il monastero della madonna della calabria

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TUTELA DEL PATRIMONIO STORICO/CULTURALE E PROMOZIONE CULTURA Progetto Tra Neto e Lese Conoscenza e consapevolezza dell’identità storica e culturale. Dal monachesimo italo- greco alle fondazioni florensi. Il monastero della Madonna della Calabria. La badia di Santa Maria di Cabria. Pubblisfera

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Il Monastero della Madonna della Calabria, a cura di Francesco Lopez (Presidente del Centro Studi Pelusio) e di Gregorio Aversa (Direttore Soprintendenza Beni Culturali Calabria). La seconda parte è curata da Giuseppe Saclise (Associazione Culturale Nuovi Orizzonti) e riguarda i Monasteri di Cabria e Monte Marco in territorio di Castelsilano (Kr)

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Page 1: Il Monastero della Madonna della Calabria

TUTELA DEL PATRIMONIO STORICO/CULTURALEE PROMOZIONE CULTURA

Progetto

Tra Neto e LeseConoscenza e consapevolezza dell’identità storica e culturale. Dal monachesimo italo-

greco alle fondazioni florensi. Il monastero della Madonna della Calabria. La badia di Santa Maria di Cabria.

Pubblisfera

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Progetto finanziato con fondi protocollo di intesa fondazioni bancarie e volontariato (Bando 2008 - Perequazione per la progettazione sociale regione Calabria)

Finito di stampare nel mese di agosto 2010da Casa Editrice Pubblisfera, San Giovanni in Fiore (Cs) Tel. 0984 993932

ISBN: 978-88-88358-77-2

In copertina: Particolare della carta “Calabria Citra olim Magna Graecia” (Henricus Hondius Excudit, Amstelodami, sec. XVII) Sigillo pendente Ordine Florense (Centro Studi Gioachimiti, San Giovanni in Fiore - CS)In controcoperina: Fronte occidentale dell’ex Monastero di Calabromaria, oggi Palazzo Barracco, Altilia di Santa Severina (Kr)

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Indice

Il Progetto

Premessa

Nota

PARTE PRIMA

1. L’abbazia di Calabromaria (sec. XI-XVIII) 112. Un follis bizantino di Cristo Re dei Re (ca. 976-1025 d.C.) 193. L’iconografia della Madonna della Calabria 214. L’archivio di Calabromaria: da F. Ughelli a Tiberio Barracco 255. L’architettura di Calabromaria e il modello cistercense 296. La speciale protezione e tutela di Federico II di Svevia 317. La chiesa di Calabromaria, oggi di S. Tommaso d’Aquino 338. La villa: da giardino dei Cistercensi a tenuta baronale 379. Tracce di insediamento in grotta 4110. I Florensi e la di Regola di San Benedetto 4311. I Barracco e il monastero della Madonna della Calabria 5112. L’attività della Soprintendenza nel biennio 2006-2008 5513. Il documento più antico di Calabromaria (31 maggio 1099 d.C.) 57

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PARTE SECONDA

1. Il monastero di S. Maria di Cabria e i suoi possedimenti (sec. XII) 612. Il monastero dell’Abate Marco e i suoi possedimenti (sec. XII) 653. Le badie di S. Maria di Càbria e Abate Marco nel periodo florense (sec. XIII) 67

Bibliografia essenziale 71

Lettera aperta 72

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Il Progetto

Una delle scoperte di maggiore rilievo, sul piano storico-culturale ed archeologico, degli ultimi due anni nella provincia di Crotone è rappresentata dall’individuazione, nella frazione Altilia del comune di Santa Severina (Kr), del Monastero della Madonna della Calabria o Calabromaria. La scoperta si colloca al termine di circa quindici anni di studio e ricerche, prima storico-archivistiche e successivamente archeologico-strutturali. I risultati conseguiti dal Centro Studi Cornelio Pelusio, in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria, sono stati presentati in quattro convegni (agosto 2007; agosto 2008; agosto 2009; dicembre 2009). La novità della scoperta ha destato l’interesse degli organi di informazione, locali e regionali.

Nell’ambito delle attività di studio notevole è stata l’attenzione riservata alla conoscenza del patrimonio storico-culturale del territorio gravitante attorno ai fiumi Neto e Lese. In particolare si è avuto modo di apprezzare le dinamiche storico-religiose del monachesimo italo-greco e dei suoi protagonisti, da Costantino (metropolita di Santa Severina) a Policronio (Cerenzia-Rocca di Neto-Altilia); da San Bartolomeo da Simeri (Ampollino) a Sant’Anania (Caccuri) e a San Vitale da Castronuovo (Roccabernarda-Altilia). Di rilievo il collegamento con Gioacchino da Fiore e con l’esperienza religiosa dell’Ordine Florense. In tale contesto si colloca l’attenzione per il monastero di Santa Maria di Cabria e per la chiesetta rurale di San Marco di Cravia, in territorio di Castelsilano, località San Marco (Kr). L’ubicazione dell’antica badia, già basiliana e successivamente florense, si pone lungo la media-alta valle del Lese. è la medesima valle che, apprendiamo dalla Vita, l’abate florense Gioacchino (“di spirito profetico dotato” [Dante, Paradiso, XII, vv. 140-141]) tentò di risalire, al fine di raggiungere San Giovanni in Fiore. Calabromaria di Altilia e Santa Maria di Cabria, ordunque, entrambi monasteri originariamente basiliani, situati all’interno di un’area territoriale omogenea, quella della confluenza e delle immediate adiacenze del fiume Neto e del fiume Lese.

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Il progetto “Tra Neto e Lese”, attingendo alla novità delle scoperte, mira attraverso lo spirito del volontariato a far conoscere agli abitanti del territorio e alle istituzioni locali l’importanza e la centralità storico-culturale dei luoghi. Esso prevede la formula del partneriato tra l’Associazione Cornelio Pelusio Parisio di Altilia e l’Associazione culturale Nuovi Orizzonti di Castelsilano. Forniscono supporto logistico alle attività il Comune di Santa Severina ed il Comune di Castelsilano.

Originale è l’idea di accorpare energie e risorse tra territori viciniori, all’insegna della promozione del volontariato, della socialità e del comune interesse, proiettati in chiave culturale e di recupero della memoria e dell’identità storica. Quella medesima identità, tra passato e futuro, che rende sempre attuale il noto aforisma del filosofo francese medievale Bernard de Chartres: «noi siamo come nani sulle spalle dei giganti». E sulle spalle del Monachesimo italo-greco e latino, a cavallo dell’anno Mille, è sorta la civiltà europea, alla cui nascita la Calabria – un tempo terra fiorente di cultura, e non già, come oggi, appendice marginale della modernità – ha dato un contributo rilevante ed illustre.

Del resto, la centralità storicamente documentata che il monastero Calabromaria di Altilia ha assunto nel corso dei secoli, soprattutto dall’XI al XVIII sec., unita all’imponenza delle strutture edilizie che si sono conservate, giustifica l’opportunità di recuperare all’interesse pubblico l’intero complesso. Esso si è posto nel tempo come fulcro e testimonianza vivente della venerazione mariana in Calabria. Al punto da recare il titolo di Madonna della Calabria. In merito a quest’ultimo aspetto, a quanto è dato ad oggi sapere, non esiste in Italia altro luogo in cui sia stata o sia venerata la Madonna della Calabria.

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Premessa

La natura complessiva del presente lavoro appare duplice: da un lato emerge il carattere divulgativo del testo, formato da una serie di schede accompagnate a fronte da specifiche illustrazioni esplicative; dall’altro si distingue l’obiettivo di ‘introdurre’ il lettore alla materia trattata, senza rinunciare, nei limiti della breve sintesi e del commentarium, al racconto storico documentato e puntuale, nonché all’interpretazione critica e ragionata delle fonti.

La prima parte, a cura di Francesco Lopez e Gregorio Aversa, ha per oggetto il Monastero della Madonna della Calabria o Calabromaria, attivo nel territorio di Altilia di Santa Severina (Kr), «supra Neaethum flumen» (G. Barrio), tra la fine dell’XI secolo e l’inizio del secolo XIX. Oltre a ripercorrere la storia della badia, riprendendo gli studi noti, nelle diverse sezioni gli autori illustrano le principali novità emerse negli ultimi anni, dopo il 2004. In particolare viene affrontato il problema delle origini basiliane del monastero, con rimando alle attività intraprese tra il 2006 ed il 2008 dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria, e la trattazione degli aspetti architettonico-strutturali inerenti l’abbazia. Non manca da ultimo il riferimento all’iconografia della Madonna della Calabria e alla ricca documentazione archivistica conservata.

La seconda parte del fascicolo, curato da Giuseppe Scalise jr, ha per tema i monasteri di Santa Maria di Cabria e dell’Abate Marco, anticamente ubicati all’interno della diocesi di Cerenzia (Kr), oggi in territorio di Castelsilano (Kr), San Giovanni in Fiore (Cs) e Caccuri (Kr). L’autore mira a raccogliere i riferimenti alla documentazione e ai pochissimi studi ad oggi noti, impegnandosi a tracciare le linee principali e generali dell’argomento in esame. Viene delineata tanto la fase florense della vita delle due badie quanto il periodo precedente, con tutta probabilità, cistercense o basiliano. Particolare attenzione è riservata allo studio della collocazione storico-geografica del monastero di S. Maria di Cabria lungo la media-alta valle del fiume Lese.

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NotaTesti e immagini della Parte prima a cura di Francesco Lopez e Gregorio Aversa. Testi e immagini della Parte seconda a

cura di Giuseppe Scalise jr.

Le figure n. 1-5-14 sono tratte da F. Lopez, Profilo storico di Altilia. Il monastero Calabromaria, Pubblisfera 2004Per le figure n. 2-4-13-15-18-20-22-24-25 © Centro Studi Pelusio Per la figura n. 6-19 © Centro Internazionale di Studi Gioachimiti Le figure n. 7-8-12-23-26 sono di proprietà dell’Archivio Storico di NapoliPer la figura n. 16 © Archivio BarraccoLa figura n. 21 è di proprietà dell’Archivio Storico MartucciPer la figura n. 3 © Pasquale Schipani - PanoramioPer la figura a pag 10 dello stemma dell’Ordine Cistersense P. Jaworski (Poznań, Poland)Le figure n. 9-29-30 sono tratte da P. Lopetrone, Atlante delle fondazioni florensi, Rubbettino 2006, vol. I.Le figure n. 10-17 è tratta da F. Parise, Il disegno dell’architettura cistercense in Calabria, Alinea, Firenze 2006Per la figura n. 11 © Google Map 2008 Le figure n. 27-28-31 - sono tratte da R. Napolitano, San Giovanni in Fiore monastica e civica, Napoli 1981, vol. I

Il follis bizantino alla fig. 4 è stato casualmente rinvenuto da Elia Giancarlo di Altilia, consegnato al Centro Studi Pelusio, e depositato da Gregorio Aversa, funzionario della Soprintendenza, presso il Museo Archeologico Nazionale di Crotone in data 19 agosto 2008.

