il secolo del fumetto

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Il secolo del fumetto Lo spettacolo a strisce nella società italiana 1908-2008 A cura di Sergio Brancato Contributi di: Alberto Abruzzese, Daniele Barbieri, Sergio Brancato, Stefano Cristante, Adolfo Fattori, Enrico Fornaroli, Gino Frezza, Fabio Gadducci, Marco Pellitteri, Luca Raffaelli, Matteo Stefanelli

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Lo spettacolo a strisce nella società italiana 1908-2008. In occasione dell’anniversario dei primi cento anni di vita del fumetto italiano (nascita fatta coincidere con la pubblicazione del primo numero del Corriere dei Piccoli il 27 dicembre 1908), questa raccolta di saggi di illustri studiosi, rilancia il dibattito sui comics in Italia. Interventi di: Alberto Abruzzese, Daniele Barbieri, Sergio Brancato, Stefano Cristante, Adolfo Fattori, Enrico Fornaroli, Gino Frezza, Fabio Gadducci, Marco Pellitteri, Luca Raffaelli, Matteo Stefanelli.

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Il secolo del fumettoLo spettacolo a strisce nella società italiana 1908-2008

A cura di Sergio Brancato

Contributi di: Alberto Abruzzese, Daniele Barbieri, Sergio Brancato,Stefano Cristante, Adolfo Fattori, Enrico Fornaroli, Gino Frezza,

Fabio Gadducci, Marco Pellitteri, Luca Raffaelli, Matteo Stefanelli

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Dal 1908 a oggi, da lì a qui, le sogget-tività che attraversano e caratterizza-no la scena della storia sono mutate all’estremo, incarnando prospettive e sviluppi che mettono radicalmente in crisi il senso complessivo della mo-dernità. Il fumetto è, appunto, uno dei luoghi in cui tale differenza può esse-re ricostruita e dunque riconosciuta.Anche a costo di perdere la sua voca-zione infantile, le sue giovanili sedu-zioni, il suo sequenziale procedere per incantamenti del mondo.

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Sergio Brancato (Napoli 1960) insegna Sociologia della comunicazione presso l’università di Salerno e Sociologia del-la industria culturale presso l’università «Federico II» di Napoli. Si occupa di media, società e cultura di massa. Ha lavorato nel mondo della comuni-cazione come giornalista, autore di programmi e consulente scientifico.

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Il secolo del fumettoLo spettacolo a strisce nella società italiana 1908-2008

A cura di Sergio Brancato

Contributi diAlberto Abruzzese – Daniele Barbieri – Sergio Brancato

Stefano Cristante – Adolfo Fattori – Enrico FornaroliGino Frezza – Fabio Gadducci – Marco Pellitteri

Luca Raffaelli – Matteo Stefanelli

Lapilli. Culture 14

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I edizione: ottobre 2008Copyright © Tunué Srl

Via Bramante 3204100 Latina – [email protected]

Diritti di traduzione, riproduzionee adattamento riservati per tutti i Paesi.

ISBN-13 GS1 978-88-89613-49-8

Progetto grafico e illustrazione dicopertina: Daniele InchingoliGrafica di copertina: Marco Marcucci© Tunué

Stampa e legatura:Tipografia Monti SrlVia Appia Km 56,14904012 Cisterna di Latina (LT)Italy

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Indice

IntroduzioneUn secolo di fumetto, da lì a quidi Sergio Brancato

I Sul luogo del delittoMetafore della critica e inattualità del fumettodi Alberto AbruzzeseI.1 Gli studi sul fumetto, fra analisi e chiromanziaI.2 Dentro un balloon di coazioni a ripetere?I.3 Il potere salvifico del fumettoI.4 Trovare la sostanza più clamorosa dei fumettiI.5 La confisca del giocattolo e la critica incoltaI.6 Studiare, per piacereI.7 La costituzione carnale del fumettoI.8 Lo sciamanico fluire del fumetto fra le nuove reti

II Uno sguardo disincantato, ma non spentoDei formati comunicatividi Gino FrezzaII.1 Il fumetto e l’acuta intelligenza del presenteII.2 La scena del divertimento familiare, sovranazionale

e figlia del tempoII.3 L’altrove mito-narrativoII.4 L’immaginario ibridato del fumetto del dopoguerraII.5 Sesso esploso, malinconia del presente storico

e avventura bonelliana

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II.6 La stagione delle rivistee la nuova immaginazione del desiderio

II.7 I mille, metaforici altrove del fumettoII.8 La macchina del mito. E del sogno

III Il filo del raccontoFumetto italiano e trasformazione delle culture serialidi Sergio BrancatoIII.1 I comics tra immagine e scritturaIII.2 Origini della serialità a fumettiIII.3 Origini e strategie della serialità in ItaliaIII.4 Un più moderno narrare: la serialità multimediale

IV Il fumetto extrapopularDue estetiche a confronto nella grande stagione delle rivistedi Daniele BarbieriIV.1 Estetica dell’identificazione

ed estetica della contrapposizioneIV.2 Popular ed extrapopularIV.3 Le riviste a fumetti extrapopularIV.4 L’extrapopular degli anni Settanta e Ottanta

V Il fumetto a scuola: paradossi e opportunitàMusealizzazione culturalee discontinuità delle strategie istituzionalidi Marco PellitteriV.1 Il paradosso di BonelliV.2 Scuola e musealizzazione del fumetto

Con quattro corollariV.2.1 La graduale deriva della scuolaV.2.2 La musealizzazione del fumettoV.2.3 Quattro corollari. Catacresi, pratica, diffusione,

continuità fra scuola e mondo esternoV.3 Come viene presentato il fumetto a scuola

V.3.1 Cosa pensano gli adolescenti dei fumetti

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V.3.2 Cosa sanno i diciottenni di oggi del fumettoV.3.3 Cosa proporre agli studenti dell’ultimo anno

V.4 L’equivoco persistente

VI La storiografia del fumetto in ItaliaTradizioni e strategie culturalidi Fabio Gadducci – Matteo StefanelliVI.1 Lo specchio pedagogico e la stampa per ragazziVI.2 L’alba della storiografia

e il problema della collocazioneVI.3 L’invenzione della tradizione

L’«età dell’oro» tra nostalgia e americanismoVI.4 L’apertura al «visivo» e la storiografia dilemmaticaVI.5 Canone italiano: il Novecento

e il pendolo tra «scuole» e «supporti»VI.6 Centenario alla deriva

Vecchia e nuova storiografia a confronto

VII Uccide il padre e si scopre umanoIl viaggio dell’eroe nel fumetto italianodi Luca RaffaelliVII.1 La fine del viaggioVII.2 Il padre a fumettiVII.3 L’eroe oltre la figura paterna…VII.4 … E di nuovo alla (vana) ricerca del padre

VIII Aquila della Notte foreverLa tenacia dell’immaginario western classiconella gestione del cambiamentodi Adolfo FattoriVIII.1 EvidenzeVIII.2 Tex è un fumetto westernVIII.3 Tex è un prodotto serialeVIII.4 Tex è un eroe «senza macchia e senza paura»VIII.5 Tex e il «reincanto del mondo»

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IX De JuliaAutorialità e serialità in un graphic novel popolaredi Stefano CristanteIX.1 Julia Kendall, criminologaIX.2 Definizione del personaggio e forza del contestoIX.3 Tutti i volti noti (l’Intrepido riesumato)IX.4 Julia come graphic novel

X Dino Battaglia, graphic storytellerFumetto e letteratura nella biblioteca visivadi un grande narratore di Enrico FornaroliX.1 Battaglia e la grande letteraturaX.2 Le tre vocazioni di Battaglia

Riferimenti bibliografici

Note sugli autori

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In memoria di Antonio Fabozzi, impareggiabile compagno di viaggio

nell’esplorazione dell’immaginario

IL SECOLO DEL FUMETTO

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IntroduzioneUn secolo di fumetto, da lì a quidi Sergio Brancato

Questo libro nasce da un’occasione e, insieme, da un disagio. L’occa-sione è data dall’anniversario del fumetto italiano, i primi cento anni di vi-ta di un medium dallo straordinario impatto sociale, che per la comunitàdi studiosi, critici e appassionati (ma molto spesso questi ruoli si confon-dono tra loro) nasce convenzionalmente il 27 dicembre del 1908, quandonelle edicole nazionali appare una filiazione del Corriere della Sera dedi-cata ai più piccoli. La nuova testata si chiama Corriere dei Piccoli e costadieci centesimi, un prezzo tutto sommato popolare, sebbene non accessi-bile proprio a tutti. Al suo interno ha più o meno i medesimi contenuti del-le altre pubblicazioni che, nell’Italia in crescita alfabetica del primoNovecento, puntavano all’allargamento del mercato dei lettori attraversola conquista dell’infanzia. C’è tuttavia una novità in quella ventina di pa-gine di giornale, l’ingresso in punta di piedi di un nuovo mezzo della co-municazione, di un dispositivo mediatico che da diversi anni seduceva ilpubblico – infantile e no – della stampa popolare statunitense.

Il fumetto fa solo capolino tra le pagine ancora zeppe di piombo e scrit-tura di quello che poi diventerà confidenzialmente il «Corrierino». Le po-litiche culturali italiane confermano anche lì la propria testarda arretratez-za ideologica, il disperato quanto vano «resistere» alla modernità indu-striale e ai suoi modi di edificazione del mondo, il caparbio opporsi aprocessi di trasformazione dei media e del territorio che tuttavia s’eranogià realizzati. Eppure è con il Corriere dei Piccoli che – parafrasando ungrande personaggio che su quelle pagine vide la luce e a lungo visse –«comincia l’avventura» del fumetto italiano, costantemente giocata sul-l’interpretazione creativa dei modelli internazionali (soprattutto america-ni) e su una peculiare capacità di tessere narrazioni originali, in grado di

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restituire in filigrana la consistenza più intima delle identità nazionali edelle loro trasformazioni: dal Signor Bonaventura di Sergio Tofano (1917)al Diabolik delle sorelle Giussani (1962) la distanza sembra tanta, perfinoincolmabile, ma può tuttavia essere ricostruita nella sua sostanziale conti-nuità se adottiamo un’adeguata e moderna attrezzatura teorica.

