il divo di paolo sorrentino. la grandezza dell'enigma

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Un grande regista e un grande film, dedicato a una delle figure più controverse della storia italiana: Giulio Andreotti. Un libro ne analizza tutti i risvolti e le implicazioni. Con una intervista inedita all'autore

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FALSOPIANO CINEMA

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EDIZIONI FALSOPIANO

ILDIVOla grandezza dell’ nigm

a cura di Paolo Parachini/Andrea Chimento

e a

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© Edizioni Falsopiano - 2012via Bobbio, 14/b

15100 - ALESSANDRIAhttp://www.falsopiano.com

Per le immagini, copyright dei relativi detentoriProgetto grafico e impaginazione: Daniele Allegri - Roberto Dagostini

Stampa: Arti Grafiche Atena - VicenzaPrima edizione - Dicembre 2012

Ringraziamenti

Un ringraziamento speciale va a tutte le persone che hanno partecipato a questo progetto: oltrea tutti i saggisti, grazie a Domenico Gullia, per averci stimolato con le sue riflessioni sul film,e a Klara Murnau per aver reso possibile la realizzazione delle interviste. Grazie a PaoloSorrentino, Teho Teardo e Cristiano Travaglioli per la loro straordinaria disponibilità. Infine,grazie a tutti coloro che, con grande pazienza, hanno atteso l’uscita di questo volume.

In copertina: Un’immagine de Il Divo

In collaborazione con

RC San Donato MilaneseDistretto 2050 del Rotary International

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INDICE

Antologia estratti interviste a Paolo Sorrentino p. 11

Analisi delle sequenze p. 15

Prefazione. Paolo Sorrentino e la scuola napoletana di Andrea Bruni p. 23

Introduzione. Quel “salotto buono” della politica di Roberto Lasagna p. 25

Il divo e il contesto: storia, regista e registi p. 29

Il divo: tra storia e cinema di Paolo Parachini p. 29

Il grigiore dell’enigma - Il cinema face to facecon la Storia ne Il divo di Paolo Sorrentino di Lorenzo Conte p. 49

Modulazioni: Sorrentino prima (e dopo) Il divo di Alessandra Mallamo p. 65

Il divo nel contesto della contemporaneità di Nicolò Barretta p. 73

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Il divo e i divi: Servillo e la sua corrente p. 79

Toni Servillo: Il divo in più di Attilio Palmieri p. 79

Drammaturgia del reale: percorsi d’interpretazione attoriale di Nicolò Barretta p. 85

Il divo e il cinema: fra citazione e audiovisione p. 93

Lo specchio e lo spettro: Il divo nel paese delle meraviglie di Stefano Lorusso p. 93

Combinazione di immagini e suoni: Il divo come concerto audiovisivo di Andrea Chimento p. 105

Il divo e lo spettacolo del potere: dalla maschera del personaggio all’esperienza dello spettatore p. 117

Le maschere di Sorrentino: il mostro, il moloch, la rockstar di Camilla Maccaferri p. 117

Citazioni, analogie e atti illocutori per una pragmatica del testo di Luciano Orlandini p. 127

Volontà di potenza - Il divo e i divinizzati, allitterazioni fra Sorrentino e Sokurov di Francesco Romeo p. 141

Note p. 155

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Interviste a cura di Erica Francesca Bruni, Andrea Chimento e Paolo Parachini p. 167

Paolo Sorrentino p. 169

Teho Teardo p. 171

Cristiano Travaglioli p. 173

Postfazione. Note a margine di Luciano Orlandini p. 175

Biografie degli autori p. 182

Bibliografia p. 185

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Paolo Sorrentino

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ANtologIA EStrAttI INtErvIStE A PAolo SorrENtINo

Sorrentino su Il divo

Detesto quelli che sostengono che i registi non dovrebbero mai prender posizio-ne. È un alibi, e mi sono stancato di sentirlo dire, io credo che una posizionebisogna prenderla, soprattutto quando in un modo o nell’altro si affrontano fattiche coinvolgono molti. In altri Paesi in cui ci sono stati dei misteri si è poi giun-ti ad una verità. Da noi i misteri sono ancora tali, ed è meno facile farne un film.

Ho fatto di tutto per spettacolarizzare qualcosa, in senso alto, che avevo paurafosse noioso. Allora ho lavorato molto sul montaggio e il suono.

Lavare i panni in piazza era un’espressione molto cara ad Andreotti, ultima-mente ripresa da qualche avvenente e spregiudicata ragazza. Cito Gramellini nelrispondere che i film non sono depliant turistici. La bellezza non è nelle collinetoscane, come la bruttezza non è a Scampia.

È stato doloroso tagliare la scena in cui Andreotti dichiara di aver fatto di tuttoper non far scarcerare i boss mafiosi con un decreto dell’ultimo minuto. Tagliarequella scena, che era venuta male, era amputargli un’autodifesa, e in qualchemodo ho voluto rimediare compensando. In questo film se facevi un taglioAndreotti sembrava un santo. Ne facevi un altro e appariva un demonio.

Grazie alla disponibilità dei produttori, stavolta mi è stato concesso tutto iltempo che occorreva per curare il sonoro. Questa è una cosa per niente sconta-ta nel cinema, dato che il suono, il missaggio, è l’ultima fase della lavorazionee dunque arriva quando i soldi stanno per finire e allora si deve fare tutto in unasettimana. Invece per garantire la qualità di un film è necessario curarne tutti gliaspetti, e il suono è uno di questi. Dopo la scrittura, il suono è la fase in cui sipossono fare più cose dal punto di vista creativo, è un universo infinito di sco-perte. Si potrebbe stare tutta la vita a missare e sonorizzare un film.

