il mio primo viaggio in marocco in autocaravan · il mio primo viaggio in marocco in autocaravan un...
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Carissime amiche ed amici che seguite con interesse le informazioni che pubblico ( a volte, quando la
pigrizia di scrivere non prevale ) sulla pagina facebook Argan oil Atika e sul mio blog
lasorgentedellaluce.com-
Il mio primo viaggio in Marocco in autocaravan
Un viaggio tra costumi e prelibatezze popolari
PREMESSA:
Sapete il motivo per cui le donne Berbere di qualsiasi età e ceto sociale hanno un
aspetto così seducente da apparire sempre giovani, con la pelle luminosa e florida
come fossero eternamente delle teenagers ?
Volete carpire il loro secolare segreto?
Troverete tutte le risposte in questo reale racconto.
******** I*********
Di Atika e Uberto, estate 2016
Sono da poco rientrata da un viaggio di 8.000 km, tutti fatti con il mio autocaravan che, pur se molto
datato, si è rivelato molto efficiente e affidabile. Abbiamo viaggiato in luoghi mozzafiato ben lontani dalle
consuete mete turistiche, percorrendo centinaia di km lungo percorsi sterrati e molto difficoltosi. Lui… il mio
motore Fiat Ducato 1900 td non mi ha mai tradita. Anche sull’Atlas, in certe salite con il cambio sempre in
prima, dove non ti è concessa nessuna alternativa che proseguire, qualche volta sospirando, struggendo e
soffrendo, ma sempre con molta dignità.
Ma muoviamoci dall’inizio
Giovedì 7 Luglio 2016
Brescia/Catalogna
Partenza da Brescia ore 04,30 (del mattino ovvio) con una temperatura gradevolmente fresca ed un cielo
limpido e stellato che promette una giornata bella e soleggiata. A bordo viveri freschi e conservati per
un’autonomia di alcuni giorni, il serbatoio dell’acqua è bello pieno e la nuova cartina stradale del Marocco
in scala 1:800.000 è lì che mi fissa. E’ il primo anno che viaggio in Marocco con la cartina stradale, ma anche
in camper. I precedenti viaggi li ho vissuti sempre con la scomodità dell’auto e sempre con volumi occupati
da valige, contenitori refrigeranti per l’acqua, cibo e, come se già non bastasse, il trolley scassato della
cognata, colmo all’inverosimile di vestiti usati, scarpe smesse e ammennicoli vari di discutibile valore, ma
da portare con molto riguardo, come si trattasse di una ”reliquia” per 3500 km fino a Taroudant,, e da
consegnare esclusivamente nelle mani di Haifa che ne farà… buon uso.
Naturalmente, considerando lo spazio ampio dell’autocaravan, per questo viaggio le reliquie sono due!
Prima tappa prevista: Ventimiglia. Dopo oltre due ore di viaggio abbastanza monotono fino ad Aqui Terme, il
paesaggio appare più variegato ed interessante, merito delle graziose e morbide colline piemontesi ed alle
prime luci dell’alba il viaggio fino a Savona trascorre con più euforia. Ma la prova più penosa è ammirare
certi scorci mozzafiato che solo il litorale ligure può offrire cercando di sopprimere la smania di un tuffo in
quelle acque seducenti.
Vicino a Brignoles ci fermiamo per pochi minuti, giusto il tempo per divorare un panino, tonno e pomodoro,
e succo di frutta bello fresco. Inizia a fare caldo e, complice anche una buona dose di stanchezza, il
desiderio di una sosta prolungata magari all’ombra o sul litorale inizia a molestarci. Ma per noi nulla di tutto
ciò; a fatica cerchiamo di resistere, soprattutto perché dobbiamo arrivare in serata a Sarrià de Dalt, Girona,
dove avevo prenotato un hotel conveniente (30 euro per la notte con la tanto ambita aria condizionata).
Però, ci promettiamo solennemente che da domani “meno km e più soste” come dei veri camperisti.
********* II ********
Venerdì, 8 Luglio
Costa Dorada
Sveglia alle 7,00, doccia e bagagli a bordo, poi “ leche y café” con brioche, il cappuccino in quel bar non
l’avevano ancora concepito.
La temperatura del mattino è molto gradevole, 22-23 gradi, e la buona notte passata in hotel contribuisce
ad un delizioso ottimismo. Attraversiamo colline rigogliose ed in men che non si dica arriviamo a Malgrat de
Mar. Da lì proseguiamo lungo la costa passando da Calella, Arenys de Mar prendendoci la libertà di qualche
pit stop per contemplare la magnificenza del lungomare.
Ma quanto è bello il creato….soprattutto quando penetra direttamente nel nostro cuore e ci emoziona al
punto da farci venire i lucciconi.
Arriviamo alla periferia ampia e caotica di Barcellona, ci immergiamo in avenidas con ciclopici flussi di
veicoli, lasciandoci trasportare con rispetto e devozione dal GPS; dobbiamo andare verso Tarragona per
poi continuare il nostro viaggio almeno fino a Valencia o magari Alicante, poi penseremo al pernottamento
in un confortevole camping con comode docce, corrente elettrica, un appetitoso piatto di pasta preparato
con amorevolezza sul gas del nostro autocaravan…..
Dopo un pasto frugale dalle parti di Cambrils ci permettiamo solo due soste, una per il rifornimento di
gasolio che in Spagna costa meno che da noi, circa 1 euro, l’altra in un supermercato dove acquistiamo il
leggendario “jamón serrano”, (e chi se lo perde) una buona scorta di lattine San Miguel, altrettante di
radler e per me, che non consumo alcolici né carne di maiale, melone e verdure.
Da Castellon de la Plana, considerando che non mancherà tantissimo al tramonto, iniziamo a cercare
qualche area per accamparci e non è una missione per nulla facile prendendo atto che su quel lungo tratto
di costa del Mare delle Baleari di campeggi ce ne sono veramente pochi e con rare segnalazioni.
Lasciatemelo dire, quei pochi sono brutti, scadenti nei servizi e costosiiii. Anche il litorale si rivela una
mortificazione, cemento fino quasi alla battigia, palazzoni di 8 e più piani, hotels mastodontici, pizzerie e
quanto di più sgradevole si possa immaginare per rovinare un tratto di costa che solo fino a pochi anni fa
era suggestivo.
Il progresso……
******** III *********
Andalusia
Il sole è tramontato e in un baleno si fa sera. Che mortificazione. L’aspettativa di una confortevole doccia
svanisce, e dopo 12 ore di guida con la calura dei 35 gradi è il desiderio maggiore, ancora più bramato di
una succulenta cenetta.
Considerando la negativa popolarità che circola nel team dei camperisti sul reale rischio di essere gassati
durante il sonno da malviventi, prevalentemente nel sud della Francia e in Spagna, decido di portarmi fuori
dalle rotte più trafficate alla ricerca di un piccolo centro abitato dove pernottare.
Ecco Onil, piccolo borgo apparentemente privo di interesse ma adatto al nostro meritato riposo.
La piazzetta abbastanza livellata dove posteggiamo è deserta, poca illuminazione e solo alcune auto in sosta
e malgrado l’orario non c’è anima viva. Peccato, avrei chiesto volentieri qualche indicazione per una
pizzeria o ” taberna” nei dintorni. Lascio immaginare a voi quanta volontà di mettersi ai fornelli dopo la
sgobbata della giornata. Le ultime energie rimaste le impiego per rinfrescarmi nella toilette
dell’autocaravan e poi per cena melone, verdure e per chi può permetterselo anche jamón.
Ore 03,15 della notte, vengo destata di soprassalto da un fascio di luce che proviene dall’esterno, scosto
leggermente la tenda del finestrino e vedo un’auto golf volkswagen vecchio modello che si arresta in modo
approssimativo ad una decina di metri con due individui a bordo, non è una coppietta, sono due uomini
apparentemente di quarant’anni circa.
Lo spazio intorno a noi improvvisamente si carica di densità smaniosa dando origine ad una energia
opprimente. Anche le case circostanti appaiono vuote, abbandonate, non c’è anima viva. Solo noi e loro.
Tutto si compie in un enigmatico ed inconsueto silenzio. Mi accerto di avere a portata di mano la mia arma
fedele: un manico di piccone che tengo celato vicino alla porta d’ingresso. Colgo che stanno guardando
nella nostra direzione. Forse sarà solo semplice e genuina curiosità, ma l’orario sospetto e la stanchezza
lasciano il posto alla prudenza.
Accendo la luce, mi preparo un buon caffè e faccio in modo che notino la mia presenza operosa; verso le ore
04,00 accendono il motore e se ne vanno, assieme, ahimè, ai miei ultimi residui di sonno. Decido che mi
conviene partire. Ho fatto bene? Sarebbe stato meglio appagare il sonno oppure sono stata troppo
scrupolosa ? Credo che una risposta non sia plausibile.
Sabato 9 Luglio
Guido per circa tre ore compressa nel buio dove tutto appare effimero, solo i fari che illuminano la
carreggiata mi accompagnano curva dopo curva alla concretezza. Perché non arriva la tanto sospirata alba?
Sono già le 06,30!
Un’altra mezzora e le prime timide e velate luci appaiono dal mare, in lontananza. Che spettacolo!
Dal nulla si materializzano dolci colline, casette sparse qua e là, e qualche raro e mattiniero pigro
automobilista.
La vita risorge dall’oblio, lentamente, con devozione, con quella delicatezza di cui solo la natura è capace.
Finalmente un bar aperto, breve sosta per la colazione e si riparte. Obiettivo per la serata : Algeciras.
A metà pomeriggio siamo a Malaga; com’è cambiata dalla prima volta che ci sono stata, non che fosse una
città piccola, ma ora appare così sconfinata, esuberante e baldanzosa nella sua obesità.
Personalmente mi piaceva di più prima, quando risultava più “riservata” .
Per circa un’oretta “l’Autovia del Mediterraneo” boccheggia quasi soffocata da enormi centri
commerciali, da un lato e dall’altro, quasi affiancati , e strozzata da quel serpentone di veicoli che
gareggiano forse alla ricerca della pole position per la prossima rotonda…
Siamo a Marbella, il cartello con l’indicazione camping La Buganvilla mi induce ad una brusca frenata, pochi
metri ed ecco l’ingresso del campeggio, siamo stanchi e accaldati, entriamo.
Madre de Dios, siamo in paradiso! Piazzole in ombra, servizi puliti, e una vera piscina per adulti con tanto di
bar per la gioia di un’artica “cerveza”(analcolica naturalmente) Il resto è poesia….
********* IV ********
Domenica 10 Luglio
Algeciras
Svogliatamente e con mestizia Domenica in tarda mattina iniziamo i preparativi per la partenza,
riempimento del serbatoi dell’acqua, controllo dell’olio motore, la nota di ciò che manca prima di lasciare
l’Andalusia . Però come sarebbe stato bello fermarsi tutto il giorno in quell’eden. La distanza che ci separa
da Algeciras è breve, ma il desiderio di rimanere in Andalusia è ampio.
Lungo l’Autovia del Mediterraneo iniziamo a scorgere i primi “botteghini” dove si possono acquistare i
vaucher per la traversata; al quarto o al quinto ci fermiamo, aspettiamo il nostro turno e finalmente
possiamo chiedere timorosamente un preventivo. La competenza che dimostra il funzionario, un
magrebino sui 45 anni, ci appare da subito molto manchevole e approssimativa. Ci informa che è molto più
vantaggioso acquistare solo l’andata, mentre il ritorno lo possiamo ottenere direttamente recandoci alla
loro sede a Tangeri – mah, non ci appare una confortevole soluzione, poi, con la nostra crescente
perplessità, dopo interminabili consultazioni al computer, il costo per la sola andata che ci presenta è di
360,00 euro, mentre con il ritorno circa 580,00.
Accidenti, è molto di più di ciò che pensavo. Il mio input interiore è molto scettico e lo voglio compiacere,
malgrado altre persone ansiose pressano per il loro turno, ci allontaniamo seguiti da alcune presumibili
imprecazioni in arabo forse dovute alla prestazione fornita senza profitti.
Il prossimo Tickets Point lo troviamo quasi ad Algeciras, non dobbiamo attendere altre persone; sarà di
buon auspicio? L’impiegato, un ragazzo Marocchino di circa trent’anni, ci ascolta con interesse, consulta il
suo pc ed inizia a formulare alcune ipotesi che già ci appaiono più concrete, anche la mia vocina interiore
mi appare più rilassata. Passano alcuni minuti e la proposta maggiormente vantaggiosa che ci viene
presentata con chiarezza e cortesia è di 266,00 euro andata con ritorno! (andata da Tarifa mentre il ritorno
Tangeri-Algeciras )
Permettetemi due piccole considerazioni se mai un giorno vi doveste trovare in simili circostanze: il primo
preventivo spesso non è il più proficuo e poi, quando la vostra pulsione vi implora attenzione, seguitela, è
sempre imparziale, non fidatevi esclusivamente della mente, che già dal nome (mente) non sempre
proclama verità.
******** V *********
Tangeri
Arrivando al Puerto de Algeciras verso le 13, mi accorgo che la temperatura è molto elevata.
Fortunatamente di tanto in tanto una gradevolissima brezza marina ci ristora ed in seguito, per buona
sorte, ci fanno posteggiare all’ombra di un’ampia tettoia. Il mio timore era di passarci delle ore per le solite
noiose procedure doganali; ma devo ammettere che il personale preposto si è dimostrato molto efficiente
agevolando l’iter burocratico. Ci assentiamo pochi minuti per recarci al bureau ad effettuare la vidimazione
del passaporto. “Adelante caballero”, al ritorno, con piacevole sorpresa, una simpatica e graziosa agente
doganale con voce squillante ci invita a muoverci, inizia il trasferimento a bordo.
Si tratta di una manovra sempre alquanto difficoltosa, soprattutto con veicoli di grandi dimensioni e con
scarsa visibilità.
L’area buffet è gremita di persone di varie etnie, anche se in maggioranza Magrebini. Molte si calcano nel
poco spazio dedicato alla cassa del bar ancora non operativo… ma vuoi vedere che oggi regalano le
consumazioni ? Non credo proprio! Preferisco uscire sul ponte scoperto di prua.
Davanti a me… l’Africa. Maestosa, recondita, protetta dagli sguardi inquisitori da Jebel Musala, mitica
colonna d’Ercole del Continente Africano, imponente, a picco sul mare, con la fierezza dei suoi 850 metri a
salvaguardia dei segreti occulti di uno sconfinato territorio che per numerose persone appare ancora
misterioso e fiabesco.
Un po’ con la frenesia di arrivare, un po’ con la nostalgia della piscina di Buganvilla, la traversata dura
pochissimo. Infatti, il traghetto inizia a manovrare per allinearsi alla banchina.
Finalmente le nostre ruote anteriori toccano il suolo Africano, solo quelle anteriori però! Perché siamo già
fermi e in fila per i controlli doganali. Come nei precedenti viaggi non riesco mai a comprendere il motivo
per cui la polizia di frontiera è così scoordinata, tutti fanno tutto, i documenti personali e dei veicoli
vengono esaminati varie volte da diversi funzionari creando così solo caos, nervosismo e dispersione di
tempo. Durano più i controlli della traversata. Sarà forse una strategia per ottenere tornaconti personali?
Impariamo velocemente che il tempo non scorre con la stessa rapidità in tutti i continenti, qui è più
flemmatico, sono rilevanti le ore e i giorni, non i minuti come da noi.
******** VI *********
Provincia di Ouezzane
Iniziamo a salire sulla Nazionale 16 in direzione Fnideq, poche curve e i nostri 82 cavalli iniziano a
protestare, non sono abituati a tali scalate, la prima marcia chiede indulgenza. La strada è poco bella, ma
più ci innalziamo e più lo scenario si fa incantevole, alla nostra sinistra l’exclave di Ceuta e la lunga costa sul
Mare di Alboràn.
Alla destra stradine che si perdono in verdi vallate fino a trasformarsi in mulattiere, viottoli, chissà a quali
luoghi insoliti e riservati porteranno, così scomodi e lontani dall’evoluzione.
Fnideq è un grazioso ed attivo centro abitato, con le bianche casette che si affacciano sul mare, le strade
animate da venditori di fichi d’india, di kefir (buonissimo), di spremute d’arancia, e poi cavalli, simpatici
asinelli che trasportano di tutto, taverne che mostrano deliziose pietanze invitanti… e noi ? Sconsolati ed a
stomaco vuoto dovremmo limitarci ad una sterile contemplazione? Non sia mai!!
Riusciamo a posteggiare tutti i nostri 82 cavalli magistralmente di fronte al bistrot, in doppia fila
naturalmente, come di consuetudine da queste parti, e poi, come diceva spesso il buongustaio del mio ex
suocero, “è la festa della pancia”.
Ci crogioliamo con un ricchissimo e ben composto piatto di verdure cotte e crude. Poi un trionfo di pollo e
manzo cucinati in svariati modi, l’immancabile riso e patatine e per chiudere il sempre presente thè alla
menta. Costo finale: 40 Dirham a testa. (quattro euro!!)
Ora che ci siamo rinvigoriti dobbiamo rimetterci in marcia. E via lungo la strada costiera. Lo stupore non
manca nell’ammirare con quanta cura e ordine si presenta per alcuni chilometri questo tratto litoraneo,
nulla da invidiare alla Promenade des Anglais . In seguito mi faranno presente che quell’area costiera è la
preferita da Moḥammed VI, il Re.
La distanza per arrivare a Fes è notevole ma, chilometro dopo chilometro, procediamo. Il cibo che abbiamo
gustato a Fnideq era veramente buono e per nulla pesante, e così anche la guida risulta essere meno
impegnativa. Ci lasciamo alle spalle Tetouan e procediamo per la Nazionale N°2 fino a Derdara.
Il nostro programma sarebbe continuare per la N°2 fino a Katama ma, valutando l’orario presumibile
d’arrivo a destinazione dove ci avrebbe ospitato Ayub, un giovane di 26 anni conosciuto l’anno precedente
a Meknes e che vive con la mamma e la sorella nella Medina di Fes, decidiamo di fare il percorso più breve.
E’ magnifico avere una vera cartina stradale, un privilegio all’esiguo costo di 8 euro ed ordinato sul web
pochi giorni prima della partenza. I viaggi precedenti li avevamo fatti tutti con frammenti di mappe
stampate, a volte anche male, da Google Maps e domandando indicazioni a destra e a manca.
A tale proposito sconsiglio nel Maghreb di dare troppa attendibilità ai riscontri dei viandanti, i quali forse
per una eccessiva enfasi, offrono suggerimenti anche quando ignorano .
Imbocchiamo la nazionale N° 13 e passiamo da Ouezzane, il paesaggio tutt’intorno è a tratti ben coltivato
con ampie aree dedite alla pastorizia, ma all’infuori di qualche piccolo centro abitato non avvistiamo
viaggiatori. Solo un raro pastore errante e con palese incredulità nell’osservare un’abitazione con le ruote, ci
saluta molto cordialmente sfoggiando un sorriso da stimolare senza dubbi l’attività professionale di
qualsiasi odontotecnico.
******** VII *********
Città imperiale di Fes
E’ sera quando finalmente arriviamo alla periferia della superba Fes. Enorme, quasi smisurata, non si
vedono i limiti, ora per raggiungere la Medina anche la cartina stradale a poco serve. Dopo qualche
chilometro percorso su un infinito viale urbano optiamo per chiedere indicazioni. Purtroppo, nessun pedone
in vista e siamo, quindi, costretti a fermare un ragazzo sul suo scooter. Dopo il consueto protocollo di
convenevoli e complimenti vari, finalmente inizia a metabolizzare la nostra richiesta. Il giovane si dimostra
molto gentile e disponibile e si presta a farci strada fino alla destinazione. Sono molte le deviazioni che
siamo costretti ad effettuare e, dopo alcuni chilometri di circolazione in corsi e viuzze, arriviamo ad una
gigantesca porta fortificata che delimita il centro storico. Non ci saremmo mai arrivati senza una guida,
forse! Congediamo il giovane con una vigorosa stretta di mano e 50 Dirham; se li è veramente meritati.
Telefoniamo a Ayub e dopo pochi minuti ci raggiunge con il suo ciclomotore vintage. E’ felice di incontrarci,
e lo dimostra ampiamente con calorosi abbracci e baci espansivi. L’ euforia del momento, però, viene subito
adombrata da una complicazione: non possiamo entrare nella Medina con l’autocaravan! Ahc!!! Le stradine
sono anguste, in alcuni tratti nientemeno che a scaloni e con passaggi che non superano i 2 metri di
larghezza. Che fare? L’area dove ci siamo arrestati non è uno spazio adibito a posteggio, anche se sostano
vari mezzi di trasporto.
“Amigo”,una voce proviene dalle nostre spalle, è un individuo di indefinibile età seduto su una vacillante
seggiola e deve aver intuito la nostra apprensione, ci raggiunge cercando di rassicurarci presentandosi
come posteggiatore, abusivo ovviamente; sarà lui per tutta la notte il guardiano del nostro veicolo.
…Che pregevole affidabilità!!
Assieme al nostro cicerone Ayub ci arrampichiamo a pedi all’interno del centro storico lungo percorsi
gravosi, portando con noi il minimo indispensabile per trascorrere la notte assieme al fardello di dubbi per
la nostra audace decisione. Il calore è notevole, così come la stanchezza e non vediamo l’ora di arrivare alla
meta. Lungo il cammino gruppetti di bizzarri ragazzi ci osservano con manifesto disappunto, come fossimo
invasori del loro intrinseco habitat. E forse un po’ lo siamo con la nostra imprudente incredulità nello
scrutare con quale essenzialità conducono la loro semplice esistenza.
Eccoci finalmente alla nostra dimora: un piccolo ingresso, depredato alla maestosa ed arcaica parete alta
oltre dieci metri senza nessuna finestra e fenditura ci separa dall’interno. L’umile portoncino in legno
consumato dal tempo viene aperto con un cigolio pietoso.
Quasi trattenendo il respiro per rispetto e stupore ci troviamo di fronte ad un vasto ambiente nobile ed
incantevole, ampio nel suo perimetro e nell'altezza; lungo le pareti confortevoli divani arabi dalle vivaci
tonalità e con preziosi cuscini, al centro, delimitata da un muretto a secco, un’aiola con alcuni arboscelli ed
una sovrastante e gagliarda palma slanciata verso l’alto soffitto che é protetto solo con lastre trasparenti che
permettono di ammirare il galattico cielo stellato.
Malgrado il tardo orario e la nostra palese stanchezza, la mamma di Ayub, una magnetica signora di età
indefinibile, dai modi cortesi ed eleganti, ci raggiunge ed imbandisce un comodo tavolino con vari dolcetti
artigianali e l'immancabile dolcissimo tè alla menta. Poco dopo ci viene servito anche del fragrante pane
caldo artigianale con dell’olio di Argan profumato di nocciole tostate (delizioso… ).
Com’è noto, i Magrebini sono molto ospitali, ma attenzione ad un eventuale diniego, anche se giustificato
con le migliori intenzioni, a loro risulterebbe impertinente e diffidente, pregiudicando così un eventuale
proficuo rapporto.