Il disagio a cui si faceva cenno in apertura nasce, per l’appunto, dall’in-soddisfazione relativa a ciò che negli anni si è fatto e scritto, nel nostropaese, «intorno» al medium disegnato. Dai limiti sempre più evidenti deisaperi disciplinari a cui fa ancor oggi riferimento chi dei comics parla (oritiene di parlare) dall’alto di una competenza in grado di svelarne i miste-ri e interpretarne il senso. Limiti che si riverberano, spesso se non sempre,su chi orchestra le politiche culturali del fumetto in Italia attraverso le li-nee editoriali delle case editrici o la gestione delle (poche) istituzioni edelle (tante) manifestazioni che hanno sede nelle nostre città.

La criticità culturale del fumetto costituisce una delle costanti nella vi-ta del medium, e ne determina gli sviluppi e i punti d’arrivo. Già l’ap-proccio del «Corrierino» era penalizzante rispetto al potenziale espres-

4 INTRODUZIONE

Sezione superiore del primo numero del Corriere dei Piccoli, 27 dicembre 1908. Il fumetto ivi pubbli-cato è Mimmo (Buster Brown, 1902, di Richard Felton Outcalt).

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sivo e politico del linguaggio-fumetto, poiché tentava di edulcorarne ilsenso audiovisivo (e dunque realmente innovativo) e comprimerne il ba-ricentro verso la matrice letteraria. Qual è il significato degli interdettieditoriali al balloon in favore delle leziose didascalie in rima se nonquello di opporsi all’avanzata dei «nuovi» media dell’epoca, fondati sudi un’inedita relazione tecnologica tra immagine e suono, visti dalla«classe dei colti» come portatori di un inquietante disordine sociale?

Alla base del rapporto tra fumetto e mondo intellettuale italiano c’èquesto insanabile pregiudizio, basato su una tassonomia delle arti chepenalizza l’emergere del nuovo e non contempla gli esiti della moderni-tà. Storia vecchia? Non proprio. Il disagio di chi scrive nasce propriodalla constatazione che ancor oggi la critica italiana trova i suoi presup-posti teorici all’interno di una visione idealistica dei processi culturali,ovvero di un «ordine» del mondo che non ha ancora affrontato la rivo-luzione del Moderno e dunque non ne ha saputo interpretare gli effetti.

È quanto riscontriamo ogni volta che affrontiamo il discorso sul fumet-to, la sua storia e il suo stato attuale in una qualsiasi circostanza in cui siriuniscano gli esponenti del comicdom nazionale. Oppure quando si ten-ti di affrontare tali questioni in ambito accademico. Non a caso, una del-le definizioni più fortunate che vengono adoperate per definire il mediumè quella di «letteratura disegnata». Coniata a quanto pare da Hugo Pratt,l’autore-personaggio che sintetizza in sé il meglio e il peggio dell’espe-rienza del fumetto italiano,1 questa espressione piace a molti poiché sem-bra collocare l’oggetto del comune amore sui sacri altari della legittimi-tà culturale. Solo in pochi paiono cogliere che quegli altari sono ormaidiventati sepolcri imbiancati, ricoperti di polvere, e che rischiano di im-polverare «per contatto» anche lo splendore cromatico dei comics.

Tentare di nobilitare il fumetto attraverso una sua identificazione conle arti e le modalità comunicative preesistenti è un segno di debolezzaanalitica. La storia della comunicazione e la sociologia dei processi cul-

5INTRODUZIONE

1 Il meglio è la capacità di produrre salti qualitativi nell’organizzazione del medium attraverso ildispiegamento di una straordinaria creatività che si connette all’evoluzione del pubblico dei lettori e glifornisce risposte di grande efficacia culturale; il peggio è il produrre modalità di astrazione del mediumdallo stesso pubblico dei lettori, fino a perderne il contatto (come è accaduto, per esempio, con il cine-ma italiano alla metà degli anni Settanta).

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turali hanno dimostrato che il fumetto è un medium in sé, compiutamen-te strutturato e codificato, capace di evolversi in maniera autonoma e tut-tavia di continuare a dialogare con gli altri linguaggi dell’industria cultu-rale. Occorre superare il vecchio equivoco, la partigianeria un po’ ottusadi chi cerca la gratificazione di un riconoscimento (del medium tantoamato, e infine di sé stesso) attraverso l’adesione alle piattaforme del po-tere letterario – o, per converso, di quelli delle tradizionali arti figurative.

Il fumetto non ha più bisogno di essere giustificato presso i padri seve-ri delle arti, anche perché quei padri sono ormai morti e lontani nella me-moria. Il mondo che abitiamo ha altre forme da quelle che hanno visto lagenesi del fumetto. Forme digitali che riscrivono nel profondo le logichedella rappresentazione e il rapporto tra la tecnica e il referente. Le cele-brazioni, dunque, possono avere un significato finché costituiscono unmomento di riflessione e di aggiornamento dei saperi e delle culture delfumetto. Finché ci permettono di essere consapevoli delle sue trasforma-zioni che rimandano alle trasformazioni più generali del presente. Finchéi musei si rendono luoghi di elaborazione dell’idea di futuro più che sa-crari di un tempo irrimediabilmente perduto.

Questo libro nasce così, in maniera molto viscerale, dalla necessità ditradurre la circostanza del centenario in un momento di riflessione e, an-che, di posizionamento da parte di una piccola ma significativa comunitàdi studiosi e operatori culturali che negli anni si è automaticamente rico-nosciuta in un atteggiamento di innovazione critica e di insoddisfazioneper i rituali in cui s’è impaludata una parte cospicua del mondo dei fumet-tari/fumettofili italiani. In tempi molto stretti, sollecitati dal sottoscritto,alcuni intellettuali – in modi tra loro diversi, «innamorati» del fumetto –hanno partecipato a un’iniziativa che, prendendo spunto dal centenario, sipone un semplice obiettivo: quello che l’occasione rituale non si esauriscaancora una volta nel riproporre punti di vista, posizioni, ideologie e «fol-klori» che caratterizzano l’orizzonte nazionale dei comics più o meno dal1965, periodo in cui accadono molte cose importanti ma che certo non co-stituisce la «fine della storia» per le teorie e le pratiche del fumetto.

Questa è essenzialmente una raccolta di punti di vista sullo stato dell’ar-te del fumetto italiano. Si pone il fine di sollecitare un dibattito piuttostostanco, sebbene non del tutto denutrito. Pur non avendo pretese di organi-

6 INTRODUZIONE

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cità, né tanto meno di esaustività, i saggi che lo compongono si rimanda-no tuttavia l’un l’altro, ricostruendo un tessuto teorico e discorsivo menoframmentato di quanto possa apparire a un primo sguardo. L’auspicio èche questi materiali possano contribuire a fare del centenario – celebratoanche da un Comitato Nazionale nominato dall’uscente MinistroFrancesco Rutelli il 9 aprile 2008 a Lucca – il pretesto per un rinnovamen-to, ormai inderogabile, della cultura dei comics nel nostro paese.

I 100 anni del fumetto in Italia segnalano, infatti, processi complessie questioni che si estendono oltre i confini del medium disegnato. Tuttigli autori dei saggi contenuti nel presente volume hanno sempre opera-to, sia pure all’interno di storie diverse e differenti modelli disciplinari,per spostare la riflessione sui comics in un contesto teorico più ampio eattuale. Non si vuole certo disconoscere, qui, il contributo di chi (da ElioVittorini a Gianni Rodari, da Umberto Eco a Oreste del Buono, daRoberto Giammanco a Ermanno Detti, da Paola Pallottino a AntonioFaeti) ha contribuito a integrare il fumetto nel novero delle cose dicibi-li. Si vuole solo affermare che ormai esiste, in Italia, una tradizione distudi sul fumetto, più recente e caratterizzata sul piano generazionale,che ha determinato la messa a punto di una sofisticata attrezzatura teo-rica in grado di rischiarare il corpo dell’immaginario disegnato e di ti-rarlo fuori dai soffocanti cassetti dell’amatorialità.

La raccolta di saggi che avete tra le mani tenta quindi di rispondere al-l’esigenza di rilanciare, anche provocatoriamente, il dibattito sui comicsin Italia, riaprendo interrogativi e spazi di problematicità, e spostandol’ordine del discorso verso le grandi trasformazioni di scenario a cui il fu-metto partecipa sebbene sia passato un secolo dalla sua nascita, oppureproprio per questo: cento anni che separano non solo due tempi storici,ma forse due antropologie. Dal 1908 a oggi, da lì a qui, le soggettivitàche attraversano e caratterizzano (in un senso letterale di performance) lascena della storia sono mutate all’estremo, incarnando prospettive e svi-luppi che mettono radicalmente in crisi il senso complessivo della mo-dernità. Il fumetto è, appunto, uno dei luoghi in cui tale differenza puòessere ricostruita e dunque riconosciuta. Anche a costo di perdere la suavocazione infantile, le sue giovanili seduzioni, il suo sequenziale proce-dere per incantamenti del mondo.

7INTRODUZIONE

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È quanto suggerisce, per esempio, l’intervento di Alberto Abruzzese,una delle voci più irrituali della sociologia contemporanea, che tanto harinnovato in passato gli approcci allo studio del fumetto. Nel suo scrit-to, Abruzzese interroga il lettore di comics, ma anche il loro studioso,sul senso che attualmente riveste la pratica del consumo di immaginariodisegnato. Funziona ancora, il fumetto, per permettergli di legger-si nelmondo? È una domanda centrale, forse la domanda che dobbiamo por-ci per approdare a una nuova dimensione socioculturale del medium.Sempre che questa sia possibile, oppure utile.

Nella misura in cui li «sfida», l’incipit di Abruzzese è la pietra angola-re che collega tra loro gli interventi del libro. Vi fa esplicito riferimentoGino Frezza nella sua tanto accurata quanto appassionata ricognizione neiformati che hanno segnato l’esperienza del fumetto italiano, i suoi piani diriconoscimento collettivo in cui leggiamo le trasformazioni delle culturemediatiche nazionali in relazione ai mutamenti dell’industria culturale si-no alle soglie della rivoluzione digitale. Vi fa riferimento anche il sotto-scritto, nel tentativo di ricostruire il mutare dei modelli di serialità del fu-metto in Italia, nel quadro di una sistema dei media segnato dall’incom-piutezza delle dinamiche industriali e dai limiti dell’antimodernismo.

