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IMPRONTE In TERRA BUONA “In trasformazione. Un lavoro da conservare” Progetto promosso dal Tavolo Gol di Biella Sapori e memorie dalla galera A cura di Soc. Coop. Soc. Oltreilgiardino Onlus

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IMPRONTEIn

TERRA BUONA

“In trasformazione. Un lavoro da conservare”Progetto promosso dal Tavolo Gol di Biella

Sapori e memorie dalla galera

A cura di Soc. Coop. Soc. Oltreilgiardino Onlus

Il progetto è stato realizzato grazie al co-finanziamento dei Partner, al contributo dei privati e soprattutto grazie al contributo della Compagnia San Paolo di Torino

Linee guida in ambito carcerario - Edizioni 2012

Progetto Grafico Enrico AllortoIllustrazione di copertina di Nicolae ToperceanStampa realizzata da “Quelli di via Sforzesca” - Casa Circondariale di Novara, Dicembre 2013

Il progetto si è svolto all’interno della Casa Circondariale di Biella dal mese di marzo a novembre 2013

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“In trasformazione. Un lavoro da conservare”Progetto promosso dal Tavolo GOL di Biella

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TERRA BUONASapori e memorie dalla galera

A cura di Soc. Coop. Soc. Oltreilgiardino Onlus

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Progetto Libero: un impegno per le carceri

L’impegno della Compagnia in tema di carcere e post carcere da anni è orientato principalmente nel dare opportunità di formazione e occupazione dentro gli istituti penitenziari e di reinserimento sociale dei detenuti a fine pena ed è motivato, oltre che da un forte riferimento ai principi dell’art. 27 della Costituzione, dalla funzione di prevenzione della recidiva che progetti mirati possono svolgere. Non a caso abbiamo attribuito alle Linee guida in ambito carcerario il nome di “Progetto Libero”, a conferma dell’impegno prioritario verso il recupero dell’autonomia e di una qualità di vita accettabile per i detenuti e per le loro famiglie, in un contesto progettuale che offre una metodologia di selezione più razionale e strutturata.Questo impegno dal 2006 a oggi, si è concretizzato in più di 15 milioni di euro investiti dalla Compagnia di San Paolo in questo ambito, attraverso un’attività di grant making a sostegno di cooperative sociali operanti per la formazione e l’inserimento lavorativo di detenuti ed ex detenuti e associazioni di volontariato per assicurare servizi essenziali o occasioni di socializzazione all’interno degli istituti, oltre che a sostegno del Polo Universitario, in collaborazione con l’Università di Torino nel quadro della convenzione in atto con la Compagnia.Accanto a tali interventi, la Compagnia – in collaborazione con il suo ente strumentale Ufficio Pio - promuove e gestisce direttamente a Torino anche due progetti di innovazione sociale: LOGOS, a favore di persone in uscita dal carcere che intendono utilizzare le opportunità di recupero dell’autonomia lavorativa e abitativa avvalendosi di una rete di soggetti pubblici e privati che operano in stretto contatto con l’Area politiche sociali e lo staff dei consulenti esterni; NOMIS per minori stranieri entrati nel circuito penale, mirato a intercettare, non solo attraverso il Centro Giustizia Minorile ma anche direttamente dalla strada, giovani stranieri a rischio di devianza, offrendo loro una pluralità di opportunità abitative, formative, lavorative e aggregative.Con riferimento alle iniziative sostenute in ambito carcerario dalla Compagnia è in programma un convegno nazionale per

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ottobre 2014, che altresì è occasione di verifica e di valutazione della riuscita, delle ricadute e dell’efficacia nel tempo di progetti sostenuti e realizzati in questi anni, specie con riferimento al tema della sostenibilità e riproducibilità degli stessi.

Dott. Matteo BagnascoCompagnia di San Paolo

Riscoprire l’uomo

Le storie che fanno da sfondo ai racconti raccolti nel presente lavoro vogliono provare a narrare come sia possibile, da soli o insieme, nel lavoro come nella vita privata, ritrovare speranze e progetti, pur dentro ad una realtà all’apparenza così confusa e dura. E vogliono essere segno, piccolo ma certo, di come proprio nelle difficoltà sia possibile riscoprire l’uomo, chi gli sta accanto e tutto ciò che dà senso al tempo.Il progetto “In trasformazione” rappresenta una risposta difficile ma possibile al bisogno di cambiamento dei suoi destinatari, dei Partners e degli operatori tutti, ciascuno per la propria parte.Un grazie all’Amministrazione Provinciale di Biella nella sua preziosa attività di coordinamento del Tavolo GOL e alla Compagnia San Paolo di Torino che ha creduto nel progetto sostenendolo.Non mi resta che auspicare con rinnovato entusiasmo buon lavoro e felice cambiamento a tutti coloro che saranno impegnati nel progetto “In trasformazione” 2014.

Antonella GiordanoDirettore della Casa Circondariale di Biella

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Presentazione del Progetto“IN TRASFORMAZIONE. UN LAVORO DA CONSERVARE”

GRAZIE A….Il progetto “In trasformazione. Un lavoro da conservare” nasce da una concertazione tra molti attori del territorio biellese che fanno parte del Tavolo GOL, cioè il “gruppo operativo locale” composto dalle svariate Organizzazioni pubbliche, private e del Terzo Settore che si occupano di tematiche penitenziarie.Il progetto ha potuto trovare realizzazione principalmente grazie al contributo della Compagnia San Paolo di Torino. Il finanziamento di Banca Simetica e il co-finanziamento dei Partner del progetto hanno permesso di mantenere invariate le linee di intervento previste.

L’IDEA PORTANTE: FORMAZIONE, PRODUZIONE, SOCIALIZZAZIONEL’idea portante del progetto consisteva nella realizzazione di un percorso esperienziale per un gruppo di persone ristrette all’interno della Casa Circondariale di Biella: l’attività formativa ha riguardato l’orticoltura e la pratica della trasformazione dei prodotti dell’orto. In un piccolo appezzamento di terreno all’interno delle mura del carcere, accompagnati e sostenuti dai nostri Docenti, i partecipanti al corso hanno potuto mettere in pratica le nozioni apprese.E’ così che, davanti ad occhi quasi increduli, quel piccolo spazio esterno (fino a quel momento maltrattato, incolto e sporco) ha iniziato a prendere nuove forme: i solchi per i filari, le aiuole delle aromatiche, nuove geometrie.La terra smossa e odorante è stata un toccasana per mani che iniziavano a dimenticarne la consistenza. La fatica di un lavoro duro e salutare ha messo alla prova questi ragazzi giovani ma oramai disabituati a sforzi fisici.Il profumo delle aromatiche ha invaso il corridoio delle aule, ha stimolato ricordi, ha esaltato le ricette, ha mosso sensazioni.La fase finale della produzione di prodotti che portassero anche fuori dalle mura del carcere una testimonianza del lavoro svolto ha amplificato l’impegno: il terreno incolto è diventato orto imprenditoriale, i prodotti dell’orto sono diventati fonte di “ispirazione”, le persone sono diventate “gruppo”, l’idea di far uscire “un pezzo di lavoro” dal carcere è diventata prodotti, libro, testimonianze, logo, immagini, slogan, fantasia, marketing, invenzione.