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La mia speranza è che lo vedano i giovani, molti di quelli di una certa età cono-scono bene le cose; il film non vuole rivelare delle cose, piuttosto si limita asistematizzarle e a raccontarle in maniera più ordinata, meno frammentaria, e arispolverare un’attenzione verso cose che sono state dimenticate. Però il film èmolto diretto ai giovani, ha un impianto stilistico che va in quella direzione, c’èun tentativo ostinato di spettacolarizzare ciò che non può essere spettacolo, per-ché è abbastanza arduo provare a credere che la Dc possa essere qualcosa dispettacolare, è qualcosa di anticinematografico.Il film ha due registri diversi ma che secondo me si sposano, perché a un certopunto la storia cambia. All’inizio c’è una iconografia del potere che io vedo,come penso un po’ tutti, come una cosa a sé stante, misteriosa, irraggiungibile,almeno per quelli che non sono interni al palazzo. La fruizione estetica su quel-la prima parte trova maggiori appigli e anche il personaggio si caratterizza perl’immobilismo, per la sua grande capacità di tenere fermo tutto, di fare passiminimi. C’è una messa in scena dell’istituzionalizzazione del potere. Poi le cosecambiano perché per la prima volta qualcuno costringe Andreotti ad abbando-nare questo immobilismo; nel momento in cui viene tirato dentro per mafia, pro-prio quando pensava che invece poteva durare a vita questo immobilismo,dovendo lui entrare nella realtà delle cose e sporcarsi le mani anche il film entranella realtà e si asciuga nell’aspetto più estetico. È uno stile che va di pari passocon la trama del film.

Non esiste un buon film che non tratti temi critici. L’unico che può mettere d’ac-cordo è Frank Capra. […] I film buoni sono quelli che pongono una riflessione,un ragionamento stilistico su qualcosa.

La gente si è concentrata più sull’aspetto stilistico e moderno del film che sullasterile polemica che si poteva cavalcare e sbandierare. Certo poi il film ha divi-so nel senso che ha indignato i sostenitori di Andreotti, qualcuno lo ha trovatoinvece preciso ma altri ancora, addirittura, lo hanno trovato troppo indulgentenei confronti di Andreotti, cioè avrebbero voluto un attacco ancora più sferzan-te e unilaterale. Ma questo non era il mio obiettivo, l’attaccare Andreotti, sem-mai era quello di raccontare un uomo in tutte le sue sfumature.

È presente un discorso molto alto, su bene e male, menzogna e verità. Il film nonè né troppo morbido né troppo duro, prova ad essere più complesso. Nellasostanza il film si mette a traino del personaggio; dato che il personaggio è deli-beratamente ambiguo, e per anni non ha fatto altro che alimentare l’ambiguitànei suoi confronti perché probabilmente riteneva che fosse una strategia utile peril mantenimento del successo, il film gli va dietro. Di fronte ad un personaggio

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ambiguo il film conserva una sua ambiguità, tranne in una scena, quella delmonologo […], in cui mi sembra sia abbastanza chiaro quel che penso tra veritàe menzogna.

Sorrentino su Andreotti

Andreotti ha sempre alimentato il mistero intorno a sé, ma è anche riuscito adaccreditarsi come un buon padre di famiglia presso molti italiani. Volevo comun-que evitare i cliché, buono o cattivo, ma raccontare il personaggio a tutto tondo,esplorando luci e ombre. Oltre al suo grande cinismo emergono i tratti umani.

Prima di procedere alla scrittura ho chiesto di incontrarlo anche perché mi sem-brava corretto dirgli che avrei fatto un film su di lui. Poi ho cominciato a con-sultare il materiale a disposizione che è vastissimo, ho raccolto le testimonianzedi chi lo ha conosciuto e ha lavorato con lui. Avremmo potuto documentarciancora di più ma alla fine ho detto basta, mi sembrava che potesse essere con-troproducente, che si rischiasse il documentarismo, proprio quello che non vole-vo fare.

Nelle due volte in cui ci siamo visti lui ha parlato per tre ore senza raccontarenulla di significativo. Lui è un grande conversatore, salta da un argomentoall’altro, e poi, proprio mentre tu magari ti stai assopendo se ne esce con unafrase che vuole farti capire che lui ha accesso a un mondo a cui tu non accede-rai mai. Ci tiene a farti intuire che questo mondo, magari, tu non sai neanche cheesiste. Sa farti capire che lui le cose le sa con largo anticipo. La percezione diaverlo sentito parlare per ore senza aver cavato un ragno dal buco è qualcosache è capitato a molti giornalisti. Tanto materiale da sbobinare per poi accor-gersi che non c’era niente su cui scrivere un pezzo.