Il saggio di Daniele Barbieri recupera invece la riflessione, estrema-mente conflittuale e mai sciolta, sul nesso tra originalità e ripetizionenella produzione delle forme estetiche. Un tema aristotelico che nel fu-metto, bizzarro oggetto mediatico in cui il vero «originale» è costituitodall’immagine tecnologicamente riprodotta, diventa particolarmente in-teressante e incline al paradosso, sconvolgendo le consuete categorie diinterpretazione dell’opera d’arte e della cultura di massa.

Il lavoro di Marco Pellitteri si orienta sulla difficile ecologia instaura-tasi in Italia tra comunicazione a fumetti e strategie della scolarizzazio-ne di massa. Interrogandosi sui modi in cui la scuola italiana si è rela-zionata ai comics, Pellitteri individua alcuni punti di grande pertinenzae criticità sul rapporto tra emergenze generazionali e vitalità dei proces-si di alfabetizzazione nel nostro paese. Un argomento che confina, permolti versi, con la ricostruzione delle storiografie nazionali del fumettoeffettuata da Fabio Gadducci e Matteo Stefanelli: anche qui, infatti, con-flitti di culture e assetti di potere si intrecciano determinando uno scena-

8 INTRODUZIONE

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rio complesso, dove tuttavia si può cogliere sia il mutare della percezio-ne dei comics nella vita culturale della nazione, sia il rispecchiarsi deiproblemi di metodo nella più generale questione della legittimità delmedium (e qui il pensiero torna a Abruzzese e alla sua domanda sull’uti-lità e funzionalità dei metodi).

Luca Raffaelli recupera un tema essenziale dell’immaginario a fumet-ti, interrogandosi sulla relazione tra la figura dell’eroe – ovvero del pro-tagonista, spesso antieroico, del fumetto italiano a partire dal dopoguer-ra – e quella del padre. Raffaelli analizza un’ampia galleria di personag-gi alla ricerca delle ricorrenze significative tra vissuti dell’infanzia,struttura familiare e dimensione individuale, rintracciando nella centra-lità mitopoietica del parricidio una possibile chiave di lettura del rappor-to tra eroe, autore e lettore.

Adolfo Fattori e Stefano Cristante scelgono di occuparsi di due perso-naggi seriali della fabbrica Bonelli. Il primo individua in Tex e nella suamutevole identità di genere un oggetto essenziale nel quadro della mo-dernizzazione dei media nazionali (aspetto, peraltro, irrinunciabile percomprenderne l’estrema ed efficace longevità nell’economia dei consu-mi di comics). Il secondo procede all’analisi di un character più recen-te e per molti versi innovativo, confermando la qualità sincretica delleproduzioni bonelliane ma anche la loro capacità di rinnovare modelli se-riali e parametri dell’immaginario.

Infine, attraverso una breve quanto densa ricostruzione del lavoro diDino Battaglia, autore nevralgico nel panorama del fumetto italiano,Enrico Fornaroli mette in gioco in una prospettiva singolare alcuni nodiimportanti: il rapporto tra fumetto e letteratura, il fecondo dialogo tra te-sti della cultura di massa e repertori tecnici dell’arte, l’incrocio produttivotra racconto e sperimentazione grafica audiovisiva. In tal senso, l’analisidi Fornaroli trascende la figura del grandissimo Battaglia per rimandare aun più vasto orizzonte tematico, comprensivo di molte delle questioni chesi legano a un secolo di vita, passione e lavoro del fumetto italiano.

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III. Il filo del raccontoFumetto italiano e trasformazione delle culture serialidi Sergio Brancato

III.1 I comics tra immagine e scrittura

Il fumetto è, per sua natura, un artefatto seriale. Se guardiamo alle ori-gini di questo linguaggio, al magma delle dinamiche culturali in cui sidefiniscono reciprocamente le sue tecniche e le sue pratiche, esso ciappare come un luogo – un vero e proprio spazio socialmente condivisoe, per molti versi, abitato – in cui si evidenziano le formidabili tensioniideative della società di massa nella fase della sua piena affermazione apartire dalle logiche della produzione e del consumo in serie. Perfino ilritardo storico e tecnologico registrato al momento della sua genesi dalfumetto italiano (fenomeno culturale che per convenzione largamenteaccettata vede la luce sulle pagine del Corriere dei Piccoli nel 1908, dun-que oltre un decennio dopo la fatidica apparizione di Yellow Kid sul NewYork World) rientra in questo assunto e ne conferma il significato globa-le nella misura in cui rimanda ai più generali ritardi e alle peculiari ano-malie dei processi di industrializzazione nel nostro paese.

Forse nessun altro linguaggio dell’industria culturale palesa con talechiarezza l’insieme dei conflitti legati alle pratiche che ridefiniscono laforma del quotidiano nel tempo della metropoli. Certo, il cinema –medium coevo e perfino «complice» delle strategie mediatiche deicomics – dispiega una superiore potenza tecnologica, lo splendore spet-tacolare del grande schermo, il massiccio impatto economico dei suoiapparati; tuttavia il fumetto condensa, nel ristretto perimetro visivo dellesue tavole e nella estrema sintesi grafica delle sue strip, la manifesta atti-tudine all’ibridazione – dall’intertestualità all’intermedialità – di un lin-guaggio che architetta sé stesso sulla faglia instabile collocata fra le tra-

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dizioni della scrittura e l’emergenza dirompente di un rinnovato rappor-to con l’immagine, la dinamica culturale che segna l’avvento novecen-tesco dei mass media audiovisivi in virtù della loro capacità di restitui-re le mutazioni profonde del corpo individuale come di quello sociale.

Il fumetto reperisce il proprio originario significato seriale dentro que-sto processo generale, caratterizzato da modalità di comunicazione stret-tamente correlate con lo sviluppo e le esigenze del capitalismo moderno,dunque con le necessità di un modello di organizzazione sociale che ride-finisce radicalmente le funzioni del corpo. Il fulcro della natura serialedei comics risiede nei processi di affermazione della riproducibilità tec-nica delle forme estetiche,1 un movimento complesso, lungamente pro-trattosi nel tempo della modernità, che riscrive il significato dell’arte nel-l’orizzonte della fabbrica e dei suoi paradigmi.2 Se ricostruiamo il pro-cesso che porta alla cosiddetta «arte sequenziale» del fumetto (secondoun’intrigante definizione di Will Eisner),3 ci rendiamo conto che la gene-si di questa narrazione per immagini risiede non negli innumerevoliesempi di connubio funzionale tra immagine e testo, ma nella «guerra»sistematica che il tempo del Moderno registra tra egemonie della scrittu-ra e inquietudini del corpo, irriducibilità del simbolico, metaforicità del-l’immaginario.

Il fumetto si fonda, dunque, non su un’alleanza (scrittura e testo all’in-terno del medesimo spazio di significazione) quanto piuttosto su un dis-sidio, sull’aspro conflitto tra razionale e irrazionale, o – se si vuole – tra«ragione» e «sentimento», quindi logiche del controllo sociale e sovver-sioni del corpo. I media scaturiti dalla rivoluzione industriale incamera-no sempre tali istanze di mutazione, a cui è legata la loro estrema«mobilità», restituendoci le immagini del conflitto che ruota intorno aiprocessi di modernizzazione. Il recupero dell’illustrazione nei piani lin-

50 IL FILO DEL RACCONTO

1 Cfr. Walter Benjamin, «Das Kunstwerk in Zeitalter technischen Reproduzierbarkeit» (1936), in Id.,Schriften, Frankfurt am Main, Suhrkamp Verlag, 1955 (trad. it. L’opera d’arte nell’epoca della suariproducibilità tecnica, Torino, Einaudi, 1966).

2 Cfr. Alberto Abruzzese, Forme estetiche e società di massa. Arte e pubblico nell’età del capitali-smo, Venezia, Marsilio, 1973.

3 Cfr. Will Eisner, Comics and Sequential Art, New York, Poorhouse Press, 1985 (trad. it. Fumetto& arte sequenziale, Torino, Pavesio, 1997).

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guistici della galassia Gutenberg,4 operato attraverso i corredi iconogra-fici che integravano l’azione narrativa della scrittura nelle pagine deilibri, non partecipa alla ricerca dell’armonia tra diversi codici espressi-vi quanto alla lotta, corpo a corpo, tra culture sospese sulle differentitraiettorie di sviluppo della società di massa.

Espressione di un tempo storico – la benjaminiana infanzia dellametropoli5 – in cui era forse ancora possibile tentare di discernere idiversi codici delle pratiche comunicative, opponendoli tra loro nellademarcazione dei campi di potere delle ideologie della modernità, l’il-

51I COMICS TRA IMMAGINE E SCRITTURA

Hogan’s Alley (1894), la serie di tavole su cui apparve il personaggio Yellow Kid.

4 Sui processi di affermazione dell’egemonia del testo stampato, cfr. Marshall McLuhan, TheGutenberg Galaxy: The Making of Typographic Man, London, Routledge & Kegan Paul, 1962 (trad.it. La galassia Gutenberg. Nascita dell’uomo tipografico, Roma, Armando, 1976).

5 Sulla genesi dell’esperienza metropolitana, cfr. Walter Benjamin, Schriften, cit. (trad. it. AngelusNovus. Saggi e frammenti, Torino, Einaudi, 1962).

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lustrazione recupera i repertori iconografici delle precedenti tecnicheespressive (la pittura e soprattutto il disegno, con le convenzioni relati-ve alla rappresentazione grafica del corpo in movimento che ereditiamodai laboratori estetici del manierismo cinquecentesco) all’interno dellanascente industria culturale, ma li subordina alla preponderanza dellascrittura nell’economia politica della comunicazione.

L’illustrazione è tale poiché illustra le parole del testo inscritto nelprocedimento razionale della gabbia tipografica, innestandosi su di essoe nei corpi dei fruitori su un piano ancora marginale, surrettizio, di cor-redo. Non a caso, l’interpretazione etimologica del termine in questionerimanda a significati inerenti l’illuminare, il render chiaro, l’esporre, lospiegare, l’interpretare: illustrare la scrittura significa quindi lavoraresull’accessibilità del suo costituirsi in «testo», ma ancora all’internodelle logiche dello sguardo, di quelle pratiche dell’occhio che costitui-scono la mediazione spettacolare tra identità individuale e pubblico dimassa. Nel puntellare l’immaginazione del pubblico attraverso le illu-strazioni, si diradavano le nebbie della scrittura, il ricorso a termini econcetti dal significato spesso iniziatico (ad esempio: che cos’è il «babi-russa» che spesso ricorre nel ciclo malese di Emilio Salgari? cosa sonogli «alamari» che rendevano eleganti le divise dei moschettieri dumasia-ni?), ma al contempo si moltiplicava il mistero dell’atto comunicativo,l’imprevedibilità del consumo rispetto ai generi e alle loro varianti, il«segreto» del piacere seriale legato agli oggetti industriali della culturadi massa, alla loro ripetizione nel ciclo dell’economia metropolitana.

