il futuro della vita sulla terradownload.kataweb.it/mediaweb/pdf/espresso/scienze/1994...mentarono...

4
: n31, I 1 1 1 1 1 1 1 readmdmr~~~~ sorminuiwir~~~ow easi~~~~~rimpimi 11~1iffiliMifirr - Mi l l,111 11 1 11 , . La popolazione si armonizza con la natura ad Alesund, un centro del commercio e della pesca del distretto di Sunnmore, in Norvegia. Gli abitanti di Alesund lavorano anche in piccole società di ingegneria o in fattorie che sorgono sull'isola visibile nel- lo sfondo. In questa regione temperata ad alta latitudine, l'uso delle risorse rinno- vabili e l'attenta pianificazione dell'industria, del commercio, dell'agricoltura e delle abitazioni ha dato origine a una comunità umana compatibile con l'ambiente. p otrà la vita continuare indefinita- mente sulla Terra? Se per «vita» si intende semplicemente mate- ria organica in grado di autoriprodursi, allora la risposta è quasi certamente «sì». Nel corso dei tempi geologici, la vita sulla Terra ha già superato ripetute catastrofi, tra cui cambiamenti atmosfe- rici, subsidenza e sollevamento di con- tinenti, collisioni con asteroidi. La vita andrà avanti quasi sicuramente fino a quando, con il definitivo raffreddarsi del Sole, la «luce si spegnerà». Ma se per vita sulla Terra intendiamo quell'in- sieme di specie viventi a noi familiari, allora la risposta è quasi sicuramente «no». Questo perché le modificazioni apportate all'ambiente dall'uomo (in particolare intervenendo sui cicli globa- li biogeochimico e idrologico) sono pa- ragonabili a quelle provocate dai feno- meni naturali. In effetti, la gran parte delle trasformazioni degli ultimi 10 000 anni si è verificata in presenza dell'uo- mo, e l'uomo continua ad alterare il suo ambiente in modi sempre diversi. Se per «vita» intendiamo noi stessi, la nostra specie e le forme di vita che ne permettono la sussistenza, allora la ri- sposta è «forse». Per gli esseri umani la vita non è mai stata un graduale miglio- ramento a partire dall'epoca delle ca- verne. Il numero degli esseri umani è cresciuto a salti, le nostre civiltà hanno subìto lenti declini e cadute rovinose e perfino il nostro fisico ha avuto fluttua- zioni nel corso del tempo. Ma dalla metà del secolo scorso in poi, la popola- zione umana si è quadruplicata, e le proiezioni elaborate dalle Nazioni Uni- te e dalla Banca Mondiale indicano che è destinata quanto meno a raddoppiare entro la metà del prossimo secolo. L'at- tività economica amplificata dalla tec- nologia ha già trasformato la Terra. Quale potrà essere l'impatto di un numero così alto di esseri umani, di mo- dalità abitative in rapido cambiamento, di produzione e consumo sempre mag- giori sui sistemi naturali che permetto- no la sussistenza della vita? Se riuscire- mo a gestire la transizione a un mondo più caldo, più affollato, più intercon- nesso, ma anche più diversificato, po- tremo forse parlare di un futuro sosteni- bile dal punto di vista dell'ambiente. D i solito la crescita della popolazio- ne mondiale viene rappresentata da una curva esponenziale, che Th. Ro- bert Malthus ipotizzava dovesse incli- narsi verso il basso dopo aver raggiunto un massimo. Ma questa immagine, che richiama quella di un razzo che sparisce rapidamente dalla visuale per dirigersi verso un improvviso disastro, è fuor- viante. Circa 34 anni fa Edward S. Dee- vey, Jr., propose un quadro differente. Egli fece una stima delle dimensioni della popolazione umana risalendo al- l'indietro fino alle origini della nostra specie e rappresentando queste dimen- sioni su scala logaritmica. L'estesa ana- lisi di Deevey rivelò tre ondate di cre- scita della popolazione umana. Ognuna di queste ondate coincideva con una no- tevole rivoluzione di carattere tecno- logico: la comparsa degli utensili, la diffusione dell'agricoltura e dell'alleva- mento degli animali e l'avvento dell'in- dustria. Queste rivoluzioni trasformaro- no il significato delle risorse e incre- mentarono la capacità della Terra di da- re sostentamento agli individui. Ognuna di esse rese possibile un periodo di cre- scita esponenziale, seguita da un perio- do di relativa stabilità. La comparsa de- gli utensili, ossia la rivoluzione cultura- le che iniziò circa un milione di anni fa, vide il numero degli esseri umani salire a cinque milioni. La successiva rivoluzione, iniziata circa 8000 anni fa, consistette nella do- mesticazione di piante e animali, vale a dire nell'invenzione dell'agricoltura e dell'allevamento. La popolazione creb- be in conseguenza di ciò di 100 volte, fino a circa 500 milioni. Ora, nel corso di questa terza ondata, già ammontiamo a 5,6 miliardi di persone, e siamo tutt'al più al punto di mezzo di una proiezione che prevede un raddoppio o forse addi- rittura una triplicazione della popola- zione, prima che i livelli di crescita de- cadano di nuovo, solo 300 anni dopo l'inizio della rivoluzione scientifica e industriale. Ma la tendenza globale maschera l'e- sistenza di un più profondo livello di complessità. A partire dalla sua origi- ne, avvenuta probabilmente in Africa, l'umanità si è costantemente diffusa in ogni angolo del globo, Antartide com- presa, dove le basi di ricerca scientifica hanno alterato il desolato paesaggio. Ma per quanto gli uomini siano riusciti a sopravvivere e perfino a prosperare nei posti più inospitali del pianeta, la storia della vita in certe aree ha sempre subìto notevoli fluttuazioni. Insieme con i colleghi Thomas R. Gottschang, del College of the Holy Cross, Douglas L. Johnson e Billie L. Tumer II della Clark University e Tho- mas M. Whitmore della Università del North Carolina a Chapel Hill, ho studia- to questo fenomeno. Allo scopo, abbia- mo cercato di ricostruire lunghi periodi continuativi di insediamento umano in quelle aree per le quali potevamo corre- lare dati di carattere archeologico e sto- rico. Il nostro intento era quello di e- stendere le nozioni sugli insediamenti in modo da poter porre in relazione le fluttuazioni di processi naturali, come Il futuro della vita sulla Terra Le speranze di un futuro sostenibile dal punto di vista ambientale sono affidate all'evoluzione delle istituzioni e al miglioramento della tecnologia, ma soprattutto a un mutamento generalizzato di mentalità di Robert W. Kates 104 LE SCIENZE n. 316, dicembre 1994 LE SCIENZE n. 316, dicembre 1994 105

Upload: dangkhue

Post on 16-Feb-2019

218 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

Page 1: Il futuro della vita sulla Terradownload.kataweb.it/mediaweb/pdf/espresso/scienze/1994...mentarono la capacità della Terra di da-re sostentamento agli individui. Ognuna di esse rese

: n31,

I 1 1 1 1 1 1 1readmdmr~~~~sorminuiwir~~~oweasi~~~~~rimpimi

11~1iffiliMifirr-M i l l,1 11 11 1 11, .