Andreotti è un personaggio molto sfaccettato, è reale ma allo stesso tempo grot-tesco, è amabile, gentile ma anche freddo e cinico, non c’è contraddizione chenon alligni in lui. Certe atmosfere espressioniste presenti nel film io le ho vistequando sono andato a trovarlo nel suo studio: erano le dieci di mattina, c’era unsole che spaccava le pietre, ma noi eravamo immersi nel buio quasi completo,perché lui aveva chiuso tutte le tapparelle.Quando ho cominciato a scrivere ho pensato che bisognasse evitare di rappre-sentarlo come Nosferatu, un’idea piuttosto semplice. Quando sono andato a tro-vare Andreotti, tutte le persiane erano chiuse, ed era mattina; c’era una stranapenombra, ho pensato che veramente si muovesse in luoghi di penombra, e visto

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come cammina scivolando, assume una strana connotazione, un po’ misteriosa.Se c’è stato un virare verso un personaggio “horror” è perché, in qualchemaniera, questo è riscontrabile, guardando Andreotti.

Andreotti è un uomo politico che riceve Reagan e nello stesso giorno non haalcun problema ad andare a presentare un suo libro al Piper; nessuno mette indubbio il suo senso dello Stato eppure va in crociera e si fa fotografare con unsalvagente addosso, e tutto assume un aspetto immediatamente farsesco.Andreotti, però, non si è mai screditato, e malgrado tutto riesce a mantenere lastraordinaria qualità di essere credibile nei contesti in cui deve esserlo.

Nella misura in cui, essendo stato per tanti anni al potere, [Andreotti] ha unaramificazione di amicizie e di persone che gli sono grate, che hanno fatto impor-tanti carriere grazie a lui. Ovviamente la Democrazia Cristiana non c’è più, maqueste persone sono sparpagliate a macchia di leopardo ovunque nel paese e inposti chiave, anche nel cinema. Paradossalmente ora c’è una sorta di potere chenon è più concentrato ma è diffuso, da parte degli ex uomini della Dc. Un pote-re anche trasversale, perché non tutti sono confluiti nel centrodestra, ma sonoanche nel centrosinistra. E questo fa sì che molti, vuoi per gratitudine, vuoi perrispetto, vuoi per amicizia nei confronti di Andreotti, non avevano alcuna inten-zione di fare una cosa [finanziare il film] che andasse contro la sua volontà.

Studiare Andreotti è come studiare la storia d’Italia e quindi mi sono ritrovatocon una quantità di materiale enorme. Mi sono destreggiato e poi mi sono fattoaiutare nelle ricerche dal giornalista Giuseppe D’Avanzo, con il quale sonoamico, lui mi ha aiutato ad orientarmi soprattutto sulle questioni giudiziarie.

Pensavo che dopo aver visto il film, [Andreotti] si fosse preparato una delle suesolite battute per liquidarlo con il suo tagliente sarcasmo. Invece è stato moltosorprendente in quella sua reazione, lui che per anni a qualunque attacco digiornale aveva sempre reagito con una calma ammirevole. Invece in questo caso,a novanta anni, ha perso le staffe. Questo lo imputo alla forza che ha il cinemacome mezzo di comunicazione rispetto agli altri media. Cioè essendo il cinemaun mezzo di comunicazione che gioca sull’emotività molto di più di un articolodi giornale o di un libro, dal punto di vista emotivo lo ha scalfito.

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Analisi delle sequenze

Sequenza 1 (2’15’’)Al termine del “glossario italiano” e della citazione di Rosa Falasca Andreotti,vediamo Giulio Andreotti intento a scrivere le sue memorie mentre cerca di com-battere l’emicrania con un rimedio cinese.

Sequenza 2 (2’23’’) Vengono mostrate in sequenza le morti di Roberto Calvi, Michele Sindona, MinoPecorelli, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Giorgio Ambrosoli, Aldo Moro e GiovanniFalcone.

Sequenza 3 (4’10’’) Roma, inizio anni novanta. Giulio Andreotti, appena sveglio, prende due aspiri-ne, passeggia per casa e si mette a pedalare sulla cyclette. La sua segretaria, lasignorina Enea, è in autobus diretta in ufficio.Andreotti esce di casa e, scortato da guardie armate, si dirige verso una chiesadove si mette a pregare prima di chiedere al parroco di confessarlo.

Sequenza 4 (4’43’’) Andreotti è in ufficio con la sua segretaria, mentre sta arrivando la sua “corrente”.È il giorno in cui nasce il settimo governo Andreotti e il nuovo Presidente delConsiglio lo inaugura scambiando alcune chiacchiere con i membri della corren-te mentre gli viene fatta la barba.

Sequenza 5 (1’47’’) Andreotti entra in Quirinale, attraversa i corridoi quando si trova davanti un gattobianco che gli sbarra la strada.Dopo aver battuto le mani alcune volte per farlo spostare, il gatto si muove eAndreotti prosegue il suo cammino fino ad arrivare a stringere la mano alPresidente della Repubblica Francesco Cossiga.Al termine della sequenza vediamo un uomo in manette seduto su una vetturadella polizia: è il primo di una serie di personaggi che compaiono brevementeche si riveleranno essere in seguito dei pentiti di mafia.

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Sequenza 6 (1’11’’) Il VII governo Andreotti viene fotografato dai giornalisti.

Sequenza 7 (1’22’’)Una donna francese va in visita da Andreotti. La segretaria Enea le spiega diguardargli le mani per capire quello che egli sta pensando.

Sequenza 8 (1’42’’) Enea torna a casa in autobus mentre Andreotti è con la moglie Livia Danese acasa di Cirino Pomicino che ha dato una festa. I coniugi Andreotti, mentre lafesta prosegue, se ne vanno a mezzanotte perché il giorno dopo Giulio deve par-tire per Mosca.

