nostro tempo ha acquisito un’importanza straordinaria nella vita della musica, quasi fino a sostituirsi al compositore…. Tuttavia, Mozart, Beethoven, Wagner, Cajkovskij di-rigevano loro stessi le proprie composizioni e la figura del musicista che si dedicava esclusivamente alla direzione d’orchestra era al loro tempo piuttosto rara. Oggi, invece, i compositore preferiscono che la loro musica sia diretta da altri, per tanti motivi. Di conseguenza ecco che il direttore d’orchestra diviene un elemento importante, direi persino fondamentale, della nostra vita musicale. Tutto passa at-traverso di lui. Ecco perché il direttore d’orchestra deve essere ancora più respon-sabile di prima: a lui è affidato il compito di sostituire il compositore sul podio. Ma il compositore resta il suo giudice ideale. Solo lui può dire se si dirige bene o male. Qual è il fascino della direzione d’orchestra? La continua messa in discussione di se stessi e delle proprie capacità. La musica si realizza secondo una serie interminabi-le di interrogativi, l’uno intrecciato all’altro: perché questo crescendo? E questo for-

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te che senso ha? Perché le battute qui devono procedere velocemente? Ecco, la mu-sica è un continuo interrogarsi cui noi diamo risposte che a volte nel tempo subi-scono variazioni, secondo la nostra vita e la nostra sensibilità. Il direttore d’orchestra deve rispondere ad ogni tipo di domanda e ogni risposta sottintende una spiegazione, perché è necessario spiegare la musica, oltre che saperla dirigere. Questa serie interminabile di domande e di risposte è proprio ciò che mantiene viva l’arte del dirigere.

Sono due riflessioni di Leonard Bernstein20 (1918-1990), uno fra i più versatili musicisti del nostro tempo. Leonard Bernstein, nato con il nome di Louis (Lawrence, 25 agosto 1918 – New York, 14 ottobre 1990), è stato un compositore, pianista e direttore d'orchestra-statunitense. Secondo il sondaggio tra cento famosi direttori d'orchestra pubblicato dalla rivi-sta Classic Voice nel dicembre 2011 è considerato il secondo più grande direttore d'orchestra di tutti i tempi dietro a Carlos Kleiber e davanti a Von Karajan e To-scanini. Artista di grande fama internazionale, è stato direttore della New York Symphony Orchestra, dell'Orchestra filarmonica d'Israele e direttore musicale della New York Philharmonic. Bernstein nasce a Lawrence, nel Massachusetts, nel 1918 da una famiglia di e-brei polacchi di Rovno. Si avvicina al pianoforte all'età di 10 anni. Frequenta la Boston Latin School, nel 1939 è alla Harvard University dove prende lezioni di teoria musicale e contrap-punto da Arthur Tillman Merritt e Walter Piston. A Filadelfia dal 1939 al 1941 frequenta il Curtis Institute of Music dove studia direzione d'orchestra con Fritz Reiner e orchestrazione con Randall Thompson. Presso il Berkshire Music Center a Tanglewood studia composizione musicale con Serge Koussevitzky (al quale fu assistente e poi successore) Nel 1943 Bernstein è nominato direttore assistente dell'Orchestra Filarmonica di New York, avendo l'occasione di mostrarsi al grande pubblico quando sostitui-sce in novembre il direttore Bruno Walter alla Carnegie Hall. Successivamente dal 1945 al 1947 è direttore della New York City Center Orche-stra. Fa la sua comparsa come direttore ospite presso altre orchestre negli Stati Uniti, in Europa e Israele, svolgendo un'intensa attività concertistica nei più im-portanti centri musicali del mondo, dedicandosi contemporaneamente alla com-posizione. Nel 1953 in due concerti, dove è anche pianista, diventa il primo americano a di-rigere a Milano l'Orchestra della Scala di Milano. Nello stesso anno alla Scala di-rige Medea di Cherubini con Maria Callas e Fedora Barbieri, nel 1955 dirige La Sonnambula con Maria Callas. Da lì inizia una intensa collaborazione non solo con la Scala ma anche con altri teatri italiani fra i quali la Fenice di Venezia, Nel 1957 debutta West side story che nel 1961 diventa un film di successo.