IN TRASFORMAZIONEMa l’aspetto innovativo del progetto è stato di aver offerto ai partecipanti al percorso formativo anche l’opportunità di usufruire parallelamente di un sostegno attraverso i colloqui motivazionali di gruppo: i semi si possono “seminare” in molti modi, e la dimensione del “prendersi cura” ha svariate valenze.Queste considerazioni le abbiamo rivolte non solo alle persone ristrette, ma anche a noi Operatori che ci occupiamo del mondo penitenziario: proprio perché in questi anni

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abbiamo spesso lavorato insieme e costruito interventi di co-progettazione, l’intento era di “conservare il lavoro” svolto. Allo stesso tempo però abbiamo avvertito il bisogno di attivare nuove potenzialità: come in un processo di trasformazione culinaria gli stessi ingredienti possono sprigionare sapori nuovi, anche noi volevamo apprendere nuovi linguaggi. Siamo partiti dal condividere un percorso formativo comune, che ci ha permesso non solo di acquisire le basi di una metodologia, ma anche di conoscerci un po’ di più.MENTRE “SI TRASFORMA”….La realizzazione del progetto è stata complessa: all’interno di un carcere organizzazione e dinamiche sono molto diverse da quanto avviene al di fuori, il livello di attenzione è amplificato, le rigidità tutelano la sicurezza, i cambiamenti possono creare tensioni. Ma mentre ci adoperavamo per “trasformare la terra”, abbiamo tutti insieme contribuito a trasformare qualcosa di più!L’Area Trattamentale ha “sopportato” e supportato le nostre continue richieste, il Personale di Polizia Penitenziaria ha colto il significato trattamentale del progetto e ci ha offerto collaborazione, la Direzione ha autorizzato le varie fasi produttive.Piano piano i nostri interventi (il corso di formazione, i colloqui motivazionali, i colloqui di supporto interculturale) sono stati riconosciuti come “attività trattamentale”. Da più parte ci sono stati rimandati i benefici ottenuti anche rispetto ai partecipanti (maggiore serenità, nuovi argomenti, stanchezza fisica e rilassatezza mentale, spirito di gruppo).Speriamo di avere lasciato “un’impronta” di …. trasformazione.

IMPRONTE, in terra BUONAOgni tanto i miei bambini mi fanno domande sul carcere: “mamma, ma le persone sono in prigione per imparare ad essere buone?” Da molti anni mi occupo di inserimento lavorativo e sociale di persone che hanno espiato una pena detentiva: occupandomi di coloro che hanno concluso l’esperienza carceraria posso osservare anche l’efficacia del trattamento penitenziario e la forza rieducativa della pena. Spesso i risultati sono deludenti, se si ragiona con i numeri.Ma noi Operatori del Sociale non possiamo fermarci ai numeri. Prima di vedere dei “detenuti”, noi vediamo delle “persone”, prima di ricordarci del reato noi dobbiamo pensare alle risorse attuali e a quelle attivabili.Prima di pensare che l’impatto con la realtà sarà più forte e più travolgente di qualsiasi auspicio, noi dobbiamo credere che qualche volta i semi daranno dei buoni frutti. E i frutti di questo nostro progetto sono tante impronte che noi speriamo percorrano strade “buone”, strade di “trasformazione”.

Luisa Barberis Negra, CounsellorSoc. Coop. Soc. Oltreilgiardino

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LA PAROLA ai PARTNER del PROGETTO

Il TAVOLO GOL: PROMOTORE dell’iniziativa

In Piemonte sono attivi da molti anni i Gruppi Operativi Locali.Si tratta di tavoli tematici, composti da istituzioni pubbliche ed enti del terzo settore, sorti in Piemonte e posti sotto il coordinamento delle Province, per rispondere all’esigenza di predisporre progetti d’intervento integrati, a favore di soggetti che presentano o hanno presentato problemi di natura penale.Chi sconta una pena è stato ed è un cittadino e tornerà al territorio di appartenenza, prevedere interventi in suo favore vuol dire operare per restituire alla società una persona con maggiori probabilità di reinserimento.

Siamo nei tempi che la storia indicherà come quelli della “Grande Crisi”, questa etichetta per noi si è declinata nella ferma volontà di dare delle risposte utili e sensate nonostante il totale venir meno delle risorse, un tempo messe a disposizione dalla Regione.Ci si è imposto il ripensamento sia delle strategie di “fund raising” che delle modalità dicollaborazione tra istituzioni pubbliche e private. Nella ridefinizione dei ruoli sempre piùimportanza acquista la messa a disposizione di risorse materiali e di competenze che rendono implementabili i progetti.In questo particolare contesto, lo sforzo che ha mosso il GOL di Biella nel progetto qui illustrato, è stato quello di tentare di fornire strumenti non consumabili, riutilizzabili nella vita dalle persone sia durante che dopo lo stato di detenzione.

Lo diciamo con l’orgoglio delle infinite difficoltà affrontate e superate, quello che è statorealizzato nella Casa circondariale di Biella è il frutto della ferrea volontà di uno sparutogruppo di operatori che pensando a chi rischia di restare indietro per sempre, tenta combattivamente di non “lasciar andare”.

Fulvia ZagoCoordinatrice Tavolo GOL

Sotto la supervisione della Provincia di Biella in funzione di rappresentanza del Tavolo Gol, il Progetto è stato realizzato grazie al lavoro sinergico tra i seguenti Partner:

la • Casa Circondariale di Biella, che ha individuato i beneficiari, ha seguito i percorsi, ha permesso e favorito lo svolgimento delle attivitàla • Cooperativa Sociale Oltreilgiardino, che ha realizzato il percorso formativo per i beneficiari e ha attivato i progetti di inserimento lavorativo per alcuni beneficiarila • Cooperativa Sociale Il Punto, che ha coordinato il lavoro di gruppo durante i colloqui motivazionalila • Cooperativa Sociale Mosaico, che ha offerto interventi di mediazione interculturale

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DA DENTRO LE MURA DEL CARCERERIFLESSIONI LIBERE SUL PROGETTO “IN TRASFORMAZIONE”