Sequenza 9 (2’15’’) Dopo essere stato in visita dai capi di stato russi al Cremlino, Andreotti è nellasua stanza d’albergo e telefona alla moglie a Roma.Va a letto e prima di addormentarsi rievoca nella sua mente le parole di AldoMoro prima che venisse ucciso.

Sequenza 10 (4’21’’) Andreotti nei suoi uffici parla con Pomicino. In seguito arriva Salvo Lima cherimane pochi secondi, mentre Andreotti è al telefono, prima di andarsene viapreoccupato.Infine, riceve la donna francese vista in precedenza. Della loro conversazionesentiamo soltanto una parte, ma si capisce che Andreotti le ha dato dei consiglisulla sua vita coniugale e sentimentale.

Sequenza 11 (1’56’’) Attraverso l’uso del montaggio parallelo vediamo le immagini di due uomini inmotocicletta che rincorrono e uccidono Salvo Lima che si alternano a quelle diun ippodromo con i cavalli al galoppo mentre Andreotti e la moglie sono in tri-buna a seguire la gara.

Sequenza 12 (1’47’’) Andreotti riceve da Vincenzo Scotti la notizia della morte di Lima.

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Sequenza 13 (3’47’’) Un vescovo parla dal suo altare di fare giustizia e di colpire sia gli esecutori chei mandanti dei crimini mafiosi. Andreotti è seduto in automobile diretto nuova-mente in chiesa per confessarsi. Con il parroco parla prima di Moro e poi del suosogno di arrivare alla presidenza della Repubblica.

Sequenza 14 (1’24’’) Andreotti è con quelli che chiama i suoi “vecchi elettori”: persone in apparenzapovere a cui offre soldi e regali in cambio di probabili favori.

Sequenza 15 (1’32)Vittorio Sbardella discute con Pomicino e decide di abbandonare la corrente diAndreotti per passare dai dorotei.Su un aeroplano intanto due bambini guardano un uomo in manette che si rive-lerà poi essere un secondo pentito di mafia.

Sequenza 16 (4’27’’) Seconda festa organizzata da Pomicino. Arriva la donna francese con il marito eAndreotti li guarda ballare da lontano.Mentre la festa prosegue Andreotti e la sua corrente sono riuniti a un tavolo ingiardino: qui Andreotti annuncia ufficialmente di candidarsi a Presidente dellaRepubblica.Al termine della serata Andreotti rimane solo con Franco Evangelisti che gliregala un orologio.Su un’autovettura della polizia c’è un terzo uomo in manette che viene sorve-gliato da alcune guardie armate.

Sequenza 17 (1’10’’) È il giorno in cui viene eletto il Presidente della Repubblica. Andreotti si alzaall’alba e la moglie gli augura: “in bocca al lupo”. Un chierichetto intanto bene-dice con l’acqua santa i corridoi del Quirinale e la camera dei deputati.

Sequenza 18 (7’50’’) I politici radunati in parlamento si scagliano l’uno contro l’altro. Sia Andreottiche Arnaldo Forlani (esponente di un’altra corrente della DC) vogliono candi-darsi alla presidenza della Repubblica. Pomicino e gli altri membri della corrente di Andreotti cercano di convincere glielettori a votare per il loro leader.

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I politici votano e, mentre Andreotti rimane impassibile, viene eletto Oscar LuigiScalfaro come nuovo Presidente della Repubblica.

Sequenza 19 (1’37’’)Andreotti prosegue le sue memorie: pensa alla madre, alle volte che ha piantonella sua vita e nuovamente ad Aldo Moro.In seguito guarda, insieme alla sua corrente, alla televisione una donna che pian-ge per la morte dei propri cari uccisi dalla mafia.

Sequenza 20 (5’53’’) Vengono mostrati una serie di suicidi di politici e imprenditori, al termine deiquali inizia una lunga intervista che Eugenio Scalfari fa a Giulio Andreotti: i temitrattati sono la politica, la corruzione e tangentopoli.

Sequenza 21 (1’33’’) Totò Riina viene fotografato in carcere. Sotto la pioggia Andreotti è nella suaautomobile pronto a uscire scortato dai suoi uomini.

Sequenza 22 (9’5’’) Giancarlo Caselli, procuratore di Palermo, ascolta la confessione di FrancescoMarino Mannoia, pentito di mafia, che parla dell’organizzazione mafiosa e dellaP2. Oltre a lui sentiamo le confessioni degli altri due ex-mafiosi apparsi breve-mente in precedenza.Alternata a queste, la segretaria Enea interrogata in tribunale parla di Licio Gellie della altre figure citate dai pentiti di mafia.Si parla anche degli omicidi del generale Dalla Chiesa, di Mino Pecorelli e delsequestro Moro che, secondo le parole di un pentito, coinvolgevano direttamen-te l’onorevole Andreotti. Le confessioni aumentano e si parla di Salvo Limacome contatto di Andreotti con Cosa Nostra.Parla poi Balduccio Di Maggio, ex-autista di Totò Riina, che racconta di unincontro fra Riina e Andreotti avvenuto tempo prima.

Sequenza 23 (2’43’’)Andreotti cerca conforto dalla moglie Livia: i due alla ricerca di qualche attimodi serenità in un momento tanto difficile ascoltano «I migliori anni della nostravita» di Renato Zero alla televisione.