Marjane, la mamma, ci fa notare alcune caratteristiche della loro abitazione, come i tre poggioli sopra di
noi, uno per piano, che collegano ampie camere per ospiti; un enorme salone dietro un portone antico alto
tre metri ci incuriosisce ed apprendiamo che era l’ambiente dove, oltre otto secoli fa, il comando militare
locale prendeva austere decisioni belliche. Per l’appunto, in passato, ai tempi del sultano Abu al-Rabi
Sulayman questa dimora fu un importante quartiere militare di Fes, un ambiente intrinseco di storia e di
tormenti, soprattutto nella parte interrata dove esistevano le desolate celle degli sventurati e ripudiati
prigionieri.
Nella hall dove ci troviamo la temperatura, grazie al soffitto molto elevato, è tollerabile e la conversazione
si spinge ai limiti dell’assopimento; poi, finalmente Marjane e Ayub ci conducono attraverso un pertugio
miseramente illuminato su lungo anguste e ripide scale. Uno dopo l’altro, a fatica, montiamo alti gradini,
logorati dai secoli e da innumerevoli saliscendi.
L' immaginazione mi porta indietro nel tempo, intravedo decine di soldati con scarponi pesanti ed
ingombrante armamentario bellico salire a fatica, spossati , affamati, bramosi solo di trovare conforto per
qualche ora nel giaciglio a loro riservato, noncuranti della calura o del degrado, ma con il cuore torturato
dal ricordo dei loro cari lontani prima di cadere nell’oblio.
Non come me, che boccheggio dal caldo e, più saliamo, più l’afa mi avviluppa e diventa insopportabile.
Io che a dir poco anche d’inverno preferisco le t-shirt ai caldi pullover.
Saliamo fino al terzo piano; non tutte le camere, ci illustra Ayrub, sono tuttora utilizzabili, quella che ci
propone è ampia con quattro letti, pavimento in listoni di legno “vissuto”, una capiente e antica cassapanca
e poi… l’incantevole poggiolo con vista sulla hall dell'ingresso. Il bagno è piccolo e spoglio, solo lo stretto
necessario.
Maledetto caldo! Tutto sarebbe così eccellente per un meritato riposo… Anche la mamma si accorge del
mio disagio ed in modo schietto mi espone una valida alternativa: un’altra dozzina di scalini e mi ritrovo
alla sommità dell’edificio, in un ampio tetto a terrazza sovrastante tutta la Medina.
Mi rassetto su un materasso logoro ma comodo, al centro del pavimento, con lo sguardo rivolto verso
l’incantata volta stellata e, complice anche il conforto di una tanto desiderata brezza, l’anima si colma di
gratitudine. alhamdulillah ( grazie a Dio)
*********VIII*********
Lunedì, 11 luglio
Un tenue albore mi vezzeggia gli occhi ancora acciocchiti dai fiabeschi viaggi nel mondo di Oniro e da una
notte che non dimostra nessun struggimento nel lasciare spazio ad un'altra luminosa giornata.
Poi, la garbata luce dell’aurora inizia a dipingere con tonalità di acquerelli un’opera pittorica che pareva
abbozzata solo nei contorni. Anche il muretto che limita la terrazza assume una forma meno solenne e
scorgo pure che, orgoglioso, sostiene vasi con vistosi e sanguigni gerani .
Tutt’intorno a me i tetti della Medina e, oltre, a perdita d’occhio Fes, un agglomerato di muri e abitazioni di
color ocra, limitata solo verso ovest dal profilo solenne dell’Atlas.
L’Atlante: una catena montuosa che fin da ragazza ha suscitato in me seducenti desideri di avventure ed
esplorazioni, ed ora è lì, di fronte a me, quasi come se volesse sfidarmi, provocarmi.
Accetto! Questa volta raccolgo l’invito e cercherò di infrangere i tabù e timori avuti nelle precedenti
occasioni…
Bonjour mes amis . Caffè o tè? Dal basso la voce di Ayrub mi riporta al presente.
Una ricca colazione con uova strapazzate al “camun”, pane appena sfornato, miele, olio d’Argan, olive e
dolcetti è ciò che ci vuole per affrontare un’altra giornata impegnativa con oltre 300 chilometri da
percorrere. Il traguardo di oggi è : Fquih Ben Salah, (in berbero : ⴼⴼⴼⴼ ⴼⴼⴼ ⴼⴼⴼⴼⴼ), una città situata
nella regione di Beni Mellal, a 550 metri slm, con più di ottantacinquemila abitanti,(quelli censiti)
popolare per l’alto numero di emigrati e domiciliati prevalentemente in Italia e in Spagna.
La sua economia si basa soprattutto sulle rimesse che gli audaci e intraprendenti Marocchini dall’estero
inviano alle loro famiglie, sulla coltivazione di cereali, olive e allevamento di bestiame.
Non si può certo dire che sia una meta ambita per attività turistiche, con il suo clima arido, desertico, e con
l’assenza di opere di interesse storico, ma lì, in pieno centro, nei pressi dell’ Avenue Hassan II, ho
un’abitazione, una casa su tre livelli ereditata dalla mia povera e adorata mamma ed in quelle mura,
tutt’oggi, si respira ancora la sua gaia presenza.
E’ ora di mettersi in movimento. Sono soltanto le otto del mattino ed il sole inizia già maliziosamente a
mostrare la propria determinazione nell’impadronirsi della giornata. Ayrube e Marjane avrebbero
desiderato trattenerci ancora, però garbatamente si rassegnano alla nostra determinazione sostenendo in
cambio la loro volontà a guidarci fino al posteggio. Tutti e quattro scendiamo per i viottoli sciatti della
Medina dialogando del nostro viaggio quando, all’improvviso, un lampo d’angoscia mi invade; è fulmineo,
ma quanto basta a diffondere sulle mie spalle e poi lungo le braccia una sgradevole sensazione di gelo.
In quali condizioni troveremo il nostro adorato e “custodito” autocaravan? Lo avranno depredato? Ma più di
tutto, ci sarà ancora?
Non vedo l’ora di arrivare. Mancano un centinaio di interminabili passi, ed anche se cerco di contrastarla, la
suspense diventa insopportabile. In quel lembo di area sosta che intravedo oltre la porta della muraglia non
ci sono veicoli, ancor meno il nostro.
Eppure mi pareva di averlo posteggiato di fronte.
Ancora pochi metri e… eccolo finalmente! Il nostro fido autocaravan è lì davanti a noi, sprezzante,
seducente, più affascinante di ieri. Saliamo a posare i nostri minuti bagagli e, ovviamente, anche per un
riscontro sommario di ciò che era rimasto a bordo; nessuno l’ha profanato.
Shukran. Offriamo con immensa gratitudine 50 Dirham al posteggiatore ancor prima di essere informato
della sua richiesta, che presumibilmente sarebbe stata inferiore, ma va benissimo così. Jalla jalla
******** IX *********
Monti dell'Atlante
A circa un terzo del percorso la nazionale n°8 inizia a risalire ostinatamente, il territorio assume una diversa
prospettiva, si scorgono via via coltivazioni di ulivi e qualche macchia forestale; anche il clima pare più
clemente e l’aria maggiormente linda.
Il cartello stradale davanti a noi indica 7 km per ⵉⵉⵉⵉⵉ( Ifrane). Siamo sul medio Atlas, nell’ampia regione
Berbera, a 1700 metri slm. Ancora pochi minuti di guida e… sbalorditivo! Il colore ocra del terreno lascia
completamente il posto a prosperosi boschi di abeti e verdi prati ben curati con molteplici fioriture.
Percorriamo un ampio viale alberato a quattro corsie, ai lati scarse abitazioni compaiono inattese dalla
rigogliosa vegetazione con tetti molto spioventi, simili alle nostre baite del Sud Tirolo, mi attrae pure
l’operosità di un considerevole numero di preposti al giardinaggio armati di ramazze e rastrelli e numerosi
agenti di pubblica sicurezza abbigliati con molteplici uniformi.
Io e il mio fidato “chauffeur” ci guardiamo stupiti negli occhi, increduli di trovarci in un’area molto più affine
alle Alpi Bavaresi che al Nord Africa e priva di elementi del costume Marocchino.
Alla nostra sinistra un camping, l’invitante ingresso del “Camping Municipal”, cosa alquanto singolare
considerando che è il primo che notiamo da quando siamo entrati nel Magreb. Ovviamente ci fermiamo a
raccogliere informazioni attinenti a costi e servizi. Molto ridotti i costi… ed anche i servizi, purtroppo.
Ifrane è veramente un posto incantevole; ci immergiamo verso l’area più centrale ed ammiriamo eleganti
bistrots e distinti hotels attorniati da ampi giardini pubblici e parchi che creano un’atmosfera di piacevole
relax. Anche le persone che incontriamo hanno un aspetto molto garbato, bimbi ben vestiti, graziose
signore vestite all’occidentale, altre riparate dal tradizionale Hijab ma indossato con charme.
Perché ci sorprendiamo do tutto questo? Non siamo in Austria o in Svizzera… Oppure si?
L’antico nome di Ifrane era Tourtite, che significa giardino. Oggi, invece, è soprannominata Piccola Svizzera,
vi assicuro è un appellativo del tutto meritato, non solo per il clima temperato e i verdi parchi ma,
soprattutto, per la pulizia che riscontriamo in ogni luogo di questa inconsueta cittadina; non per nulla la NBC
l’ha considerata la città più pulita al mondo.
L’ economia si basa prevalentemente sulle attività turistiche e non solo estive; non trascuriamo che Ifrane
è anche una apprezzata località invernale, per la presenza di interessanti piste da sci.
Con rammarico ci lasciamo alle spalle questa graziosa rivelazione per proseguire il nostro voaggio. Per
svariati chilometri percorriamo uno scorrevole tratto immerso in boschi di conifere alternati a verdi pascoli,
poi la strada inizia a digradare fino ad Azrou, un centro berbero del medio Atlante molto accogliente a 1.200
metri di altitudine, luogo eccellente per fuggire dal gran caldo estivo ed ideale anche per interessanti
escursioni, come Jbel Hebri, il cono vulcanico al belvedere d’Ito, ad una ventina di minuti d’auto, oppure
delle balsamiche passeggiate nella rigogliosa foresta di cedri dove adorabili Magot (scimmiette berbere)
saranno ben liete di incontrarvi in cambio di un po’ di frutta o qualche pezzetto di pane.
Da non tralasciare il souk del Martedì, dove tappeti e coperte, veri splendori della lunga tradizione di
tessitura del luogo, sono le merci più ricercate.
Proseguendo sulla nazionale otto i verdi prati si sottomettono ad aride distese, con sempre più sporadiche
zone forestali. Passiamo da M'rirt, piccolo borgo gremito da un confuso andirivieni di persone e mezzi di
trasporto d’altri tempi; ai lati della via principale grezzi e fumanti bistrò espongono girarrosti colmi di polli
e brandelli di capra. L’atmosfera non è particolarmente invitante, ma complice un certo languore,
parcheggiamo l’autocaravan accanto ad una taverna che ha un tavolino libero in buona posizione.
La cucina berbera non è poi così dissimile da quella marocchina, molta carne bianca e ovina, verdure di
stagione, olive, legumi e molte spezie. Noi ordiniamo un tajin con carne di manzo; pochi minuti e ci viene
servito con un piatto di verdure fresche, patatine fritte e da bere Poms ghiacciata.
******** X *********
Béni Mellal-Khenifra
Il clima mite della provincia di Ifrane a questo punto è solo un nostalgico ricordo, malgrado proseguiamo
nella regione montuosa dell’Atlas, a circa 850 metri slm, il termometro si sta conquistando agevolmente i
quaranta gradi. Alla periferia di Khenifra, la Città Rossa, ci fermiamo qualche minuto per un meritato ristoro
e per pochi Dirham ci deliziamo con due bicchieri a testa di succo di arance fresche spremute al momento.
Khenifra è una graziosa città con svariate botteghe artigianali di terraglie, tra cui primeggiano tajin di varie
dimensioni, anguste rivendite di pane, spacci scomposti di frutta e verdure, una baraonda di venditori
ambulanti di fichi d’india e meloni verdi.
La Città Rossa, attraversata dal fiume Oum Er-Rbia (madre della Primavera) e circondata da montagne, è
anche meta preferita dal turismo ecologico per la sua foresta di cedri, i suoi laghi, uno in particolare:
Aguelmam azegza, a circa 30 minuti di auto, grazioso e balneabile, incorniciato da splendidi alberi di cedri e
querce, dove è anche possibile pernottare con la tenda o l’autocaravan in compagnia di affabili nuclei
familiari berberi che permangono per tutta la stagione estiva, offrendo agli escursionisti del pane casareccio
cotto a vista in piccoli fornetti rudimentali in cambio di modesti ricavi.
Altro luogo incantevole ignorato dal turismo di massa sono le Sources Oum Rabia. Da Khenifra si procede
lungo la provinciale 7306. Passando da Arougo in direzione del parco nazionale Azigza, per continuare poi
sulla P 7311, la strada non è agevole ma con una guida prudente e dopo diversi chilometri, si arriva a
destinazione. E’ un sito molto suggestivo e merita una lunga contemplazione.
In queste località particolari ci siamo stati l’anno passato in auto, i disagi sono stati molti, ma la seccatura
maggiore l’abbiamo subita a causa del pernottamento sul terreno riparati solo da un leggero plaid; ma
questa volta, ci ripromettiamo, torneremo con tutta l’agiatezza del nostro adorato autocaravan.
Sempre continuando sulla Nazionale Otto (N 8 ) ci dirigiamo verso Kasba Tadla; alla nostra destra, nel fondo
valle, il Barrage El-Hansali , un lago artificiale molto ampio e suggestivo, con una superfice di una tonalità di
azzurro davvero invitante anche se, purtroppo, non balneabile. Questo è uno dei sei sbarramenti del Oum
Er-Rbia, il secondo fiume più lungo del Marocco con i suoi mille chilometri che, dal Medio Atlante,
attraversando canaloni ed altopiani, campagne e città, trova finalmente, ad un centinaio di chilometri a sud
di Casablanca, la legittima unione con le insaziabili ed avide acque dell’Oceano.
La temperatura ha ormai superato i quaranta gradi, anche l’aria non è più tersa e si presenta con una
sottile bruma generata dal suolo che espande in tutte le direzioni la calura patita dalla giornata torrida.
Poco lontano, a qualche centinaio di metri, nella foschia, si scorgono ampie distese di smog, e più ci
avviciniamo e maggiore è lo sgradevole odore di rifiuti che strinano; il fetore è irrespirabile e il contesto
surreale; un' immensa voragine, forse di origine naturale, stipata di sozzura indistinta in combustione
sprigiona fumi di molteplici gradazioni. E’ sconcertante notare che malgrado l’ambiente insalubre, alcune
capre si cibano di quei pochi e sterili arbusti avanzati ed innegabilmente inquinati. Osserviamo pure, in
questo disgustoso Girone Dantesco, alcune persone rovistare tra le scorie forse alla ricerca di chissà quali
misteriose chimere.
Questi sono i forti contrasti del Marocco; da Ifran, lodevole provincia elegante e raffinata, bastano dopo
poche ore di strada e ci si immerge in “spavalde” discariche a cielo aperto ai margini di agglomerati urbani.
In questo caso il commento è riservato a Kasba Tadla.
Lasciamoci speditamente alle spalle la malasorte di quest’area contaminata per proseguire il nostro
percorso verso Fquih Ben Salah, dove sarebbe auspicabile arrivare con la luce solare.
Imbocchiamo la Regionale 308; al nostro fianco l’inseparabile Oum Er-Rbia sempre più impetuoso e
impaziente di raggiungere l’immensità dell’Atlantico. Lungo il margine, quasi a sfiorare l’acqua, alcuni ovili
malconci con stoviglie ed oggetti vari di vita quotidiana sparpagliati nel terreno fanno supporre che le
compassionevoli pecore e capre non abbiano la residenza esclusiva in quelle modeste e precarie coperture,
ma bensì condivisa con i loro fedeli pastori.
Ora l’ambiente è arido e desolato, distese a perdita d’occhio unicamente con arbusti rinsecchiti che
affiorano da sabbia e sassi dove pare non esserci nessun accenno di vita se non qualche sporadico albero di
fichi, rivelatore di una celata e scarsa riserva d’acqua.
Ma….. sorpresa; subito dopo una insignificante collina ecco apparire ai lati della strada qualche umile
abitazione. Procediamo a passo d’uomo per osservare, sconcertati, la disagiata esistenza di quei pochi
autoctoni, tutti anziani, accomodati in ozio su seggiole di fortuna all’ombra della parete di una inattiva e
tenebrosa officina meccanica” tuttofare” .
Salam aleikum; oltre al loro cordiale saluto, ci manifestano molta affabilità invitandoci a bere un sorso di
acqua in loro compagnia.
E’ palese riscontrare che, soprattutto per chi ha vissuto sempre nell’umiltà, basta così poco per raggiungere
la serenità e il buonumore: un modesto riparo dalla calura ed un bicchiere di acqua neppure fresca…
Noi Europei sempre di corsa e pur considerandoci molto più evoluti , sacrifichiamo tutta la nostra esistenza
alla incessante ed utopistica ricerca dell’armonia, progettando mete sempre più ambite e molte volte
precarie ed irraggiungibili, quando basterebbe ridurre la marcia e soffermarsi di tanto in tanto,
consapevolmente, per ammirare ciò che ci circonda: la nostra casa, i nostri cari -per chi ha la fortuna di
averli, la fragranza di un prato dopo la pioggia, il sorriso spontaneo di uno sconosciuto…
Ma possiamo veramente permetterci di sprecare così tante risorse ed irripetibili occasioni all’unico
insensato scopo di vivere in una dimensione illusoria che non è nella nostra natura umana: il futuro ?
******** XI *********
Ecco Fquih Ben Salah, il cartello indica 6 km ancora e siamo giunti finalmente. La periferia della città si
presenta alquanto trascurata: carreggiate sporche di terra ed escrementi di animali da soma, veicoli
posteggiati in maniera caotica ed ostacolati da piramidi di angurie enormi, ragazzini che giocano a calcio
con lattine vuote tra le auto in sosta ed in movimento; ovunque c’è un gran trambusto.
Il vicolo centrale dove ci dirigiamo è molto stretto per il nostro autocaravan. Fortunatamente non
incrociamo autovetture, ma è molto arduo districarsi e procedere indenni evitando instabili carretti colmi
all’inverosimile di fichi d’India, di meloni e olive, ciclisti sfrontati e disinvolti, pedoni “kamikaze”…
Dopo interminabili minuti di guida concitata e miracolosamente illesi arriviamo di fronte alla mia dimora,
e con coerenza alle abitudini locali, sostiamo occupando con metà larghezza il marciapiede e intralciando
anche parte della carreggiata, ma da queste parti nessuno si sorprenderà. Al contrario, otteniamo persino
l’approvazione di un bottegaio della zona che osservava incuriosito le nostre manovre di parcheggio.
Saliamo le ripide scale della mia casetta per raggiungere il primo piano, è tutto buio, l’effluvio di chiuso con
l’afa è piuttosto sgradevole; spalanchiamo le due grandi finestre che danno sulla strada ed iniziamo a
portare dentro l’interminabile bagaglio. L’ampio soggiorno è ordinato e così anche la cucina ed il bagno; la
signora incaricata delle pulizie ha svolto con zelo il compito assegnatole.
La conferma la notiamo con sollievo anche ispezionando il resto della casa; il secondo piano ècomposto da
due camere, un’ampia cucina, un bagno e poi saliamo al terzo livello dove ci accoglie un enorme solarium
con vista panoramica sulla città.
Dopo un opportuno cambio dell’aria accendiamo il provvidenziale condizionatore, la temperatura esterna è
parificabile a quella interna. Purtroppo, in Marocco, come in altri Paesi del Nord Africa, le costruzioni,
perfino quelle più recenti, non includono del materiale termo isolante, i muri perimetrali, come quelli
divisori, sono edificati con semplici mattoni di cemento per poi essere intonacati e pitturati. Di giorno si
caricano di calore per poi rilasciarlo all’interno degli ambienti durante la notte. Ciò vale anche per l’inverno,
ma con il freddo.
******** XII *********
Lo splendore del seducente ma breve tramonto nordafricano, eternamente braccato con crudeltà dal
crepuscolo, inizia ad insinuarsi tra i vicoli del quartiere cambiandone la prospettiva.
Pochi attimi e si affacciano le prime luci delle minute attività commerciali, lo scalpiccio e le conversazioni di
innumerevoli viandanti si spandono nell’aria assieme alle fragranze del Batbout (pane cotto in padella)
accompagnato con verdure grigliate e hummus di ceci.
Ad un tratto un suono potente ed unico si innalza al cielo, è l’ adhān, il richiamo islamico che il Muʾadhdhin
per cinque volte al giorno, dalla vicina moschea, rievoca ai musulmani la devota preghiera.
Anche in Italia, dove risiedo, eseguo le cinque preghiere quotidiane, ma il richiamo che qui si sprigiona
nell’aria è estasiante, penetra nel corpo in modo dolce, magnetico, quasi ipnotico e in un attimo raggiunge
il cuore donandoti la consapevolezza di appartenere ad un tutt’uno con il Divino.
Appagata l’anima, anche lo stomaco proclama considerazione, merito forse del delicato profumo di spezie
che sale dalla via, rinforzato anche da alcune ore di privazione di vitto. Ordiniamo a viva voce al cuciniere
del bistrot poco distante un cospicuo piatto con verdure cotte e crude, pollo, uova, ceci e del Batbout
appena spadellato. Giusto il tempo di una gradita doccia rinfrescante e tutto è piacevolmente pronto.
Il seguito non necessita descrizioni…
Rinvigoriti e soddisfatti ci uniamo alla moltitudine di persone a passeggio in direzione o di ritorno dai
maggiori boulevard. Uomini coperti , malgrado la calura quasi insopportabile, con il Djellaba e calzanti
colorate babouche si distinguono da altri che indossano solo miseri abiti consunti, bimbi scatenati con le
loro chiassose mamme e ovviamente gli immancabili asinelli stracarichi di tutto.
Avenue Hassan II, che divide in due parti la città di Fquih Ben Salah, è un viale lungo circa due chilometri, la
parte centrale riservata a pedoni e cicli è aggraziata con aiuole e piante sagomate ad ombrello, mentre ai
margini le doppie corsie per i veicoli sono gremite da caotiche ed rumorose auto, camion obsoleti,
ciclomotori fumosi e assordanti, un vero guazzabuglio, ma qui è la consuetudine.
Ci accostiamo ad un carretto a pedali per una tazza di Kefir. L’anziano signore, con un radioso sorriso, è
lieto di donarcelo per soli 3 Dirham. Questa bevanda a base di latte fermentato, fresca e leggermente acida,
è ineguagliabile quando la sete reclama. Assolutamente da provare.
Si potrebbe affermare che da queste parti le giornate abbiano inizio solo dopo il tramonto; le varie attività
rimangono aperte fino a notte inoltrata e sono molto frequentate di sera, lo street food è molto amato ed
economico, ma pure i ristoranti propongono svariate pietanze a costi molto contenuti.
Da oltre un’ora passeggiamo trasportati dal ciclopico flusso di persone che procedono senza un' apparente
meta,fermandosi di tanto in tanto a gustare succulenti fichi d’India abilmente sbucciati dal mercante,
oppure fresche spremute di canna da zucchero o di arance.
Ora, però, si fa strada il desiderio di un adeguato riposo, ma non è semplice trovare posto nei vari caffè,
malgrado gli innumerevoli tavolini e seggiole sparpagliati da ogni parte e spesso posizionati anche nelle
superfici riservate al passaggio dei veicoli.