Allegato al presente fascicolo a stampa, viene pubblicato il Dvd “Il territorio di Altilia. Rilevanza storica e patrimonio culturale”, contenente la registrazione integrale audio-video dell’omonimo incontro-dibattito, svoltosi ad Altilia di Santa Severina (Kr) giovedì 14 agosto 2008, ed organizzato dal Centro Studi Cornelio Pelusio.

Il materiale fotografico e d’archivio proposto nel presente lavoro viene riportato sotto forma di citazione-riproduzione «per uso di critica o di discussione». Esso viene fornito unicamente per supportare assunti interpretativi formulati in itinere. è esclusa qualsivoglia concorrenza all’utilizzazione economica delle opere e delle fonti citate (Legge 22 aprile 1941 n. 633, art. 70).

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PARTE PRIMA

Il monastero della Madonna della Calabriadi Francesco Lopez e Gregorio Aversa

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1. L’abbazia di Calabromaria (sec. XI-XVIII)

Il primo diploma ad oggi noto del monastero Calabromaria di Altilia risale al 31 maggio 1099. Il duca normanno Ruggero Borsa, figlio di Roberto il Guiscardo, conferma solennemente le attività promosse da Costantino, metropolita di Santa Severina e da Policronio, vescovo greco di Cerenzia. Nello specifico Policronio viene identificato come fondatore del monastero di Calabromaria (fundatori Sanctissimae Dei Genitricis Calabro Mariae). Nella successiva conferma ad opera del conte Ruggero II, del 1 giugno 1115, si precisa come Policronio si sia impegnato a riedificare la badia e ad organizzare la comunità dei frati (Mariae de Calabro cognomine reaedificavit, et congregationem, et unionem Fratrum instituit). Entrambi i documenti furono ratificati e rinnovati nel 1149 da re Ruggero II normanno. L’insieme dei diplomi è stato pubblicato per la prima volta nel 1662 da Ferdinando Ughelli (Italia Sacra, Romae 1662, ed. Venezia 1721, vol. IX, col 476c e ss.). Una copia manoscritta del XVII sec. è custodita oggi presso l’Archivio Storico di Napoli (Casa Ruffo di Scilla, vol. n. 697).

Di particolare significato appare la circostanza storica in ragione della quale all’abbazia di Altilia, collocata «supra Neaethum flumen» (G. Barrio, T. Aceti, De antiquitate et situ Calabriae, Romae 1737, p. 417), viene dato in origine il titolo di Kalauromari/a/Calabromaria. Come attesta Giovanni Zonara, storico bizantino del XII sec., nella sua Epitome historiarum II, 193-262, con “Kalabrìa” si intendeva all’epoca identificare l’Italia meridionale a sud del Lazio, esclusa la Sicilia: il territorio, in sostanza, al centro delle guerre annibaliche e del conflitto di Roma con Pirro. Fu con questa forma mentis che verosimilmente Policronio dedicò alla Calabromaria il monastero di Altilia. Sotto questo profilo interpretativo il progetto appariva grandioso e di ampio respiro: nel mentre veniva edificato il Castello di Santa Severina come baluardo militare, dare vita, d’intesa con il metropolita di Santa Severina Costantino e con il pieno appoggio dell’autorità normanna, ad un complesso abbaziale capace di rappresentare simbolicamente il culto della Vergine per gran parte del Meridione. La Madonna dei Calabri o della Calabria: così è indicata la Madonna di Altilia nei rescritti medievali.

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12 Fig. 1 - Ex Monastero di Calabromaria, oggi Palazzo Barracco, vista da nord-ovest.

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E questo all’insegna di quel fenomeno, articolato e pluriforme, di “innovazione-nella-continuità” che caratterizza – con al centro il precetto dell’“ora et lege et labora” – il passaggio dalla Chiesa greca a quella latina: dallo splendore della religiosità bizantino-basiliana all’altrettanto illustre storia del monachesimo benedettino e cistercense di abbazie come quella di San Giovanni in Fiore, di Corazzo, della Sambucina. Sin dalla sua origine il monastero Calabromaria figura di “regia fondazione”. Esso viene dotato di enormi privilegi e di grandi ricchezze. Un esempio su tutti è la donazione al cenobio dell’esteso territorio silano di Sanduca, corrispondente oggi all’area compresa tra Trepidò-lago Ampollino e i comuni di Cotronei e Petilia Policastro.

Lo splendore si protrae anche nel corso del XIII secolo. Attorno al 1198 la badia di Altilia passa sotto l’istituto florense di Gioacchino da Fiore. L’adesione è ratificata da papa Innonenzo III il 31 agosto 1211. Nel 1213 l’abbazia di Calabromaria viene elevata a sede vicaria del monastero di Fiore. Si stabilì inoltre che in caso di sciagura “Flos in Calabro Mariam”: i monaci di Fiore dovevano trasferirsi ad Altilia. Questo avvenne nel corso del 1214-15, allorché il protocenobio florense fu interessato da un devastante incendio. Nel 1249 fu trasportato ad Altilia in processione devozionale il braccio sinistro di Gioacchino.

“Patronum principalem” del cenobio figura sin dal 1206 Federico II di Svevia (F. Ughelli, Italia Sacra, Romae 1662, ed. Venezia 1721, vol. IX, col 479 e ss.). Il sovrano ebbe modo a più riprese di arricchire i monaci di Altilia con concessioni di rendite e di privilegi, i quali erano riconosciuti in tutto il territorio del Regno. Esemplare il diploma dell’ottobre 1220 da Castel S. Pietro in Bologna: “Monasterij Calabro Marie et locum, abatem, fratres, grancias et universa ipsius bona, sub nostra speciali protectione (et) defensione suscipimus” (Archivio Storico di Napoli, Casa Ruffo di Scilla, vol. 697). Lo studio dei documenti conservati, dai diplomi normanni a quelli rilasciati da Federico II e dagli Aragonesi, giustifica appieno, secondo le evidenze archivistiche, il giudizio proposto all’inizio del Novecento da Antonio Pujia sulla rivista Siberene, Cronaca del passato per le Diocesi di Santa Severina-Crotone-Cariati, a cura di G. B. Scalise, Chiaravalle Centrale 1976, p. 190: Altilia “ebbe un bel nome fra noi e in Italia per il Monastero Calabro-Maria”.

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15Fig. 2 - Ex Monastero di Calabromaria, oggi Palazzo Barracco, fronte occidentale.

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16 Fig. 3 - Ex monastero di Calabromaria, vista sud-ovest

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La vita dell’abbazia prosegue in età rinascimentale e moderna. Notevoli sono i rescritti di conferma dei privilegi rilasciati da Alfonso I d’Aragona nel 1452 e dal figlio Ferdinando nel 1469, 1466 e 1471. Alla metà del 1500 il monastero della Madonna della Calabria viene affidato in commenda al casato dei Barracco.

Tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo opera in Altilia Cornelio Pelusio Parisio, monaco ed intellettuale florense, agiografo della Vita dell’abate Giacchino da Fiore e presidente della Congregazione cistercense di Calabria. Quest’ultima, detta di “Calabro-Maria”, prendeva nome proprio dal monastero di Altilia (F. Russo, Regesto Vaticano per la Calabria, Roma 1974, vol. IV, p. 416 n. 31). Viene canonizzata da papa Urbano VIII nel 1632. Il Pelusio compone in Altilia nell’anno 1598 un trattato dedicato alle Abbatiae quae sunt in Provincia Calabriae et Basilicatae, il cui prologo, raffinato ed elegante, è una delle testimonianze più illustri della spiritualità religiosa dell’epoca (P. De Leo, Certosini e Cistercensi nel Regno di Sicilia, Rubbettino 1993, p. 184). L’attribuzione del titolo di Calabro-Maria alla Congregazione cistercense regionale conferma, anche per il XVII secolo, la centralità che, sul piano simbolico, l’abbazia di Altilia deteneva in ordine al culto mariano sin dalla fondazione.

Il monastero, più volte danneggiato dal terremoto, subisce gravi danni dal sisma del 1783. Dopo un tentativo di risistemazione ad opera della Cassa Sacra, la badia di Altilia viene definitivamente soppressa nel 1807. I beni del monastero sono in gran misura incamerati dai feudatari della famiglia Barracco, già abati commendatari di Calabromaria. La fabbrica claustrale viene adibita a palazzo di residenza.

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18 Fig. 4 - Follis anonimo di Cristo Re dei re (X-XI sec.)

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2. Un follis bizantino di Cristo Re dei Re (ca. 976-1025 d.C.)

A poca distanza dal complesso abbaziale di Calabromaria in località Serre di Altilia è stata, in anni recenti, ritrovata una moneta bizantina di gran pregio, oggi conservata presso il Museo archeologico di Crotone.

Il dritto, in gran parte abraso (non è visibile la legenda), raffigura il busto di Cristo nimbato, ovvero sormontato dall’aureola, e col Vangelo in mano, in atto di benedire. Il rovescio, meglio conservato, reca in quattro righe l’iscrizione greco-latina “+ IHSUS / XRISTUS / BASILEU / BASILE”, “Gesù Cristo Re dei Re”; la linea d’esergo è marcata da un fiore stilizzato “< o >” . La moneta è identica ad altri esemplari analoghi ben documentati. Si tratta di un follis anonimo di Cristo, cronologicamente inquadrabile tra la fine del X sec. e la metà dell’XI. Il peso è di gr. 7.

La prima emissione di follis anonimo, confrontabile col reperto rinvenuto ad Altilia, è quella attestata sotto Giovanni I Zimisce (969-976). Un esame più accurato tra la moneta delle Serre e le classi dell’analoga produzione già datata consente di approdare ad una valutazione cronologica ancora più precisa. In particolar modo, assumendo come riferimento il repertorio di D. R. Sear, Byzantines coins and their values, London 1974-2002, n. 1813-23, si rileva l’identità tipologica con la monetazione della classe A2-A3, emessa sotto il regno degli imperatori Basilio II (976-1025 d.C.) e Costantino VIII (1025-1028 d.C.).

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© Ministero dei Beni Culturali 2008

Fig. 5 - Affresco Cattedrale di Santa Severina con raffigurati San Francesco di Paola, Gioacchino da Fiore e la Calabromaria (A. Puja, Siberene, aprile 1915, pp. 179-80).

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3. L’iconografia della Madonna della Calabria

Tra i documenti del fondo archivistico “Pellicanò”, acquisito nel 2004 e custodito presso il Centro Internazionale di Studi Gioachimiti di San Giovanni in Fiore (Cs), alcuni diplomi relativi alla vita dell’antica badia cistercense di Altilia, e risalenti alla prima metà del 1700, recano impresso il sigillo del monastero di Calabromaria.

Il primo riferimento risale al 10 gennaio 1716. L’abate di “S. M. de Altilia alias Calabro Marie” Christophorus Fittipaldi convoca a sé Leonardo di Mauro e Antonio Giacco di Roccabernarda in merito ad alcune questioni sorte circa la “Gabella” ed il “Casale Carìa”. In calce alla “Notitia Citandorum” è impresso a secco il sigillo ottagonale del monastero di Altilia. Al centro appare la Calabromaria assisa frontalmente in trono con in braccio, eretto sulla destra, il bambinello. Entrambi sono raffigurati con l’aureola ben evidente, stilizzata a guisa di raggiera. Il bambinello mostra le braccia aperte e spalancate in segno di accoglienza. La Madonna incrocia in basso leggermente le gambe. Ai piedi della Calabromaria sono raffigurate, infine. tre teste di angeli che spuntano fuori dalle nuvole. Il sigillo reca impressa in linea d’esergo l’iscrizione “S - Maria - de - Altilia”.