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Sequenza 24 (2’18’’) Andreotti di fronte alla cinepresa si confessa. Si rivolge a Livia, ricorda imomenti passati insieme e rivela, a lei e al pubblico, i crimini che ha compiuto.

Sequenza 25 (1’57’’) Andreotti non riesce a dormire, cammina inquieto avanti e indietro nei corridoidi casa. Rammenta nuovamente le parole che Aldo Moro gli rivolse prima diessere ucciso.

Sequenza 26 (1’13’’) La signorina Enea, ormai priva d’incarichi, è pronta a passare gli ultimi annidella sua vita in campagna. Mentre mette via le cose dal suo ufficio parla conFranco Evangelisti, al quale mostra le lettere d’amore che tante donne hannoscritto ad Andreotti in passato e che lei non gli ha mai fatto vedere.

Sequenza 27 (1’50’’)Andreotti viene mostrato nella sua solitudine: in Quirinale, a casa, su un’auto-mobile. Si prepara a essere interrogato.

Sequenza 28 (1’20’’) Durante l’interrogatorio di fronte alla giunta del Senato per le autorizzazioni aprocedere, Andreotti nega ogni possibile contatto con la mafia.

Sequenza 29 (3’39’’) Andreotti è in chiesa a pregare, Livia è venuta a dargli conforto. Tutti i membridella sua corrente sono stati presi dalla polizia con l’accusa di tangenti.Andreotti entra nel confessionale e ci viene mostrato un secondo interrogatoriodi fronte alla giunta dove nega contatti con la P2 e parla del rapimento di AldoMoro.

Sequenza 30 (0’46’’) Andreotti è in Vaticano, salutato e applaudito dai cardinali e da FrancescoCossiga, seduto accanto a lui.Un giovane gli si avvicina e gli comunica che la giunta ha dato l’autorizzazionea procedere: il processo si farà.

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Sequenza 31 (1’24’’) Aula bunker di Rebibbia. Totò Riina risponde vagamente ai giornalisti che pro-vano a porgli domande sul suo rapporto con Andreotti.

Sequenza 32 (1’51’’) Franco Evangelisti è in ospedale: racconta a un giornalista di un manoscritto, cheapparteneva a Moro, che il generale Dalla Chiesa doveva consegnare adAndreotti.Andreotti è in procura di fronte all’ex-autista di Riina e nega nuovamente i suoicontatti con il boss mafioso.

Sequenza 33 (2’28’’) Di fronte alla salma di Evangelisti, Andreotti parla brevemente con la signorinaEnea.Torna a casa con Livia che gli prepara la cena.Andreotti va in bagno e vede nello specchio Aldo Moro, la sua vera ossessione,la cui morte non potrà mai dimenticare.

Sequenza 34 (3’15’’) Andreotti è a colloquio con Cossiga. Quest’ultimo gli dice che hanno lasciatouccidere Moro: quella verità che Andreotti cerca di nascondere dentro di sé.A Cossiga confessa il suo più grande segreto: la passione per Mary Gassman,sorella di Vittorio.

Sequenza 35 (0’45’’) Andreotti è a tavola con tutta la sua famiglia alla quale dice che sta per iniziareil processo di Palermo e che si difenderà con tutte le sue forze.

Sequenza 36 (1’58’’) Di fronte a tanti giornalisti che lo intervistano e lo fotografano, Andreotti parladella mafia e del processo che sta per iniziare.

Sequenza 37 (3’3’’) Giornalisti e fotografi si preparano per il processo. Rino Formica, il generaleMaletti e Franco Coppi dicono la loro su Andreotti. Eugenio Scalfari detta al telefono alcune parole per un articolo.Andreotti parte per Palermo.

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Sequenza 38 (3’12’’) Nella sua camera d’albergo Andreotti telefona a Livia. Esce dalla stanza e scor-tato arriva in tribunale e prende posto.In attesa che inizi il processo, mentre una lacrima sembra attraversargli l’occhiodestro, pensa nuovamente alle parole accusatorie contro di lui pronunciate daAldo Moro prima che venisse ucciso.

Titoli di coda in cui viene raccontato il processo di Palermo e gli eventi che nesono seguiti.

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Paolo Sorrentino e la scuola napoletanadi Andrea Bruni

L’oro di Napoli

Napoli è sovente voragine di senso e vertigine. Una sussultante dicotomia,una crasi tutta cuore e stomaco domina dalle pendici del Vesuvio.

Napoli è Mario Merola ed Enzo Moscato. È la scabra sagacia di Eduardo deFilippo e la propensione all’abisso di Curzio Malaparte. È il Principe AntonioFocas Flavio Angelo Ducas Comneno De Curtis di Bisanzio Gagliardi, altezzaimperiale, conte palatino, cavaliere del Sacro Romano Impero, esarca diRavenna, duca di Macedonia e Illiria, principe di Costantinopoli, di Cilicia, diTessaglia, di Ponto, di Moldavia, di Dardania, del Peloponneso, conte di Cipro ed’Epiro, conte e duca di Drivasto e di Durazzo, come è il Principe di SanseveroRaimondo di Sangro, raffinato alchimista, celebre col nome di Rosa d’OrdineMagno negli ambienti massonici.

È Lacrime napulitane di Ciro Ippolito e Teatro di guerra di Mario Martone. Una rutilante Ronde sempre in bilico tra Apollo e Dioniso, scissa tra Miseria

e Nobiltà.