La popolazione si armonizza con la natura ad Alesund, un centro del commercio edella pesca del distretto di Sunnmore, in Norvegia. Gli abitanti di Alesund lavoranoanche in piccole società di ingegneria o in fattorie che sorgono sull'isola visibile nel-lo sfondo. In questa regione temperata ad alta latitudine, l'uso delle risorse rinno-vabili e l'attenta pianificazione dell'industria, del commercio, dell'agricoltura edelle abitazioni ha dato origine a una comunità umana compatibile con l'ambiente.

p

otrà la vita continuare indefinita-mente sulla Terra? Se per «vita»si intende semplicemente mate-

ria organica in grado di autoriprodursi,allora la risposta è quasi certamente«sì». Nel corso dei tempi geologici, lavita sulla Terra ha già superato ripetutecatastrofi, tra cui cambiamenti atmosfe-rici, subsidenza e sollevamento di con-tinenti, collisioni con asteroidi. La vitaandrà avanti quasi sicuramente fino aquando, con il definitivo raffreddarsidel Sole, la «luce si spegnerà». Ma seper vita sulla Terra intendiamo quell'in-

sieme di specie viventi a noi familiari,allora la risposta è quasi sicuramente«no». Questo perché le modificazioniapportate all'ambiente dall'uomo (inparticolare intervenendo sui cicli globa-li biogeochimico e idrologico) sono pa-ragonabili a quelle provocate dai feno-meni naturali. In effetti, la gran partedelle trasformazioni degli ultimi 10 000anni si è verificata in presenza dell'uo-mo, e l'uomo continua ad alterare il suoambiente in modi sempre diversi.

Se per «vita» intendiamo noi stessi,la nostra specie e le forme di vita che ne

permettono la sussistenza, allora la ri-sposta è «forse». Per gli esseri umani lavita non è mai stata un graduale miglio-ramento a partire dall'epoca delle ca-verne. Il numero degli esseri umani ècresciuto a salti, le nostre civiltà hannosubìto lenti declini e cadute rovinose eperfino il nostro fisico ha avuto fluttua-zioni nel corso del tempo. Ma dallametà del secolo scorso in poi, la popola-zione umana si è quadruplicata, e leproiezioni elaborate dalle Nazioni Uni-te e dalla Banca Mondiale indicano cheè destinata quanto meno a raddoppiare

entro la metà del prossimo secolo. L'at-tività economica amplificata dalla tec-nologia ha già trasformato la Terra.

Quale potrà essere l'impatto di unnumero così alto di esseri umani, di mo-dalità abitative in rapido cambiamento,di produzione e consumo sempre mag-giori sui sistemi naturali che permetto-no la sussistenza della vita? Se riuscire-mo a gestire la transizione a un mondopiù caldo, più affollato, più intercon-nesso, ma anche più diversificato, po-tremo forse parlare di un futuro sosteni-bile dal punto di vista dell'ambiente.

Di solito la crescita della popolazio-ne mondiale viene rappresentata

da una curva esponenziale, che Th. Ro-bert Malthus ipotizzava dovesse incli-narsi verso il basso dopo aver raggiuntoun massimo. Ma questa immagine, cherichiama quella di un razzo che spariscerapidamente dalla visuale per dirigersiverso un improvviso disastro, è fuor-viante. Circa 34 anni fa Edward S. Dee-vey, Jr., propose un quadro differente.Egli fece una stima delle dimensionidella popolazione umana risalendo al-l'indietro fino alle origini della nostraspecie e rappresentando queste dimen-sioni su scala logaritmica. L'estesa ana-lisi di Deevey rivelò tre ondate di cre-scita della popolazione umana. Ognunadi queste ondate coincideva con una no-tevole rivoluzione di carattere tecno-logico: la comparsa degli utensili, ladiffusione dell'agricoltura e dell'alleva-

mento degli animali e l'avvento dell'in-dustria. Queste rivoluzioni trasformaro-no il significato delle risorse e incre-mentarono la capacità della Terra di da-re sostentamento agli individui. Ognunadi esse rese possibile un periodo di cre-scita esponenziale, seguita da un perio-do di relativa stabilità. La comparsa de-gli utensili, ossia la rivoluzione cultura-le che iniziò circa un milione di anni fa,vide il numero degli esseri umani salirea cinque milioni.

La successiva rivoluzione, iniziatacirca 8000 anni fa, consistette nella do-mesticazione di piante e animali, vale adire nell'invenzione dell'agricoltura edell'allevamento. La popolazione creb-be in conseguenza di ciò di 100 volte,fino a circa 500 milioni. Ora, nel corsodi questa terza ondata, già ammontiamoa 5,6 miliardi di persone, e siamo tutt'alpiù al punto di mezzo di una proiezioneche prevede un raddoppio o forse addi-rittura una triplicazione della popola-zione, prima che i livelli di crescita de-cadano di nuovo, solo 300 anni dopol'inizio della rivoluzione scientifica eindustriale.

Ma la tendenza globale maschera l'e-sistenza di un più profondo livello dicomplessità. A partire dalla sua origi-ne, avvenuta probabilmente in Africa,l'umanità si è costantemente diffusa inogni angolo del globo, Antartide com-presa, dove le basi di ricerca scientificahanno alterato il desolato paesaggio.Ma per quanto gli uomini siano riuscitia sopravvivere e perfino a prosperarenei posti più inospitali del pianeta, lastoria della vita in certe aree ha sempresubìto notevoli fluttuazioni.