L’interazione tra differenti codici linguistici, la sistematica contami-nazione di culture e tradizioni del comunicare, rappresenta la condizio-ne imprescindibile di quel principio del lavoro collettivo che ha prodot-to il sistema dei media novecenteschi, sostenendo l’avvento della seria-lità come ideologia e prassi delle nuove modalità di socializzazione. Sericercassimo una semplice linearità in questo processo di ricostruzionedei linguaggi di massa, allora potremmo assumere il dato – in sé neppu-re errato – che l’illustrazione costituisca, nelle sue diverse accezioni estrategie di genere, lo snodo tra Ottocento e Novecento nelle pratichedella comunicazione grafica. Ma una simile lettura ridurrebbe l’inven-zione sociale del fumetto a una operazione interna ai testi, alla loro for-

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mulazione e interpretazione, ai loro rapporti di potere, mentre il proble-ma teorico a cui dobbiamo far fronte si lega alle motivazioni che deter-minano l’estrema disponibilità dello spettatore ottocentesco – ovverodel consumatore di merci culturali che si muove in un’oscillazione sem-pre più frenetica tra lo spazio della scrittura e quello delle immagini – aintegrare nel proprio orizzonte d’esperienza un corpus di tecniche com-plesse come quelle necessarie a governare il rapporto con i cicli simbo-lici dell’immaginario.6

Il motore di questa fase aurorale del medium disegnato va individua-to dunque nel corpo del consumo e nelle sue pulsioni, individuali e col-lettive, nella propensione al desiderio che torna a declinarsi nelle tecni-che del disegno riprodotto a stampa, nell’iteratività originaria del corpoe delle sue immaginazioni condivise. È questa fisicità del fumetto che,per molti versi, anticipa le tendenze più generali dei media audiovisivi:partendo dall’illustrazione, che sembra collaborare da brava ancella allestrategie del testo mentre in realtà complotta contro le sue tradizioni egerarchie valoriali, si arriva a un’espansione esponenziale dello spaziodedicato alle immagini, una crescita accelerata che si lega all’avventodelle masse metropolitane e alla loro azione volta a disinnescare i mecca-nismi di interdizione ed esclusione tipici delle culture letterarie. L’avventodel fumetto, e il suo «imprevedibile» successo nelle pratiche quotidianedella comunicazione novecentesca, va visto in questa prospettiva comel’evento che sancisce il definitivo superamento del dualismo tra imma-gine e scrittura, nonché il conseguimento di un nuovo ordine generaledella comunicazione, configurandosi in definitiva come il terreno prio-ritario di quelle ibridazioni spinte che colgono la natura mutante e ciber-netica del nuovo consumatore.7

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6 Sulla costruzione sociale del linguaggio dei comics, cfr. Sergio Brancato, Fumetti. Guida ai comicsal sistema dei media, Roma, Datanews, 1994.

7 Cfr. Alberto Abruzzese, Analfabeti di tutto il mondo uniamoci, Genova, Costa & Nolan, 1996.

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III.2 Origini della serialità a fumetti

In questa prospettiva, i comics costituiscono la piattaforma espressivain cui il rapporto tra scrittura e immagine ridefinisce le proprie formealla luce della riproducibilità tecnica resa possibile dalla progressivameccanizzazione della stampa come dall’emergere di nuove culture delconsumo. La dimensione seriale di questo processo è centrale. Il fumet-to emerge da due tra le principali filiere produttive che nel corso delsecolo XIX avevano contribuito a far convergere le tradizioni culturalipremoderne nell’alveo delle logiche industriali: da un lato, la produzio-ne letteraria (con il suo correlato di generi e di dispositivi di relazionecon il pubblico); dall’altro, la produzione grafica (con un variegatoretaggio di repertori visivi, tecniche, finalità e canali di diffusione).

Sia la letteratura che l’illustrazione avevano affrontato, perfino primadella rivoluzione industriale, un processo di serializzazione legato almutare delle condizioni del consumo. Ma è con l’avvento pieno delsecolo XVIII e delle sue radicali trasformazioni che entrambi i linguaggisi avviano a trovare soluzioni sempre più spinte verso un’inedita «pros-simità» al corpo sociale. La natura dei supporti tecnici è decisiva: nelmomento in cui la letteratura si ritrova nello spazio testuale e fisico dellastampa popolare, in cui riemerge con forza il problema della «dicibili-tà» del corpo e delle sue pulsioni, essa deve adattarsi alle nuove condi-zioni di consumo attraverso la messa a punto di nuove culture della pro-duzione. L’esempio più emblematico è quello delle pubblicazioni adispense di romanzi. Come accade nel 1836 con Il circolo Pickwick diCharles Dickens, il cui successo senza precedenti costituì il precedenteper una profonda riformulazione sociale del romanzo borghese e del suoruolo nel sistema delle arti.8 A sua volta, già nel corso del Settecento èormai ampiamente diffusa la circolazione delle stampe, soprattutto diquelle satiriche, spesso realizzate da grandi artisti della pittura aperti alsenso del nuovo scenario della comunicazione.9

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8 The Posthumous Papers of the Pickwick Club, abbreviato in The Pickwick Papers. Sulle originidella serialità, cfr. Daniela Cardini, La lunga serialità televisiva. Origini e modelli, Roma, Carocci, 2004.

9 Pensiamo all’estrema modernità del lavoro di William Hogarth (1697-1764), pittore e incisore ingle-se, che ottenne una grande notorietà soprattutto con le sue stampe satiriche e scrisse un trattato estrema-

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Il fumetto delle origini, dunque, si ritrova all’interno di un conflitto diculture che adegua il consumo delle arti ai nuovi modelli di produzioneindustriale. La dimensione seriale del linguaggio si riconduce alla natu-ra della fabbrica, ovvero alla produzione di massa intesa come realizza-zione in serie di oggetti che aderiscono a criteri di standardizzazione.Ma le stesse condizioni del lavoro creativo del fumetto presumonoforme seriali di espressione: generatosi nell’inquieto articolarsi dell’il-lustrazione e dei suoi differenti piani di declinazione, fortemente impa-rentato con le strutture della letteratura di massa (da cui desumerà, a par-tire dal gennaio del 1929, l’applicazione strategica del sistema dei gene-ri – vi ritorno in seguito), il fumetto «nasce» davvero nel momento incui si pone lo stesso problema che permette al cinematografo di trasfor-marsi da tecnologia auto-esibita in un linguaggio espressivo, ovvero nelcinema così come lo riconosciamo e accettiamo. Il problema di cui si staparlando è quello di riuscire, in maniera adeguata alle nuove emergenzeculturali del pubblico metropolitano, a raccontare storie.10

Qui cominciamo a registrare i più profondi processi di diversificazio-ne tra le forme ottocentesche dell’illustrazione popolare e i comics,ovvero di quel particolare medium che – agendo sulla base delle cultu-re grafiche e delle loro tecniche di riproduzione seriale – conquista unaposizione non secondaria nelle dinamiche di interazione tra media nove-centeschi e pubblico di massa. Per alcuni versi sarebbe possibile affer-mare che il fumetto sta all’illustrazione come il cinema sta alla fotogra-fia: in entrambi i casi, lo sviluppo dei due media audiovisivi si fondasulla concatenazione significativa di elementi di base, che nel cinemasono costituiti dai fotogrammi e nel fumetto dalle immagini grafiche,nel quadro di una strategia che traduce il piano narrativo delle singolecomponenti in un racconto strutturato d’insieme. Ma è chiaro che que-sta analogia risulta un po’ meccanica e riduttiva, poiché non tiene contodel contributo di competenze specifiche che ciascun medium richiede alproprio pubblico per potersi attivare. Come a dire che, così come il cine-

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mente innovativo sulle trasformazioni in atto al suo tempo nelle pratiche dell’arte. Cfr. William Hogarth,The Analysis of Beauty (pr. ed. 1753; trad. it. L’analisi della bellezza, Palermo, Aesthetica, 2001).

10 Cfr. Edgar Morin, Le cinéma ou l’homme imaginaire. Essai d’anthropologie sociologique, Paris,Les Éditions de Minuit, 1956 (trad. it. Il cinema o l’uomo immaginario, Milano, Feltrinelli, 1962).

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ma si sviluppa sulla base di una crescita culturale del rapporto tra imma-gine fotografica, antropologia dello sguardo e racconto, in ugual misurail fumetto sviluppa il proprio specifico linguistico sulle tensioni che agi-tano il piano «inquieto» dell’illustrazione, da sempre luogo di scontro econflitti tra codici espressivi, controllo sociale, istanze della sessualità.

Mentre il cinema si rende possibile ed «esiste» nella sua dimensionedinamica, dunque temporale, moltiplicando l’attimo del singolo foto-gramma in una catena semantica organizzata dalla tecnologia ottico-meccanica che ne è alla base, il fumetto mette a punto altri dispositivi –forse perfino più sofisticati, almeno sul piano culturale – per incamera-re il tempo e rendersi, così, compiutamente narrativo. Lo fa dapprimaattraverso un uso sperimentale e spettacolare della prospettiva, o degli«sfondamenti» delle regole di questa (per esempio, nella tensione allu-cinatoria dei trompe l’œil che spesso ricorrono nella fase di sperimenta-zione sociale del medium), e poi definendo i termini grammaticali e sin-tattici della sequenzialità grafica, vera e propria svolta verso l’adesionedel mezzo cartaceo alla nascente cultura degli audiovisivi.