I Vesuviani

Nel 1997, al Festival del Cinema di Venezia, fra gli addetti ai lavori e i cine-fili da trincea serpeggiava una tangibile curiosità per la presentazione de IVesuviani, Manifesto collettivo della New Wave napoletana (Mario Martone,Pappi Corsicato, Antonio Capuano, Stefano Incerti, Antonietta De Lillo) di cui èla potenziale summa teorica. La proiezione per la stampa venne accolta da unimbarazzato silenzio, per certi versi più agghiacciante di un sano fischio: IVesuviani erano atterrati in malo modo sul suolo cinephiles... L’idea di racconta-re una città attraverso i vetri colorati del Realismo Magico si è inceppata al primolivello: Corsicato (La stirpe di Iana) sceglie la carta del “trash da Fuori Orario”e precipita le Amazzoni à la Russ Meyer in un delirio a base Kung fu e pumma-rola; Capuano (Sofialorén) tenta di sposare il cinema in forma di poesia ma nonva oltre il santino pasoliniano; Martone - come se l’autore de Le ceneri diGramsci fosse il Nume Tutelare dell’operazione stessa - “osa” partire daUccellacci e uccellini per inscenare la confusione ideologica del neo-sindacoBassolino. Un film orgogliosamente fallimentare, illuminato da improvvise lam-pare, ma anche la prova che la tanto sbandierata “scuola napoletana” altro nonera che una fucina di singoli talenti eccentrici, ben lontani da un’idea di proget-tualità condivisa.

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L’uomo in più

Restando nell’ambito lidense, che - nonostante le bordate dei giornali e l’o-scena “concorrenza” romana - resta sentina di perle cinematografiche e celluloi-dee suggestioni, va ricordata un’altra pellicola nata in seno a Napoli, accolta alFestival con ben altro spirito: correva l’anno 2001, nella sezione parallela“Cinema del presente”, veniva proposto L’uomo in più, opera d’esordio di PaoloSorrentino, di cui solo i più raffinati ricordavano alcuni ragguardevoli cortome-traggi (fra cui spicca L’amore non ha confini, 1998). L’autore di queste righe nonpuò dimenticare l’applauso scrosciante che accolse la suddetta pellicola allaproiezione per la stampa. Non può dimenticare i capannelli di entusiasti che,all’uscita dalla sala, glorificano il talento di codesto esordiente: “Ecco finalmen-te un autore italiano che riscopre il piacere della narrazione!”, “Anche l’Italia hail suo Paul Thomas Anderson!”, “È vero! Bellissimo quel piano sequenza!”,“Sentiremo parlare a lungo di questo regista!”

Parole dettate dall’entusiasmo della visione, ma assolutamente profetiche:senza tema di dubbio, da anni, nel boccheggiante panorama italico, stracolmo diminimalismi da tinello e di piagnistei generazionali, non si registrava un esordiocosì eccitante. Ma in cosa consiste la peculiarità di Sorrentino? Cosa lo contrad-distingue (e lo eleva) rispetto alla media dei giovani colleghi? Probabilmente lasua coerenza. Stilistica e narrativa.

Date ad un giovane regista italiano una storia di casalinghi orrori come quel-la de L’amico di famiglia e ne verrà fuori un Mélo da prima serata televisiva.Date la stessa storia a Sorrentino e ne sortisce un sorprendente noir imploso ovei personaggi, divisi fra livide albe e letti cincischiati alla Lucien Freud, sono inca-stonati negli spazi dell’azione con kubrickiana precisione.

Questo libro, che raccoglie alcune delle più belle penne della nuova cinefilia,cresciute nel vitale mondo dei cinebloggers, intende essere un omaggio a questostraordinario talento che ci lascia ben sperare per il futuro del cinema italiano: unnapoletano verace che, solo con la precisione del proprio tagliente sguardo, rie-sce a trasfigurare ogni Dramma nel Parnaso dell’Idea, della Pura Astrazione.Tornano alla mente le parole del grande pittore Giapponese Hokusai che, parlan-do della sua opera, scrisse: «Sin dall’età di 6 anni avevo la mania di disegnare laforma degli oggetti. Verso i 50 avevo pubblicato un’infinità di disegni, ma tuttociò che ho fatto prima dei 70 anni non merita di esser tenuto in alcun conto. Soloall’età di 73 anni ho capito, pressappoco, la conformazione della Vera Natura. Neconsegue che all’età di 80 anni avrò fatto progressi ancora maggiori, a 90 pene-trerò il Mistero delle Cose, a 100 sarò decisamente giunto a un grado di meravi-glia e quando avrò 110 anni, nella mia opera tutto, anche una semplice linea o unpunto, sarà cosa viva. Scritto all’età di 75 anni da me, già Hokusai, oggi GwakioRojin, “Il vecchio pazzo del disegno”».

Paolo Sorrentino ha solo 40 anni e il Mistero delle Cose l’ha già raggiunto:d’ora in poi potremo solo godere di ulteriori meraviglie.