Insieme con i colleghi Thomas R.Gottschang, del College of the HolyCross, Douglas L. Johnson e Billie L.Tumer II della Clark University e Tho-mas M. Whitmore della Università delNorth Carolina a Chapel Hill, ho studia-to questo fenomeno. Allo scopo, abbia-mo cercato di ricostruire lunghi periodicontinuativi di insediamento umano inquelle aree per le quali potevamo corre-lare dati di carattere archeologico e sto-rico. Il nostro intento era quello di e-stendere le nozioni sugli insediamentiin modo da poter porre in relazione lefluttuazioni di processi naturali, come

Il futuro della vita sulla TerraLe speranze di un futuro sostenibile dal punto di vista ambientalesono affidate all'evoluzione delle istituzioni e al miglioramento dellatecnologia, ma soprattutto a un mutamento generalizzato di mentalità

di Robert W. Kates

104 LE SCIENZE n. 316, dicembre 1994

LE SCIENZE n. 316, dicembre 1994 105

Page 2: Il futuro della vita sulla Terradownload.kataweb.it/mediaweb/pdf/espresso/scienze/1994...mentarono la capacità della Terra di da-re sostentamento agli individui. Ognuna di esse rese

i000 000 100 000 10 000 1000 100 10

ANNI FA

La popolazione umana è cresciuta in modo impressionantenell'ultimo milione di anni. Lo ha fatto in tre fasi, a ognunadelle quali è seguito un periodo di stabilità. Il primo grandeincremento, da 150 000 a cinque milioni di individui, coincisecon lo sviluppo dei primi utensili. La seconda ondata, da cin-

que milioni a 500 milioni, fu associata all'avvento dell'agri-coltura. La terza, da 500 milioni a 5,6 miliardi, è una direttaconseguenza dello sviluppo della civiltà industriale. Ogni ri-voluzione tecnologica ha consentito agli esseri umani di allen-tare la loro dipendenza diretta dai vincoli posti dalla natura.

1 010

1 04

107

le variazioni climatiche e la formazionedei suoli, con i più rapidi cambiamentinei modelli di attività umana. Combi-nando i nostri dati, siamo riusciti a rico-struire sequenze di lungo termine relati-ve a quattro antiche regioni: la Valle delNilo (6000 anni), la Mesopotamia (6000anni), il bacino del Messico (3000 anni)e, infine, i bassopiani centrali del Messi-co e del Guatemala, dominio dei maya(2200 anni)

Queste ricostruzioni mostrano tutteperiodiche fluttuazioni nella crescita enel declino; in nessuna di esse risultache la popolazione cresca senza interni-zioni. In tutti i casi, eccetto quello deimaya, ci sono 2,5 evidenti ondate du-rante le quali la popolazione dovettequantomeno raddoppiare rispetto allabase di partenza, dopodiché decadde di-mezzandosi. I tassi di crescita e di de-clino sono modesti nelle prime ondate epiù drastici in quelle successive. I col-lassi delle civiltà, sebbene sicuramentecatastrofici per gli abitanti, non sonoimprovvisi. La seconda ondata di decli-ni, mediata per le quattro regioni consi-derate, è durata 500 anni, pur includen-do una delle più precipitose estinzionidella storia umana: le epidemie del XVIsecolo fra i nativi del Nuovo Mondo.

Le fluttuazioni nel benessere di unaintera civiltà si rispecchiano in quellodei singoli individui. Con i colleghidella Brown University (Robert S.Chen, William C. Crossgrove, JeanneX. Kasperson, Robley Matthews, EllenMesser, Sara R. Millman e Lucile F.Newman) ho considerato la statura me-dia degli individui nel corso della storiaumana. Per far questo abbiamo messoinsieme le stime, effettuate da altri, suscheletri di maschi adulti e abbiamo an-che considerato studi sulla statura diret-tamente misurata in popolazioni istitu-zionalizzate. È ampiamente riconosciu-to che la statura, standardizzata perclassi di età e mediata sulla popolazio-ne, riflette lo stato di nutrizione e di sa-lute. In questo modo, i periodi storicicaratterizzati da fame e malattie posso-no essere distinti da quelli di abbondan-za e buona salute. La nostra analisi mo-stra che, lungo la storia, la statura e pre-sumibilmente il benessere hanno subìtofluttuazioni. Per fare un esempio, unmaschio adulto vissuto nella Britanniaromana era alto come o più di un ingle-se del nostro secolo, ma i suoi discen-denti, vissuti nell'età vittoriana, eranopiù bassi. Ciò significa che i migliora-menti nell'alimentazione, nella salute enei mezzi di sussistenza hanno avuto, inqualche caso, battute d'arresto e inver-sioni di tendenza.

Queste lunghe ondate di crescita edeclino in certe aree (che noi abbiamochiamato ondate millenarie) pongonoquestioni relative alla vita umana sullaTerra. Forse la rivoluzione scientifico--industriale e l'economia globale che daessa ha avuto origine (la quale com-prende un sistema di risposta globale

alle carestie) ci renderà immuni dai col-lassi di tipo «malthusiano» del passato?O potranno certe regioni, magari pro-prio quelle che hanno in mano le redinidell'economia, collassare comunque?

T a civiltà moderna ha profondamenteLa alterato l'ambiente. Le preoccupa-zioni in merito a questi effetti hannouna storia di almeno un secolo e mezzo(si veda l'articolo Le origini dell'am-bientalismo occidentale di Richard H.Grove in «Le Scienze» n. 289, settem-bre 1992).

Uno sforzo settennale di collabora-zione internazionale, l'Earth Transfor-med Project, ha visto il concorso discienziati di primo piano di 16 paesi,per documentare i cambiamenti globalie regionali degli ultimi 300 anni. Siamostati in grado di ricostruire i cambia-menti indotti dall'uomo riguardo al-l'immissione di prodotti chimici, alladestinazione del territorio e alla diver-sità biotica. I fenomeni studiati erano i13 seguenti: diversità dei vertebrati ter-restri, deforestazione, perdita dei terreniagricoli, emissioni di zolfo, di piombo edi tetracloruro di carbonio, riduzionedelle popolazioni di mammiferi marini,prelievo delle acque, perdita della di-versità floristica, emissioni di ossidi dicarbonio, di azoto e di fosforo, modifi-che dei cicli sedimentari.