È come se i tradizionali confini dell’illustrazione, contenuti e sagomatidallo spazio della pagina, esplodessero sotto l’azione di un duplice lavo-ro, quello dei creativi eredi delle tradizioni dell’arte impegnati nella defi-nizione di campo della cultura di massa (da James Swinnerton a RichardF. Outcault, da Winsor McCay a Lyonel Feininger) e quello del crescentepubblico dei lettori/spettatori, impegnati nell’elaborazione sociale di unapratica comunicativa capace di integrare gli opposti codici della scritturae dell’immagine. La cornice dell’illustrazione non riesce più a contenereil fermento che attraversa il corpo sociale, le sue tensioni verso una ri-mediazione sostenuta dal progresso tecnologico e dalle mutate condizio-ni ambientali della vita metropolitana.11 Come accade nelle trasformazio-ni di sistema, le vecchie forme si adeguano alle nuove sollecitazioni del-l’utenza sino ad acquisire inedite morfologie. Ma soltanto se cogliamo lacentralità del supporto che ospita lo sviluppo del medium disegnato si

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11 Sui processi di ri-mediazione, cfr. Jay David Bolter – Richard Grusin, Remediation: UnderstandingNew Media, Cambridge (MA), MIT Press, 1999 (trad. it. Remediation. Competizione e integrazione framedia vecchi e nuovi, Milano, Guerini e Associati, 2002).

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rende possibile comprendere appieno gli esiti del processo che qui si staricostruendo: i comics si ancorano sin dall’inizio alle sorti della stampaquotidiana che, nello snodo tra Ottocento e Novecento, soprattutto negliStati Uniti, conquista il ruolo di tessuto connettivo dei moderni stati-nazione. In altri termini, i giornali garantiscono la diffusione delle infor-mazioni necessaria a sostenere i nuovi ritmi di espansione del capitale,riorganizzando le società in direzione di un modello di sviluppo fondatosu produzione e consumi di portata industriale.

Il fumetto si insedia e definisce, all’interno di questa dinamica di tra-sformazione, delle modalità di contatto e conoscenza del mondo moder-no, rientrando nel quadro di quella «invenzione» sociale del tempo libe-ro che rimodella pubblici e confini del consumo culturale,12 e non sareb-be possibile senza l’affermazione della stampa quotidiana come conte-nitore del tempo collettivo e – dunque – politico, un tempo costituitodalle istanze del lavoro come da quelle dello svago. Le prime espressio-ni del fumetto rispondono all’esigenza dei nuovi strateghi della cartastampata (i veri architetti delle grandi catene di giornali, governate daJoseph Pulitzer e William R. Hearst) di allestire nello spazio del quoti-diano un’offerta di generi, modulata tra l’informazione e l’intratteni-mento, in grado di intercettare i diversi bisogni del pubblico di massa.

I comics si evolvono all’interno di questa sperimentazione, volta anegoziare nei consumi metropolitani le nuove forme della comunicazio-ne. Il laboratorio diffuso del cambiamento mediatico si lega così, inevita-bilmente, alla frequenza dei «contatti» tra spettatori del fumetto e appara-ti produttivi, in cui si intrecciano le logiche dell’industria e il lavoro arti-stico finalizzato alla riproducibilità tecnica: dall’erotismo di questi reite-rati contatti, veri e propri sfioramenti libidinali, non a caso riconducibilialla sfera composita del «piacere del consumo» e del «consumo del pia-cere», si definisce il modus operandi della serialità a fumetti, che dopouna dozzina d’anni passa dalla ciclicità settimanale della sunday page (lagrande illustrazione policroma che comincia a ospitare tempi e temi nar-rativi più complessi, organizzando la scansione del racconto attraverso la

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12 Cfr. Gary Cross, Time and Money: The Making of Consumer Culture, London, Routledge, 1993(trad. it. Tempo e denaro. La nascita della cultura del consumo, Bologna, Il Mulino, 1998).

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prospettiva o recuperando la successione in quadri già presente nelle tra-dizioni dell’arte) alla quotidianità della strip, il breve «film» di carta chedal 1907, con il varo della prima daily strip di successo (Mutt and Jeff diBud Fisher), scorre dinnanzi agli occhi del lettore aprendogli una nuova edinamica frontiera della comunicazione di massa.

La serialità dei comics si evolve ininterrottamente, trovando nuovepiattaforme espressive che producono effetti sia sulle estetiche, sia sullaqualità del lavoro intellettuale che ne è alla base. Tra la sunday page e lastrip si instaura una feconda reciprocità: mentre la striscia in bianco enero assolve il compito di coprire la quotidianità con la sua presenzadiscreta e continuativa, che riprende i criteri di scansione a puntate tipi-che del feuilleton, il paginone domenicale a colori riallarga il campo dellaspettacolarità grafica, donando respiro visivo al racconto della serie.

Ormai si è, appunto, a questo: il fumetto si struttura per serie, per lopiù fondate su personaggi dall’immediata riconoscibilità, perpetuando

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A sinistra: Little Nemo in Slumberland (1905) diWinsor McCay.Sopra: Mutt and Jeff (1907) di Bud Fisher.

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così una consuetudine consolidata ma procedendo, gradualmente, allaserializzazione intima dei propri presupposti narrativi; per esempio,affermando la priorità degli apparati produttivi sulla centralità intellet-tuale dell’autore. Sebbene ancorato per lunghi anni all’identità del gene-re comico e scandito da una ritmica del racconto che tendeva ad aprirsie chiudersi nell’arco di un iter sempre uguale a sé stesso, fondato sullaproduttività della ripetizione rituale, il fumetto si attesta sulla prossimi-tà al consumo che l’industria culturale garantisce attraverso l’integrazio-ne organica tra ciclo della merce e struttura elementare del mito, ovve-ro di una narrazione ricondotta alla sua basilare funzione di mettereordine nell’esperienza caotica del mondo.

Solo nella proiezione sugli archi temporali della produzione in seriepuò darsi il radicamento del consumo di fumetto e delle sue specificitàmediatiche. Tutta la storia successiva del medium può essere ricondottaalle strategie che si sono susseguite nel corso del Novecento per aggior-nare il rapporto con le culture del consumo e per adeguarsi alle trasfor-mazioni in atto nel sistema dei mezzi di comunicazione, che inevitabil-mente riposizionavano i comics nell’economia mobile dei media indu-striali, costringendoli così a rifondare le proprie forme a partire dall’or-ganizzazione dell’interfaccia con il pubblico. La serialità a fumetti si èarticolata in un sistema che, moltiplicando i supporti (per esempio, attra-verso la nascita del comic book negli USA, alla metà degli anni Trenta),si è resa in grado di ampliare il proprio orizzonte d’azione, coinvolgen-do segmenti sempre più specializzati di pubblico.

III.3 Origini e strategie della serialità in Italia

La vicenda che si è fin qui ricostruita riguarda per lo più le dinamichedell’industria culturale negli Stati Uniti, la nazione in cui i processi dimodernizzazione hanno avuto modo di svilupparsi in maniera avanzata,riverberandosi sul resto del pianeta. È importante ricordare questa centra-lità, poiché la storia dei media di massa europei si fonda sulla relazione adistanza con il mondo, insieme mitico e alieno, prossimo e distante, degliUSA: non potremmo capire quanto accade al cinema del vecchio continen-

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te negli anni tra la Prima e la Seconda guerra mondiale, per esempio, senon assumessimo il parametro hollywoodiano quale criterio essenzialenello sviluppo delle estetiche filmiche europee, e non solo di quelle.13

Il «riverbero» dello splendore di Hollywood è, in realtà, solo parte di unpiù vasto processo di mitizzazione dell’altro mondo, del Nuovo Continenteche ospita, nel medesimo tempo, il vecchio immaginario esotico (in cuiprimeggia la figura di Calibano, il «selvaggio» pellerossa destinato a testi-moniare in negativo la storia dell’Occidente) e gli esiti futuristici dell’im-maginario tecnologico, entrambi sospesi sullo spazio pluridimensionale diuna «frontiera» che sintetizza in sé i conflitti del Moderno, figurandoli conassoluta efficacia. L’amore per il genere western che gli italiani conferme-ranno nel dopoguerra con il successo senza possibili raffronti di Tex (il piùantico personaggio seriale italiano in attività) o con l’exploit internaziona-le di Sergio Leone (che traduce la serialità connaturata al western su unpiano autoriale) indica, al di là delle considerazioni più banali sull’escapi-smo della cultura di massa, l’intensità con cui il pubblico nazionale perse-guiva la rincorsa ai modelli di vita della modernità.

Ma il vero punto di partenza, che restituisce lo stato del fumetto italia-no delle origini, è senza dubbio costituito dall’esperienza del Corrieredei Piccoli. Certo, non va dimenticato che anche in Italia si registra lamedesima azione genetica dell’illustrazione e del racconto popolari rico-struita, nei precedenti paragrafi, in relazione all’industria culturale d’ol-treoceano, sebbene con numerosi e non secondari distinguo legati all’ar-retratezza di sistema – insieme culturale e tecnologica – del nostro paesein merito all’industrializzazione e alla massificazione della società.Anche da noi la storia delle narrazioni grafico-letterarie vede una fortepreesistenza dell’illustrazione come corredo delle innovazioni lettera-rie,14 ma ovviamente i fermenti sono molto più normativizzati e appesan-titi dal retaggio di una tradizione culturale che penalizza la sperimenta-zione e la messa in discussione delle egemonie consolidate nel testo.

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13 Basti pensare all’influenza delle scenografie hollywoodiane sui riti di massa della politica. Ariguardo, cfr. Sergio Brancato, La città delle luci. Itinerari per una storia sociale del cinema, Roma,Carocci, 2003.

14 Su letteratura e illustrazione in Italia, con particolare riferimento all’orizzonte d’esperienza del-l’infanzia, cfr. Antonio Faeti, Guardare le figure. Gli illustratori italiani dei libri per l’infanzia, Torino,Einaudi, 1972.