Il corso “In trasformazione” che si è svolto nel corso dell’anno 2013 nella Casa Circondariale di Biella ha avuto un esito complessivamente positivo, sia dal punto di vista degli obiettivi prefissati, sia dal punto di vista del gradimento della proposta da parte dei destinatari.La doppia proposta di “trasformazione”, all’interno di sé e all’esterno della cella, è stata certamente l’iniziativa a valenza trattamentale più importante e strutturata che sia stata sperimentata in questo istituto negli ultimi anni.La dimensione fortemente simbolica ha permesso, soprattutto in quelle persone che hanno aderito in maniera convinta e continuativa all’iniziativa, di “rivedere” alcune possibilità di condotta di vita, di interessi da svilupparsi anche professionalmente, di convinzioni, valori e identità, portando alla luce dimensioni sotterranee (è il caso di dirlo) che si credevano magari perdute o concluse.Come in ogni esperienza, non sono mancate le difficoltà, soprattutto di carattere organizzativo legate al contesto detentivo. Alcuni limiti sono risultati invalicabili (come riporta il cartello al di fuori dell’istituto di pena), altri sono risultati più “abbordabili” e, grazie alla voglia di collaborare espressa da tutte le parti in gioco, si è potuto concordare di volta in volta le condizioni per poter portare a termine il progetto nel migliore dei modi.Le persone che vi hanno preso parte hanno certamente goduto di benefici come il vivere una dimensione di gruppo più coeso e libero dalle dinamiche strettamente carcerarie, poter rimanere a lavorare all’aria aperta e a contatto con la natura, sostentarsi con i gettoni di presenza previsti dal progetto.Per alcuni di loro il percorso è stato interrotto per scelta propria o per motivi di giustizia (scarcerazioni, trasferimenti); per altri, che subentravano, si è trattato di far parte di un lavoro e di un gruppo che già si “trasformava”, trasformandolo a loro volta. Per tutti, la soddisfazione di essere chiamati e di avere una chance per manifestarsi e farsi conoscere, impiegare positivamente il proprio tempo, diventare protagonisti di un’esperienza.

La speranza e l’auspicio che possiamo esprimere è che questo processo di trasformazione dal quale anche la nostra rigida struttura è stata “contaminata” possa proseguire e permettere sempre più e sempre meglio spazi di dignità e di qualità della vita, anche nel tempo di un’esperienza così difficile come quella dell’espiazione di una pena.

L’Area TrattamentaleCasa Circondariale di Biella

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RIFLESSIONI LIBERE SUL CORSO “IN TRASFORMAZIONE”

Il corso “In trasformazione” che si è svolto nel corso dell’anno 2013 nella Casa Circondariale di Biella, ha visto la partecipazione attiva del Personale di Polizia Penitenziaria.La presenza continuativa di agenti e assistenti nei vari luoghi dove l’iniziativa ha avuto il proprio svolgimento ne ha, di fatto, permesso lo sviluppo naturale, dall’inizio alla fine.Il lavoro del Coordinatore della sezione cui era rivolto il progetto ha consentito che il turn-over del personale adibito a quell’attività fosse minimo, garantendo continuità anche relazionale oltre che di sorveglianza. Il risultato di questa attenzione è stato che gli agenti e gli assistenti coinvolti, in special modo per quanto riguarda l’attività esterna di orticoltura, hanno avuto modo di osservare e relazionarsi con i detenuti in modo tale da valutare anche aspetti non rilevati nella quotidianità di sezione. Inoltre, gli operatori di Polizia Penitenziaria hanno sensibilmente contribuito all’osservazione del gruppo e dei singoli nella esperienza di “cambiamento” che il progetto si prefiggeva, riportando informazioni significative, utili alla conoscenza complessiva dei destinatari del corso.In conclusione, ritengo apprezzabile l’iniziativa e il lavoro svolto, congiuntamente con l’area trattamentale, in un’esperienza che ha confermato l’importanza di intrecciare le diverse professionalità al fine di raggiungere gli obiettivi isituzionali.

Vice Commissario dott. Mirko TrincheroComandante del Reparto di Polizia Penitenziaria

della Casa Circondariale di Biella

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IL COLLOQUIO MOTIVAZIONALE di GRUPPO:un utile strumento di lavoro

Se si tratta un individuo per quello che è, tale rimarrà.Ma se lo si tratta per quello che dovrebbe o potrebbe essere,

ecco che questi diverrà così come dovrebbe o potrebbe essere”J. Wolfgang Goethe

Il colloquio motivazionale aiuta ad incrementare l'interesse e l'energia per il cambiamento, riducendo le resistenze e contribuendo a creare nel gruppo un clima collaborativo nel quale trovano spazio desideri e piani per il futuro.Il colloquio motivazionale di gruppo si colloca nel progetto in parallelo, in continuità ed a supporto dell'attività di orticoltura e di trasformazione dei prodotti, in quanto rappresenta lo spazio in cui poter riflettere su come lo stile di vita sia entrato in conflitto con i propri valori ed i propri obiettivi. Cosa ha significato in questo specifico progetto motivare al cambiamento?Per noi, facilitatori di questo gruppo ha significato tracciare una via sul terreno delle “possibilità”. Ha significato esplorare terreni sconosciuti, seminare nuove idee, raccogliere le motivazioni al cambiamento e trasformare le resistenze in risorse. Ha significato “coltivare” progetti per il futuro che potessero trasformare autori di reato in “cittadini”. All'interno del gruppo i partecipanti hanno condiviso esperienze, delineato progetti per il futuro, collaborato per trovare soluzioni ai problemi, individuato fattori di rischio di recidivanza e le modalità con cui evitare di commettere reati in futuro.Hanno fatto tesoro delle differenze individuali e culturali trasformandole in risorse per affrontare e risolvere i problemi.

Monica Carnevali, PedagogistaSoc. Coop. Soc. Il Punto

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UN SOSTEGNO INTERCULTURALE

La partecipazione dei detenuti stranieri al progetto “In trasformazione” e’ stata dettata sia dal fatto che gli stranieri rappresentano oltre il 60% della popolazione carceraria dell’Istituto Penitenziario di Biella, sia dalla necessità di dare un sostegno a questa fascia dei detenuti.Oltre alle problematiche che accomunano tutti i detenuti, gli stranieri vivono una situazione di maggiore difficoltà, dovuta sia alla solitudine per la lontananza dal paese d’origine e dalla famiglia, sia alla difficoltà linguistica, sia alle differenze culturali che spesso fanno sentire la persona emarginata.I mediatori culturali della Cooperativa Mosaico di Biella all’interno del progetto hanno realizzato interventi di sostegno linguistico e culturale per i detenuti stranieri selezionati come beneficiari: il nostro ruolo non è solo quello di accoglienza, accompagnamento, informazione, sopporto burocratico/amministrativo, tecnico e culturale, ma anche quello di agevolare l’integrazione e la comprensione non solo dei contenuti ma anche dei significati.Con molto piacere abbiamo notato la soddisfazione dei detenuti stranieri nel partecipare a questo progetto: il corso di formazione ha offerto loro non solo l’occasione di imparare un nuovo mestiere, ma anche la possibilità di trascorrere in modo piacevole e utile una parte del proprio tempo quotidiano e l’opportunità di socializzare e di condividere con altri detenuti e con i docenti pensieri e speranze per il futuro.Crediamo che sia stata di importanza fondamentale la strategia di questo progetto di creare un sistema di attività trattamentali, di cui la formazione e il lavoro sono stati elementi primari per perseguire l’obiettivo istituzionale di offrire una detenzione tendente al recupero del condannato.