Per inquadrare questi cambiamenti inuna prospettiva a lungo termine, abbia-mo anche stimato l'influenza dell'uomosulla Terra negli ultimi 10 000 anni apartire dagli albori dell'agricoltura. Inquesto periodo, l'umanità ha deforesta-to un'area netta pari a quella degli StatiUniti continentali, per lo più per colti-varla. Ogni anno, l'uomo sottrae all'i-drosfera un volume di acqua maggioredel contenuto del Lago Huron. Metà de-gli ecosistemi presenti sulle terre emer-se libere dal ghiaccio è stata modifica-ta, manipolata o utilizzata dall'uomo. Iflussi di materiali e di energia sono at-tualmente dello stesso ordine di gran-dezza di quelli naturali.

Questo cambiamento è stato in granparte estremamente recente, considera-to che, in sette dei 13 fenomeni consi-derati, metà della variazione comples-siva degli ultimi 10 000 anni si è verifi-cata nel nostro arco di vita. A questi ra-pidi cambiamenti ambientali globali sisommano ora le minacce dovute alle in-stabilità politiche. E noto che le guerre,specialmente nei paesi in via di svilup-po, sono frequentemente causate dallecarestie, dai disastri ambientali o dallascarsità di risorse naturali.

Qui, dove vivo e sto scrivendo, sullacosta del Maine, lontano da questi disa-stri, mi domando che cosa potrebbe ac-cadere nel secolo a venire. Ho delle va-lide ragioni per pormi questa domanda:sei nipoti che a metà del prossimo seco-lo avranno sessanta-settant'anni Men-tre mi sforzo di immaginare in qualemondo essi vivranno, l'oceano che ho

di fronte mi suggerisce una metaforadel cambiamento che si presenta sottoforma di correnti, maree e cavalloni. Lecorrenti sono le tendenze a lungo termi-ne, le maree sono le oscillazioni cicli-che, mentre i cavalloni e la risacca sonole sorprese.

In particolare, ritengo che il mondodel prossimo secolo sarà più caldo e piùaffollato, più interconnesso, ma più di-versificato. Le alterazioni ambientali, lacrescita della popolazione, una sempremaggiore interconnessione e diversifi-cazione sono tendenze potenti come lecorrenti oceaniche che, una volta in-staurate, hanno ben poche possibilità disubire inversioni, anche se sono sogget-te a rallentamenti o ad accelerazioni. Ameno che non vi sia qualche profondapecca nell'attuale comprensione scien-tifica, la Terra è già inesorabilmente vo-tata al riscaldamento. Il nostro mondosarà reso più interconnesso da un'eco-nomia di tipo globale e da una disponi-bilità diffusa di tecnologie per le comu-nicazioni e i trasporti. Questa maggioreinterconnessione non omologherà ne-cessariamente la gente, ma anzi potrà,paradossalmente, favorire la diversità dipersone e cose. Beni, informazioni epersone sono generalmente attirati dailuoghi caratterizzati da benessere e dagrandi opportunità: queste aree risulte-rebbero di conseguenza caratterizzateda una maggiore eterogeneità etnica,nazionale e religiosa.

All'estremo opposto delle «correnti»,vale a dire delle tendenze assodate, visono le risacche e i cavalloni che colgo-no di sorpresa. Alcune frontiere nazio-nali che erano sembrate assolutamenteimmutabili per molti decenni sono stateridisegnate nel giro di pochi mesi. Lareazione a specifiche situazioni di crisi -come la diffusione dell'AIDS - può con-dizionare profondamente la creazione dinuove norme di comportamento umanoe di convivenza. Oltre alle tendenze dilungo termine e alle sorprese, vi sonoanche cicli di breve termine, le «maree»,che si sovrimpongono alle correnti. Siconsiderino per esempio le oscillazionidella borsa, o il fenomeno di El Nifío,che condiziona la dinamica dell'OceanoPacifico e il clima di alcuni paesi che visi affacciano, a intervalli irregolari del-l'ordine di anni. Esistono anche fluttua-zioni dell'ordine dei decenni: nei regimidemocratici, per esempio, gli sposta-menti periodici dell'elettorato tra la sini-stra e la destra dello schieramento politi-co sono un fenomeno ricorrente; in eco-nomia si alternano periodi di ripresa e direcessione.

Tra queste maree e tempeste, gli es-seri umani si chiedono quali siano

le loro possibilità di sopravvivenza sullungo termine. Potrà la popolazione u-mana continuare a raddoppiare e rad-doppiare ancora entro l'arco di vita deinostri figli e di quello dei figli dei nostrifigli? Ci sarà cibo a sufficienza per sfa-

mare una tale moltitudine, materie pri-me sufficienti per le loro necessità e iloro desideri, energia bastante per glispostamenti e la trasformazione dellematerie prime? E gli effetti collateralidella produzione e dell'uso dell'energiae del trattamento delle materie primemineranno la salute umana e distrugge-ranno il sistema ecologico da cui in de-finitiva la nostra specie dipende?

Tali questioni erano già state postecon grande efficacia 200 anni fa daMalthus nel suo Saggio sul principio dipopolazione pubblicato nel 1798. Mapotrebbero essere molto più antiche: giàTertulliano si domandava 1800 anni fase «la pestilenza, la carestia, le guerre ei terremoti debbano essere visti comeun rimedio per le nazioni, come unmezzo per arginare il lussureggiare delgenere umano». Non è sorprendenteche Malthus, il quale era nato nel 1766e morì nel 1834, si preoccupasse del-l'adeguatezza delle risorse necessarie anutrire l'Inghilterra, dal momento chevisse nel bel mezzo di una fase di esplo-sione demografica. Nel decennio dellasua nascita, Inghilterra e Galles crebbe-ro del 7 per cento; nel decennio dellaprima edizione del suo saggio, dell' 1 1per cento. Al tempo della quinta edizio-ne dell'opera, nel 1817, la crescita de-mografica relativa al decennio in corsoaveva raggiunto il 18 per cento.

E neppure sorprende che questa pre-occupazione sia emersa di nuovo ne-gli anni successivi alla seconda guerramondiale. A cavallo fra gli anni quaran-ta e cinquanta vi fu un indubbio, esplo-sivo incremento demografico nei paesiin via di sviluppo. Da allora, la marea

della preoccupazione da parte del mon-do scientifico e dell'opinione pubblicaè montata, rifluita e montata di nuovo,soprattutto in questa vigilia del nuovomillennio.