Ecco un tavolino appena liberato con due seggiole, ideale per una meritata sosta prima di tornare verso
casa. Ordiniamo una haway (bibita al gusto di frutti tropicali) e una poms per Uberto, malgrado il suo
lussurioso desiderio di una buona birra fresca. Purtroppo, o fortunatamente, nelle comunità musulmane
l’alcol, anche in minime quantità, non è tollerato neppure se consumato da persone di altre devozioni
religiose…
…quantomeno in modo formale…ma se cerchiamo bene in qualche retrobottega dell’hinterland …. c'è di
tutto e di più, anche se di qualità decisamente scadente.
******** XIII *********
Finalmente a casa.
Una stuoia molto grande adagiata sul pavimento del solarium, qualche coperta per addolcire il duro e caldo
pavimento ed un paradisiaco manto stellato è tutto ciò che desidero dopo una lunga e tosta giornata.
La fase rem non tarda ad arrivare. Ma poco dopo, ad un tratto… la mia mano viene delicatamente sfiorata.
Anche se il contatto è tenue e rasserenante, con un sobbalzo mi desto nella affannosa ricerca di una
spiegazione plausibile, anche se la percezione è di una presenza amica, ma… chiunque sia, come avrà fatto
ad arrivare quassù con tutte le porte sprangate?
Intorno a me l’enigmatica e avara notte concede ben poca tolleranza alla flebile luce che proviene dai rari
lampioni urbani ma quanto basta per notare che l’unico essere animato è un non ben definito uccello
notturno nel suo rapido e solitario passaggio.
La distensione, solidale con la stanchezza, mi persuade a riprendere il bene accolto riposo.
Non per molto, però.
Atika ! Il richiamo suadente e determinato sembra provenire dalla profondità della mia entità
immateriale. In piena trepidazione sollevo il capo nella semioscurità cercando di mettere a fuoco il
contesto, nulla di definito, solo alcune ombre ondeggianti prodotte da un paio di indumenti appesi al filo ad
asciugare. Eppure un' ambigua e dominante intensità, quasi animata e palpabile, mi circonda.
Ciò nonostante e malgrado l’inconsueta circostanza, non percepisco uno stato d’animo di ostilità o
minaccia, piuttosto una rassicurante “partecipazione” familiare.
Ad un tratto un leggero soffio d’aria tiepida mi avvolge donandomi una gradevole sensazione di protezione.
Mamy! Sei tu ?
Nell’oscurità non scorgo la sua presenza fisica, ma è Lei. Il suo inconfondibile profumo ed il supremo amore
che solo una mamma è capace di trasmettere non lasciano dubbi.
Alzo le mani alla ricerca di un abbraccio, sono troppi anni che mi manca. Oh che sublime emozione penetra
nella mia anima. Portami con te mamma, guidami alla tua dimora, non abbandonarmi un’altra volta.
I primi raggi del sole iniziano ad infastidire le mie palpebre tentando di oltrepassarle. Resisto per diversi
minuti, non vorrei separarmi da questo eden che ho appena ritrovato, ma, la realtà, o ciò che noi esseri
mortali consideriamo tale, mi cattura e mi trascina nella propria dimensione. Evidentemente, il destino ha
riservato per me un percorso terreno con ulteriori compiti ancora da svolgere.
I primi cigolii di carretti sulla via e qualche brontolio di veicoli annunciano l’inizio di una nuova giornata.
Il mio stato d’animo è raggiante. Questa notte ho ritrovato, finalmente, l’affetto a me più caro e nulla sarà
più come prima. Ora ho la certezza che Lei c’è, da lassù mi contempla e mi sostiene nei momenti più
difficili… e mi aspetta pazientemente. Grazie mamma.
********* XIV ********
Mancano solo un paio di giorni al grande evento e già la mattinata inizia in modo alquanto caotico, i
preparativi per la festa solenne del matrimonio di mia figlia Kamar creano concitazione.
Nahila, una donnona alta e vigorosa, è la responsabile del vestiario, del trucco e dei capelli della sposa.
E’ Lei che ha l’incarico di vestire Kamar con i vari e splendenti Takchita; abiti tradizionali riservati alle
occasioni speciali, composti da due pezzi e indossati con delle cinture particolari chiamate Mdamma che
valorizzano ancor più gli incantevoli colori dei costumi.
Invece, l’allestimento della location è riservato ad Abdelaziz, quarantenne piuttosto rozzo nei modi e poco
incline al proprio look, ma con una valida reputazione professionale.
Grazie a Lui con pochi dirham otteniamo velocemente i permessi per transennare un vasto spazio della
strada dove sarà collocato l’ampio gazebo che dovrà ospitare una sessantina di invitati, i suonatori, il palco
degli sposi insieme a tutti gli otto assistenti e lo spazio adeguato per i balli tradizionali.
Naturalmente non può mancare il cibo, che deve essere abbondante e vario. Questo compito è affidato a
quattro signore briose e chiassose, ma con buona competenza culinaria. Sono loro a comunicarci le
vettovaglie da procurare: quaranta polli da cucinare allo spiedo, trenta chilogrammi di mucca, agnello e poi
ceci, zucchine, pomodori, patate e altre verdure, non meno di dieci grandi angurie e dodici vassoi di dolci
tradizionali dove non può mancare il kaab el ghzal ,un pasticcino ripieno di pasta di mandorle e ricoperto
da zucchero.
Mercoledì 13 Luglio.
Souk di Fquih Ben Salah
Alla periferia della città oggi c’è il souk, quello vero. Sono molti gli agricoltori che arrivano dalle lontane
piantagioni con il loro carretto carico all’inverosimile di ortaggi e frutta, trascinato a fatica dal povero
asinello, per mercanteggiare il proprio raccolto; gli allevatori, con i loro polverosi pick up Peugeot e Toyota
dei tempi remoti, trasportano esagerate quantità di bestiame: mucche, capre, animali da cortile come
galline, tacchini, conigli e persino il tetto del veicolo è destinato alla collocazione di stipate e sofferenti
pecorelle.
Anche se il mare dista oltre 200 chilometri, in questo variegato mercato si trovano diverse varietà di pesce,
tra l’altro a costi molto contenuti, e… per la vostra ardita voracità, anche cotto al momento in
approssimative friggitorie, sempre se riuscite a scorgerlo nel tenebroso e ambiguo olio di cottura.
E’ realmente molto esteso ed affollato. Dopo essermi accertata di custodire in luogo sicuro ed a prova di
scippo denaro ed hi-phone, mi addentro in angusti passaggi affiancati da enormi quantità di legumi,
utensili vari in terracotta, colline di calzature spaiate e quant’altro di confuso si possa immaginare. Malgrado
il caldo e il lezzo opprimenti, non saprei con quali vocaboli descrivere la suggestione che trasmette questo
peculiare contesto che mi induce a proseguire e ad inoltrarmi lungo imprudenti pertugi.
A pochi metri da me, purtroppo, non posso fare a meno di osservare sconsolata con quale caparbietà e
crudeltà un rozzo ed inzaccherato allevatore sprona una povera e disorientata mucca a montare sul pianale
malconcio di un lercio veicolo, il suo, presumibilmente per affinità. Il povero bovino viene sollecitato a
salire lungo una precaria e ridotta passerella tra bastonate e calci, con occhi terrorizzati ed emettendo
pietosi muggiti alla vana ricerca di pietà; quanto bramerei per un temporaneo scambio di ruoli…
In qualche cosa siamo certamente superiori agli animali, forse, ma quando capiremo che anche “loro”
appartengono all’Autore dell’universo, per cui hanno titolo di rispetto e considerazione!
« Grandezza e progresso morale di una nazione si possono giudicare dal modo in cui tratta gli animali. »
Mahatma Gandhi
Vagabondo per oltre due ore rapita da un miscuglio di mercanzie variegate ed aromi inebrianti di spezie,
olive condite, coriandolo, menta, shiba (o sheba-a seconda della traslitterazione dall’arabo- è la Artemisia
Absinthium, ovvero la pianta da cui si ricava l’assenzio ed in Marocco si utilizza spesso nel tè in alternativa
alla menta).
Purtroppo, però, in questo concerto di nobili fragranze, risuona qualche esplicita nota stonata causata da
nauseabondi fetori di escrementi animali… mi auspico, i quali, brutalmente, mi separano da quella
gradevole evasione esotica in cui soavemente mi cullavo, richiamandomi alla realtà.
Riscontro che per visitare tutto servirebbero ancora un paio di ore. Il caldo inizia ad infastidirmi e
considerando anche la similitudine di articoli esposti in molte bancarelle, inizio ad esplorare la via più breve
per raggiungere l’uscita.
Per pochi dirham ho riempito un ampio sacchetto con pesche ed uva, anche se una vastissima scelta di
artigianato locale avrebbe meritato una maggior considerazione. Ci ritornerò la prossima settimana.
********* XV *******
Sabato 16 Luglio
matrimonio Magrebino
Alle nove del mattino l’enorme gazebo è già montato nella strada, mostrando tutta la sua solennità e
creando da subito notevoli disagi ai passanti che, con molto impiccio, a stento riescono a superarlo.
Hamid, il responsabile lavori, o presunto tale a causa del tono di voce più elevato, impartisce varie istruzioni
allo sfaccendato personale addetto ai lavori di allestimento, il tutto in un caos palpabile. C’è chi inizia ad
inchiodare i paletti della struttura direttamente sul fondo stradale per poi passare a collegare i cavi per
l’illuminazione, mentre altri ancora cercano di allestire l’interno con sedie, tavolini, il palco per gli sposi e
tutto l’indispensabile richiesto…. ma alla fine tutto sarà pronto per la grande festa.
Anche le quattro signore addette alla cucina, in un cupo garage adiacente, iniziano a preparare i fornetti per
i polli e le enormi piastre a gas per giganteschi pentoloni, il tutto immancabilmente condito con un
dinamico e fragoroso cicalare.
A metà giornata il termometro supera i 46 gradi, tutto diventa ustionante, il gazebo, le seggiole, l’asfalto,
parrebbe il preludio di un’apocalisse infernale. Anche tutto il personale si prende una prolungata sosta al
riparo dal caldo ardente ed in rispettoso silenzio. Non ci sono più passanti ed una quasi totale assenza di
rumori crea un ambiente quasi irreale.
Dopo una lunga pausa, malgrado la temperatura ancora elevata, è l’adhān con il suo potente richiamo alla
preghiera, a scuotere e rianimare il mondo circostante e, lentamente, con indolenza, la vita riprende.
Kamar e Saabir, gli sposi, sono ancora a riposare quando i lavori riprendono con frenesia sotto lo sguardo
inquisitorio di alcuni curiosi passanti; all’imbrunire inizieranno ad arrivare i primi invitati e tutto deve essere
allestito. Anche dal “garage cucina” c’è trambusto, e nell’aria circostante si diffondono i primi aromi di
spezie, del coriandolo con la cipolla che inizia ad appassire nell’olio e dei polli che strinano sui girarrosti.
E poi l’inconfondibile fragranza del Batbout appena spadellato…presagio di una ghiottoneria imminente.
E’ quasi sera. Il primo gruppo ad arrivare è quello dei musicisti, sono in cinque su due auto stracolme di
oggetti : casse acustiche, tavolini, amplificatori e materiale elettrico di discutibile utilizzo. Prontamente
iniziano a predisporre la loro postazione e a collegare i vari strumenti. All’apparenza appaiono alquanto
fuori moda con i loro abiti sempliciotti e un look da rinnovare, ma attenzione, qui non è l’abito che fa il
monaco. In effetti, si dimostreranno veri professionisti, inesauribili, con un repertorio di innumerevoli brani
popolari eseguiti con maestria e passione, coinvolgendo tutti i presenti nei balli tradizionali come il Chaabi
Marocaine, danza sensuale che consiste nel muovere velocemente fianchi, girovita e petto a tempo di
musica. Vi posso assicurare che alcuni motivi sono talmente veloci che servono anni di pratica per eseguirli.
Gli orchestrali accordano gli strumenti, il cantante, un magrebino quarantenne, prova il microfono e
posiziona la partitura sul leggio. Intanto, i primi invitati, parenti o presunti tali, iniziano timorosamente ad
entrare nel tendone malgrado la calura persistente.
In Marocco, durante le feste, specialmente quelle di matrimonio, in genere con innumerevoli ospiti, qualche
famelico clandestino camuffato da invitato è sempre presente; tutti lo sanno e lo tollerano, si tratta quasi
sempre di individui indigenti che, grazie alla loro audacia, possono gustare ottime e succulenti pietanze.
Ma è la festa, condividiamola anche con loro, meno fortunati.
Nel giro di un’ora circa tutti i tavolini e le sedie accolgono i commensali che sono in attesa dei prossimi
avvenimenti o, verosimilmente, delle prime portate gastronomiche. Ma… gli sposi, dove sono?
Avrebbero già dovuto esserci per dare il benvenuto agli invitati, come da protocollo, ma nessuno ne ha
notizia. Dall’albergo che dista solo pochi minuti, dove si erano ritirati per riposare in una confortevole e
climatizzata camera, sono usciti da oltre due ore!
L’ambiente si carica di aspettativa, qualche commento addolcito con maliziosi sorrisi inizia a serpeggiare tra
i più sfrontati, anche se la maggior parte dei parenti non conoscono personalmente Kamar e Saabir, loro di
fatto vivono a Mantova fin dalla tenera età ed in Marocco sono tornati solo per il desiderio di festeggiare in
modo tradizionale magrebino il loro matrimonio.
Ecco, finalmente arrivano….. le prime pietanze; accompagnate con il profumato Batbout e la tanto
agognata acqua fresca.
Ora l’attenzione è tutta rivolta ai piatti di portata; è divertente notare come spesso vengono accompagnati
da alcuni sguardi lussuriosi che solo l’energia del cibo e dell’eros possono indurre.
I primi vassoi ad entrare, molto capienti e decorati, contengono un assortimento di verdure distribuite con
creatività sorprendente, giochi di colori si alternano in forme geometriche concentriche fino ad arrivare nel
mezzo dove si erge trionfante e candido sua maestà il riso.
Ad un tratto il mormorio di fondo si interrompe bruscamente. L’atmosfera si carica di elettrizzante
aspettativa, sguardi interrogativi scrutano in varie direzioni… finchè un caloroso applauso accoglie gli sposi
che, lentamente e con solennità, e sicuramente anche con qualche difficoltà considerando il principesco
abito della sposa, scendono i gradini alquanto stretti e gravosi della mia abitazione , i quali terminano
direttamente dentro il gazebo.
Kamar indossa un pomposo abito verde brillante, molto ben accessoriato, il viso e l’acconciatura come una
vera principessa. E’ veramente molto bella, sprizza un’energia quasi mistica. Saabir, in pantalone nero con
camicia bianca, a stento prova a nascondere l’emozione con tentativi di sorrisi spesso non pienamente
riusciti.
Sono proprio una bella coppia, innamorati e felici e la loro presenza ha galvanizzato tutti i presenti che,
strano a credersi, per alcuni attimi hanno tralasciato i sontuosi e tanto bramati vassoi di vivande.
Nahila, la responsabile della coreografia e sei assistenti accompagnano gli sposi sul podio a loro riservato
mentre i musicisti iniziano a saturare l’aria di melodie festaiole.
La festa ora è davvero iniziata. La felicità trasmessa da Kamar e Saabir è talmente coinvolgente da eliminare
persino anche gli ultimi residui maliziosi di qualche pettegola. Tutti hanno desiderio di divertirsi, di
degustare buon cibo, udire buona musica e ballare.
Enormi ciotole in terracotta dipinta a mano e straripanti di seducenti quarti di pollo allo spiedo iniziano a
giungere sui tavoli con l’apprezzato consenso dei primi fortunati, ma, ahimè, provocando anche il supplizio
ai banchettanti ancora in angosciosa attesa.
Vicino al nostro tavolino, sulla sinistra, scorgo una signora in abiti modesti e con due bimbi, probabilmente
i suoi figli, molto più rapita dal cibo che dalla cerimonia; senza dare nell’occhio la osservo con intrigante
aspettativa ed ecco che ad un tratto… con molta accortezza, fa svanire alcune parti di pollo con qualche
manciata di datteri in un sacchetto appena visibile all’interno della sua borsa. Ovviamente scopro che
nessuno degli invitati accreditati la conosce.
Nel frattempo, mentre ero assorta dall’insolito comportamento della smaliziata e compassionevole signora,
Kamar è salita sulla portantina ora innalzata e portata dai sei robusti assistenti quasi a tempo di musica per
tutto il gazebo, mettendo ancor più in risalto la grazia della sposa. Mentre mi invia un caloroso saluto noto
che anche le mani sono elegantemente decorate con l’henné, nulla è lasciato al caso.
I motivi seducenti della band catturano le prime audaci ballerine, inizialmente con movenze controllate e
trattenute, poi sempre più ardite fino quasi a raggiungere una sorta di estasi.
Alle danze si inseriscono anche alcune giovani ragazze con abiti incantevoli, trasparenti e provocanti,
ostentando non solo una buona abilità nell’interpretare il Chaabi, ma aggiungendo al clima suggestivo
anche una nota di sensualità.
Azhaar, una giovane ragazza del quartiere, di diciotto anni o poco meno, generalmente con un look
comune, questa sera, merito forse dell’abito rosso impalpabile o dei meravigliosi capelli lisci e neri come la
notte, danza con una grazia incomparabile, come un' ammaliante sirena. Il viso, dai lineamenti armoniosi e
ben evidenziati da un meritevole make-up, è illuminato da uno sguardo malizioso e audace, mentre la
lunga veste sottile cela ben poco le sue sorprendenti gambe leggiadre, ancor meno la minuta e provocante
lingerie, lasciando un esiguo margine all’immaginazione.
Altrettanto ardita anche la camicetta, in tessuto leggero come la seta e aggraziata da molteplici ricami,
invano nasconde un seno procace e dispettoso che a ritmo di musica sembra animato di vita propria.
I cinque instancabili musicisti sono davvero valenti, da quattro ore e più, ininterrottamente, salvo qualche
brevissima pausa per un sorso d’acqua, eseguono, grondanti di sudore, ma con eccellente bravura e sempre
sfoggiando un accattivante sorriso, brano dopo brano. Posso assicurarvi che il loro cachet è più che
meritato.
Nell’aria aromi di svariate pietanze si associano agli applausi rivolti alle performance delle virtuose
ballerine e forse anche a qualche vacillante, temerario e improvvisato ballerino; ma gli applausi più marcati
ed entusiastici sono rivolti alla sposa che dopo ogni interminabile intervallo riappare sfoggiando un
diverso abito con differenti colori e adorni, compreso l’adeguamento del maquillage sempre impeccabile.
Le feste di matrimonio tradizionali magrebine prevedono che la sposa possa indossare sette e più abiti da
cerimonia di differenti colori, Kamar oltre al verde brillante ha rapito tutti i presenti con il rosso porpora, il
celeste cielo, il giallo raggiante, il rosa antico, l’oro lucente e per concludere, verso le tre del mattino, un
favoloso e principesco abito bianco.
Alle quattro passate le prime avvisaglie di spossatezza si scorgono sui volti di alcuni invitati, qualcuno
saluta calorosamente e si allontana, ma la maggior parte manifesta ancora molta vitalità e desiderio di
svago.
Anche da Kamar e Saabir traspare il desiderio di ritirarsi, la loro lunga giornata estenuante volge al termine.
Dopo le rituali pose per il book fotografico e la paziente concessione di innumerevoli selfie richiesti,
finalmente il meritato riposo arriva.
Ora però è giunto il momento in cui la lunga notte, fedele alleata della festa, deve concedere tutti i diritti
di sussistenza al nuovo giorno che già inizia ad inviare qualche esplicito bagliore.
Nell’aria, gradevolmente fresca, si diffonde un delizioso profumo di hummus e spezie, è la harira, zuppa di
ceci con carne d’agnello, lenticchie ed erbe aromatiche, servita in ciotole di terracotta raggiunge tutti i
tavolini determinando un' entusiastica approvazione fra tutti i commensali rimasti, musicisti inclusi.
Questa “zuppa delle feste” viene servita come prima colazione dopo una nottata di baldoria, e vi posso
assicurare che è semplicemente deliziosa, nonché una vera panacea per uno stomaco esausto.
******** XVI *********
Domenica 17 Luglio
E’ l’inconfondibile richiamo dell’adhān a destarmi; accidenti ma sono le cinque del pomeriggio!! Ho
dormito tutta la giornata, complice anche il climatizzatore alla massima potenza.
Apro finestre e persiane e dalla via mi giunge un’improvvisa e detestabile ondata di calore, non sono più
avvezza a sopportare questa arsura. In Italia, dove vivo, anche in piena estate il clima è mite e gentile, ma
qui, in particolare nelle aree interne, tutto è eccezionalmente accresciuto, il caldo, gli aromi, e ahimè, anche
gli effluvi sgradevoli.
La brama di raggiungere il mare, che da qui dista circa duecento chilometri, inizia a fomentarmi. Penso alle
spiagge di Muḩammadīyah, poco a nord di Casablanca, alle spumeggianti onde dell’oceano… e poi quella
generosa brezza che solo l’Atlantico con infinita amorevolezza sa donare. Basta torture! Questa notte ci
rifletterò su.
A seguito della modesta cena di ieri sera a base di verdure ed un pugno di riso, stamane mi sono destata
con un apprezzabile appetito, una buona colazione tradizionale è ciò che ci vuole per affrontare
piacevolmente un’altra giornata. Dal solito bistrot inviamo una verbale comanda e poco dopo un ragazzetto
ci raggiunge con un vassoio colmo di delizie: uova lessate, marmellata, olive, miele, formaggio, Batbout
caldo, brioches, caffè ed ovviamente l’ inscindibile tè alla menta.
Lunedì 18 Luglio
Muḩammadīyah
Meta di oggi: mare!
Alle dieci circa, noi ed il nostro amato autocaravan, siamo pronti per la partenza, l’acqua nel serbatoio è
sufficiente, il rifornimento di gasolio lo faremo lungo il percorso, senza fretta, il serbatoio indica ancora
mezzo pieno. Con noi si aggregano con piacere Kamar e Saabir, anche loro impazienti di una rinfrescante
evasione.
La strada che decidiamo di percorrere è la N 11, direzione Casablanca. Merito delle ingannevoli indicazioni
stradali ci accorgiamo che per circa un’ora abbiamo viaggiato sulla regionale 309 per poi arrivare a Oued-
Zem, meta non prevista, e questa ulteriore circostanza mi consolida la convinzione che spesso qui la
segnaletica è confusa e approssimativa ed è preferibile seguire l’istinto personale che è molto più
affidabile.
Pressoché all’ingresso della città notiamo un paio di agenti di polizia stradale in prossimità di un’ampia
rotonda e decidiamo di chiedere a loro precise indicazioni; una brusca sosta precaria ed ecco giungere
rapidamente un gendarme con atteggiamento inquisitorio e solenne, ma la sua espressione rapidamente
cambia ed appare addirittura sorridente appena nota che siamo turisti provenienti dall'Italia. Finalmente,
solo dopo innumerevoli ed inutili vassallaggi rituali, riusciamo ad ottenere la nostra sospirata informazione,
fortunatamente senza ammende, considerando la nostra audace sosta con intralcio al traffico per circa venti
infiniti minuti.
L’indicazione ottenuta, in sintesi: “prendete l’autostrada fino a Casablanca e poi direzione Rabat”,
esattamente ciò che volevamo evitare.