20 L.BERNSTEIN, Una vita per la musica – Conversazioni con Enrico Castiglione, Logos ed. , Roma 1991 p. 113 e p. 131

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Dal 1958 al 1969 Bernstein è direttore d'orchestra e direttore musicale dell'Or-chestra Filarmonica di New York, diventando il primo nato negli USA a ricoprire questi incarichi. Con questa orchestra svolge diverse tournée internazionali in America Latina, Europa, Unione Sovietica e Giappone. Accresciuta la sua popolarità attraverso le sue apparizioni non solo come direttore d'orchestra e pianista, ma anche come commentatore e intrattenitore, Bernstein intraprende progetti di sensibilizzazio-ne dei giovani ascoltatori dirigendo programmi televisivi come "Omnibus" e "I concerti dei giovani". Nel 1964 debutta al Metropolitan Opera House di New York dirigendo Falstaff di Verdi. Al Wiener Staatsoper dirige il Falstaff con Dietrich Fischer-Dieskau e Rolando Panerai nel 1966, la Sinfonia n. 2 di Mahler con Christa Ludwig nel 1967, Der Rosenkavalier con la Ludwig e Gwyneth Jones nel 1968, Fidelio con la Jones e Lucia Popp nel 1970. Al Metropolitan dirige Cavalleria rusticana con Grace Bumbry e Franco Corelli nel 1970 e Carmen con Marilyn Horne nel 1972. Nel 1989 ha diretto due esecuzioni storiche della Nona Sinfonia di Beethoven, a Berlino per celebrare la caduta del muro di Berlino. E’ stato tra i massimi inter-preti di Gustav Mahler, contribuendo molto alla cosiddetta Mahler renaissance che si sviluppò a partire dai primi anni sessanta. Le sue opere più note sono i musical On the Town (1944, film nel 1949), Wonder-ful Town (1953, filmo nel 1958), West side story (1957 trasposto in pellicola cine-matografica nel 1961), l’opera Candide (1956). Scrisse anche le partiture per i balletti di Fancy Free (1944), Fax (1946), e Dybbuk (1974), e ha composto le mu-siche per il film Fronte del porto (1954), per il quale ha ricevuto una nomination all'Oscar. Claudio Abbado

Prima di tutto conoscere veramente bene la partitura. Non ci sono limiti alla cono-scenza che se ne può acquisire! C’è sempre dell’altro da imparare. Il direttore deve sapere quanto è possibile scoprire su un compositore, e questo dovrebbe includere lo studio di ttte le sue opere, anche da camera e vocali, per acquistare un “senso” un’idea migliore del suo stile. Dovrebbe avere studiato composizione; dovrebbe es-sere in grado di suonare uno strumento; avere un buon senso del ritmo e una di-screta intonazione; una certa dose di psicologia; tenacia. E’ importantissimo amare ciò che si fa, avere passione per la musica, altrimenti il lavoro rischia di diventare routine e allora è la fine, è la morte. Dovrebbe anche capire e rispettare altri musi-cisti e cantanti che possono avere personalità diverse dalla sua. Questo è partico-larmente necessario quando si lavoro a un’opera, nella quale sono impegnate molte altre persone, oppure con i solisti. E’ impossibile, infatti, che due o più persone ab-biano la stessa, identica concezione di un dato lavoro, e i grandi solisti hanno gran-di personalità. Perciò un direttore deve capirli e comunicare con loro a un livello molto profondo.