Tra le minacce che avranno una mag-giore probabilità di concretizzarsi, dicausare il peggior danno o affliggere ilmaggiore numero di persone, ne possoidentificare almeno tre. La prima èquella relativa all'introduzione di so-stanze inquinanti: piogge acide nell'at-mosfera, metalli pesanti nei suoli ecomposti chimici di vario tipo nelle ac-que di falda. In secondo luogo l'uma-nità dovrà fare i conti con i pericoli del-la ricaduta radioattiva, dell'impoveri-mento dello strato di ozono stratosferi-co e del riscaldamento climatico dovutoai gas-serra. Infine, un imponente assal-to al complesso degli esseri viventi con-tinuerà a essere impartito dalla defore-stazione delle zone tropicali e di monta-gna, dall'avanzata dei deserti nelle zonesemiaride, dall'estinzione di specie, so-prattutto ai tropici.

La crescita della popolazione mon-diale comporta un grande aumento nel-la produzione e nel consumo di benimateriali. Nel 1989 l'International In-stitute of Applied Systems Analysis haesaminato le conseguenze economichedi un raddoppio della popolazione at-tuale. Questa analisi assume che dietevariate e ad alto contenuto nutritivo,prodotti industriali e posti di lavoro re-golari debbano diventare accessibili al-la grande maggioranza di 10 miliardi diindividui. Pertanto, il raddoppio dellapopolazione richiederà molto probabil-mente un incremento di quattro volte

della produzione agricola, un aumentodi sei volte del consumo di energia e diotto volte del prodotto lordo globale.

Molti esperti trovano questo scenario2-4-6-8 incredibile e certamente inso-stenibile. Tali incrementi, pensano, nonpotranno essere fronteggiati con le at-tuali tecnologie e mantenendo gli attua-li standard di vita in un ambiente cheha già subito sostanziali trasformazionidell'atmosfera, dei suoli, delle faldeidriche e delle specie viventi. Di fatto,per molti di questi Geremia dei nostrigiorni - Lester R. Brown, Paul R. e An-ne H. Ehrlich, Donella H. Meadows,Dennis L. Meadows e Jorgen Randers -un mondo che abbia oltre cinque miliar-di di abitanti è già sovrappopolato, vistoche non vi è nazione che non stia esau-rendo le proprie risorse e degradando ilproprio ambiente. Altri economisti etecnologi dissentono (si veda l'articoloCrescita demografica e produzione ali-mentare di John Bongaarts in «LeScienze» n. 309, maggio 1994). Essi ri-tengono che innalzando i costi dellematerie prime si potrà porre un freno aiconsumi, incentivando in tal modo il ri-sparmio e l'inventività. Confidano chela creatività umana permetterà di supe-rare gli attuali limiti.

Ma la maggior parte di noi, rifletten-do appena, è in grado di comprendere lasituazione che ci troviamo a fronteggia-re. Entro un periodo straordinariamentebreve - questione di decenni - ci saran-no da nutrire, alloggiare, educare e im-piegare almeno altrettanti individui inpiù di quanti già vivono sulla Terra. Sesi vorrà evitare la catastrofe, ciò potràessere fatto solo mantenendo gravi e i-

106 LE SCIENZE n. 316, dicembre 1994

LE SCIENZE n. 316, dicembre 1994 107

Page 3: Il futuro della vita sulla Terradownload.kataweb.it/mediaweb/pdf/espresso/scienze/1994...mentarono la capacità della Terra di da-re sostentamento agli individui. Ognuna di esse rese

Staturae progressotecnologico

i a statura media, un in-I— dice standard delbenessere generale, hasubito varie fluttuazioninel tempo. I cacciatori--raccoglitori delle regio-ni mediterranee orienta-li, che beneficiavano diuna dieta molto ricca dicalorie e proteine, rag-giungevano una altezzadi circa 178 centimetri.I primi agricoltori dellastessa area misuravanosolo 160 centimetri. Essiavevano una dieta a ba-se di cereali e subivanoun notevole logoramen-to fisico per la loro fati-cosa attività. Gli agricol-tori dell'alto Medioevoeuropeo misuravano inmedia circa 175 centi-metri. Essi beneficiava-no presumibilmente dimigliori tecniche agrico-le. La statura media di-minuì nuovamente di cir-ca cinque centimetri in-torno all'inizio della Ri-voluzione industriale. Icittadini attuali degli Sta-ti Uniti sono moderata-mente più alti.

178 cm

CACCIATORE-RACCOGLITOREMEDITERRANEO ORIENTALE

(30 000-9000 anni fa)

160 cm

AGRICOLTOREMEDITERRANEO ORIENTALE

(5000-3000 anni fa)

175 cm

AGRICOLTOREEUROPEO

(1350-1150 anni fa)

170 cm

EUROPEODELLA PRIMA ETÀ INDUSTRIALE

(125 anni fa)

173 cm

STATUNITENSEATTUALE

nique disparità oppure adottando per-corsi tecnologici e di sviluppo molto di-versi da quelli attuali.

Maquanto è plausibile che tali per-corsi possano essere intrapresi?

Personalmente traggo cauti motivi diincoraggiamento da due serie di tenden-ze che percepisco, anche se non com-prendo completamente. La prima serieriguarda cambiamenti già visibili nelle«correnti» che ci portano verso il futu-ro. La seconda serie concerne l'adatta-bilità umana che si esprime sotto formadi istituzioni, tecnologie e, soprattutto,idee innovative.

Per illustrare alcuni cambiamenti fa-vorevoli, si consideri l'equazione IPBT.Formulata inizialmente da Paul Ehrlichdella Stanford University e da John P.Holdren della Università della Califor-nia a Berkeley, essa viene ora utilizzataper quantificare in modo semplice gliimpatti ambientali negativi indotti dal-l'uomo. Il termine che rappresenta l'im-patto (I) è funzione della popolazione(P), del livello di benessere (B) e del-la tecnologia disponibile (7). Pertantoquesta formula rende bene ciò che sem-pre più viene recepito dalla coscienzacomune: l'ambiente non è messo in pe-ricolo solo da un'enorme crescita dellapopolazione (come si tende a ritenerenei paesi industriali) o solo dall'usosmodato e sempre crescente di energiae materie prime (come si tende a ritene-re nei paesi poveri). Le due ragioni so-no del tutto concomitanti. Le stime del-le fonti dei gas-serra, per esempio, pre-sumono che la maggior parte di questesostanze si formino nei paesi ricchi, male nazioni in via di sviluppo contribui-ranno come minimo in pari misura incapo a 20 o 30 anni, se verranno mante-nute le attuali tendenze. Il termine «tec-nologia» esprime anche il potenzialeche scienza, tecnologia e società hannonell'alterare gli impatti di ogni dato li-vello di popolazione e di benessere.