Non ho nulla contro le autostrade marocchine, ma in camper, con una velocità che difficilmente supera i
cento chilometri orari, preferisco di gran lunga percorrere strade secondarie ed ammirare il paesaggio.
In considerazione del caldo che inizia a molestarci e la bramosia di arrivare quanto prima, decidiamo di
seguire le indicazioni ottenute ed affrontiamo con rassegnazione quel tratto di autostrada, circa
centocinquanta chilometri, alquanto monotono e privo di interesse. Alla seconda ed anche ultima stazione
di servizio reperibile ci fermiamo per il rifornimento di gasolio ed una fresca bibita. Siamo a circa trenta
chilometri dalla deviazione per Rabat e già fiancheggiamo l’infinita periferia di Casablanca, in arabo al-Dār-
al-Baydā, la casa bianca, e vi assicuro che di case bianche ve n’ è un’enormità, con una popolazione nell’area
metropolitana di circa quattro milioni di residenti, quelli censiti, ed un’estensione di circa 400 chilometri
quadrati, è la città più grande del paese ed il principale centro economico del Marocco.
Viaggiamo sempre immersi nella interminabile periferia della metropoli quando finalmente arriviamo
trionfanti a Muḩammadīyah. Ora ci dobbiamo dedicare alla ricerca di un campeggio. La nostra cartina
stradale ne riporta due, ma noi, malgrado varie richieste di informazioni anche alla polizia locale, non ne
troviamo neanche uno e decidiamo di proseguire a nord ancora per un breve tratto.
Poco dopo Tilal, grazie alla nostra perseveranza ed un pizzico di buona sorte enon certo per merito delle
indicazioni stradali, troviamo un piccolo camping a pochi metri dal mare, lo splendore e la seduzione non
sono certamente le caratteristiche peculiari ma accontentiamoci, dobbiamo passarci solo una o due notti,
ed almeno il costo è commisurato. Posteggiamo l’autocaravan nella piazzola all’ombra di una palma e pochi
minuti dopo anche la tenda dove dormiranno i due novelli sposi è sistemata.
Evviva, finalmente si mangia!
A pochi metri dall’esterno del campeggio un piccolo bistrot, bianco e azzurro, cattura la nostra attenzione
soprattutto perché risulta unico sullo scenario visibile; gentilmente ci fanno accomodare nel piccolo
porticato fronte oceano e malgrado l’orario inconsueto, ci espongono tutto il loro menu, e noi dovremmo
forse nasconderci dietro ad inutili salamelecchi? Palesemente… ordiniamo tutto!
Dopo una breve attesa ecco arrivare dalla cucina ammirevoli vassoi di verdure multicolori, un tajine di
agnello e uno con pollo, bocconi di manzo cucinati con olive e patate, e poi patatine fritte, ceci, riso e
molta, molta acqua freschissima… alhamdulillah –
Martedì 19 Luglio
Pigramente, alle nove passate del mattino , il risveglio è garbato grazie ad una notte mite che ha concesso
un soave e meritato riposo, crogiolato anche dalla brezza dell’oceano. Doccia, colazione e poi ci
recheremo ad esplorare Muḩammadīyah, cittadina turistica poco distante da Casablanca e meta
soprattutto di autoctoni in cerca di ristoro.
Dopo un’ampia visita della città balneare decidiamo di rientrare con indolenza a casa, ma, a differenza del
viaggio di andata, solo praticando strade secondarie. Prendiamo la direzione per le “Cascade de Mizab”, ad
est da Casablanca, purtroppo anche qui le indicazioni, rispetto alla nostra cartina, si dimostrano scorrette
e ci guiderebbero nientemeno che nella direzione opposta. Fortunatamente, dopo poche centinaia di
metri, avvistiamo a lato strada un gruppetto di giovani donne impegnate nella vendita di latticini.
Posteggiamo l’autocaravan a breve distanza, pochi passi, e le raggiungiamo sotto il loro ampio ombrellone
osservando con interesse i vari prodotti esposti sulla loro traballante bancarella. Subito ci ristoriamo con del
delizioso e fresco kefir per poi passare al “Jiben”- formaggio fresco di capra- ottimo spalmato sul “Baghrir”-
un pane molto caratteristico a forma di piadina ma molto leggero e spugnoso-una vera ghiottoneria. Per
non parlare del burro, semplicemente squisito-
Quasi ci scordavamo il vero motivo della sosta, quasi, ma grazie alle informazioni ricevute in pochi minuti
arriviamo in prossimità delle cascate, ma… nessun fragore di acqua?? In tutta l’area circostante quasi
un’assenza totale di rumori, non avvistiamo torrenti e neppure un esiguo rigagnolo…vuoi vedere che anche
le ultime indicazioni ricevute sono fasulle?
Affranti e delusi, proseguiamo il nostro viaggio verso Fquih Ben Salah. Avanziamo tra colline verdi e piccoli
villaggi molto vivaci, con innumerevoli buffet che profumano l’aria di Merguez e di Borchette, la prima è
una deliziosa salsiccia piccante d’agnello ed i secondi sono spiedini di kebab alla griglia insaporiti con spezie
e serviti con salsa Harissa. Decidiamo di sopprimere la nostra recente delusione con qualche invitante
degustazione.
Oltre ad assaporare ottime prelibatezze scopriamo anche che le “Cascade de Mizab” che insolitamente
quest’anno, sono prive di acqua per causa della stagione molto arida; se non altro possiamo farcene una
buona ragione.
A casa arriviamo dopo il tramonto, accompagnati senza tregua dall’opprimente caldo. Ci accomodiamo
qualche minuto al tavolino di un caffè per una fresca acqua minerale Sidi Ali mentre la città, già presa
d’assalto da infiniti pedoni e indisciplinati veicoli, si prepara a subire un’altra caotica nottata.
******** XVII********
Mercoledì 20 Luglio
Agadir
Ore 5,30 del mattino. E’ ancora buio. La notte austera non concede ancora nessun bagliore ad un’alba che a
est del continente è sicuramente già desta proiettando magnifiche sfumature ed eterei giochi di luce. Il
viaggio che stiamo per intraprendere oggi sarà faticoso, la distanza da percorrere, fino ad Agadir, è di circa
500 km e sarebbe conveniente arrivarci in serata. Per questo motivo prediligiamo il viaggio in auto, una golf
wolkswagen di vecchia data, a benzina, gentilmente concessa. Per fortuna in Marocco i carburanti costano
decisamente meno che da noi. Lo scopo di questo tragitto non è solo turistico, ci dobbiamo anche recare a
Taroudant, ulteriori cento chilometri verso l’interno del paese in direzione dell’Atlas, per acquistare l’olio di
Argan direttamente in un frantoio di fiducia. Infatti, sono due anni che mi rifornisco esclusivamente in
questa piccola cooperativa familiare dove con infinita pazienza e grande manualità ricavano il prezioso olio
con la spremitura a freddo dei frutti.
L’olio di Argan merita indubbiamente delle meritevoli considerazioni:
l’Argania Spinosa, da cui si ricava l’olio di Argan, è una pianta endemica che risale nientemeno che al
terziario, infatti esiste in Marocco da circa 80 milioni di anni.
Queste rade foreste di Argania si possono scorgere a sud di Marrakech, nella regione del Sous, ai piedi
della catena dell’anti Atlante. Addirittura una vasta area di oltre 800.000 ettari, situata tra Essaouira e
Taroudant, da circa trent’anni, è stata dichiarata dall’Unesco “riserva della biosfera”.
Considerate che un albero di medie dimensioni produce circa otto kg di frutti all’anno, frutti che poi vanno
essiccati e manualmente sbucciati per ottenere i semi, detti anche “mandorle di Argan”, i quali poi entrano
in una tramoggia a freddo per l’estrazione dell’olio cosmetico. La resa è incredibilmente bassa, sono
necessari circa 100 kg di frutti secchi per due o poco più litri di Argan, ciò rende questo prodotto raro e
prezioso.
Per chi non conoscesse le proprietà di questo prodigioso prodotto, inizialmente possiamo affermare che
esistono due varietà di olio di Argan, a seconda che i “noccioli” vengano o meno tostati prima dell'uso.
L’olio ottenuto con la spremitura a freddo viene utilizzato per la bellezza della propria pelle, capelli e
unghie. Grazie alla sua struttura ed alle sue particolari molecole nutrizionali (omega 3, omega 6, acidi grassi
e vitamine A ed E ), riesce ad idratare tutti gli strati della pelle a partire dal film idro-lipidico. Inoltre, aiuta a
produrre collagene prevenendo la formazione delle rughe e combattendo il rilassamento cutaneo e
l’invecchiamento. Non solo idrata in profondità ma è anche in grado di migliorare l’elasticità dei tessuti e
donare luminosità a viso, corpo e capelli.
Non per nulla le donne berbere, seducenti ed incantevoli, alle quali è molto difficile stimare l’età grazie alla
loro pelle luminosa e florida pur essendo perennemente esposta al sole ardente ed al clima avverso del
medio Atlas, utilizzano da secoli questo elisir di bellezza. Lo producono personalmente attraverso un
laborioso e lungo procedimento di estrazione, ma ciò che ne ricavano è davvero una risorsa straordinaria.
Pochi sanno che l’olio di Argan per uso alimentare, quello ottenuto dopo una garbata tostatura, non solo è
ottimo per insaporire diverse pietanze, a crudo naturalmente, ma si può assumere anche per scopo
curativo: ad esempio può aiutare a prevenire le patologie cardiovascolari e a ridurne i sintomi, soprattutto
in caso di colesterolo alto e di diabete.
Non esistono documentate controindicazioni per l’olio di Argan, l'importante però che sia puro e di buona
qualità (se contiene altri ingredienti, come ad esempio conservanti e aromatizzanti, potrebbe generare
delle spiacevoli reazioni cutanee. L’unico svantaggio di questo prodotto, se proprio ne vogliamo trovare uno,
è il costo, ma come già descritto, le difficoltà per ottenerlo sono notevoli ed onerose, c’è da considerare
però che generalmente l’olio di argan, quello purissimo naturalmente, si utilizza con molta parsimonia e ne
occorre davvero poco per ottenere ottimi risultati.
A Tamelelt, sul percorso per Marrakech, notiamo un souk confinato in una radura ampia e inospitale.
Decidiamo di visitarlo, una breve sosta e due passi prima che la giornata inizi a surriscaldarsi è sicuramente
una decisione positiva. Questi mercati arabi autentici meritano sempre una significativa esplorazione, la
varietà di articoli esposti ad uso quotidiano rivelano la vera cultura locale, difficilmente troveremo in questi
contesti merce griffata e ben esposta per turisti superficiali alla vana ricerca di chissà quale esclusivo
oggetto. Noi, in Europa, siamo spesso condizionati dalla presentazione e promozione degli articoli in
vendita, al contrario qui si va direttamente alla “sostanza”.
La presentazione dei prodotti, alimentari e non, viene sommariamente mostrata priva di qualsiasi
merchandising, è sobriamente lì in terra o su qualche traballante ripiano, sovente priva di indicazioni
relative a costo e peculiarità.
Io per soli 6 dirham ( 60 centesimi di euro !) ho acquistato un tajine in terracotta e per poche monetine un
leggero abito e comode babouches.
Gli stessi articoli, o addirittura di qualità inferiore, in souk come a Marrakech o a Casablanca, certamente
sarebbero esposti con maggiore garbo, ma con costi perfino dieci volte superiori.
Passiamo dalla periferia di Marrakech (in berbero ⵉⵉⵉⵉⵉⵉ)), città imperiale che meriterebbe una doverosa
escursione, ma il souk di Tamelelt ci ha sottratto più tempo di quello a disposizione, per cui, a malincuore,
decidiamo di fermaci solo nel ritorno.
Il caldo non è più solo una fugace promessa ormai, purtroppo, ci attanaglierà fino a destinazione e la meta è
ancora molto distante.
Un’indicazione stradale suggerisce trenta chilometri per l’ingresso della superstrada Casablanca-Agadir e
questo potrebbe risultare una valida alternativa per arrivare in buon orario. Mezzora dopo siamo al casello
d’ingresso dell’autostrada A 7 in direzione sud.
Verosimilmente nuova o di recentissima costruzione, l’autostrada sette è una strada di veloce transito,
doppie corsie, un fondo stradale impeccabile e tutto il contesto molto ben ordinato, quasi da far invidia alle
nostre autostrade Italiane.
L’area di servizio, che troviamo dopo un centinaio di chilometri, si presenta spaziosa e confortevole. Oltre ad
un ampio bar, notiamo pure diversi barbecues ad uso pubblico equipaggiati con legna e carbonella, ed un
ampio e luminoso ristorante dove ci rechiamo per un meritato ristoro.
Le pietanze disponibili sono decisamente scarse e poco invitannti. Nonostante il nostri considerevole
appetito, aimè, siamo costretti ad accontentarci solo di verdure crude e patatine fritte.
Ora che la fame è smorzata, ma solo quella e non certo il desiderio di un lauto pasto, riprendiamo il
viaggio.
Per molti chilometri l’autostrada scorre adiacente alla statale otto la quale, tuttavia, di tanto in tanto
scompare per raggiungere remoti villaggi immersi dietro ad aride alture rocciose apparentemente
invalicabili e inanimate, ma, non di rado, si possono notare alcune scarne caprette e asinelli che frugano in
sporadici arbusti nell’ardua ricerca di un po’ di nutrimento.
Come sarebbe stato gradevole sottrarre qualche frammento di tempo alla nostra meta odierna per dedicarci
ad alcune escursioni, senza impazienza, in quelle borgate così intrinseche di remote culture e antichi
“saperi” sicuramente tramandati con discernimento dai lontani progenitori, luoghi in cui l’esistenza si
consuma ancora lentamente e con deferenza senza disturbare inutilmente il cosmo, ma anzi, in totale
rispetto e sintonia con il palpito della natura.
Agadir 60 km. L’indicazione stradale mi richiama prontamente alla realtà, ormai siamo quasi arrivati ed
anche il paesaggio inizia a mutare lasciandosi dietro le brulle montagne dell’altopiano per declinare
dolcemente verso una piana con aree coltivate a frutteti e ortaggi. Finalmente, merito della vicinanza
all’oceano, il gradevole microclima temperato dell’atlantico ci raggiunge, allontanando l’insopportabile
arsura mal tollerata finora. Lasciamo l’autostrada per immetterci in un’arteria di grande comunicazione, la
nazionale uno, dopo aver oltrepassato alcune rotonde prendiamo la direzione del centro urbano, la Avenue
Abderrahim Bouabid. Il traffico è alquanto scorrevole e pochi minuti dopo, sulla nostra destra, iniziamo a
scorgere le maestose porte numerate del Souk El Had, le Babs, come le chiamano qui. Questo souk, un vero
tesoro nel cuore della città, con le sue 3000 bancarelle, è il più grande mercato non solo del Marocco, ma di
tutta l’Africa.
In quest’area di oltre undici ettari vengono presentate varietà di prodotti molto specifiche: frutta, verdura,
una vasta scelta di carni, naturalmente halal, stoviglie, posate e poi abbigliamento, artigianato,
arredamento… un vero richiamo per turisti, abitanti della città e visitatori locali.
Poco dopo le diciotto la giornata è ancora molto luminosa, prerogativa lodevole dell’ovest, pertanto una
capatina alla Plage d’Agadir prima di cena è senza ombra di dubbio un' eccellente idea.
A causa di una bassa pressione la lunga spiaggia è avvolta da una delicata bruma che permette allo sguardo
di intravedere solo spazi molto ridotti, quasi a custodire la privacy dell’Oceano. L’ habitat è avvolgente ed
intimo; è indescrivibile la sensazione di benessere che provo inoltrandomi a piedi scalzi attraverso le
delicate onde e proseguendo, passo dopo passo, verso l’ orizzonte in apparenza molto vicino ma
caparbiamente irraggiungibile.
Grazie a questi momenti di magica connettività emotiva con gli elementi naturali, fisici e spirituali,
ritroviamo la consapevolezza di essere anche noi dei veri protagonisti nel sublime progetto del creato.
Ma Agadir non è solo mare e clima mite tutto l’anno, è una delle mete più desiderate dagli amanti del golf
perché sono oltre sei i campi con classificazione elevata, fairway e green perfetto, costi molto convenienti,
strutture ricettive di ottimo livello, al punto di attirare sempre più i numerosi golfisti europei che si recano
in loco anche solo per questa attività agonistica.
Da segnalare : Agadir Golf Training Center, Golf du Soleil, Golf le Dunes, solo per citarne alcuni.
Nel 1960 Agadir fu distrutta da un drammatico terremoto nel quale persero la vita oltre quindicimila
persone. Oggi è una città proiettata inesorabilmente al futuro con una spietata ed inarrestabile
urbanizzazione di tipo europeo, moltissimi hotels a quattro e più stelle posizionati nelle aree urbane più
turistiche, boutiques per tutte le ambizioni, casinò & resort, ristoranti con menu internazionali e, per i
salutisti più esigenti sempre alla continua ricerca di “cibi genuini”, anche un Mc Donald’s .
Naturalmente in questa moderna città non poteva certamente mancare una delle innumerevoli e riservate
residenze reali, con cospicuo personale addetto alla sicurezza e presidio a tutti gli ingressi carrai.
Per la cena prediligiamo la zona portuale poco distante e più caratteristica.
Passeggiamo sbirciando le numerose taverne che propongono menu di pesce, alcune congiunte con altre al
punto da non distinguersi l’una dall’altra e tutte presentano portate di pescato della giornata. Scegliamo una
trattoria dove non siamo importunati da “ buttadentro” assillanti, o forse distratti in altre direzioni. La
locanda, come pure le altre, è piuttosto caliginosa per via dei fumi che i numerosi grill spandono
selvaggiamente in tutte le direzioni, ma se non altro il menu promette bene. Piatti a base di pasta qui non
esistono, troviamo pommes frites, insalate varie, fritture di paranza, totani e calamari e molto assortimento
alla griglia. Ci vengono mostrati alcuni pesci dall’aspetto assai fresco ed io, dopo un’ attenta valutazione,
scelgo una magnifica orata di circa un chilogrammo. Poi ordiniamo anche un abbondante fritto di calamari,
patatine e insalata. Durante l’attesa, consumata attimo per attimo, sospiro al pensiero della prelibatezza che
tra poco arriverà trionfante nel mio piatto… quando, ad un tratto, noto con esitazione che la mia mitizzata
orata viene divisa a metà dal cuciniere, o presunto tale, prima di essere sistemata sulla griglia. Io,
personalmente, l’avrei lasciata integra per preservarne la tenerezza. Mah…. Speriamo bene.
Finalmente ci siamo! Ecco arrivare un abbondante vassoio con il fritto, le patatine, l’insalata, la minerale Sidi
Ali fresca e Hawai… e la mia agognata orata?...Inizio ad assaggiare totani e calamari, veramente saporiti e
cotti bene, ma voglio trattenermi per non “oltraggiare” la mia sublime portata alterando il palato con
pietanze meno blasonate.
L’apoteosi è approdata! Seminascosta da ampie foglie di verdura, intravedo la Sua divina presenza, a servirla
sul nostro tavolino è lo stesso pseudo esperto cuciniere.
La castrazione fisica sarebbe una pena troppo blanda per un simile flagello: disseccata e spregevolmente
abbrustolita, uno scempio. Che imbecille…
La delusione è notevole, purtroppo anche il gusto è compromesso dalla cottura inadeguata, non mi resta
che affondare il mio martirio nel vassoio dei calamari, sob .
Alle nove di sera arriviamo in Boulevard Tetouan, zona periferica di Agadir. Abbiamo un appuntamento con
Youseff che già troviamo in attesa, sarà lui a guidarci in una zona residenziale per mostrarci l’appartamento
gentilmente concordato per la notte al costo di 300 Dirham. Prima di salire nell’alloggio, Youssef ci mostra
l’area circostante e le scarse attività commerciali, ma soddisfacenti per noi: un panificio pasticceria, un
minimarket ed anche una accessibile buvette, ideale per un buon caffè domani mattina.
******** XVIII ********
Giovedì 21 Luglio
Taroudant
Una buona colazione a base di dolcetti, caffè e succo d’arancia e siamo pronti per raggiungere Taroudant,
nella valle del Souss, il tratto è breve, meno di cento chilometri. Abbiamo due possibilità di percorrenza: la
nazionale otto, sicuramente più scorrevole, oppure la strada provinciale che prevede alcune incognite
diramazioni, ma oggi, avvertendo una considerevole spavalderia ed avendo anche parecchio tempo a
disposizione, optiamo per questa audace alternativa. Lasciata la periferia di Agadir, la P 1010 inizia ad
insinuarsi attraverso una piana verde e lussureggiante che irrompe, di tanto in tanto, in piccoli villaggi
dolcemente strozzati ai margini della strada. Le attività commerciali che incontriamo lungo il percorso sono
piuttosto modeste, alcuni barroccini con ortaggi e frutta, rare bancarelle che espongono pane e pochi altri
alimenti; una breve sosta e per dieci Dhs ci portiamo in macchina due meloni ed una dozzina di fichi
d’India.
La valle del Souss e tutta l’area che arriva fino alle montagne del medio Atlas è fuori dai circuiti turistici
reclamizzati e, come sognavamo, più caratteristica e genuina. Altre fugaci soste per chiedere indicazioni
stradali e, prima di mezzodì, scorgiamo gli imponenti bastioni di fango rinforzato a protezione della
fortificata città di Taroudant. A mezzogiorno circa, presso il distributore di carburante Afriquia, adiacente le
mura della città, dobbiamo incontrare Mostafa, Imam locale e lontano nipote del mio povero padre. Sarà lui
a farci da guida per tutta la rimanente giornata.
Taroudant è una magnifica roccaforte berbera, circondata da oltre sette chilometri di imponenti mura
insormontabili dove l’accesso è possibile solo attraverso ampie porte carrabili che, in tempi remoti,
venivano sbarrate a difesa dai numerosi assalti nemici.
E’ indescrivibile il pathos che si prova contemplando questa cittadina tutta edificata con i colori caldi del
deserto, a maggior ragione durante la stagione invernale, dove il giallo ocra contrasta piacevolmente con lo
sfondo del bianco candido delle maestose montagne innevate dell’Alto Atlas.
Oggi Taroudant conta circa 80.000 abitanti, quasi tutti di etnia berbera, nella lingua araba barbar che
sicuramente deriva dal greco-romano barbaro: chi non parla la lingua latina o greca!. Il loro idioma è il
tamazight. Fortunatamente Mostafa parla anche francese. E’ un giovane di circa trenta, trentacinque anni,
capelli corti e folta barba nera, coperto dal djellaba e con comodi sandali. Assieme a lui entriamo in città dal
Boulevard Mohammed V fino alla piazza Assarag dove posteggiamo L’auto. Gentilmente ci conduce a
visitare l’ampio suk arabo ricco di prodotti artigianali, abbigliamento, spezie profumatissime, olio di oliva e
perfino olio di Argan venduto anche a litri, ma per questo prodotto ci fidiamo solo di Akli, il nostro leale
fornitore. Anche Mostafa ci dissuade dall’ acquistarlo al souk, è inverosimile trovare olio di Argan non
contraffatto. Terminata la visita al mercato ci fermiamo ad un minuscolo bistrot per gustare qualche
vivanda. I tavolini sono pochi e piccoli, mentre il chiasso e la calura sono notevoli. Per pochi Dhs ordiniamo
del pollo grigliato, pomodori, olive e patatine, tutto very good… se escludiamo il servizio.