Elena Carcu, Mediatore CulturaleSoc. Coop. Soc. Mosaico

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IL CORSO “ORTO e GUSTO:Saperi e Sapori della terra”

COLTIVARE TERRA e PASSIONI

Il mio compito di Docente all'interno del corso è stato quello di insegnare a creare e gestire un orto biologico non solo come eventuale attività lavorativa futura, ma anche come possibile hobby o interesse personale. Durante i sette mesi del corso di formazione abbiamo dato vita a un orto molto produttivo, che ha fornito verdura fresca agli stessi detenuti.In questo lasso di tempo si è creato un rapporto confidenziale con i partecipanti: molti di loro si sono aperti, mi hanno raccontato alcune esperienze di vita (non solo in merito ai reati commessi), e mi hanno espresso il proprio disagio nel dover scontare la pena nella completa inattività. Anche secondo loro, sarebbe preferibile impiegare il tempo di espiazione realizzando lavori socialmente utili.Attraverso il lavoro agricolo finalmente i beneficiari

si sono sentiti utili e appagati. Penso che per tutti loro sia stato molto educativo poter realizzare un progetto partendo dalla teoria con le lezioni in aula, per poi metterlo in pratica: dalla lavorazione del terreno, alla semina, al raccolto dei prodotti. Grazie ad un lavoro rispettabile e dopo tanta fatica si sono raccolti dei buoni frutti.Il mio pensiero finale è quello di aver partecipato ad un progetto che ha arricchito di nuove esperienze sia me come persona sia i detenuti: ritengo che molti dei reclusi conosciuti siano brave persone, che hanno commesso l’errore di cercare scorciatoie in una società complessa.

Fabio Desogus, DocenteAzienda Agricola Montebelluardo

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ORTI-CULTURA: CONFIDARE IN QUALCOSA DI BUONO!

“Se la promessa di foglie, fiori e frutti giace in un seme,allora quale promessa è racchiusa nel cuore dell’uomo?”

Hank Bruce

Quando mi è stato chiesto di partecipare al progetto “In trasformazione, un lavoro da conservare”, che prevedeva la realizzazione di un orto all’interno del carcere, ho pensato fin da subito che non sarebbe stata un’avventura facile. Ciononostante ho accettato di buon grado, contenta di avere la possibilità di partecipare ad un progetto che può rientrare a pieno titolo in una delle aree di lavoro che sto cercando di sviluppare: quellodell’Agricoltura Sociale. Il mio percorso di formazione professionale parte dal sociale per arrivare, in un secondo tempo, all’agricoltura naturale e alle tematiche ambientali. Di base sono una psicologa, ma per non trascurare l’altra “anima” mi piace definirmi un’agri-psicologa. Ecco perché, per me, l’orticoltura è qualcosa di più e di diverso dal semplice fare un orto e a maggior ragione se lo si fa con un gruppo di detenuti.Conciliare i tempi e i modi del coltivare con quelli della realtà carceraria richiede non poco impegno, una certa disponibilità e flessibilità e soprattutto una forte motivazione sia da parte degli operatori che di tutti i partecipanti. Bisogna fare i conti con regole e vincoli che rendono la programmazione e realizzazione dei lavori più complicata rispetto ad un normale contesto agricolo e a volte decisamente frustrante. Può capitare, per esempio, che ci si ritrovi a dover bagnare il campo alle due del pomeriggio, sotto un sole cocente perché non c’è la possibilità di farlo in un altro momento. Oppure che quel giorno non si possa uscire affatto e in cuor tuo sai che le piante non possono aspettare, che alcuni lavori andavano fatti in quel momento e non la settimana dopo.Quindi, innanzitutto bisogna crederci! Credere che attività come: il contatto con la terra, stare all’aria aperta, piantare, seminare, veder crescere, prendersi cura, imparare a fare, condividere esperienze, saperi e storie… possano aiutare le persone a stare meglio, sia nell’affrontare la quotidianità che nel gettare diverse prospettive sul futuro. Credere che ci sia spazio per il cambiamento, offrire altre opportunità, segnare nuovi passi e tracciare diverse vie da seguire. Credere che con il nostro lavoro possiamo contribuire a rendere un “terreno fertile”, perché solo da un terreno fertile potranno nascere buoni frutti.Il corso formativo teorico-pratico da me proposto, dal titolo “Orti-cultura”, abbraccia questa idea. Quasi una scommessa che presume una sorta di atto di fiducia, quanto mai necessario per non perdere la voglia di fare e di provarci anche di fronte a situazioni apparentemente sterili, confidando in qualcosa di buono, una promessa appunto! Puntare sulle potenzialità: su qualcosa che poteva essere e non lo è stato, ma che forse potrà ancora essere. Coltivare la terra coltivando valori, individuare nuovi modelli etici e sociali. In questo senso l’orticoltura è impiegata anche come strumento di intervento per favorire processi di consapevolezza e cambiamento. Allora, giunti al termine del nostro progetto, spero di aver in qualche modo contribuito a gettare nuovi semi che, se trovano un buon terreno, al momento giusto germoglieranno, cresceranno e daranno i loro frutti. Non è stato facile, potevamo fare meglio e di più, ma ci abbiamo messo tutto il nostro impegno e non possiamo nascondere la soddisfazione di essere arrivati fin qui.

Stefania Bincoletto, PsicologaSoc. Coop. Soc. Oltreilgiardino

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TRASFORMARE:QUALCOSA DI LATENTE CHE FINALMENTE PUO’ ESPRIMERSI

Gran parte delle ore del mio corso sono state dedicate alla trasformazione dei prodotti dell'orto e del giardino delle aromatiche che con grande soddisfazione sono stati coltivati e curati nel pezzo di prato esterno della Casa Circondariale. Nel corso delle mie lezioni ho voluto spiegare il significato della parola TRASFORMARE, cioè mutare un qualcosa di latente che esiste già all'interno e che, con la trasformazione, prende forma.I pomodori succosi e lucenti sono diventati sugo per la pasta, i fiori gialli delle zucchine

dei gustosi contorni passati in pastella e fritti, e i gli aromi inebrianti di timo, maggiorana, rosmarino hanno contribuito a profumare il pollo. La menta ha esaltato il te e il basilico ha conferito colore e profumo al sugo.Ma la trasformazione è un processo naturale che tocca tutto ciò che è materia, noi compresi. Alla fine di questo corso, ritengo che, dopo aver tolto erba sotto il sole, raccolto verdura o sgranato i fiori di lavanda in aula, piano piano, da individui, chi timido, chi diffidente o annoiato o speranzoso, tutti diversi per carattere, cultura e religione siamo diventati un gruppo... un bel gruppo!Un bel gruppo entusiasta del lavoro che abbiamo portato a termine e di cui mi sento parte: un lavoro che oggi, con grande soddisfazione, andrà fuori dalle mura del carcere.Ringrazio tutti.Per rifarmi al titolo......la nostra impronta è grande, è quella di un gruppo!