La crescita della popolazione e delbenessere e la diffusione delle tecnolo-gie sono «correnti» di grande scala checi spingono verso un mondo più caldo,affollato, interconnesso e diversifica-to. Ma per ognuna delle variabili IPBTvi sono controcorrenti già operanti. Lacrescita sta rallentando e i limiti sonogià all'orizzonte. Si consideri il proble-ma della popolazione e si torni al qua-dro tracciato da Deevey per descriverel'andamento demografico dell'umanità.Ci troviamo ora nell'ultima fase dellaterza grande ondata di crescita demo-grafica, vale a dire nel pieno di unatransizione da un mondo caratterizzatoda alti indici di natalità e di mortalità aun mondo con bassi indici. Per comple-tare questa transizione in Inghilterra so-no occorsi 150 anni, ma la transizionenei paesi in via di sviluppo sta avvenen-do con rapidità molto maggiore diquanto non ci si aspettasse.

I tassi di natalità sono scesi notevol-

mente dal loro picco di cinque figli perdonna raggiunto all'indomani della se-conda guerra mondiale. Lo spostamentoa 2,1 nascite per donna, necessario perraggiungere la crescita zero, è giunto ametà percorso: l'attuale parametro è3,2. La transizione a bassi livelli dimortalità è più avanzata. Nei paesi invia di sviluppo, dopo la seconda guerramondiale l'aspettativa di vita alla nasci-ta era di 40 anni. Ora è aumentata a 65anni, giungendo a due terzi del percorsoverso l'ideale dei 75 anni, se assumia-mo come modello i paesi sviluppati. Ilrallentamento generalizzato dei tassi dicrescita demografica (per quanto ancoramolto modesto in Africa) è un motivodi incoraggiamento circa la possibilitàche la vita possa mantenersi sulla Terra.

Il termine «benessere» può essere an-che autolimitante: «Ricco è sinonimo dipulito». L'Earth Transformed Projectrileva che i tassi di incremento per cin-que dei 13 fenomeni studiati tendonoattualmente a diminuire; l'andamentofavorevole riguarda l'estinzione di ver-tebrati e di mammiferi marini così co-me le emissioni di piombo, zolfo e te-tracloruro di carbonio. Questi «temi»sono stati oggetto di drasti-che attenzioni normative daparte delle autorità dei pae-si più ricchi.

L'economia e la tecnolo-gia incoraggiano nell'indu-stria un minor impiego dimaterie prime e di energia;lo slogan è: «Fare di piùcon meno». Dalla metà delXIX secolo, il carboniousato per unità di prodottoè andato diminuendo ognianno dell'1,3 per cento. Aciò si è contribuito usandocombustibili sempre menoricchi di carbonio (per lo0,3 per cento) e usando me-no energia per unità di pro-dotto (per l' 1 per cento).Questi progressi nell'usodell'energia non sono stati,tuttavia, sufficienti a com-pensare la crescita annualedell'economia (3 per cen-to). Ciò ha condotto a unincremento globale annuonelle emissioni di anidridecarbonica pari all'1,7 percento.

Una tendenza simile siriscontra anche nell'impie-go di minori quantità dimaterie prime per unità diprodotto. Stiamo usandomeno acciaio e cemento,ma più alluminio e compo-sti chimici di vario tipo(anche se il picco è già sta-to raggiunto e si sta già ri-ducendo l'impiego dell'u-no e degli altri). A dispettodella rivoluzione televisivae di quella informatica, il

consumo della carta è rimasto costante.Dovremmo riconsiderare anche gli

impatti. Gli scienziati spesso non com-prendono a sufficienza gli effetti deicambiamenti indotti dall'uomo sui si-stemi naturali che consentono la nostrasopravvivenza, così da quantificare inmodo adeguato le minacce a questi si-stemi e sapere che cosa li sostituiscequando essi vanno incontro a degrado.Vi è nella ricerca una sorta di deforma-zione che incoraggia l'identificazionedegli effetti dannosi piuttosto che la de-terminazione dei cicli di retroazione ne-gativa in grado di moderare il danno.Per esempio, la documentazione recen-te mostra che la biomassa forestale inEuropa non solo sopravvive, ma sta ad-dirittura aumentando, nonostante glienormi carichi di inquinanti e di pioggeacide. Il fenomeno potrebbe dipendereda una azione di fertilizzazione da partedegli stessi inquinanti chimici che stan-no causando il danno. La natura potreb-be essere in realtà più resistente diquanto di solito la si consideri.

Gli ottimisti fanno rilevare questecontTotendenze argomentando che, an-che se sono insufficienti ad avere la me-

glio sui problemi della crescita demo-grafica e dell'economia, vanno quanto-meno nella giusta direzione. I pessimi-sti sono portati a ignorare le controten-denze o a vederle semplicemente cometroppo esigue e tardive. Sarebbe di aiu-to a entrambe le parti comprendere qua-li e quante forze siano all'opera, invisi-bili o meno. Finora, le conoscenze sonoalquanto frammentarie. Si considerinoper esempio le tendenze demografiche.Quali forze hanno condotto a un decli-no della fertilità?

Si sono fatte molte ricerche per tenta-re di valutare le dinamiche e i contributiapportati dallo sviluppo economico esociale e dai programmi di pianificazio-ne familiare alla diminuzione delle na-scite. Molti studi riguardanti la maggiorparte dei paesi in via di sviluppo hannoriscontrato che il livello di benessere èstrettamente associato al declino dellanatalità (lo giustifica almeno per dueterzi). Altre ricerche indicano che i pro-grammi di pianificazione familiare con-tribuiscono per un ulteriore 15-20 percento alla riduzione della fertilità. An-che se pochi sono gli studi che prendo-no in considerazione i fattori culturali

ed etnici, non vi è dubbio che questi ab-biano una grande importanza. Lo svi-luppo socioeconomico e i programmi dipianificazione familiare sembrano ave-re la massima efficacia in Estremo O-riente e nel Sud-Est asiatico, o comun-que tra i gruppi di origine cinese. Questiprogrammi sono ugualmente molto ef-ficaci quando vengono condotti su isoledi superficie limitata e particolarmentepopolose.