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E’ una riflessione di Claudio Abbado raccolta da Helena Matheopoulos21. Claudio Abbado nasce a Milano nel 1933 da una famiglia borghese e ricca di sti-moli culturali: suo padre, Michelangelo Abbado, è insegnante di violino al Con-servatorio '"Giuseppe Verdi" di Milano e poi vicedirettore dello stesso; la madre, Maria Carmela Savagnone è pianista e scrittrice per bambini, suo fratello mag-giore, Marcello Abbado, è pianista e in seguito compositore e direttore dello stesso Conservatorio milanese. Ha anche altri due fratelli: Luciana Abbado Pestalozza, fondatrice del Festival di MilanoMusica, e Gabriele Abbado, architetto. Fino al 1955, compie i suoi studi presso il conservatorio meneghino, specializzan-dosi in composizione, pianoforte e direzione d'orchestra. Dopo il diploma, si perfe-ziona con Friedrich Gulda per il pianoforte e Antonino Votto per la direzione d'or-chestra. In seguito, si trasferisce a Vienna, avendo vinto una borsa di studio bi-ennale per i prestigiosi corsi di perfezionamento in direzione orchestrale di Hans Swarowsky. In questo stesso periodo riesce a farsi ammettere al coro della Gesellschaft der Musikfreunde, al fine di assistere alle prove dei maggiori direttori d'orchestra del mondo, fra i quali Bruno Walter, George Szell e Herbert von Karajan. Nel con-tempo partecipa ai corsi di perfezionamento dell'Accademia Chigiana di Siena, tenuti da Alceo Galliera (che dirigeva anche la Philharmonia di Londra) e Carlo Zecchi, dell'Orchestra Filarmonica Ceca. Nel 1958 vince a Tanglewood (USA) il concorso Koussevitzky della Boston Symphony Orchestra, che gli permette di fare il suo debutto americano con la New York Philharmonic. Nel 1959 debutta a Trieste come direttore sinfonico. Nel 1960 fa il suo esordio al-la Scala, dirigendo alcuni concerti tenutisi alla Piccola Scala e dedicati al terzo centenario della nascita di Alessandro Scarlatti. Nel 1963 conquista il prestigioso Premio Mitropoulos della New York Philharmo-nic (ex aequo con Pedro Calderon e Zdenek Kosler, direttori molto più anziani e affermati, al tempo). Il suo nome inizia a diffondersi anche al di fuori dello stretto ambito degli addetti ai lavori, tanto da essere invitato da Herbert von Karajan a dirigere i Wiener Philharmoniker al Festival di Salisburgo nella Sinfonia n.2 di Gustav Mahler; debutta con la stessa esecuzione alla Scala e con la London Symphony Orchestra. Nel 1965 dirige la première al Teatro della Piccola Scala di Milano di Atomtod di Giacomo Manzoni. La sua rapida carriera lo porta a firmare il suo primo contratto con il Gruppo U-niversal (al quale appartengono le etichette Deutsche Grammophon, Philips Classical e Decca). Nel 1966 dirige la ripresa al Teatro alla Scala di Milano di Ai-da di Giuseppe Verdi per la regia di Franco Zeffirelli con Leyla Gencer e Fiorenza Cossotto. Nel 1967 dirige la ripresa al Teatro Comunale di Firenze della Messa di Requiem di Giuseppe Verdi con Luciano Pavarotti e la prima rappresentazione al Teatro dell'Opera di Roma di I Capuleti e i Montecchi con Pavarotti. Il 7 dicembre ha l'onore di dirigere la serata di gala per l'apertura della stagione scaligera 1967/1968 con la Lucia di Lammermoor di Donizetti con Renata Scotto.