Il termometro indica 46 gradi, poteva forse mancare un tè alla menta bollente? No, naturalmente.
Mostafa, molto amabilmente, si presta ad accompagnarci alla masseria di Akli; una breve sosta alla sua
boutique, come lui ama nominarla, in realtà si tratta più realisticamente di una minuscola e tenebrosa
rivendita di ricambi per auto ed altro materiale non ben definito ricavata nelle mura perimetrali della città,
poi in gergo tamazight impone alcune raccomandazioni al suo giovane di bottega e finalmente siamo pronti
per imboccare la direzione dei monti.
Pochi chilometri e siamo circondati da selve di Argania spinosa. E’ bizzarro notare come alcune caprette
riescano a salire agevolmente sui rami più alti per nutrirsi dei germogli più teneri. Una breve sosta è
appropriata per ammirare da vicino queste misteriose e affascinanti piante dalla chioma ampia e
arrotondata, alte fino a otto-dieci metri, con tronco nodoso e tortuoso, spesso formato da più parti
intrecciate tra loro.
Il frutto è una drupa ovale che si presenta giallo-bruna nella fase della sua maturazione e contiene una
"noce" estremamente dura, all’interno vi sono generalmente due semi chiamati mandorle di Argan. Un
aspetto curioso è il fatto che la raccolta tradizionale viene effettuata solo da piante selvatiche, cioè non
coltivate, di norma di proprietà del re, cioè su terreni demaniali.
Arrivati al podere di Akli, che lui gestisce insieme ai due figli grandi, siamo accolti con molta cordialità
familiare. Notiamo anche, a differenza delle scorse volte, un lavorante ed un paio di donne addette alla
“sgusciatura” dei frutti di Argan. Ci accomodiamo nell’ampia corte dove, oltre a confortevoli sedie, vengono
prontamente disposti anche piccoli tavolini per la consueta cerimonia del tè. Nel Maghreb è buon
costume non manifestare mai prontamente e palesemente il vero motivo di un incontro, ma soltanto dopo
una ricca conversazione di cortesia e non prima di aver condiviso i vari stuzzichini con il tè. Questa
bevanda, nel Maghreb, viene servita di regola tre volte, seguendo lo stesso procedimento che gli donerà tre
retrogusti differenti.
« Il primo bicchiere è dolce come la vita.
Il secondo è forte come l'amore.
Il terzo è amaro come la morte. »
(Proverbio Tuareg)
E’ un gesto che manifesta il benvenuto della famiglia all’ospite che per la cultura marocchina è
estremamente importante e al quale si deve offrire il meglio.
A cerimonia ampiamente eseguita, Muha, il figlio maggiore di Akli, ci mostra con orgoglio i piccoli
ammodernamenti apportati all’azienda: una nuova tramoggia a freddo con motore elettrico, una sorta di
“passapomodoro” con un’apertura superiore a cono capovolto per introdurre manualmente i frutti di
Argan, nella parte anteriore ha due condutture, una per l’eliminazione dello scarto che è considerato un
ottimo alimento per il bestiame, mentre nell’altra stilla il ricercato Argan.
In un locale limitrofo ci svelano che da quest’anno, considerando la crescente richiesta, producono anche
l’olio di Argan alimentare, un procedimento ancora più operoso: si devono tostare delicatamente le
mandorle di Argan prima della spremitura. Il preposto a questa mansione è un magrebino di mezza età, il
quale con l’ausilio di una lunga asta di legno, molto simile ad un remo da imbarcazione, rigira
continuamente le mandorle collocate nel gigantesco padellone dal diametro di oltre due metri e sistemato
sopra a braci di legno, presumibilmente di Argania. Muha ci riferisce che la tostatura, per ottenere un
prodotto di buona qualità, deve durare diverse ore e con molta accortezza onde scongiurare anche le
minime strinature che pregiudicherebbero tutto l’operato. Un lavoro certosino.
Alle diciassette circa siamo pronti per tornare a Taroudant, con le nostre taniche di Argan ben protette dalla
luce da sacchetti scuri gentilmente offerti da Akli.
L’olio di Argan non teme particolarmente gli sbalzi di temperatura ambientale quanto l'irraggiamento
luminoso, specialmente della lunghezza d'onda dell'ultravioletto che contribuisce al fenomeno
dell'irrancidimento ossidativo.
Poco meno di un’ora e siamo dentro le mura della città. Mostafa, molto zelante, ci rivolge un cordiale invito
a pernottare nella sua casa prima di riprendere il viaggio di ritorno l’indomani in mattinata e, francamente
a noi sembra subito una soluzione adeguata, percorrere oltre seicento chilometri di notte sarebbe una
scelta effettivamente scomoda.
Per ricambiare almeno in parte l’affabilità dimostrata persuadiamo Mostafa, malgrado i suoi tentativi di
opposizione, che ci occuperemo noi delle compere per la cena.
In accordo con lui, ad una caratteristica rivendita di carni, acquistiamo due chilogrammi circa di agnello e
poco distante anche svariate verdure. Il tutto per un costo complessivo di circa 50 Dhm.
L’abitazione di Mostafa è ordinaria ma con ridotto comfort, giusto l’essenziale, più o meno. I vani sono
piccoli e quasi privi di servizi, disposti su vari livelli e collegati per mezzo di anguste scale. Pure il bagno è
privo di sciacquone water e consiste solo in una turca con a fianco un piccolo rubinetto ed un utile
secchiello di plastica…
In cucina la moglie, la figlia maggiore e la suocera coinvolte dai prodotti alimentari che abbiamo portato,
sono dedite alla preparazione di due o forse tre tajine con fragranze che si liberano nell’aria molto
invitanti.
Con tutta sincerità la cena è deliziosa. Purtroppo non abbiamo la gioia di condividerla con tutta la famiglia e
di presentare, quindi, i nostri complimenti direttamente alle cuoche perché sono assenti; solo Mostafa e
suo figlio mangiano con noi. Avremmo volentieri elogiato direttamente le cuoche ma le donne hanno
cenato da sole in cucina.
Questa consuetudine, che noi consideriamo scortese, è tuttavia in vigore in numerose famiglie di
impostazione radicale, in particolar modo nelle aree rurali.
Per lo stesso motivo e con ampia osservanza, anche se non condivisa, io e Uberto passeremo la notte in
camere separate. Siamo ospiti e per questa ragione credo sia doveroso portare massimo rispetto a culture
diverse dalla nostra.
La diligenza e la cortesia di Mostafa si riconfermano anche al mattino quando giunge con un ricco vassoio
per la colazione, ed in seguito per il suo autentico rammarico dovuto alla nostra partenza.
Tutto ciò mi induce ad una leale riflessione: quanto sia scorretto e restrittivo soppesare in modo
pregiudizievole un individuo solo per alcune differenze culturali, trascurando o ignorando deliberatamente
le sue virtù.
Venerdì 22 Luglio
Marrakech
Alle sei di sera siamo in avenue Mohammed V, alle porte della fortificata ed enigmatica Marrakech, la più
importante delle quattro città imperiali del Marocco. Il traffico è caotico, oltre ad automobilisti indisciplinati
anche numerosi tilbury colmi di turisti, biciclette e pedoni sbucano da ogni direzione. Miracolosamente
indenni, riusciamo anche a trovare un posteggio ai bordi di Arset el Bilk: parco con piante secolari molto
frequentato da turisti e non, soprattutto in estate per la ricercata e gradevole ombra che offre. Il caldo
anche a quest’ora non accenna a diminuire, non per nulla Marrakech è considerata una delle città più
roventi del nord Africa. Al giorno d'oggi l'area metropolitana di Marrakech conta oltre 1 milione di abitanti
ed è senz'altro la città più nota e turisticamente frequentata del Marocco, seconda solo a Casablanca per le
attività commerciali.
Orde di turisti, bar e negozi di souvenir con prezzi più alti che altrove e tanta gente che cerca di attirare
l’attenzione, dai venditori di acqua, agli incantatori di serpenti, alle donne che ti fanno i tatuaggi all’henne,
ai suonatori di tamburi, fino ai cavadenti. L’insieme è folkloristico ma anche molto turistico.
Chiunque sia stato a Marrakech si ricorderà sicuramente con fervore la grande piazza Jamaa El Fna. In
totale antitesi al suo nome, che tradotto significa “ raduno dei morti”, nella realtà è un plauso alla vita.
E’ una piazza immensa che cambia aspetto e vivacità con il trascorrere delle ore. Insieme alla Medina fa
parte dei siti dichiarati patrimonio dell’umanità dall’Unesco.
La zona a nord della piazza è occupata dai mercati coperti che si articolano su numerose viuzze e piazzette,
ciascuna delle quali è dedicata ad attività specifiche: venditori di pelli, lana, calderai, gioiellieri, tintori, ecc.
I suk si estendono fino alla moschea di Ben Youssef.
Dopo il tramonto Jamaa El Fna si trasforma in un ampio street-food. L’aria si satura di fumi e profumi
aromatici e dei suoni della musica magrebina, l’ambiente si trasforma in uno dei più frequentati ristoranti
all’aperto del mondo con bancarelle di carne cotta sulla brace, pesce, lumache in umido e tutti gli alimenti
marocchini tipici come la milza imbottita o la testa di pecora. Ma come rinunciare ad una scodella di Harira,
la “zuppa più democratica” del mondo. Tutti, ma proprio tutti, ricchi e poveri, assaporano ed apprezzano
questa zuppa corroborante, calda, tiepida, fredda, con i vermicelli o semplicemente con i legumi, è un piatto
unico che ti rimette in marcia.
******** XIX********
E’ notte fonda quando arriviamo a casa, Fquih Ben Salah ci appare insolita: pochi veicoli in transito, solo
qualche vagabondo tiratardi, forse ancora alla ricerca di un agevole giaciglio per riposare qualche ora.
In Avenue Hassan II , nelle aiole al riparo da alcune palme, alcuni sventurati riposano, altri eseguono i vari
rakʿa nella corretta direzione della Mecca, mentre la città spogliata dal tumulto serale si mostra remissiva
ed ambiguamente arcana.
La stanchezza ha la supremazia su tutto, e dopo pochi attimi…
« Dio benedica chi ha inventato il sonno, mantello che avvolge
i pensieri di tutti gli uomini, cibo che soddisfa ogni fame, peso
che equilibra le bilance e accomuna il mandriano al re, lo stolto al saggio. »
(Miguel de Cervantes)
Sabato 23 Luglio
Le persiane, benché sprangate, offrono una scarsa resistenza ai raggi del giorno che spietatamente
sanciscono l’autorità legittima delle prime ore del mattino. Ci scrolliamo gli ultimi residui di sonno e dopo
una sostanziosa colazione programmeremo la giornata.
Oggi ci dedicheremo ai compiti purtroppo indispensabili: le bollette di consumo da controllare, la banca, e…
per un inevitabile dovere di bon ton: visita a cugini e parenti vari. Ma domani ci attende il dolce clima di
Ifrane, la piccola Svizzera.
Domenica
Ifrane-Azrou
Anche per questa meta, come per Agadir, ci prepariamo di buon mattino. Fquih Ben Salah, assopita e
scarsamente illuminata, è in attesa dei primi bagliori dell’aurora per rianimarsi e, come sempre,
sottomettersi pazientemente alla sopraffazione dei propri irrispettosi cittadini.
Dopo Kasba Tadla percorriamo la numero otto in direzione Khenifra, lo stesso percorso effettuato la scorsa
settimana ma nel viaggio di andata; in effetti per alcuni paesaggi il flashback ci appare palese. La
temperatura al momento è ancora mite e gradevole, una piccola sosta a M’rirt per due gradevoli tazze di
“street Kefir” e via per la prossima tappa: Azrou.
Due ore di guida rilassata ed arriviamo ad Azrou, in berbero Aẓro, che significa roccia, un centro berbero
molto accogliente che è la porta delle montagne del Medio Atlante e si trova lungo due importanti vie del
commercio, quelle che da Meknes e Fes raggiungono Khenifra e Midelt .
Mille e duecento metri di altitudine è il luogo ideale per fuggire dal caldo torrido delle pianure e nei mesi
invernali è sovente ricoperta dalla neve. Strano ma vero infatti, qui ad Azrou e nella vicina Ifrane, si trovano
alcune tra le più belle piste da sci dei monti dell’Atlante che in inverno richiamano migliaia di visitatori.
Dopo giorni trascorsi nei vicoli di Fquih Ben Salah, Taroudant e Marrakech, trovare un centro abitato così
esemplare, a prima vista, ci sembra molto strano: ad Azrou il traffico stradale sembra scorrere con regolarità
e non solo perché ci sono poche auto, ma anche perché tutti sembrano essere più diligenti.
Le abitazioni sono più massicce e molti sono i tetti aguzzi, caratteristiche delle case alpine a noi più
familiari, sembra quasi di avere lasciato il Marocco. Posteggiamo il nostro autocaravan nella piazza centrale
della cittadina dominata dalla moderna moschea e punteggiata di attività e negozi artigianali dove si
vendono e si producono preziosi tappeti.
Entro in una delle due banche principali per acquisire valuta locale al tasso di cambio odierno e poi, dopo
una freschissima e gustosa spremuta di arance, ci inoltriamo intrepidi alla scoperta dei caratteristici vicoli
angusti ed incantevoli con le loro innumerevoli piccole botteghe di manufatti tessili, in legno e svariati
oggetti in metallo ed in ceramica, irrinunciabili per le locali usanze quotidiane.
Ci rimettiamo in viaggio alla volta di Ifrane e, dopo le ultime abitazioni, la strada si immerge in una natura
lussureggiante e ricca di verde, tutto intorno crescono alti pini e si distendono verdeggianti prati rigogliosi, è
qui che inizia la maestosa Foresta di Cedri.
Un cartello posto su un bivio ci indica che svoltando verso destra è possibile vedere le bertucce, o Magot ,
scimmiette graziose e socievoli, vera attrazione naturale in questa zona.
Ifrane, la città ‘Svizzera ‘ del Marocco
Il Marocco evoca sempre immagini di labirinti e strade fiancheggiate da vecchi edifici color terra, ma non
proprio tutte le sue città hanno queste particolarità. Ifrane, infatti, è diversa da qualsiasi altra città del nord
Africa. Situata ad un’altitudine di oltre 5.000 piedi sopra il livello del mare nella regione del Medio Atlante,
questa piccola cittadina collinare ha una configurazione territoriale simile a quella di alcuni cantoni svizzeri:
le case dai tetti rossi, le aiuole in fiore, i parchi, i laghi, gli inverni innevati, per tale motivo questa
straordinaria città in stile “alpino” è spesso definita “la Svizzera del Marocco”. La vegetazione generosa, le
foreste di cedri, i pascoli che prendono vita in primavera, l’inverno, sono in netto contrasto con il clima caldo
e secco dei territori confinanti.
A causa della sua accessibilità, facilmente raggiungibile anche in aereo- Ifrane dispone anche di un piccolo
aeroporto ed è un luogo molto apprezzato anche dai magrebini benestanti che dal clima avverso delle
province limitrofe si affollano qui per vivere l’inverno “europeo”.
Ifrane è stata costruita dai francesi nel 1930, durante l’era del protettorato della loro amministrazione.
Che cosa avrà mai attirato i francesi, ed ora marocchini abbienti? In primo luogo Il clima fresco durante
l’estate, Fes e Meknes, per non citare Marrakech, sono sempre torride, Ifrane invece, nella stagione calda,
è gradevole e rinfrescante. In inverno le temperature scendono spesso sotto lo zero con le montagne
circostanti innevate. Se siete amanti del gelo e degli sport invernali l'inverno è il periodo che fa per voi.
Potete praticare sci di fondo e discesa in piste moderne e sicure. La stazione sciistica, a 1650 metri, vanta
ben 5 buone piste ed è piacevolmente circondata dalla grande foresta di cedri.
Se pensiamo all’Africa non ci vengono in mente neve e freddo. Eppure tra le montagne del Marocco, ci sono
cime che superano i 4.000 metri. Tra queste catene montuose abbiamo scovato la garbata Ifrane, cittadina
chiamata per l’appunto “Piccola Svizzera” e ne ha tutti i requisiti caratteristici: qualità della vita, gestione
perfetta della spazzatura, sistema idrico, nessuno spreco e bassa densità di popolazione e traffico.
Qui non troverete Bazar ma giardini ordinati, non souk ma city market, non abitazioni color ocra ma chalet
di montagna in uno stile alpino raffinato. L'aria pulita, l'ordine, il livello di igiene è altissimo e si trovano
raccoglitori per l’immondizia ogni cinquanta metri: possiamo affermare che è "abbastanza" Elvetica?!
Se amate il trekking e le lunghe passeggiate allora è consigliata l'estate, da giugno a settembre, perché
potreste toccare alte quote ed è meglio che il clima sia stabile e caldo. E non perdetevi i cedri dell'Atlante, i
boschi più fitti e maestosi del medio Atlas centrale. Durante l'escursione, state certi, che ad attendervi ci
saranno sempre loro: le simpatiche bertucce. Una passeggiata in questo luogo straordinario sarà davvero un
toccasana per la vostra salute ed il vostro spirito.
Essendo una località di montagna sono numerosi i fiumi e le cascate che possono essere visitati; la sorgente
Vittel è la più famosa e si trova all'interno di una meravigliosa foresta di aceri e pioppi l'ideale per escursioni
e brevi passeggiate, o anche dei tour a cavallo, imperdibili d'estate!
Altra meta irrinunciabile è il Mausoleo blu, situato sulla strada per Meknes. Si tratta di un mausoleo
dedicato a Sidi Abdesslam, santo del XVI secolo. I turisti restano a bocca aperta per il suo splendore: coperto
di zellij blu (gli zellij sono i tasselli di ceramica multicolore che tappezzano i muri dei palazzi, delle moschee e
delle madrase, pavimentano i cortili, rivestono le colonne e i pilastri delle gallerie). E' una tappa obbligata
per tutti i pellegrini.
Sono passate da poco le sedici quando ci troviamo di fronte all’ingresso del camping Municipal di Ifrane, in
avenue Mohamed V, qualche minuto per espletare la registrazione, poi amichevolmente il preposto al
ricevimento ci consente di individuare l’area a noi più gradita. Siamo gli unici turisti europei, ed anche
l’unico autocaravan in tutto il campeggio. Gli altri villeggianti, tutti magrebini, sono accampati con tende più
o meno confortevoli, mentre i più fortunati, anche con l’agio di spaziosi gazebo. Tra le molte piazzole libere
ne individuiamo una particolarmente graziosa ed ampia all’ombra di una maestosa quercia, posteggiamo il
nostro devoto camper ed apriamo la veranda per regalarci un ambiente più accogliente e preservato.
La prima esplorazione, dettata dal desiderio di una tonificante doccia, la effettuiamo ai servizi del
campeggio, una costruzione decrepita situata nella parte centrale del parco. Malgrado le nostre umili
aspettative, l’apparizione che ne ricaviamo è… un indescrivibile lerciume! Mai nella mia vita ho avuto modo
di trovarmi a contatto con una turpitudine così vistosa: docce prive di spruzzatore, con acqua gelida e
senza protezione per un minimo di ovvia intimità, le latrine… sarò clemente, per queste vi risparmio
qualsiasi commento e descrizione, ed il tutto “ingentilito” da un’ottima alleanza di esalazioni fetide. Da
colera!!! Una spiacevole nota stridente in questa località così disciplinata e luccicante.
L’unico approccio meno indecoroso è nella parte esterna delle toilette , dove è collocato un ampio lavatoio
predisposto forse al lavaggio delle stoviglie, con la possibilità di prelevare dell’acqua potabile, mi auguro.
Adorato sia il nostro autocaravan , con i suoi servizi puliti, confortevoli, rilassanti, ma mi addolora il pensiero
che tutti gli altri ospiti attendati non possono permettersi alternative.
Pochi minuti a piedi e arriviamo al City Market: un’area commerciale vasta e ben attrezzata con accoglienti
ristorantini, negozi di vario genere, bistrot, ed anche un ampio mercato coperto in cui è possibile trovare
generi alimentari conservati e freschi, come verdura e frutta ben esposta, tagli di carne bovina ed ovina,
pesce e cibi cotti anche da asporto. E addirittura una graziosa pasticceria dove ci immergiamo
prontamente con ingordigia… per emergere pochi minuti dopo ben appagati.
Ci amalgamiamo alla moltitudine di persone che vagano tra le varie botteghe, chi per acquisti, chi solo per
esplorare le merci esposte oppure, considerando l’ora, anche per soffermarsi a consultare i menù in bella
mostra delle innumerevoli ed invitanti osterie.
Bighellonando senza una precisa meta, inaspettatamente siamo rapiti da una fragranza avvolgente
di…giudicherei pollo allo spiedo! Con l’acquolina in bocca e come dei veri segugi da selvaggina iniziamo a
seguirne le tracce perlustrando a vuoto i molteplici viottoli del mercato ma, siamo certi, troveremo questa
sorgente del piacere.
Evviva, eccola finalmente. Davanti al nostro sguardo un “gran galà” di stuzzicanti galletti, tutti ben disposti
su un girarrosto verticale alto circa due metri che lentamente si abbronzano liberando nell’aria circostante
una deliziosa fragranza irresistibile. Tra noi è sufficiente un rapido sguardo d’intesa per sancire che uno di
essi sarà designato per la nostra ghiotta cena, magari con un ricco contorno di pommes frites… Il tutto per
una “modica” cifra di 80 Dirham.
I prezzi in generale, per noi fruitori del pregiato euro, ci appaiono anche qui assai economici, ma di certo
più salati che in altre province, d’altro canto qui siamo a Ifrane e questa città vive grazie al turismo.
Dopo cena decidiamo di fare due passi nella zona centrale; il contesto si presenta molto elegante, lussuosi
hotels Suites & Spa da quattro e cinque stelle, parchi e giardini curatissimi, caffetterie e ristoranti distinti,
bancarelle ben ordinate che espongono, oltre a graziosi souvenir, prodotti locali interessanti come varie
qualità di miele, sali all’olio di lavanda e all’ Argan, oli essenziali ricavati dalla flora locale. E come le buone
consuetudini Svizzere potevano forse mancare le banche? Assolutamente no, e sono molte.
Da non sottovalutare è anche la sensazione molto apprezzabile di serenità e sicurezza che si prova
passeggiando nei parchi malgrado l’orario della tarda serata, e non è dovuta esclusivamente al
considerevole numero di funzionari preposti all’ordine, ma è nell’aria che si percepisce una “buona
energia” che avvolge tutto il territorio, chissà se sarà merito degli alberi secolari, e qui ce ne sono
veramente tanti, che oltre al processo di fotosintesi trasformino anche le negatività e le ansie dell’umanità
in un campo energetico positivo?
Lunedì 25 Luglio
Sono quasi le otto del mattino ed il sole ha già iniziato a sfumare i suoi bagliori attraverso la vegetazione
circostante. Mi desto con il benessere di un riposo notturno piacevolmente vissuto, sarà merito del dolce
clima, o dell’incantesimo di questo posto , ma vi assicuro che neanche a casa riposo così bene.
Uberto è ancora delicatamente assopito quando io, in bici, torno dal City Market con delle calde, soffici e
profumate brioches appena sfornate. Pochi attimi per la preparazione di un ottimo caffè e la gustosissima
colazione non ha più motivi di attendere …
Dedicheremo la mattinata ad escursioni nei suggestivi boschi limitrofi di Ifrane, mentre dopo pranzo ci
occuperemo di un accurato riordino dell’autocaravan, scarico e carico serbatoi dell’acqua e la definizione di
un buon percorso da effettuare l’indomani a quote dell’Atlas più elevate.