Attingendo al fondo “Pellicanò” è dato rintracciare l’icona della Calabromaria in altri sette documenti, anche questi risalenti al XVIII secolo. La tipologia dei sigilli, di forma circolare e ad inchiostro nero, è omogenea. Al centro è raffigurata Maria col bambino in trono, identica alla figura sopra descritta dell’anno 1716. Tutt’attorno si legge “+ Università d. S. M. d. Altilia”.

Nell’aprile 1915 Antonio Pujia, fratello dell’arcivescovo di Santa Severina Carmelo Pujia e curatore della rivista Siberene, ritenne, sulla scorta dell’interpretazione dell’arcivescovo, di dover identificare la Calabromaria di Altilia con la “Madonna del muro” di un vecchio affresco della Basilica Metropolitana di Santa Severina, emerso pochi anni prima “presso alla porta della navata destra” durante alcuni lavori di restauro. “L’affresco ritrae, in alto, Maria SS.ma seduta sul trono, col Bambino Gesù, in piedi,

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© Ministero dei Beni Culturali 2008

© Ministero dei Beni Culturali 2008

Fig. 6 - A sinistra sigillo a secco del Monastero Calabromaria (10 gennaio 1716). A destra bollo ad inchiostro dell’Universitas di Altilia (ca. 1750). Centro Studi Gioachimiti, San Giovanni in Fiore (CS).

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che benedice; e porta su la mano sinistra il globo simbolico. Sotto, a destra vi è S. Francesco di Paola, a sinistra un Santo Abate Cistercense o Florense, con, alle mani, un pastorale e un libro, la regola. A terra una mitra abbaziale; in uno sfondo di campagna […]. Mons. Pujia pensa che la figura ritragga l’Abate Gioacchino. E in questo caso l’affresco è un vero ricordo storico: è una designazione del culto che nel sec. XVI e XVII si avevano fra noi S. Maria di Altilia - o la Calabro Maria - San Francesco di Paola e il Beato Gioacchino da Celico” (A. Pujia, Siberene, cit., pp. 179-80).

Con diploma del 25 giugno del 1439 al monastero Calabromaria fu donato il tenimento detto Alimati da parte di Enrichetta Ruffo, contessa di Catanzaro e marchesa di Crotone (Archivio Storico di Napoli, Archivio Ruffo di Scilla, Vel. 697 foll. 1, 22-192, pp. 10-11). All’interno del documento viene ricordata, in relazione all’«Abatem ipsius Abbatie Calabro Marie”, la “festa Beate Marie Virginis de mense Augusti”. Se consideriamo come gli elementi caratterizzanti il sigillo del monastero di Calabromaria dell’anno 1716 (in particolare le tre teste di angeli che spuntano dalle nuvole stilizzate) sembrano richiamare l’Assunzione di Maria, non appare fuori luogo, allo stato delle ricerche, avanzare l’ipotesi che la festa della Madonna della Calabria venisse anticamente celebrata nel mese di agosto (giorno 15 o 22).

Fig. 7- Archivio Storico di Napoli (festa Beate Marie Virginis de mense Augusti)

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24 Fig. 8 - Diploma di Federico II, anno 1220. Archivio Storico di Napoli.

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4. L’archivio di Calabromaria: da F. Ughelli a Tiberio Barracco

Dell’abbazia di Calabromaria oggi è possibile leggere quasi per intero il corpus dell’archivio badiale. Una risorsa straordinaria per la storia sacra della Calabria medievale e moderna. Ai numerosi diplomi editi in passato da illustri studiosi si aggiungono i documenti altrettanto numerosi custoditi: a) nell’Archivio Segreto Vaticano, dei quali il resoconto sintetico è nel Regesto Vaticano per la Calabria di F. Russo, Regesto Vaticano per la Calabria, Roma 1974, passim; b) nell’Archivio di Stato di Napoli, Casa Ruffo di Scilla; c) nell’Archivio Storico di Catanzaro; d) presso il Centro Studi Gioachimiti di San Giovanni in Fiore, fondo Pellicanò; e) nell’Archivio diocesano di Crotone-Santa Severina. I rescritti di conferma più antichi dell’autorità normanna (1099-1115-1149) furono per la prima volta pubblicati nel 1662 da F. Ughelli: “Questi privilegi li tradussero dal greco in latino Nicola e Michele Giudici di Crotone, su istanza di Nicolò, abate di quel medesimo Cenobio, nell’anno 1253. E noi qui pubblichiamo dall’esemplare, che è ben conservato nell’archivio di quella medesima località” (F. Ughelli, op. cit., vol. IX, , col. 476 A).

Nel 1581 le pergamene originali di Calabromaria furono presentate presso pubblico notaio nella città di Cosenza dall’abate commendatario del monastero Tiberio Barracco. Una copia dei rescritti, risalente alla metà del Seicento, è oggi conservata nell’Archivio Storico di Napoli (Archivio Ruffo di Scilla, Vel 697 foll. 1, 22-192).

Nel Notamanto di tutt’i Libri e Carte relativi alla Badia di S.ta Maria di Altilia, stilato per ordine della Regia Giunta della Cassa Sacra il 23 maggio del 1788, figuravano da foglio 11 a foglio 25 i privilegi di “concessione dei re normanni, confermati dall’imperatore Federico II nel 1220; da Alfonso I nel 1445 e dal re Ferdinando d’Aragona nel 1471” (Archivio Storico Catanzaro, Notamanto di tutt’i Libri e Carte relativi alla Badia di S.ta Maria di Altilia, n. 60, fasc. 1333, a. 1788).

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Fig. 9 - Planimetria del monastero Calabromaria (P. Lopetrone, Atlante delle fondazioni florensi, Rubbettino 2006, vol. 1, p. 112)

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Fig. 10 - Pianta modello dei monasteri cistercensi (F. Parise, Il disegno dell’architettura cistercense in Calabria, Alinea, Firenze 2006, p. 49)

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Fig. 11 - Vista del complesso abbaziale di Calabromaria dal satellite (Google Map 2008)

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5. L’architettura di Calabromaria e il modello cistercense

Una ricognizione complessiva della struttura edilizia di Palazzo Barracco-Chiesa di San Tommaso conduce, sulla base dei dati storici acquisiti, ad apprezzare la piena conformità dell’intero complesso con la planimetria modello dei monasteri cistercensi. La sovrapposizione appare in sé completa se confrontata con il canone architettonico ricostruito originariamente da M. Aubert, L’architecture cistercienne en France, Paris 1943, ripreso da A. Dimier, L’art cistercien hors de France, La Pierre-qui-Vire 1971, e di recente in F. Parise, Il disegno dell’architettura cistercense in Calabria, Alinea, Firenze 2006, p. 49.

La corrispondenza strutturale emerge, inoltre, prendendo in esame le immagini satellitari, nonché la mappa disegnata da P. Lopetrone, Atlante delle fondazioni florensi, Rubbettino 2006, vol. 1, p. 112. è possibile così evidenziare: a) la pianta della chiesa, sulla sinistra, a croce latina, con i diversi ambienti divisi in presbiterio, cappelle ed altare maggiore ad est, coro dei monaci e dei conversi al centro, nartece sul fronte occidentale: b) il chiostro quadrangolato al centro dell’abbazia con la cisterna, la fontana coperta e i corridoi laterali; c) la sala capitolare, la biblioteca e gli scriptoria lungo il corpo orientale; d) le cucine ed il refettorio dei monaci sul lato sud aperto e tripartito; e) i magazzini, i depositi, il refettorio dei monaci-conversi sul versante ovest.

A questo si aggiunge, seguendo sempre le indicazioni di F. Parise, op. cit., p. 41, il richiamo, non segnato in planimetria ma ben documentato dalla tradizione, circa l’esistenza nei monasteri cistercensi di torrette angolari del tipo assai simili a quelle attestate ad Altilia: “Il corpo occidentale si dota poi di alte torri gemelle simmetriche in facciata, spesso rimaste incompiute”.

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Fig. 12 - Particolare del diploma di Federico II del 1220: “sub nostra speciali protectione (et)defensione” (Archivio Storico di Napoli Archivio Ruffo di Scilla, Vol. 697 foll. 1, 22-192, pp. 2-4)

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6. La speciale protezione e tutela di Federico II di Svevia

Con diploma da Castel S. Pietro in Bologna dell’ottobre del 1220, Federico II di Svevia si curò di confermare, “speciali […] scripto”, all’abate Riccardo ed al convento del monastero di Calabromaria (Riccardi Venerabilis Abatis et Conventus Monasterij Calabro Marie) i privilegi assegnati al cenobio di Altilia nel corso dell’XI e del XII sec. dall’autorità normanna, oltre che le donazioni e le concessioni elargite dal potere ecclesiastico (Archivio Storico di Napoli, Archivio Ruffo di Scilla, Vol. 697 foll. 1, 22-192, pp. 2-4). Queste le parole del sovrano:

«Monasterij Calabro Marie et locum, abatem, fratres, grancias et universa ipsius bona, sub nostra speciali protectione (et) defensione suscipimus, firmiter statuentes ut idem Monasterium concessionibus, donis et libertatibus quas a progenitoribus nostris Sicile Regibus et a proprijs Metropolitanis obtinuit et omnibus iuribus quibus hactenus usum est in perpetuum gaudeat et fruatur atque quidem possessiones et libertates licet in privilegijs concessis eidem Monasterio a Regibus Siciliae progenitoribus nostris Comitibus et Metropolitanis proprijs per captos fines et vocabula exprimantur […] in primis tenimentum in Sila quod de Sanduca nominatur»;

«Accogliamo sotto la nostra speciale protezione e tutela la sede, l’abate, i frati, le grange ed ogni bene del monastero Calabro Maria, stabilendo per fermo che il medesimo monastero goda e usufruisca in perpetuo delle concessioni, delle donazioni, delle libertà che ha ottenuto dai re di Sicilia nostri progenitori e dai relativi metropoliti, e di ogni diritto finora acquisito; e che inoltre i possedimenti e le libertà contenuti nei privilegi riconosciuti al medesimo monastero da re e conti di Sicilia nostri progenitori, oltre che dai relativi metropoliti, siano dichiarati espressamente e puntualmente delimitati […], a cominciare innanzitutto dal tenimento in Sila che è detto di Sanduca».

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32 Fig. 13 - Interno chiesa di San Tommaso, già navata centrale di Calabromaria

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7. La chiesa di Calabromaria, oggi di S. Tommaso d’Aquino

Dopo il terremoto del 1783 il monastero dei Cistercensi, in parte crollato, venne soppresso: era il 13 febbraio del 1807 (U. Caldora, Calabria Napoleonica, Napoli 1960, p. 219). La chiesa della gloriosa badia di Calabromaria divenne allora la nuova “Parrocchiale Chiesa della Terra di S. Maria di Altilia” (Archivio Dioces. Crotone, Not. di Partite di Censi Liquidi e Corpi, a. 1790 P. III, pp. 689-692). Il parroco don Vincenzo Verzina, cittadino di San Giovanni in Fiore, abbellì la chiesa con la costruzione della pala d’altare, come attesta l’iscrizione posta su di essa, al centro in basso: “d. vincentius verzina / parochus et concivis / s. gio. fio. fecit anno d.ni / 1790”. Realizzata a guisa di tempietto finemente intagliato e decorato, la pala fa oggi da cornice, come verosimilmente in origine, alla statua lignea della Madonna della Candelora.