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Quel “salotto buono” della politicadi Roberto Lasagna

Il film ambiziosissimo di Paolo Sorrentino mostra un uomo politico capace dialludere senza quasi mai dire apertamente: le carte vanno tenute nascoste, nessu-no deve poter scoprire il gioco. La corrente andreottiana, preannunciata metafo-ricamente dalla segretaria alla finestra (“sta arrivando una brutta corrente”) è, nelfilm citazionista e fantasmagorico di Sorrentino, un “mucchio selvaggio” paro-diato in chiave leoniana, un manipolo di faccendieri ai quali una didascalia resti-tuisce con accenti originali il nome e il ruolo. L’adunata al cospetto del “fanciul-lo”, il sette volte primo ministro Giulio Andreotti, avviene nel modo più“western”: mentre Andreotti è nella stanza del barbiere, Pomicino, Lima,Evangelisti e gli altri del “clan” cercano di confidargli lo stato delle cose. MaAndreotti è enigmatico e bifronte con tutti. Per lui vale la regola che un segretoè tale soprattutto se ci si dispone ad ignorarne perfino l’esistenza. Così, Andreottievita di approfondire, di parlare in maniera diretta e trasparente. Lui sa di incar-nare la funzione del potere politico, e la tribuna pubblica è l’eterno salotto in cuiscontare, al massimo, terribili mal di testa. Beffardamente e non a caso, lungotutto il film, la più frequente e scoperta preoccupazione del “divo” Giulio sarà diconservare nel prontuario nazionale dei farmaci il “Tedax”, a costo di forzare ilimiti della legge. Andreotti ne Il Divo, è molto di più di una marionetta: è lamente che manovra quella stessa marionetta di cui lui è anche il corpo. Unamente che si nasconde continuamente perfino ai più fedeli accoliti del politico.“Si vive più a lungo se non si hanno necessità”, e, in effetti, Andreotti vive moltoa lungo, sopravvive a chi lo dà per spacciato, non muore al posto di Aldo Moroe non finisce in carcere per avere forse dato il fantomatico bacio a Totò Riina.Andreotti sopravvive perché sa evitare le parole compromettenti ed anche graziea ciò è stato a capo per sette governi del partito più potente del dopoguerra ita-liano. Andreotti dice di non credere al “caso” quando il giornalista EugenioScalfari gli espone un lungo e surreale elenco di convergenze tra il suo ruolo sto-rico e i delitti di giornalisti (Pecorelli), generali (Dalla Chiesa), funzionari euomini di stato (Ambrosoli, Moro, ecc.). Andreotti non si lascia intimidire, nonsi inganna, rifiuta di ammettere qualunque minima interferenza tra la sua posi-zione politica e i fatti che vengono sovente additati dalla magistratura. È bizzar-ro, anche se comprensibile, che il vero Giulio Andreotti abbia definito il film diPaolo Sorrentino “una vigliaccata”; bizzarro perché, di fatto, il regista italiano diAndreotti ha proposto un personalissimo monumento, seppure così poco “cri-stiano” da farci quasi dimenticare che l’oggi senatore a vita sia stato anche uomodi fede.

Il divo di Sorrentino è un clamoroso saggio di regia, modulato su un territo-rio tematico difficile e inafferrabile. Come riuscire a dare di un personaggio pub-blico iper-codificato una lettura sfaccettata e attendibile, in una parola, profon-

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da? Scegliendo la via più complessa e personale, ovverosia affidandosi al propriolinguaggio artistico polifonico e suadente, lasciando che sprazzi della storianazionale trovino collocazione in un racconto talvolta sovraesposto, calato conevidente eccitazione nei generi cinematografici (il film di denuncia, la storia dicostume), ma pronto anche a dilatare tempi e ritmi al cospetto di quella che sem-bra essere l’esigenza principale del politico: la virtù dell’attesa.

Al termine delle votazioni che vedranno Oscar Luigi Scalfaro nuovoPresidente della Repubblica italiana, Andreotti non tradirà in alcun modo l’emo-zione della sconfitta, e perfino in chiesa, nel confessionale, il “fanciullo” saràreticente. Andreotti sarà libero di parlare, e di confessare, forse, soltanto nelmonologo esplosivo immaginato da Sorrentino, quando, nel salotto iperprotettodella sua abitazione romana, potrà finalmente urlare come un istrionico CarmeloBene tutte le sue colpe. L’ironia è buona vicina del sospetto e Sorrentino lo sabene, visto che per il suo film si affida alla caratterizzazione di Toni Servillo chediviene il soggetto-oggetto inseguito nel film, molto dinamico e animato dallatensione tra l’ipervelocità degli eventi (gli incontri, gli inseguimenti mortali, lestragi) e la sorniona attitudine alla reticenza del politico.