21 H.MATHEOPOULOS, op. cit., p.90.

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Nel 1968 la scelta per la Scala di un direttore giovane e relativamente poco noto, come Claudio Abbado, suscita scalpore. Soprattutto se pensiamo al fatto che, ne-gli anni precedenti, il Teatro alla Scala sembrava aver perso considerazione in-ternazionale ed era ritenuto un ambiente turbolento e inaffidabile. Scetticismo e dubbi rapidamente superati, soprattutto quando, nel 1972, gli si affianca come sovrintendente Paolo Grassi, andando a sostituire Antonio Ghiringhelli, che ave-va coperto l'incarico fin dal 1945. Per la carriera di Abbado, e per la storia del te-atro scaligero, è una rivoluzione copernicana: viene ampliato moltissimo il reper-torio, includendo autori come Alban Berg, Igor Stravinskij, Schönberg, in prece-denza raramente eseguiti. Addirittura il teatro commissiona e rappresenta prime mondiali di opere di autori contemporanei come, nel 1984, Samstag aus Licht di Karlheinz Stockhausen. Parallelamente al rinnovamento del repertorio, Abbado impone un rinnovamento dell'approccio alla partitura: approccio filologico ma non dogmatico, la ricerca e l'utilizzo di partiture originali, lo studio dell'esecuzione musicale dell'epoca si ac-coppiano con la ricerca di una musicalità spontanea ma non banale. Questo con-sente di risentire per la prima volta capolavori ben noti del repertorio tradiziona-le, così come di poter ascoltare brani di autori dei quali si conosceva solo parte della produzione (ad esempio la riscoperta del Rossini minore). Dal punto di vista sinfonico i cicli completi delle opere di Beethoven e Brahms so-no accoppiati all'esecuzione di autori all'epoca poco (o addirittura mai) eseguiti in Italia, come Mahler o Bruckner. Per questa operazione di "internazionalizzazio-ne" del cartellone sono sovente ospitati i maggiori direttori del panorama mondia-le, come Karl Böhm, Herbert von Karajan, Carlos Kleiber, Leonard Bernstein, Riccardo Muti, Georg Solti; talvolta alla guida delle rispettive orchestre, altre volte guidando l'Orchestra del Teatro alla Scala, destinata a trasformarsi da or-chestra prevalentemente operistica in orchestra sinfonica di caratura internazio-nale, come effettivamente accadde nel 1982 con l'istituzione ufficiale della Filar-monica della Scala. Parallelamente all'estensione del repertorio e alla sua reinterpretazione è molto importante l'opera di divulgazione del repertorio musicale che giunge, a partire dal 1972, alla creazione dei Concerti per studenti e lavoratori. Lo scopo dell'ini-ziativa è quello di avvicinare alla musica e alla vita del Teatro anche le classi so-ciali meno abbienti, con proposte e agevolazioni ad hoc. Il progetto, sviluppato sul modello di iniziative simili comuni nel Nord Europa, dura diversi anni e ha un successo notevole, godendo, fra l'altro, del contributo di numerosi musicisti di va-lore, come Maurizio Pollini, che offrono il loro appoggio incondizionato. Nel 1971 Abbado viene nominato direttore principale dei Wiener Philharmoni-ker, l’anno successivo viene eletto primo direttore ospite della London Symphony Orchestra. Nel 1978 fonda l'Orchestra Giovanile Europea (European Community Youth Or-chestra). Nel 1979 eletto direttore musicale della London Symphony Orchestra, con la qua-le inizierà ad approfondire (e a registrare) la grande musica sinfonica. Nel 1981 dall'orchestra giovanile europea nasce la Chamber Orchestra of Europe, della quale è stato fino alla sua scomparsa "artistic adviser". Si stringe ancor di

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più il suo legame con la Chicago Symphony, della quale diventa direttore ospite principale. Nel 1982 viene fondata l'Orchestra Filarmonica della Scala, destinata a costituir-si, col tempo, come corpo autonomo rispetto al Teatro. Nel 1984 al Rossini Opera Festival propone la prima ripresa in tempi moderni di Le voyage à Reims ou L'hôtel du Lys d'or di Rossini, con un cast stellare (Katia Ricciarelli, Cecilia Gasdia, Lucia Valentini Terrani, Bernadette Manca di Nissa, William Matteuzzi, Leo Nucci, Samuel Ramey e Dara per la regia di Luca Ronco-ni) e dirige a Venezia la prima mondiale del Prometeo di Nono. Nel 1986 Abbado lascia la direzione artistica della Scala, assume l’incarico di di-rettore musicale della Staatsoper di Vienna e fonda la Gustav Mahler Jugendor-chester. L'esordio in qualità di direttore artistico del teatro austriaco avviene ad ottobre con Un ballo in maschera che dirige con Luciano Pavarotti, Piero Cappuccilli e Margaret Price. Nel 1987 viene nominato direttore musicale generale della città di Vienna, incarico che prevedendo la supervisione dell'intero cartellone delle ini-ziative musicali nella capitale austriaca, gli consente quella libertà d'iniziativa e d'azione che, probabilmente, gli era venuta a mancare nell'ultimo periodo milane-se. Nel 1988 dirige il Concerto di Capodanno di Vienna e fonda il festival Wien Mo-dern, dedicato alla musica contemporanea. Dopo la prima edizione, al cartellone musicale vengono affiancate altre iniziative di carattere culturale e artistico (mo-stre d'arte, rassegne teatrali), con la collaborazione degli istituti culturale italia-ni, francesi e tedeschi. Con i Wiener Philharmoniker esegue l'integrale delle sinfonie e dei concerti per pianoforte di Beethoven, questi ultimi con Maurizio Pollini come solista. Alla fine dell'anno viene eletto direttore principale e artistico dai membri dell'Or-chestra Filarmonica di Berlino. È il primo direttore non austro-tedesco eletto da-gli orchestrali (il romeno Sergiu Celibidache era stato nominato ad interim dalle forze di occupazione nell'immediato dopoguerra). Sostituisce Herbert von Kara-jan, recentemente scomparso e per 35 anni padrone incontrastato dell'orchestra berlinese. Anche in questo caso l'impatto sulla stagione e, in generale, la vita culturale ber-linese è notevole: sull'onda delle iniziative per ristrutturare la capitale della nuo-va Germania riunificata, i Berliner Philharmoniker diventano uno dei fulcri di iniziative che coinvolgono tutte le forme d'arte. Inoltre, i Berliner Philharmoniker iniziano a commissionare nuove composizioni e a espandere il proprio repertorio verso la musica contemporanea. La prima stagione sinfonica è incentrata sulla fi-gura di Prometeo, con un programma eterogeneo che spazia da Beethoven a Luigi Nono. Nello stesso anno, allestisce il Boris Godunov e l'amato Wozzeck con la Chicago Symphony Orchestra. Nel 1992-93 organizza con la collaborazione di Natalia Gutman, la prima edizio-ne degli Incontri Berlinesi (Berliner Begegnungen), che permettono ai migliori giovani talenti, di confrontarsi con grandi artisti. L'anno 2001 s'apre con l'omaggio a Giuseppe Verdi, nel centenario della sua mor-te. Il 27 gennaio dirige a Berlino la sua Messa di Requiem. In seguito porta in