Dell’antico impianto a croce latina ai nostri giorni si è conservata la navata centrale, l’area, secondo la planimetria-modello dei monasteri cistercensi, destinata a comprendere la nartece, il coro dei conversi, il coro dei monaci. Sebbene trasformata nel corso del tempo, ad entrambi i lati è dato osservare il profilo di sei volte murate per parete, le quali verosimilmente collegavano il corpo mediano con le ali dell’ecclesia. Di queste oggi una è adibita a dimora residenziale, l’altra, ricadente all’interno di quello che era il chiostro del monastero, è andata per massima parte perduta. Si conservano, ancorché in ruderi o adibiti a magazzini, il presbiterio, le cappelle, la porta dei morti.

Da ricordare infine le due campane poste al campanile. Lo studio delle iscrizioni ha consentito di acclararne l’origine. Risalgono l’una alla fine del XVI sec., dedicata dal vicario Francesco Modio e dall’arcivescovo Giulio Antonio Santoro; l’altra all’anno 1606, innalzata da Marcello Barracco (P. Barone, Santa Severina: la storia e le sue campane, Cosenza 1991, pp. 116; 118). Nel resoconto della visita pastorale effettuata ad Altilia dal vescovo di Santa Severina Fausto Caffarelli il 24 ottobre 1630 si riferisce della “torre campanaria, che era senza campane, in quanto le due campane erano appese alla facciata della chiesa, luogo ritenuto più adatto e migliore per il suono” (A. Pesavento, La Provincia KR, nr. 21-30/2006).

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Fig. 14 - Le campane di Calabromaria. A sinistra quella dedicata da Francesco Modio e Giulio Antonio Santoro; a destra quella innalzata nel 1606 da Marcello Barracco. Entrambe oggi, per lo stato di condizione precario, appaiono degne di restauro e tutela.

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La chiesa nel suo insieme costituisce sul versante archeologico il punto di maggiore interesse per giungere al recupero, sia all’esterno sia al suo interno, di un palinsesto stratigrafico completo, nonché per investigare l’architettura del complesso ecclesiastico nel suo sviluppo dal Medioevo ai nostri giorni. Infatti, la disponibilità di spazi ben accessibili nei quali operare a livello pavimentale e la presumibile conservazione di una buona parte dell’alzato fa stimare l’attuale chiesa come particolarmente sensibile ad un articolato programma di ricerca finalizzato all’acquisizione di una serie documentaria di prima mano.

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36 Fig. 15 - La villa comunale di Altilia.

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8. La villa: da giardino dei Cistercensi a tenuta baronale

La prima attestazione, documentalmente fondata, di un “giardino” attiguo al monastero cistercense di Santa Maria di Altilia risale al XVI sec., in età tardo rinascimentale. Nel novembre del 1579 il priore della badia, don Beneditto Valente, annotava nell’Inventario delle robbe l’esistenza di “un bosco circum detta Abbazia”, per metà assegnato ai monaci e per metà agli abitanti del casale; nonché il possesso di “un giardino posto ut supra quale è assignato alli ditti B.ti Monaci per conglimento di ducati centosessanta”. Ai Cistercensi di Altilia “insieme con l’Abitazione” era assegnata, “per lor comodizza”, “una possessione di vigna” ed in più, al “confine” del chiostro, “arbori et giardino pergulati et fontana” (Archivio Arciv. Santa Severina, Invent. delle robbe del ven.le Monastero di Santa Maria de Altilia, Cartella 47 B).

Nella relazione sullo stato di “S.ta M.a di Calabro Maria seu d’Altilia della Congregazione Cistercense di Calabria”, stilata dall’abate Jacobus Gaglianus il 16 marzo del 1650, all’atto di richiamare le assegnazioni elargite nel 1577 in favore della badia dal commendatario Tiberio Barracco, tra i beni in possesso dei monaci si annoverava un “giardino contiguo al […] monastero”, detto “giardino dei monaci”, “dal quale non si ricava altro utile che le fogliami nell’haverno per uso della fameglia” (Archivio Segreto Vaticano, Congr. Stato Regolari, Relationes, 16, ff. 69-74, a. 1650).

Il giardino dei monaci è stato più volte nel corso dei secoli risistemato. Esso ha subito una impronta definitiva allorché l’area interessata all’inizio dell’’800 divenne residenza baronale dei feudatari Barracco. La villa, contigua al palazzo Barracco, già fabbrica claustrale del monastero Calabromaria, si estende, disposta su terrazzi, per una superficie di oltre 20.000 metri quadrati. Gli esemplari di pinus pinea raggiungono i trenta metri di altezza, con una robustezza che a tratti supera i duecento centimetri di circonferenza.

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Fig. 16 - Palazzo Barracco, già monastero di Calabromaria, in una foto d’epoca. Sullo sfondo i pinus pinea della villa comunale, di dimensioni limitate rispetto ad oggi, a seguito di complessiva risistemazione dell’area e riorganizzazione del giardino sotto i feudatari Barracco.

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Il patrimonio arboreo della Villa è arricchito da abeti, cipressi, salici, cespugli, lecci, lauri e palme. Senza dimenticare i prati, gli oleandri e le diverse varietà di fiori che costellano qua e là ed impreziosiscono il già giardino dei Cistercensi e della tenuta Barracco.

Allo stato delle indagini è dato inoltre ipotizzare come il lungo corridoio contiguo alla fabbrica claustrale dell’antico monastero, noto in Altilia con il nome di “Corso”, ed insieme ad esso parte delle immediate adiacenze della Villa comunale siano, con ragionevole grado di probabilità, resti di strutture murarie pertinenti al complesso abbaziale di Calabromaria. Nel concreto è verosimile che si trattasse di edifici-dormitori, posti su due livelli e destinati ai fratelli-conversi. Analoghi impianti dovevano sorgere sul versante nord.

Fig. 17 - Pianta modello dei monasteri cistercensi: il dormitorio dei conversi(F. Parise, Il disegno dell’architettura cistercense in Calabria, Alinea, Firenze 2006, p. 49)

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40 Fig. 18 - Una delle grotte di “Giulianetti”.

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9. Tracce di insediamento in grotta

Una ricognizione complessiva del poggio su cui è edificato il complesso di Palazzo Barracco-Chiesa di San Tommaso ha permesso di individuare le tracce di numerose cavità rupestri. Queste circondano lo sperone roccioso sul quale sorgeva l’abbazia di Calabromaria, facendo da corona alla fabbrica claustrale. Le cavità, delle quali un buon numero è stato nel corso del tempo trasformato in magazzini, meritano di essere ulteriormente indagate e cartograficamente posizionate.

La presenza storicamente documentata di monaci basiliani per quel che attiene al cenobio della Madonna della Calabria sul finire dell’XI sec. rende plausibile l’ipotesi che il luogo fosse caratterizzato in antico da un insediamento rupestre eremitico. In particolare le grotte in loco chiamate “grotte di Giulianetti” (dal nome nel 1703 del compratore, un certo Gaetano Giulianetti di Belvedere Malapezza), poste lungo la falesia a non molta distanza dall’abbazia di Calabromaria, hanno rivelato ad un primo, rapido sopralluogo dei tecnici della Soprintendenza stilemi riconducibili ed assimilabili alle laure degli anacoreti basiliani.

Tanto l’insediamento rupestre, quanto la fabbrica claustrale del monastero Calabromaria si elevavano “in supercilio montis”: la collina di Altilia aveva nel suo insieme il titolo di “monte Calabromaria (C. Pelusio, ms. I. F. 2, cc. 281r-297v, Napoli, Biblioteca Nazionale, Fondo Brancacciano, in C. Baraut, Las antiguas biografias de Joaquin de Fiore y sus Fuentes, in “Analecta Sacra Terraconensia”, XXVI, 1953, pp. 231-232). Il casale, chiamato “Calabroum”, fu da G. Barrio qualificato come “oppidum supra Neaethum flumen” (G. Barrio, T. Aceti, op. cit., p. 417).

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42 Fig. 19 - Cerchi Trinitari tav XI del Liber Figurarum

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10. I Florensi e la di Regola di San Benedetto

Uno degli aspetti più dibattuti in capo agli studiosi di Gioacchino da Fiore concerne l’esistenza o meno di una Regola specifica e peculiare dell’Ordine monastico florense. Un contributo determinante per cercare di dirimere la vexata quaestio scaturisce dall’analisi dei documenti riguardanti il monastero Calabromaria di Altilia (sec. XI-XVIII) custoditi presso la Biblioteca Provinciale di Matera (MBP), fondo Nicola Venusio (mss. 21/I-III).

La tesi di quanti ritengono che “il calavrese abate […] di spirito profetico dotato”, come ricordato da Dante nel XII canto del Paradiso, pur critico nei confronti della tradizione cistercense contemporanea, non si sia scostato, nell’impianto della sua religiosità, dall’originaria Regola di San Benedetto, si basa essenzialmente su un insieme di argomentazioni “in negativo”. Tra i rescritti florensi conservati – si fa notare – non si riscontra alcun riferimento concettuale o terminologico circa la sussistenza di una peculiare Regola monastica di Fiore (cfr. G. Lavigna, Gioacchino da Fiore e i primi cenobi florensi, Pubblisfera 2002, con bibliografia).

Così, il testo della bolla di papa Celestino III del 25 agosto del 1196 con la quale il pontefice approvò la nascita dell’Ordine di Fiore reca l’espressione “quasdam constitutiones”, “alcune costituzioni”: esse contenevano le norme dettate da Gioacchino riguardo la vita religiosa, il numero dei monaci, i monasteri da fondare, il patrimonio da possedere (J. P. Migne, Patrologiae Cursus completus, Series Latina, vol. 206, Paris 1841-64).

Dopo la definitiva assegnazione del cenobio di Altilia ai Florensi di S. Giovanni in Fiore mediante sentenza di papa Innocenzo III con bolla da Grottaferrata del 31 agosto 1211 (MBP, II, f. 36), nell’ottobre del 1213, tramite “charta aggregationis”, l’abate di Fiore Matteo Vitari (1202-1234), successore di Gioacchino, attuò il passaggio del monastero greco di Calabromaria all’ordine florense, istituendo nel contempo la comunità dei frati, guidata da un priore.

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44Fig. 20 - Abbazia Florense di San Giovanni in Fiore. In alto a sinistra San Benedetto; sotto Gioacchino da Fiore.

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Il passaggio era finalizzato, secondo le parole di Matteo, “ad ordinandum iuxta institutiones nostras Calabro Mariae monasterium”. Esso fu di fatto – fe’ notare l’abate – piuttosto un’opera di reintegro del cenobio di Altilia e di recupero in seno alla casa madre (vel potius reparandum), per come a suo tempo già istituito dai monaci florensi (de nostris ibidem fratribus institutum) sul finire del XII secolo (MBP, II, f. 39r-40v) .