Martedì
Ore otto e trenta del mattino, pronti per la partenza sull’Atlas. Sbrighiamo le formalità al bureau del
camping e saldiamo il conto per le due notti, 140 Dirham, poi ci incamminiamo verso la regionale 707-
Appena fuori dall’area urbana di Ifran, fiancheggiando il parco Ile d’Amour, incontriamo le prime Margot,
sono una dozzina tra cui quattro adulti, altrettanti giovani e tre “bebè” aggrappati saldamente al dorso
delle loro mamme. Un esemplare di taglia maggiore e più in disparte, forse il patriarca, osserva con un
atteggiamento di superiorità il comportamento del suo nucleo famigliare, che a differenza sua, fa di tutto
per attirare la nostra attenzione, probabilmente con qualche ambita aspettativa.
Lasciato il parco procediamo lungo la provinciale 7231 passando vicino agli impianti sciistici di Michlifen,
area molto apprezzata nella stagione delle nevi da amanti degli sport invernali.
Dopo alcuni chilometri la provinciale si esaurisce con l’incontro alla nazionale 13; a destra, ad una distanza
di una quindicina di chilometri, si trova Azrou, mentre noi decidiamo di proseguire a sinistra, nella direzione
di Al-Rashidiyya, la città dove ha trascorso l’infanzia il mio povero papà.
Fuori dalle foreste lussureggianti, salvo alcuni sporadici magri pascoli e malgrado un’altitudine di quasi
duemila metri, il paesaggio è piuttosto riarso, il terreno molto pietroso e privo di coltivazioni.
All’orizzonte le cime slanciate della catena dell’Atlas emergono come d’incanto dalla cortina di foschia e di
nubi basse che ci avvolgono, l’aria è satura di umidità e la promessa di una incombente pioggia è
indubitabile. Complice anche il clima, siamo a metà giornata e la temperatura non supera i diciotto gradi.
Che prodigio! In piena estate, in Africa, avvertire quasi una sensazione autunnale europea. Ma qui, su
questa meravigliosa catena montuosa, il clima è piuttosto pazzerello e si esprime con molta vivacità: non è
raro vivere tutte quattro le stagioni in un unico giorno!
Salvo qualche muretto a secco che delimita le precarie dimore dei mandriani locali e degli animali da
pascolo, per molti chilometri notiamo solo sassi e terreni sterili. Poi, poco lontano, una lunga striscia di
vegetazione abbondante si snoda attraverso le pietraie; ecco a cosa è dovuto: il letto di un fiume
stagionale, il Sebou, uno dei fiumi più importanti del Nord Africa. Ha la sua origine da un fiume a monte
noto come Wadi Guigou, alimentato dalla neve che si scioglie e dalle numerose sorgenti. Ora, a causa della
stagione molto secca di quest’anno, il Sebou appare come un fosso docile e quasi privo di acqua, ma
certamente nella stagione invernale si trasformerà in un impetuoso ed autorevole corso d’acqua
serpeggiando con carattere attraverso l’Atlas e passando nei pressi della città di Fes, per finire la sua corsa a
Mehdia , nell’Oceano Atlantico.
Superato il viadotto iniziano le prime abitazioni di Timahdte, il primo agglomerato urbano che incontriamo
da stamane. La cittadina si trova a 30 chilometri a Sud Est dalla città di Azrou sulla strada nazionale N13,
comunemente utilizzata dalle persone che attraversano il massiccio del Medio e dell'Alto Atlante per
raggiungere Errachidia e il deserto del Sahara. Secondo un non recente censimento Timahdte avrebbe, il
condizionale è d’obbligo, una popolazione di oltre 2500 abitanti. Situata ad un'altitudine di circa 2.000
metri, si trova nel cuore delle montagne del Medio Atlante, in una zona dal clima molto freddo con le
temperature più basse dell’ Africa. Le nevicate, significative nei mesi invernali, rendono spesso impraticabile
per settimane la strada N13 in questa regione, isolando completamente villaggi e piccole borgate per
periodi interminabili. Venti chilometri a sud della città si trova il lago Aguelmame Sidi Ali nella provincia di
Khénifra ad un'altitudine di 2100 metri. Timahdite non è nota solo per il suo clima rigido ma soprattutto per
la razza ovina locale, una particolare varietà di pecore molto apprezzata per la sua buona conformazione, la
facilità di ingrasso e la resistenza.
La zona più centrale della cittadina, separata in due parti dalla nazionale 13, è gremita da autobus “vintage”
fermi in doppia fila con portapacchi debordanti oltre il limite verosimile da valige, sacchi e contenitori di
fortuna in legno e cartone. Non mancano anche innumerevoli autocarri anch’essi stipati di merce non
sempre ben definibile. Si avverte da subito che Timahdite è un centro abitato che trae la sua ragione di
esistere dal passaggio continuo di viaggiatori, lo si nota anche osservando le varie attività commerciali e gli
innumerevoli bistrot, uno accanto all’altro, situati, di conseguenza, esclusivamente ai bordi dell’unica
strada di attraversamento.
Non con poche difficoltà riusciamo a posteggiare il nostro autocaravan senza intralciare il passaggio ad altri
veicoli per poter raggiungere poi, aimè a piedi ed in compagnia di una impietosa pioggerella fitta e
fastidiosa, la zona delle osterie distante solo qualche centinaio di metri. Tutte le tavole calde sono
affollatissime, posti liberi e addirittura coperti sono una pura illusione, l’unica disponibilità ci viene offerta
all’esterno di un bistrot e riparati solo da un misero e vissuto ombrellone. Agnello grigliato e un tajine di
pollo ci vengono serviti molto rapidamente e grazie anche al nostro ombrello personale riusciamo ad
assaporare il tutto senza eccessive irrigazioni piovane… E per concludere un buon tè caldo, questa volta
davvero molto apprezzato.
Rinvigoriti dal pranzo e dopo un cambio di abiti asciutti proseguiamo lungo la nazionale 13. Malgrado
mezzogiorno sia trascorso da poco, la scarsa luminosità, più consona ad una fine giornata, persevera e
non lascia intendere una evoluzione maggiormente gradita. Oltre all’apprensione per la limitata visibilità,
anche il manto stradale riserva di tanto in tanto alcuni cedimenti per cui siamo costretti a procedere con
una guida molto oculata. Un danneggiamento in questi luoghi è assolutamente da scongiurare.
Finalmente, all’improvviso, il cielo si rasserena e lo splendore del sole sprizza gagliardo sul creato. Tutto
cambia e si trasforma: le alte vette appaiono molto più vicine, anche le pietraie, dapprima aride e brulle, ora
mostrano tutta la loro ambizione di protagonismo in questo naturale quadro artistico dell’Atlas.
Pochi chilometri e l’indicazione alla nostra sinistra di Aguelmame Sidi Ali, il lago di origine vulcanica a quota
2100 metri slm, ci invita a raggiungerlo, anche se il percorso si presenta da subito non adatto per il nostro
veicolo. Siamo costretti a proseguire con molta cautela perché la strada, poco più di una mulattiera, è
abbondantemente insidiosa a causa di pericolosi avvallamenti e dossi da superare con “agilità felina”.
Oltre mezz’ora di guida estenuante per arrivare al traguardo distante solo tre chilometri !
Aguelmame Sidi Ali ha una estensione di circa 340 ettari con una profondità massima di 40 metri.
La sponda dove siamo in sosta è priva di vegetazione, ma osservando con il binocolo la riva opposta,
notiamo una estesa foresta di cedri, dominata dal bordo del Jebel Sidi Ali che sale fino a 2.395 m.
Il silenzio e la vastità del paesaggio ci invitano ad una contemplazione rispettosa, senza locuzioni ne
considerazioni mentali, ma solo ed esclusivamente attraverso una connessione emotiva. In questo magico
luogo bastano pochi minuti di raccoglimento per comprendere quanto generosa sia la natura nel
trasmetterci tutta la serenità di cui abbiamo bisogno, se solo riusciamo ad “ascoltarla” con la dovuta
umiltà.
Dopo una lunga e rilassante sosta al lago proseguiamo sulla nazionale ancora per alcuni chilometri. Sarebbe
stato bello proseguire fino a Al-Rashidiyya, ma purtroppo siamo già a metà pomeriggio ed altri duecento
chilometri sono decisamente troppi; sarà per la prossima occasione. Per oggi è più opportuno rientrare
con la luce del giorno.
Lungo la strada, nel viaggio di andata, avevamo notato a poca distanza da Azrou , una struttura turistica
molto elegante ed originale, con all’ingresso l’ampia scritta: “Euro Camping”. Mah… dopo il vissuto nel
campeggio comunale di Ifrane, un richiamo così principesco appare come una vera allucinazione.
Però, francamente la tentazione di verificare di persona è grande. E se fosse reale? Male che vada, per
ritornare a Ifrane la distanza è minima.
Pochi chilometri prima di Azrou, la nazionale attraversa il parco Cèdre Gouraud, (il nome deriva dal
generale francese Henri Gouraud che era in carica durante il protettorato francese in Marocco) un’ ampia e
ben rappresentata porzione di estensione forestale dei complessivi 132.000 ettari di cedro marocchino.
La foresta è anche nota come habitat per una sub-popolazione di macachi barbareschi, comunemente
chiamati anche bertucce, margot o scimmie di Barberia.
Una piccola radura a fianco strada ci permette di posteggiare comodamente l’autocaravan e… ad un tratto
una simpatica comitiva di scimmiette fa capolino da dietro un imponente tronco di cedro. All’inizio
appaiono alquanto timorose, poi, dopo aver ben esaminato le nostre pacifiche intenzioni, si avvicinano
gradualmente alla ricerca di qualche boccone di cibo. Sfortunatamente non abbiamo con noi della frutta,
ma comprendiamo velocemente che anche dei pezzetti di pane raffermo sono molto apprezzati. Ora che
tutto il gruppetto è allo scoperto, ne contiamo sette, tra adulti e junior, e tutti molto audaci. Uno di loro, il
più sfrontato, vedendomi bere dell’acqua dalla bottiglietta, agilmente mi salta in grembo desideroso di
dissetarsi, ed io, senza nessuna esitazione, lo accontento con piacere. L’impulso istintivo di mamma prevale
ed in modo spontaneo e naturale mi ritrovo a coccolarlo come fosse un mio bebè.
Il contesto amorevole non sfugge ad alcuni passanti che, incuriositi dalla tenerezza e dall'espansività di
queste graziose creature, si soffermano per immortalare il momento con i loro dispositivi fotografici.
Il sole è ancora alto e luminoso quando ci troviamo di fronte al “Euro Camping Emirates Tourist Center”.
L’ingresso è maestoso: una imponente porta ad arco collega le mura perimetrali alte con torrioni e
merletti, selciato piastrellato accuratamente, e come se non bastasse anche due guardie in divisa a
presidiare l’accesso. Non me la sento di entrare prontamente con il mio veicolo vissuto ed infangato,
posteggio sul lato opposto e raggiungo a piedi la portineria per chiedere informazioni.
Con molta gentilezza ed il minimo di formalità ottengo tutte le informazioni che desideravo ed anche il
“benvenuto” come camperista. Con gaudio porto le novità ad Uberto, e… forse non ci crederete ma, pur
essendo una struttura sontuosa, i costi sono come quelli del Camping Municipal di Ifran- Ma non i servizi,
per fortuna!
Adagio e con discrezione portiamo il nostro veicolo lungo il cammino che sale verso le piazzole, alla nostra
destra una mirabile piscina con tanto di gazebo in muratura ed aree relax, che raggiungeremo con gioia
dopo, più in alto il complesso dei servizi che, scopriremo poi, luccicanti, con tanto di wc invalidi, docce con
acqua calda e fredda, lavelli candidi, lavatrice con asciugatrice, per non citare tutti i confort dell’area per il
bucato, le stoviglie ecc.
Tutte le piazzole hanno dell’ombra grazie ad alberi da frutto, in particolare noci, facile accesso alla corrente
elettrica ed erogatori per l’acqua; noi sostiamo con vista panoramica su Azrou e la verde valle circostante.
Tra i vari servizi del camping, al mattino, c’è anche il recapito del pane appena sfornato, compreso nel
prezzo. Cosa chiedere di più?
In seguito, Khalid, il direttore del centro, ci spiega con evidente orgoglio che la proprietà è di uno sceicco
che dimora abitualmente negli Emirati Arabi, ma frequentemente, nella bella stagione, giunge con il suo
imponente autocaravan, e quando ciò accade, tutti i turisti presenti sono suoi graditi ospiti a titolo
completamente gratuito.
L’ Euro Camping Emirates di Azrou si può considerare senza dubbio una struttura turistica ammirevole, vi
posso assicurare che nemmeno in Francia e in Italia si trovano facilmente camping con queste
caratteristiche, assolutamente da ritornarci.
Mercoledì 27 Luglio
sources Oum Errabiaa
Siamo in partenza per la sorgente del secondo fiume per importanza del Marocco: Oum Errabiaa, ma, prima
una una ricca e gustosa colazione, grazie soprattutto al pane profumato e appena sfornato che Khalid
gentilmente ci ha recapitato.
Oum Errabiaa ha la sua origine dall'altezza di Jebel Hayane nell’omonimo comune rurale e sfocia
nell'Oceano Atlantico ad Azemmour. Sorge ad un'altitudine di 1800m nel Medio Atlante, a 40 km dalla città
di Khénifra e a 26 km dalla città di M'rirt.
Finalmente, dopo una trentina di chilometri percorsi con molta apprensione lungo la provinciale piuttosto
malridotta, con una larghezza a volte anche inferiore ai 2,5 metri, arriviamo alle sorgenti tanto agognate. Il
viaggio, apparentemente breve, nella realtà comporta una tempistica lenta e una particolare accortezza: in
alcuni tratti la strada non solo è a strapiombo sulla valle sottostante senza nessun guard rail, ma pure con
un margine di carreggiata cedevole. A causa di queste deplorevoli caratteristiche, siamo obbligati, causa
incidente avvenuto pochi minuti prima del nostro passaggio, ad una prolungata sosta. Infatti, una vettura
con relativo conducente e passeggeri è finita fuori strada precipitando per circa quaranta metri,
fortunatamente senza capovolgersi e arrestandosi a pochi decimetri dall’impetuoso fiume. Per buona sorte
tutti incolumi, ma certamente, per gli sventurati, un considerevole spavento.
Arrivati a destinazione, altra impresa non da poco è trovare un posteggio. I pochi spazi preposti sono tutti
“abbondantemente” occupati da vetture, furgoncini sgangherati e materiale per discarica. Riusciamo con
tanta fatica a sistemarci su uno sterrato molto in pendenza e con solo tre ruote posate al terreno… Questo è
certamente il peggior posteggio della mia vita. Ma reggerà? A pedi ci avviamo verso le sorgenti con un
notevole carico di turbamento e senso di colpa.
Le poche centinaia di metri che dobbiamo percorrere per raggiungere la meta sembrano non terminare
mai. Il rumore assordante dell’acqua, l’incidente della vettura precipitata, quest’ansia viscerale che non
vuole allentare la presa; non saranno per caso tutti segnali da prendere maggiormente in considerazione?
La meta è un misero piazzale sterrato, occupato in parte da baracche in legno di famiglie berbere con le
loro umili attività artigianali, oltre a numerose vetture posteggiate in modo scombinato malgrado l’ausilio di
alcuni presunti posteggiatori.
Oh… alhamdulillah
Appena arriviamo si libera un posto, a prima vista sembrerebbe sufficiente per posteggiare il nostro
sofferente veicolo. – l’ottimismo inizia a prevalere, io rimango a presidiare quel piccolo ma risolutivo spazio
mentre Uberto, molto più affrancato, si precipita a prelevare l’autocaravan.
Dopo pochi minuti eccolo arrivare, con interminabili manovre riusciamo a posteggiare. Certo sarebbe stato
preferibile posizionarsi a bordo fiume ma… sul finire della giornata, contiamo che saranno in molti a lasciare
questo luogo, e noi avremo certamente l’imbarazzo della scelta.
Ora che l’ottimismo è tornato anche il frastuono del tumultuoso fiume appare come una gradevole melodia
e aumenta il desiderio di esplorare questo luogo incantevole.
Con rinnovata energia saliamo a piedi il sentiero che conduce fino alla recondita sorgente del torrente.
Dopo circa mezzora di cammino tutto in salita, ecco la sua origine, è… seducente: siamo sotto l’imponente
parete perpendicolare alta un centinaio di metri dove quasi dalla cima estrema Oum Errabiaa prorompe
con vigore dal grembo della montagna rivelando già dalla nascita il proprio carattere risoluto.
La quantità di acqua è davvero ragguardevole, degna della sua reputazione, non per nulla è uno dei fiumi
più considerevoli del Magreb. Ha già un’ ampiezza che in certi punti supera i quindici metri ed oltre tre di
profondità, il suo percorso, molto scosceso, acquista un vigore straordinario. Oum Errabiaa incute timore
e rispetto, finire nelle sue acque spumeggianti e agitate sarebbe la fine certa. Ma ha pure un
temperamento gentile e generoso: infatti grazie ad una delicata e capillare spartizione, a margine del
posteggio si è creato un piccolo bacino tranquillo dove è possibile fare dei bagni refrigeranti molto
apprezzati da adulti e bimbi ed in totale sicurezza… o quasi; la condizione é di non sottovalutare mai per
nessuna ragione la sua forza magari arrivando imprudentemente nei pressi della struttura principale,
come è successo ad alcuni sconsiderati che hanno voluto sfidarlo pagando a caro prezzo l’imprudenza.
Lungo i suoi fianchi, malgrado la considerevole inclinazione del monte, si trovano moltissime palafitte e
catapecchie scavate nella roccia e comunicanti tra di loro con ponticelli ed angusti passaggi. Quasi tutte
sono abitate da berberi stanziali che ospitano con piacere i visitatori offrendo loro un ghiotto tajine in
cambio di un modesto ricavo. Qui il frastuono dell’acqua è assordante, ciò malgrado, i più temerari possono
anche passarci la notte, ma noi, più privilegiati, potremo coricarci nel comfort della nostra casa mobile.
La luce del sole, a fine giornata, inizia molto rapidamente a dileguarsi oltre la catena montuosa del medio
Atlas, come se manifestasse l’ impazienza di raggiungere le estreme coste ad Ovest dello sconfinato
Oceano Atlantico per aggiudicarsi un’altra volta, instancabilmente, il trionfo su quelle lontane regioni
ancora immerse nell’oscurità.
Per noi invece, alzando lo sguardo al cielo, una vezzosa e gradita visione di un suggestivo e spettacolare
recital stellato.
Altrettanto rapidamente anche le ciclopiche ombre delle vette raggiungono questo fiabesco luogo
abbracciandolo in un’atmosfera ancor più austera e misteriosa e pure molti forestieri partono,
concedendoci ampie possibilità di posizionamento, come ipotizzato.
Ora, con il nostro veicolo collocato in un punto privilegiato al margine dell’ampio bacino, siamo pronti per
una piacevole nuotata. L’acqua è deliziosamente gelida ma come si potrebbe rinunciare ad un bagno in
questo magico e attraente specchio illuminato fiocamente solo dalle stelle e dai bagliori di alcuni piccoli
focolari domestici?
L’immersione in questo seducente e minuto laghetto è incomparabile, la connessione con la sua purezza mi
trasmette una serenità d’animo mai provata sin ora, tutto è così straordinariamente ok, niente di più e
niente di meno si potrebbe desiderare… In cambio impreziosisco le sue limpide acque con copiose e
autentiche lacrime di emozione.
Atika! L’acqua per la pasta bolle. Il richiamo di Uberto mi riporta bruscamente alla materialità. Peccato, non
avrei voluto distaccarmi da quel vincolo così affettuoso e magnanimo.
Le penne al pesto sono veramente squisite e con una spolverata di Parmigiano rallegrano il palato, ma il
mio cuore è ancora là, a nuotare nelle dolci acque di Oum Errabiaa.
La notte in questo luogo del medio Atlas è maliarda, le interminabili stelle, grandi e luminose quasi a
sfiorare le vette, gli aromatici profumi della vegetazione, e poi quel gentile silenzio infranto solo dal
concerto armonioso di un unico orchestrale: Sua Maestà il fiume.
Giovedì 28 Luglio
Al mattino di buonora, prima che inizino ad arrivare i primi veicoli, decidiamo di fare colazione presso la
baracca di una sorridente e carismatica giovane signora berbera indaffarata alla preparazione del Meloui
tradizionale, una sorta di piadina fatta con farina, olio, acqua e composta da molti strati sottili sovrapposti,
per essere poi cucinata direttamente su una piastra di metallo. Si consuma a colazione con marmellata,
olio, formaggio fresco e olive, naturalmente con l’onnipresente the e menta. Non solo è gustosissima, ma
nutre anche l’anima, perché permette di contribuire al sostentamento di questi gruppi etnici purtroppo
prossimi alla scomparsa.
In altre capanne dislocate nei dintorni si può acquistare frutta, abiti tradizionali, lattine di bibite, oppure
prenotare un ottimo tajine per il pranzo. Ma noi, spinti da un richiamo impulsivo, siamo alla ricerca di un
contesto più singolare, più esclusivo, più… E finalmente, dopo alcune esplorazioni, eccolo, bello e
“selvaggio” da toccare l’anima: un piccolo lembo di terra risparmiato dalla voracità del torrente, centrale al
fiume e raggiungibile esclusivamente da un ponticello molto precario. Una parte di questa micro oasi è
occupata da una quercia veterana che oltre a svolgere il ruolo di custode agguerrito di questo brandello di
terreno tanto agognato dalle acque di Oum Errabiaa, si presta anche come sostegno per una pensilina di
rami e fogliame, utilizzata per creare una gradita ombra sul basamento di terra battuta e ingentilito con
abbondanti stuoie e cuscini.
Senza indugio chiediamo informazioni e ci viene offerta la possibilità di occuparla anche per tutta la giornata
per centoventi Dirham, compreso un ricco tajine di pecora e verdure per il pranzo.
Wow ! è meglio di quello che speravamo. Confermiamo il tutto e all’istante ci rechiamo nell’autocaravan a
prelevare tutto il necessario per passare una giornata in totale relax.
Al nostro ritorno sull’isoletta, Zouina, una fanciulla berbera dal sorriso seducente, in allegra compagnia di
due bimbi, forse i suoi fratellini, è già affaccendata alla preparazione del nostro ricco tajine che richiederà, ci
comunica, almeno tre ore di cottura. Per tale mansione si è riservata una piccola porzione di spazio nella
parte più riservata e protetta dalla furia dell’acqua dove è allestito anche un piccolo e rudimentale focolare
per cucinare.
La giovane cuoca, molto affabile e graziosa, in realtà ha quasi trent’anni ed è la mamma dei due piccoli, uno
di cinque anni e l’altro poco più grande.
L’età delle donne berbere non finirà mai di stupirmi, e pensare che per il loro charme non dispongono di
prodotti cosmetici esclusivi e griffati anti-Age ma soltanto di olio di Argan casereccio. A questo proposito è
opportuno ricordare che le proprietà straordinarie dell’olio di Argan si ottengono solo con l’utilizzo del
prodotto assolutamente naturale e purissimo. Niente a che vedere con quello che solitamente troviamo in
commercio in Europa, molteplici confezioni esaltate da un marketing accattivante e promettente ma, in
realtà, si tratta di Srgan diluito con altri componenti “ meno nobili”, per giunta aromatizzati e con
conservanti sintetici.