L’ironia di Andreotti sarà anche una difesa dal marciume di cui egli si cir-conda, ma la politica può essere condotta soltanto dalle abili pose di una mentesopraffina. Durante il processo che lo vede implicato per i presunti rapporti conla mafia, Andreotti ha un sussulto soltanto quando viene citato De Gasperi. Nelsuo sguardo e nella sua risposta all’accusatore (“Lasci stare De Gasperi...”) sem-bra di poter cogliere il riconoscimento andreottiano della statura di De Gasperi,qui evidentemente malcapitato, in un processo dove a essere messa sotto accusaè la statura stessa del ruolo del politico. E l’altro tentennamento, l’altro “senso dicolpa”, Andreotti lo vive pensando ad Aldo Moro, alle parole di quel fantomati-co memoriale che lo accusano di essere una mente “fredda”, priva di passioneumana e civile. Le parole di Moro, ugualmente, definiscono l’impossibilitàandreottiana di parlare, di dire come stanno realmente le cose, perché, evidente-mente, anche la vittima delle BR non sapeva chi avesse davvero a fianco tra lefile della Democrazia Cristiana. In questa prospettiva, nella palese discordanzatra l’inafferrabilità della persona (ovvero la misura del politicante) e la persi-stenza di fatti e tragedie inquietanti per il Belpaese, il film di Sorrentino inseri-sce il suo caleidoscopico e citazionistico viaggio nell’impossibile-plausibile,dove la maschera andreottiana che non tradisce emozioni alla moglie neppure lasera in cui è accusato di rapporti con la mafia, è però lo schermo ebetito e accon-discendente della canzone di Renato Zero “I migliori anni della nostra vita”, cherisuona e riluce beffarda davanti alla televisione. Perché, in fondo, nella masche-ra di Servillo, Andreotti è al contempo “di più” e “di meno” di un uomo qualun-que. È l’uomo che pensa e trama, che vive di piccole regalie, di promesse noncompletamente rilasciate e non sempre mantenute (furbizia andreottiana: ci sipuò sempre sottrarre dal mantenere una promessa, quando la stessa non sia stataformulata chiaramente...). E, soprattutto, è un intellettuale che viene dalla strada,

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ma che dalla strada non ha portato con sé quella pietas che potrebbe/dovrebbealeggiare tra le suggestioni del suo partito “d’ispirazione cristiana”. Quando,rivolgendosi a Francesco Cossiga, Andreotti annuncia di rivelare finalmente unsegreto, il fatto che “quel segreto” sia una passione a lungo inespressa per MaryGassman (la moglie di Vittorio), ci lascia spettatori disarmati delle parole di unbambino mai cresciuto. E in effetti il “fanciullo” (come lo chiamano gli uominidella sua corrente) è tale perché rimane eternamente uguale, estraneo ai fatti dellavita, preferendo delegare e fare agire gli altri anche per conto suo. Il “divo” nonsi sporca le mani, saranno gli altri a sporcarsi per lui.

Con abile mimetismo, Sorrentino ci porta negli antri oscuri e barocchi dellamagione-pensiero del politico, e con sorvegliato disincanto la regia lascia esplo-dere guizzi di surrealtà, come lo skate-board simbolico che attraversa in corsa ilcorridoio “troppo pieno” della politica per precipitare nel vuoto pneumatico eabbandonato della realtà, sotto le spoglie accartocciate dell’auto-relitto diGiovanni Falcone. Mentre nel disinteresse generale i politici pensano a come tra-mandare la composizione degli incarichi, lontano dalle stanze del Campidoglio edel Quirinale qualcuno sperimentava una fine terribile e da film di fantascienza.

Tra invenzioni visive e sprazzi di ironia, Il divo è un film che a differenza delsuo personaggio protagonista non vive di reticenze; si fanno nomi e cognomi,elenchi e allusioni precise: in ciò l’opera attenta e preziosa di Sorrentino è debi-trice del cinema di “indignazione civile” che in Italia vanta un’illustre tradizio-ne, ma si fa inventiva proprio nel coraggioso tentativo, nella “missione impossi-bile” e quindi non completamente realizzabile, di dar voce a una figura reticentee ai fatti che risuonano senza che giustizia sia stata fatta.

Film-metafora che ci riporta anche all’oggi delle indagini in cui è coinvoltol’ex Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, Il divo porta come sottotitolobeffardo “la spettacolare vita di Giulio Andreotti” ed evita le lungaggini e lapedanteria del film giudiziario. Scivola veloce (forse anche troppo), affonda isuoi colpi grazie alle risposte sempre ferme e calcolate che Andreotti rivolge aisuoi accusatori, vive di sottintesi come la risatina dimessa che Totò Riina lasciatrapelare durante il processo quando i giornalisti gli rivolgono la fatidica doman-da: “ha conosciuto Andreotti?”. In un Paese in cui la menzogna è sovente solouna tattica prevista del potere, il film di Sorrentino ci autorizza a ridere amara-mente. Non un film “realistico” (non potrebbe esserlo completamente, non si haancora una visione completa e distante dei fatti) ma un film che cerca anche nellesue piccole afasie di essere una riflessione personale e plausibile sui fantasmi delrimosso in ambito storico-politico. E nel frattempo Andreotti continua a guar-darci, e a guardare la televisione (proprio quella che gli regalò a suo temponumerosi telegatti) dal salotto buono di casa, dopo essere stato per decenni ilmimetico rabdomante del salotto perbene della politica. La politica italiana è nelfilm di Sorrentino una tragica sarabanda degli opportunismi, dove la cultura nonappartiene allo scenario dei salottieri pericolosi come Pomicino e i suoi pari (lui,laureato in medicina, poi a capo del Ministero del Bilancio). I “panni sporchi si

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lavano in famiglia” e i maggiori affari si fanno, comodamente, in salotto (dove,guarda caso, sarebbe avvenuto anche il fantomatico incontro di Andreotti conTotò Riina nel film). Senza sporcarsi le mani, dunque. Da questo luogo accomo-dante, Sorrentino e il suo cinema prendono clamorosamente le distanze, comedal cinema, anch’esso salottiero e conformista, del Belpaese.

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FALSOPIANO CINEMA

Serena Agusto e Alberto Morsiani (a cura di)Avventure di confine.

Il cinema di Mario Martone

Matteo PieracciAids. le storie, i personaggi, i film

Claver SalizzatoI gattopardi e le Iene.

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