Lorena Piana, esperta di H.A.C.C.P. e di cucina tradizionaleSoc. Coop. Soc. Oltreilgiardino

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CHE COS’È QUESTO LIBRO

Impronte in terra buona è la testimonianza di un’esperienza formativa realizzata nella Casa Circondariale di Biella che trattando temi legati all’agricoltura, e nello specifico alle tecniche biologiche di coltivazione, ha ricordato importanti ritualità tradizionali che ci sembrano poter rievocare origini comuni a tutta l’umanità, pratiche di socializzazione e di sviluppo di comunità. In carcere, evidenti sono le privazioni che, a differenti livelli, colpiscono i piccoli gesti del quotidiano. Quindi, carichi di significato ci sono sembrati i momenti legati agli ortaggi prodotti e alla cucina; dalla trasmissione alla preparazione delle ricette, al loro scambio e trasformazione di mano in mano. Tale significato lo ritroviamo in ciascuno di quei semplici gesti che creano occasione di continuità con le nostre origini e radici. Ma sono stati paradossalmente i lunghi momenti passati con le persone ristrette, principalmente migranti, a riportare alla memoria vecchie tradizioni della nostra cultura, quella antecedente al boom economico e al più recente avvento della globalizzazione, a mettere in evidenza ciò che di essa abbiamo rimosso. Ci hanno ricondotto a quei ricordi, sciupati e trascurati dal tempo, che sanno di profumo di pane, di panna acida e menta e che scandivano i ritmi della zappa, mettendoci di fronte alla nostra amnesia. Ed è proprio attraverso l’esperienza e l’incontro con la realtà penitenziaria e con uomini che esprimono differenti realtà culturali che scopriamo il carcere quale specchio della nostra società, dove le relazioni sono state condizionate a valori di ordine spesso quasi esclusivamente economico, tralasciando i bisogni relazionali, sociali e di solidarietà, che tuttavia permangono.Impronte in terra buona è anche un timido tentativo di ricostruzione di un processo di trasformazione che prende le mosse dal rituale dell’ “identificazione” al momento dell’arresto (impronte e foto segnaletica) e che passa attraverso la scoperta che in un carcere come tanti altri esiste un pezzo di terra “sporco”, come tanti altri, e che la sua terra è “buona”, fertile, coltivabile e produttiva. Ed è proprio l’istante di quella scoperta che aggancia al magico mistero della vita, della fertilità e della creatività e che di riflesso mette in luce che anche nelle persone detenute c’è qualcosa di prezioso e utile come nel resto dell’umanità. E quelle stesse mani che si sono macchiate di un reato e hanno lasciato l’impronta all’arresto, diventano mani che lavorano la terra e trasformano i prodotti. E mentre si è chinati a lavorare la terra e a potare, l’attenzione degli occhi passa dalle mani all’impronta lasciata nella terra dal compagno vicino, e poi sulle impronte degli altri. Alzando lo sguardo, si intravede un numero infinito di impronte nella terra; dietro le spalle ma anche davanti, verso il dentro ma anche verso il fuori e viceversa. Una serie di impronte che costruiscono un cammino, un ponte virtuale fra il dentro e il fuori, un ponte necessario per diminuire la distanza tra il carcere e la sua comunità di riferimento. Il materiale delle pagine seguenti è il frutto di training sui simboli

incontrati dai partecipanti al corso, condotto con tecniche psicosintetiche quali: visualizzazione creativa, parole evocative, associazione libera, scrittura libera e disegno libero. Gli scritti sono il prodotto di una scrittura libera rivisitata nella dimensione di gruppo.

Sonia Caronni, CriminologaSoc. Coop. Soc. Oltreilgiardino

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RITRATTODELLE MIE ORIGINI

Ahmed

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Cous cous di verdureIngredienti per 4 persone:2 tazze di cous cous cucinato, 2 cucchiai di olio d’oliva, 1 tazza di brodo vegetale, 1 cipolla, 1 patata dolce, 2 carote affettate sottili, 1 sedano rapa affettato sottile, 1 zuc-china a fette sottili, 1 tazza di ceci cotti, 1 cucchiaio di concentrato di pomodoro, ½ cucchiaino di Cannella, ½ cucchiaino di Curcuma, 1 pizzico di Cumino, una manciata di uva passa, una manciata di pinoli o mandorlePreparazioneFate a pezzi e soffriggete la cipolla, le carote, le patate dolci, le zucchine e il sedano rapa in olio d’oliva per 8-10 minuti. Cuocete a fuoco a medio e aggiungete il brodo vegetale. Lasciate cuocere a fuoco lento, quindi aggiungete le spezie, la salsa di pomodoro e i ceci. Mescolate il cous cous preparato, l’uvetta le mandorle e i pinoli. Tradizionalmente il cous cous si cucinava a vapore. Questo metodo è, tutt’oggi, ideale per separare i granuli senza bollire il cous cous riducendolo a una poltiglia di amido. La maggior parte del cous cous confezionato, tuttavia, è una varietà che cuoce rapi-damente. versandolo nel brodo cotto e a fuoco spento. Il cous cous originale necessita di molto più tempo per cuocere e viene cotto in una pentola chiamata cuscussiera. Se è un cous cous tradizionale conviene cuocerlo con lo stesso vapore delle verdure usate per il condimento e il brodo. Quando il cous cous sarà pronto, potrà essere condito con le verdure e salsa Harissa (peperoncino rosso) alla maniera marocchina, con una decorazione a spicchi delle ver-dure. Ognuno si servirà dal grande piatto centrale.