Se, come gli studi sembrano dimo-strare, «è lo sviluppo il miglior contrac-cettivo», non è chiaro quali aspetti dellosviluppo siano più determinanti. Glianalisti sostengono che, con il progredi-re dello sviluppo, diminuiscono il biso-gno e il desiderio di mettere al mondopiù figli, dal momento che si abbassa lamortalità infantile, diminuisce la neces-sità del lavoro minorile e aumenta quel-la di dare ai figli un'istruzione. Lo svi-luppo comporta anche una riduzionedel tempo disponibile per allevare laprole e crea maggiori opportunità per ledonne di accedere a un'adeguata istru-zione e a un lavoro meglio retribuito.Infine, facilita l'accesso ai metodi dicontrollo delle nascite. I sostenitori di

questa o quella politica particolare ten-dono a isolare dal contesto uno di questitemi per giustificare i loro programmi,ma è evidente che una maggiore so-pravvivenza infantile, un mutamentodelle necessità lavorative, un amplia-mento delle opportunità per le donne el'accesso al controllo delle nascite sonotutte conseguenze correlate del proces-so di sviluppo.

La nostra comprensione del declinodella fertilità, così come quella delle di-namiche che controllano l'inquinamen-to e l'abbassamento del contenuto dicarbonio nei combustibili fossili, rima-ne incompleta. Per ognuno di questi ar-gomenti non vi è certamente penuria dispiegazioni sovrasemplificate, mentrevi è difficoltà a distinguere quali impe-gni abbiano dato i risultati desiderati.

T cambiamenti necessari a mitigare laI straordinaria domanda di energia e dimaterie prime richiedono una compren-sione più fondamentale dell'impatto chel'uomo ha sulla Terra. Ma il mondo nonpuò attendere più di tanto che maturiquesta comprensione. Sappiamo chedobbiamo accelerare le tendenze favore-

108 LE SCIENZE n. 316, dicembre 1994

LE SCIENZE n. 316, dicembre 1994 109

Page 4: Il futuro della vita sulla Terradownload.kataweb.it/mediaweb/pdf/espresso/scienze/1994...mentarono la capacità della Terra di da-re sostentamento agli individui. Ognuna di esse rese

Sei numeri all'annoPrezzo di copertina L. 11.000.

PORTOGALLO

CANADA

STATI UNITI

REGNO UNITO

NORVEGIA

IRLANDA

PAESI BASSI

GIAPPONE

GERMANIA

FINLANDIA

DANIMARCA

SVIZZERA

FILIPPINE

NIGERIA

MESSICO

URUGUAY

BRASILE

COREA DEL SUD

UNGHERIA

RUSSIA

INDIA

CILE

TURCHIA

POLONIA

La preoccupazione per l'ambiente è generalizzata

Nonostante le differenze fra natalità, disponibilità di tecnologie e livello di be-nessere, la gente dei paesi industrializzati e di quelli in via di sviluppo con-

divide un'apprensione di fondo circa l'impatto delle attività umane sulla Terra. Unsondaggio Gallup condotto nel 1993 poneva a individui di 24 paesi la seguen-te domanda: «Quanto ti preoccupano i problemi ambientali?». Le risposte indica-no che «grande» e «moderata» preoccupazione erano atteggiamenti dominantiovunque.

PAESI IN VIA DI SVILUPPO55% 1.1111

8794%

71 11111111111n111111n115038532232413430124

"11111.1~1~ 8311111~1~ 82

8080

~1~1~11 7978

7770

40 GRANDE25 • MODERATA

FONTE: Health of the Planet, George H. Gallup, Interna> iena! Institute, 1993

PAESI INDUSTRIALIZZATI

46%

373828

1822

16

2314

16

12

12

-AM11111111W

111~1111L

mi 90%

1111. 89

85

81

77

73

714111111•1n11111.66

6363

53 Mi GRANDE42 EN MODERATA

voli e fermare quelle distruttive. Unaspecie che è in grado di porsi domandesulla propria sopravvivenza può anchelottare per adattarsi a un mondo più cal-do, affollato e interconnesso. Nuove i-stituzioni, nuove tecnologie e nuove i-dee stanno già definendo linee di svilup-po innovative che il mondo dovrebbe se-guire per costruire un futuro sostenibile.

In un mondo più interconnesso e di-versificato, stanno emergendo tre seriedi importanti iniziative transnazionali.Le più note sono quelle governative: or-ganizzazioni internazionali, trattati e at-tività varie. Attualmente vi sono circa170 trattati internazionali incentratisull'ambiente. Nuove istituzioni inter-nazionali, come la United NationsCommission on Sustainable Develop-ment, sono preposte alla supervisionedegli accordi stipulati a Rio de Janeironel 1992. La Global Environmental Fa-cility mette a frutto i fondi e le capacitàdella Banca Mondiale, dell'UN Deve-lopment Program (UNDP) e dell'UNEnvironment Program (UNEP). Ugual-mente noto, anche se di solito non per lasua dimensione ambientale, è il ruolo

delle società multinazionali. Queste so-no responsabili di molti dei cambia-menti indotti dall'uomo che hanno luo-go in tutto il mondo; in misura sempremaggiore, tuttavia, esse contribuisconoa diffondere le capacità tecnologiche ela mentalità adatte per affrontare i pro-blemi ambientali. Infine, ultima in ordi-ne di considerazione, ma per molti versiprima in ordine di importanza, vi è lavera e propria esplosione di organizza-zioni internazionali non governative edi volontariato che si occupano di am-biente e sviluppo. Si stima che esistanocirca 200 000 gruppi, sempre più orga-nizzati in reti internazionali.

In un mondo sempre più affollato ecaratterizzato da maggiori consumi, unasoluzione consiste nell'utilizzare le tec-nologie che richiedono modeste quan-tità di ingredienti di base: energia, ma-terie prime e informazione. Come di-mostrano le tendenze a lungo termine,vi è già stata una riduzione dell'energiae delle materie prime richieste per unitàdi prodotto, ed esiste la possibilità diaccelerare queste tendenze. Di recente,per esempio, si è avuta una competizio-

ne industriale per produrre un nuovomodello di frigorifero a basso consu-mo energetico e privo di gas dannosiper l'ozono stratosferico. Molto prestoquesto frigorifero sarà disponibile sulmercato. In alcuni paesi, come l'India,si cercherà di passare direttamente aifrigoriferi della nuova generazione. Inalcuni paesi dell'Est europeo, le socie-tà telefoniche stanno incentivando di-rettamente i sistemi di comunicazionesenza fili, invece di tentare di ricostrui-re la fatiscente infrastruttura basata suicavi telefonici.