Dalla bolla badiale dell’ottobre 1216, ind. V (MBP, II, f. 58r-61v), seguendo le parole dell’abate Matteo, apprendiamo che, fino a quella data, in Altilia non era stato possibile “ancora pervenire ad una completa osservanza dell’istituzione florense” (nondum ad omnimodam Florensium institutionem observantiam pervenire); non solo, ma vi era il forte timore che qualcuno potesse “al momento opportuno impedire l’atto di perfezionamento” (perfectionis opus cum tempus faciendi fuerit impedire). è per simile preoccupazione che l’abate di Fiore deliberò di ordinare il monastero Calabromaria “per communem scripturam”, istituendo la comunità dei frati sotto la reggenza di un priore, con l’obbligo di mantenere sempre con la casa madre florense un rapporto di spiccata “filiatione” ed obbedienza. Si decretò, inoltre, che “l’abate pro tempore di Calabromaria doveva essere eletto congiuntamente dal capitolo di Fiore e dal capitolo di Calabromaria”, ed essere “uno dei tre abati”, il terzo fra quelli consentiti e riconosciuti, ognuno con un suo ben specifico compito, dal canone florense. Tanto l’abate “sostituto” (substitutus), quanto “i suoi successori” e l’intero “monastero di Calabromaria” dovevano essere sottoposti all’abate di Fiore, il quale aveva ogni potere di visitare e correggere la badia figlia, in grazia di “quella autorità per la quale nell’ordine cistercense il padre dell’abbazia madre visita l’abbazia figlia e l’abate dell’abbazia figlia, e non viceversa”. Di “institutiones domini abbatis Joachim”, riferisce, altresì, la bolla pontificia di Innocenzo III dell’anno 1225, con la quale il papa approvò le norme relative ai rapporti tra il monastero di Fonte Laureato e quello di Acquaviva, secondo le indicazioni fissate dall’abate Matteo con bolla del 1209 (V. De Fraja, «Post combustionis infortunium». Nuove considerazioni sulla tradizione delle opere gioachimite, in “Florensia”, VIII-IX, anno 1994-95, pp. 158-160, n. I).

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Fig. 21 - Bolla papale di Innocenzo III del 31 agosto 1211 (Archivio Storico Martucci, Catanzaro).

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Fin qui, ordunque, il testo dei documenti citati rende conto unicamente di “constitutiones” florensi, ovvero di “institutiones”, e non già di Regula. Codesta evenienza, tuttavia, non vale da sola a dimostrare la non-esistenza di una specifica Regola monastica florense. L’argumentum “in negativo” necessita, a rigor di logica, di un altrettanto vincolante argumentum “in positivo”. Esso, scorrendo la bolla abbaziale dell’ottobre 1216, ind. V, viene offerto direttamente dai rilievi di Matteo Vitari, il quale, in merito al diritto di visita dell’abate di Fiore, faceva notare: «Florensis abbas auctoritate plena poterit secundum sancti Benedicti regulam et nostri ordinis instituta corrigere quicquid invenerit corrigendum in monasterii Calabromariae»; «L’abate di Fiore con piena autorità potrà secondo la regola di San Benedetto e le istituzioni del nostro ordine correggere tutto ciò che troverà da correggere nel monastero di Calabromaria».

Dalle parole dell’abate Matteo è dato chiarire, in modo preciso ed inequivocabile, come la regola dell’ordine florense fosse sostanzialmente rimasta quella di San Benedetto (secundum sancti Benedicti regulam), e quindi cistercense, per quanto ad essa si fossero affiancati specifici e peculiari nuovi “instituta”. Il documento, di eccezionale rilievo storiografico, appartiene ai manoscritti di Nicola Venusio custoditi presso la Biblioteca Provinciale di Matera (II, f. 58r-61v) e risalenti, con buona probabilità, ad una copia tardo rinascimentale di Cornelio Pelusio Parisio. La prima segnalazione della decisiva centralità ermeneutica del rescritto è stata da noi proposta nel 2004, nel volume Profilo storico di Altilia. Il Monastero Calabromaria, Pubblisfera, p. 80. Ulteriore testimonianza, infine, della coappartenenza tra la Regola di San Benedetto e gli instituta florensi si ritrova nella Bolla badiale di Riccardo, vescovo di Tropea, del maggio 1204, inserita all’interno di un documento pontificio di papa Onorio III dell’ottobre 1216. Il testo, tramandato da F. Ughelli (Italia Sacra sive de Episcopis Italiae, Romae 1662, ed. N. Coletti, Venezia 1721, r.a. Bologna 1981, vol. IX, coll. 456-57), è presente nei manoscritti della Biblioteca Brancacciana di Napoli recensiti da C. Baraut, Per la Storia dei Monasteri Florensi, in «Benedictina», 4, 1950, n. 261, n. 6.

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Fig. 22 - Intervento di Riccardo Succurro, presidente del Centro Internazionale di Studi Gioachimiti di San Giovanni in Fiore, durante i lavori del convegno “I Barracco e il Monastero Calabromaria di Altilia” (30 dicembre 2009). Al centro don Francesco De Simone, responsabile dell’Ufficio diocesano turismo, sport e spettacolo.

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Il vescovo di Tropea Riccardo conferma a Benedetto priore del monastero di Fonte Laurato la donazione fatta da Simone di Mamistra e sua moglie Gattegrima a Gioacchino, scomparso due anni prima, di un tenimento, laddove i monaci di Fiore – si annota – volevano erigere un monastero “secundum b. Benedicti regulam et vestri ordini instituta”.

I due diplomi esaminati forniscono, ordunque, l’argumentum “in positivo” circa la tesi della non-esistenza di una specifica e peculiare Regola florense. La formula “secundum sancti Benedicti regulam et nostri ordinis instituta”, ovvero “secundum b. Benedicti regulam et vestri ordinis instituta” rende conto, a riguardo, del profondo rispetto nutrito da Gioacchino (1130-1202) e dai suoi successori per la dottrina e l’esempio di San Benedetto (480-547). Essa dà corpo all’idea di come il monachesimo florense sia sorto come tentativo di riforma dell’esperienza cistercense, in un momento di crisi, all’insegna del ritorno al modello dell’originaria spiritualità benedettina, la spiritualità insieme contemplativa, pratica e poietica dell’“ora et lege et labora”*.

* La presente scheda è tratta dalla relazione di F. Lopez, «Contributo storico-documentale: la “Regola di San Benedetto” e le “Istituzioni Florensi”», tenuta nell’ambito del convegno “Lungo la traianea jonica le sette anime della cultura mediterranea. Un itinerario storico-archeologico nella Calabria Centrorientale da Sibari a S.Giovanni in Fiore”, Casa della Cultura Nino Cosco, Petilia Policastro Kr, 11 gennaio 2009.

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Fig. 23 - Particolare del diploma di Tiberio Barracco dell’anno 1581 (Archivio Storico di Napoli, Archivio Ruffo di Scilla, Vol 697 foll. 1, 22-192)

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11. I Barracco e il monastero della Madonna della Calabria

Di particolare rilievo per la storia della badia di Altilia è il legame che, sin dalla metà del XVI sec., ha unito i Barracco al Monastero della Madonna della Calabria. Nel 1542 abate e perpetuo commendatario fu designato da papa Paolo III Mario Barracco (cfr. L. Palmieri, Cosenza e le sua famiglie, Pellegrini ed., Cosenza 1999, vol. 1, pp. 276-277).

Nell’anno 1581 (quingentesimo octagesimo primo), sotto il regno di Filippo II d’Aragona (Regnante […] Philippo Dei gratia Rex Aragonum), il quindici del mese di luglio (die vero decimo quinto mensis Julij), Tiberio Barracco, “Abas Sancte Marie alias de Calabro Marie”, presentò in Cosenza presso pubblico notaio alcuni privilegi dell’abbazia di Altilia scritti in carta pergamena (presentavit quasdam privilegia de Abbatie scriptas in carta pergameni), acché venissero redatti “in publicam formam”. I documenti apparivano integri, non abrasi né cancellati (non abrasas non cancellatas), privi di qualsivoglia difetto né passibili di sospetto quanto ad autenticità (omni prorsus vitio et suspicione carentes). Essi comprendevano i diplomi di conferma: a) del duca Ruggero Borsa del 1099 e del conte-re Ruggero II del 1115 e 1149; b) di Federico II del 1220, del 1221 e del 1227; c) di papa Gregorio IX del 1227; d) di Herrichetta Ruffo, marchesa di Crotone, del 1439; e) di Alfonso I d’Aragona del 1445; f) di Antonio Centelles, principe di Santa Severina, del 1465; h) di Ferdinando d’Aragona del 1459, del 1466 e del 1471. L’intero corpus, trascritto alla metà del Seicento e presentato al card. Spada, allora abate commendatario del monastero di Altilia, è oggi conservato, inedito, presso l’Archivio Storico di Napoli (Archivio Ruffo di Scilla, Vol 697 foll. 1, 22-192).

Al 1606 risale l’innalzamento e la dedica di una campana, ancor oggi conservata in Altilia, per opera di Marcello Barracco. L’iscrizione reca: + Verbum caro factum est et abitavit in nobis a.d. mdcvi s.m. de Altilia Marcello Barracco. Con la soppressione del monastero, all’inizio del 1800, i beni e le strutture dell’antica badia passarono alla famiglia Barracco. La proprietà delle strutture e dei fondi si sviluppò fino alla metà circa del 1900.

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Fig. 24 - Cartolina ed annullo filatelico dedicato a Giovanni Barracco.

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Nel suo insieme appare oltremodo significativo che la storia del monastero ‘simbolo’ della venerazione mariana in Calabria abbia non solo fatto registrare la presenza, come abati commendatari prima e come feudatari dopo, di rappresentanti illustri della famiglia Barracco, ma che ai Barracco vada il merito principale della conservazione tanto dei documenti più antichi di Calabromaria quanto delle sue strutture edilizie di base.

Il giorno 30 dicembre 2010 sono stati ospiti del Centro studi Cornelio Pelusio Parisio il barone Maurizio Barracco e la baronessa Mirella Stampa Barracco, presidente della Fondazione Napoli 99 e di Oldcalabria. L’occasione è stata offerta dal convegno “I Barracco e il Monastero Calabromaria di Altilia”.

Uno dei momenti più significativi dell’iniziativa è stata la presentazione, da parte di don Francesco De Simone, responsabile dell’Ufficio diocesano turismo, sport e spettacolo, della cartolina e dell’annullo postale dedicati a Giovanni Barracco (fig. 24).

Insigne archeologo e collezionista, Giovanni Barracco (1829-1914) fu senatore durante la formazione del Regno d’Italia e nel primo Parlamento della Nazione. Al suo operato si deve la fondazione del Museo Barracco, con sede a Roma, uno dei più prestigiosi musei della Capitale. Fu altresì valente alpinista e scalatore: il primo italiano ad arrivare in vetta al Monte Bianco e al Monte Rosa; con Quintino Sella partecipò alla prima ascensione al Monviso. Fu, assieme allo stesso Sella, socio fondatore nel 1863 del Club Alpino Italiano.