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Pallottole di cous cousQuando ho varcato il confine italiano avevo 10 anni. Ci sono ar-rivato senza la mia famiglia, con dei documenti contraffatti. Quan-do stavo in Marocco mangiavamo quasi tutti i giorni il cous cous, spesso solo di verdure, talvolta con la carne. Lo preparava la mia mamma, con devozione e cura. Alla sera quando tutti rientrava-mo a casa il piatto grande a centro tavola ci aspettava. L’avremmo mangiato con le mani tutti da quello stesso piatto. Le braccia dei bambini erano corte rispetto a quelle degli adulti… ma a noi piace-va molto arrotolare nelle mani il cous cous e poi buttarlo in bocca. E quindi ci procuravamo delle posizioni comode attorno al tavolo.Il sapore squisito di quella poltiglia di olio, cipolla, carota, harissa lo ricordo ancora adesso. Da allora non sono mai più rientrato in Marocco, ma ogni volta che cucino il cous cous, in cella, torno a quel momento, a quei sapori, a quelle immagini: i miei fratelli, la mia cara dolce mamma e le pallottole di cous cous.

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ROSSO PEPERONCINO

ALEX

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Sarmale(Involtini Romeni) Tempo preparazione e cottura: 140 min. ca.Ingredienti per 4 persone:1 cipollacarne trita di vitello qbrisoprezzemolo2-3 cucchiai di passata di pomodorofoglie di vite (o foglie di verza)oliosaleacquaPreparazione: Scottate le foglie di vite o di verza in acqua salata. Tritate a col-tello la cipolla e il prezzemolo. In una ciotola impastate la carne trita con il riso crudo, cipolla e prezzemolo tritati. Unite anche la maggiorana, un paio di cucchiai di passata di pomodoro e amalgamate. Create delle polpettine con questo composto e avvolgetele nelle foglie di vite o verza, richiudendole a pac-chettino. Disponete questi involtini un un tegame basso su un letto di fo-glie di vite bagnate con olio. Condite con sale, poi versate l'acqua fino a coprire completamente gli involtini e fate cuocere a fuoco basso coperto per circa un ora. Trasferite in forno e lasciate cuocere per un'altra ora circa a 120-130 gradi.

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La mia amata famigliaMi ricordo dei bei momenti passati con i miei figli; Denis, Denisa, Sami, Samina e con mia moglie Serena.Era Natale del 2009, come da tradizione romena, oltre ad altri piatti si preparava anche Sarmale (involtini di verza o di foglie di vite). Sarmale veniva cucinato perché piaceva tanto ai miei figli e alle mie figlie.E’ ancora molto vivo, il ricordo dell’armonia con cui tutta la famiglia si riuniva attorno al tavolo e giocavamo a chi riusciva a mangiare più involtini di Sarmale. Io, mia moglie, i miei fratelli, i cognati e le cognate; stavamo al gioco e lasciavamo vincere Denis, Denisa, Sami e Samina. Vederli mangiare, ridere, essere felici della loro vittoria, ci divertiva molto.In questo momento mi mancano molto l’armonia e la serenità di quei momenti; come anche il giocare e l’abbracciare i miei figli… ...E mangiare con tutta la famiglia gli involtini di Sarmale.

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PICCOLI ASSAGGIDI PROFUMI E SAPORI

CLAUDIO

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Miccone di grano duroIngredienti per sei persone:500 gr di farina di grano duro300/350 ml di acqua15 gr di lievito10 gr di salePreparazione:Per prima cosa prendete un recipiente e versatevi dentro dell’acqua dove far sciogliere il lievito. Mettete in un recipiente capiente la farina e l’acqua con il lievito. Cominciate a lavorare l’impasto aiu-tandovi con un cucchiaio di legno fino a che non otterrete un com-posto omogeneo. Aggiungete un cucchiaio di sale e continuate a mescolare. Quando l’impasto si sarà fatto più denso prendetelo e appoggiatelo su un piano di lavoro per impastarlo a mano. Lavorate l’impasto per 15’ circa fino a che non sia divenuto elastico, morbido e soprattutto omogeneo, evitate i grumi. Aggiungete farina di tanto in tanto durante la lavorazione. Dosate l’acqua a seconda della fari-na utilizzata, dai 300 ai 350 ml. Ora che il vostro composto è omo-geneo, morbido ma non appiccicoso, mettetelo in un recipiente e copritelo con un panno umido, poi lasciate lievitare. La lievitazione ottimale si ha ad una temperatura di circa 25°, quindi posizionate il recipiente possibilmente vicino ad una fonte di calore, tipo termosifone. Lasciate lievitare per circa tre ore, poi date una forma la vostro pane. Infor-nate a 200° per circa 30’, controllate e decidete il tempo della cottura a seconda del colore del pane.

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Il profumo del paneRitorno alla mia infanzia, quando durante il periodo delle vacanze estive io, mia sorella e i miei genitori andavamo al mare da mio nonno materno. Di quelle vacanze mi è rimasto impresso nella me-moria il ricordo di mia mamma che con sua madre e sua sorella, facevano il pane in casa per tutta la settimana. Mio nonno rientrava dalla campagna con ceste di frutta fresca, uva, fichi etc….e mentre gustavamo la frutta fresca sentivamo in lontananza il rumore del motocarro che avrebbe caricato il pane e le frise per portarle a cuocere al forno vicino. Io e mia sorella lasciavamo la colazione, per correre a guardare il signore che caricava il pane e le friselle, e scaricava pane e frise appena sfornate. Eravamo catturati da quel profumo forte del pane fresco.

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L’INCANTESIMO DELLACIORBA DE BURTA

IULIU

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Ciorba de burta, Trippa alla romenaIngredienti per 4 persone: 300 g di trippa1 costa di sedano3 carote 1 cipolla 3 peperoni rossi2 spicchio d’aglio prezzemolo3 cucchiai di olio di oliva 100 ml di panna fresca (acida) Peperoncino Sale Preparazione:Preparate il brodo con le verdure e gli aromi. Lavate la trippa e ta-gliatela a pezzetti. Preparate un trito di carota, aglio , prezzemolo e cipolla e mettetelo a soffriggere con l’olio in un tegame. Dopo una decina di minuti, aggiungete la trippa, salate, unite il peperoncino tritato e fate insaporire per altri cinque minuti, poi aggiungete il brodo. Durante gli ultimi quaranta minuti di cottura ag-giungete 2 carote e i peperoni rossi tagliati sottili. A fine cottura unite panna fresca e prezzemolo tritato. Servite con il peperoncino fresco e con fette di pane abbrustolito.Per i palati più raffinati, alla fine della preparazione si può aggiungere un uovo sbattuto e un po’ di aceto.

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Il ricordo di un incantesimoRicordo con molta intensità i momenti piacevoli davanti ad un piatto di Ciorba de Burta.Avevo 15/16 anni e portavo per la prima volta la mia fidanzata al ristorante. Per prepararmi e mettermi in tiro impiegai un’ora. Una volta pronto andai a casa di Anca, la mia fidanzata, e poi andammo al ristorante dove cucinavano la migliore Ciorba de Burta.Il ristorante si trovava nel centro della città e aveva una terrazza da cui si vedeva uno splendido panorama. A tavola, come primo piatto, ordinammo la Ciorba de Burta. Anca la prese su mio sug-gerimento, dopo averle raccontato che era il mio piatto preferito.Quello fu uno dei rari momenti in cui mi sono trovato faccia a fac-cia, con un livello di intimità profondo, con la persona amata.E’ ancora vivo il ricordo del suo sorriso, la luce nei suoi occhi e l’armonia che si creò dopo.