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tour a Roma e Vienna l'integrale dei concerti per pianoforte e delle sinfonie di Beethoven, con un'interpretazione filologica tuttora considerata rivoluzionaria. L'importanza di tale interpretazione è testimoniata dalla terza integrale beetho-veniana firmata Abbado che la Deutsche Grammophone pubblicherà nell'estate 2008, contenente registrazioni delle date romane. Nel 2004 inizia a dirigere l’Orchestra Mozart di Bologna. A Caracas e all'Avana, nel 2005, Abbado inizia a fare musica con l'Orquesta Si-món Bolívar, la cui attività si inserisce nell'iniziativa portata avanti da 30 anni da José Antonio Abreu in cui sono coinvolti 400.000 giovani musicisti, tanti dei quali provenienti dal mondo poverissimo dei barrios, a cui è stata data la possibi-lità di ricevere degli strumenti musicali e un'adeguata educazione. Nei primi anni del terzo millennio ha fondato orchestre giovanili a Cuba e in Ve-nezuela (dove fu amico di Castro e Chávez). Nel settembre 2012 dirige con successo a Ferrara un concerto con Maurizio Polli-ni e l'Orchestra del Festival di Lucerna per un concerto di beneficenza per il ter-remoto (tutto esaurito). Il 30 agosto del 2013 viene nominato senatore a vita dal Presidente della Repub-blica Giorgio Napolitano. Da tempo malato muore il mattino del 20 gennaio 2014 all'età di 80 anni nella sua abitazione di Bologna. Una riflessione di Zubin Mehta22 Ho imparato il mestiere di direttore dal leggendario Hans Swarosky a Vienna; le cose principali che mi ha insegnato sono state la disciplina e la fedeltà all’originale. Noi giovani studenti restavamo quindi estremamente sorpresi, quando ci rendevamo conto che quei due principi basilari non avevano affatto va-lidità universale nella pratica, mi capitava di ascoltare cose che nella partitura avevo letto in tutt’altro modo. […] Ora naturalmente si pone la domanda: che co-sa si intende esattamente per fedeltà all’originale? Per chiarirlo, mi piace ricorre-re al paragone con un antico dipinto che venga liberato dalla vernice protettiva che li era stata applicata in passato, in modo che a ogni strato che viene tolto si distingua sempre di più il soggetto originale. […] Riportando la similitudine alla musica la vernice rappresenta la pratica – abituale in molti direttori della fine dell’800 e dei primi del ‘900- di fare dei veri e propri interventi sulla musica, da cui ebbero origine nuove abitudini di ascolto, che a loro volta si sono radicate e sono modificabili solo a prezzo di grandi sforzi. […] Toscanini fu il primo ad insi-stere che si doveva lavorare sull’originale e suonare solo ciò che era nelle inten-zioni del compositore, dunque senza apportare ritocchi o completamenti o addirit-tura ampliamenti. […] L’arte del dirigere consiste nel fornire l’ispirazione ma sempre e soltanto con la necessaria disciplina. La passione pura non deve mai avere il sopravvento, non può essere ammessa nessuna sfrenatezza; l’anarchia e l’ispirazione in questo senso sono la morte di qualunque musica.

22 Z. Mehta, La partitura della mia vita, Excelsior 1881, Milano 2007, pp. 299-301.

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