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Fig. 25 - Un momento del convegno “I ‘tesori’ di Altilia. Profilo archeologico, storico, documentale” (5 agosto 2007). A destra Gregorio Aversa della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria. Al centro Francesco Lopez, presidente del Centro Studi Pelusio, a sinistra Francesco Cosco della Deputazione di Storia Patria della Calabria.

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12. L’attività della Soprintendenza nel biennio 2006-2008

Ragioni di tutela hanno imposto a partire dalla fine del 2006 l’intervento ad Altilia della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria. A seguito di sopralluoghi e ricognizioni preliminari sono state programmate dall’ente alcune campagne di scavo che hanno interessato la Serra di Altilia (m 400 s.l.m.) dove un esteso terrazzo di formazione pliocenica costituisce la sommità della massiccia formazione orografica sul cui ciglio si sviluppa l’odierno abitato. Gli interventi di scavo, mirati allo scopo di conoscere natura e consistenza archeologica del sito, si sono susseguiti nel corso di un biennio, consentendo all’equipe della Soprintendenza diretta dal dott. Gregorio Aversa, di riscontrare l’esistenza di strutture di carattere abitativo risalenti al IV-III secolo a.C., il cui sviluppo lungo le pendici sud-occidentali dell’altura fa ipotizzare che ci si trovi di fronte ad un abitato di assoluto rilievo. L’area in esame ha consentito di recuperare stratigrafie e parti di strutture ancora in situ da ricondurre alla presenza di popolazioni di origine italica, i Brettii, che tra tarda classicità e primo ellenismo contesero alla poleis greche il controllo del territorio interno della Calabria centro-settentrionale.

Oltre alla facies brettia, le indagini dei tecnici della Soprintendenza si sono rivolte con interesse all’insediamento di Altilia. Tracce di grotte artificiali aperte lungo il costone calcarenitico su cui sorge la frazione, sono state riconosciute come probabile memoria di un antico cenobio basiliano. Inoltre, l’analisi planimetrico-architettonica del principale edificio presente sul posto, il palazzo un tempo appartenuto alla famiglia Barracco, ha evidenziato l’affinità del monumento a schemi propri dei complessi cistercensi. Ad ulteriore riscontro dell’ipotesi è venuto l’importante ritrovamento numismatico riportato alla fig. 4 che fornisce un utile dato cronologico. L’indagine sul campo, combinata con lo studio della documentazione archivistica ha poi consentito di avviare l’approfondimento della facies medievale, cui assegnare la soppressione del precedente insediamento rupestre a seguito della fondazione, in età normanna, di un complesso edilizio di carattere monumentale che le fonti scritte assegnano al nome della Calabrorum Maria (la Madonna dei Calabri). A parere degli archeologi, pertanto, l’imponente struttura edilizia oggi esistente nel centro del borgo rappresenta la parte emergente di quanto rimane dell’antico complesso ecclesiastico.

La Soprintendenza ha quindi concluso come, oltre all’insediamento brettio, sia auspicabile portare avanti una adeguata opera di valorizzazione dell’intero sito di Altilia, data l’importanza in più momenti della sua storia, che comprenda ulteriori attività di indagine attraverso il coinvolgimento di varie professionalità e l’acquisizione da parte pubblica dell’intero edificio, così da ricostruirne l’intero palinsesto e recuperarne la fruibilità a fini collettivi.

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56 Fig. 26 - Diploma del duca Ruggero Borsa normanno (Archivio Storico di Napoli, Archivio Ruffo di Scilla, Vol 697 foll. 7-9)

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13. Il documento più antico di Calabromaria (31 maggio 1099 d.C.)

«Hoc est sigillum factum à Rogerio Duce Italiae, Calabriae, et Siciliae datum Polychronio Deo dilectissimo Episcopo Geruntinensi fundatori Sanctissimae Dei Genitricis Calabro Mariae 7. Indictionis, ultima mensis Madii. Cum moram traherem in Calabria, et essem intra Tropeae civitatem accessit ad me Deo dilectissimus Episcopus Geruntinensis Dominus Polychronius pro praesente meae confirmationis, eaque quae à beatissimo Metropolitano nostro Constantino Praesule Metropoli S. Severinae facta, et facta fuit ab eo per scriptum ejus de Monasterio Sanctissimae Dei Genitricis Calabro Mariae dare, ubi pro ipso Monasterio quoddam Sylvae tenimentum, quod dicitur Sanduca facere alterum Monasterium. Monachi, qui in eo sunt cum ejus bonis liberum ab omni petitione, ex quo vero supplicationes ejus vidimus propter bonas memorias nostrorum parentum, et memoriam animae salutis de d. Episcopo, pro ipso Monasterio Calabro Mariae apud Sylvam ad ultimum tenimentum deductum per loca cum aquis, et quibuscumque ipso tenimento recipi et haberi potest, et quod nullus sine voluntate, et mandato Abbatis ipsius Monasterii Calabro Mariae ultimo tenimento faciat aliquid seu mutare determinatur, aut tenimentum, sic incipit à Vallone quod dicitur de Graecis, et vadit ad flumen Ampulini, et ascendit de ipso Vallone Tassiti, et vadit ad locum, quod dicitur Arenosa, et deinde vadit ad locum quod dicitur Aquafrigida, et dat ad Vallonem de Miliareti, et deinde descendit à Vallone quod dicitur de Nucelletta, et vadit inde recte per costeram, et esit ad flumen Ampulini, et deinde ascendit de ipso flumine Ampulini, et concludit faciem esitus. Ipsum Monasterium Monachos, qui in eo sunt omnia bona, quae tenuit, et tenet justa libera non molestandi ab aliquibus confirmo, omnia concedo et roboro omnia, quae à Deo dilectissimo Metropolitano nostro Constantino facta, et concessa fuerint de mandato ejus praedictis Monachis Calabro Mariae, et Abbati in ipso Monasterio in illo die ministranti, et illis Monachis, qui post ipsum fuerint in praedicto Monasterio, et quod non habeant licentiam, seu potestatem amodo aliquis de Metropolitanis, qui in ipsa Metropoli sint, ac possit de Sancta Severina inferre aliquando contrarium; neque ipse, neque aliquis de Clericis, secularibusque illo die in manibus habuerit potentia mea videlicet gloriosissimi Bajuli Biscontis, vel Platoni, vel alius qui illos, qui in ipso dicto templo servierit in dicto Monasterio amodo omnes monachi quotidie in illo servierit, et oraverint, et omnia supradicti Monasterii sine molestia ab omni homine reddant, tam ipsi Metropoli S. Severinae statutum et confirmatur à beatissimo Metropolitano nostro Constantino, et non in aliquo amplius ipsum Monasterium. Si quis ausus inventus fuerint praesens nostrum sigillum roborationis offendere, et inferre contrarium, vel molestiam inferre Sanctissima Dei Genitrice reaedificata à dilectissimo Episcopo Geruntinensi Domino Polychronio, vel quae in ipso sunt non minimam indignationem nostram incurrat, et ut majus robor et firmitatem habeant supradictae donationes bulla mea plumbea signata est. Mense, Indictione praedictis in annis sexmillimum sexcenti septem».

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«Questo è il sigillo di Ruggero Duca d’Italia, Calabria e Sicilia, concesso a Policronio, a Dio dilettissimo Vescovo di Cerenzia, fondatore della Santissima Madre di Dio di Calabro Maria, l’ultimo giorno del mese di maggio, settima Indizione. Mentre prolungavo la sosta in Calabria, ed ero nella città di Tropea, si presentò a me il dilettissimo a Dio Vescovo di Cerenzia Don Policronio, per ottenere il presente atto di mia conferma, onde assegnare e le opere intraprese dal beatissimo nostro Metropolita Costantino, Presule di Santa Severina, e le opere che furono da lui stesso compiute mediante un suo scritto relativo al Monastero della Santissima Madre di Dio di Calabro Maria, in cui elargiva in favore dello stesso Monastero un tenimento della Sila detto Sanduca, per edificare un secondo Monastero. I monaci, che in esso sono, lo avranno libero da ogni riscossione, insieme con i suoi beni, dacché in verità abbiamo esaudito le sue suppliche per la buona memoria dei nostri genitori e a ricordo della salvezza dell’anima di detto Vescovo. A vantaggio del Monastero di Calabro Maria viene determinato presso la Sila un tenimento da ultimo dedotto per località, insieme alle acque e a qualunque altro bene il medesimo tenimento possa ricevere o avere, e che nessuno senza la volontà ed il mandato dell’Abate del Monastero di Calabro Maria faccia qualcosa o muti nel tenimento ultimo, ovvero un tenimento così delimitato: inizia dal Vallone detto dei Greci, va al fiume Ampollino, sale dallo stesso Vallone di Tassito e procede fino alla località chiamata Arenosa; poi va alla località detta Acquafredda e sbocca nel Vallone di Miliareti; poi scende giù dal Vallone detto di Nucelletta e di qui diritto per la costa ed esce al fiume Ampollino; poi sale dallo stesso fiume Ampollino e conclude il percorso. Confermo a diritto liberi allo stesso Monastero e ai Monaci, che in esso sono, tutti i beni, di cui sono entrati in possesso e che detengono, e nessuno deve disturbarli. Concedo e rafforzo tutto quanto fu fatto dal dilettissimo a Dio nostro Metropolita Costantino, e concesso su suo mandato ai predetti Monaci di Calabro Maria e all’Abate che allora era preposto al governo del Monastero e ai Monaci che fossero stati nel predetto Monastero dopo di lui. Che nessuno dei Metropolitani della stessa Metropoli abbia licenza e potestà di imporre mai da Santa Severina il contrario, né egli stesso, né alcuno dei Chierici o dei Secolari, nel giorno in cui avrà in mano dalla mia autorità l’incarico glorioso di Baiulo Visconte o Platone; ovvero chiunque altro avrà cura all’interno del Monastero dei frati del santuario, come tutti i monaci, quotidianamente in esso serva, e insieme preghino e rendano tutti i beni del suddetto Monastero sicuri dalle insidie di chicchessia. Così per la stessa Metropoli di S. Severina è stabilito ed è confermato dal beatissimo nostro Metropolita Costantino, e per questo Monastero di altro non v’è più alcunché. Se qualcuno venisse scoperto mentre osa offendere il nostro sigillo di conferma, e imponesse il contrario, o recasse molestia alla Santissima Madre di Dio, riedificata dal dilettissimo Vescovo di Cerenzia Don Policronio, o alle cose che in esso sono, incorra nella nostra non certo minima indignazione, e affinché le suddette donazioni abbiano maggior forza e fermezza, c’è contrassegnato il mio bollo di piombo. Mese, Indizione nel predetto anno del mondo 6607 [31 maggio 1099]» (Testo latino e traduzione tratti da F. Lopez, Profilo storico di Altilia. Il Monastero Calabromaria, Pubblisfera 2004, pp. 33-35).