Il campo di studi e di azioni che e-merge, cui si dà il nome di ecologia in-dustriale, cerca di avvalersi dei mecca-nismi di competizione ed efficienza delmercato per rendere minimo il consumodi energia e di materie prime e per ri-durre la produzione di rifiuti. In un fu-turo più lontano si avranno forse oppor-tunità più sostanziali di venire incontroalle necessità di sostentamento del ge-nere umano senza per questo aumentarei carichi sull'ambiente. Questo traguar-do potrà essere raggiunto attraverso lascienza e l'ingegneria dei processi bio-logici, lo sviluppo di nuove fonti dienergia e di nuovi metodi di trasmissio-ne, la creazione di materiali innovativie, infine, la sostituzione con le nuovetecnologie informatiche sia dell'energiasia dei materiali.

La biotecnologia produrrà raccoltiche richiederanno meno fertilizzanti epesticidi. Le nanotecnologie e la mi-croelettronica consentiranno di svilup-pare macchine e processi che comporte-ranno minor impiego di materiali equindi produrranno meno rifiuti.

potenzialmente più significativa del-la creazione di nuove istituzioni o

dello sviluppo di tecnologie più avanza-te potrà essere la combinazione di ideeinnovative e di una sempre maggiorepreoccupazione per l'ambiente. Per so-stenere la vita umana sulla Terra bi-sogna mettere bene a fuoco tre concet-ti fondamentali: la coabitazione con ilmondo naturale è necessaria; esistonolimiti per l'attività umana; i beneficidell'attività umana devono essere piùampiamente condivisi.

Queste idee stanno diffondendosisempre di più: lo scorso inverno ebbioccasione di assistere al concerto di uncoro formato da 500 bambini, tra cui vierano i miei nipoti. Mi colpì la relativaassenza dei canti patriottici che aveva-no accompagnato la mia infanzia e laloro sostituzione con canti e inni a ca-rattere ambientalistico. E la mia mera-viglia continua nel constatare, a ogni«Giornata della Terra», come in 25 annisia cambiata la coscienza etica dei gio-vani americani. Ma io sto parlando diquello che avviene nel Maine; sarà lostesso nel resto del mondo?

Uno studio intrapreso nel 1993 daRiley E. Dunlap e dall'organizzazioneGallup ha messo a confronto le opinioni

su temi ambientali in 12 paesi indu-strializzati e 12 in via di sviluppo (Eu-ropa orientale compresa) e sorprenden-temente ha riscontrato piccole differen-ze nelle risposte. Perfino l'attribuzionedi una causa ai vari problemi («sovrap-popolazione» e «consumo delle risorsedel Pianeta da parte dei paesi industria-li») viene data in modo statisticamenteuguale tanto dai residenti dei paesi ric-chi, quanto da quelli dei paesi poveri.Contemporaneamente a questa diffusapreoccupazione nei confronti dell'am-biente, stanno via via emergendo con-vinzioni più profonde. Questa tendenzaè testimoniata dalle sfide fondamentaliall'antropocentrismo, dagli sforzi perrisolvere i conflitti tra ambiente ed eco-nomia e dalle nuove istanze di equitàtra specie, luoghi, popoli e generazioni.

Quindici anni fa Lionel Tiger, dellaRutgers University, avanzò l'ipotesiche esistesse una «biologia della spe-ranza», un'inclinazione evolutiva del-l'uomo verso l'ottimismo che controbi-lancia, almeno in parte, le preoccupa-zioni che possiamo esprimere attraver-so domande come «Potrà durare la vitasulla Terra?».

Per quanto non mi senta persuasodalle argomentazioni, alquanto incon-sistenti, di Tiger, condivido il suo otti-mismo. Non perché io nutra eccessivafiducia nella mano invisibile del «mer-cato» o nel cambiamento tecnologicoo, ancora, nell'ipotesi di Gaia, formula-ta da James E. Lovelock, per il qualesarebbe la vita stessa a essere in gradodi determinare le condizioni della pro-pria sopravvivenza. Per il vero, non ri-pongo neppure eccessiva fiducia nellasaggezza e nell'energia dei miei nipotie dei loro figli. Conservo, però, dellesperanze perché è semplicemente ne-cessario farlo se noi, in quanto specie,divenuti coscienti dell'improbabile estraordinario viaggio intrapreso dallavita nell'universo, vorremo in qualchemodo sopravvivere.

BIBLIOGRAFIA

TURNER B. L. II, CLARK WILLIAM C.,KATES ROBERT W., RICHARDS JOHN F.,MATHEWS JESSICA T. e MEYER WILLIAMB. (a cura), The Earth as Transformedby Human Action: Global and Regio-nal Changes in the Biosphere over thePast 300 Years, Cambridge UniversityPress, 1990.

MEADOWS D. H., MEADOWS D. L. eRANDERS J., Beyond the Limits: Con-fronting Global Collapse, Envisioninga Sustainable Future, Chelsea Green,1992.

AUSUBEL JESSE H. e LANGFORD H. DA-LE (a cura), Technological Trajectoriesand the Human Environment, NationalAcademy Press, 1994.

Unificazione o frantumazionedella scienza? Successi e limiti

dell'applicazione della matematicaalle diverse branche del saperesono esaminati nel quaderno

di «Le Scienze»MODELLI MATEMATICI

a cura di Giorgio Israel.

In questo numero:Immagini matematiche della realtà di G. IsraelLegge e ordine nell'universo: il teorema KAM di J.Hubbarde J.B. Burke Hubbard

Il moto browniano da Einstein a oggi di B.H. LavendaTeoria dei nodi e meccanica statistica di V.F.R. JonesIl caos di J. P. Crutchfield, J. D. Farmer, N.H. Packard e R. ShawCaos e trattali in fisiologia umana di A.L. Goldberger,D.R. Rigney e B.J. West

Morte improvvisa: un problema di topologia di A.T. WinfreeTopologia e previsione delle proprietà chimiche di D.H. RouvrayI modelli matematici e l'ambiente naturale di R. PennacchiLe code di M.A. LeibowitzLe basi della teoria economica di B. GuerrienScelte collettive razionali di D.H. Blair e R.A. PollakProgrammazione lineare e allocazione delle risorse di R.G. Bland

110 LE SCIENZE n. 316, dicembre 1994 LE SCIENZE n. 316, dicembre 1994 111