La giornata trascorre lenta ed in totale rilassamento: comodi cuscini, un delizioso ed inarrestabile refrigerio
di torrente nebulizzato e spinto dalla forza della corrente ci avvolge e ci coccola con delicatezza, per non
parlare del tajine…
Potrà mai essere meglio di cosi l’Eden?
Venerdì 29 Luglio
Ore 9 del mattino, dobbiamo metterci in viaggio prima dell’assedio caotico del posteggio. E’ stato un
soggiorno breve ma ricco di forti emozioni, la separazione da questo posto incantevole si preannuncia già
malinconica; avremmo potuto prolungare di uno o due giorni la partenza, ma sento che ci ritorneremo
presto, l’intimità che si è creata con questo luogo magico è indissolubile, ora capisco perfettamente il valore
dell’espressione “mal d’Africa”, è molto di più di una infatuazione, forse è un’ incantesimo che mi
accompagnerà per tutto il resto della mia esistenza terrena.
Il percorso per arrivare al lago Auguelmam Azigza, in berbero ⵉⵉⵉⵉⵉ ⵉⵉⵉⵉⵉⵉ , è perfino peggiore di quella
per la sorgente di Oum Errabiaa, non è adatto per veicoli come il nostro, ma esclusivamente per carretti e
motocicli. Purtroppo l’unica alternativa che notiamo sulla nostra cartina, forse meno disagevole,
comporterebbe però un’estensione di oltre cento chilometri, mentre il nostro obiettivo è distante circa la
metà.
Pochi chilometri e siamo in mezzo al nulla, solo enormi foreste di aceri e appezzamenti di terreno incolto,
nessun veicolo, nessun pastore, non c’è anima viva. L’ inquietudine, assieme al dubbio di percorrere una
strada vaga, inizia a tormentarci. purtroppo non ci sono nemmeno indicazioni incoraggianti. La smania di
tornare inizia a prendere forma. Ad un tratto, nello specchio retrovisore, noto a distanza un veicolo che ci
lampeggia, finalmente, penso io, qualcuno a cui chiedere le informazioni desiderate. Fiduciosi e risollevati,
appena si presenta la possibilità riusciamo ad accostare al margine estremo della strada spingendoci per
oltre la metà nel terreno, ahimè, sfortunatamente piuttosto cedevole.
Pigramente il veicolo, un pick-up abbondantemente vissuto, ci supera. La nostra speranza di avere qualche
suggerimento immediatamente svanisce. Gli occupanti, due uomini in cabina e tre nel cassone esterno, tutti
riccamente barbuti, ci osservano con un aspetto incuriosito e nello stesso tempo minaccioso.
Siamo in una brutta situazione: vulnerabili e indifesi, noi in due, e loro in cinque, magari pure armati.
Dopo poche decine di metri si arrestano sulla carreggiata. Perché non scende nessuno? Come mai non
hanno accostato vicino a noi? Non sappiamo davvero come risolvere questo critico impaccio. Il lasso di
tempo della sosta ci appare interminabile. L’adrenalina inizia a pervadere il mio corpo scatenandomi
soluzioni irrazionali ed impraticabili. Fuggire? Ma come, se lo spazio per girarsi non è sufficiente. Forse in
retromarcia…? Fuggire a piedi nella boscaglia e abbandonare tutto? Rimettere il nostro veicolo sulla strada e
acquisire velocità investendoli?
Definirlo batticuore sarebbe solo un eufemismo. E’ vero panico. Un’ orribile angoscia che crea difficoltà di
respiro, sofferenza, paralisi, che ti assale quando, come in questa occasione, la situazione appare irreale,
assurda, insensata, senza nessuna via di salvezza. Combatti o fuggi!
Anche l’ambiente circostante si rivela più… ostile: la boscaglia tetra ed impenetrabile, il terreno impervio e
avverso per un’ agile fuga, per non citare l’opprimente e minaccioso silenzio universale.
Nella maggior parte dei casi, fortunatamente, è un nostro film mentale, una distorsione della realtà causata
da uno stimolo esterno di eccessiva apprensione ed ampliata da un sovrabbondante rilascio di adrenalina
nel nostro circolo sanguigno.
Alcuni minuti dopo il pick-up, con tutto l’equipaggio, riprende il proprio percorso.
Un’ondata di sollievo sostituisce gli ultimi residui di tormento e tutto il creato ritorna a “respirare”:
l’armonia del vento attraverso gli slanciati cedri, il fioco gemito di una capretta in lontananza… tutto ritrova
la reale e meritata soavità. Quasi certamente non erano male intenzionati, presumo, ma se avessero voluto
compiere qualche azione scorretta ai nostri danni chi li avrebbe fermati?
Pochi chilometri dopo li ritroviamo fermi sulla carreggiata. Lo spazio per un eventuale sorpasso non c’è.
Mentre lentamente ci avviciniamo, ma questa volta con serenità e fiducia, li troviamo intenti a donare del
pane ad una mezza dozzina di ragazzini, alcuni visibilmente piccini, affaccendati a badare un esiguo
gruppetto di simpatiche caprette. Abbattuta ogni diffidenza nei loro confronti, chiedo con il mio accento
arabo alquanto europizzato indicazioni per Auguelmam Azigza: la direzione è giusta e con poca
“sofferenza” ancora da percorrere. هلل الحمد (grazie a Dio)
Dei bagliori in lontananza ci rasserenano, finalmente siamo prossimi all’arrivo e poi ci
concederemo una più che meritata sosta.
Gli ultimi chilometri sono su un terreno digradante fino alle sponde del lago.
Auguelmam Azigza si trova ad una altitudine di circa 1.500 metri, racchiuso in una zona
depressiva di circa sessanta ettari, non è un lago ampio ma molto gradevole, ha una profondità di
oltre venti metri con una larghezza di mezzo chilometro e 1,5 di lunghezza. La sua posizione,
contornata dalla foresta di querce e cedri, gli conferisce un particolare colore blu-verde.
Le acque di questo lago sono ricche di pesci di diverse varietà anche non autoctone come: tinche,
carpe, persici, lucci, introdotte nel secolo scorso dai servizi forestali e idrici francesi. Purtroppo a
causa del degrado del biotopo da parte dell’uomo dovuto principalmente all’inquinamento e alla
pesca abusiva, molte di queste specie si stanno inesorabilmente riducendo.
Senza alcuna difficoltà troviamo un eccellente spazio all’ombra di secolari cedri dove poter
parcheggiare comodamente il nostro autocaravan, per buona sorte a pochi passi dal lago.
La location è molto invitante e suggestiva, lungo il bordo del lago sono numerose le baracche
berbere che offrono del pane appena sfornato, yogurt, formaggi e anche il sempre gradito kefir.
Ci soffermiamo alcuni attimi davanti ad un fumaiolo ad osservare una graziosa berbera che si
accinge ad estrarre dal forno, una rudimentale costruzione in pietra locale, alcune grandi pagnotte
tonde e schiacciate ancora fumanti, il profumo che si sprigiona nell’aria è davvero avvolgente, non
possiamo rimanere insensibili a ciò, e per pochi dirham ne acquistiamo ben due. Qualche decina
di metri più avanti troviamo anche dell’ottimo formaggio e kefir. Per oggi un buon pranzo autoctono
è assicurato.
Anche in questo luogo di etnia berbera notiamo, con parecchio rammarico, che la maggior parte
dei compiti sono affidati alle donne, mentre i “nobiluomini” si sobbarcano l’incombenza di
osservare, fumare e sorseggiare il tè, certamente preparato con devozione dalle loro remissive
spose. Ma è proprio nei volti femminili, affascinanti e cordiali, che noto tutta la loro
consapevolezza di appartenere ad un popolo straordinario con radici culturali molto remote,
geloso custode di antichi e autentici valori.
A metà pomeriggio mi concedo una nuotata nelle fresche acque del lago, fresche sicuramente, ma
anche assai torbide; la causa principale è originata non solamente dalla scarsità di acqua piovana
dovuta soprattutto alla stagione notevolmente arida di quest’anno, ma anche dal fondale molto
melmoso.
Non è certamente paragonabile alle candide acque di Oum Errabiaa, ma ciò risale a ieri, piuttosto
mi sentirei di suggerire che quando si riesce ad essere consapevolmente ed esclusivamente
protagonisti nel tempo presente, l’unico che realmente merita di essere vissuto interamente, anche
le ordinarie opportunità possono offrire gradevoli emozioni.
Poco meno di duecento chilometri ci separano da Fquih Ben Salah ed è arrivato il momento di
partire, malgrado sia dominante il desiderio di rimanere in questo fresco e gradevole contesto.
Duecento chilometri potrebbero sembrare una distanza esigua ma è sempre opportuno non
sottovalutare mai potenziali inconvenienti atipici che nei percorsi stradali dell’Atlas sono all’ordine
del giorno e creano considerevoli disagi. Dopo una meticolosa valutazione della carta stradale
optiamo per la direzione di Arougo, lungo la provinciale 7306 fino a Khenifra. Da lì in poi la strada
per arrivare a casa sarà abbastanza scorrevole.
E’ notte inoltrata quando arriviamo a Fquih Ben Salah, affaticati e tormentati dall’arsura, ma con
l’anima colma di gratitudine per tutte le meraviglie che la natura autentica e generosa dell’Atlas ci
ha amorevolmente concesso.
******** XX********
Lunedì 1 Agosto
Gli ultimi due giorni trascorrono con monotonia e apatia ma sono indispensabili al corretto riassetto
della casa, all’acquisto di scorte di olive e olio da portare in Italia, spezie varie che qui al souk di
Fquih Ben Salah si trovano a costi vantaggiosi e, per pochi dirham, anche alcuni tajine di varie
dimensioni.
Alle otto del mattino siamo pronti per il lungo viaggio di ritorno in Italia. Non c'è fretta, la nostra
disponibilità di tempo è ancora molto ampia. Prima di lasciare la città sostiamo presso un bistrot
per una ricca colazione e per programmare con calma il nostro percorso. Decidiamo di procedere
ad ovest, in direzione di Kenitra, sull’Oceano, poi proseguiremo lungo la provinciale, parallela
all’autostrada A1 fino a Moulay Bousselham.
L’erculeo sole inizia spietatamente ad esibire tutta la sua determinazione nel forgiare un’altra
rovente giornata, ma noi, fortunatamente, avanzeremo verso la deliziosa brezza dell’Atlantico.
Moulay Bousselham è un centro abitato di modeste dimensioni ma molto grazioso e caratteristico,
ha ben due camping, di cui uno posizionato al margine di un fiordo di dune sabbiose, l’altro, poco
distante, in un’area verde ben attrezzata. A Miramar, un terrazzamento ampio e panoramico che
domina tutto il borgo, posteggiamo comodamente il nostro veicolo e ci incamminiamo attraverso
gli angusti passaggi tra piccoli bistrot, bancarelle con varietà di pescato molto attraente e vetrinette
di vari dolcetti stuzzicanti. Impossibile opporsi.
Il contesto è molto stimolante: profumi di pesce alla griglia, pagnotte e dolci appena sfornati, aromi
inebrianti di spezie, tutto ben accostato alla soave fragranza dell’Oceano.
Ci soffermiamo alcuni attimi ad ammirare una bacinella con delle vongole veraci talmente
energiche che solo a sfiorarle con la mano prontamente mi indirizzano un vigoroso spruzzo di
acqua marina sul volto; non mi era mai successo un evento simile. Il pescatore, ridacchiando per il
nostro inaspettato stupore, simpaticamente ce le offre ad un costo veramente irrisorio, ne
acquistiamo circa un chilogrammo da conservare nella sua acqua marina per mantenerle vive fino
al consumo che celebreremo questa sera. Ad un’altra rivendita scoviamo anche del prezzemolo;
in realtà il vero prezzemolo come il nostro non si trova facilmente in Marocco, piuttosto qualcosa
di similare, più consono al coriandolo, per cui molto più aromatico.
Avremmo potuto fermarci in uno dei due campeggi del luogo ma, in considerazione delle diverse
ore di luce ancora disponibili, decidiamo di proseguire almeno fino a Larache, conosciuta anche
come al-Araish, capoluogo dell’omonima provincia.
Ci arriviamo al tramonto, giusto il tempo per una rapida escursione in camper a Place de la
Libération e nella zona portuale, poi subito alla ricerca di un luogo tranquillo per prepararci una
buona cenetta e fermaci per la notte. Avremmo potuto sostare al porto, in apparenza pacifico e
privo di pericoli, ma preferiamo investire ancora qualche minuto alla ricerca di un’alternativa più
attraente.
La nostra caparbietà viene premiata: ecco l’Aire de Repos Larache, un’area di sosta con entrata
dalla nazionale1, poco visibile durante il transito e con indicazioni solo in arabo. Varcato l’ingresso
un preposto ci accoglie gentilmente e ci fornisce tutte le informazioni necessarie, è uno spazio
ampio, piantumato, con servizi igienici, un bar e la possibilità di rifornimento di acqua, il tutto ad un
costo irrisorio. Un’ ottima risposta al nostro desiderio di relax. Ora gli ingredienti per un gustoso
piatto di spaghetti, italiani naturalmente, alle vongole con prezzemolo, aglio e peperoncino non
mancano, e neppure l’appetito.
Per la discrezione che ho per voi, cari lettori, mi astengo dal descrivervi il capolavoro ottenuto con
quelle meravigliose vongole.
Se optate per un tour del Marocco, in auto o in moto, meglio non far salire troppo le temperature,
che sulle coste arrivano anche a 38 gradi e nelle aree interne ben oltre i 45, vi consiglio di andarci
ad aprile dove non c'è neanche troppa ressa di turisti!
Martedì
Tangeri-Tarifa
L’Europa è sempre più vicina, meno di cento chilometri e saremo a Tangeri.
Imbocchiamo la nazionale 1 per poi spostarci su una strada secondaria, la regionale 415,
ipotizzando di trovare luoghi più esclusivi; mah… direi che la scelta non si è dimostrata azzeccata,
le aree attraversate risultano tutte trascurate e prive di qualsiasi richiamo, il percorso accidentato
con deviazioni insidiose e segnalazioni inesistenti, non la consiglierei. Per nostra buona sorte dopo
un tempo interminabile e senza episodi dannosi ritroviamo la N1 e raggiungiamo in breve tempo la
famosa città fortificata di Asilah.
Asilah è famosa per le sue deserte e tranquille spiagge e un’atmosfera rilassante, considerata un
luogo elegante ed esclusivo frequentato dalle élite del Nord Africa, ma soprattutto famosa perché
da oltre 30 anni ospita uno dei festival più importanti di tutto il Nord Africa: l'International Cultural
Moussem of Asilah, un vero laboratorio artistico e culturale che richiama in città più di centomila
artisti da tutto il mondo.
Dopo una breve sosta ed un veloce brunch, proseguiamo lungo la nazionale1 avvolti da una
inconsueta ed inaspettata foschia che muta tutti i colori in toni grigi, trasformando il paesaggio da
nord Africano ad inverno Padano. Dopo una dozzina di chilometri, grazie al cielo, ritroviamo la
piacevole luminosità propria di questa regione ed iniziamo ad intravedere anche la prima periferia
di Tangeri.
Immersi nel traffico caotico della metropoli e angosciati dalla guida spregiudicata che praticano i
tangerini, finalmente, dopo tanto penare raggiungiamo l’area della spiaggia municipale per
proseguire sull’ Avenue Mohamed VI, più scorrevole, fino alle mura della Medina, per poi entrare
nell’area portuale.
Appena varcato l’ingresso portuale, tutti fermi in colonna e sottomessi ai caotici controlli doganali.
Quando si arriva al porto di Tangeri con il proprio veicolo per l’imbarco in Europa, bisogna armarsi
di molta, ma veramente molta arrendevolezza e tempo. Un lungo martirio è assicurato: code in
attesa davanti al bureau per il visto sul passaporto, poi la verifica dei certificati del veicolo, poi
ancora il controllo all’interno del mezzo, e per finire, il veicolo, auto, camper o autobus che sia,
dovrà passare senza nessun occupante a bordo attraverso un imponente rilevatore termico per la
verifica di eventuali clandestini celati.
A tale proposito vi riporto un curioso episodio che ci èi successo: al ritorno dal bureau passaporti,
il conducente di una vettura al nostro fianco, con fare molto animato, mi indica una
incomprensibile emergenza in direzione delle nostre ruote posteriori, io allarmata suppongo una
foratura o qualche cosa di ancor più grave e mi chino per cercare l’anomalia quando ad un
tratto…. rimango immobilizzata dallo stupore: un individuo, dall’aspetto giovanile, sbuca
improvvisamente da sotto il nostro camper per darsi precipitosamente alla fuga. Come avrà fatto
ad insediarsi lì e quando è un mistero, ma se fosse stato rintracciato dalla polizia doganale, noi
avremmo certamente vissuto degli interminabili momenti difficili.
Poco dopo, un agente doganale sale a bordo per le ispezioni di routine. E’ un giovane baldanzoso
e simpatico, gli offriamo del tè con pasticcini che apprezza molto, esaurendo così gran parte del
tempo altrimenti dedicata ad inutili e noiose perlustrazioni. Non che avessimo alcunché da
occultare, ma in circostanze dove non esistono indicazioni ufficiali per legittimare merce consentita
o meno, e nel nostro veicolo di mercanzia ce n’era veramente molta, avremmo rischiato di
sborsare assai denaro arbitrario. alhamd lilah
La traversata è rapida ed in men che non si dica siamo al porto di Tarifa, in Spagna. Anche l’uscita
dall’area doganale spagnola avviene con celerità e con altrettanta celerità anche la lunga giornata
ci porge un garbato saluto mediante le proprie evanescenti tinte crepuscolari.
Questa volta non mi sento particolarmente compiaciuta, avrei preferito rimanere dell’altro in quel
margine astratto tra Africa ed Europa. Sia io che Uberto ci ritroviamo insolitamente taciturni.
Intravedere le lontane luci di Tangeri mi provoca un ardente magone, noto che anche lui si sforza
di non svelare le proprie emozioni ma i suoi lucciconi non mentono.
E’ già sera, dobbiamo ancora cenare e trovare un luogo idoneo per la notte. Usciamo dalla
cittadina e proseguiamo per la Carretera Nacional 340 in direzione Algeciras.
La strada è scorrevole, ad Estepona ci concediamo una piccola deviazione verso il centro città
alla ricerca di una trattoria, ci eravamo ripromessi che al ritorno avremmo gustato una buona
paella andalusa, ma l’appetito di questa sera non la giustifica, per cui optiamo per due tranci di
scialba pizza d’asporto.
Poche decine di chilometri e ci troviamo di fronte al camping La Buganvilla, dove passeremo la
notte.
Mercoledì 3 Agosto
Cordova
Consumiamo la colazione al bar del camping, pigramente, per passare poi ad un totale relax,
grazie soprattutto alle tiepide acque della preziosa piscina. Non avvertiamo il desiderio di un
rapido rientro a casa, forse perché il coraggio di porre troppa distanza dalle coste magrebine è
ancora carente, preferiamo rimanere “a vista d’occhio”. Là, oltre la striscia di mare, l’eroica colonna
d’Ercole demarca il Continente Africano.
Dopo pranzo, al fine di fugare gli ultimi residui di malinconia, sintomi tipici del “mal d’Africa”,
progettiamo di partire scegliendo un rientro flessibile attraverso la parte centrale della Spagna,
ricca di parchi naturali e di aree a noi ancora sconosciute.
Ed ora in Cammino. Direzione Coin lungo la A 7103. La strada inizia ad inerpicarsi
fiancheggiando la Sierra de las Nieves. Anche il clima, salendo, è più temperato, una breve sosta
ad una sorgente naturale per un opportuno approvvigionamento di acqua piacevolmente fresca e
leggera e via, di nuovo in marcia.
All’inizio della cittadina di Antequera, oltre al rifornimento di gasolio, ci dirigiamo in centro alla
ricerca di un market per acquistare provviste varie, ma in particolar modo verdure fresche e frutta.
La prossima sosta prevista: Cordova, altri centotrenta chilometri di rilievi, di foreste di querce,
eucalipto e appezzamenti a perdita d’occhio di olivi.
Fortunatamente le strade che abbiamo deciso di percorrere, pur essendo secondarie e poco
frequentate, sono ben costruite e discretamente mantenute, ed in poco più di due ore siamo sulle
sponde del Guadalquivir, il maestoso fiume che serpeggiando attraverso Cordova crea angoli
veramente molto suggestivi. Ora dobbiamo trovare rapidamente un camping e ciò non si prospetta
impresa semplicissima, considerando l’estensione della città. Dopo varie escursioni a vuoto nella
parte centrale, alla ricerca di eventuali indicazioni di strutture turistiche, ad un semaforo rosso
riesco a dispormi a pochi centimetri dal lato di un autobus urbano, in modo da chiedere
informazioni all’autista. Lui, forse contrariato dal nostro avventato approccio, villanamente ci
farfuglia un appellativo: “ El Brillante”. Inseriamo il sostantivo nel navigatore e fiduciosamente ci
lasciamo condurre lungo i trafficati viali per infiniti minuti, poi ad un' ennesima deviazione ci
troviamo a percorrere l’Avenue del Brillante, e poco dopo avvistiamo pure l’insegna del camping
El Brillante. Arrivati, finalmente… Anche se di brillante quel campeggio non ha proprio nulla da
ostentare.
Cordova, città andalusa con circa 350.000 abitanti, è ubicata in una estesa depressione ai piedi
della sierra Morena, a 120 metri s.l.m. con un clima d’estate caldissimo, secco e soleggiato e con
temperature normalmente sui 36 gradi ma con "puntate" abbastanza frequenti sui 40 e non è così
raro nei momenti peggiori anche i 45/46. Infatti, Cordova durante l'estate è la città più calda non
solo della Spagna, ma di tutta l'Europa…. Se l’avessi saputo…
Il nostro frigo è colmo di cose buone, ma la voglia di cucinare con un clima così torrido è
completamente assente. Preferiamo fare due passi lungo l’Avenue del Brillante fiduciosi in una
gustosa soluzione. Poco dopo, ad un incrocio avvistiamo il “Distrito Coctel bar”, con comodi tavolini
all’esterno, ottima la varietà di assaggi andalusi ed anche a prezzi contenuti, certamente una
provvidenziale alternativa al McDonald's poco distante.
Il clima torrido non accenna a diminuire malgrado sia già notte inoltrata. Decidiamo per cui di
riposare all’aperto con una stuoia per isolarci dal terreno, ciò malgrado trascorriamo una
inesauribile notte pressoché insonne ed in trepidante attesa della provvidenziale alba.
Alle prime luci del giorno mi reco in bici svogliatamente alla ricerca di un panificio o di unq
pasticceria, non che fosse estremamente necessario, ma in qualche modo dovevamo attendere
l’apertura della reception per fuggire da quel tormento. Che nostalgia ripensare al dolce clima di
Ifrane….
La nuova direzione odierna è nord est, direzione Ciudad Real, passando dal “Parque Natural
Sierra de Andújar”, Toledo, Madrid e poi verso Saragozza, circa 800 chilometri.