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Il 27 dicembre 1908, dunque, può essere assunta come una credibiledata di innesco della comunicazione a fumetti in Italia nella misura incui il Corriere dei Piccoli, sia pure continuando a proporre una serie diattardamenti e di interdetti, manifesta la sopraggiunta disponibilità diproduzione e consumo a confrontarsi sul terreno di un sostanziale rinno-vamento del sistema dei media. Tuttavia, anche qui dobbiamo compren-dere che questo processo presenta tratti meno netti di quanto di solito sisupponga: occorre non dimenticare, infatti, che nel passaggio traOttocento e Novecento il fumetto è, in Italia, solo una delle opzioni pos-sibili perseguite – dapprima in maniera rapsodica, poi con crescenteconvinzione – dalle pubblicazioni che, rivolgendosi alla famiglia, tende-vano a estendere il proprio bacino d’utenza.15

Dunque, in quel primo numero del «Corrierino» (che seguiva prece-denti iniziative similari come Il Giornalino della Domenica di Vamba,alias Luigi Bertelli) solo quattro delle venti pagine sono dedicate afumetti, peraltro concepiti o tradotti nella versione che non prevede ilballoon ma la frase in rima collocata in basso, sotto la cornice dellavignetta, come dire «a sostegno» dell’immagine: la tavola d’apertura,collocata in prima pagina, italianizza col nome di Mimmo il celebre per-sonaggio Buster Brown, creato da R.F. Outcault nel 1902, mentre all’in-terno ritroviamo Maud di Frederick Burr Opper, serie del 1905, ribattez-zata Checca mula scostumata. Non v’è alcun riferimento all’originedelle tavole o dei loro autori, mentre le due storie italiane – l’edificanteMario e Maria e l’assai più interessante Bilbolbul – sono invece firma-te, con il solo nome, da Attilio Mussino.

Il problema giuridico del diritto d’autore si sposa a quello culturaledella legittimità artistica degli autori di comics. Tuttavia, sebbene inmaniera implicita, le modalità dell’esordio dei fumetti sulle pagine del«Corrierino» costituiscono un primo chiaro momento di ibridazione eapertura del consumo nazionale di comics, di incrocio produttivo con gliapparati più evoluti dell’editoria statunitense, una relazione che conti-nuerà nel tempo portando in Italia molti character americani e, al con-tempo, il loro potenziale di innovazione tecnoculturale.

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15 Sulla storia del fumetto italiano, cfr. Claudio Gallo – Giuseppe Bonomi, Tutto cominciò conBilbolbul. Per una storia del fumetto italiano, Zevio (VR), Perosini, 2006.

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Occorre considerare, tuttavia, che anche dall’interno del sistema ita-liano della comunicazione si registrano movimenti in avanti. Le primepagine del Corriere dei Piccoli, in vendita alla domenica al costo di 10centesimi di lira, possono essere inquadrate in un grande processo dimodernizzazione della carta stampata che stava avendo luogo nell’Italiaprimonovecentesca. Il «Corrierino» conferma la politica del Corrieredella Sera – sua testata madre e già allora maggior quotidiano naziona-le – di allargare il raggio d’azione della comunicazione, implementan-done l’accessibilità e variegandone gli obiettivi, per esempio attraversola pubblicazione della Domenica del Corriere (1899-1989), altra impor-tante sperimentazione della comunicazione grafica, stavolta sul pianodell’informazione, il cui percorso finirà inevitabilmente per incrociare lestrade del fumetto italiano e confermare l’avviato processo di interazio-ne funzionale tra differenti media, generi e linguaggi dell’immaginario.In sintesi, è possibile considerare l’integrazione dei pubblici operataattraverso la diversificazione delle testate giornalistico-letterarie delCorriere della Sera un importante segnale dei processi di modernizza-zione delle culture nazionali che caratterizzarono l’età giolittiana.16

Nella sua apparente «ingenuità», il Corriere dei Piccoli funzionacome collettore delle iniziative editoriali che l’avevano preceduto, inau-gurando un nuovo linguaggio – che sarebbe diventato sempre più pre-sente e importante negli anni a seguire – e potenziando il meccanismodell’attesa nel rapporto tra le serie e il loro pubblico: di settimana in set-timana, i lettori del «Corrierino» (non necessariamente «piccoli», poi-ché il target comincia da subito ad allargarsi) rincorrevano le narrazio-ni iterative di Bilbolbul, probabilmente il primo vero personaggio delfumetto italiano,17 e degli altri caratteri disegnati da autori di assolutorilievo quali Antonio Rubino, Guido Moroni Celsi o Sergio Tofano.

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16 Cfr. Claudio Carabba, Corrierino, Corrierona. La politica illustrata del Corriere della Sera,Milano, Baldini & Castoldi, 1998.

17 Almeno nella misura in cui è il primo ad aderire in maniera scoperta e proficua al modello del-l’enfant terrible che, a partire dalle malefatte di Max e Moritz (i monelli terribili creati da WilhelmBusch nel 1865), fornisce al nascente fumetto la principale materia prima della sua affermazione pres-so il pubblico delle famiglie, ovvero una formidabile rappresentazione cifrata del conflitto tra mondodell’infanzia e mondo adulto.

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Proprio al grande Tofano, in arte Sto, straordinario attore teatrale ecinematografico nonché brillante autore di libri per ragazzi, dobbiamol’immagine forse più esemplare del primo modello di serialità italiana,che permise il radicamento del medium disegnato – sia pure con riemer-genti ostracismi che ne limitavano la presenza sul mercato – e il suoaffermarsi come risposta a bisogni e desideri del pubblico: attraverso ilpersonaggio del Signor Bonaventura, apparso nel 1917, si afferma in viadefinitiva lo schema fondato sulla reiterazione delle coordinate del rac-conto, scandito dalla ripetitività della filastrocca che accompagna leimmagini. In un arco di tempo molto lungo, Bonaventura (considerato daalcuni l’ultima maschera della commedia dell’arte) rinnova il mito prov-videnzialistico della ricompensa per la buona azione, toccando la sensi-bilità del «giovane» lettore metropolitano con la qualità seriale delle sto-rie (che garantiscono al pubblico la gratificante emozione del ritrovare ilgià noto) e la sensibilità grafica di un universo narrativo che rende acces-

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Checca mula scostumata (cioè Maud, 1905, di Frederick Burr Opper).

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sibili stili e tonalità della ricerca artistica più aggiornata, rimandando inmaniera costante il fruitore al corpus eterogeneo di riferimenti che costi-tuisce l’essenza della cultura di massa e della sua onnicomprensivitàsocio-semiotica. In un contesto di questo tipo, la stessa persistenza delricorso alla didascalicità in versi della filastrocca sembra rimandare a unasofferta aspirazione di tecnologie audiovisive ancora di là da venire.

Il fumetto italiano, quindi, si origina all’interno di contenitori che rac-colgono frammenti linguistici e soggettività in trasformazione, assem-blando i primi in nuovi assetti strategici e sostenendo le seconde nelconfronto con un universo mediatico estremamente dinamico. Nellepagine del Corriere dei Piccoli si riannodano i fili tra le fondamentaliesperienze della modernità ottocentesca e gli esiti primonovecenteschidella cultura di massa, incontrandosi in maniera non casuale nel corpoin formazione dell’infanzia, nel «fanciullino» o nel «monello» che met-tono in figura le inquietudini di una trasformazione chiaramente in attogenerazione dopo generazione: di lì in avanti, il complesso processo diadeguamento nazionale al «destabilizzante» orizzonte dei media audio-visivi può compiersi, consumando definitivamente la memoria dei testiletterari, che ritroveranno attualità come presupposto e fondamento delcinema e del fumetto, dunque come scrittura soggiacente all’organizza-zione della società dello spettacolo. Al valore innovativo di tale azione,tuttavia, si contrappone ancora la resistenza alla modernità sancita daalcune politiche editoriali. Va ricordato, in tal senso, l’ostracismo diAntonio Rubino e dei suoi successori, tra cui spicca Giovanni Mosca,verso un fumetto reso compiutamente audiovisivo attraverso l’adozionelinguistica del balloon piuttosto che l’ancoraggio alla conservatrice let-terarietà della didascalia.18

Il grande ritardo che affligge l’industria culturale italiana, in sé maidavvero compiuta, è integralmente riconducibile alla scarsa qualità chesempre hanno palesato i suoi segmenti nel procedere per sinergie.19

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18 Cfr. Sergio Brancato, «La malinconia della voce fuori campo: confondere i ruoli tra autore, per-sonaggi e lettore. Appunti su Eisner, Micheluzzi e Miller», in Daniele Barbieri (a cura di), La lineainquieta. Emozione e ironia nel fumetto, Roma, Meltemi, 2005.

19 Cfr. David Forgacs, Italian Culture in the Industrial Era 1880-1990: Cultural Industries, Politicsand the Public, Manchester – New York, Manchester University Press, 1990 (trad. it. L’industrializ-zazione della cultura italiana, 1880-1990, Bologna, Il Mulino, 1992).

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Questo è il motivo per cui le singole esperienze nazionali hanno semprefatto fatica a interagire tra loro, dunque ad arricchirsi reciprocamenteattraverso lo scambio di professionalità, tecniche, competenze creative eimprenditoriali. Il fumetto italiano non si affranca da questa condizione,e procede per lente innovazioni e assai più rapide appropriazioni degliscatti tecnici e linguistici che si verificano altrove: come a dire che illavoro del consumo risulta in quegli anni più efficace e nell’insieme deci-sivo rispetto a quello degli apparati produttivi e delle egemonie culturaliche li abitavano. Uno di questi scatti è costituito dallo snodo tra la pagi-na domenicale e la striscia, a cui segue – in maniera forse inevitabile –l’affrancamento del medium dalla centralità del genere comico, sin lìfavorita da due fattori: in primo luogo, il retaggio di una tradizione che,almeno da Rodolphe Töpffer20 in poi, aveva privilegiato un uso satirico egrottesco del mezzo grafico di massa; in secondo luogo, lo spostamentodei comics verso aree di consumo più estese, ormai non più limitateall’identificazione generazionale con la fruizione infantile.

A partire dal 1929, infatti, grazie al successo ottenuto – prima negliUSA e poi, rapidamente, nel resto delle nazioni occidentali – dalle seriededicate a Tarzan con i disegni di Harold Foster e a Buck Rogers di PhilNowlan con i disegni di Dick Calkins (in un binomio che esaltava i valo-ri tradizionali dell’esotismo e quelli innovativi della science fiction), ilrepertorio di genere del fumetto comincia ad ampliarsi velocemente,innervandosi alle mutazioni di ordine generale che investivano i proces-si della comunicazione. Va infatti ricordato che nel 1926-1927 si assistealla nascita del cinema sonoro e parlato, grazie all’iniziativa della WarnerBros. di applicare al medium filmico la nuova tecnologia del Vitaphone,una delle innovazioni legate al mutare del rapporto con la comunicazio-ne sonora, che negli anni Venti vede una prodigiosa accelerazione legatasoprattutto alla prima diffusione della radiofonia. In Italia è soprattutto laradio, individuata dal regime fascista quale medium dagli interessantisviluppi propagandistici, a seguire le tendenze internazionali.