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IL SAPORE DELLA MENTA

MOHAMMAD AMINE

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Tè marocchino alla mentaIngredienti:½ cucchiaio di tè verdeZucchero di canna a piacereUna manciata di foglie di Menta viridisPreparazione:Riempite un bollitore di acqua e met-tetelo a scaldare sul fuoco. portate l’acqua ad ebollizione. Nel frat-tempo preparate una teiera in cui mettete mezzo cucchiaio di tè verde e versateci sopra dell’acqua bollente. Ruotate velocemente la teiera e poi, sempre velocemente buttate via l’acqua, stando at-tenti a non perdere le foglie di tè. Aggiungete menta e zucchero e irrorate con un litro di acqua bollente. Lasciate in infusione per 5-8 minuti. Eliminate le foglie di menta che galleggiano in superficie. E’ consigliato l’uso della Menta viridis.Consigli:Il tè verde alla menta viene servito in splendide teiere d’argento lavorato, con un beccuccio molto lungo, e servito in bicchieri di vetro colorato. Secondo la tradizione ma-rocchina il tè deve essere versato da una notevole altezza per far raffre-dare prima l’infuso. Va zuccherato direttamente nella teiera.

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I nonni e il rituale del tèQuando avevo sei anni i miei genitori sono emigrati in Italia in cerca di una speranza, di un futuro migliore. Mi hanno affidato ai miei nonni, in Marocco, con i quali ho instaurato un rapporto molto particolare e profondo. Un rapporto così profondo che mi ha portato a chiamare i miei nonni Mamma e Papà.Tra tutti i figli di mio nonno io ero il più piccolo e quindi il più coc-colato e preferito da parte di tutti i miei zii.Di quell’infanzia passata con i nonni, ricordo con piacere il mo-mento in cui si preparava il tè alla menta. Mio nonno versava il tè a me e ai miei zii e rispetto a loro me ne versava in abbondanza. Questo gesto di mio nonno rendeva la giornata speciale e mi sen-tivo molto felice.La frequentazione del corso di orticoltura mi ha permesso di bere spesso il tè alla menta e quindi di ricordare i momenti felici della mia infanzia trascorsa con i nonni.

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DOLCI RICORDI

NICO

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Lichiu la cuptorDolce tradizionale della Transilvania, dove vive una piccola minoranza di lin-gua tedesca.Ingredienti per 8 persone:50 gr di semolino500 gr di latte5 cucchiai di zucchero1 uovo2-3 cucchiai di panna acidauvettascorze di limone o aranciaprugne seccheimpasto per il panePreparazione:Preparate il semolino di latte: mettete a bollire il latte con lo zuc-chero e il semolino, mescolando con la frusta per non fare grumi. Potete aggiungere anche della scorza di limone o di arancia per aromatizzare. Lasciate raffreddare. Prendete un pezzo di impasto del pane già lievitato. Stendete una sfoglia di impasto di 3mm in una te-glia ricoperta di carta da forno. Ver-sate sopra il semolino al latte tiepido (deve essere non meno di 1 cm sulla superficie). Aggiungete l’uvetta e le prugne secche tritate. Versate sopra l’uovo sbattuto con la panna acida e infornate a 180°-200° fino a quando è pronto.La ricetta tradizionale richiede cottura nel forno a legna.

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La migliore nonna del mondoQuesta ricetta mi ricorda dei bei momenti della mia infanzia. In particolare quando d’estate i miei genitori ci mandavano in cam-pagna dai nonni, nel cuore della Transilvania, un luogo magico, un ambiente e una campagna meravigliosi. Loro si prendevano molta cura di me e delle mie sorelline e ci cucinavano sempre quello che desideravamo. La nonna ogni sabato faceva il pane nel forno a le-gna e non dimenticava mai di procurarsi anche gli ingredienti neces-sari per preparare i nostri dolci preferiti. Si svegliava molto presto, alle quattro, e quando sentivamo i primi rumori ci svegliavamo an-che noi presi dall’entusiasmo del pensiero di poterla aiutare. Ovvia-mente la nostra presenza le creava solo impiccio, ma a noi piaceva tantissimo guardarla mentre lavorava, osservare le sue mani mentre impastava. Talvolta poteva anche accadere che dava a noi un pez-zettino d’impasto con il quale giocavamo tutta la mattina e alla fine anche noi preparavamo una piccola pagnotta. Il profumo del pane appena sfornato, quei dolci buonissimi, bellissimi, meravigliosi; non li posso e non li voglio dimenticare perché non c’è niente di più sano nella vita che un bel ricordo dell’infanzia.

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ROBERTO

MENTA e ricotta: L’INFANZIA

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Torta di crema di ricotta, con menta, cannella e fragoleIngredienti per 6 persone:400 gr di ricotta piemontese½ bicchiere di latte10 foglie di menta½ cucchiaio di cannella in polvere1 cestino di fragole1 cucchiaio di zucchero a velo½ scorza di limonePreparazione:Fate bollire il latte con lo zucchero, la cannella e le foglie di men-ta tritate. Spegnete e lasciate raffreddare completamente. Pulite le fragole e dopo averle tagliate a piccoli pezzi mettetele in una ciotola con lo zucchero a velo. Mescolate il tutto e conservate in frigorifero. Setacciate la ricotta in una terrina e unitevi la scorza di limone grattugiata finemente. Al composto incorporate il latte fil-trato e mescolate ripetutamente con una frusta fino a quando non avrete ottenuto una crema liscia e spumosa. Servitela con le fragole e altre foglie di menta. Ottima alternativa alle fragole sono le pesche.

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Il giardino dell’infanziaEro piccolo, la casa dove vivevo con la mia famiglia aveva un giar-dino molto carino, pieno di fiori, piante ed uccellini che cantavano al mattino. Parte di quel giardino era destinato all’orto nel quale si seminava spesso e nonostante fossi il più piccolo mi si chiedeva di aiutare. Ero un po’ pigro e interessato solo ai dolci; il lavoro nell’orto era pesante e malgrado la curiosità mi spingesse a fare ri-petute domande non amavo il momento in cui andavo nell’orto con mia mamma. Poi un giorno qualcosa cambiò, mia mamma mi disse che se avessi lavorato con lei in giardino mi avrebbe pre-parato un dolce. Non potevo resistere a quella proposta, quindi quel giorno oltre a fare domande iniziai a fare dei piccoli lavoretti nell’orto. E che buona la torta che mia mamma mi preparò: soffice, morbida e gustosa.Oggi dopo tutti quegli anni, quando esco nell’orto è come se un po’ tornassi al giardino della casa della mia infanzia.