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PARTE SECONDA

I monasteri di Santa Maria di Cabria e dell’Abate Marcodi Giuseppe Scalise jr

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60 Fig. 27 - Vecchio mulino dei Brisinda - Ruderi del monastero di S. Maria di Càbria

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1. Il monastero di S. Maria di Cabria e i suoi possedimenti (sec. XII)

Dagli studi sin qui condotti appare ragionevole che il monastero, in origine basiliano, sorgesse nell’ampia contrada del Pardìce (o Perdìce o Perdigio, da perdix = ‘pernice’, vd. Alessio 1939, p. 308 n. 3008), nel luogo ancor oggi detto, per metatesi, Macchia di Cràvia, non lontano dal mulino dei Brisinda (da Savelli). Costruito forse proprio coi ruderi della chiesa, là dove la fiumara di Lese (o Lesa) riceve le acque dal Vallone di Dardaniello (o Tardaniello), faceva parte della diocesi di Cerenzia. Il nome, probabilmente dal termine greco kau/ria, indicherebbe un toponimo di origine sicula introdotto in Calabria da monaci basiliani scampati al flagello saraceno. Il luogo fa parte del territorio comunale di S. Giovanni in Fiore.

Al presente sono davvero poche le notizie relative alla storia del monastero. La prima è un atto di donazione del 1170, da Cerenzia, redatto in greco da tal Nicola notaio su mandato di Andrea (Rizzuti?), notaio e archivista di Cerenzia. Sicilia e Lucia Ancinarisi, unitamente ai loro mariti Giovanni Clibana e Nicola Vitale, donavano alla badia un podere ad Stapurniatam (cioè presso Stapurniota), delimitato ad Oriente da un altro podere già donato in precedenza, fatta eccezione per le sole piante di noce.

Nel giugno del 1181, su istanza del suo abate e di quello del monastero dell’Abate Marco, S. Maria di Càbria otteneva in suo favore, dal Giustiziere di Val di Crati, solenne sentenza contro i balivi regi di Guglielmo II1. Questi pretendevano di imporre il pagamento del terratico (ovvero della decima) sul territorio di Macchia di Tuono (o “Truono”) e su altri confinanti, considerati demanio della Regia Sila, quando, in effetti, i terreni erano stati dati in uso ai suddetti monasteri liberi da ogni imposta. Di tale

1 In un documento florense dell’Archivio di Stato di Napoli si legge erroneamente il nome di Costanza. Si tratterebbe di Costanza d’Altavilla, zia di Guglielmo II e moglie di Enrico VI, che regnò in Sicilia dal 1189 al 1198 (insieme al marito fino al 1197 e vedova per un altro anno). Alla sua morte il regno passò al figlio Federico II. Guglielmo II regnò dal 1166 al 1189 e, alla sua morte, lasciò il Regno in eredità a sua zia. Il documento preso in esame è del 1181. Inoltre un documento dell’anno successivo, il 1182, riguardante ancora un atto di donazione al monastero di S. Maria di Cabria, fa esplicita menzione “del pio e cristiano regno di Guglielmo” sotto il quale ciò avvenne (vd. supra).

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62 Fig. 28 - La selvosa confluenza della Fiumarella di Tardadieniello col Lese tra macchia di Cràvia e S. Marco

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sentenza, autenticata più tardi da Luca Campano, arcivescovo di Cosenza, e successivamente dispersa, nel 1576 si conservava un Transunto presso l’archivio florense di S. Giovanni in Fiore.

Alla data del 20 settembre 1182 risale un altro strumento di donazione, stilato a Cerenzia, per mano del notaio Noè, su mandato di Andrea Rizzuti. I fratelli Giovanni, Nicola e Orso Pólito, a nome anche dei fratelli minori, donavano a Cipriano, abate del monastero di S. Maria di Càbria, e ai suoi successori un fondo rustico alberato, in località detta Culumite (o Colemito o Colimìti, da kouloumei=tev, forse ‘mucchio’, ‘cumulo’), avuto in eredità dalla madre e debitamente confinato1.

Oltre a tali beni e, in particolare, alle terre di Macchia di Tuono o della Montagna, il monastero di Càbria possedeva la chiesetta rurale, o cappella, di S. Marco in Cràvia, nella difesa o fondo Calamandèa (o Calamodèa o Calamidèa, da kalamindi/a = ‘menta’, vd. Alessio 1939, p. 171 nn. 1757 – 59), sulla destra di Tardaniello (oggi ricadente in territorio di Castelsilano); il territorio di S. Nicola de Myliato, a nord di Belvedere Spinello, compreso anch’esso nel comune di Castelsilano, tra il Vitravo e il Lese, dove sorgeva l’omonima ecclesia (vd. Napolitano 1981, pp. 129 – 135 e n. 114; Lavigna 2001, pp. 41 e 44; Lavigna 2002, p. 92 n. 1). Della chiesetta di S. Marco oggi persiste un moncone di muro orientato, forse prossimo alla zona absidale, che evidenzia anche lo stipite di un’antica apertura. Tali strutture sono state localizzate grazie al ritrovamento di alcuni oggetti sacri, tra cui una pisside istoriata con figure femminili a bassorilievo rappresentanti una processione di anime (vd. Lopetrone 2006, p. 66).

2 Riteniamo con Napolitano che tale documento sia stato rogato ad Acherentia e non ad Acri, come erroneamente sembra riportare il Trinchera (1865, p. 280). L’ipotesi è suffragata da due importanti riferimenti: il primo riguarda il nome del notaio delegante la compilazione dell’atto, Andrea Rizzuti, probabilmente la stessa persona che nel 1170 (dodici anni prima) aveva delegato il notaio Nicola di redigere l’atto di donazione delle sorelle Ancinarisi (vd. supra); il secondo riguarda il nome della località Colimìti, posta ad est dell’odierna Castelsilano, tra le fiumarelle Grisùria e S. Marco, non lontana da Macchia di Cràvia. Forse nel testo del Trinchera è contenuto un errore di trasmissione del documento, oppure sul testo (“quod possidemus in agro civitatis Acrae”) dovremmo intendere Acrae (nome latino della città, in caso genitivo), come abbreviazione di Acherentiae.

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64 Fig. 29 - Resti della chiesetta rurale di S. Marco in Cràvia

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2. Il monastero dell’Abate Marco e i suoi possedimenti (sec. XII)

Dalle indagini effettuate dal Napolitano emerge che il monastero dell’Abate Marco sorgeva sul versante orientale del monte Gimmella (da gibbus > gimbus = ‘gobba’, secondo Alessio 1939, p. 150 n. 1566), a 900 m di altitudine, non lontano dal Vallone di Lepore, in luogo ancor oggi detto Petramarca. Con maggiore dovizia di particolari, affinché non si perdano tracce e notizia rinvenute in seguito a sopralluoghi ripetutamente effettuati e sulla scorta di documenti probanti di varia provenienza, lo studioso aggiunge che il sito, delimitato dalle contrade Patacchella, Repulicchio e Parpusa, è attraversato dall’antica mulattiera (o “strada di Abate Marco”), che, salendo dalla Chiesa di S. Maria dei Tre Fanciulli (oggi meglio nota come S. Maria della Patìa), per il Vallone di Belladonna, e precisamente “per la scanzata delle Fontanelle di Caccuri (presso la Cerza del Quarto e l’antico Portìo) esce alle castagne dette l’Abbate Marco dove prima era il Romitorio dello Abbate Marco, e, attraverso la Stràgola (Stàula e Stràgula, da tràgula, cioè “piccola traha”, quindi “treggia”, vd. Alessio 1939, p. 412 n. 3950 b) va al Cerchiaro e a S. Giovanni in Fiore”. Anticamente l’area faceva parte della diocesi di Cerenzia; oggi ricade nel territorio di Caccuri. Il giudice Zurlo, che vi fu di persona nel 1790, rileva che ivi “erano molti piedi di castagne antiche che stavano alla destra del cammino nella falda della collina, ed a sinistra in un poco di piano vi sono le vestigj del Monistero detto dell’Abate Marco”. Il funzionario aggiunge che nel 1755 non vi si trovarono più né “le reliquie del Monastero dell’Abate Marco, né gli alberi delle castagne che vi erano negli anni 1663 e 1721!”. A proposito di questo monastero abbiamo già avuto modo di vedere come nel giugno del 1181 il suo abate, di nome Pietro (vd. De Fraja 2006, p. 211 n. 30), insieme a quello di S. Maria di Càbria, otteneva in suo favore dal Giustiziere di Val di Crati solenne sentenza contro i balivi regi di Guglielmo II riguardo al pagamento del terratico sul territorio di Macchia di Tuono e su altri confinanti (vd. supra)2.

2 Nel riportare la notizia, V. De Fraja (l. c.) cita l’abate di Monte Marco come testimone all’interno sentenza: la parte lesa sarebbe il solo monastero di S. Maria di Càbria.

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Fig. 30 - Pisside istoriata di San Marco (Càbria).Processione di anime coi simboli della fede.

Immagine tratta da P. Lopetrone, 2006, vol 1.

Per quanto concerne i beni immobili, il monastero era in possesso dei tenimenti detti della Montagna, nonché delle chiesette rurali di S. Lorenzo, a sud di Castelsilano, nella Serra di Laurenzana o di Lenzana (oggi in territorio di Caccuri), e di S. Maria di Agradìsa (o Agradìa o Gradìa, Soprana e Sottana), nell’omonimo contado a sud di Castelsilano, compreso anch’esso, ai nostri giorni, nel comune di Caccuri, con relative pertinenze (vd. Napolitano 1981, p.135 n. 114; Lavigna 2001, pp. 41 e 44; De Fraja 2006, p. 220)3. Di entrambe le ecclesiae, ad oggi, è impossibile stabilire con esattezza i siti dove sorgevano (vd. Lopetrone 2006, pp. 55 e sg.).

3 Le due chiese di S. Lorenzo e di S. Maria di Agradìa appaiono legate al monastero dell’Abate Marco perché pro-babilmente vi furono unite nel 1209 da Bernardo, vescovo di Cerenzia, quando questi assegnò il monastero con le sue pertinenze agli abati florensi onde vi istituissero un cenobio (vd. infra).

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3. Le badie di S. Maria di Càbria e Abate Marco nel periodo florense (sec. XIII)

Con l’avvento dell’ordine florense i monasteri di S. Maria di Càbria e dell’Abate Marco, stretti dalla miseria, dalle angherie fiscali, dalle prepotenze dei vescovi e dei feudatari, si avviarono verso il loro inesorabile declino (vd. Napolitano 1981, p.132 e sg.).

Nel 1195 Gilberto, vescovo di Cerenzia, donò all’abate Gioacchino il monastero dell’Abate Marco affinché vi introducesse la Regola Florense4. Tale donazione trova conferma in un atto del gennaio 1198 da parte dell’imperatrice Costanza, in cui vengono censiti tutti i beni in possesso del monastero di Fiore, a partire dalle concessioni fatte dall’imperatore Enrico VI, suo marito, nel 1194.