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20 Rodolphe Töpffer (1799-1846) è stato un versatile artista svizzero. Scrittore e illustratore di note-vole successo, viene da molti considerato uno dei padri fondatori del fumetto. Nel 1833, infatti, diedealle stampe – grazie anche alle pressioni di Goethe, suo entusiasta lettore – il libretto Histoire deMonsieur Jabot, una sequenza di vignette corredate da poche righe di testo che Töpffer replicherà inaltre opere basate, serialmente, sul medesimo personaggio e dispositivo.

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In uno scenario che vede ampliarsi l’orizzonte quantitativo e qualitati-vo dei media, nonché il loro caratterizzarsi in modo sempre più compiu-tamente narrativo, il fumetto registra un salto in avanti delle tecniche edelle possibilità espressive, uno scatto leggibile soprattutto nella rapidaproliferazione dei generi – desunti dalla letteratura come dal cinema –che rimettono in discussione, tra le altre cose, i consueti modelli della suaserialità. Nel corso degli anni Trenta, così come era accaduto all’iniziodel secolo, in Italia assistiamo a una svolta nelle strategie seriali dell’of-ferta di comics: la reiterazione schematica delle tavole alla Bonaventurasi evolve in una narratività più sofisticata, che trova il proprio spazio incontenitori spinti sul piano dell’avventura, intesa come genere «disnodo» in grado di incamerare l’energia generata dalle trasformazioni delpubblico e dalla sua incessante attività di riformulazione dell’immagina-rio. Ciò che occorre sottolineare, nell’ambito di tale dinamica, è cheall’arricchirsi del bouquet mediatico a disposizione del pubblico corri-sponde un significativo atteggiamento di quest’ultimo a operare contami-nazioni linguistiche e crossover narrativi tra i singoli media, spingendole logiche della serialità in direzione di una sempre più spinta e proficuaintermedialità.

Alle strategie editoriali rivolte a un’infanzia dal sapore ancora otto-centesco, coltivata attraverso una pedagogia intrisa di cattolicesimo eun’utopistica presunzione di controllo sui processi della comunicazione,si sostituiscono velocemente dinamiche di serialità assai diverse, maegualmente in grado di incontrare e affiancare i vettori della trasforma-zione sociale. Coadiuvata dall’importazione coatta dei prodotti america-ni, si realizza una coincidenza sempre più spinta tra modelli di serialitàe immaginario: il disegno si fa coinvolgimento corporeo, cifra sessualedi un desiderio espanso in molteplici direzioni, spostamento visivo ana-logo alla dirompenza spaziotemporale del cinema, e così anche la sce-neggiatura delle storie, che sviluppa un armamentario di tecniche sofi-sticate in grado di narrare storie dal respiro sempre più articolato.

Se il Corriere dei Piccoli e le altre pubblicazioni che ne imitano il pro-filo hanno proposto la figura centrale del bambino, individuando in essala possibilità di mettere in scena la dimensione del conflitto in un qua-dro narrativo sostanzialmente normativizzato, sulle pagine di Jumbo,

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L’Audace, l’Intrepido e L’Avventuroso (tutti varati nella prima metàdegli anni Trenta) cominciano ad apparire le immagini di un’adolescen-za inquieta, in qualche misura essa stessa metafora del fumetto italiano,un medium «giovane» ma non più «infantile» che – sia pure nella con-dizione di subalternità alle industrie culturali più avanzate – comincia asviluppare caratteri originali e sorprendentemente moderni rispetto adaltri settori della produzione culturale nazionale.

Alle storie che si allungano, spezzando la danza circolare della vec-chia serialità e le sue esasperate reiterazioni narrative, corrisponde ilprogressivo abbandono della didascalia a favore del balloon, ovvero diuna convenzione espressiva finalizzata a un avanzamento complessivodelle culture del medium disegnato verso la fisicità della comunicazio-ne audiovisiva. All’interno della «nuvoletta» che, a quel punto, divente-rà il nome stesso della «cosa» in questione (fumetto, appunto), si racco-glie il nuovo corpo del consumo delle forme estetiche, generando lacompetenza necessaria a superare un determinato ordine storico degliassetti mediatici.

Il superamento della didascalia non comporta, dunque, una semplicedifferenza estetica: è la stessa forma del fumetto che ne viene ridefinita,aprendosi a un universo di pratiche assai diverso dal passato. L’aprirsi delmedium ai generi, poi, costituisce il pieno superamento dell’Ottocento edelle sue strategie comunicazionali: con l’ingresso nei piani espressividell’avventura (sia essa collocata nel passato, nel presente o nel futuro,su questo mondo o in altri), il fumetto produce uno scatto forte all’inter-no delle proprie tecniche e delle proprie culture, riorganizzando identitàe prassi professionali dei suoi autori così come la fisionomia del propriopubblico. Rispondendo a un’esigenza di cambiamento così determinata ediffusa da aver luogo anche in Italia, sia pure attraverso modalità auten-ticamente borderline nei riguardi del lavoro intellettuale.

Nelle mirabolanti vicende a puntate di Mandrake (di Lee Falk e PhilDavis, 1934) o L’Uomo Mascherato (The Phantom di Lee Falk, 1936),parziali italianizzazioni di famosi character statunitensi, oppure in perso-naggi più autarchici quali Furio Almirante (1940, di G.L. Bonelli e Carloe Vittorio Cossio), Capitan L’Audace (1939, di Federico Pedrocchi, Wal-ter Molino e Edgardo Dell’Acqua) o il formidabile Dick Fulmine (1938,

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di Vincenzo Baggioli e Carlo Cossio, autentica cartina al tornasole deldialogo a distanza con l’immaginario internazionale), il disegno perdel’astrattezza caricaturale e antinaturalistica delle origini spostandosi sulrecupero delle tecniche della verosimiglianza grafica, approdando cosìa un nuovo equilibrio nel rapporto tra immagine e testo nella comunica-zione a stampa.

In questo transito di tecniche e immaginari, la basilare vocazione dellaserialità industriale si scopre in modo definitivo: essa è infatti tesa aricucire corpi e distanze all’interno delle proprie piattaforme espressive,cortocircuitando tra loro le diverse narrazioni del mondo; a interromper-si costantemente, puntata dopo puntata, senza mai fermarsi davvero; ascandire il tempo del consumo organizzandone grammatiche, economie,politiche.21 Allo stesso modo del cinema, con cui stringerà un’alleanzasempre più stretta, il fumetto trova il proprio destino storico nella figu-razione della modernità industriale, di cui incorpora scopertamenteideologie, tecnologie, immaginazioni.

III.4 Un più moderno narrare: la serialità multimediale

Gli anni Trenta costituiscono, anche in Italia, il punto di massima strut-turazione dell’industria culturale. L’albo a fumetti, inaugurato da piccolieditori coraggiosi quali Giuseppe Nerbini o Lotario Vecchi, funzionacome un contenitore in grado di aderire a quelle che sono le trasforma-zioni del consumo e delle sue aspettative, allontanandosi dalla matricedel giornale quotidiano per approdare a una formula più vicina alla gran-de innovazione vissuta dal medium nello stesso periodo in America: l’in-venzione del comic book, ovvero di un supporto specifico in grado diintercettare le identità dei nuovi «spettatori» del fumetto, ormai moltodistanti dall’idea di pubblico scarsamente specializzato del «Corrierino»e già spostati in un orizzonte che presuppone l’interazione culturale tra ivari linguaggi che definiscono il moderno sistema della comunicazione.

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21 Cfr. Gino Frezza, La scrittura malinconica. Sceneggiatura e serialità nel fumetto italiano, Scandicci(FI), La Nuova Italia, 1987.

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Dopo il secondo conflitto mondiale questo processo registrerà un’ul-teriore accelerazione, legata al mutare delle condizioni politiche delconsumo culturale nel transito dal regime fascista alle egemonie cattoli-ca e comunista. Alcune testate storiche si eclissano, altre sopravvivonorinnovandosi (per esempio Il Monello, che sperimenterà per molto altrotempo le nuove forme della serialità a fumetti). Altre ancora nasceran-no, segnalando ulteriori metamorfosi di sistema. Tutte queste esperien-ze saranno caratterizzate dal loro rimandare a evoluzioni di ordine gene-rale che riconfigurano le forme della serialità. Testate come l’Intrepido,per esempio, si trasformano nel tempo in collettori delle nuove estetichedella cultura di massa, delle innovazioni relative agli immaginari e ailinguaggi, restituendo dapprima la loro prossimità al cinema con storiee disegni (esemplari quelli di Walter Molino) dalla chiara qualità para-cinematografica, prima di elaborare – a partire dagli anni Sessanta – una

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Dick Fulmine (1939) di Vincenzo Baggioli e Carlo Cossio.© Eredi Baggioli e Cossio e ulteriori aventi diritto.

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modalità che invece integrava nella gabbia delle tavole i ritmi e la scrit-tura serrata del telefilm (sintomatici, in tal senso, personaggi come BillyBis, Ghibli, Crystal).22

Nell’insieme, i dispositivi editoriali del fumetto italiano seguirannouna linea di diversificazione che finirà per coprire un’estesa geografiadella fruizione di comics. Una delle esperienze più interessanti è senzadubbio il Topolino di Mondadori, che raccoglie l’eredità di Nerbini giànel 1935, ma che solo nel dopoguerra, a causa di alcune contingenze,muta il formato dell’albo disneyano intervenendo, così, anche sulla suastruttura seriale. È in questo snodo postbellico che si definiscono i carat-teri peculiari della produzione italiana dei fumetti Disney, differenti daquelli statunitensi per una maggiore attenzione alle dinamiche di seria-lità e di intertestualità, in una logica che porterà topi e paperi a dialoga-re strettamente dapprima con i classici della letteratura, poi con le nuovemitologie degli altri media.

A partire dagli anni della ricostruzione e in prossimità del boom eco-nomico, nel Topolino di Mondadori e nelle serie avventurose come il Texbonelliano si afferma un principio nuovo – in qualche misura più indu-

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22 Billy Bis e Crystal, creati nel 1965 da Antonio Mancuso e Loredano Ugolini; Ghibli, di AntonioMancuso e Lino Jeva (1972).

Tex nel caratteristico formato albetto a striscia del secondo dopoguerra.