E’ quasi mezzogiorno quando, nei pressi di Toledo, oltrepassiamo il Tago: il fiume più lungo della
penisola iberica, oltre mille chilometri di cui 300 percorsi anche in Portogallo fino a Lisbona, dove
superbo scorre sotto il ponte più lungo d’Europa, il Vasco da Gama, lungo ben 17 chilometri, per
poi riversarsi nelle fredde acque dell’Atlantico.
La prospettiva sulla Fortezza Alcázar di Toledo è maestosa ed inconfondibile, la sua imponenza
domina la città ed è visibile anche a molti chilometri di distanza. La forza di attrazione che Toledo
esercita su di noi è notevole, ma non possiamo arrenderci, anche se sarebbe stato molto
appagante dedicarle un’ampia esplorazione. Ci ritorneremo.
Ora la distanza che ci separa da Madrid è breve, il pensiero sarebbe stato di trovare un campeggio
nell’area metropolitana e destinarle un po’ di tempo, ma con la sua estensione di oltre 600 km
quadrati, non è certo una metropoli da visitare banalmente in poche ore. Anche in questo caso…
Ci ritorneremo.
Dopo innumerevoli e intricate deviazioni, dove anche il nostro povero gps ha rischiato più volte lo
smarrimento, imbocchiamo la E 90, conosciuta anche come l’Autovia del Nordeste. E’ un’ottima
strada a traffico veloce, anche se lo sguardo generale non gratifica molto lo spirito.
Dopo pochi chilometri oltre Torija ci fermiamo alla Gasolinera Repsol per un po’ di relax e il pieno
di carburante. L’area di servizio è ampia e ben servita con una struttura per ristorazione, servizi
igienici e docce. E non mancano diverse postazioni munite di videocamere di sicurezza. Complice
anche la considerevole stanchezza, decidiamo di sostare per la cena e la notte.
Giovedì 4 Agosto
La notte è trascorsa bene, senza nessuna apprensione ed inconvenienti, l’area di sosta si è
rivelata tranquilla e scarsamente frequentata da veicoli notturni, un’ottima scelta. Alle sette del
mattino ci destiamo con lo stimolante ed eloquente profumo di brioches appena sfornate. Una
fragranza che non risparmia proprio nessuno, lo notiamo dall’andirivieni all’ingresso della
caffetteria. Dobbiamo sbrigarci prima che possano terminare tutte. Per nostra buona sorte
l’assortimento di croissant e dolcetti lievitati è ancora straordinariamente ampio ed invitante,
esattamente ciò che ci voleva per iniziare nel miglior modo un’altra giornata.
Meta di oggi: Principato di Andorra.
Oltrepassato il fiume Ebro, alla periferia di Saragozza, decidiamo di proseguire per la N -11,
parallela all’autostrada del Nordeste ma meno trafficata. Per circa ottanta chilometri procediamo in
un paesaggio arido e trasandato, aree di servizio smesse, abitazioni e aziende agricole
abbandonate, un territorio spagnolo veramente disarmonico e monotono. E’ quasi l’ora di pranzo, il
clima rovente e la scarsità di posteggi in ombra ci fa desistere dal prevedere una sosta per
cucinare, di conseguenza preferiamo proseguire asuspicando di scorgere qualche bella trattoria
autoctona forse con specialità aragonesi. Ancora alcuni chilometri ed ecco che ci appare come
d’incanto l’insegna del Bar restaurante Murat, a Peñalba. Ci tengo a precisare il nome e la località
in modo che possiate più facilmente ricordarvelo se in futuro avrete occasione di percorrere
questo tratto di strada. E’ un piccolo e modesto fabbricato bianco, leggermente sollevato dal piano
strada, con un ampio spazio per la sosta anche di mezzi pesanti. Pochi scalini ed entro per avere
indicazioni sul menu del giorno. Strano, malgrado l’orario consueto… nessun commensale,
circostanza che in genere non è quasi mai di buon auspicio.
Mi lascio suggestionare dalla descrizione dell’ampio menu che le due donne, titolari della locanda
dall’aspetto piuttosto trasandato, mi promuovono, in particolare la loro zuppa locale, grande
specialità della casa e di cui vanno fiere, e poi naturalmente verdure e carni cotte con la
conoscenza di antiche ricette straordinarie. Ed il tutto anche a costi economici.
Cosa desiderare di più? Sicuramente, notiamo poi con disappunto, una maggior igiene, pietanze
accettabili, e per citare quella tanto decantata zuppa locale: una vera oscenità, immangiabile e con
contenuti aberranti e disgustosi, una vivanda adatta esclusivamente al compostaggio domestico.
Naturalmente anche il conto esprime tutta la loro spudoratezza. Per decoro, non cito l’importo, e
non suggerisco nemmeno al mio peggior nemico di replicare. In Italia, in una simile circostanza di
malcostume, non avrei esitato un attimo a chiamare i NAS, nuclei antisofisticazioni e sanità.
A tale proposito lancio un’idea: perché non mettere in commercio oltre alle blasonate guide
gastronomiche, anche una guida sui locali da evitare, partendo ovviamente dai peggiori?
Ironia della sorte, meno di un chilometro oltre, notiamo il Restaurante La Ruta, un locale
dall’aspetto sobrio ma invitante e con molti veicoli posteggiati nell’ampia area adiacente.
Tutt’altro contesto, aimè, siamo stati troppo avventati.
Defraudati e mortificati proseguiamo il nostro viaggio in direzione Andorra. Dopo le città catalane di
Lleida e di Balaguer, il paesaggio inizia dolcemente a cedere le tonalità scialbe della siccità a
vantaggio di colori più brillanti che le foreste mediterranee sfoggiano con varie gradazioni di verde.
Siamo entrati nella regione dei Pirenei, precisamente a La Seu d'Urgell, comune catalano a 700 m
s.l.m. e passaggio obbligato per andare dalla Spagna all'Andorra dalla quale dista solo 13 km.
Qui ha sede il vescovo coprincipe Di Andorra, l’altro coprincipe è il presidente della Repubblica
francese. Le due autorità hanno pressoché solo diritti istituzionali e nominali, è invece il primo
ministro di Andorra che, di fatto, esercita il potere con il Consiglio Generale delle Valli, un
parlamento monocamerale con 28 seggi così formato: 14 membri da una singola costituente
nazionale e 14 come rappresentanti per ciascuna delle sette parrocchie (il Principato di Andorra è
diviso in sette unità principali definite parrocchie), tutti con un mandato di 7 anni. Andorra è il più
esteso dei sei microstati dell'Europa, è situato nei Pirenei orientali tra la Francia e la Spagna, non
ha esercito e la difesa dello stato è affidata ai due stati confinanti.
Una decina di chilometri ed arriviamo a Duana de Sant Julià de Lòria, il primo comune in Andorra,
appena oltrepassato il confine. I controlli doganali sono quasi inesistenti. Proseguiamo verso
Andorra la Vella, capitale del Principato. E’ la prima volta che visito Andorra ma la sensazione di un
déjà vu è molto intensa. L’architettura degli edifici e delle attività commerciali hanno tutte un
carattere razionale, sobrio, ma nello stesso tempo sfarzoso, posteggi e strade ben ordinate,
guidatori disciplinati, qui si potrebbe affermare che il rispetto di tutte le regole è costume. Cartelloni
pubblicitari non invasivi e assenza di murales, tutto il contesto lindo e metodico. Ecco a cosa mi
riporta… alla Svizzera anni settanta, e più precisamente al Canton Ticino, dove ho un remoto
trascorso studentesco.
Nei pressi dello stadio notiamo un’indicazione per il Camping Valira, perché no? Siamo già a metà
giornata ed un poco di relax sarebbe veramente appropriato.
Solo cento metri ci separano dalla reception, ma ci accorgiamo da subito che la salita è ardua per
il nostro veicolo… non siamo certi di farcela… Una decisa rincorsa associata ad attimi interminabili
di patema d’animo, trattenendo pure il respiro, e finalmente arriviamo alla fine dell’arrampicata
indenni, noi, non posso confermare lo stesso per la nostra povera e sofferente frizione.
Per buona sorte l’unico aspetto negativo di questo campeggio è la scalata per arrivarci; i sevizi
sono ottimi, c’è anche una apprezzabile piscina coperta, ed i prezzi nella media: circa 30 euro al
giorno con l’elettricità inclusa.
Merito del luogo circondato da foreste e dall’altitudine, poco oltre i 1.000 s.l.m., Andorra la Vella ha
un clima molto gradevole, mite di giorno e fresco la sera, esattamente ciò che ci voleva dopo le
ultime frustrazioni. Decidiamo di trattenerci per un paio di giorni, avremo così occasione di
compiere ottime escursioni nei dintorni. A piedi naturalmente. Il camper lo muoveremo solo alla
partenza.
Sabato, 6 Agosto
Un’amabile colazione con pane e dolcetti caldi del market Valira e via alla volta della Francia
attraversando la catena dei Pirenei. Anche la discesa dal campeggio per raggiungere il corso
principale è molto difficoltosa, ed in caso di anomalia ai freni….le turbolente acque del Gran Valira
sarebbero pronte ad accoglierci.
Todo bien con la gracia de Dios.
La tentazione di percorrere la CG2 ed entrare in territorio francese attraverso il Pas de la Casa,
alto 2.409 metri è allettante, ma ci hanno informati che in alcuni tratti la strada ha una gravosa
pendenza, e dopo la scalata snervante per salire al camping, preferiamo tornare indietro fino a La
Seu d'Urgell per deviare poi sulla N 260 fino a Puigcerdà.
Entriamo nella regione francese viaggiando lungo la Nazionale 154 e pochi minuti dopo siamo di
nuovo nel territorio spagnolo, ed esattamente nell’ exclave Llívia, un brandello di suolo catalano di
13 chilometri quadrati in territorio francese, stravagante conseguenza del Trattato dei Pirenei del
XVII secolo.
Nuovamente in Francia, proseguiamo lungo la D33, una strada secondaria e poco trafficata per
deviare poi in molteplici ed elusivi percorsi nel Cantone di Haute-Ariège, dove anche il nostro
navigatore dimostra non poche perplessità.
Le aree che attraversiamo mostrano un ecosistema ricco di estensioni boschive, tra cui spiccano
boschetti misti di faggio, querce da sughero, abete bianco, pino silvestre ed al di sopra della linea
degli alberi, i prati alpini ospitano molte specie di piante vascolari endemiche. I piccoli borghi che
incontriamo, oltre ad apparire scarsamente abitati, trasmettono ancora il gusto antico della vita
semplice, dove la connessione digitale lascia tuttora molto spazio all’autentica comunicazione,
quella diretta tra individui senza l’utilizzo di like, poke o follower, ma tutt’al più con una vigorosa e
affabile stretta di mano. In queste piccole realtà rurali difficilmente troverete un access point, ma
nella migliore delle ipotesi un chiassoso caffè alimentari tuttofare.
Ad Axat, finalmente, troviamo delle indicazioni per la congiunzione con la più agevole D118.
km 63 per Carcassonne.
Percorriamo una strada comoda superando verdeggianti poggi rivestiti da una lussureggiante
vegetazione quando all’improvviso.… vengo rapita da una visione straordinaria, la Cité de
Carcassonne mi coglie alla sprovvista, merito anche della evanescente luminosità del calare del
sole, la cittadella fortificata di Carcassonne con il suo “Chateau Comtal”, incorniciato dai solenni
bastioni, appare come una rappresentazione fiabesca, eterea. Sebbene la priorità sarebbe stata di
proseguire per cercare una adeguata sosta per la notte, decidiamo di dirigerci verso quel
suggestivo appeal.
Nulla da fare, purtroppo, già nei pressi della cittadella non troviamo nessuna area per sostare, tutto
strapieno, anche l’ampio posteggio a pagamento non offre nessuna possibilità, aimè, non
riusciamo nemmeno a rallentare per una fugace foto, i gendarmi, schierati ovunque, ci esortano a
proseguire. Proviamo a scendere verso il centro, ma anche qui il risultato è sfavorevole, le prime
scarse possibilità di fermarci le incontriamo dopo circa un paio di chilometri. Peccato, ci saremmo
immersi volentieri i tra quelle mura medioevali stracariche di storia e leggende.
Carcassonne, nel XII secolo, fu la sede istituzionale della famosa famiglia Trencavel ed ancor
prima dei Conti di Carcassonne. Le prime mura furono costruite durante l'epoca gallo-romana, ma
nel periodo medioevale vennero effettuate aggiunte significative conquistandosi in tal modo, la più
che meritata denominazione ufficiale di patrimonio mondiale dell'UNESCO dal 1997.
Proseguiamo lungo la D5 in direzione Béziers. Il sole ormai si è già eclissato dietro i poggi quando
ad un crocicchio troviamo una piccola indicazione per un campeggio distante solo pochi chilometri.
Un’ottima chance per un meritato riposo, da non farsela sfuggire. Pochi minuti e siamo all’ingresso
del camping, alla reception non c’è nessuno per cui entriamo liberamente, ci piazziamo in un’area
comoda sia per i servizi che per la colonnina dell’energia elettrica. Pur considerando la posizione
del campeggio piuttosto periferica e scarsamente segnalata, non siamo gli unici ospiti, altri
camping-car sono collocati ad adeguata distanza, quanto basta a salvaguardare una gradita
privacy.
L’ottimale assetto per la sosta notturna è completa quando… ecco arrivare Christian, un individuo
dinamico e simpatico, è il proprietario della struttura. Cordialmente ci dà il benvenuto e ci illustra le
peculiarità del luogo. E’ un personaggio espansivo e disponibile, è piacevole parlottare con Lui,
grazie al mio francese “claudicante” riesco pure ad interessarlo sulla nostra trascorsa avventura
magrebina. Mi dimentico anche di chiedere i costi per la piazzola, ma ciò non mi mette per niente
in apprensione, infatti all’indomani il costo che salderemo si dimostrerà esiguo: solo 18 euro tutto
compreso.
Domenica 7 Agosto
Au revoir Christian, à la prochaine fois.
In prossimità di Beziers il piacevole clima mediterraneo ci conquista. Beziers è una città
incantevole dal punto di vista architettonico e meriterebbe, anche per i suoi tristi trascorsi storici
del 22 Luglio* 1209, un'accurata visita. Con molto dispiacere dobbiamo proseguire per i prossimi
traguardi: Montpellier, Camargue, Arles, Salon de Provance, Mentone per arrivare fino a Sanremo
per la notte. Un’aspettativa, quella di oggi, piuttosto incerta, considerando la distanza e le ambite
soste, mah.
* 22 luglio, festa di santa Maria Maddalena
-A Béziers il 22 luglio del 1209, nel corso della crociata contro i catari guidata da Simon de
Montfort, vi fu un vero e proprio massacro della popolazione, forse 20.000 persone, in
maggioranza catari e cattolici; pare che il legato papale, Arnaldo Amaury, abbia pronunciato una
frase feroce, ordinando di uccidere indiscriminatamente quanti si trovavano nella cittadina:
«Uccideteli tutti! – sembra abbia detto – Dio riconoscerà i suoi». Non vi è alcuna prova che questa
frase sia stata veramente pronunciata, forse si tratta di una leggenda, che però dà bene l'idea di
quello che avvenne in quella data storica del 22 Luglio, festa di santa Maria Maddalena. A Béziers:
migliaia di persone, donne, bambini, uomini, vecchi, ebrei, cattolici, catari, furono trucidati in
un'orgia brutale di fanatismo violenza sangue, un'azione militare selvaggia in una terra dove
cittadini di fede diversa cercarono di resistere insieme e insieme morirono, senza mai tradirsi. - (tratto da Wikipedia, l'enciclopedia libera)
Prossima tappa: Aigues-Mortes (Acque Morte) nella Petite Camargue, subito ad ovest del Petit
Rhône.
Perché proprio ad Aigues-Mortes?
Uno dei comuni più noti della Camargue è sicuramente Saintes-Maries-de-la-Mer, capitale
dell’area e direttamente sul Mediterraneo, nota anche per i pellegrinaggi annuali del popolo Rom in
venerazione di Santa Sara.
E’ certamente una ragione soggettiva; personalmente Saintes-Maries-de-la-Mer non mi
entusiasma, non sono riuscita a cogliere la sua “anima”, mentre quando si arriva a Aigues-Mortes
si rimane stupiti nel vederla così integra, possente, irresistibile. E' spettacolarmente bella e vanta
una storia affascinante che risale al tempo delle Crociate. Le imponenti mura della città si
sviluppano per 1634 metri, più di un chilometro e mezzo! Furono progettate dal sovrano Luigi IX e
dal suo architetto, ma il re morì senza vedere l'opera compiuta. Iniziate nel 1269, furono proseguite
da Filippo l'Ardito (1272), figlio di Luigi IX, e terminate all'inizio del 1300, sotto Filippo IV il Bello. La
risultante, ancora oggi integralmente conservata, è un quadrilatero quasi perfetto, intercalato da
torri, bastioni e porte. Le fondamenta poggiano su una piattaforma di legno che, a sua volta,
poggia su pali di quercia infissi nel suolo, più solido. A fine tredicesimo secolo Aigues-Mortes
divenne l'unica porta a sud del Regno di Francia, protetto com'era dai suoi solidi bastioni.
Da essa, sotto il vigile controllo dei Cavalieri Templari, transitavano merci, lane e spezie. Le navi
appartenenti dell'Ordine del Tempio garantirono trasferimenti di denaro, armi, cavalli, uomini, più
volte l'anno. Ma soprattutto i Templari controllavano il sale, l' "oro bianco", fonte di grande
ricchezza.
Non possiamo lasciare questo straordinario territorio senza portare con noi un gradevole e gustoso
souvenir: Il Riz Rouge della Camargue.
Questo riso selvaggio autoctono ha un sapore e una consistenza unica e molto particolare. Ha un
gusto dolce e peculiare. Nonostante vada cotto a lungo rimane sempre croccante, e mantiene un
sapore che lo rende gustoso anche mangiato da solo, senza condimento. Il Riz Rouge della
Camargue non è di facile reperibilità in Italia, mentre da noi si trova più facilmente riso rosso
coltivato in Piemonte.
Attraversiamo il Parco Naturale Regionale della Camargue passando da Saint-Gilles per arrivare
al suo confine orientale ad Arles. E’ un’area di oltre 800 chilometri quadrati formata per un terzo da
laghi, paludi e praterie dal suolo salato, dove cresce la salicornia, una pianta carnosa, e dove
pascolano liberamente i cavalli di razza Camargue. Qui si possono trovare alcuni degli animali
selvatici maggiormente protetti di tutta l'Europa. Gli stagni sono poi favorevoli anche alla vita di
insetti, fra cui alcune delle più feroci zanzare di tutta la Francia.
Oggi la fortuna è dalla nostra parte. In Boulevard des Lices, zona centrale di Arles, troviamo
facilmente un ottimo posteggio, a poche centinaia di metri dalle vestigia più importanti.
Arles, Primo comune della Francia per estensione, vanta un passato glorioso, di cui conserva
tuttora l'Arena e il Teatro Romano, a cui bisogna aggiungere il portale e il chiostro della Chiesa di
St. Trophime, tutti entrati a far parte del Patrimonio mondiale dell'Umanità tutelato dall'Unesco.
Amata fin dai romani, Arles è punto di passaggio obbligato durante una visita in Provenza, è un
buon esempio dell'adattamento di una città antica ad una città medioevale. Tra i monumenti
romani più contemplati : l’anfiteatro, edificato intorno all'80 d.C. lo rendono uno dei più imponenti
anfiteatri romani ancora esistenti, per molti secoli è stato sede di combattimenti dei gladiatori, a
cui potevano assistere più di 20.000 persone. Vietati nel 404 dal Cristianesimo, restano le gabbie
delle belve e i macchinari per l'entrata in scena dei combattenti.
Arles non è solo rinomata per la Sua gloriosa epoca Augustea, ma anche per l’arte, la gastronomia
e l’elegante shopping provenzale, oltre che per un primato mondiale di longevità: nel 1875, nacque
Jeanne Louise Calment, la donna più longeva di ogni tempo (visse ben 122 anni e 164 giorni
legalmente provati).
Città molto amata anche da illustri artisti: Picasso ed in particolare Vincent Van Gogh, il quale un
giorno del febbraio 1888, attirato dalla luce del mezzogiorno, vi soggiornò per un lungo periodo di
lavoro intenso ed appassionato, ne derivò la sua epoca più produttiva in dipinti e disegni: oltre 300
opere nello spazio di 15 mesi formano uno dei capitoli più luminosi della storia dell'arte.
E per i gourmet più esigenti possiamo forse non citare la gastronomia della Camargue? Tra i
prodotti tipici, la famosa salciccia di Arles (lardo, carni bovine e suine, miscelate con erbe
aromatiche e vino rosso), la Gardiane, un ottimo stufato di toro profumato alle Erbe di Provenza,
ed ancora la Tapenade di olive nere e acciughe, e non dimentichiamo il piatto tipico della
Provenza: la mitica Bouillebaisse, zuppa di pesce servita con crostoni di pane tostato e le
immancabili salse Rouille e Aioli.
Basta supplizi stuzzicanti! Sono solamente le undici del mattino e conviene proseguire il nostro
viaggio. Prossima tappa: Aix-en-Provence passando da Salon-de-Provence.
Alle tredici circa arriviamo a Aix-en-Provence, la Città delle mille fontane. Breve sosta per un
rapido spuntino a base di “Pâté à la Lavande”, pomodori e frutta, certo che il desiderio di una
gustosa Bouillebaisse… accontentiamoci.
Proseguiamo nella direzione di Castellane, attraverso il “Parc Naturel Régional du Verdon” e
passiamo dall’altipiano molto noto chiamato Plateau di Valensole a poca distanza dalle celebri
Gole del Verdon. Ci sono stata l’anno passato all’inizio dell’estate, un’ evento memorabile. Lo
sguardo sui numerosi campi lavandin, nei periodi antecedenti alla raccolta, rendono il paesaggio
unico, trasformando le aree intorno ai villaggi provenzali in distese violacee molto apprezzate da
fotografi e turisti. Immergersi in questi campi interminabili ed estesi fino al confine fra cielo e terra
dona una sensazione incomparabile di benessere spirituale, quell’intensità travolgente di lavanda
in fiore sprigiona non solo una soave fragranza ma addirittura pare che abbia una sua distinta e
gentile frequenza armonica.
“…è semplicemente incredibile quanto siano felici i fiori.”
( Osho )
A Sanremo arriviamo a notte fonda. Ci indirizziamo direttamente nel Piazzale Carlo Dapporto che
già conosco; è un’area molto estesa destinata alla sosta di auto, autocaravan e pullman,
direttamente sul mare e a poche centinaia di metri dal centro. Siamo sfiancati dalla stanchezza,
L’unico desiderio è il riposo, fortunatamente i posti liberi non mancano ed in pochi minuti riesco a
parcheggiare in modo corretto. Domani l’ultimo breve tratto fino a casa, dopo ottomila chilometri
percorsi, in parte anche su tratti molto difficoltosi, gli ultimi trecento km saranno come… una gita
fuori porta.
La sonnolenza, detentrice della notte, è determinata a catturarmi velocemente e senza indugio,
ma in quel effimero spazio senza principio né fine che la precede, con la nostra mente in stand-by,
in cui a volte ci sentiamo incomprensibilmente vulnerabili, subisco passivamente uno scompiglio di
emozioni che si rincorrono con fervore enfatizzando una spietata malinconia, come un dolce
veleno…Il mal d’Africa.
“Tu sei come la pioggia. Prima o poi tornerai, perché ogni addio è solo un grande arrivederci.”
(Cristina Acquaviva)