Il successore di Gilberto, Guglielmo, annullò tutte le donazioni riconosciute dal suo predecessore, arrivando persino a distruggere il monastero dell’Abate Marco. Guglielmo apparteneva probabilmente a coloro che, nello sviluppo di Fiore, vedevano un pericolo per le loro prerogative su molti territori e beni; pertanto non si era trovato d’accordo sull’operato di Gilberto, e, in religionis odium, aveva fatto distruggere il cenobio, in cui Gioacchino aveva già distaccato una parte dei suoi seguaci. L’increscioso episodio non è databile con precisione, ma è comunque collocabile anteriormente al 1205, anno in cui il vescovo Guglielmo morì. Fu il successore di questi, Bernardo, a rimediare al danno e a ricucire i rapporti tra Fiore e la diocesi di Cerenzia: da quanto apprendiamo da una bolla vescovile del 1209 egli provvide a far ricostruire parzialmente il monastero distrutto e lo assegnò nuovamente ai Florensi – insieme alla chiesa di S. Martino del Neto, concessa pure in precedenza da Gilberto –, esortandoli, a più riprese, a completarne i lavori di riparazione al fine di istituirvi un cenobio; concesse in aggiunta, annettendole

4 Non sappiamo con certezza se ciò sia avvenuto anche per il monastero di S. Maria di Càbria. Ad ogni modo Gioacchino non li ritenne luoghi idonei per le meditazioni dei suoi monaci. Alcuni studiosi ci tramandano la notizia secondo la quale Gioacchino non ritenne adatto a tale scopo S. Maria di Càbria perché situato troppo vicino alla rumorosa città di Cerenzia (cfr. Russo 1958, p. 180; Arnone 1977, pp. 24 e sg.; vd. anche Martire 1878 e Maone 1969).

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al monastero, le due chiesette rurali di S. Lorenzo e di S. Maria di Agradìa. Tale concessione si inscrive nel tentativo, che per lungo tempo rimase disatteso, di estendere l’esperienza florense nella limitrofa diocesi di Cerenzia. Qui forse, negli ultimi anni del XII sec., secondo le intenzioni di Gioacchino, sarebbe dovuto sorgere uno dei sette priorati dell’Ordine florense, vale a dire una nuova abbazia florense indipendente a autonoma. Ad avallare questa ipotesi sarebbe inoltre la concessione di tre chiese. Una strategia simile, infatti, aveva mosso i Florensi già nel 1203/204, in occasione del loro tentativo di trasferirsi a Botrano, dove avevano ottenuto

dall’arcivescovo di Cosenza e dal capitolo della cattedrale tre chiese ivi site: quella di S. Maria, una dedicata a S. Nicola e una detta di S. Angelo. Come censo ricognitivo complessivo per Monte Marco, S. Lorenzo e S. Maria di Agradìa si chiedeva l’offerta annua di quattro libbre di cera e tre di incenso.

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La bolla del 1209 è altresì importante perché ci permette di comprendere le linee con cui si inten-devano impostare le relazioni tra la diocesi di Cerenzia e le istituzioni monastiche florensi. Il vescovo Bernardo, pur accettando il fatto che il nuovo cenobio legato a Fiore avrebbe goduto, al pari della chie-sa madre, del privilegio dell’esenzione verso la Santa Sede, tenne tuttavia a specificare che il superiore del monastero avrebbe dovuto ricevere il munus benedictionis e gli altri sacramenta dall’ordinario locale. Fiore, al contrario, godeva di un’esenzione più piena: da una bolla del 1200 di Cinzio, cardinale prete di S. Lorenzo in Lucina (Roma), legato pontificio nel Regno di Sicilia, apprendiamo infatti che gli abati di Fiore potevano ricevere la benedizione abbaziale da un qualsiasi vescovo, a loro scelta. L’abate del monastero nella diocesi di Cerenzia, invece, avrebbe potuto rivolgersi a un vescovo di sua preferenza solo in casi specifici, quali la vacanza della diocesi o un netto rifiuto da parte di un vescovo locale, se-condo una prassi e il linguaggio curiale ben attestato presso i cistercensi (e Bernardo era stato in effetti un abate cistercense). Inoltre, egli regolò i rapporti con il monastero nel caso in cui i canonici e i chie-rici della diocesi avessero voluto vestire l’abito monastico. Le condizioni poste erano precise: se la loro scelta fosse stata compiuta ancora nel pieno delle forze, avrebbero potuto entrare nel monastero con tutti i loro beni mobili; nel caso si fosse trattato di una scelta fatta in extremis, cioè in punto di morte, avrebbero potuto legare al cenobio florense solo fino alla terza parte di essi5.

Nel 1217, però, a causa della malitia temporum, delle guerre e dell’incendio del loro monastero, i Flo-rensi non erano stati in grado di distaccare un loro gruppo nella chiesa di Monte Marco per costituire la nuova comunità monastica florense nella diocesi di Cerenzia. Il nuovo vescovo Nicola, succeduto a Bernardo, nel mese di gennaio di quell’anno giunse allora a un nuovo accordo con i monaci di Fiore. Questi ultimi resero alla diocesi di Cerenzia le due chiese di S. Maria di Agradìa e di S. Lorenzo, dal

5 Si tratta delle medesime condizioni poste da Riccardo, vescovo di Tropea, ai propri canonici e chierici nel caso avessero voluto entrare nel monastero di Fonte Laurato, ed è probabile che il suo privilegio del maggio 1204 sia servito da riferimento. se non da Vorurkunde, per quello di Bernardo (vd. De Fraja 2006, p. 220).

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momento che esse – come pure quella di Monte Marco – sorgevano troppo vicino al nuovo monastero di Fiore, in fase di costruzione. Il vescovo confermò invece il possesso della chiesa di Monte Marco – insieme all’obbedienza di S. Martino del Neto –, specificando tuttavia che i Florensi non sarebbero più stati tenuti a costituire in quella sede un cenobio florense, ma che esse venivano concesse come beni immobili per sostenere il nuovo monastero di Fiore, sotto il censo annuo di un bisante d’oro.

Quanto al monastero florense previsto per la diocesi di Cerenzia, Nicola, per rimanere fedele alla volontà dei suoi predecessori e al proposito dei Florensi, riconobbe il monastero, ormai decaduto, di S. Maria di Càbria con tutte le pertinenze e beni che possedeva a Cerenzia e nel suo territorio, ad eccezione della chiesa di S. Nicola de Myliato, e sotto il censo annuo di sei libbre di cera e tre di incenso. Il nuovo monastero sarebbe stato soggetto alle medesime condizioni relative all’esenzione dall’ordinario previste a suo tempo da Bernardo per il cenobio che doveva sorgere nella chiesa di Monte Marco. Nicola non fece più cenno, invece, alla possibilità che i chierici di Cerenzia vestissero l’abito monastico nel nuovo monastero. La concessione fu poi confermata da papa Onorio III con bolla pontificia del 22 gennaio 1218 (vd. Russo 1958 pp. 148 e 180; 1982, pp. 415 e 416). Anche questo tentativo in realtà non ebbe seguito6.

Il monastero di S. Maria di Càbria e la chiesa di Monte Marco vengono, da ultimo, menzionati in un privilegio di Federico II, datato ottobre 1220, da Castel S. Pietro in Bologna, dove il re sostava di ritorno da Basilea. Si tratta di un documento di particolare importanza. Il re confermava i possessi, le donazioni ricevute nel corso del tempo e i vari diritti e libertà di cui godeva l’abbazia florense sin dai tempi del beato Gioacchino (vd. De Fraja 2006, pp. 205-234).

6 Solo alcuni decenni più tardi i monaci florensi furono in grado di organizzare un cenobio nella diocesi di Cerenzia, quando, verso il 1259, fu loro affidata la riforma del monastero di S. Maria Nuova, ovvero l’ex monastero greco dei Tre Fan-ciulli (vd. De Fraja 2006, p. 220).

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Bibliografia essenziale

1. Il monastero Calabromaria

Oltre che ai testi evidenziati in itinere, si rinvia per completezza alla bibliografia e ai documenti di archivio contenuti in F. Lopez, Profilo storico di Altilia. Il monastero Calabromaria, Pubblisfera 2004, pp. 199-206. Dello stesso autore si segnalano gli articoli apparsi su ilCrotonese 26-29 gennaio 2007 n. 7, p. 29; ilCrotonese 4-6 marzo 2008 n. 18, pp. 24-25; ilCrotonese 23-26 gennaio 2009 n. 6, p. 22.

2. I monasteri di Santa Maria di Cabria e dell’Abate Marco

G. Alessio, Saggio di toponomastica calabrese, Firenze 1939;C. Arnone, Il Monastero dei Tre Fanciulli e l’Abbazia Florense, Cosenza 1977;V. De Fraja, L’ordine florense dai Normanni agli Svevi (1190-1266), in P. Lopetrone (a cura di), Atlante delle Fondazioni Florensi, vol. I, Soveria Mannelli 2006, pp. 203-278;G. Lavigna, Castelsilano e le sue origini, S. Giovanni in Fiore 2001;G. Lavigna, Gioacchino da Fiore e i primi cenobi florensi. Cenni biografici e storici, testimonianze e dottrina, S. Giovanni in Fiore 2002;P. Lopetrone (a cura di), Atlante delle Fondazioni Florensi, vol. I, Soveria Mannelli 2006, pp. 35-200;P. Maone, Caccuri monastica e feudale, Portici 1969;D. Martire, La Calabria sacra e profana, vol. II, Cosenza 1877-78;R. Napolitano, S. Giovanni in Fiore monastica e civica. Storia documentata del capoluogo silano con note critiche esplicative e ragionate, vol. I, Napoli 1981;F. Russo, Gioacchino da Fiore e le fondazioni florensi in Calabria, Napoli 1958;F. Russo, Storia della Chiesa in Calabria, vol. II, Soveria Mannelli 1982;F. Trinchera, Syllabus graecarum membrana rum, Napoli 1865.

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Lettera aperta

Ai rappresentanti delle Istituzioni civili e religiose, alle associazioni di volontariato, agli uomini e alle donne di cultura, a quanti hanno a cuore la storia e l’identità della Calabria.

La scoperta – al termine di circa 15 anni di studio e di ricerche, prima storico-archivistiche e successivamente archeologico-strutturali – del Monastero della Madonna della Calabria o Calabromaria suggerisce oggi alcune riflessioni importanti e doverose.

Un tempo gli intellettuali avevano, all’interno delle comunità di appartenenza, un ruolo di guida, evidente non solo nel mettere al servizio del bene pubblico il loro pensiero, ma soprattutto nell’accoglimento di quest’ultimo come fecondo e significativo da parte della società civile e delle autorità costituite. A noi piace pensare che un barlume di tutto ciò sia rimasto ancora in Italia. Ed è in virtù di questa speranza che formuliamo l’invito a valorizzare il patrimonio di conoscenze che è stato possibile acquisire: far sì che la gente di Calabria torni ad ammirare, sul piano culturale, il Monastero della Madonna della Calabria, recuperando in tal modo all’interesse pubblico e per le generazioni future una parte assai rilevante del suo illustre passato.

A riguardo non appare difficile immaginare – è un dovere di fronte alla Storia – che il Monastero Calabromaria, ‘simbolo’ del culto mariano per l’intera regione dal XII al XVIII secolo, possa diventare, sottratto al degrado ed alla noncuranza, monumento nazionale, allo stesso modo dei ruderi dell’altrettanto gloriosa abbazia di Corazzo presso Carlopoli. E tornare così a risplendere di fama e bellezza, come sotto Re Ruggero II normanno e Federico II di Svevia, il sovrano, “stupor mundi”, che del monastero Calabromaria era il «patronum principalem».

Presidente Centro Studi Pelusio