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striale – dei criteri di produzione. Il sentimento viscerale del lavoro con-creto, pienamente «artigianale», che aveva animato l’esperienza delfumetto italiano delle origini, comincia a incrinarsi già negli anni Trenta,come detto, in virtù di nuove generazioni di disegnatori e sceneggiatoriche si confrontavano con un’editoria che si modernizzava sul piano delletecniche ma soprattutto su quello delle culture professionali.

Alcune realtà risultano più esemplari di altre. Lo sviluppo di TexWiller da personaggio dei piccoli albi economici in forma di striscia, checaratterizzarono l’Italia del dopoguerra a causa della persistente crisidella carta (1948), all’albo mensile di cento pagine (1958), si riconducea due dinamiche convergenti. La prima è la crescita della domanda siain termini di quantità che di qualità seriale: qui si lega la necessità diallargare il parco autori, passando dal rapporto di «possesso» della seriedi Gian Luigi Bonelli e Aurelio Galleppini – che avevano realizzato laprima fase della vita seriale di Tex – al coinvolgimento di altri collabo-ratori, per esempio Giovanni Ticci e Guglielmo Letteri, in grado di soste-nere l’aumento di tavole mensili che il nuovo formato e il nuovo mecca-nismo seriale avevano prodotto. La seconda riguarda la mutata condizio-ne di contesto del fumetto italiano, che comincia ad affrontare la concor-renza del medium televisivo, una competizione sempre più agguerrita nelcorso degli anni Sessanta e Settanta, prima di scontrarsi criticamente sul-l’avvento generazionale dei videogame, impatto questo che riposizionaradicalmente i comics nell’economia generale dei media.

La serialità continua a trasformarsi, in accordo con le motivazioni delconsumo, le sue finalità, le sue differenti disponibilità di spesa, la suaattenzione verso ciò che accade di interessante nei territori dei singolimedia. Il mutare dei formati editoriali rimanda anche all’uso che il pub-blico fa dei contenuti che reperisce all’interno delle nuove formule diofferta. L’aumento della durata di lettura degli episodi di Tex (e la loropiù diradata scansione mensile) sancisce l’avvento di un consumatore piùconsapevole, meno episodico, ma anche di un sistema della comunica-zione più integrato e affidabile nelle sue componenti. Il Tex mensilecostituisce quindi un affinamento della serialità a fumetti, sebbene nelformato e nelle stesse logiche narrative esso anticipi un oggetto in appa-renza antitetico, quel graphic novel che taluni pongono come alternativa

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alle logiche della serie e che invece di queste rappresenta l’ultimo appro-do, quello più efficiente in un orizzonte caratterizzato da forti processi dide-massificazione culturale; l’esempio più chiaro è Corto Maltese, natocome personaggio «singolare» per poi ritrovarsi ampiamente serializza-to fino alle sue traduzioni transmediali e in un ampio merchandising.

Anche questo è spesso un argomento su cui grava il fraintendimentoche vuole la serialità come inconciliabile al contributo d’autore e allasacralità dell’opera finita in sé.23 Si tratta del punto di vista apocalittico dichi continua a vedere l’arte e la fabbrica come opposte tra loro. Nel dopo-guerra, in realtà, comincia in Italia una stagione assai ricca di fermentiche scindono le strategie del fumetto in due direzioni: da un lato, lamodernizzazione del medium attraverso l’accettazione, più o meno pale-se, della sua natura industriale e della necessità di fare i conti con essa inmerito alle strategie di produzione e alle logiche di serializzazione; dal-l’altra, il medesimo recupero delle ideologie dell’autore che caratterizza-vano anche il nostro cinema, riaffermando il ruolo sociale del creativo ela necessità di concepire l’opera come chiusa e definita in sé.

In questa apparente dicotomia ideologica cogliamo l’eco dei conflittiche avevano animato sin dalle origini il dibattito sulle forme e i modellidella cultura di massa. Pensiamo all’esperienza di un editore come SergioBonelli, che diventa la maggiore espressione del fumetto italiano grazie aun’organizzazione del lavoro sospesa a metà tra modelli artigianali, in cuiancora si rende riconoscibile il contributo personale dei singoli autori, edimensioni della fabbrica, necessarie a raggiungere i traguardi imprendi-toriali e le grandi tirature di massa. La necessità di ridimensionare il por-tato artigianale della casa editrice Bonelli in favore di una sua più marca-ta dimensione industriale non riguarda soltanto il rapporto tra lavoro intel-lettuale (con tutto il suo corredo di retaggi e tradizioni) e lavoro astrattodella fabbrica: l’industrializzazione del fumetto italiano, sulla scorta diquello degli altri paesi occidentali, costituisce la risposta a un nuovo equi-librio tra i soggetti in gioco nelle pratiche della comunicazione. In altri ter-mini, la serialità – con il suo insieme di regole – non riguarda unicamen-

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23 Cfr. Sergio Brancato, Senza fine. Immaginario e scrittura della fiction seriale in Italia, Napoli,Liguori, 2007.

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te i livelli della produzione, ma anche quelli del consumo e dell’interpre-tazione sociale dei testi, aspetti sempre più caratterizzati da incroci testua-li, rimandi ad altri immaginari e linguaggi, partecipazione attiva del pub-blico alla definizione di materiali e architetture del prodotto stesso.

La serialità, in quest’ottica, non costituisce soltanto un processo di otti-mizzazione delle risorse nel quadro del ciclo economico, quanto un pro-cesso di incessante adeguamento della società nel suo insieme alle trasfor-mazioni che investono tecnologie e culture: essa costituisce l’ambito incui si progettano i testi nella loro dimensione di mediazione tra le diversesoggettività sociali e l’esperienza individuale. È sintomatico che il conflit-to tra modelli di serialità implicito nella contrapposizione tra albi allaBonelli (il più efficiente dispositivo di veicolazione della forma fumettoin Italia, visto che funziona ancor oggi in relazione a personaggi e seriedai caratteri assai diversi da quelli di Tex, confermando la possibilità diuna lunga serialità anche nei comics) e la rivista-contenitore per adulti,che vive il suo momento di gloria negli anni Ottanta, si risolva per deci-sione del pubblico in una sostanziale sconfitta del fumetto d’autore, inca-pace di interpretare i mutamenti di sensibilità verso il medium e museifi-catosi ben presto in una ricerca di legittimità artistica non più sostenibilenell’universo della comunicazione globale. A questa crisi della rivista cor-risponde, in generale, anche un sostanziale decadimento della strip, cheormai trova – anche negli USA – grande difficoltà a confermare i propriconsueti spazi di presenza all’interno della stampa quotidiana.

Siamo al cospetto di nuove, radicali trasformazioni dello scenario dellacomunicazione che stanno ridisegnando le piattaforme mediali a noi note.La serialità dell’odierno fumetto italiano si presenta come espressioneparticolare di un sistema dei media fortemente appiattito sulle logichedella televisione, e al contempo animato da tensioni profonde provenien-ti dai territori emergenti della comunicazione in rete. Ne ritroviamo letracce se osserviamo oltre la grande evidenza dei pochi imprenditori cheancora lavorano nell’ottica strategica dell’editoria di massa, gettando losguardo sul frantumato arcipelago dei piccoli editori in cui si sperimenta-no le forme del nuovo e si ospitano le nuove emergenze generazionali.

Negli anni Sessanta la concorrenza del nascente medium televisivoaveva portato la serialità a fumetti a spostarsi su un piano fortemente con-

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correnziale e dai caratteri perfino «sovversivi», intraprendendo nuovi sen-tieri di genere (per esempio, anticipando la tendenza del cinema all’este-tica dell’eccesso attraverso personaggi e serie del fumetto nero).24 Gli anniOttanta, invece, erano stati caratterizzati da una massiccia convergenzadell’immaginario in serie (da Martin Mystère a Dylan Dog) capaci diaccendere una partecipazione attiva del lettore attraverso la continua sol-lecitazione al riconoscimento del già noto, dunque a un’emozione collet-tiva fondata sul ritrovamento di sé stessi nel quadro complessivo del rac-conto.25 Superata anche questa fase, il fumetto italiano si ritrova oggi difronte alla spiazzante possibilità di un radicale mutamento dei propri con-sueti supporti: nelle pratiche sempre più diffuse del web, il medium (sem-pre meno) disegnato potrebbe indicarci delle prospettive di trasformazio-ne del tutto esterne alle sue tradizioni e alle sue identità storiche, fino aperdersi in flussi e azioni sociali incontenibili per qualsiasi museo.

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24 Cfr. Sergio Brancato, «Da Occidente a Oriente. Trasformazioni del fumetto in Italia», Comunicazionisociali, anno XXIII, nuova serie, n. 1, gennaio-aprile 2001.

25 Cfr. Jordi Balló – Xavier Pérez, Yo ya he estado aquì. Ficciones de la repeticiòn, Barcelona, EditorialAnagrama, 2005 (trad. it. Io sono già stato qui. Fiction e ripetizione, Napoli, Ipermedium, 2007).

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Nel 2008 il fumetto compie in Italia cento anni. Il 27 dicembre 1908, con il primo numero del Corriere dei Piccoli, «comincia l’avventura» dei nostri comics, giocata sull’interpretazione creativa dei modelli inter-nazionali e su di una peculiare capacità di tessere nar-razioni in grado di restituire, in filigrana, le identità na-zionali e le loro trasformazioni. La storia della comuni-cazione e la sociologia dei processi culturali hanno dimostrato che il fumetto è un medium compiutamen-te strutturato e codificato, capace di evolversi in ma-niera autonoma ma di continuare a dialogare con gli altri linguaggi dell’industria culturale. Le celebrazioni del centenario possono dunque avere un significato finché costituiscono un momento di riflessione e di aggiornamento dei saperi sui comics. Il sociologo Sergio Brancato ha sollecitato un gruppo di studiosi, scelti fra i più assidui frequentatori del- l’immaginario disegnato, a esprimersi sullo stato del fumetto nella nostra società. I saggi che compongono questo libro costruiscono un tessuto teorico e discor-sivo che si propone di contribuire a fare del centena-rio il pretesto per un rinnovamento, ormai inderogabi-le, della cultura dei comics nel nostro paese.

Euro 18,50

Illustrazione di Daniele InchingoliCopyright © Tunué

Il secolo del fumettoLo spettacolo a strisce nella società italiana1908-2008

A cura di Sergio Brancato