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ATMOSFERE DEL MAROCCO

YOUSSEF

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Tajine di pollo e verdureIngredienti per 4 persone:4 cosce di pollo e 4 sovracosce1 peperone giallo2 cipolle bionde2 spicchi d’aglio1 zucchina, 1 carota, 1 pomodoro rosso1 manciata di olive nere2 cucchiai di miele, il succo di un limone (si possono aggiungere anche pezzi di limone)coriandolo fresco (o bacche di coriandolo). In alternativa al corian-dolo fresco, prezzemolo fresco tritato1-2 cucchiai di curcuma1 cucchiaino di zenzero in polvereolio extra vergine di oliva qb, sale, pepe Preparazione:Scaldate l’olio con gli spicchi d’aglio e le cipolle tagliate a fette. Fate appassire le cipolle a fuoco lento. Aggiungete la concassé di po-modoro e il miele. A questo punto, fate rosolare il pollo qualche minuto e sfumate con il succo di limone. Ag-giungete le spezie e lasciate cuocere piano. Tagliate a pezzetti tutte le ver-dure e aggiungetele al pollo in mani-era armoniosa. Aggiungete anche le olive nere. Aggiungete sale e pepe. Coprite con l’apposito coperchio di forma allungata e fate cuocere in for-no a 175 gradi per un’ora. Una volta pronto, spolverizzate con coriandolo fresco o prezzemolo fresco tritato e servite con cous cous bianco in ac-compagnamento.

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La ruota che giraScrivere la ricetta del Tajin mi ha riportato ai tempi in cui vivevo con la mia famiglia, in Marocco. Io e i miei fratelli e le mie sorelle, allora, vivevamo ancora con papà e mamma e con altri familiari.D’estate mangiavamo il Tajin ed era l’occasione in cui tutta la famiglia si riuniva, tutti seduti attorno ad un grande tavolo raccon-tavamo delle nostre vite, di quello che avremmo voluto fare, dei nostri sogni e desideri.La mia vita scorreva tranquilla e calda come i sapori del tajin…Poi un giorno un accadimento mi ha portato qui e il ritmo del tem-po è cambiato; tutto uguale, con un monotono sapore di freddo. I giorni, i mesi e gli anni trascorrono velocissimi, i miei famigliari si sono allontanati.Mi sento perso su un’isola dove incontro persone che non conos-co.

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PerCorsoDurante la detenzione, fare questo corso è stato per me molto importante. Solitamente un detenuto sta in cella per venti o più ore, la frequentazione al corso ha dato a me, e agli altri detenuti la possibilità di uscire dalla cella, di andare all’orto e stare all’aria aperta, di riattivare quindi delle funzioni vitali basilari.Ho avuto la fortuna di frequentare dall’inizio e quindi di apprendere i differenti e complessi passaggi di crescita delle piante, degli ortaggi e dei legumi che abbiamo seminato nell’orto. Posso dire con certezza che è stato un gran bel sentimento vedere crescere e poi fiorire le erbe aromatiche, vedere i piccoli frutti che lentamente sono maturati in modo del tutto naturale. Lavorare la terra è un gran bel lavoro, dà molte soddisfazioni.In questo mio scritto vorrei lasciare un ringraziamento particolarmente sentito, anche a nome dei miei compagni di corso, ai Docenti, che con pazienza e impegno ci hanno permesso di apprendere informazioni sull’agricoltura, sulle piante aromatiche, sul rispetto dell’ambiente.Informazioni che ci serviranno anche in un futuro, fuori dalla Casa Circondariale.

Abdelhak

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Dal Corso... Alle Impronte in Terra Buona“Sapete, quando penso a ciò che fa parte di quello che è stato ieri, ho paura di aver già cominciato a dimenticare i volti, a non ricordare più... le voci. Cosa staranno facendo in questo momento? A chi staranno sorridendo? A chi staranno gesticolando e dove staranno lasciando le loro impronte? Ma poi improvvisamente sento quei gesti nei nostri, quelle parole nelle nostre, quelle emozioni nelle nostre e quelle impronte nelle nostre. Tutti coloro che passano lasciano sempre addosso agli altri un po’ di sè? E’ questo il segreto della memoria e della testimonianza? Se è così ci sentiamo più sicure e sicuri perchè sappiamo che non saremo mai soli”.

Il Progetto “In trasformazione. Un lavoro da conservare” è stato realizzato grazie al lavoro di molte persone:

Provincia di Biella Fulvia Zago, Coordinatrice Tavolo GOL

Casa Circondariale di Biella e U.E.P.E. di Vercelli Antonella Giordano, Direttrice Roberto Maoret, Educatore e l’Area Trattamentale Personale di Polizia Penitenziaria

Società Cooperativa Sociale Oltreilgiardino Onluscontatti: [email protected] - 327/4081815 Luisa Barberis Negra, Counsellor - Formatrice - Assistente Sociale Lorena Piana, Formatrice - Operatore dell’inserimento lavorativo Stefania Bincoletto, Psicologa - Formatrice Sonia Caronni, Criminologa - Counsellor - Formatrice Fabio Desogus, Imprenditore agricolo - Docente

Società Cooperativa Sociale Il Puntocontatti: [email protected] - 015/405738 Monica Carnevali, Pedagogista Simone Donaddio, Psicologo Rocchina D’Ercole, O. S. S.

Società Cooperativa Sociale Mosaicocontatti: [email protected] - 348/4023912 - 333/2469102 Elena Carcu, Mediatrice Culturale Tahar Salmane, Mediatore Culturale Società Cooperativa Sociale Aurora Cascina Aurora, con Luisa Barberis Negra e Lorena Piana

Un grazie di cuore a chi ha lasciato testimonianza:Abdelhak, Ahmed, Alex, Claudio, Iuliu, Mohammed Amine, Nico, Roberto, Youssef.Grazie anche a chi è passato:Abdelouahed, Aziz, Constantin, Ivan, Luca, M’hamed Amine, Orazio, Paolo, Salvatore.

IMPRONTE IN TERRA BUONAÈ la testimonianza di un viaggio nel simbolico mondo di un gruppo di persone ristrette, dove gli ingredienti sono un mix tra storie di vita, ricette, impronte delle mani, ricordi, sapori, umori e disegni.Vi invitiamo a sperimentare le ricette proposte e magari anche ad ascoltare i ricordi, le tradizioni e i rituali che i sapori contenuti vi evocano. E se doveste avere voglia e tempo, potreste inviarli a questo indirizzo:[email protected] modo come un altro per garantire la continuità, tra il dentro e il fuori, delle impronte in terra buona.Per informazioni sui prodotti realizzati in carcere: tel. 327.408185email [email protected]